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A partire dai primi filosofi che si sono interessati all’anima, alla psiche possiamo parlare di psicologia. Aristotele nelle scienze seconde ha parlato dello studio dell’anima. Per i greci hanno fatto parte della psicologia problemi come la conoscenza il linguaggio, il rapporto mente corpo, e anche ricordiamo il loro atteggiamento di ricerca nei confronti dell’uomo nel cui comportamento vi sono aspetti biologici, psichici, sociali
Nel Medio evo cristiano tale ricerca viene messa da parte a causa dell’identificazione dell’uomo col divino per cui ogni possibilità di studio scientifico è escluso
Riprendono gli studi nel Rinascimento e poi fra il 1700 e il 1800 matura l’idea che si possa studiare dei processi e delle funzioni dell’”anima” senza interessarsi a cosa sia(competenza dei teologi e metafisici).
Problema per la storiografia psicologica: Nascita della psicologia:
L'ambito della psicologia: possiamo individuare due ambiti generali,
Gli ambiti di specializzazione degli psicologi oggi sono diversi, uno più orientato alla ricerca, l'altro alla pratica.
La nascita della Psicologia si fa risalire a Wundt ed alla creazione del suo laboratorio sperimentale Wundt (16 agosto 1832-31 agosto 1920) Wundt sosteneva che la psicologia si dovesse interessare dello studio della mente e delle percezioni sensoriali. Laureatosi in medicina a Heidelberg nel 1856, si dedicò agli studi di fisiologia e sulla percezione sensoriale che distinse dalla sensazione fisiologica. In quegli anni cominciò a pensare che era possibile costruire una scienza psicologica autonoma, separata dalla fisiologia
Secondo la definizione di Wundt, la psicologia come scienza consiste essenzialmente in un tentativo di discriminare l'esperienza nei termini dei suoi componenti fondamentali, come sensazioni, immagini, sentimenti, e di dimostrare come questi elementi si combinino a formare complessi contenuti dall'esperienza.
Un suo discepolo diede vita alla corrente dello Strutturalismo sostenendo che ogni elemento della mente era paragonabile ai composti chimici ed il suo interesse era quello di analizzarne la struttura.
Titchener e lo strutturalismo
L'allievo di Wundt E. B. Titchener (1867/1927), trasferitosi negli Stati Uniti, come docente universitario di psicologia, fondò lo STRUTTURALISMO che costituisce storicamente la prima scuola di psicologia scientifica.
Come i chimici avevano scoperto che la materia era composta da un certo numero di elementi (atomi), cosi' Titchener voleva scoprire quali erano gli elementi basilari della mente; occorreva quindi analizzarne la struttura (da qui il nome STRUTTURALISMO) partendo da pochi, semplici elementi. Per fare ciò era necessario l'uso del metodo introspettivo.
I limiti dello strutturalismo
I dati introspettivi non sono verificabili
Analisi fattoriale: si tratta di un metodo statistico messo a punto da Galton
Tale metodoi dà origine a diverse teorie sull’intelligenza e sulla personalità entrambe identificate attraverso fattori indipendenti e ordinati gerarchicamente
A partire da Francis Galton (1869) ebbe inizio la moderna "psicometria", che si proponeva di "misurare" l'intelligenza (per esempio, tramite i test ideati da Alfred Binet nel 1905). Il valore dell'intelligenza di un individuo veniva sostanzialmente riferito alla sua abilita' nel risolvere problemi sempre piu' complessi.
Sia i neurofisiologi sia gli psicologi statistici misuravano una quantita' che assumevano essere invariante rispetto ai fattori ambientali (come il "fattore generale" introdotto da Charles Spearman nel 1923). Si veniva cosi' formando l'idea moderna di "intelligenza". Nel 1921 alla prima conferenza sull’intelligenza, nessuno degli scienziati che vi convennero seppe peraltro proporre una definizione convincente di cosa fosse l'"intelligenza" di cui essi dibattevano. Se per Colvin "intelligenza" era la capacita' di adattarsi all'ambiente, se per Henmon era equivalente a "conoscenza", per Dearborn era la capacita' di imparare dall'esperienza e per Woodrow era tout court la capacita' di aumentare le proprie capacita'
Alfred Binet (Nizza, 1857 - Parigi, 1911),.
Il suo nome viene in genere associato agli studi sull'intelligenza, con Théodore Simon usano un approccio “molare” (cioè
cercano di misurare direttamente le funzioni superiori come memoria, l'immaginazione, il ragionamento) Scopo: identificare i bambini da avviare a classi speciali.
Si devono a lui i primi test di intelligenza.
Nel 1904, il ministero della Pubblica Istruzione francese incaricò una commisione di studiare dei metodi per l'educazione dei
bambini delle scuole di Parigi che presentavano uno sviluppo intellettivo subnormale: si pensava che se fosse stato possibile accoglierli in scuole speciali, quei bambini incapaci di seguire il normale percorso di studi, avrebbero potuto raggiungere risultati migliori. Della commissione faceva parte anche Binet.
Essendo il primo problema da risolvere quello della individuazione dei soggetti mentalmente più limitati, Binet e i suoi
collaboratori, dopo aver trascorso un gran numero di ore tra i bambini delle scuole, osservando e sottoponendo loro dei quesiti
di vario tipo, elaborarono la prima scala metrica. La scala era composta da una serie di 30 problemi o test, che si proponevano
di offrire una valutazione di alcuni aspetti dell'intelligenza, come la capacità di comprensione, di ragionamento logico e di giudizio. I problemi erano stati scelti in modo da ridurre al minimo il riferimento alle nozioni scolastiche.
Uno dei concetti fondamentali introdotti da Binet per la valutazione dei risultati dei test è quello di età mentale, Secondo tale concetto, un bambino è dotato di un'intelligenza corrispondente ai tre anni se riesce a risolvere la metà dei test risolti normalmen
te dai bambini di quell'età; l'intelligenza corrisponde ai 4 anni se il bambino supera almeno la metà dei test preparati per un'età di quattro anni, e così via.
Come misura del ritardo mentale, Binet utilizzava la semplice differenza tra l'età mentale del bambino e la sua età cronologica.
Tale sistema era però poco pratico, perché non rendeva bene l'idea dell'entità del ritardo. Infatti, un ritardo di 2 anni a un'età di
5 anni, indicava un limite intellettivo molto serio, mentre le stesso ritardo conteggiato, ad esempio, in un ragazzo di 14 anni, rappresentava uno svantaggio molto più lieve.
Dopo la morte di Binet, tale problema venne superato utilizzando, invece della differenza, il rapporto tra l'età mentale e l'età cronologica. Tale rapporto, moltiplicato per 100 (e depurato di eventuali decimali) è quello che viene comunemente chiamato QI (quoziente di intelligenza).
I test cominciano a essere usati non solo a scopi pratici ma anche per chiarire la natura dell’intelligenza (si tratta di una abilità generale o di un insieme di abilità distinte?)
Apprendimento:stimolo risposta
Con l’esperimento del cane di Pavlov abbiamo ripercorso gli studi del fisiologo russo Ivan Pavlov sul riflesso della salivazione nel cane, studi che vennero condotti all’inizio del Novecento e che gli valsero il premio Nobel nel 1904.
La risposta innata del cane al cibo, cioè quella di salivare, può essere indotta anche in assenza della cotoletta o della salsiccia: alcuni eventi o segnali specifici (nel nostro caso il suono della campanella) possono provocare la medesima risposta:il cane, infatti, al suono della campanella inizia a salivare e rimane in attesa del cibo.
Tuttavia prima che questo accada, è necessario condizionarlo: solo se per più volte prima dell’arrivo del cibo si fa suonare il campanello, il cane imparerà che il suono del campanello segna l’arrivo del cibo. Il cane quindi, associando il suono al suo cibo preferito, si sveglierà, inizierà a salivare e rimarrà in attesa.
Se per più volte, dopo aver suonato la campanella, neghiamo al cane il cibo, il riflesso si estinguerà: il cane pian piano, non metterà più in relazione il suono con il cibo, quindi smetterà anche di salivare; in altre parole, si disabituerà.
Si definisce il fenomeno osservato come condizionamento classico: secondo questo processo è prevedibile che ad uno stimolo segua una risposta, e che stimolo e risposta possano essere condizionati. Possiamo parlare quindi di apprendimento condizionato o pavloviano, secondo il quale la risposta a un certo stimolo dipende dal tipo di evento che, sulla base dell’esperienza passata, associamo alla stimolo. Secondo questa visione ciò che noi apprendiamo è un’associazione di stimoli.
Sempre all’inizio del secolo scorso con gli studi dello psicologo americano Edward Lee Thorndike, successivamente approfonditi da Frederic Burruhus Skinner, venne introdotto il concetto di condizionamento operante. Anch’esso è una forma di apprendimento di tipo associativo, ma diversamente da quella pavloviana, la risposta viene evocata non da stimoli che la possono attivare, bensì da una situazione ambientale, un contesto a cui è stata associata la possibilità di trarne certo beneficio: l’animale apprende che un determinato stimolo fa prevedere un evento successivo.
Facciamo un esempio: se il cane apprende che ogni qualvolta che casualmente preme una leva gli viene presentata un bella coscia di pollo, state pur certi che esso viene condizionato in modo da imparare l’equazione “levetta uguale cibo”.
Questa forma di apprendimento studiata prima da Thorndike nei gatti, venne poi osservata da Skinner in un suo famoso esperimento sui piccioni, esperimento in cui egli dimostrava come questi animali sono in grado di sviluppare comportamenti “superstiziosi”: per poter gustare una nuova razione di cibo, i piccioni ripetevano il comportamento che casualmente stavano facendo prima dell’arrivo del cibo, qualunque esso fosse (dal pulirsi l’ala destra con il becco al dondolare la testa e così via).
