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LE COMPETENZE GENITORIALI
Anche se ogni individuo ha un approccio suo caratteristico, i genitori possono essere classificati come appartenenti ad uno di questi tre stili educativi: Il genitore perfetto non esiste, ma sicuramente esistono genitori più attenti e rispondenti ai bisogni dei propri figli.
Madre e padre rappresentano per i figli un modello a cui ispirarsi, sia pure inconsapevolmente. Non è infrequente, infatti, verificare come ragazzi i quali durante l’adolescenza hanno apertamente contestato il modo di fare del proprio genitore, da adulti manifestino né più né meno lo stesso atteggiamento educativo nei confronti dei propri figli. |
Il genitore “capace”
Non esiste un modo considerabile a-prioristicamente giusto per essere genitori capaci.
Ogni genitore stabilisce con il figlio un tipo di relazione specifica, in base non solo al proprio senso di sé ed al proprio significato personale, ma anche alla modulazione del legame di attaccamento che con il figlio si struttura sin dai primi momenti della sua vita.
Nel parlare di capacità genitoriali si tiene in considerazione sia la disponibilità a garantire nel tempo una prossimità fisica con il proprio figlio sostenendolo nei suoi bisogni materiali, sia la capacità di strutturare e mantenere un legame affettivamente significativo, emotivamente caldo, che funga in qualsiasi momento evolutivo del bambino da base sicura.
L’idoneità genitoriale viene definita, quindi, dai bisogni stessi e dalle necessità dei figli in base ai quali il genitore attiverà le proprie qualità personali, tali da garantirne lo sviluppo psichico, affettivo, sociale e fisico.
Guttentag indica quattro componenti correlate ad uno stile parentale comprensivo e “responsivo”:
Non è superfluo sottolineare l’importanza delle cure genitoriali che i bambini ricevono nell'infanzia come base del loro benessere emotivo e affettivo attuale e di gran parte di quello futuro.
La capacità genitoriale
Non esiste, in letteratura, una definizione univoca del concetto di capacità genitoriale: quando ci riferiamo ad essa, possiamo intendere l'insieme di comportamenti, atteggiamenti e risorse personali di un genitore che lo rendono capace di stabilire una relazione caratterizzata da accudimento, protezione e sostegno adeguati allo sviluppo psicofisico del proprio figlio.
Da un punto di vista psicopedagogico, la genitorialità è intesa come quel processo dinamico attraverso il quale si impara a diventare genitori capaci di prendersi cura e di rispondere in modo sufficientemente adeguato ai bisogni dei figli, bisogni che sono estremamente diversi a seconda della fase evolutiva.
Secondo Bornstein, la “capacità genitoriale” corrisponde ad un costrutto complesso, non riconducibile alle singole qualità personali del genitore, ma all’insieme delle competenze relazionali e sociali.
A sua volta Vicentini, in una meta-analisi della letteratura scientifica, individua otto funzioni genitoriali:
Per comprendere quindi meglio la complessità e la vastità di ciò che definiamo genitorialità, è opportuno sviscerare e analizzare le singole funzioni:
E’ la funzione tipica del caregiver, che consiste nell'offrire cure adeguate ai bisogni del bambino.
Le figure dei caregiver rispondono soprattutto al bisogno di sviluppare costanti relazioni di accudimento e al bisogno di protezione fisica e di sicurezza.
La vicinanza della figura materna e paterna e il mantenimento di una relazione di attaccamento sono vissuti come fonte di sicurezza, mentre una minaccia di perdita potrebbe originare ansietà, collera e dolore.
E' soprattutto Daniel Stern ad aver introdotto il concetto di funzione affettiva nelle sue ricerche sull' interazione madre-bambino.
Alcuni termini da lui utilizzati sono entrati a far parte ora del linguaggio psicologico "comune", quali, la "sintonizzazione affettiva", intesa come la capacità di entrare in risonanza affettiva con l'altro senza esserne inglobato e gli "affetti vitali" che stanno ad indicare l’insieme dei gesti, delle frasi e delle parole che contengono al loro interno un dimensione relazionale affettiva e che veicolano un sentimento.
E’ il "mondo degli affetti" quindi a definire la qualità emotiva-affettiva dentro la quale il bambino è inserito: l'interazione con il mondo degli adulti è guidata in modo principale dalla ricerca di emozioni positive da con-dividere.
I bambini hanno bisogno quindi di vivere emozioni positive con i propri genitori, perché è attorno a queste che si coagula il loro mondo affettivo e relazionale.
