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Introduzione
Le fondamentali trasformazioni sociali che negli ultimi decenni hanno interessato i paesi occidentali, hanno contribuito ad assegnare un posto di primo piano allo studio dell’adolescenza. Attualmente infatti l’adolescenza sembra costituire un “problema epocale” che impegna vari settori di ricerca e che coinvolge tutta la società .
I primi studi sull'adolescenza(ad esempio la teoria psicoanalitica tradizionale di Freud, 1905, e Piaget, 1955) la consideravano come una fase del ciclo di vita universale, simile per tutti gli esseri umani e spiegabile attraverso meccanismi biologici geneticamente determinati. In quest'ottica la crisi adolescenziale è ascrivibile al risveglio pulsionale e/o ai grandi mutamenti biologici tipici di questa fase dello sviluppo.
Di tipo apparentemente opposto, ma sempre ascrivibile, come gli studi precedentemente citati, al determinismo, è l'approccio ambientalista, che interpreta le problematiche adolescenziali come il risultato inevitabile delle pressioni e delle influenze ambientali. In tale senso le difficoltà dell'adolescenza risentono necessariamente dell'influenza di condizioni sociali.
Entrambi questi punti di vista, però, dimenticano il ruolo attivo svolto dalla persona, visione questa che è invece alla base dei modelli interazionisti e costruttivisti, in cui lo sviluppo è descritto come azione nel contesto (Bronfenbrenner, 1986), risultato dell'agire intenzionale e diretto del soggetto verso uno scopo, in cui individuo ed ambiente si influenzano reciprocamente.
In aggiunta a tali studi vi è un altro filone di ricerche, condotto da Hall a partire dal 1904, che vedeva l’adolescenza come un periodo di “storm e stress”, o meglio di "sturm und drang" (tempesta e assalto) ed impostava gli studi sulla necessità di comprendere come poter ottenere un controllo sugli adolescenti, con, come finalità ultima, quella di capire come canalizzare le cosiddette “energie tempestose”, tipiche di questa fase, in obiettivi socialmente accettabili.
Una definizione di adolescenza tuttora convenzionalmente condivisa la colloca nel “periodo di vita che va dai 14 ai 18 anni” (Palmonari, 1996), ma in realtà si rivela oggi poco adatta al contesto occidentale e in particolare a quello italiano, infatti il limite inferiore non è detto che sia uguale per tutti, e quello superiore, è tale perché considerato dalla nostra costituzione come momento di ingresso nella vita adulta (acquisizione diritto al voto, possibilità conseguimento patente di guida, acquisizione capacità di agire e ricorso al tribunale ordinario, in luogo del tribunale dei minori).
Attualmente gli "adolescenti in crisi" di cui parlavano Hall e la psicoanalisi tradizionale non ci sono più; nel panorama attuale sembra infatti emergere una visione di tale periodo della vita più mitigata e meno conflittuale (Caprara, Scabini, 2000). La questione della definizione di adolescenza si è perciò lentamente ma culturalmente modificata, assumendo connotati sistemici; la domanda che oggi ci si pone è la seguente:
“di che natura è la crisi che affrontano gli adolescenti e quali altri soggetti sociali entrano in crisi insieme a loro?”
Alla base delle difficoltà di dare una definizione dell'adolescenza vi sono almeno due ordini di motivi:
Da tali premesse emerge chiaramente la necessità di intendere l’adolescenza come una transizione sia evolutiva che sociale.
Oggi possiamo affermare che la condizione degli adolescenti è variata non solo nel tempo, ma anche nello spazio, infatti da un contesto culturale ad un altro si hanno differenze apprezzabili, nelle soglie e nelle regole, che governano l’accesso e l’uscita da questa fase del ciclo di vita.
Tutte le indagini condotte negli ultimi decenni hanno messo in luce il fenomeno dell’ADOLESCENZA ALLUNGATA (Scabini & Iafrate, 2003), che consiste nella contrapposizione tra l’acquisizione di maturità fisica e psicosociale e l’assunzione ritardata del ruolo adulto in termini di autonomia ed indipendenza reale dalla famiglia di origine. Per certi versi l’adolescente continua ad appartenere come un bambino alla sfera familiare, per altri aspetti invece tende a fuggire, sottraendosi a questa dimensione.
Secondo Scabini (1997) i cambiamenti che hanno portato all’attuale situazione sono dovuti a diverse concause socio-culturali, dovute al maggiore attaccamento alla famiglia d’origine, all’allungamento del periodo di scolarità, all’aumento dei tassi di disoccupazione, ecc. Anche il V rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia (Buzzi, Cavalli & De Lillo, 2002) ci fornisce una visione degli adolescenti segnata dai profondi cambiamenti strutturali che hanno investito il mercato del lavoro, la società e la politica. Il dato che più balza all’occhio è proprio il prolungamento dell’età entro la quale si è considerati giovani:
Gli indicatori studiati per arrivare a questo risultato sono quelli che sanciscono il passaggio all’età adulta: l’uscita dei ragazzi dalla casa dei genitori, la creazione di una propria famiglia e la nascita del primo figlio.
Si può dunque affermare che paradossalmente i giovani invecchiano rimanendo giovani. Essi, infatti, incontrano notevoli difficoltà nel diventare adulti, basti pensare al prolungamento dell’età scolare, alle difficoltà nel trovare casa, alla precarietà del lavoro, dovuta alla diffusione di contratti atipici che non assicurano un reddito sicuro a tal punto da poter pensare ad un progetto di vita autonomo, ecc. Strutturalmente il futuro appare ora particolarmente indeterminato e non a caso l’indagine segnala come la maggioranza dei giovani esprima maggiormente una certa tensione, legata al bisogno di vivere il presente e l’immediato con particolare intensità (Di Blasi, 2003) e alle necessità derivanti dalla difficoltà di prefigurarsi il proprio futuro. I giovani sono immersi in una realtà che porta alla precarietà, alla frammentazione, all’impossibilità di elaborare obiettivi a lungo termine.
Quindi la nozione di adolescenza non può che essere PSICOSOCIALE, in quanto si riferisce, oltre che agli aspetti biologici, al passaggio dalla condizione di bambino a quella di adulto, passaggio che risulta essere fortemente influenzato dai differenti contesti sociali e culturali.
Molti sono gli studi storici ed antropologici che hanno evidenziato che l’adolescenza non è sempre esistita in tutte le popolazioni; nelle società occidentali ha cominciato ad emergere tra i ceti più elevati nell’800 e in tutta la popolazione solamente agli inizi del ‘900.
Nelle società “primitive”, in cui si può osservare un taglio netto tra l’infanzia e l’età adulta, l’adolescenza in realtà non esiste; il passaggio da una fase all’altra è sancito da precisi rituali, riconosciuti dalla comunità di appartenenza. Questi riti iniziatici, in cui il/la ragazzo/a deve affrontare dure prove di sopravvivenza, riconoscono non tanto la pubertà fisiologica, quanto quella sociale, accompagnando il ragazzo all’assunzione del ruolo adulto. Le prove, spesso cruente, hanno il compito di offrire all’individuo la possibilità di mettersi alla prova e quindi di sentirsi ed essere considerato degno di entrare nel mondo degli adulti. Si tratta perciò, più che altro, di un viaggio verso l’autoconoscenza e verso la crescita, con l’obiettivo di essere riconosciuti come “qualcuno”. In generale, infatti, i rituali servono per connotare, in modo molto significativo, il passaggio da una fase all’altra dell’esistenza; essendo riconosciuti dall’intera comunità di appartenenza, assumono un significato ben preciso, di tipo simbolico. Si tratta di pratiche molto importanti per il soggetto che si trova a vivere la fase di passaggio perché egli sa che in queto modo sarà riconsociuto dalla sua comunità; in questo modo tali pratiche diventano aspetti molto importanti per il processo di costruzione della propria identità.
Da tutto quello che è stato detto finora, emerge come non sia possibile studiare gli adolescenti senza considerare il DOVE e il QUANDO, ovvero senza collocarli in un periodo e in un luogo precisi (l’adolescenza di uno studente di ceto sociale medio è differente da quella di un coetaneo figlio di immigrati con problemi di integrazione). Possiamo invece affermare che esistono innumerevoli “adolescenze” che si differenziano per: età, genere di appartenenza, famiglia di appartenenza e contesto sociale, economico e culturale in cui si vive.
La nuova visione della fase di sviluppo adolescenziale come periodo indefinito è ben sintetizzata dalla seguente affermazione di Palmonari (2004): “l’adolescenza comincia nella biologia e finisce nella cultura”. E’ con la pubertà, infatti, che si entra nella fase di sviluppo adolescenziale; ciò ci permette di identificarne l’inizio con relativa precisione, mentre i criteri in base ai quali se ne può determinare la conclusione sono legati all’emergere dell’autonomia, della coerenza e della responsabilità con le quali l’individuo si rapporta al mondo; si tratta di caratteristiche dipendenti non solo dalla personalità del singolo, ma anche dal contesto socio-culturale di riferimento, inclusi i vincoli e le risorse ad esso connessi.
Gli studi più recenti indicano che l’adolescenza può risultare un periodo gratificante e di grande crescita, oppure una fase profondamente problematica, ciò a seconda del contesto socio-culturale in cui l’individuo vive e si confronta. Una recente teorizzazione è quella della life span developmental psychology (Baltes, Reese & Lipsitt, 1980; Lerner, 1982) secondo cui lo sviluppo umano è da considerarsi come un processo che dura lungo tutto l’arco della vita; in esso entrano in gioco componenti biologiche, sociali, storiche e culturali, interconnesse e interdipendenti tra loro. In tal senso gli individui sono considerati come attivi autori del loro sviluppo e delle specifiche traiettorie di inserimento nella società.
COMPITI DI SVILUPPO
Secondo recenti teorie, l’adolescenza va dunque considerata come fase del ciclo di vita, e in quanto tale, comporta il dover affrontare vari compiti di sviluppo tipici di questa età. Già a partire dagli anni ’70 gli studi sullo sviluppo si sono orientati verso la ricerca delle molteplici esperienze che gli individui devono affrontare; contemporaneamente si sono superate del tutto quelle concezioni che consideravano l’adolescenza solo come età di grande crisi e si inizia a parlare di “compiti di sviluppo”. Tale concetto è stato introdotto da Havighurst (1952) che considerava la vita dell’individuo come costituita da una successione di compiti che, ad un momento opportuno e prestabilito, devono essere risolti. Se tali compiti non sono affrontati entro precisi tempi, lo sviluppo individuale risulta compromesso. Per esempio nell’infanzia esistono dei compiti, quali imparare a camminare e a parlare, che richiedono tempi biologicamente determinati; se in qualche modo l’individuo non riesce ad affrontarli e superarli, tutto il complesso meccanismo di evoluzione della sua personalità può risultare compromesso e quindi non realizzarsi in modo adeguato. Ma oltre alle determinanti biofisiche esistono anche altre “sorgenti di compiti di sviluppo”: infatti le pressioni culturali della società pretendono dall’individuo, con precisione temporale, competenze comunicative specifiche, quali lettura e scrittura, oltre che specifiche competenze sociali, quali diventare un cittadino responsabile.
Havighurst teneva conto sia delle variabili interculturali che di quelle intraculturali e descriveva i compiti di sviluppo come compiti che si presentano in un determinato periodo della vita di un soggetto, la cui risoluzione influisce sulla capacità nell’affrontare i successivi problemi. Egli considerava alcuni compiti di sviluppo come praticamente universali e costanti in ogni cultura; altri, invece, sarebbero presenti solo in alcune società, o sarebbero peculiarmente definiti dalla cultura di appartenenza.
I compiti che derivano dalle richieste sociali mostrano, infatti, grande variabilità da una cultura all’altra. Il compito di prepararsi per una carriera lavorativa, per esempio, è molto semplice in una ipotetica società omogenea, con una divisione del lavoro assai ridotta e in cui tutti gli adulti hanno una stessa occupazione; al contrario nelle società industrializzate e pluraliste tale compito risulta come uno dei più complessi e difficili da risolvere.
Havighurst sottolineava inoltre come esistano anche compiti di sviluppo ricorrenti e altri non ricorrenti. I primi si manifestano per un lungo periodo di tempo, o addirittura per tutta la vita, e ciò che cambia è il modo in cui l’individuo li affronta. I non ricorrenti, invece, vengono affrontati in specifiche fasi dello sviluppo individuale.
Per quanto riguarda i compiti di sviluppo dell’adolescenza Havighurst individuava nella ricerca dell’indipendenza l’elemento costante e specifico. Egli descriveva dieci compiti di sviluppo tipici di questo periodo; essi risentono evidentemente del momento storico in cui la lista è stata completata (1953) e sono oltresì tipici degli adolescenti bianchi di classe media americana degli anni Cinquanta:
Nel tempo altri autori (Dittman-Kohli, 1984) hanno tentato di mettere a punto altre liste più aggiornate dei compiti di sviluppo adolescenziali. In seguito a numerose critiche, si è però giunti alla conclusione che, per evitare i rischi di ogni lista che si pretende universale, è opportuno impiegare la nozione di “compito di sviluppo” per analizzare i diversi e molteplici problemi che ogni adolescente deve affrontare e superare per costruire la propria identità e la propria autonomia di adulto (Palmonari, 1997; 2000; Bonino e coll, 2003).
I compiti di sviluppo non sono dunque difficoltà che esistono per ogni adolescente, quindi sempre uguali ed inevitabili, ma si ridefiniscono nel rapporto tra l’individuo, la sua appartenenza sociale e l’ambiente in cui è inserito: in certe condizioni possono essere affrontati senza particolari difficoltà pur essendo numerosi, in altre possono creare ostacoli e frustrazioni. Comunque tutti gli adolescenti devono affrontare alcuni compiti di sviluppo per diventare degli adulti e le energie che tale impegno richiede sono assai elevate.