Le scuole psicologiche europee fino agli anni 30
Sigmund Freud, filosofo tedesco, oggi è noto essenzialmente per la psicanalisi. Ebreo, fu perseguitato dai nazisti, che bruciarono i suoi testi insieme a quelli di Albert Einstein . Morì nel 1939. Freud più che filosofo lo possiamo definire un medico psicanalista, che ha studiato i meccanismi della mente umana, dando una interpretazione scientifica del sesso e scoprendo e teorizzando "l'inconscio" (in passato intuito da Gorgia ed analizzato in parte da Galeno). L'inconscio è la parte irrazionale della psiche; per i cattolici e gli illuministi non esiste, perché per i primi esistono solo gli istinti e per i secondi esiste solo la ragione.La psiche umana è divisa in tre parti : l'Esse, che è scaturita dall'ambiente sociale in cui si nasce o da una eredità genetica, l'Io, che è regolato dal rapporto che si ha con la realtà, il Super Io, la parte più nobile della nostra psiche che si plasma in base alla coscienza, ai modelli e agli ideali di una persona.Freud lo possiamo definire sia positivista che antipositivista. E' ottimista in quanto crede che l'uomo sia capace di sublimare gli istinti, quindi positivista, ma scopre l'inconscio o Esse, e quindi è antipositivista perché non ammette la sola ragione nei meccanismi psichici. Freud per arrivare a scoprire la psicanalisi lavorò tanti anni su dei malati, e dedusse che la differenze fra il malato ed il sano è un fatto di quantità di istinti, il sano riesce a mantenere l'equilibrio fra esse, io, e Super-io. La psicanalisi è essenzialmente un metodo di cura contro le nevrosi, il malato fa un compromesso con il medico, per poter essere guarito, questo deve assolutamente lasciarsi andare per sciogliere le resistenze dell' Io e far emergere l'inconscio, questi sono in perenne lotta, solo con l'emergere dell'inconscio il malato può guarire. Il momento in cui il malato molla le forze mentali viene chiamato "transfert" , poi si ha la "rimozione" in cui l'Io del malato crolla e vengono esternati gli istinti nella "abreazione". A questo punto la questione diviene molto delicata, lo psicanalista per poter procedere deve essere molto competente, non deve permettere che avvenga l'incrocio di sguardi con il paziente, questo potrebbe provocare lo stop dei processi di abreazione. In genere i malati più intelligenti guariscono prima, perché avviene prima in loro il fenomeno della "associazione libera", ossia il malato si rende conto della sua malattia ed è più facile guarire. La psicanalisi rimane ancora oggi una pratica molto costosa che in poche si possono permettere. L'isteria, la nevrosi e in alcuni casi le paralisi sono conseguenza di un'attività psichica instabile. La migliore soluzione di una psicanalisi è la sublimazione, ovvero la trasformazione di istinti sessuali in qualcosa di produttivo (es: un uomo sublima i suoi istinti sessuali nello studio).
Alla psicanalisi, però vengono spesso associati fatti di cronaca incresciosi, infatti, in passato in America, vigeva una moda squallida, gli psicanalisti abusavano sessualmente dei loro pazienti, in quanto in cura il malato si affida totalmente allo psicanalista instaurando un rapporto di odio - amore, che alcune volte porta all'aggressione dello psicanalista. Molti uomini della politica, invece, si sono sottoposti alla psicanalisi per intenti utilitaristici, infatti, chi effettua la psicanalisi, impara a conoscere la sua psiche ed automaticamente è capace di capire i comportamenti di qualsiasi altra psiche, divenendo così quasi un'arte da sofisti. Tutto questo Freud lo escludeva, per lui la psicanalisi doveva essere semplicemente una cura.Freud ha analizzato anche il sogno. Egli ha detto che nel sogno c'è un contenuto onirico, proprio del sogno, e un contenuto latente, generato dall'inconscio. L'Io nel sogno si allenta, ma non sproporzionatamente tanto da fare emergere l'esse, si accede all'inconscio, tendiamo a trasferire un oggetto su un altro corpo. Lo psicanalista ebreo, ha anche analizzato i vari stadi della sessualità, dividendoli in quattro fasi : la prima è quella orale, il bambino prova piacere ad allattare dal capezzolo della madre, la seconda è quella sadico-anale, il bambino prova piacere nell'escrezione delle proprie feci, la terza è quella fallica, in cui l'adolescente pratica autoerotismo (masturbazione), la quarta ed ultima fase è quella genitale, in cui l'uomo ha dei rapporti sessuali con il sesso opposto. Freud afferma che si è normali per convenzione, in queste fasi, afferma lo psicanalista, si possono avere parecchi traumi o complessi, come i complessi di Edipo ed Elettra; questi si fanno alla mitologia greca, Edipo uccise il padre per l'amore per la madre, al contrario fece Elettra. L'essere omosessuale è dovuto al fatto che nella fase fallica si pensa al proprio sesso. Il feticismo invece colpisce il bambino che non convincendosi che la donna è senza pene, vede peni da per tutto. Freud divide la psicologia in tre parti : dinamica, Thanatos ed Eros (libidine e natura inorganica), economica (piacere e dispiacere), topica (esse, io e Super-io). Karl Popper, filosofo liberale del novecento, affermerà che Freud per la scoperta dell'inconscio e quindi della debolezza umana sarà insieme a Darwin e Galileo, colui che ha umiliato l'uomo
La psiche come entità autonoma
Partendo da un ambito prettamente medico la psicoanalisi ha finito per rivestire una importanza sempre maggiore per la vita degli uomini: la scoperta rivoluzionaria che la psiche nasconde in sé più livelli autonomi, indipendenti dalla volontà conscia del quotidiano, non poteva che costringere a rivedere molte delle opinioni che l'uomo si era fatto sulla propria libertà di scelta, sul fondamento delle proprie leggi morali, sulle reali intenzioni di ogni suo atto.
La psicoanalisi fu ed è in qualche modo il tentativo di riempire un vuoto, la speranza di poter risolvere entro se stessi ogni conflitto manifestatosi all'esterno, nella realtà, attraverso un atteggiamento esclusivamente ateo e scientifico. Sul fatto che la psicoanalisi sia realmente riuscita a dare qualche risposta ai suoi frequentatori abituali e interessati non possiamo dare risposte certe, indubbia è la sua importanza non solo in ambito medico, ma anche in ambito filosofico.
Interessante leggere la psicoanalisi alla luce del pensiero di Nietzsche e di Schopenhauer. Nietzsche aveva portato alla luce l'importanza dello stato psico-fisiologico dell'individuo, per cui non è la virtù che conduce l'uomo alla felicità, ma è la felicità dell'uomo che porta a pensare la virtù. Nietzsche riscontra quindi nell'individuo quell'entità originaria e istintiva che è l'energia vitale stessa, nel suo flusso caotico, egli considera però la psiche una delle tante forme di menzogna messe in atto dall'uomo per ordinare il flusso caotico dell'esistenza.
In Schopenhauer vi è invece l'individuazione di un principio caotico che sottende il funzionamento del mondo, quel cieco e irresistibile impeto che è la volontà. La volontà di cui parla Schopenhauer è quindi il fondo istintuale e irrazionale che genera ogni cosa e che si trova nel profondo dell'anima di ciascun uomo (e Schopenhauer giunge a porre questa entità caotica come cosa in sé, esistente indipendentemente dagli uomini).
Sia il mondo come scontro di profonde e oscure forze istintive indicato da Nietzsche che la volontà di Schopenhauer si possono leggere come anticipazioni di quella forza psichica caoticamente desiderante e serbatoio di ogni libido che Freud chiamerà Es (si veda il capitolo 9).
2. La prima topica: Conscio, Inconscio e Preconscio
La psiche umana non è del tutto trasparente. Non tutto ciò che sentiamo e crediamo di intendere in superficie è in sé compiuto e completamente chiaro. La psiche è come un iceberg: la parte superficiale è molto meno rilevante della parte sommersa, immensa e misteriosa. Freud, come prima suddivisione della psiche, formula la prima topica (nel senso di toponomastica, dislocazione e individuazione di luoghi psichici): la psiche è suddivisa in conscio, inconscio e preconscio.
L'Inconscio. E' la parte sommersa della psiche: i suoi scopi sono autonomi e nascosti alla coscienza superficiale. L'inconscio contiene il "ribollire" dei pensieri nascosti al sentire immediato, l''uomo non sente il contenuto dell'inconscio, l'inconscio ha una sua vita autonoma, le forze psichiche in esso contenute lottano e "agiscono" all'oscuro del pensato cosciente.
Il Preconscio. E' composto da i ricordi non completamente consci ma facilmente richiamabili alla coscienza superficiale, come, ad esempio, desideri e sentimenti dominanti che sottendono particolari circostanze o fasi della vita. Già dal nome si può notare come il preconscio è posto da Freud come termine medio tra l'assolutamente non percepito rappresentato dall' "inconscio" e il percepito chiaramente rappresentato dal "conscio".
Il Conscio. E' la parte superficiale della psiche, la coscienza "chiara e distinta" del contenuto della mente, l'ordinaria percezione dei pensieri, con il loro flusso di idee immediatamente presenti alla coscienza.
3. Nevrosi, rimozione ed equilibrio psichico
E' entro questa struttura della psiche che si possono manifestare le nevrosi, le psicosi e le isterie, ovvero quelle malattie dell'animo legate a uno squilibrio, a un trauma (un evento che ferisce profondamente l'anima), a quel meccanismo psichico che genera l'impedimento di uno sfogo emotivo e il porre in essere di una rimozione degli eventi indesiderati.
La nevrosi è quel malessere della psiche che insorge quando ci nascondiamo un trauma. Fatti e accadimenti spiacevoli sono infatti spesso oggetto di rimozione, ovvero di una dimenticanza impostaci dalla nostra mente: tali fatti spiacevoli vengono stipati allora nell'inconscio, e, nel loro tentativo inesausto di riaffiorare, vengono sublimati (trasformati in energia e comportamenti positivi) o dolorosamente castrati dalla mente cosciente (e in questo caso assumono le forme negative di compulsioni, ovvero atti illogici, tic nervosi, ai quali non ci possiamo sottrarre, e ossessioni, corto circuiti mentali, che ci costringono a tormentarci attorno a un'idea fissa).
Il concetto di nevrosi porta a rivoluzionare il nostro concetto equilibrio mentale: ben presto ci si accorgerà che pochi di noi sono realmente immuni da manie e nevrosi più o meno fastidiose.
La psicoanalisi costringe a fare i conti con una scomoda verità: nessuno è immune dalle proprie piccole manie, per la nostra mente la salute è una questione di equilibrio, di compromesso tra luoghi della psiche, la salute si erge al di sopra della possibilità sempre incombente della malattia psichica.
4. La sublimazione
La sublimazione, come già accennato nel capitolo precedente, è lo sfogo creativo di una nevrosi o comunque di una situazione rimossa. Essa si distingue quindi dalla nevrosi per il fatto di portare ad un comportamento positivo, conforme alle norme della vita reale, e non negativo-distruttivo.