La regolazione va intesa come la capacità che il bambino possiede fin dalla nascita di "regolare" appunto i propri stati emotivi e organizzare l'esperienza e le risposte comportamentali adeguate che ne conseguono. La capacità di regolazione sembra essere la base per poter decodificare le proprie esperienze e non sentirsi sopraffatti da queste.
Le strategie per la "regolazione di stato" sono inizialmente fornite dal caregiver. La difficoltà del caregiver a questo livello porta a disturbi della regolazione (difficoltà nel regolare il comportamento, i processi sensoriali, fisiologici, attentivi, motori o affettivi, nell'organizzare uno stato di calma, di vigilanza, o uno stato affettivo positivo).
La funzione regolativa genitoriale può avere un funzionamento iper (con risposte intrusive che non danno tempo al bambino di segnalare i suoi bisogni o i suoi stati emotivi), ipo (quando vi è una mancanza d risposte), inappropriata (quando i tempi non sono in sincronia con il bambino).
Conseguente all'evolversi della funzione regolativa o forse come funzione a sé stante sta la funzione normativa, che consiste nella capacità di dare dei limiti, una struttura di riferimento, una cornice e corrisponde a quel bisogno fondamentale del bambino che è i bisogno di avere dei limiti, di vivere dentro una struttura di comportamenti coerenti.
Al centro della capacità di dare delle regole stanno, come scrivono Brazelton e Greeenspan, le aspettative e la consapevolezza dei compiti evolutivi di quella determinata età.
La funzione normativa riflette l' atteggiamento genitoriale di fronte alle norme, alle istituzioni, alle regole sociali.
E' la capacità del genitore di prevedere il raggiungimento della tappa evolutiva imminente.
I genitori adeguati sanno percepire in modo realistico l'attuale stadio evolutivo del bambino e sanno, però, nel contempo, intuire quei comportamenti che promuovono e sviluppano il nuovo comportamento.
La funzione predittiva non è solo la capacità di intuire e facilitare lo sviluppo del bambino, ma soprattutto la capacità di cambiare modalità relazionali con il crescere del bambino e con l'espandersi del suo mondo e delle sue competenze.
Bion parla di "funzione alfa" della madre come capacità di dare un contenuto pensabile e/o sognabile, in definitiva utilizzabile dall'apparato psichico, alle percezioni, alle sensazioni del neonato che sono ancora prive di spessore psichico. La madre costituisce un contenitore dentro il quale il bambino inizia a pensare, poiché adattandosi ai bisogni del bambino aiuta il bambino stesso a com-prendere il suo bisogno.
Questo postula un complesso intreccio di proiezioni e identificazioni tra madre e bambino: la madre crea una cornice che dà senso all'azione del bambino.
Questo dare senso ai suoi bisogni, ai suoi gesti all'inizio casuali, ai suoi movimenti, alle sue espressioni, inserisce il bambino in un mondo di senso.
Stern definisce la funzione rappresentativa come lo "schema di essere con" e che presuppone un insieme di interazioni reali con il bambino.
La funzione rappresentativa è continuamente arricchita da nuove rappresentazioni di "essere con" che allargano il mondo interattivo del bambino e dei suoi genitori. Per funzione rappresentativa va intesa proprio questa capacità di modificare continuamente le proprie rappresentazioni in base alla crescita del bambino e dell'evolvere delle sue interazioni, facendo nuove proposte o sapendo cogliere dal bambino i suoi nuovi segnali evolutivi: "finché le rappresentazioni del bambino non vengono modificate, il bambino, per quanto gli è ancora possibile, agirà come faceva prima dei cambiamenti avvenuti nei suoi genitori".
Sempre secondo Stern, lo sviluppo del mondo rappresentazionale del bambino è conseguente ai cambiamenti delle rappresentazioni genitoriali.
Possiamo definire la funione triadica come la capacità dei genitori di avere tra loro un'alleanza cooperativa fatta di sostegno reciproco, capacità di lasciare spazio all'altro o di entrare in una relazione empatica con il partner e con il bambino.
Si tratta di un gioco di squadra: ciò presuppone la capacità del genitore di vedere il bambino dentro una relazione dove esiste un terzo.
La presenza del terzo, che può essere anche solo percepita, dà al bambino un orizzonte molto più aperto dove collocarsi, e offre al bambino possibilità di adattamento e di interazione molto maggiori.
Esiste, a livello di affetti, un contatto reciproco tra la coppia genitoriale e il bambino che mantiene viva e dinamica la relazione.
Bibliografia
Fonte: http://www.folignano1.org/wp-content/Progetti/www.pereducareunbambino.it/wp-content/uploads/2012/10/LE-COMPETENZE-GENITORIALI.doc
Sito web da visitare: http://www.folignano1.org
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