Palmonari e collaboratori (1991) hanno proposto una classificazione dei compiti dello sviluppo, riferita a quelli che considerano essere fenomeni universali dell’adolescenza (Palmonari, 1993):
Secondo la teoria focale di Coleman (1980) i compiti di sviluppo che caratterizzano l’adolescenza non si presentano tutti contemporaneamente, ma seguono una scansione temporale che può differenziarsi da individuo ad individuo, anche se in via generale è probabile che certi compiti si presentino prima di altri per la maggior parte della popolazione. Per esempio, i problemi psicologici relativi ai cambiamenti corporei della pubertà si presentano generalmente prima di quelli relativi alla sessualità, oppure i compiti di sviluppo concernenti la progressiva autonomizzazione dalla famiglia si presentano di solito prima di quelli relativi alle scelte lavorative.
Coping
Per fronteggiare questi svariati compiti si attivano particolari strategie chiamate dagli psicologi strategie di coping (letteralmente “tenere testa”, “far fronte”); esse sono legate al saper affrontare situazioni ritenute difficili attraverso modalità diverse e sono essenzialmente di due tipi:
Vari fattori influiscono sulla scelta dell’una o dell’altra modalità di coping, innanzitutto il ritenere che ci sia una possibilità di soluzione, il considerasi in grado di attuarla avendo fiducia nelle proprie capacità (in questo caso avremo un coping concentrato sul problema), oppure l’uso di forme di coping emozionale; infine sentimenti di impotenza ed abbandono emergono laddove non risulta esserci percezione di effettivo controllo o azione utile neppure a livello emozionale.
Si possono quindi distinguere (andando dalle forme meno adattive alle più adattive) :
In una ricerca effettuata su adolescenti di 17-18 anni, Trentin e Monaci (2001) hanno studiato l’utilizzo delle strategie di coping di fronte a problemi scolastici e a situazioni rischiose; un risultato interessante riguarda le differenze di genere: i ragazzi usano più delle ragazze strategie di tipo attivo, affrontando in modo diretto le situazioni rischiose e cercando di evitare i problemi scolastici, mentre le ragazze ricorrono maggiormente al sostegno sociale per fronteggiare le loro emozioni. Inoltre i ragazzi, a differenza delle femmine, ricorrono preferibilmente anche all’autocontrollo di fronte a situazioni di alta intensità emozionale.
Il concetto di coping ha comportato un’ottica diversa da parte degli psicologi: da una visione in cui la persona viene vista come passiva, assediata dagli eventi negativi dell’esistenza, ad un’altra in cui gli eventi stressanti vengono gestiti e controllati attraverso l’uso del pensiero e degli strumenti sociali.
PUBERTA’ VS ADOLESCENZA
Pubertà e adolescenza sono due nozioni non confondibili tra loro, in quanto si riferiscono a due processi differenti dello sviluppo individuale. Con il termine pubertà si intende il passaggio dalla condizione fisiologica di bambino a quella di adulto, quindi ci si riferisce principalmente alla maturazione sessuale dell’individuo; l’adolescenza è invece da considerarsi come il passaggio dallo status sociale del bambino a quella dell’adulto: come si è visto tale periodo varia, per durata, qualità e significato, da una civiltà all’altra e, all’interno della stessa civiltà, da un gruppo sociale ad un altro.
La pubertà è un fenomeno fisiologico ed interessa l’intero universo adolescenziale, anche se bisogna sottolineare che anche in questo ambito sono presenti le influenze dell’ambiente di appartenenza, attraverso l’intermediazione di fattori nutrizionali, igienico-sanitari, che fanno sì che la pubertà sia più precoce nei contesti più avvantaggiati, rispetto a quelli svantaggiati. Oggi siamo in una fase in cui il trend secolare si è fermato nella gran parte dei paesi occidentali; si matura biologicamente molto prima di quanto non si maturi socialmente (oggi, malgrado vi sia una maturità fisica, l’adolescente non è immesso nei ruoli adulti, ciò è esattamente il contrario di quello che accadeva in passato quando, immaturi fisicamente, i ragazzi dovevano a tutti i costi lavorare e cercare l’indipendenza).
La difficoltà principale che un adolescente incontra di fronte alle modificazioni puberali, che talvolta si presentano come rapide e disarmoniche, riguarda la necessità di riappropriarsi di un corpo in via di trasformazione. E questo bisogno di conoscere il proprio corpo si manifesta in vari modi, allo specchio, confrontandosi con gli altri e con le valutazioni dei coetanei, accettandolo o al contrario cercando a tutti i costi di cambiarlo, nascondendolo oppure evidenziandolo attraverso l’abbigliamento, e così via.
Cambiamenti fisici in atto durante tale periodo del ciclo di vita:
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Il cambiamento che investe il corpo dell’adolescente è profondo, irreversibile ed esteso, proprio perché interessa tutti i distretti corporei. Inoltre le trasformazioni del corpo comportano l’insorgere di pressioni istintuali e di modificazioni dell’umore che incrinano a loro volta le sicurezze relative al proprio corpo. Possono concentrarsi sull’aspetto fisico le preoccupazioni generali circa la propria identità, la propria adeguatezza sociale e il controllo delle proprie pulsioni. Emergono atteggiamenti ipercritici nei confronti del proprio corpo, dovuti anche al fatto che la propria immagine corporea è messa in discussione in seguito al confronto con i modelli sociali; molti problemi e difficoltà sorgono in seguito alla forte pressione sociale che impone ideali di bellezza praticamente irraggiungibili.
Se ragioniamo in termini di fattori di rischio e di protezione, è possibile affermare che tra i fenomeni di cambiamento puberale vi sono:
orgoglio e il piacere di crescere, aumento della forza e della resistenza, avvicinamento al mondo adulto dal punto di vista fisico, popolarità tra i pari quando l’aspetto è attraente… |
1) i vari distretti corporei non cambiano simultaneamente, perciò la crescita diventa provvisoriamente disarmonica: testa, mani e piedi, raggiungono per primi le dimensioni adulte, così come viso, mento, naso e fronte. Le provvisorie asimmetrie possono provocare ansie dismorfofobiche (legate alla paura di essere fisicamente anormali, brutti, impresentabili); 2) si attiva un confronto continuo rispetto ai coetanei alcuni dei quali più precoci, altri più tardivi (non è insolito che i fenomeni di prepotenza tra compagni si realizzino nei confronti di coetanei in ritardo di maturazione fisica, più indifesi e quindi vittime designate). |
Non per tutti gli individui l’accettazione del nuovo corpo assume aspetti problematici, anche se tutti gli adolescenti devono in qualche modo rielaborare ed “aggiornare” tale immagine; in tale senso l’accettazione del nuovo corpo costituisce uno dei compiti di sviluppo dell’adolescenza.
In generale si può infatti affermare che lo sviluppo e la conseguente metamorfosi fanno sì che il corpo occupi un ruolo centrale nella fase adolescenziale. Esso diventa lo strumento elettivo per confrontarsi con gli altri, per giudicare se stessi e per comunicare qualcosa della propria personalità.
Il corpo diventa una sorta di “testo”, di mezzo di comunicazione attraverso cui si possono “raccontare” i propri valori, i propri bisogni e attraverso il quale ci si può conformare al proprio gruppo di appartenenza.
Ripercussioni psicologiche
Con la maturazione puberale, ricompaiono le pulsioni sessuali, che secondo la teoria psicoanalitica erano già presenti nei primi anni di vita e poi fortemente rallentate nel periodo di latenza. Il ripresentarsi di queste pulsioni può accompagnare a manifestazioni della sessualità “autocentrante” (masturbazione) ed “eterocentrate” (ricerca di coetanei dell’altro sesso, primi approcci sessuali, ecc.) (Petter, 1990). Connesso a questo è il discorso relativo alla maturazione di un’identità sessuale, per cui tutti i cambiamenti prima descritti comportano necessariamente una ridefinizione del proprio ruolo in termini maschili e femminili, anche in risposta alle attese sociali che, pur se presenti sin dall’infanzia, ora si fanno sentire in modo più evidente.
Il raggiungimento di un’identità di genere non confusa è sicuramente un compito evolutivo primario nel periodo adolescenziale, spesso origine di profonde lacerazioni ed ambivalenze irrisolte. Essere maschi o femmine oggi significa confrontarsi con una realtà più complessa, articolata ed in qualche modo più sfumata rispetto ad alcuni anni fa, dove forse l’idea di femminilità e mascolinità era più facilmente rintracciabile. Aspetti di somiglianza e di differenza di genere permangono, ma richiedono nuove articolazioni e un costante confronto con i modelli sociali e culturali che il contesto in cui si vive rimanda.
È possibile che le paure dei cambiamenti in atto derivino dal confronto con le immagini trasmesse dai media, immagini che possono incidere negativamente sull’autostima dei soggetti. Sono differenti gli studi che hanno valutato l’impatto che le immagini trasmesse dalla televisione e dai giornali può avere su questo aspetto ed è evidente che il confronto con gli stereotipi presentati dai media ha effetti negativi sulla crescita e sulla formazione del giovane adolescente (Dittmar & Howard, 2004; Masten, 2004; Costa, 2004; Schooler, Ward, Merriwether & Caruthers, 2004; Ward & Monique, 2004; Villani, 2004;). È anche per questo motivo che la tendenza attuale è quella di conformarsi a questi modelli e al gruppo dei pari, con l’obiettivo di sentirsi meno diversi. In realtà i comportamenti di omologazione possono anche condurre alla messa in atto di condotte rischiose per la salute, come avviene nel caso dell’eccessivo controllo del proprio peso corporeo nelle femmine e nell’esasperato controllo della massa muscolare da parte dei maschi (Royer, 1986; Blyth, Simmons & Carlton-Ford, 1983; Steinberg, 1989; Paikoff & Brooks-Gunn, 1990; Canestrari, Magri & Picardi, 1980; Schonfeld, 1969; Cavior & Dokecki, 1973; Bukowski, Hoza & Newcomb, 1985; Lerner, Karabenick & Stuart, 1973; Lerner, Orlos & Knapp, 1976; Ryckman et al., 1982).
Accanto a questi fattori intrapersonali bisogna mettere in evidenza le differenze interindividuali che si creano a partire da una diversa velocità e collocazione temporale della maturazione fisica in atto: maturare prima o dopo gli altri comporta diverse conseguenze sul piano personale e incide positivamente o negativamente sul processo di accettazione della nuova corporeità. Sono state condotte ricerche a tal proposito (Downs et al.,1990) che hanno evidenziato come la diversa incidenza temporale dello sviluppo puberale abbia conseguenze differenti sul livello di autostima, sul grado di accettazione sociale e sull’adattamento psicologico dell’individuo. Inoltre le trasformazioni puberali vengono vissute in modo diverso anche in relazione al genere di appartenenza, questo vuol dire che maschi e femmine affrontano e vivono in modo differente la transizione adolescenziale e i profondi mutamenti che essa porta con sé.
Infatti, ciò che maggiormente influenza lo sviluppo psicosociale ed emozionale dei ragazzi non sono tanto la pervasività e l’importanza dei cambiamenti, quanto i ritmi della maturazione puberale. I concetti di anticipo o ritardo puberali si riferiscono alle situazioni in cui i cambiamenti fisici esordiscono presto (9 anni per le femmine, 10 per i maschi) oppure tardi (15-17 anni per le femmine, 16-18 per i maschi).
Anticipo puberale: |
Ritardo puberale: |
Nei Paesi occidentali la metamorfosi puberale avviene in una fase critica, che è quella del passaggio dalle scuole primarie a quelle secondarie. Ciò comporta dei costi energetici ed adattivi che possono riflettersi sulle prestazioni scolastiche. Autori come Blyt e Simmons (1987) hanno sottolineato come il possibile declino nelle prestazioni scolastiche sia legato non solo ai fattori biologici, ma anche a fattori culturali e sociali. Il cambiamento dell’ordine di scuola è già di per sé un evento stressante che va ad accumularsi ai vari problemi vissuti dall’adolescente in questo periodo della vita. È proprio per questo motivo che i ragazzi possono avere difficoltà ad affrontare i diversi compiti richiesti dall’ambiente scolastico.
Altri studiosi (Offer et al. 1981; 1988; Steinberg, 1989; Silverberg, 1986) identificano l’esistenza di un possibile legame tra cambiamenti puberali e conflitti intrafamiliari. Steinberg (1989) sostiene che durante questa fase le controversie e i conflitti siano inevitabili e, adottando una prospettiva evoluzionistica, afferma che questi aspetti siano funzionali alla crescita perché conducono il giovane a cercare all’esterno del setting familiare il proprio partner, stimolando quindi la conquista di autonomia. Peraltro tali ricerche mostrano che la maggior parte degli adolescenti nutre atteggiamenti favorevoli nei confronti della propria famiglia e le relazioni riflettono più armonia che conflitto.
Sono state inoltre esplorate le ripercussioni dei cambiamenti in atto sullo sviluppo dell’identità dell’adolescente (Meleddu & Scalas, 2003); l’adolescente, anche a fronte dei vari mutamenti fisici, deve impegnarsi nella ricerca di un senso di continuità e stabilità del proprio essere. Il suo aspetto fisico è in continua evoluzione ed incontra, per tale motivo, diversi momenti di disarmonia più o meno accentuata. Le diverse ricerche mostrano che l’immagine corporea ha una forte influenza sul senso di sé e sull’identità e al tempo stesso sono influenzate da tale aspetto anche le relazioni interpersonali. Infatti, quanto più un soggetto si piace, sta bene con se stesso e con la propria immagine e ha fiducia nelle proprie capacità, tanto più riuscirà ad instaurare relazioni significative con il mondo circostante, innescando anche un circolo virtuoso che gli permetterà di incrementare la visione positiva di sé. Questi sentimenti positivi che l’adolescente prova nei confronti di se stesso aumentano anche la sua autostima che, come noto, risulta essere una delle risorse più importanti su cui un soggetto può contare per avere successo in diversi ambiti esistenziali.
Ripercussioni psicologiche sui maschi
Come detto le ripercussioni psicologiche della pubertà hanno un impatto differente nei maschi e nelle femmine. Le indagini, in generale, sembrano mettere in evidenza una buona reazione da parte dei giovani adolescenti di fronte a questo evento e una tendenza a valorizzare l’impatto che lo stesso ha sulla vita individuale e nella relazione con gli altri.
In varie ricerche Speltini (1986; 1988; 1996) ha evidenziato come i maschi siano più soddisfatti nei confronti dei cambiamenti corporei e tendano a valorizzarli; i cambiamenti di natura sessuale sono infatti molto apprezzati poiché vengono connotati soprattutto in senso genitale e rivestono quindi una valenza positiva per lo sviluppo dell’identità corporea e per l’identità di genere.