Mentre la nevrosi è quindi da ritenere una malattia, la sublimazione rappresenta la rielaborazione positiva (o meglio realistica) dello stesso processo nevrotico. Il processo di sublimazione sarebbe dunque alla base dell'ispirazione artistica, ma anche di ogni comportamento utile alla vita, come la passione per una certa organizzazione del proprio lavoro, le passioni sportive, gli hobbies in generale.
La sublimazione agisce seguendo il principio di realtà (si veda il capitolo successivo): essa è lo sfogo del desiderio frustrato in atteggiamenti conformi alle norme e ai divieti sociali.
5. Principio di piacere e principio di realtà
Tutte le scelte della psiche sono dettate dal principio del piacere: l'uomo desidera la sua felicità, l'appagamento immediato e incondizionato dei suoi desideri, ma tale desiderio si scontra quasi sempre con la realtà, ovvero con le costrizioni morali e le tradizioni sociali che sono ostili alla pieno soddisfacimento del piacere (tale affermazione ha molto in comune con l'indagine dell'anima propria della filosofia ellenistica).
Il principio del piacere si scontra con la realtà e ne deriva l'inevitabile frustrazione dei desideri. Ecco allora che al principio del piacere può subentrare il principio di realtà: esso cerca la soddisfazione del desiderio in relazione a ciò che la realtà può offrire secondo comportamenti accettati.
Mentre il principio di piacere cerca la soddisfazione immediata del desiderio in modo completamente irrazionale, il principio di realtà persegue l'appagamento del desiderio ponendosi obiettivi estesi nel tempo e sublimando l'impossibile appagamento immediato in rappresentazioni sostitutive. In altre parole, di fronte all'impossibilità di un appagamento completo secondo le modalità del principio di piacere, il principio di realtà agisce in modo da adattare il soddisfacimento del desiderio alle situazioni che tendono a limitarlo, escogitando diversi quanto necessari appagamenti.
6. Il metodo psicoanalitico: la "talking cure"
Il metodo psicoanalitico utilizzato da Freud si discostava di molto dai precedenti metodi di cura: se prima di Freud isteria e nevrosi erano curate con l'ipnosi o addirittura con l'elettroshock, con Freud la cura divenne meno cruenta e più raffinata (si potrebbe azzardare il termine "sublimata").
Freud introdusse la talking cure ("la cura del parlare, del discorrere"), ovvero lasciava che i pazienti, opportunamente rilassati e distesi comodamente su un divano (tramutatosi poi nell'iconografia della psicoanalisi nel famigerato lettino dell'analista), dessero libero sfogo alle parole e al flusso delle proprie idee, tentando di vincere l'azione di censura delle tradizioni, della morale e degli imperativi sociali che impedivano ai fatti raccontati di presentarsi per ciò che erano.
L'azione di tali imperativi ostacolava spesso la soluzione di un trauma rimosso, il trauma incontrava resistenza nel venire alla luce: lasciando che le parole fluissero per associazione di idee, senza alcuna logica che non fosse spontanea, permetteva a Freud e al paziente di portare a galla verità che non si credevano nemmeno di avere nascoste.
Importante per tale lavoro di recupero del trauma era un certo rapporto di amore ed odio che si instaurava tra paziente e medico (il transfert, ovvero il vincolo emotivo): lungi da costituire un ostacolo alla terapia, Freud riteneva un certo grado di transfert essenziale per la guarigione del paziente. La cura così strutturata appariva dunque come un lavoro sul paziente, che da soggetto passivo diventava soggetto attivo: il paziente, con l'aiuto del terapeuta, si curava da sé, da sé poteva arrivare alla soluzione del suo stesso trauma (in questa tecnica psicoanalitica si possono riscontrare echi della maieutica socratica).
7. Il sogno: il luogo degli "indizi psichici"
Il sogno riveste una grande importanza per la psicoanalisi. Nel sogno l'inconscio riaffiora in parte, grazie ad un allentamento della censura diurna normalmente esercitata dalla coscienza. Nel sogno gli elementi che normalmente vengono ritenuti immorali riescono a trovare uno sfogo, ma la censura non allenta completamente le sue maglie ed ecco allora che i contenuti indesiderati si rivelano velati e deformati simbolicamente.
Benché ogni sogno sia in sé compiuto e irripetibile, vi sono cinque regole che si possono utilizzare per la sua interpretazione:
1. La condensazione, ovvero interpretare la tendenza del sogno a diluire elementi che sono altresì accomunabili fra loro;
2. Lo spostamento, ovvero l'attenzione a come l'interesse, l'impatto emotivo di una situazione onirica, si sposta da una rappresentazione all'altra;
3. La drammatizzazione, ovvero la consapevolezza che fatti psichici ordinari possono trasfigurarsi in rappresentazioni alterate e drammatiche;
4. La rappresentazione per opposto, ovvero la consapevolezza che a volte un fatto onirico in sé evidente può significare anche il suo opposto;
5. La simbolizzazione, ovvero l'apparente cambiamento di significato di un certo elemento onirico, la sua trasfigurazione in un altra cosa.
Per mezzo di queste cinque regole la psicoanalisi può indagare le cause inconsce di un trauma attraverso la via maestra del sogno, luogo di "indizi psichici" importantissimi nella chiarificazione della meccanica dell'anima.
8. "Eros" e "Thanatos"
Ad un certo punto del suo lavoro, Freud si accorse che la psiche non era solo governata da una pulsione (=impulso incontrollato e primordiale) al piacere, ma anche da una pulsione distruttiva, una pulsione di morte. La pulsione di vita, (l'eros), era affiancata da una pulsione di morte (thanatos); le due pulsioni sono presenti contemporaneamente in ogni uomo, in contrapposizione dialettica.
I comportamenti autodistruttivi suggeriti dalla pulsione negativa erano osservabili in quei pazienti che si vedevano costretti a ripetere azioni in modo compulsivo (=costrizione a ripetere certi atti in modo ossessivo). La pulsione di morte sarebbe quindi indirizzata alla scarica totale di tutti gli impulsi vitali, un autopunizione derivante dall'impossibilità del piacere. Essa può venire tenuta dentro di sé e provocare quindi comportamenti autodistruttivi, oppure essere convogliata verso l'esterno in comportamenti violenti.
9. La seconda topica: "Io, Es e Super-Io"
Nel 1923, con la pubblicazione de L'Io e l'Es, Freud individua altri tre luoghi psichici, i quali non andavano a sostituire la prima topica, ma la integravano.
L'Es è il serbatoio dell'energia vitale, l'insieme caotico e turbolento delle pulsioni, quell'entità che si fa interprete della volontà di ottenere il piacere ad ogni costo. L'Es è quindi governato dal principio di piacere.
Il Super-Io è la censura morale, l'insieme dei divieti sociali sentiti dalla psiche come costrizione e impedimento alla soddisfazione del piacere. Il super-io rappresenta quindi la censura morale della coscienza.
L'Io è la coscienza mediatrice prodotta dai due movimenti contrastanti dell'Es e del Super-io.
L'Io è governato dal principio di realtà, il suo compito è quello di mediare le istanze vitali dell'Es, tese al soddisfacimento irrazionale e assoluto, e le istanze del Super-Io, indirizzate verso la censura delle istanze dell'Es.
SIGMUND FREUD E LA PSICANALISI (1856-1939)
I) Malgrado tutte le critiche e le condanne di cui è stato oggetto, Freud continua ad esercitare un'influenza determinante sui modelli di comportamento odierni e sulla cultura contemporanea in generale (come dimostra l'ampia diffusione delle sue opere). Diverse sono le discipline che hanno subìto questo influsso: oltre alla psicologia e alla psicopatologia, che esprimono in massimo grado il loro debito nei confronti di Freud, l'influsso dello psicanalista di Vienna è fortemente operante anche nelle ricerche di carattere sociologico (Marcuse, Fromm), nella pedagogia (che alla luce del pensiero freudiano ha riconsiderato il problema del fanciullo e dei suoi rapporti con la famiglia e la società) e nell'antropologia. Va ricordato inoltre l'approccio psicanalitico ai fenomeni artistico-letterari, alla storia e alla mitologia.
II) Freud è stato a lungo diffidente nei confronti della filosofia, ma ha finito per riconoscere più volte le implicazioni teoriche delle sue indagini e delle sue scoperte. Partito come terapeuta di malattie mentali, già nelle sue prime opere (Interpretazione dei sogni, Psicopatologia della vita quotidiana) egli appare consapevole del fatto che il suo discorso investe l'uomo in quanto tale e non solo come "essere malato". Più tardi i vari cicli di lezioni e alcuni suoi saggi, evidenzieranno maggiormente la portata filosofica delle sue ricerche; ma saranno gli scritti della tarda maturità e della vecchiaia che affronteranno in modo formale e diretto tutta una serie di problemi di ordine antropologico, morale e sociologico. Opere come Totem e tabù, Il disagio della civiltà e la Metapsicologia, appartengono interamente ad un ambito filosofico.
III) Oltre agli scritti propriamente filosofici, anche in quelli psicanalitici troviamo valenze filosofiche, proprio perché F. si occupa della natura dell'uomo, dei piani in cui l'uomo è diviso e delle forze che operano in lui, dei bisogni e dei desideri profondi dell'essere umano. Per questo egli mette in discussione il concetto di libero arbitrio, modifica i concetti di ragione e di coscienza, delinea una concezione estremamente complessa dei rapporti fra individuo e società, e propone, in ultima analisi, un'interpretazione nuova della religione, della morale, della storia e della società.
IV) Tutto questo ha fatto sì che oggi non vi siano più dubbi circa l'influsso di F. sulla cultura, tanto che ormai non si discute più sull'effettivo valore di questo influsso, ma si discute sui fondamenti teorici della psicanalisi, la validità dei suoi strumenti e delle sue procedure, il senso delle sue tesi sull'uomo e la società e i suoi rapporti con le altre scienze.