I maschi attribuiscono un significato particolarmente positivo anche all’aumento del proprio peso corporeo, dovuto soprattutto ad un incremento della massa muscolare; ciò è per loro un indice di maggiore forza e prestanza fisica, oltre che di mascolinità. Addirittura la precocità di sviluppo fisico per i ragazzi sembra costituire tendenzialmente un vantaggio psicologico; si tratta di un vantaggio sotto numerosi punti di vista, da quelli personali, legati alla soddisfazione rispetto ai mutamenti corporei, alla messa in atto di comportamenti più maturi e controllati, alla percezione di equilibrio psicofisico, ecc., a quelli relazionali che comportano maggiore popolarità tra i pari, acquisizione di posizioni di leadership, maggiore approvazione da parte delle coetanee, ecc. (Downs, 1990). Il ritardo di maturazione, al contrario, pare costituisca uno svantaggio psicologico; infatti sembra comportare sentimenti di insoddisfazione, crisi di identità più frequenti, comportamenti di dipendenza, maggiore ansia e livelli di autostima più bassi, nonché minore popolarità tra i pari.
Bariaud e Rodriguez-Tomé (1994), in una ricerca sull’impatto della pubertà, hanno trovato che i maschi più avanzano nello sviluppo puberale e più percepiscono favorevolmente il loro aspetto fisico. Secondo gli autori questi aspetti potrebbero essere legate a fattori di ordine sociale: la crescita e la sessualizzazione del corpo comportano, oltre ad indubbi vantaggi sociali, anche un avvicinamento all’ideale fisico maschile tipico delle società occidentali. In tali culture lo sviluppo comporta l’incremento della massa muscolare che è particolarmente apprezzato ed evidenziato, talvolta anche ostentato in maniera eccessiva. Sembra infatti si stia diffondendo sempre più una vera e propria forma di ossessione legata alla necessità di aumentare a tutti i costi la propria massa muscolare cercando, al tempo stesso, di diminuire quella grassa (Pope, 1993; 2000). In genere tale disturbo è diffuso tra i ragazzi che, mai soddisfatti della propria immagine corporea, si percepiscono sempre esili e gracili e fanno di tutto per tendere all’ideale del fisico muscoloso e perfetto. Il soggetto con tale dismorfia si impegna in tutti i modi, attraverso l’esercizio fisico, l’uso di farmaci e talvolta di anabolizzanti e di sostanze illegali, con tutti i rischi che ne derivano (Antonimi, 2001), ed il ricorso a diete particolari. In particolare il boom delle palestre e del fisico scultoreo sembra essere sorto negli anni Novanta, quando il “bodybuilding” ha portato alla crescita del numero di appassionati agli esercizi fisici e ha contribuito al diffondersi di una vera e propria cultura del corpo; le attenzioni per la propria immagine e per il proprio corpo sono sfociate in vere e proprie pratiche di rimodellamento, per soddisfare a tutti i costi il desiderio di esprimere e sottolineare la propria mascolinità.
Inoltre è anche il contesto sociale ad avere attese diverse per i due sessi. Per un adolescente maschio e per il suo contesto familiare svilupparsi significa diventare “uomo”, cioè forte, abile in molteplici prestazioni e capace di affrontare diverse situazioni sociali. Infatti anche in ambito sportivo sono visibili differenze di genere (Malina, 1983; 1988; Nicoletti, 1989). I ragazzi che maturano più precocemente, acquisendo in anticipo una maggiore prestanza fisica, sperimentano diversi successi e quindi traggono vantaggi da questa nuova condizione.
Il vissuto psicologico delle femmine
Diveramente dai maschi, le adolescenti non sembrano vivere in modo altrettanto positivo tutti i cambiamenti fisici conseguenti allo sviluppo puberale. Diversi studiosi si sono occupati di analizzare l’impatto di questo evento sul vissuto individuale delle giovani.
In alcune ricerche Speltini (1986; 1988; 1996) ha evidenziato come le femmine, al contrario dei coetanei appartenenti all’altro sesso, mostrano livelli più elevati di devalorizzazione dei cambiamenti fisici apportati dalla pubertà.
Per le ragazze il quadro risulta più composito e non così consensuale come nei maschi, anche se sembra porre maggiori problemi di adattamento una pubertà anticipata rispetto ad una ritardata. I dati non sono tutti consonanti, comunque le ragazze con pubertà anticipata, che per questo motivo si trovano ad assistere alla metamorfosi del loro corpo prima rispetto alle coetanee, risultano, più frequentemente, dipendenti, ritirate socialmente, irritabili, più precocemente invischiate in crisi di identità, meno soddisfatte di alcuni aspetti del loro corpo e anche meno popolari tra le coetanee.
Al contrario, le ragazze che maturano più tardivamente tendono ad essere più attive ed espressive, ad avere un maggiore controllo degli impulsi, ad ottenere punteggi più bassi in psicopatologie e sono inoltre meno soggette a crisi di identità. Tutto ciò fa pensare ad un loro maggiore adattamento psicologico al cambiamento in atto.
Bariaud e Rodriguez-Tomé (1994), in una ricerca sull’impatto della pubertà, sottolineano come le femmine tendano proprio, in generale, a non valorizzare i cambiamenti del proprio corpo; lo sviluppo fisico in atto comporterebbe acquisizioni da loro non sempre apprezzate come, ad esempio, il naturale aumento del tessuto adiposo e le mestruazioni; in realtà però i punti di soddisfazione e quelli di insoddisfazione variano da una cultura all’altra. Nelle società occidentali l’ideale femminile comprende una certa snellezza, che può comportare vari problemi.
Infatti, analizzado i disturbi del comportamento alimentare, è possibile vedere come spesso per la loro comprensione è necessario analizzare i fattori socioculturali, legati al contesto di appartenenza. Le relazioni con il proprio corpo sono cambiate nel corso del tempo, giungendo oggi alla crescente attenzione per il proprio peso corporeo, attenzione però che si è principalmente diffusa come standard di bellezza nei paesi benestanti occidentali.
In adolescenza, in seguito ai continui cambiamenti fisici in atto, l’attenzione per il proprio corpo cresce notevolmente; il proprio aspetto fisico rischia di diventare un evento molto traumatico e causa di forti sofferenze nel caso in cui non si mentalizzano appieno i vari cambiamenti e non si è accettati dal gruppo dei pari. Quest’ultimo, in particolar modo, può condurre le adolescenti a mettere in attto condotte alimentari rischiose che possono sfociare in veri e propri disturbi, quali l’anoressia e la bulimia. E’ infatti ormai appurato che tali tipi di disturbi sono presenti tra le adolescenti del mondo occidentale, quasi fossero una “moda”, dettata dai media. Le immagini che la televisone e le riviste ci forniscono quotidianamente sono infatti relative a modelle bellissime, ma magrissime; i messaggi che ci forniscono sono dunque particolarmente negativi.
In tal senso, alcuni autori (Graber, Brooks-Gunn, Paikoff & Warren, 1994) evidenziano la relazione tra sviluppo precoce e insoddisfazione corporea dovuta all’adesione delle giovani agli ideali di magrezza presenti nel contesto di appartenenza. Questo fenomeno può anche essere considerato un fattore di rischio per lo sviluppo di Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Killen et al. (1992) ritengono che l’insoddisfazione corporea causata dallo sviluppo precoce sia associata a comportamenti rischiosi volti al controllo del peso, come il vomito autoindotto e l’abuso di lassativi.
Magnusson (1998), in uno studio longitudinale, mostra inoltre che le ragazze con pubertà precoce possono essere a rischio per quanto riguarda alcuni comportamenti antisociali; tale effetto appare particolarmente forte per le ragazze che si sono sviluppate prima degli undici anni. L’autore dimostra che i processi di adattamento ad una pubertà anticipata rendono le ragazze più predisposte a frequentare coetanei più grandi e quindi ad assumere comportamenti meno consoni alla loro età e talvolta, trasgressivi, sebbene transitori perché dovuti alla particolare fase che si sta attraversando.
Per quanto riguarda le reazioni da parte del contesto familiare è evidente come la precocità di sviluppo della figlia femmina, al contrario di quella del figlio maschio, può spaventare poiché essa viene percepita più esposta a rischi e ad esperienze giudicate premature.
Un altro aspetto interessante che è stato indagato riguarda il fenomeno del menarca (Ruble & Brooks-Gunn, 1982; Collins & Propert, 1983) che può essere considerato per le ragazze l’indicatore del loro ingresso nella vita adulta. Diverse ricerche (Speltini, 1986; 1988; 1996; Palmonari, 2003) mettono in luce come questo evento aumenti il grado di consapevolezza delle giovani nei confronti del loro sé fisico; il momento in cui tale fenomeno si verifica ha delle ripercussioni sulla loro autostima. Altri risultati evidenziano come le giovani, dopo questo evento, mostrino maggiore indipendenza rispetto alle coetanee che non l’hanno ancora sperimentato. Se da un lato questo fatto fisiologico viene considerato una tappa che segna il passaggio ad una nuova fase della propria vita e porta le giovani a percepirsi più grandi e indipendenti, dall’altro comporta sentimenti negativi legati alle sintomatologie dolorose, alle eventuali limitazioni nelle attività sportive e ludiche e a possibili reazioni sociali, tra cui l’imbarazzo.
Alcuni autori (Ge, Conger & Elder, 1996) hanno cercato di spiegare i meccanismi che legano questo evento allo sviluppo di sintomi depressivi. Si ritiene che la pubertà precoce sia un fattore di rischio poiché aumenta le probabilità che le giovani adolescenti si debbano confrontare con aspettative e richieste socio-ambientali che eccedono le loro risorse psicologiche. Inoltre uno sviluppo precoce può essere accompagnato da pressioni sociali associate a sentimenti negativi come il senso di inadeguatezza e di solitudine, che possono sfociare in veri e propri sintomi depressivi (Petersen, Sargiani & Kennedy, 1991).
L’entrata precoce nella fase puberale è anche connessa ad una tendenza delle ragazze a frequentare coetanei più grandi, con i quali è più facile che vengano messi in atto comportamenti devianti, con l’aumento della probabilità di fare uso di sostanze stupefacenti (Caspi, Lynam, Moffitt & Silva, 1993).
In generale, non è ancora possibile arrivare a conclusioni univoche circa le difficoltà delle adolescenti ad accettare il loro ruolo di soggetti adulti. Ricerche più recenti (Speltini, 1996; Bariaud & Rodriguez-Tomé, 1994) trovano un minor numero di reazioni e giudizi negativi da parte delle giovani; probabilmente ciò è dovuto ad una maggiore consapevolezza delle stesse nei confronti del loro corpo e da mediazioni culturali che contribuiscono a modulare l’impatto del fenomeno fisiologico (Palmonari, 2003).
LO SVILUPPO COGNITIVO
Se si confronta il modo di ragionare di un ragazzino di 11 anni con uno di 15, in genere sono riscontrabili alcune differenze evidenti a favore del secondo: il modo più complesso di concatenare i concetti, un senso dell’umorismo più raffinato, l’uso delle metafore e del senso critico più sviluppati.
Nell’adolescenza si realizzano infatti dei cambiamenti sul piano cognitivo che portano l’individuo a ragionare in termini meno vincolati al concreto, a formulare ipotesi, a riflettere più profondamente su di sé e sul mondo circostante.
Aumentano nel ragazzo le capacità di ragionamento, non solo in senso quantitativo, ma anche qualitativamente, in quanto l’adolescente scopre le relazioni logiche che guidano tutti processi di interpretazione del reale. Si tratta dell’acquisizione della capacità di trascendere la realtà concreta attraverso la produzione di ipotesi sul possibile fino ad arrivare a considerare il reale come un caso del possibile. L’adolescente raggiunge una modalità di pensiero che trova esplicitazione nella logica delle proposizioni, in cui non è più necessario riferirsi ad oggetti concreti o alla loro rappresentazione, ma è possibile riferirsi a realzioni logiche, formulabili mediante parole e/o simboli. Inoltre, egli riesce a risolvere compiti cognitivi con maggiore facilità, rapidità ed efficienza, modificando e rielaborando i processi di ragionamento nelle loro forme e strutture
L’autore più conosciuto che ha mostrato, attraverso ricerche che si sono avvalse di ingegnosi dispositivi sperimentali, l’allargamento dell’orizzonte cognitivo nell’adolescenza è J. Piaget che concepisce l’intelligenza come l’adattamento dell’individuo all’ambiente; tale adattamento si realizza attraverso la complessa dinamica di due varianti funzionali: sono i meccanismi di assimilazione e di accomodamento. Mediante l’assimilazione avviene l’incorporazione di oggetti nuovi agli schemi e alle strutture preesistenti; attraverso l’accomodamento, invece, gli schemi e le strutture si modificano in funzione degli oggetti che non si adattano agli schemi già esistenti. Il rapporto dinamico tra questi due meccanismi tiene viva la tensione verso un equilibrio che non è mai perfettamente raggiunto.
La conoscenza è per Piaget un processo costruttivo dinamico tra il soggetto conoscente e gli oggetti del mondo fenomenico. Quattro sono i fattori che spiegano lo sviluppo cognitivo: la maturazione biologico-neuronale, l’esperienza e l’esercizio, e l’interazione tra soggetto e oggetto della conoscenza. Vi sono quindi quattro stadi dello sviluppo cognitivo secondo Piaget; in particolare durante l’adolescenza avviene un importante cambiamento qualitativo del pensiero. Il soggetto diviene in grado di ragionare in modo astratto e non solo su dati immediatamente presenti e concreti. In particolare l’adolescente è in grado di ragionare su situazioni ipotetiche, di ricercare sistematicamente le ipotesi per risolvere un problema e di scartarle a mano a mano che si rivelino inadeguate, di organizzare operazioni di ordine superiore, riuscendo ad utilizzare regole astratte per risolvere problemi, di scoprire le incoerenze delle proposizioni.
Nonostante questa teoria risulti essere tuttora il modello più completo dello sviluppo cognitivo dall’infanzia all’adolescenza (Confalonieri & Gavazzi, 2002), è stata sottoposta a numerose critiche, dovute anche al fatto che è stato dimostrato che non tutti gli adolescenti né tutti gli adulti raggiungono il livello del pensiero ipotetico-deduttivo. Inoltre, nonostante la successione degli stadi dello sviluppo sembri avere una caratterizzazione universale, valida per tutte le culture, tale dato non è stato confermato da ricerche empiriche. Anzi, numerose ricerche documentano l’assenza di stabilità e sistematicità nelle risposte che uno stesso soggetto dà a compiti differenti (un bambino può trovarsi in una certa fase per quanto riguarda un compito e in un’altra per un altro tipo di compito).
Il tipo di intelligenza che è stata studiata da Piaget è sostanzialmente di tipo logico-matematico e si configura come una capacità globale, mentre Gardner (1983), con la sua “teoria delle intelligenze multiple” sostiene l’esistenza di almeno 8 tipi di intelligenza, per cui ogni individuo ha un proprio profilo intellettivo che comprende uno o più tipi di intelligenze (verbale-linguistica, logico-matematica, musicale, naturalista, visuospaziale, corporeo-cinestesica, interpersonale, intrapersonale); tali diverse intelligenze costituiscono modi diversi di conoscere la realtà e di risolvere i problemi. Un approccio simile, che ritiene che le capacità cognitive siano specifiche per diversi ambiti, è lo Human Information Processing; tale prospettiva considera la mente umana come un computer che incamera ed elabora informazioni.
Anche per Bruner (1986) il pensiero logico matematico non è l’unica modalità di funzionamento mentale; egli sottolinea più che altro l’importanza di un diverso modo di pensare, il “pensiero narrativo”. Tale pensiero si sviluppa dall’infanzia all’adolescenza, consentendo non solo una capacità più raffinata di dare senso agli eventi, ma anche di narrare la propria storia personale, attribuendo senso e continuità all’esperienza di sé.
Lo sviluppo cognitivo che si realizza in adolescenza comporta dunque una serie di acquisizioni, come la capacità di proiettarsi in una prospettiva più ampia, di sviluppare il pensiero morale, le concezioni politiche e religiose, gli interessi, e di dare nuovo corpo alle relazioni con gli altri. L’allargamento dell’orizzonte cognitivo comporta delle acquisizioni positive e inevitabilmente dei costi, ad esempio nel complicare e articolare il mondo delle paure e delle inquietudini, che si arricchiscono di oggetti inediti rispetto all’infanzia: il timore di non essere adeguati, di deludere gli altri e di farli soffrire, dell’essere incompresi da parte degli altri, del proprio futuro, dell’incapacità di autorealizzarsi (Rodriguez-Tomè & Zlotowicz, 1972; Speltini, 1982). Inoltre proprio queste nuove abilità di comprensione spingono l’adolescente a prendere in esame le proprie esperienze esistenziali, comprese le relazioni con le figure dei genitori e di altri adulti. Esse vengono in qualche modo spogliate del loro alone mitico ed esaminate con spirito critico e con disincanto. La distanza dai genitori diventa infatti, in questa fase del ciclo di vita, sempre maggiore ed ormai irrinunciabile perché il ragazzo deve poter controllare i propri spazi per acquisire la necessaria autonomia, allontanandosi dalle figure di riferimento, pur restando certo che in caso di bisogno la famiglia c’è.
Il grande sviluppo delle capacità intellettive con la conseguente facilità e plasticità per gli apprendimenti di compiti complessi è la caratteristica peculiare del pensiero adolescenziale. Gli adolescenti, infatti, riescono a risolvere compiti cognitivi con maggiore facilità, rapidità ed efficienza, modificando e rielaborando i processi di ragionamento nelle loro forme e strutture.
Caratteristiche del pensiero dell’adolescente:
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Per Piaget il pensiero operatorio formale costituisce un sistema integrato di ragionamento, in cui predomina l’uso della logica, e delle forme del pensiero scientifico e il soggetto comincia a utilizzare la regola del “se ALLORA se”, in cui procede per falsificazioni.
Tuttavia, nonostante si osservi un generale cambiamento nella quantità e nel potere del pensiero far gli 11 e i 15 anni, le operazioni formali non sembrano essere raggiunte da tutti; si è anche osservato che la competenza reale dei soggetti è fortemente sottostimata con le procedure e i compiti con i quali viene misurata.
Diventa allora importante sul piano dell’insegnamento individuare modalità di presentazione dei compiti più chiare e stimolanti, strutturando meglio il materiale e renderlo più aderente agli interessi dei ragazzi.
Per favorire l’emergere del pensiero formale è importante puntare sulla rilevanza degli stimoli, aiutando i ragazzi ad acquisire appropriate strategie per una corretta soluzione dei problemi, attraverso strategie quali:
Trasformazione delle emozioni e degli affetti
Anche sul versante emozionale ed affettivo hanno luogo una serie di cambiamenti che dipendono da molteplici cause:
Si ha nell’adolescenza un secondo processo di individuazione, dopo il primo verificatosi nell’infanzia con le prime forme di indifferenza della madre con la formazione del senso di sé stabile.
Vi è quindi un processo di distacco da parte dell’adolescente, dovuto alla scoperta di un oggetto d’amore esterno alla famiglia che comporta la rinuncia alla dipendenza e l’indebolimento dei legami formatisi nella prima infanzia e rimasti fino alla pubertà la fonte principale di nutrimento emotivo. E’ stato mostrato che il processo di formazione dell’individualità dipende dalla recisione dei vari legami di attaccamento emotivo dell’infanzia; ma questi legami possono allentarsi solo se vengono rielaborati i modelli di comportamenti infantili per giungere ad un nuovo e più maturo controllo dei conflitti passati.
Si tratta di un processo non disgiunto da ansie ed incertezze che da luogo ad una serie di condotte regressive fisiologiche ad esempio:
Un altro problema legato alla separazione e che fa parte integrante della teoria psicoanalitica ed è il “lutto” che costituisce una vera e propria esperienza di perdita, perdita di sé insieme ai propri legami d’amore infantile. Così l’adolescente si trova a dover sperimentare un senso di vuoto interiore, unito ad incertezze ed insicurezze, che spingono a ricercare forme di sicurezza. Per il maschio una forma di rassicurazione viene spesso dall’appartenenza ad una banda/gruppo di coetanei, che permette di esprimere aggressività, socializzare la colpa, difendere la propria incerta identità, svalutando chi sia diverso anche solo per il modo di vestire. Per le ragazze è invece la ricerca dell’“amica del cuore” attraverso la condivisione dei sentimenti e l’identificazione reciproca.
C’è in questo percorso una sorta di “fame” di identificazione con la ricerca di figure da idealizzare e di cui introiettare aspetti o caratteristiche ideali, che vengono poi però velocemente abbandonate o persino criticate.
La seconda fase dell’adolescenza è caratterizzata invece da un investimento libidico sui propri pensieri ed emozioni. L’interesse è incentrato sul sé, spesso anche quando si rivolge ad oggetti esterni; essi costituiscono mezzi per raggiungere una consapevolezza di sé, oltre che passi che realizzare un contatto più profondo con il mondo esterno.
COSTRUZIONE DELL’IDENTITA’
Come abbiamo visto l’adolescenza si caratterizza per molti cambiamenti, che però si possono osservare anche durante l’infanzia e l’età adulta. Rispetto all’infanzia, però, momento in cui i cambiamenti sono ugualmente profondi e pervasivi, di specifico c’è la consapevolezza di quanto sta succedendo, mentre rispetto all’età adulta c’è la rapidità dei cambiamenti.
Tutti questi cambiamenti profondi, rapidi ed irreversibili, di cui l’individuo è consapevole, pongono il problema di accettarli e ricomporli in un’immagine di sé che da un lato è nuova, perché incorpora tutti i cambiamenti che si stanno realizzando, dall’altro è in continuità con ciò che l’individuo era nel passato. Questa immagine di sé è l’identità personale che può essere definita come l’insieme di pensieri, rappresentazioni, emozioni, riguardanti se stessi e ha la funzione di permettere alla persona di sentirsi la stessa nonostante i cambiamenti.
L’identità naturalmente non riguarda solo l’adolescenza, perchè si tratta di un processo che percorre tutto l’arco dell’esistenza umana; è però nella fase di sviluppo adolescenziale che la rielaborazione dell’identità ha un senso molto forte e specifico.
Teoria di E. Erikson (1950)
Questo autore ha contribuito in modo decisivo a fare del concetto di identità un elemento cerniera tra la sfera biologica e quella sociale.
Erikson, pur essendosi formato a Vienna sotto la guida di Anna Freud, ammette la grande influenza dei processi sociali e culturali nella formazione della persona. Egli, infatti, considera lo sviluppo nel ciclo di vita come costellato da eventi critici all’interno di un’ottica bio-psico-sociale. Il tentativo è quello di comprendere non solo le dimensioni psichiche e biologiche dello sviluppo individuale, ma anche quelle sociali e culturali; ne emerge una visione complessa della crescita nella quale i processi biologici, psichici e sociali sono ugualmente compresenti e rilevanti nell’indirizzare lo sviluppo del soggetto. Il ciclo di vita prende avvio e si consuma nella costruzione dell’identità che permette all’individuo di sperimentare integrità e unitarietà anche di fronte ai cambiamenti che l’ambiente e le condizioni storiche e culturali pongono in essere e con le quali deve confrontarsi.
Erikson concettualizza lo sviluppo suddividendolo in otto stadi che accompagnano l’individuo durante tutto l’arco della sua esistenza. Ciascuno stadio è caratterizzato da un “dilemma psicosociale” o “conflitto vitale”, tipico di quel particolare momento della vita, che nasce nell’interazione individuo-ambiente; tale conflitto può avere un esito adattivo o non adattivo. Se uno stadio ha un esito non positivo, questo si riperquoterà sullo stadio successivo, che rischierà ugualmente di non avere una risoluzione positiva.
L’adolescenza, in particolare, può essere considerata come un periodo di moratoria psicosociale, cioè come un periodo di attesa che la società accorda all’individuo perché possa attivamente esplorare e cercare una sua collocazione all’interno del contesto sociale di appartenenza. Questa moratoria è necessaria in società complessa come la nostra, in cui il processo di trasmissione sociale delle conoscenze e delle tradizioni non può realizzarsi rapidamente e richiede tempi prolungati di “apprendistato”. La moratoria quindi non è solo il periodo dell’attesa ma anche della sperimentazione attiva, della ricerca, in cui vengono assunte e poi abbandonate, quando non si rivelano funzionali, diverse identificazioni che costituiscono i prodromi, ma non il nucleo centrale dell’identità.
Lo stadio che riguarda l’adolescenza è il quinto e il dilemma con il quale l’adolescente è chiamato a confrontarsi è legato all’antitesi identità/confusione di identità. L’esito positivo di questo conflitto è costituito dunque dalla formazione dell’identità, che consiste nel superamento delle identificazioni infantili; tra queste alcune verranno scartate, mentre di altre se manterranno alcuni elementi, poi ricongiunti in una sintesi unica ed originale. Naturalmente il progressivo abbandono delle identificazioni precedenti non è un processo indolore in quanto comporta dei distacchi fra ciò che si era e ciò che si sente di voler essere e rende consapevoli che ogni scelta comporta una rinuncia di prospettive che possono avere, per quanto scartate, elementi attrattivi e gratificanti. In altre parole, la formazione dell’identità passa necessariamente attraverso una crisi costruttiva ma sicuramente dolorosa.
D’altro canto talvolta accade che il processo di costruzione dell’identità abbia un esito negativo e in questo luogo si avrà la confusione dei ruoli (o diffusione dell’identità). In questo caso l’adolescente non riesce a districarsi nel gioco delle identificazioni e dei ruoli sociali che sono assunti un po’ come maschere; egli può passare perciò da un’identificazione all’altra in una specie di “turismo psicologico” senza che vi sia una vera riflessione di questo cambiamento di maschere; in tal modo egli non approda alla formazione dell’identità. Dal punto di vista emozionale la confusione dei ruoli può connotarsi sia con forme di soddisfazione del tutto esteriore, sia anche con sensi di colpa, ansia ed insoddisfazione profonda. Altro esito maladattivo può anche essere vera e propria scelta di un’identità negativa, che consiste in scelte identificatorie che la famiglia e la società giudicano in modo negativo.
Il percorso di costruzione dell’identità, comunque, non termina con l’uscita dalla fase adolescenziale e continuerà ad essere parte integrante della vita della persona. Grazie a tale processo però l’individuo ha modo di imparare a conformarsi alle regole sociali, adattandosi in misura minore o maggiore alla convenzionalità tipica dell’odierna società occidentale.
Teoria degli stati dell’identità di J. Marcia (1966,1980)
Anche Marcia (1966; 1980) si è occupato dell’identità e ha posto l’attenzione sull’intrecciarsi di due dimensioni: esplorazione delle alternative e impegno verso quella prescelta. Sulla base di queste dimensioni Marcia ha teorizzato lo sviluppo di quattro possibili stati d’identità. L’identità sarebbe infatti un sentimento coerente, sia per sé che per gli altri, del proprio significato nel contesto sociale (Palmonari, 1996).
Anche Marcia crede nella necessità di vivere una sorta di “crisi” per poter giungere ad un’identità coerente e abbastanza stabile. A differenza di Erikson, non sposa il determinismo degli stadi, ma parla di stati, cioè di condizioni che non hanno il livello obbligato di una sequenzialità gerarchica e che possono alternarsi nella stessa persona senza un ordine stabilito. Le nozioni fondamentali di questo modello sono quelle di esplorazione delle alternative ed impegno verso l’alternativa scelta. La prima si riferisce alla necessità di esplorare, di ricercare attivamente, di conoscere direttamente le possibilità offerte da ambiti diversi (politico, religioso, sociale, scolastico…); la seconda riguarda invece la quota di coinvolgimento e di presa di responsabilità che l’individuo applicherà nei vari ambiti di interesse.
A partire da queste due nozioni Marcia indica l’esistenza di quattro stati dell’identità:
Gli ultimi 2 stati sono da considerarsi negativi anche perché quello del blocco d’identità è troppo fisso, non esplorativo ed eterodiretto; l’ultimo, nella sua eccessiva mobilità non consente invece all’individuo di trovare punti di stabilità e compiere così scelte di responsabilità.