ITER BIOGRAFICO E INTELLETTUALE
V) F. nasce a Freiberg (in Cecoslovacchia) nel 1856 da famiglia ebraica e trascorre l'infanzia e la giovinezza a Vienna. Qui si iscrive alla facoltà di Medicina, dove si laurea nel 1881 in fisiologia, specializzandosi subito dopo in neurologia (1885). Entrato in rapporto con Josef Breuer (suo amico più fidato per oltre un decennio), F. comincia a discutere con questo studioso di malattie nervose il problema dei disturbi mentali e della loro terapia. Molto importante, nella formazione del giovane F., fu un soggiorno a Parigi che gli permise di frequentare le lezioni del grande psichiatra Charcot, il quale insegnava a trattare le malattie nervose non tanto su un piano fisiologico, ma da un punto di vista psicologico. F. condusse anche diversi studi sull'ipnosi, che risulteranno molto importanti in quanto egli constata che in stato di ipnosi anche i pazienti affetti dai più gravi disturbi nervosi si placano, raccontano fatti mai esposti in condizioni normali e sembrano registrare un miglioramento.
VI) Aperto uno studio per malattie nervose dove applica regolarmente la terapia ipnotica, F. riceve le critiche da parte della medicina ufficiale del tempo, ispirata a principi positivistici e convinta della natura non psicologica, ma puramente organico-materiale dei disturbi mentali. Freud si accorge ben presto dell'autonomia e della peculiarità delle sue ricerche, legate più ai fenomeni psichici che a quelli organici. Si accorge inoltre ben presto che i disturbi di alcuni suoi pazienti appaiono sintomi di disturbi più profondi, legati non a vicende organiche ma alla storia passata del paziente stesso. Fu Breuer ad elaborare una terapia consistente nell'enucleare i vari aspetti della malattia e nel risalire alle loro cause remote, in una specie di viaggio a ritroso nel tempo, ma fu indotto da diverse ragioni a non generalizzare quella spiegazione oltre il caso specifico in cui si era rivelata valida (Il caso di Anna O., una donna affetta da isteria e guarita dopo la consapevolizzazione delle radici delle sue fobie). F. invece non esiterà ad elaborare, sulla base di questa vicenda terapeutica, una vera e propria teoria della malattia mentale e del modo di curarla, la cui prima elementare formulazione appare in Studi sull'isteria del 1895. La malattia mentale è la conseguenza di un conflitto troppo violento tra le varie forze (o pulsioni) che risiedono nell'essere umano: un conflitto che determina fenomeni assai gravi, come la rimozione, che possono far cadere il soggetto in uno stato di nevrosi. La terapia consiste nell'aiutare il malato a portare a livello cosciente quegli episodi e quei conflitti che, a livello profondo, hanno generato uno stato nevrotico. Proprio svolgendo questa indagine F. scopre che gli individui affetti da determinati disturbi nevrotici incontrano gravi difficoltà a raccontare le vicende che più direttamente hanno provocato il disturbo nevrotico; manifestano cioè delle resistenze, ovvero una sorta di incapacità, malgrado la buona volontà a livello cosciente del soggetto in cura, di individuare e svelare a se stesso e al medico la causa primaria della propria nevrosi.
VII) La terapia ipnotica sembrava rappresentare una soluzione di questo problema, ma F. scopre che essa rappresenta anche un pericolo, sia perché instaura un rapporto di dipendenza fra il paziente e il suo medico, sia perché la guarigione che fornisce è illusoria, in quanto cessato l'effetto dell'ipnosi cessa anche quella. In definitiva l'ipnosi era solo un palliativo. Per questo F. la abbandona e ritiene che la vera guarigione debba consistere in un atto conoscitivo compiuto dallo stesso paziente, in stato di consapevolezza, della ragione del proprio disturbo. In stato di coscienza il paziente inizierà a raccontare, e quando si incepperà l'analista capirà che si tratta di un elemento importante (e aiuterà il paziente a superarlo).
VIII) Le ardite generalizzazioni operate da F. e la crescente insistenza con cui egli poneva al centro della vita dell'individuo, sia sano che malato, la sessualità, determinarono la dolorosa interruzione dell'amicizia con Breuer e le critiche di gran parte del mondo accademico. Nonostante questo F. approfondisce il campo delle sue ricerche. Nel 1899 pubblica l'opera che è considerata dai più come il suo capolavoro: L'Interpretazione dei sogni. Alla base di questa indagine vi è la tesi secondo cui anche il sogno costituisce un sintomo (mediatamente): non si tratta cioè solo di una funzione organica o di un accozzo casuale di immagini, ma di un'attività connessa con la vita profonda dell'individuo. Parzialmente libero dalle proprie censure e dai propri condizionamenti, l'individuo dormiente esprime nel sogno i propri bisogni, desideri, e il loro appagamento. Ma li esprime in vesti improprie, per cui a prima vista non sono così facilmente riconoscibili: occorre allora passare dal contenuto manifesto al contenuto latente, in modo tale da svelare la vita profonda dell'individuo. La scienza del tempo accolse abbastanza freddamente l'opera sui sogni, in quanto vi vedeva un allontanamento dai suoi principi.
IX) La psicopatologia della vita quotidiana, pubblicata nel 1901, fece conoscere il pensiero di F. ad una più ampia cerchia di lettori, a causa dell'interesse per le tematiche legate alla vita quotidiana di ogni individuo. In questa ricerca F. sostiene che anche i piccoli gesti, i lapsus, le azioni più banali, non sono mai realmente casuali e prive di senso, ma rivelano i bisogni e i desideri profondi dell'individuo.
X) Nel 1905 F. pubblica Tre saggi sulla sessualità, opera che susciterà vivo scalpore a causa delle teorie dello psicanalista su un argomento così delicato. F. contesta la tradizionale contrapposizione fra sessualità buona e sessualità cattiva e sostiene che, accanto all'attrazione fra i due sessi vi sono anche altre forme di attrazione che non vanno occultate, ma esaminate. Egli contesta la riduzione della sessualità alla funzione riproduttiva, mostrando che essa esprime pulsioni verso il piacere che sono complesse e variamente graduate. Sempre all'interno di questo testo egli critica uno dei principi della psicologia tradizionale, quello secondo cui la sessualità sarebbe una prerogativa dei soli individui adulti: Freud dimostra che anche i bambini possiedono, sin dalla più tenera età, una loro vita sessuale, dapprima intensamente connessa con altre funzioni vitali e poi autonoma. Per fare questo occorre guardare alla sessualità non solo come unione carnale, ma come ricerca del piacere fisico. F. suddivide l'attività sessuale del bambino in tre stadi, a seconda dell'organo che viene consacrato a tale attività, e precisamente fase orale, anale e genitale. Proprio mentre entra in questa terza fase, il bambino entra in competizione col padre, nel senso che è geloso della madre che egli vorrebbe possedere senza doverla dividere con altri (complesso di Edipo).
XI) Nonostante le riprovazioni dell'ambiente medico ufficiale del suo tempo, già agli inizi del novecento F. può raccogliere attorno a sé i primi discepoli, tra cui Adler, Rank e Stekel. Presto nacque addirittura un'associazione, che prese il nome di Società Psicoanalitica di Vienna. Molto importante per lo sviluppo del movimento psicoanalitico fu l'amicizia tra F. e Jung, il quale in quegli anni stava compiendo ricerche molto simili a quelle freudiane; per alcuni anni essi lavorarono insieme, sino a quando, nel 1913, l'amicizia fu interrotta clamorosamente perché Jung, come altri psicanalisti prima di lui, si rifiutava di attribuire alla sessualità quel ruolo centrale nella spiegazione dei fenomeni che vi attribuiva F.
XII) Nonostante questo, nei primi due decenni del Novecento, il movimento andava diffondendosi: nel 1908 a Salisburgo fu tenuto il primo Congresso internazionale di psicoanalisi e venne, in quell'occasione, fondata anche una rivista specialistica nel settore, alla quale collaborarono gli studiosi che già abbiamo incontrato, oltre ad altri tra cui Ferenczi, Abraham e Jones (il futuro biografo di F.). Nel 1910 si tenne a Norimberga il secondo Congresso, che sanzionò la nascita della Società Psicoanalitica Internazionale, di cui Jung fu nominato presidente, mentre al gruppo di Vienna andò il controllo della rivista.
XIII) La vita del movimento fu molto turbolenta, caratterizzata da continui abbandoni e dissensi dalle posizioni di F., il quale continuò comunque a lavorare assiduamente e producendo molti risultati. Oltre a rivedere continuamente alcune sue posizioni, egli cerca ora di delineare i principi di una nuova psicologia sistematica e alle possibili applicazioni delle procedure psicoanalitiche ad altri campi delle scienze umane e storico-sociologiche, senza dimenticare l'arte e la letteratura, dove cercherà di dimostrare in quale modo la psicoanalisi può aiutare a comprendere sia l'artista che l'opera d'arte (Scritti sull'arte, la letteratura e il linguaggio). Escono così in questi anni opere come Al di là del principio del piacere (1920), L'Io e l'Es (1923), Casi clinici (1924) e Introduzione alla psicoanalisi (contenente testi di lezioni tenute fra il 1915 e il 1917, integrate poi nel 1932). Opere di psicologia sistematica sono Metapsicologia (1915), Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (saggio di carattere psico-sociologico, che esce nel 1915), Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921), Avvenire di un'illusione (1927), il celebre Disagio della civiltà (1929). Quindi opere di carattere storico-psicoanalitico, come Totem e tabù (1913) e Mosè e il monoteismo (1938). L'attività di F. fu enorme, se consideriamo che nel 1923 fu colpito da un cancro alla mascella che gli procurò sofferenze infinite e numerose dolorose operazioni. Muore il 23 settembre del 1939.
Analisi sistematica del pensiero
XIV) Rifacendosi ad una concezione tardo-positivistica, F. delinea una concezione dinamico-energetica dell'essere umano. Egli parla più volte di una energia psichica che ogni individuo avrebbe in una determinata quantità; questa energia alimenta un fenomeno che nella psicologia freudiana ha la massima importanza: il fenomeno pulsionale. In senso generale la pulsione esprime le spinte dell'organismo verso determinate mete: essa, a differenza dello stimolo, trae origine da fonti di stimolazione interne al corpo, agisce con una forza costante e la persona non vi si può sottrarre, come invece può fare con lo stimolo.
XV) Nella pulsione possiamo distinguere fonte, oggetto e meta. La fonte è uno stato di eccitamento nel corpo, la meta è l'eliminazione di tale eccitamento; lungo il percorso dalla fonte alla meta, la pulsione diviene psichicamente attiva.