Secondo Marcia gli elementi costitutivi dell’identità sono:
Questi elementi giungono ad essere integrati tra loro solo nelle fasi conclusive del periodo adolescenziale. Se la configurazione dell’identità raggiunta al termine dell’adolescenza è costruita dal soggetto, e non imposta da forze esterne, nel corso della vita si possono verificare delle riformulazioni della stessa perché l’identità iniziale, se costruita dall’adolescente, non è quella definitiva (Stephen, Fraser & Marcia, 1992).
L’evento critico che spinge l’adolescente ad avviare i processi di esplorazione è la serie di cambiamenti che caratterizzano l’avvio del periodo adolescenziale e che obbligano il giovane a ricercare nuovi equilibri per costruirne di più avanzati.
Queste due teorie circa lo sviluppo dell’identità hanno un grande fascino, ma entrambe lasciano in ombra il fatto che l’identità si forma e si trasforma sotto il segno dei tempi, della cultura e della negoziazione dei significati con gli altri.
La presenza dell’altro nella costruzione di sé è un dato fondamentale in ogni società ed in ogni cultura; infatti il processo di costruzione del sé può essere descritto come un prodotto sociale e culturale che si realizza nelle situazioni interattive alle quali il bambino è introdotto fin dalla nascita.
La costruzione dell’identità risulta dunque essere un percorso particolarmente difficile nell’attuale società per via della mancanza dei punti di riferimento che, mai come nella fase adolescenziale, si rivelano di così grande importaza. Nell’attuale contesto sociale diventa sempre più difficile sviluppare un’identità che si mantenga stabile e al tempo stesso coerente; infatti la fase in cui ci troviamo ora, definibile come era postmoderna, è caratterizzata da diversi cambiamenti riconducibili, secondo Dogana (2002) a: profonda crisi di fiducia nella scienza e nel progresso che porta alla necessità di porre dei limiti allo sviluppo per evitarne le deviazioni e gli eccessi; disimpegno dalle ideologie o attenuarsi delle tradizionali opposizioni ideologiche; senso del vuoto e del disorientamento, che in adolescenza è particolarmente evidente perché si ha l’assenza quasi totale di obiettivi e valori verso cui tendere, che sono invece essenziali punti di riferimento per lo sviluppo, soprattutto in questo periodo di vita; infine ripiegamento e chiusura in sé, nel presente e nei bisogni immediati. Le ripercussioni di tali cambiamenti portano all’emergere di personalità narcisistiche, quindi legate più che altro all’assenza di impegno, all’apatia, all’appagamento nel presente dei bisogni, caratteristiche evidenti anche negli adolescenti di oggi, che mostrano personalità caratterizzate da profonde insicurezza e ansia, oppure profondamente superficiali, “leggere”, orientate verso un edonismo frivolo e futile; ma possono anche emergere personalità non autentiche, in cui si ha il prevalere dell’omologazione e dell’uniformità oppure, all’estremo opposto, della profonda spinta all’autorealizzazione che implica necessariamente che siano sottolineate le diversità. O ancora si possono sviluppare personalità frammentate: l’individuo non si realizza più all’interno di un unico ruolo, ma si trova a vivere contemporaneamente più identità.
Lo studio dell’era postmoderna può dunque servire per comprendere il perché dello sviluppo di un’identità critica negli adolescenti di oggi (Dogana, 2002) e di situazioni di crisi di identità in cui si trovano spesso soggetti della tarda adolescenza. Il problema attuale ruota attorno ad una confusione circa il futuro, circa i propri desideri e ad una insicurezza riguardo alle personali risorse e capacità.
FORMAZIONE DELL’IDENTITA’: FASI EVOLUTIVE
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ELEMENTI CHE CONTRIBUISCONO ALLA FORMAZIONE DELL’IDENTITA’ Il processo di costruzione dell’identità può seguire percorsi ed avere esiti diversi a seconda di:
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La formazione dell’identità: ruolo delle componenti individuali L’identità intesa come personalità è il risultato dell’interazione di più componenti:
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Lo sviluppo dell’ identità di genere
La metamorfosi corporea, oltre agli svariati adattamenti psicofisici che abbiamo visto, richiede al soggetto la costruzione della propria identità sessuale; si tratta di un processo lento che inizia già durante l’infanzia quando al bambino o alla bambina si chiede di ricoprire dei ruoli consoni alla propria appartenenza di genere; anche se oggigiorno le differenze non sono sempre così marcate, la tendenza dei giovani è quella di omologarsi al gruppo dei pari per sperimentare un forte vissuto di appartenenza e di condivisione che permette di affrontare con maggiore facilità anche il compito delicato di separazione dalla famiglia di origine (Confalonieri & Gavazzi, 2001).
L’identità sessuale si riferisce al grado in base al quale una persona giudica il proprio comportamento conforme ai modelli della cultura in cui vive, che contribuiscono a determinare il generale comportamento maschile e femminile (Coleman & Hendry, 1990).
È ancora aperto il dibattito tra i vari orientamenti teorici che cercano di comprendere come si determini questo particolare senso di sé (Douvan & Adelson, 1966; Kohlberg & Ullian, 1974; Conger, 1977; Douvan, 1979; Zammuner, 1982; Hill & Lynch, 1983; Block, 1984; D’Alessio & Pallini, 1984; Duveen & Lloyd, 1986; Coleman & Hendry, 1990; Huston & Alvarez, 1990).
È comunque attendibile sostenere che l’identità sessuale, così come altri aspetti dell’identità delle persone, possa essere, da un lato, influenzata dalle sue predisposizioni biologiche, ma, dall’altro, fortemente dipendente dalla cultura e dal contesto all’interno dei quali l’individuo stesso cresce. Infatti il soggetto non è passivo durante il suo processo di crescita; l’approccio cognitivo (Kohlberg, 1966; Kohlberg & Ullian, 1974; Hill & Lynch, 1983; Huston & Alvarez, 1990) enfatizza la centralità della costruzione mentale di concetti come “maschio” e “femmina” che nascono grazie alla costante interazione tra individuo e contesto sociale di appartenenza; quest’ultimo veicola i significati sottesi ai concetti di mascolinità e femminilità. Duveen e Lloyd (1986) considerano il genere come uno dei primi sistemi concettuali che formano il bambino a che gli permettono la comprensione e la partecipazione alla vita sociale. L’identità di genere compare molto presto nell’infanzia, mentre lo sviluppo dell’identità del ruolo sessuale è successiva e assume importanza decisiva nella fase di sviluppo adolescenziale (Palmonari, 2003).
All’interno di questo processo costruttivo stesso rientrano diversi elementi, tra cui il proprio aspetto somatico ed il contesto di crescita con i suoi valori e le sue aspettative. È necessario tenere sempre presente l’elaborazione attiva di tutti questi elementi da parte del soggetto che deve imparare ad assumere e ad accettare condotte e norme comportamentali tipiche della sua appartenenza sessuale. L’ambiente fornisce degli stimoli, ma l’individuo non li introietta passivamente senza elaborarli.
L’esito di tale processo potrà portare al raggiungimento di un identità maschile, femminile o intermedia, detta anche ambivalente. In quest’ultimo caso l’individuo può provare timore ed imbarazzo per il fatto di non aver aderito in termini di identità sessuale al proprio sesso biologico; questa condizione può arrecare diverse sofferenze al soggetto adolescente che, già confuso dal “trambusto” che sta vivendo, deve accettare un’altra condizione di ambiguità. Cohen (1991) considera i problemi di identità una delle maggiori cause di suicidio o tentato suicidio in adolescenza. E ciò è comprensibile se si pensa ai grandi sforzi che i giovani devono fare per avere una immagine chiara di se stessi e ai pochi mezzi di cui dispongono per farlo. L’adolescente, infatti, se da un lato può utilizzare nuove capacità cognitive grazie all’acquisizione del pensiero ipotetico-deduttivo e riflessivo, dall’altro può provare una sensazione di dispersione che deriva dal vedersi e porsi in relazione con gli altri in tanti modi differenti (Palmonari, 2002). Ecco perché è sempre importante che l’adolescente possa contare su un contesto micro e macrosociale che lo appoggi e faciliti il suo graduale percorso verso la vita adulta.
Ricerche sugli stereotipi maschili e femminili hanno mostrato come i primi siano generalmente più valorizzati di quelli femminili, sia fra i bambini che fra gli adulti, anche se la situazione è differente a seconda della classe socioculturale di appartenenza, sottolineando, ancora una volta, l’importanza del contesto di socializzazione.
Ruolo degli insegnanti nella costruzione dell’identità
Gli adulti (genitori, insegnanti, istruttori sportivi…) sono importanti per la definizione dell’immagine di sé degli adolescenti. Così il concetto di sé elaborato dagli adolescenti rifletterà in parte le aspettative degli insegnanti. Così quando gli allievi percepiscono le valutazioni espresse dagli insegnati (le quali determinano in loro delle autovalutazioni corrispondenti, si origina un “bias”, a partire dalle impressioni percettive, dall’effetto “alone” e dall’etichettamento degli allievi nelle normali interazioni in classe.
Gli allievi rispondono a questo processo di etichettamento adattando il proprio comportamento alle etichette di “successo” o di “fallimento”.
Il successivo rinforzo di questi modelli di comportamento influenzerà la stima di sé degli adolescenti .
Gli insegnanti possono fornire:
ADOLESCENTI E COMPORTAMENTI RISCHIOSI
Nei giovani è tipica oggi l’esigenza di unicità e visibilità che li conduce a mettere in atto anche comportamenti di provocazione, o comunque eccentrici. Il loro scopo è in ogni caso quello di anticipare l’adultità ed è proprio per questo che talvolta gli adolescenti mettono in atto comportamenti per loro inadeguati. Sono infatti definibili “sensation seeker” (Zuckerman, 1971) proprio per sottolineare il bisogno di ricercare sensazioni forti ed emozioni estreme. Sfida, impulsività, senso di invulnerabilità sono funzionali alla costruzione dell’identità, ma se superano i limiti diventano un fattore di rischio.
Ciò che accomuna gli innumerevoli comportamenti messi in atto in questo periodo del ciclo di vita è il compito di sviluppo relativo alla costruzione di una propria identità. Le funzioni dei vari comportamenti messi in atto, siano essi salutari o meno, riguardano infatti lo sviluppo dell’identità e la partecipazione sociale, intesa come insieme di relazioni sociali. La scelta di quali azioni intraprendere spetta poi all’adolescente stesso che sarà influenzato non solo dall’ambiente di appartenenza, quindi dalle opportunità sociali, ma anche da variabili personali legate allo sviluppo di capacità individuali.
Funzioni dei comportamenti a rischio (Bonino e coll., 2003):
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In adolescenza le relazioni che si intrattengono con la dimensione del rischio sono particolarmente intense e pregnanti, tanto da definire il rischio come “funzionale” se considerato all’interno di una prospettiva evolutiva. Infatti l’adolescente è per antonomasia costretto a “rischiare molto” per capire chi è e chi vorrà essere (Pellai & Boncinelli, 2002). Si può affermare che il correre dei rischi faccia parte della norma in adolescenza. Tursz (1989) sottolinea la necessità di considerare non solo gli aspetti negativi del rischio, ma anche quelli positivi e quindi funzionali alla crescita; alcuni comportamenti possono corrispondere ad una volontà profonda di rinnovarsi, di essere indipendenti ed autonomi e di esplorare le nuove capacità per raggiungere una maggiore consapevolezza dei propri limiti.
Il rischio non viene evitato dall’adolescente, anzi viene cercato proprio perché contiene in sé un aspetto affascinante ed attraente. Jeammet (1991) afferma come si possa definire l’adolescenza stessa come un rischio; essa può essere intesa come crisi evolutiva corrispondente ad un’esigenza di cambiamento fisico, psichico e sociale, per cui se non si assumono rischi, la situazione potrebbe addirittura insospettire dato che sperimentarsi in adolescenza è un fatto del tutto “normale” (Jack, 1989).
Nel definire la propria identità l’adolescente cerca dei modelli di identificazione nuovi, tra coetanei e compagni, lottando per differenziarsi e per sottolineare il voluto allontanamento dai genitori. Questo processo può avvenire attraverso l’espressione di negatività, mettendo in atto comportamenti a rischio, proprio per sottolineare di volersi porre in una percorso opposto e contrario rispetto a quello indicato dai genitori. Molte azioni rischiose e più o meno pericolose sono intraprese con gli altri perché in questo modo risulta più semplice per l’adolescente vivere in modo tangibile la propria identità, presentandola al gruppo per ottenerne riconoscimento, reputazione, popolarità; sono infatti molto importanti l’accettazione pubblica e il sostegno sociale (Emler & Reicher, 1995). Le azioni sono intraprese proprio per essere rese visibili (Salvini, 1988) oltre che per fondare un legame sociale con i coetanei, legame che si rafforza attraverso ritualizzazioni e ripetizioni di gesti (es. il rituale della sigaretta o dello spinello) che talvolta sono solo rituali di passaggio. Queste azioni possono comprendere non solo il consumo di tabacco, marijuana e alcol, ma anche in gesti trasgressivi, azioni aggressive, attività sessuale precoce e non protetta, ecc. Non basta però l’imitazione; l’adolescente ha bisogno di misurarsi con i suoi coetanei e di emularli per affermare se stesso; questo può essere un rischio per la messa in atto di comportamenti gravosi, perché contribuisce ad alterare la reale percezione del rischio spingendo l’adolescente ad esporsi in modo azzardato, mantenendo l’illusione di controllo. Questo aumento progressivo del coinvolgimento dei ragazzi, sia in senso qualitativo che quantitativo, può riguardare la guida ed i giochi pericolosi, le azioni devianti, il consumo di sostanze psicoattive, il comportamento sessuale e alimentare, ecc. (Bonino, Cattellino, Ciairano, 2003), ma fortunatamente sono possibili anche azioni salutari, comunque rivolte all’emulazione ed al superamento. Alcuni comportamenti sono invece messi in atto con lo scopo di “saggiare” le reazioni degli adulti (genitori e insegnanti), per vedere fino a che punto si può arrivare e fino a quanto valgono i limiti, i divieti, oltre che per osservare quanto l’adulto sia effettivamente interessato e attento al comportamento del ragazzo. Ciò può avvenire con modalità pericolose per il benessere psicofisico, come l’alimentazione distorta o l’uso di sostanze psicoattive, oppure meno o non pericolose, come l’uso di un abbigliamento anticonformista.
E’ bene quindi ricordare che i comportamenti degli adolescenti non vanno mai osservati e basta; bisogna saper distinguere e capire perché sono svariate e profonde le motivazioni da cui essi derivano. L’effetto della distorsione è particolarmente a carico della rappresentazione dei mass media (Maggiolini, 2003) che creano più che altro allarme sociale contribuendo all’eccessiva percezione di valore trasgressivo di alcuni comportamenti. In realtà, però, è anche bene sottolineare che circa il 75% degli adolescenti si sviluppa “mantenendo un buon adattamento e padroneggiando con limitato disagio il processo di riorganizzazione della personalità” (De Vito e coll., 2004, p. 85). Solo una minoranza di adolescenti è caratterizzata da una forte implicazione nel rischio (Bonino e coll., 2003). Il problema del rischio eccessivo nasce però principalmente dalla moderna situazione familiare e dai cambiamenti all’interno della nostra società. La famiglia, che durante l’infanzia esercitava le funzioni affettiva e protettiva, matura, verso il figlio che cresce, l’obiettivo esclusivo di “essere amata”: per sedare le proprie ansie di incompetenza ed indisponibilità verso i bisogni affettivi del figlio, i genitori non fanno altro che assecondare tutte le sue richieste. Questa assoluta incapacità di dire “no” e l’assenza di regole ben precise e rigide non fanno altro che alimentare il circolo vizioso delle richieste esaudite. Là dove tutto è garantito, spesso non c’è neanche alcun rischio da correre. Non c’è più spazio per la trasgressione che invece è per certi aspetti salutare, se non necessaria, alla crescita. Al giovane mancano sempre più le motivazioni per combattere le proprie battaglie, spesso già condotte e vinte dagli stessi genitori. Il maggior rischio è che il sentimento dominante diventi la noia, una sorta di insoddisfazione di fondo, di senso di vuoto che fatica ad essere colmato. Il ragazzo cerca dunque di cancellare in ogni modo questa noia, ricorrendo all’uso di qualsiasi strumento o metodo che restituisca all’adolescente la percezione del suo essere qui ed ora (Pellai & Boncinelli, 2002).
Gli adolescenti, grazie alle nuove capacità cognitive acquisite con lo sviluppo, dovrebbero elaborare programmi a lungo termine, ma spesso il futuro appare loro talmente lontano e incerto per cui preferiscono non rimandare scelte che hanno ricadute immediate, che consentono loro una gratificazione nel presente, preferita a rimandi nel futuro (Ricci Bitti, 1997).
Da tutto ciò scaturisce il bisogno di stordirsi, di riempire il senso del vuoto che pervade, di mettere in atto vere proprie azioni estreme ed incredibili. E’ da queste tendenze che nasce il termine “sensation seeking”, ricerca di emozioni forti, bisogno oggi indispensabile degli adolescenti. Zuckerman (1971) ha dimostrato che l’attrazione dei giovani per i comportamenti spericolati è interpretabile come manifestazione di un tratto di personalità connotato dal desiderio di vivere sensazioni nuove ed eccitanti.
Abbiamo visto che quindi non è solo la maturazione fisica e sessuale in sé a sconvolgere la vita dei ragazzi; altro aspetto, non meno importante, è legato al confronto con gli altri: grazie a questo gli adolescenti maturano nuove capacità che arricchiscono il Sé. I cambiamenti corporei sono valutati in primis attraverso il confronto con gli altri e perciò hanno diversi effetti psicologici; si tratta di mentalizzare il nuovo corpo attribuendogli un significato relazionale, sociale, sentimentale, erotico, etico, ecc. (Pietropolli Charmet, 2004). Questo nuovo corpo, mutato in seguito allo sviluppo puberale, deve acquisire una continuità nel tempo ed è proprio per il suo visibile cambiamento che può non essere accettato o può addirittura diventare un nemico. Se a ciò si aggiunge una precoce o tardiva maturazione si avranno ricadute differenti su maschi e femmine che in ogni caso influenzeranno le loro percezioni di sè. Non va infatti dimenticata l’importanza attribuita al proprio corpo durante l’adolescenza. La propria identità, che, come ben sappiamo, è in fase di costruzione, risente particolarmente delle caratteristiche della propria cultura ed è quindi influenzata anche dagli stereotipi sociali, dalla moda, dagli stili di vita. Ecco che allora il corpo assume il ruolo e la funzione di esprimere dove si colloca l’adolescente, da che parte si schiera rispetto alla società di riferimento. Diventa un mezzo di comunicazione potente, che talvolta lascia trapelare qualcosa che a voce si fatica a dire.
Gli adolescenti percepiscono chiaramente, e soprattutto oggi, che per essere accettati bisogna diventare come vuole il mondo esterno.
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Abbiamo visto come lo schema corporeo si strutturi attraverso l’esperienza e l’immagine corporea attraverso la comunicazione tra soggetti. Quindi non è detto che l’immagine corporea coincida con il corpo reale, poiché si tratta di un dato soggettivo: è una rappresentazione mentale interiore (Schilder, 1935).
L’immagine del proprio corpo non è dunque un fenomeno statico, ma qualcosa che si costruisce, si struttura e destruttura nel continuo rapporto con il mondo, così come è percepito dal soggetto in via di sviluppo, quindi ancora una volta va ricordato come incidano notevolmente non solo la storia del singolo, ma anche il contesto sociale di appartenenza. In tal senso risulta chiaro come la propria immagine subisca continue modificazioni nel corso della vita, sulla base di fattori personali, dei rapporti familiari, del gruppo di appartenenza, delle mode culturali, ecc.
In realtà l’ideale di snellezza femminile suggerito dai media è inseguito in alcuni Paesi del Nord America e del Nord Europa a partire dal 1960 (Paxton & Shutz, 1998; Stice e coll., 1999). Inoltre lo standard di bellezza basato sull’idea di un’immagine femminile magra è una peculiarità culturale tipica dei Paesi benestanti occidentali. Al contrario, nelle società povere, in cui il cibo vuol dire solo sopravvivenza, alle donne robuste viene attribuito molto fascino sessuale.
L’importanza del corpo in adolescenza, fenomeno tipico della moderna cultura occidentale, prende avvio con la pubertà, momento in cui, come abbiamo già visto, diventa necessario riorganizzare la propria immagine corporea, non solo sulla base dell’identità di genere che viene acquisita, ma anche in seguito al necessario confronto “fisico” con il giudizio dei coetanei. In vari studi (Paxton e coll., 1999) è stato osservato come sia indispensabile il parere dei coetanei in relazione all’immagine corporea e come tale parere influisca sulle abitudini alimentari di giovani adolescenti. Nei gruppi di adolescenti vengono infatti condivise le norme norme sull’immagine corporea così come vengono suggeriti dei comportamenti per perdere peso nel caso esso non corrisponda agli ideali di bellezza perseguiti. Le influenze della “famiglia sociale” possono diventare pericolose nel momento in cui riguardano anche l’acquisizione di particolari condotte alimentari pericolose, che possono sfociare in veri e propri Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). La ricerca del consenso da parte del gruppo dei pari può infatti condurre a condotte alimentari rischiose, volte a modificare drasticamente le proprie forme corporee.
I DCA sono considerati un esempio di “culture bound syndrome” ovvero un complesso sintomatologico, caratteristico in una determinata area culturale, sulla base di presupposti psicosociali ivi operanti (Stagi, 2002). Queste considerazioni sul legame tra patologia e cultura di appartenenza fa sì che il sintomo possa essere compreso solo se inserito nel contesto dal quale la persona proviene.
Anoressia nervosa e bulimia nervosa
Gordon (1990, 1991) considera l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa i mali della nostra società. Si tratta di disturbi socialmente strutturati che rappresentano, in un certo senso, l’attuale moda. In genere i soggetti affetti da DCA sono adolescenti femmine che cercano, tramite il controllo esercitato sull’assunzione di cibo, di tenere sotto controllo i loro impulsi pensando di risolvere il problema dell’identità e cercando di rispondere ai canoni di bellezza proposti o imposti dalla cultura di appartenenza.
In particolare l’anoressia nervosa consiste in un disturbo del comportamento alimentare in cui sono tipici gli episodi di soppressione deliberata dell’appetito e della fame. Infatti, caratteristica principale dell’anoressia è il rifiuto volontario del cibo che nasce da un’ostinata ricerca di magrezza, evidente anche dall’eccessiva iperattività che caratterizza il comportamento delle anoressiche. Il rifiuto di mangiare nasce dalla forte paura di ingrassare per cui vengono messi in atto una serie di comportamenti tipici di questo disturbo, quali seguire una dieta ferrea, fare esercizio fisico eccessivo, indursi il vomito dopo aver ingerito cibo, seppur in piccolissime quantità. Tutto ciò nasce dalla percezione distorta del proprio aspetto fisico che induce a pratiche ossessive di controllo del proprio peso.
La bulimia nervosa è una situazione clinica caratterizzata da abbuffate ricorrenti seguite, di solito, da manovre compensatorie, costituite prevalentemente da vomito autoindotto (Gordon, 1991). In genere chi è affetto da tale patologia mostra di avere particolare cura del proprio aspetto, dà l’impressione di essere sicuro di sé e appare normale per via del peso che generalmente è nella norma. In realtà dietro questa facciata si nasconde una persona che dubita fortemente di sé, che non si ama, non ama il proprio corpo e passa il tempo a compiacere i suoi interlocutori nel timore di non essere accettato.
La crisi bulimica consiste in episodi ricorrenti di abbuffate: le adolescenti ingurgitano tutto ciò che è commestibile in modo del tutto casuale, mantenendo uno stato di perdita di controllo; si parla di “abbuffate compulsive” (Confalonieri & Gavazzi, 2003) a cui seguono comportamenti compensatori, quali vomito autoindotto o abuso di lassativi e pratica di eccessiva attività fisica.
I criteri diagnostici per determinare l’insorgenza di queste patologie sono espressi nel DSM IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder).
I mass media mostrano un grande interesse nei confronti di queste patologie e di altri comportamenti rischiosi messi in atto in adolescenza. Purtroppo, però, spesso le informazioni fornite risultano superficiali e fuorvianti. I messaggi molto negativi, ad esempio, non servono a prevenire comportamenti a rischio negli adolescenti, ma possono anzi indurli, a metterli in pratica per dimostrare a se stessi e agli altri di potercela fare (Fuligni & Romito, 2002). E’ noto, infatti, che il bisogno di mettersi alla prova e di rischiare anche di fronte ai pericoli più estremi attiri particolarmente gli adolescenti.
È evidente che il contesto socio-culturale ha una parte fondamentale nel costruire e proporre i modelli di riferimento a cui ci ispiriamo nella vita quotidiana e creare i parametri con i quali viene giudicata la propria immagine corporea. I messaggi provenienti dai mass media influenzano globalmente la popolazione e hanno un peso notevole nel formare ideali, aspettative e convinzioni, soprattutto negli adolescenti.
USO DI SOSTANZE
La realtà contemporanea ci mostra una società che mira all’efficienza e al massimo, dove la conservazione, la stabilità e la sicurezza assumono connotati negativi, mentre alla velocità della società sono associate l’euforia, l’instabilità, il rischio (Calabrese, 1988; Di Blasi, 2003). L’attuale consumo di droghe ha radici in una cultura che alimenta i rischi di una “prestazione spersonalizzata modernista” legata da un lato allo sviluppo cognitivo dei giovani, ma dall’altro anche segnata dallo stress di una quotidianità che si presenta come ripetitiva ed insoddisfacente (Baraldi & Rossi, 2002). Il rischio ha infatti assunto un significato particolare nella cultura giovanile (Malagoli Togliatti, 2004) poiché si presenta come condizione irrinunciabile per chi ha intenzione di farsi strada nella vita (Buzzi, 1998). La situazione attuale ci permette di interpretare l’uso delle sostanze come mezzi aventi funzioni performative: sono quindi utilizzate per sentirsi più efficienti, prestanti, disinibiti, sempre più aderenti agli imperativi sociali del successo, dell’iperattività e dell’efficienza (Ingrosso, 1999). Le droghe diventano un pretesto utilizzato dagli adolescenti per accrescere le proprie prestazioni, così da renderli in grado di funzionare all’interno di un sistema sociale che si aspetta da loro il massimo.
Un grave problema oggi è più che altro legato al fatto che la necessità di provare sensazioni nuove e forti che rafforzino la percezione della propria identità, può condurre alla scelta di provare sostanze psicoattive. Questo è particolarmente evidente nelle attività compiute per la ricerca dello “sballo” che sono associate alla modificazione dello stato di coscienza ottenuto appunto con l’assunzione di sostanze psicoattive (Ravenna & Cavazza, 2000). Talvolta, infatti, l’adolescente si sente oppresso da richieste, prescrizioni, norme, altre volte si sente privo di vincoli che sembrano prescindere dalle sue esigenze ed aspirazioni (Ricci Bitti, 1997), a tal punto da far scaturire in lui il desiderio di lasciare tutto da parte: l’uso di sostanze può consentirgli di abbandonare, per un tempo delimitato, esperienze di sé proprie delle attività di routine e di assumere ruoli anche completamente opposti a quelli della quotidianità (Ravenna, 2002).
Ciò che preoccupa maggiormente è l’attuale eccessiva diffusione del fenomeno dell’assunzione di sostanze che sembra essere diventato un aspetto, fra gli altri, della costruzione dell’identità (Rosci, 2004).
Fortunatamente l’uso di droghe in adolescenza è prevalentemente saltuario od occasionale, limitato ad esempio nel weekend e perciò non dipendente. L’approccio degli attuali giovani consumatori è più che altro caratterizzato da un consumo ricreativo (Di Blasi, 2003). L’esperienza di assunzione iniziata verso i 16-17 anni sembra concludersi verso i 24-25, con l’esaurirsi del fascino delle discoteche, dei rituali notturni, il cui scopo è la ricerca dello “sballo” inteso in senso di contrapposizione alla quotidianità ed alle sue regolarità (Di Blasi, 2003).