XVI) F. distingue fra pulsioni dell'Io e pulsioni sessuali: mentre le prime tendono all'impegno nella realtà, le seconde tendono al piacere ed entrano in contraddizione con quelle dell'Io. In un secondo tempo F. aggiunge le pulsioni di Morte ed Eros, e sviluppa la tesi secondo cui nell'uomo esisterebbe, accanto a una tendenza alla conservazione e allo sviluppo della vita e dell'eros, anche una tendenza all'autodistruzione, al dissolvimento di se stessi. F. chiama le pulsioni sessuali anche con il nome di pulsioni libidiche: inizialmente egli intendeva per libido la somma delle energie vitali, poi ha ristretto il riferimento del termine alle sole sessuali, in polemica per questo con Jung. Egli descrive la libido come una forza cieca e irrazionale, violenta e incoercibile come la fame; nonostante promuova l'incontro tra i sessi, essa è intimamente asociale, perché induce l'individuo a ricercare il proprio piacere personale e ad investire cariche energetiche in obiettivi edonistici. La libido sospinge l'essere umano verso il piacere, a scapito del lavoro nella realtà, per cui la sua vita sarà attraversata dal conflitto tra il principio di piacere e il principio di realtà.
XVII) Dall'analisi delle pulsioni, F. perverrà ad elaborare la sua più matura concezione della personalità umana; era arrivato col bipartire la personalità umana in dimensione conscia e dimensione inconscia. Dirà poi che questi due processi tendono a trasformarsi l'uno nell'altro. In un secondo tempo, egli pone fra conscio e inconscio il preconscio (un inconscio latente che diventa facilmente conscio). Ma dopo una lunga riflessione egli comprende che le forze che sono alla base della vita profonda non sono quelle da lui indicate in un primo momento nel conscio, inconscio e preconscio, ma l'Es, il Super-io e l'Io.
XVIII) Es è un termine tedesco che indica il pronome neutro della terza persona singolare; con esso F. intende designare la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità, che è una sorgente organica di energie pulsionali non organizzate, che fluiscono in una dimensione atemporale, operando al di fuori delle consuete categorie logiche e da qualsiasi nozione di valore o di bene, di male o di moralità. Questa dottrina dell'Es assume un'importanza fondamentale nel F. maturo, in cui l'essere umano appare fondato su questa base energetica, che non rispetta né le categorie kantiane né tanto meno le leggi morali, e agisce secondo direttive appartenenti a tutt'altro ordine di motivazioni e di finalità. Non sono estranee a questa concezione gli echi di una certa filosofia di Schopenhauer e di Nietzsche.
XIX) L'Es è inconscio, ma tende ad affiorare a livello cosciente; anche il Super-io è largamente inconscio, pur potendo elevarsi a coscienza: ecco in che senso appare superata la precedente rigida suddivisione in conscio e inconscio (cui F. aggiunse il preconscio). In F. il Super-io rappresenta quella che può essere definita la coscienza morale: è una sorta di censore che giudica gli atti e i desideri istintivi dell'uomo (facendogli provare piacere o rimorso, e guidandolo nelle decisioni). Questa coscienza si distacca però da quella dei moralisti antichi e moderni, in quanto non è innata nell'uomo e non sempre svolge un'azione benefica. Il Super-io nasce nel bambino, inizialmente libero da qualsiasi principio morale, per effetto del potere condizionante dei genitori; a un certo punto della sua evoluzione il bambino interiorizza, sotto forma appunto di Super-io, l'autorità familiare. Ma mentre nell'autorità dei genitori vi era anche un elemento affettivo, nel Super-io rimane solo l'elemento proibitivo e punitivo, per cui spesso diventa fonte di infelicità.
XX) Nato dall'influsso dei genitori, il Super-io può poi essere sviluppato da quelle persone che si sono sostituite ai genitori (figure ideali, insegnanti). Con tutte queste persone è avvenuto il processo di identificazione, attraverso il quale l'Io del soggetto viene in parte scisso da se stesso, assimilato all'Io di un altro individuo ed eretto a censore della nostra vita. Il Super-io svolge una funzione positiva quando obbliga l'Io a non ascoltare solo la voce delle pulsioni ma a dare ascolto anche alla realtà, ma è anche il veicolo che trasmette miti e pregiudizi di ogni sorta. E' questa una dottrina che ha importanti conseguenze etiche e filosofiche, in quanto riproblematizza il concetto di coscienza morale, nonché pedagogiche, in quanto getta nuova luce sull'evoluzione del bambino e sui suoi rapporti con i genitori. Sul piano sociologico cambia invece il rapporto dell'uomo con i suoi miti, e quello dei governanti con i governati in certi regimi (per F. la massa è un insieme di singoli che hanno inserito nel loro Super-io la medesima persona, identificandosi fra loro nel proprio Io in base a questo elemento comune). Queste concezioni della massa appaiono nella Psicologia delle masse, scritta nel 1921: dieci anni più tardi, l'avvento del nazismo pare confermare queste teorie.
XXI) Dopo Es e Super-io, si tratta di vedere che cos'è l'Io per F. Egli lo definisce come quella parte dell'Es che è stata modificata dalla vicinanza del mondo esterno, definizione che non delinea in modo molto chiaro la portata dell'Io. L'Io è condizionato dalle proprie pulsioni libidiche, dal complesso dei principi e valori morali recepiti dall'interno (Super-io) e dalla realtà esterna. L'io è quindi minacciato dl mondo esterno, dal Super-io e dall'Es, e reagisce alle loro esigenze spesso inconciliabili sviluppando angoscia. La funzione dell'Io è una funzione amministrativa, che F. chiama economica, proprio perché si occupa di amministrare l'influsso dei tre elementi che abbiamo visto essere predominanti. In questa concezione si può vedere anche un riflesso della situazione precaria dell'uomo nel mondo moderno.
XXII) L'obiettivo di F., che si manifesta nella celebre affermazione "Dov'era l'Es, deve diventare Io", è quello di portare l'uomo alla consapevolezza delle forze che lo condizionano; da questa consapevolezza doveva scaturire automaticamente la liberazione psicoanalitica, ma la realtà ha mostrato che la psicoanalisi, se è riuscita nel compito di consapevolizzare, non è sempre riuscita in quello di creare qualcosa di nuovo e alternativo al modello culturale dominante.
XXIII) Proprio perché spesso l'individuo non riesce a costruire quegli equilibri interni di cui ha bisogno, cade vittima di qualche malattia mentale. F., contrariamente a quanto si crede, non ha mai pensato di poter intervenire in qualche caso di disturbo mentale: egli si è occupato solo di alcuni casi di nevrosi. Per F. la nevrosi è un rapporto inadeguato fra le fondamentali componenti della vita psichica dell'individuo; in modo particolare è affetto da nevrosi l'individuo nel quale determinate forze impediscono alla libido di scaricarsi in modo soddisfacente. In genere la nevrosi nasce quando il conflitto fra pulsioni sessuali (libidiche) e altre funzioni supera un certo livello. I modi in cui questa pressione libidica può essere bloccata, sono chiaramente determinati da F., mentre le cause sono infinite, e l'analista le deve cercare per poter aiutare il soggetto a superare la nevrosi. La situazione più frequente è quella, come già abbiamo visto, in cui la pulsione libidica non riesce a scaricarsi in modo soddisfacente: questo può accadere per effetto di un intervento del Super-io, che in nome di qualche principio morale considera illecito quel piacere, e ne proibisce quindi il raggiungimento da parte della libido; allora l'Io, per placare un conflitto interiore divenuto troppo doloroso, cerca di eliminare la causa di questo conflitto. Constatando l'impossibilità di rimuovere il veto espresso dal Super-io, esso opererà sulla propria pulsione libidica, rimuovendola. La rimozione è infatti una funzione dell'Io mediante la quale l'individuo allontana dal proprio orizzonte cosciente la causa del conflitto. La procedura appare semplice, anche se dolorosa, ma non sempre sortisce l'effetto desiderato: una volta rimossa infatti, la pulsione libidica mantiene la sua energia psichica, solo che questa passa dal piano conscio a quello inconscio, da dove continua sotto altre forme più o meno intense a manifestare la propria presenza. La testimonianza dell'operazione di rimozione compiuta dall'Io e dalla presenza dell'impulso rimosso, è fornita dal sintomo.
XXIV) L'itinerario psicanalitico che abbiamo delineato, giunge alla sua fase finale quando esplica un'azione terapeutica. Abbiamo già visto che l'obiettivo di F. è quello di far procedere l'inconscio sino alla coscienza; ora si tratta di vedere in quali modi l'analista conduce il paziente a questo processo di consapevolizzazione. Il processo terapeutico tende a disvelare nel paziente quei conflitti che in un'epoca più o meno remota hanno indotto un'azione nevrotica: in uno stato di rilassatezza psico-fisica, il paziente è invitato a raccontare i propri sogni, le proprie fantasie e le vicende più intime. A forza di raccontare il paziente raggiunge episodi lontani ,nascosti nelle pieghe della memoria, sino a giungere alla scoperta dell'episodio che è alla base della nevrosi. Rivivrà così quell'episodio che ha indotto l'Io a negare alla libido un certo suo soddisfacimento, rimuovendo un determinato impulso libidico e spingendolo così a determinare la propria azione sotto forma di sintomi, i quali disturbano in modo più o meno grave la vita normale dell'Io. Il paziente guarirebbe se il conflitto fra il suo Io e la sua libido avesse fine e il suo Io disponesse della facoltà di disporre della sua libido. siccome la libido del nevrotico si trova legata ai sintomi, si tratta di aggredire questi sintomi, individuarne la genesi e dissolvere quest'ultima dissolvendo in questo modo anche i sintomi medesimi, riportando così l'energia libidica ad un corretto rapporto con l'Io. Per raggiungere questo risultato l'analista si serve di tutti i mezzi disponibili (sogni, lapsus, fantasie, desideri): tutto può servire per arrivare alla fonte del conflitto del nevrotico. Grazie alla collaborazione del paziente, l'analista riuscirà a portare alla luce della coscienza quell'episodio che, messo a nudo e ridimensionato dal paziente, perderà la sua carica disturbatrice. Si tratta naturalmente di un lavoro lungo e faticoso, che richiede comunque molta collaborazione da parte del paziente.