I giovani che abusano di sostanze sono invece una percentuale inferiore, ma in genere si tratta di adolescenti che hanno alle spalle situazioni di disagio personale che li inducono a cercare un modo per sfuggirvi e per scacciare ansia e angoscia che ne derivano. In questi casi è frequente che dall’abuso si passi alla dipendenza, che può essere legata alle più disparate sostanze (alcol, cocaina, psicofarmaci, ecc.), utilizzate proprio con lo scopo di lenire la sofferenza (Di Blasi, 2003).
In realtà l’uso di droghe non è affatto un fenomeno recente, anzi, fin dai tempi più antichi tali sostanze erano diffuse con lo scopo di sconfiggere il dolore, ricercare il piacere, e così via. Alle droghe stesse erano attribuiti poteri e significati di volta in volta diversi a seconda dello scopo per cui venivano assunte. L’uso delle sostanze tra adolescenti e giovani risulta invece essere piuttosto recente (Rosci, 2004).
Gli adolescenti, dapprima coinvolti solo in modo marginale, diventano così, poco a poco, consumatori abituali, in seguito anche al diffondersi di una cultura individualista del successo.
Con il passare del tempo, i confini del possibile si sono ampliati sempre più, rendendo lecito l’inimmaginabile, ma creando forti paradossi: mancanza di presa di responsabilità e indecisione, che portano solo a cercare di cambiare il proprio corpo, le proprie scelte, la propria vita, consentendo al soggetto di sentirsi sempre artefice delle proprie esperienze esistenziali, talvolta anche stupefacenti.
Attualmente le caratteristiche del fenomeno si intrecciano con i numerosi cambiamenti della società (Di Blasi, 2003). I cambiamenti familiari legati alla mutata condizione della donna, sia in famiglia che all’esterno, il venire meno di tabù legati alla sessualità e a valori di realizzazione personale, la mutata relazione di coppia dei genitori che vede il padre più che altro impegnato in un ruolo che non gli calza, pienamente aderente all’immagine della famiglia degli affetti di cui parla Pietropolli Charmet (2000), i modificati aspetti simbolici ed organizzativi di famiglia e società spiegano i cambiamenti valoriali dei figli adolescenti e del loro stile di vita, rendendoci anche più chiaro i motivi delle loro scelte: essi non sono sufficientemente attrezzati ad affrontare il dolore mentale risultante dalla crescita da cui cercano di sfuggire ricorrendo sempre più a comportamenti di evitamento quali l’uso di droghe (Di Blasi, 2003).
Oggi le sostanze sono talmente diffuse e così facilmente prodotte, oltre che consumate e pubblicizzate attraverso film, canzoni, eccetera, da essere parte integrante della cultura giovanile. E’ praticamente impossibile non averne notizia, anzi vivere con le droghe sembra essere un’esigenza della modernità (Gossop, 1982). Si arriva addirittura ad affermare che alcol, tabacco e cannabis siano parte dei consumi adolescenziali, al pari di abbigliamento, generi musicali, motorini, e così via; ciò conferma l’ipotesi che si stiano creando veri e propri stili comportamentali in relazione alle sostanze psicoattive (Rosci, 2004). Per sollecitare maggiormente il già diffuso consumo di sostanze, si sono aggiunte, infatti, le campagne pubblicitarie e le strategie di marketing studiate appositamente dalle grandi multinazionali che mirano semplicemente all’aumento delle vendite. Ad esempio sono sorti nuovi prodotti alcolici, per così dire alla moda, che “fanno tendenza”, ma al tempo stesso traggono in inganno perché sono comunque sostanze alcoliche: sembra non si ricordi qual è l’impatto della comunicazione tra gli adolescenti. Le conseguenze che ne derivano, infatti, portano i giovani a mettere in pericolo la loro salute, questo soprattutto perché non vengono valutati i numerosi aspetti negativi di un eventuale abuso.
Le sostanze psicoattive
Le droghe sono uno strumento che dà a tutti la possibilità di mutare gli stati mentali secondo i propri desideri; sono di semplice uso e di facile reperibilità, quindi da considerarsi al di qua di ogni sforzo intellettuale o affettivo, come una sorta di mezzo “popolare”, utilizzate per sentirsi all’altezza delle richieste di successo ed iperattività dell’attuale società (Ingrosso, 1999; 2003). L’incontro con le sostanze può risultare in adolescenza uno dei tanti modi per sperimentare se stessi, per soddisfare il bisogno di scoprire e al tempo stesso provare nuove strade e relazioni, attribuendo a tutto ciò significati personali. I dati finora presenti in letteratura, relativamente all’odierna situazione del consumo di sostanze psicoattive tra gli adolescenti italiani sono piuttosto lacunosi (Rosci, 2004); in generale si può però affermare che si ha un constante aumento della prossimità dei ragazzi verso la cannabis ed altre droghe, soprattutto illegali, come l’ecstasy. Negli ultimi anni si è rilevata una flessione nell’uso di tabacco (Rosci, 2004), versus una forte tendenza all’aumento della predisposizione al consumo di alcool e droghe. Alcune indagini (Buzzi, 1997) rilevano che il fumo di tabacco è complessivamente in regresso e che sempre meno ragazzi iniziano a fumare: sembra essere diffusa una concezione negativa del fumo, il cui consumo è meno influenzato da conoscenze e opinioni. La sigaretta serve meno come strumento di socializzazione e di accettazione nel gruppo, mentre l’alcool, il cui consumo è in aumento, è più accettato socialmente. In particolare l’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol (2001) mostra dati che sostengono la sperimentazione di alcol da parte del 80% circa dei quattordicenni, con un aumento del 50% dei bevitori di età compresa tra i 14 ed i 24 anni, tra il 1995 ed il 2000 (Rosci, 2004).
Gestione dei comportamenti a rischio
I compiti di sviluppo richiedono, come abbiamo già visto, elevati investimenti di energia. Non costituiscono delle invarianti ma risultano dal rapporto tra individuo e suo ambiente sociale-culturale: famiglia, gruppo di coetanei e scuola sono i contesti in cui adolescente affronta compiti e sceglie le strategie più adeguate a realizzare la transizione all’età adulta.
DIVERSI PERCORSI (possono mettere in crisi):
I COMPORTAMENTI A RISCHIO sono condotte problematiche, ossia mezzi utilizzati da alcuni soggetti per raggiungere determinati scopi. In realtà il rischio può essere un’opportunità di sviluppo (due aspetti di un continuum)
Lo sviluppo deriva dall’azione in un contesto. L’attuazione di determinati comportamenti è infatti il risultato dell’azione individuale indirizzata a un fine.
Mete e potenzialità devono, almeno in parte, adattarsi alle richieste ed alle opportunità offerte dal contesto (circolarità dello sviluppo).
CONTESTO produce
cambiamenti
INDIVIDUO
Il CONTESTO DI SVILUPPO svolge quindi un RUOLO DI PROTEZIONE oppure di AUMENTO del RISCHIO (relazioni con genitori, amici e scuola svolgono un ruolo sia diretto che indiretto).
L’adolescente è un SOGGETTO ATTIVO che sceglie e agisce in un contesto.
Funzione sostegno è svolta dagli amici
Funzione controllo e protezione è svolta dall’adulto
= elementi di PROTEZIONE
Il controllo (non coercitivo) dei genitori e il sostegno degli amici non si escludono ma si potenziano.
Funzione protettiva degli adulti
(queste dimensioni facilitano l’identificazione con adulti e possibilità di sperimentare)
DISPONIBILITA’ AFFETTIVA : guida e protezione flessibile
Significa stabilire relazione paritarie sia in situazioni superficiali (fumare sigarette, bere alcolici) che in più significative.
L’adolescente ha bisogno di VEDER RICONOSCIUTO E VALORIZZATO IL PROPRIO CAMBIAMENTO ed esige il riconoscimento della propria RESPONSABILITA’.
Il riconoscimento nuovo ruolo passa attraverso la comunicazione e la negazione delle norme. Deve perciò essere dato spazio al dialogo e allo scambio per promuovere l’acquisizione di un comportamento socialmente responsabile, capace di favorire lo sviluppo completo dell’identità.
Il ruolo protettivo di genitori ed adulti non è solo correlato con l’assenza di implicazioni in comportamenti a rischio, ma consente agli adolescenti di cambiare il loro comportamento se si trovano in situazioni a rischio e svolgere un ruolo di sostegno per i coetanei.
MORALITA’
Abilità + Valori + Competenze, consistenti nel:
Aspetto cognitivo (pensiero)
+
Aspetto affettivo (sentimento)
+
Aspetto comportamentale (azione)
Contenuto: ciò che una persona sta pensando o affermando.
Struttura: come una persona sta pensando la struttura che sta sotto il contenuto verbalizzato.
Il contenuto può variare a seconda delle situazioni, la struttura resta la stessa (per es. disimpegno morale).
Situazioni morali: ambiti di conflitto tra due o più valori o interessi contrastanti. Situazione scatenante: conflitto cognitivo.
Stadi (Kohlberg, 1971)
Sequenza invariante, frutto dei cambiamenti della struttura di pensiero del soggetto.
Il passaggio a stadi superiori avviene per opera del conflitto cognitivo; irreversibile.
Livello pre-convenzionale
Buono/cattivo, giusto/sbagliato.
Interpretando secondo conseguenze fisiche o edonistiche dell'’zione (punizione, compenso, scambio di favori) o secondo il potere fisico di coloro che enunciano le regole.
Livello convenzionale
Conformismo alle aspettative (scolastiche, famigliari, sociali) e lealtà per il mantenimento, l’appoggio e la giustificazione dell’ordine.
Livello post convenzionale
Sforzo/scelta individuale per definire valori e principi morali validi indipendentemente dall’autorità dei gruppi o delle persone che li sostengono.
3 condizioni:
FENOMENO DEL BULLISMO
Il termine bullismo è la traduzione italiana dell'inglese " bullying " ed è utilizzato per designare un insieme di comportamenti in cui qualcuno ripetutamente fa o dice cose per avere potere su un'altra persona o dominarla. Esso è caratterizzato da alcuni fattori:
Breve storia del bullismo
Anni ’70 Olweus, Norvegia
“Abuso di potere”:
130.000( ! ) soggetti scuola elementare e media:
Caratterizzato da:
Olweus (1993): circa il 60% dei soggetti individuati come bulli in età adolescenziale ha provato l’esperienza del carcere entro i 24 anni. Tendenziale stabilità del comportamento aggressivo!
Vittime: in età adulta maggior presenza di sintomatologia ansioso-depressiva. Nei casi più drammatici suicidio.
In Italia anni ’90-2001, Fonzi (1997), Università di Firenze:
CHI? |
Vittime |
Bulli |
Scuola Elementare |
41,6% |
28% |
Scuola Media |
21,4% |
20% |
QUALI? |
Scuola Elementare |
Scuola Media |
Offese verbali |
51% |
45% |
Offese fisiche |
42% |
20,7% |
Minacce |
19,2% |
13% |
Esclusione |
17,2% |
6,4% |
Malignità |
27,8% |
24,6% |
Furti |
24,4% |
9,3% |
DOVE? |
Scuola Elementare |
Scuola Media |
Corridoi |
19,9% |
19,6% |
Cortile |
41,3% |
12,3% |
Classe |
57,2% |
51,9% |
QUANDO?
Intervallo, cambi d’ora, lezione.
I pochi che ne parlano lo fanno maggiormente a casa che a scuola.
BULLYNG TEASING
PREPOTENZE
Diversa ampiezza semantica (Olweus, 1996; Sharp & Smith, 1995)
Fonzi: maggiore tolleranza culturale al conflitto, minore rottura dei rapporti; diffusione maggiore.
BULLI ATTIVI
BULLI PASSIVI
VITTIMA PASSIVA
VITTIMA PROVOCATRICE
“Poco amore, poca cura, troppa libertà nell’infanzia sono condizioni che contribuiscono allo sviluppo di un modello comportamentale aggressivo” (Olweus, 1993).
CHE FARE???
DISIMPEGNO MORALE (A. BANDURA; 1990-OGGI)
Forme di bullismo
Bullismo diretto (attacchi relativamente aperti nei confronti della vittima) |
=> |
fisico: verbale: |
colpire con pugni o calci, sottrarre o rovinare oggetti di proprietà, ecc. |
Bullismo indiretto (isolamento sociale e intenzionale esclusione dal gruppo) |
=> |
indiretto: |
diffondere pettegolezzi fastidiosi o storie offensive, escludere dai gruppi di aggregazione, ecc. |
GESTIONE GRUPPO-CLASSE
gruppo classe = gruppo di lavoro ?
solo per certi versi…si differenzia da questo, che è regolato da ruoli, norme e obiettivi precisi e condivisi, perché non è la norma nella sua interezza che la classe svolga un compito comune cui i singoli possano partecipare con contributi diversi, e poi perché esiste una specifica relazione con un adulto, che si svolge secondo linee prestabilite ed è caratterizzata dalla fissità di composizione del gruppo e da obiettivi prestabiliti
Rispetto alla focalizzazione sui compiti di apprendimento il gruppo classe, quale “luogo di appartenenza” e di “rapporto con i pari”, in alcuni casi risulta essere un ostacolo alla realizzazione degli obiettivi didattici, in quanto le dinamiche interattive, spesso imprevedibili e vivaci, non sono del tutto orientate alla soluzione dei compiti su cui si fonda la scuola.
Distinguiamo 2 livelli:
1°) legato alla struttura organizzativa di superfice che persegue gli obiettivi didattici;
2°) una struttura subistituzionale caratterizzata da sentimenti di attrazione repulsione, livello relativo agli aspetti emotivi delle relazioni interpersonali, cui appartengono tensioni, conflitti emotivi, problemi relazionali che attraversano la classe.
Ipotesi di lavoro:
il gruppo classe, rispettando sia la produttività che la sua coesione, deve “permettere” una evoluzione articolata di ognuno dei suoi componenti sul piano delle competenze didattiche, delle capacità di relazione e della maturità individuale complessiva.