XXV) Non sempre però la terapia raggiunge i risultati sperati: a volte le resistenze che il paziente oppone, nonostante la volontà di guarire, impediscono di scoprire la causa della nevrosi (questo accade in modo particolare per certi tipi di nevrosi particolarmente gravi). Per far fronte a questa situazione F. ha elaborato la dottrina, molto discussa, del transfert (o traslazione). F. parte dalla considerazione che alla forza esercitata dal conflitto nevrotico non si può reagire con le sole parole; per combattere la forza sprigionata dalla resistenza, occorre reagire con una forza uguale e contraria. Ad un processo conoscitivo occorre sostituire un processo pratico-affettivo. Occorre insomma utilizzare contro la forza della resistenza operante nell'individuo nevrotico un'altra forza (pratico-affettiva) agente anch'essa in tale individuo.
XXVI) F. ha compreso che era possibile applicare una forza di questo tipo, grazie alla sua esperienza professionale: egli si è accorto che con grande frequenza i propri pazienti si legavano affettivamente a lui, sia donne che uomini. La spiegazione di questo fenomeno, secondo F., risiede nel fatto che gli individui nevrotici sono tutti carenti, per un motivo o per l'altro, a livello affettivo, e quindi trasferiscono il loro desiderio insoddisfatto nell'analista. Non si tratta necessariamente di un desiderio erotico-sessuale, perché la libido è un'energia multiforme e complessa che si può manifestare anche sotto l'aspetto di amore filiale o di altro affetto di natura analoga. Quello che è più importante comunque, è il fatto che il paziente, una volta "innamoratosi" dell'analista, è attivissimo nelle sedute terapeutiche. La traslazione della propria energia libidica nella persona dell'analista induce l'individuo nevrotico a sforzarsi in ogni modo di compiacere il desiderio conoscitivo dell'analista medesimo.
XXVII) In certi momenti F. ha guardato al transfert come al momento decisivo della terapia psicoanalitica, al punto di affermare che certe malattie nevrotiche non sono curabili perché non è possibile il transfert. Nel narcisismo, ad esempio, il malato ha investito tutta la propria libido nel suo Io; l'impossibilità di farlo uscire da questo circuito affettivo rende impraticabile la terapia psicoanalitica, basata sul rapporto affettivo paziente-medico.
XXVIII) Al tempo stesso il transfert può divenire anche un grosso pericolo, in quanto l'innamoramento del paziente può portare a tacere certi episodi per paura di una riprovazione dell'analista; il transfert, come ogni innamoramento, potrebbe suscitare anche sentimenti di odio, ostili alla prosecuzione della pratica psicoanalitica; potrebbe inoltre determinare una situazione di dipendenza del paziente nei confronti del proprio medico, la quale ostacola quel consolidamento dell'Io e della sua autonomia che è l'obiettivo primario della terapia psicoanalitica.
XXIX) F. ha sempre respinto ogni rigida contrapposizione fra sanità e disturbo mentale ed ha affermato che tutti gli individui hanno uguali possibilità di cadere in situazioni nevrotiche e che nessun essere umano è tanto sano da non aver compiuto almeno qualche rimozione e da non essere vittima di almeno qualche conflitto tra le proprie forze pulsionali. La nevrosi viene vista dal pensatore viennese non come un'anormalità, ma anzi come la prerogativa dell'uomo rispetto agli animali, perché solo nell'uomo si può riscontrare quel processo di sdoppiamento delle proprie energie profonde per il quale alcune si incarnano in pulsioni sessuali ed altre in pulsioni connesse alla conservazione dell'Io, divergendo a tal punto da creare costantemente conflitti interiori più o meno gravi.
XXX) F. ritiene inoltre che non tutte le nevrosi debbano essere eliminate, perché a volte l'individuo instaura con la sua nevrosi un equilibrio che potrebbe essere interrotto dalla terapia e potrebbe quindi portare all'insorgere di fenomeni nevrotici più gravi. Vi sono quindi dei casi in cui si ritiene che lo sfociare di un conflitto nella nevrosi rappresenti la soluzione più innocua e socialmente più tollerabile. La fuga del nevrotico in alcuni casi è l'unica risposta in grado di impedire il crollo dell'individuo di fronte alle difficoltà della vita.
Le ricerche storico-religiose
XXXI) Nell'ultima parte della sua vita, F. si dedicò a ricerche di carattere storico, antropologico e sociale, che lo portarono ad applicare i suoi principi psicoanalitici alla cultura in genere. F. precisa che in questi lavori ha dato corso alla libera speculazione, per cui i risultati non sono da collocare sullo stesso piano della dottrina psicoanalitica generale; resta comunque a questi lavori il merito di aver indicato tutta una serie di problemi ai quali la psicoanalisi potrebbe dare una soluzione.
XXXII) In "Totem e tabù" F., che da tempo era impegnato in un'intensa ricerca sull'origine anche storica del sentimento di colpa accertabile nell'uomo associato non meno che nell'individuo singolo, propone un'ipotesi in parte mutuata da Darwin. All'alba della storia dell'umanità gli uomini vivevano in orde capeggiate da un maschio padrone di molte donne e padre di innumerevoli figli. Gli altri uomini erano costretti a cercarsi delle compagne fuori della tribù, e le donne di questa erano destinate ad accoppiarsi solo col capo dell'orda. A un certo punto i giovani maschi hanno deciso di ribellarsi a questa situazione uccidendo il capo-padre. Tale gesto ha liberalizzato la situazione sessuale (e anche politica) in seno all'orda, ma ha indotto negli autori del parricidio un fortissimo senso di colpa e un conseguente desiderio di espiazione.
XXXIII) Questa ricerca di F. si ricollega ai suoi studi sul complesso di Edipo e in genere sulla centralità, entro la vita psicologica dell'individuo, dei suoi rapporti col padre; si connette inoltre alla riflessione freudiana sulla religione, sviluppata in modo sistematico nell'Avvenire di un'illusione. In quest'ultima opera F. (che qui si rivela legato ad un certo tipo di cultura materialistico-positivistica diffusa in Germania verso la fine dell'Ottocento) spiega la religione in chiave esclusivamente antropologico-psicologica, o meglio antropologico-psicoanalitica. A suo avviso infatti, la religione si fonda solo sui bisogni e sulle angosce dell'uomo; a livello sociale poi la religione serve a mantenere un determinato sistema di leggi e di norme. Secondo F. l'umanità moderna dovrebbe liberarsi da quel complesso di illusioni che sono le credenze religiose. F. però non nota ancora nell'uomo un cambiamento in questa direzione e ritiene quindi che l'uomo non abbia attinto ancora il necessario livello di maturità e di saggezza (anche se resta convinto che il progredire del sapere avrebbe spazzato via ogni forma di religione).
XXXIV) Nel saggio su Mosè e il monoteismo F. riprende alcuni temi di "Totem e tabù", ma aggiunge una riflessione sull'ebraismo e sull'antisemitismo resa drammaticamente attuale dalle grandi persecuzioni antisemite perpetrate dal nazismo. A parte la tesi che Mosè fosse un egiziano, la prima parte del lavoro sostiene che gli Ebrei hanno ucciso in Mosè il loro padre, seguendo in questo lo schema delineato in "Totem e tabù". Per questo essi hanno poi provato un forte sentimento di colpa e hanno sempre oscillato nel trascorrere del tempo fra l'odio e l'obbedienza nei confronti di Mosè. Nell'accusare gli Ebrei di aver ucciso Dio (il padre) molti popoli hanno in qualche modo ripreso la teoria freudiana, convalidandola. L'antisemitismo secondo F. si fonda comunque su basi ben più complesse di queste. In particolare si basa sull'ostilità verso una popolazione molto antica e dimostratasi capace di mantenere una notevole compattezza etnica e culturale, mai distrutta dalle moltissime persecuzioni di cui è stata fatta oggetto. Si fonda inoltre su un inconscio sentimento di invidia nei confronti di un popolo ritenuto il favorito del Signore. Si fonda infine su una serie di fattori inconsci, quali l'orrore per la circoncisione (evocante l'idea della castrazione), che possono essere spiegati con strumenti psicoanalitici.
XXXV) Un discorso a parte merita il Disagio della civiltà: questo saggio del 1929, che in più punti è abbastanza generico e legato più ad alcune considerazioni occasionali e soggettive che non ad un'analisi sistematica e approfondita, si presenta come una delle opere più interessanti di F., punto di riferimento per molte analisi psico-sociali contemporanee.
XXXVI) In quest'opera F. si propone di analizzare la genesi e le funzioni della civiltà dal punto di vista dell'individuo e della sua felicità; analizza le cause dell'infelicità umana e i modi per porvi rimedio. Sempre in base ai principi di felicità ed infelicità dell'individuo F. passa poi ad analizzare l'essenza stessa della civiltà, per rivelare elementi tradizionali ma anche fattori che pongono grossi interrogativi. E' il caso dei principi/valori di bellezza, pulizia ed ordine (tipici della civiltà occidentale), che negano certi istinti umani e certe esigenze. Per F. caratteristica fondamentale della civiltà è la sostituzione del potere della comunità a quello del singolo, per cui essa si identificherebbe in tutta una serie di limitazioni della libertà dell'individuo. Nell'imporre un potere esterno alla persona dell'individuo, nel limitarne la libertà individuale, la civiltà provoca dei danni gravissimi all'individuo medesimo, in quanto obbliga l'uomo a inibire un numero considerevole di desideri e di pulsioni, a rinunciare al soddisfacimento di molte esigenze profonde del suo essere, ovvero a deviarle in atti che non soddisfano pienamente l'individuo.
XXXVII) La vita libidica dell'individuo risulta quindi chiaramente danneggiata, e F. spiega questo fatto dicendo che la società non può rinunciare all'energia dei suoi membri e deve quindi obbligare ognuno di essi ad investire, attraverso opportune sublimazioni, l'energia libidica in prestazioni di tipo sociale. Di conseguenza diminuirà l'energia di cui il singolo può disporre per soddisfare le proprie esigenze di un piacere personale. Ma la società non si accontenta di questo e cerca con vari mezzi (tra cui il processo di identificazione) di spersonalizzare i propri membri, eliminando la ricerca individuale della felicità e diventando per costoro il modello in cui riflettersi, o ancor più il polo cui aggregarsi con vincoli libidici. Bisogna osservare che i regimi totalitari che si andavano insediando in quegli anni sembravano confermare queste tesi: i dittatori riuscivano, attraverso diversi meccanismi di persuasione, ad incarnare agli occhi delle masse la figura del padre, suscitando così in essi istinti di attrazione libidica e di identificazione. Anche senza arrivare al caso estremo dei regimi totalitari, F. nota che ogni civiltà, in quanto tale, tende a reprimere la vita libidica del singolo e la ricerca individuale della libertà e del piacere, attraverso l'imposizione di valori, principi e norme di comportamento lontani dalle esigenze profonde dell'essere umano.
XXXVIII) Questo non significa che F. condanni la società senza appello; egli appare anzi comprensivo nei confronti delle situazioni che hanno portato le varie civiltà ad elaborare queste forme di repressione, in quanto per lui l'uomo è un essere malvagio, di cui una delle pulsioni più profonde è l'aggressività. Se all'uomo fosse permesso di dare libera espressione ai suoi istinti qualsiasi vincolo intersoggettivo verrebbe spezzato (come per Hobbes, anche per F. l'uomo è un lupo per l'altro uomo). Si pone quindi la necessità di reprimere questi istinti distruttivi.
XXXIX) La civiltà si adopera con molto impegno nel reprimere questi istinti dell'uomo, in particolare attraverso l'instaurazione del Super-io e del sentimento di colpa. Attraverso l'opera educativa poi la società prosegue nell'individuo l'opera paterna (consolida il Super-io familiare e vi aggiunge un nuovo Super-io di carattere sociale).
NUOVA SINTESI
Considerazioni critiche
I limiti della psicanalisi
La grande illusione della psicanalisi è stata quella di credere che i sintomi nevrotici scompaiono quando se ne scopre il senso, quando cioè il paziente ne accetta consapevolmente la spiegazione sulla loro origine. Sotto tale aspetto, la psicanalisi freudiana va considerata come una filosofia idealistica, poiché affida al pensiero un ruolo catartico decisivo. In verità oggi, più che mettere il nevrotico colle spalle al muro, di fronte alle sue responsabilità, la psicanalisi si limita a rassicurarlo dicendogli che il suo è un "male comune". Anche perché le psicosi affermano ciò che la psicanalisi ha sempre negato: il rimosso resta rimosso, anche se il soggetto ha coscienza di sé e dell'origine del suo male.
Non a caso Freud è arrivato persino ad affermare, nel Disagio della civiltà (1931), che la cultura diventa sempre più incapace di frenare le grandi pulsioni aggressive della società moderna. Egli però continuava a parlare di pulsioni istintive, connaturate all'uomo, e non di condizionamenti sociali. In tal modo non faceva altro che giustificare il declino della civiltà borghese.
Della sua psicanalisi si può soltanto accettare l'idea che la rimozione non cancella definitivamente certe esperienze, ma le trasferisce nell'inconscio, in quanto nulla che l'uomo abbia vissuto può andare definitivamente perduto. Non è tuttavia l'inconscio (l'ES) ad avere pulsioni irrazionali che l'IO deve controllare: il primato spetta sempre alla coscienza; non esistono istinti di morte e di distruzione strutturali all'essere umano, poiché, se così fosse, la coscienza sarebbe destinata a soccombere. Dobbiamo invece pensare che sarà proprio l'inconscio a scomparire col progresso della verità storica. E' la forza stessa delle psicosi, la loro assoluta gravità che, indirettamente, ci lascia capire quanto sia precario il destino dell'inconscio. Gli uomini, infatti, possono relegare nei labirinti dell'inconscio tutto quello che vogliono, ma non per un periodo illimitato. Individualmente possono farlo sino alla morte, ma non come genere umano. La rimozione è destinata irreversibilmente a esplodere come una pentola a pressione con la valvola otturata.
Ciò che è stato rimosso deve essere risolto, con decisione e obiettività. L'uomo deve accettarsi coi limiti che lo caratterizzano, allo scopo di migliorarsi progressivamente. E' la prassi concreta del rapporto sociale umano che può far superare ogni antagonismo lacerante.
In fondo è una posizione di comodo quella di chi sostiene che, siccome non è possibile vivere una piena liberazione umana nella società borghese, bisogna affermare (o salvaguardare) i desideri istintivi, le pulsioni egoistiche: quelle che fino a ieri la società borghese reprimeva per contenere il dissenso e che oggi promuove per la stessa ragione. Non è forse vero che la società borghese ha ereditato la lezione freudiana facendo della rivoluzione sessuale una cavallo di battaglia per autoriprodursi?
La posizione dunque è di comodo perché si rinuncia a lottare per i cambiamenti oggettivi della struttura economica (al massimo si lotta contro l'ipocrisia di certa morale religiosa); ma è anche una posizione illusoria, poiché pretende di appellarsi a una presunta pulsione primordiale incondizionata per garantire un'opposizione al sistema, dimenticando che la società borghese ha il potere di condizionare gli individui fin nel midollo delle loro ossa. O forse la psicanalisi vuole continuare ad affermare che la maturità dell'individuo dipende dalla rinuncia (sublimazione) del desiderio istintivo, ovvero dalla capacità che ha di mediare le sue pulsioni con le esigenze del reale, per cui la "maturità" o la "normalità" coinciderebbe con la "conformità" alle leggi del sistema?
Freud era partito bene, costatando l'ipocrisia della morale borghese che impediva alle pulsioni di esprimersi con libertà e naturalezza. Poi, invece di proseguire coerentemente questo discorso, arrivando a mettere in discussione tutte le basi della società borghese (verificando le radici socio-economiche dell'ipocrisia morale in campo sessuale), ha accettato l'idea che sia necessario un compromesso tra pulsioni e realtà. L'individuo rinuncia a certi suoi desideri per poter convivere con altri individui. Nella maturità Freud sarà poi costretto ad elaborare la teoria delle "pulsioni di morte", rendendosi conto che il suddetto compromesso portava comunque alla nevrosi e non aiutava a vincere l'ipocrisia. Solo che la "pulsione di morte" è una teoria che giustifica la stessa società borghese, in modo ancora più pessimistico.
Freud non ha potuto far prevalere le "pulsioni di vita" sulla realtà perché le pulsioni fondamentali da lui descritte (anche quelle giudicate "positive", come ad es. la ricerca del piacere) sono chiaramente anti-sociali, in quanto già condizionate dallo stile di vita borghese. Freud non ha mai elaborato una teoria delle pulsioni veramente alternativa a quella esperienza pulsionale alienata che si verifica nella società borghese.
Lo stesso contenuto della tragedia di Edipo re, trasferito (non senza forzature) nell'ambito della società borghese, lascia intendere che la realtà delle pulsioni primordiali non può accampare maggiori diritti della morale borghese. Il desiderio di uccidere il padre e di realizzare l'incesto colla madre (che peraltro nella tragedia avviene in modo del tutto inconsapevole) è appunto il frutto di una società antagonistica, basata sulla contrapposizione dei soggetti (che si escludono a vicenda). E' assurdo giustificare l'incesto col dire che il padre era autoritario. Freud non l'ha mai fatto, ma la soluzione che ha proposto non risolve certo il problema dell'antagonismo, che è strettamente connesso a motivazioni di carattere socio-economico. In fondo il mito di Edipo re ha potuto essere utilizzato da Freud perché le due società (schiavistica e borghese) soffrono di una medesima contraddizione. Ma quel mito non ci aiuta affatto a comprendere le radici ultime di tale contraddizione, che vanno ricercate nell'alienazione che divide l'uomo dal suo lavoro e dalla proprietà delle cose.
Inconscio e coscienza
L'inconscio non può contenere qualcosa di essenziale di cui non si possa prendere coscienza. Se esiste una struttura del genere, all'uomo non può interessare, in quanto del tutto inutile. Viene qui in mente la celebre frase di Wittgenstein: "Su ciò di cui non si può parlare è meglio tacere".
L'inconscio ha senso se lo consideriamo come una "porta aperta", che può essere soggetta a stimolazioni positive, cioè a ricevere degli input tali per cui le cause di certi sintomi (o comportamenti anomali) possono emergere alla coscienza del soggetto (ed essere da lui risolti).
L'inconscio può conservare aspetti che la coscienza ha rimosso, ma questi aspetti vengono tenuti rimossi dalla coscienza non dall'inconscio. E' la coscienza che decide e ridecide di tenerli nascosti quando qualcosa (o qualcuno) la stimola a fare il contrario. Le nevrosi, in fondo, possono aumentare d'intensità proprio al cospetto d'una alternativa alla rimozione, anche se l'ottimismo ci deve portare ad affermare il contrario, altrimenti con il pretesto che le nevrosi aumentano si finisce col legittimare l'oppressione crescente del regime. Come quando Stalin sosteneva che l'edificazione del socialismo comportava l'intensificazione della lotta di classe.
L'inconscio può forse essere un’àncora di salvezza per quella coscienza che non sa come recuperare l'identità di sé? Relativamente. Nell'inconscio infatti possono essersi conservati degli elementi positivi che la coscienza ha smarrito: elementi che possono essere stati rimossi a causa di condizionamenti esterni... Ma questi elementi non hanno alcun significato finché la coscienza non li recupera. Nell'inconscio infatti possiamo aver conservato l'innocenza di quando eravamo bambini e che i rapporti borghesi basati sull'interesse e sul profitto ci hanno fatto perdere, ma se la coscienza non cerca di recuperare una nuova dimensione dell'innocenza, cioè della giustizia, della verità, dell'onestà, contestando il valore dei rapporti borghesi, quell'innocenza infantile, anche se conservata a livello inconscio, non ci sarà di alcun aiuto. Ecco perché tutte le forme nostalgiche di ritorno all'infanzia, usate per contestare indirettamente la società borghese, sono solo una "fuga dalla realtà", una sorta di contemplazione del passato.
Quando Freud dice che l'inconscio è il luogo delle rappresentazioni rimosse, dà per scontato che le rimozioni siano eventi negativi, in quanto riteneva formali certi valori borghesi. In realtà vi sono anche rimozioni positive, che limitano certi istinti egocentrici stimolati da questa società borghese per esigenze di profitto. Il soggetto dovrebbe capire che la rimozione di certi istinti serve a tutelare la dignità umana, mentre la loro stimolazione la degrada. Deve convincersi di questo, altrimenti si sentirà un frustrato, un diverso, rispetto alla maggioranza che invece cede agli istinti. A tale scopo, naturalmente, occorre che l'alternativa sia praticabile, suggestiva. Nessuna tensione ideale può durare all'infinito, se non s’intravedono opportunità di realizzazione.