Organizzare il gruppo è molto importante ma anche molto complesso, in quanto lo scopo finale è la valorizzazione del singolo alunno sia sul piano cognitivo che sul piano relazionale.
Il gruppo deve essere organizzato sul piano della struttura in modo da far conseguire ad ogni allievo l’obiettivo cognitivo per lui prefissato.
Conduzione del gruppo-classe come gruppo di apprendimento
Avere una competenza di conduzione della classe comporta possedere una competenza nel percepire e perseguire un iter formativo del singolo, tenendo conto delle dinamiche complessive che riguardano tutto il gruppo, unendo in pratica competenze disciplinari, socio-psico-pedagogiche e didattico organizzative.
Include inoltre il saper creare un percorso del progetto educativo il più possibile “pensato” per favorire la crescita della singola persona e del gruppo.
In tale percorso, pur mantenendo come centrali e fondamentali le acquisizioni cognitive, si rivendica uno spazio e un significato alla dimensione affettivo-relazionale (ASCOLTO ATTIVO) .
DIADE ALUNNO-DOCENTE E L’ORGANIZZAZIONE DELLA RELAZIONE INTERPERSONALE NEL GRUPPO-CLASSE
Nell’ambito scolastico esistono 3 sottoinsiemi chiave:
Nel sistema insegnante/alunno, facendo riferimento agli scopi del gruppo classe, ci sono 2 tratti di primaria importanza di carattere cognitivo-affettivo di cui tenere conto: |
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di tipo supportivo rispetto al sistema alunno; tutti gli studi e ricerche che hanno avuto un certo impatto sullo sviluppo delle teorie educative hanno posto l’accento sulla positività di un clima di ACCETTAZIONE, APPROVAZIONE e RINFORZO; il senso di coinvolgimento è legato al contesto scolastico e alla flessibilità nell’adattare le proprie strategie concettuali e il proprio stile cognitivo all’altro membro della diade. |
si riferisce al grado in cui ciascuno dei partecipanti cerca di favorire la continuità della relazione e/o cerca di mantenere e migliorare la qualità di essa, nel rispondere ai bisogni e alle richieste del sistema con cui si è in relazione e nell’accettare le conseguenze dei propri comportamenti. |
Esempio:
In una terza media si assiste quotidianamente ad una “lotta” molto decisa tra alunni e insegnante.
L’insegnante di lingua straniera svolge la sua lezione in un clima di attenzione molto limitata, lamentandosi spesso del fatto che i ragazzi non sono attivi e attenti come lei vorrebbe, che non sono in grado di apprezzare aspetti culturali oltre un certo livello di astrazione. I ragazzi dal canto loro sono ben distanti da questo discorso, attratti solo da interessi molto più prossimi (la partita di pallone, la chiacchierata con il vicino). L’impressione è quella di una sostanziale estraneità reciproca, non colmata da un lavoro d’integrazione con realtà scopistica dei ragazzi attraverso per esempio, momenti di comunicazione e riflessione sui possibili scopi comuni.
All’interno del gruppo classe, ma anche del singolo alunno, il sistema degli interessi e degli scopi del gruppo, non viene sempre preso in considerazione in modo chiaro e razionale: si cade nel perseguimento di scopi immediati, oppure si riescono a conseguire solo scopi più elementari come l’attenzione in classe, ma non un effettivo recupero delle competenze.
Gli interessi regolano il comportamento solo se si tramutano in SCOPI INTERNI e non è perciò sufficiente imporre degli scopi o esplicitarli solo in modo esteriore.
La dimensione interessi e scopi è collegata a quella dei bisogni di tipo cognitivo e dei bisogni relazionali.
Nelle classi disfunzionali (vedi esempio) NON si riesce a creare un sistema di interessi comuni innanzitutto tra docenti e gruppo-classe.
L’insegnante deve instaurare con il singolo alunno e con il gruppo classe una RELAZIONE.
Lavorare sulla coesione/adattabilità, sulla comunicazione, sul clima emotivo, stimola e pone le basi per la creazione di un “gruppo di apprendimento”
LA SCELTA DEGLI ATTEGGIAMENTI DA PARTE DELL’ INSEGNANTE
Il gruppo classe è un gruppo di apprendimento in cui gli aspetti relazionali vanno adeguatamente gestiti, al fine di non “scivolare” in un gruppo centrato sulla produzione-risultato o in un gruppo fusionale centrato sull’affettività.
Atteggiamenti di base
→ è necessario che il docente parta dall’ipotesi della “EDUCABILITA’” di ogni alunno; inoltre è importante che metta in atto un atteggiamento di autoriflessione volto alla ricerca di eventuali “errori” nel proprio operato.
Scopo a livello “meta” della scuola è lo sviluppo delle competenze e delle abilità cognitive di un individuo, possibile solo attraverso la maturazione psicoemotiva.
Il lavoro educativo deve tendere a creare un ambiente, un clima e una situazione emozionale e affettiva che possa servire da piattaforma per il lavoro didattico.
L’attenzione agli aspetti interpersonali del gruppo-classe è parte integrante degli scopi gestionali della classe.
Scopi generali di gestione della classe:
a) Scopi legati al lavoro di gruppo:
b) Scopi legati al lavoro sul singolo e sul gruppo:
c) Lavoro sul docente
Timing:
fasi iniziali rapporto tra docente e gruppo classe e fasi di ripresa
Fase 1 DIPENDENZA
Fase 2 CONFLITTO
Fase 3 MATURITA’
Il clima classe influisce sul senso di benessere degli alunni, ed è determinato dal fatto che per quell’alunno e per quel gruppo si sta lavorando e collaborando al fine di condurre al loro sviluppo cognitivo-affettivo e per creare un ambiente adatto alla loro crescita, secondo scopi condivisi.
Il clima classe è influenzato da un ampio spettro di variabili legate al contesto (situazione organizzativa della scuola, aspettative e attese sviluppate nelle diverse famiglie, percezione del proprio ruolo dentro la classe e livello di soddisfazione connesso allo stesso).
Il clima inteso come contesto socio-psicologico in cui avvengono le relazioni, è collegato alla dimensione del CONTENIMENTO e alla realtà di CONTENITORE SOCIALE che la scuola può svolgere.
La funzione del “contenitore sociale” è quella di fornire elementi positivi e concreti di riflessione perché l’individuo o il gruppo possano prepararsi ad un cambiamento (passaggio da un livello di scuola ad un altro, eventi evolutivi dell’individuo, eventi riguardanti la famiglia).
Ogni attività impostata nella classe che permetta di costruire un “contenitore sociale” attorno all’esperienza scolastica degli alunni rientra nel lavoro sul clima e contribuisce a dare significato ai cambiamenti.
Esempio
Premessa: Andrea è un ragazzo che era inserito nella classe in cui si svolge la conversazione, ora è nella classe inferiore perché è stato bocciato, ma è stato invitato nella classe originaria, come aiuto nel rielaborare la propria esperienza, per portare un contributo, e nella speranza di riceverlo facendo il punto su alcuni spetti della sua storia in classe.
Insegnante: Secondo voi una maggiore confidenza servirebbe a rendere l’ambiente diverso per voi?
D.: Si, ci sarebbe più libertà.
A.: Per me no. E’ vero che potrei fare e dire tante cose, ma questo non cambierebbe molto.
Insegnante: In quali casi Andrea cambierebbe?
A.: Durante la lezione cambierebbe, ma poi no!
Insegnante: In quale classe vorresti più confidenza? Su quali questioni?
A.: Su quanto sono stufo.
Insegnante: Più di tipo scolastico o di tipo personale?
A.: Eh, su tutti e due.
COME CREARE UN CLIMA DI CONTENIMENTO?
Nel caso in cui si debba organizzare l’esperienza di apprendimento di un alunno con handicap, è necessario inventare tutti gli accorgimenti possibili perché non ci sia rottura della circolarità dell’esperienza del gruppo-classe tra ragazzi normodotati o con svantaggio.
In caso di alunni con marcati problemi di comportamento, il contenimento è dato dalla “modulazione” di momenti di ACCETTAZIONE/FRUSTRAZIONE.
E’ importante non cadere:
Mostrare una tolleranza mediata per cui, in presenza di un’infrazione di una regola o di una non esecuzione del compito, si possono dare tempi più lunghi per acquisire un comportamento adeguato, ma comunque si ripropone il lavoro con tempi stretti di verifica.
Metacomunicare sull’infrazione non in termini ostili ma costruttivi.
Il clima positivo viene stimolato se si ha l’accorgimento di fare frequentemente, con tutto il gruppo classe, il punto sulla situazione scolastica o di cambiamento comportamentale dei ragazzi per i quali si sta portando avanti un progetto particolare (e anche nella classe nel suo insieme).
Rispetto al lavoro di costruzione di un “contenitore sociale” casa-scuola, è centrale il rapporto scuola-famiglia.
Le metacomunicazioni da parte del gruppo-classe
Per poter “leggere” il clima che caratterizza una classe l’insegnante deve porsi nell’ottica di osservare:
Gli indicatori che ci dicono che la classe richiede qualche tipo di intervento sono svariati e possono includere:
Caratteristiche
- intellettuale/cognitiva
- emotivo/affettiva
- sociale: RAPPORTO COETANEI
ADULTI
AMBIENTE
Componenti Professionalità insegnante :
CULTURALE
PEDAGOGICO-EDUCATIVA
PSICOLOGICA
Aspetto culturale : conoscenza contenuti specifici presentati in modo PROBLEMICO
(VISIONE UNITARIA e NON SETTORIALIZZATA)
Aspetto pedagogico-educativo: consapevolezza metodi, strumenti e capacità specifiche di insegnamento (lavoro gruppo, discussioni, utilizzo sussidi audiovisivi) per compiere una programmazione (tener conto proposte allievi) ed una valutazione (può inserirsi in un momento di crisi della formazione dell’idea di sé e avere conseguenze negative.
Aspetto psicologico: comprende sia CONOSCENZA DI TECNICHE sia POSSESSO DI ATTEGGIAMENTI nei confronti realtà, di sé stessi e soprattutto degli allievi
2. apprendimento
3. motivazione
4. interessi
5. linguaggi settoriali e utilizzo funzioni
6. razionalità /creatività
Affettive 1. tipo relazione affettiva positiva o negativa
2. rapporti interpersonali e dinamiche di gruppo (leadership, pressioni di gruppo, attribuzioni di colpe e meriti, intenzioni)
3. stereotipi e pregiudizi
4. cooperazione e /o competizione
di ASCOLTO
di FLESSIBILITA’ (disponibilità a cambiare le proprie idee se sono ben argomentate)
di VALORIZZAZIONE
di RISPETTO
Inoltre l’INSEGNANTE deve possedere una MOTIVAZIONE INTRINSECA ALL’ATTIVITA’ EDUCATIVA e DISPONIBILITA’A VIVERE LA PROPRIA ATTIVITA’ EDUCATIVA COME SPERIMENTAZIONE CONTINUA.
COME AIUTARE GLI ALUNNI A VALORIZZARE SE STESSI E L’APPRENDIMENTO
(questionario, colloquio di interessi)
(goal setting)
coinvolgimento degli alunni in PROGETTI
(RESPONSABILITA’)
=
MOTIVAZIONE AD APPRENDERE
L’alunno è incoraggiato a competere con se stesso
“l’insegnante modello”
ATTIVITA’ DI APPRENDIMENTO che:
2) La motivazione è stimolata se gli alunni percepiscono che i
COMPITI SCOLASTICI:
3) La naturale motivazione ad apprendere è stimolata in ambienti sicuri e protetti:
a)Rapporti umani positivi
b)Interesse genuino.
(livelli di coinvolgimento adeguati alle capacità)
UNA NUOVA PROSPETTIVA RISPETTO LA MOTIVAZIONE
comprensione psicologica della relazione tra:
BUON LIVELLO DI COMPRENSIONE E CONSAPEVOLEZZA
sul contenuto e sui processi del pensiero
N.B. il pensiero è un’abitudine, non consapevolezza, ma ruolo attivo
Quindi…
Aumentare la consapevolezza del coinvolgimento attivo è il primo passo per aiutare l’alunno, anche in difficoltà, a percepire il proprio controllo sulla realtà
(SE’ COME AGENTE IN GRADO DI FARE)
COMPONENTE CAPACE DI PRODURRE ENERGIA
MOTIVAZIONE INTRINSECA
O
MOTIVAZIONE ALLA CRESCITA E ALLO SVILUPPO
Attivo ed intraprendente se il soggetto approva le proprie azioni e se possiede la convinzione di essere egli stesso il locus delle proprie azioni
…come aiutare gli alunni a porsi degli obiettivi…
REGOLE “ ABCD” DELL’OBIETTIVO.
APPRENDIMENTO SCOLASTICO: COSTRUZIONE DI SAPERI
(script, schemi, frames)
N.B. definizione o meglio ri-definizione di apprendimento non può prescindere da alcune dimensioni fondamentali dello sviluppo dei processi cognitivi e di personalità
CONDIZIONI CHE POSSONO GARANTIRE EFFICACIA ALLE ATTIVITà EDUCATIVE (comuni a tutte le discipline)
Gli alunni richiedono ad un insegnante non tanto di trasmettere un sapere ma di co-costruire saperi, e per questo diventano imprescindibili alcune condizioni quali la contestualizzazione e la possibilità di considerare i saperi come parti di un tutt’uno.
Dai risultati di una ricerca riguardante le qualità dell’insegnante ideale condotta con adolescenti sono emerse queste caratteristiche:
L’interdisciplinarietà si può realizzare a più livelli, che non si escludono a vicenda, ma si integrano:
I contenuti dell’insegnamento devono essere messi in relazione con i processi psicologici profondi che sono in atto nella formazione della personalità.
Nell’attività di insegnamento-apprendimento tutti gli aspetti sopra indicati devono essere considerati e applicati ad ogni ambito disciplinare.
Fonte: http://www-3.unipv.it/iscr/corsi_speciali/dispense/citriniti/DISPENSA%20SILSIS%20SVILUPPO%20AREA%201%201%c2%b0%20SEM.doc
Sito web da visitare: http://www-3.unipv.it
Autore del testo: (SILSIS Pavia e Cremona) M. A. ZANETTI, R. RENATI
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