Freud ha distrutto il moralismo (laico e soprattutto religioso) della vita privata e familiare borghese, valorizzando l'istinto sessuale o comunque la realtà del piacere individuale, ma oggi dobbiamo dire che la mancanza di rimozioni non rende più veri, più genuini i valori borghesi, o più accettabili i meccanismi di questa società.
Questi valori borghesi alienano l'uomo, siano essi vissuti con "libertà sessuale" o con angoscia e frustrazione. Ovviamente l'identità umana non è recuperabile tornando tout-court alla rimozione. Per evitare tale forzatura, occorre porre un'alternativa ai valori borghesi, cioè allo stile di vita individualistico, basato sul profitto economico. In questo senso la pulsione sessuale non può essere un'alternativa, poiché essa non costituisce un valore. Cioè essa non dice nulla sul modo come essa stessa dovrebbe essere vissuta per rendere l'uomo veramente libero da ogni alienazione. Se e quando ci sarà una vera alternativa di valore, ogni rimozione scomparirà da sé e con la rimozione scomparirà anche l'inconscio
George KERSCHENSTEINER
(1854-1932)
IV.1 - Vita e Opere
Tra i pedagogisti scientificamente maturi e provati a una lunga meditata esperienza didattica per il rinnovamento della scuola tedesca eccelle soprattutto la figura di George Kerschensteiner.
Dapprima maestro elementare, egli fu poi, ottenuta la laurea in matematica, insegnante delle scuole medie; rivoltosi in seguito ai problemi dell’educazione, venne nominato ispettore scolastico e professore onorario di pedagogia all’Università di Monaco. La sua opera principale è Il concetto della scuola del lavoro (1912).
Egli risentì principalmente l’influsso del Dewey, pur assumendo di fronte al problema del lavoro scolastico atteggiamenti fondamentalmente originali, anche in relazione ai particolari aspetti che il problema presentava in Germania.
Il Kerschensteiner pensava che la sostanza dell’educazione deve consistere nella formazione della personalità; che questa deve essere formazione civica in una Stato “di diritto e di cultura”; che il contributo del cittadino ai compiti culturali dello Stato è la professione, la quale perciò deve collocarsi al centro dello sforzo educativo; che, mentre la maggior parte dei giovani deve essere necessariamente educata al lavoro manuale, anche nello svolgimento delle attività scolastiche di studio deve dominare la stessa legge del lavoro come promotrice di “disciplina spirituale”.
IV.2 – Il lavoro come: “Disciplina Spirituale” ed “Elemento primario di cultura e di formazione morale”
Egli, da un lato, cerca un rinnovamento profondo dell’istruzione professionale vera e propria nelle classi superiori della scuola popolare, concentrando intorno ad essa ogni altro elemento di cultura; per un altro lato, introduce un’attività di lavoro anche nelle classi inferiori, non solo perché conforme allo spirito attivo del fanciullo, ma anche perché mezzo sommamente idoneo di formazione morale. Il suo concetto trovò aspre opposizioni da parte di chi vedeva nella scuola del lavoro soltanto l’educazione degradata e tecnica: soltanto il lavoro manuale e non il lavoro spirituale, morale e civico ad esso collegato, che era il vero scopo a cui egli tendeva.
La didattica del lavoro proposta dal Kerschensteiner intende sviluppare l’attività intellettuale e morale che è sempre collegata con ogni lavoro pratico.
Ad esempio, si dia al ragazzo una tavola di legno di certe dimensioni col compito di ricavarne una cassetta con certi requisiti. Egli deve farci sopra le sue osservazioni e
misurazioni, formarsi un progetto, scoprire le difficoltà, superarle con opportuni calcoli,
vagliare le possibilità di realizzazione, decidere ed eseguire: la riuscita della sua esecuzione darà la prova della bontà del procedimento seguito e metterà in evidenza gli eventuali errori e le necessarie correzioni. Si sviluppa così una regola che può definirsi in quattro gradi: Osservazione, Sintesi (progetti e ipotesi di lavoro), analisi (elaborazione ed esecuzione del progetto), verifica.
Tutto ciò ha una portata educativa di primo ordine, in quanto è formazione all’obiettività, cioè a trattare, stimare e realizzare le cose per il loro effettivo valore, e quindi formazione alla moralità, poiché la moralità consiste appunto nell’anteporre il valore obiettivamente pregevole a quello che è pregevole solo soggettivamente. Lo spirito si tempra e si matura nell’accettazione di questa legge dell’obiettività, che impone la sottomissione alle norme tecniche d’ogni processo produttivo come condizione della sua riuscita, anche a costo di duri sforzi e di penose fatiche: solo a questo prezzo si avrà la soddisfazione di produrre qualche cosa d’utile a sé ed agli altri.
Il Kerschensteiner ritiene che lo stesso procedimento possa e debba applicarsi anche al lavoro intellettuale: e ne dà l’esempio su una versione del latino.
E’ stato però giustamente osservato che questa concezione non può estendersi alle attività propriamente creative dello spirito: il che costituisce un limite alla sua affermazione, che ogni bene di cultura sia “energia latente” trasformabile, attraverso il lavoro, in “energia cinetica”, cioè in azione produttiva: l’uomo non si realizza soltanto nel “fare”.
Oltre all’educazione al lavoro, il Kerschensteiner assegna alla scuola il compito di moralizzare la funzione professionale e quello di promuovere il miglioramento etico dell’organismo sociale nel quale la professione deve essere esercitata. La professione infatti è considerata prima come fonte di guadagno personale: punto di vista legittimo ma insufficiente e facilmente degenerabile in forme illecite di concorrenza e d’inganno: occorre dunque che la scuola si organizzi come comunità di lavoro che si attui nella cooperazione e nella solidarietà, in una tensione d’affettivo perfezionamento, in spirito d’onestà e di responsabilità. Su questo punto fu però osservato dal Foerster che occorreva anche una adatta cura dell’anima e una sistematica chiarificazione del giudizio morale, come difesa contro le eventuali tentazioni dell’egoismo corporativo non meno dannoso dell’egoismo personale. Il Kerschensteiner accettò l’osservazione, ma non ne trasse particolari sviluppi.
Nella comunità scolastica di lavoro, vivaio di virtù sociali, il futuro cittadino acquista la capacità di contribuire al miglioramento dello Stato, la comunità morale che progredisce storicamente verso l’ideale di “Stato di cultura e di diritto”. Ciò non soltanto mediante l’educazione professionale, ma anche organizzando la propria vita come in un “corpo sociale autonomo”, nel quale gli alunni siano esercitati a forme di autogoverno.
Però, su questo punto, il Kerschensteiner appare titubante tra una tendenza educativa veramente democratica, come la trovava Dewey e nell’esempio americano, e la concezione hegeliana dello Stato assoluto ancora prevalente in gran parte della cultura tedesca.
Jean Piaget: psicologo svizzero
(Neuchâtel 1896 - Ginevra 1980)
Studiò scienze naturali all'Università di Neuchâtel, laureandosi nel 1918. Si dedicò in seguito, sotto la guida di E. Claparède, a studi di psicologia dell'infanzia, perfezionandosi a Ginevra e a Parigi. Nel 1922 divenne professore di psicologia dell'età evolutiva dell'Istituto J.-J. Rousseau fondato a Ginevra da Claparède e nel 1940 ne fu nominato direttore. Nel 1955
creò, sempre a Ginevra, il Centro Internazionale d'Epistemologia Genetica.
Le ricerche di P. si sono rivolte soprattutto alla psicologia dell'età evolutiva, e in particolare allo sviluppo dell'intelligenza, descritta nelle sue varie operazioni nell'intero arco dello sviluppo intellettuale, dalla nascita all'adolescenza. Egli critica sia le impostazioni di tipo associazionista (che definisce “genesi senza struttura”), sia quelle di tipo gestaltista (“struttura senza genesi”). Secondo P. il bambino attraversa una serie di fasi evolutive e ogni fase ha una sua strutturazione che la rende qualitativamente, e non solo quantitativamente, diversa da quella precedente.
La prima fase (divisa a sua volta in vari altri periodi) è quella senso-motoria. L'intelligenza, infatti, si sviluppa secondo P. su una base “pratica”, attraverso l'azione. All'inizio il bambino ha a disposizione solo un corredo innato di riflessi, le sue percezioni non sono né coordinate tra di loro, né coordinate alle azioni.
Progressivamente si formano le prime abitudini, le prime coordinazioni tra percezione e azione. Hanno in questo grande importanza le cosiddette reazioni circolari, processi particolari che fanno sì che il bambino compia delle azioni per il solo piacere di compierle, e che quindi conducono a ripetere e perfezionare certi schemi d'azione.
Gli schemi d'azione progressivamente acquisiti vengono perfezionati e interiorizzati, nella ricerca naturale da parte del bambino di un adattamento all'ambiente, adattamento inteso in termini di equilibrio attivo e che si compone di due processi in stretta interdipendenza tra di loro: l'assimilazione (l'incorporazione, cioè, nei propri schemi mentali delle offerte dell'ambiente) e l'accomodamento (la modificazione, cioè, del comportamento sulla base delle richieste ambientali). Gli schemi d'azione interiorizzati sono ancora irreversibili: il bambino, cioè, è incapace di formare nozioni complesse utilizzando il pensiero simultaneo di due o più fasi di un evento o di due o più fasi dell'esplorazione percettiva di un oggetto.
Il possesso di schemi d'azione interiorizzati reversibili segna l'ingresso nella fase dell'intelligenza operatoria concreta dalla fase dell'intuizione: intelligenza operatoria in quanto gli schemi d'azione reversibili, strutturati in relazioni logiche dette raggruppamenti, costituiscono per P. le operazioni mentali. Si parla di operazioni concrete perché il punto di partenza è sempre costituito dalla realtà su cui direttamente si opera.
A questa fase, che va da 6 a 11 anni ca., segue quella delle operazioni astratte, che si ha con l'acquisizione delle operazioni della logica.
Estremamente importanti gli studi di P. relativi alla nuova disciplina da lui chiamata epistemologia genetica, che consiste nello studio del significato che hanno concetti quali spazio, tempo, velocità, causalità, ecc., attraverso la loro acquisizione.
Ancora ricerche fondamentali sono state condotte da P. sulla rappresentazione, sull'acquisizione del senso morale, sulla percezione, sui rapporti tra logica e psicologia, sull'animismo e sul linguaggio infantili. La sua influenza sugli studi di psicologia dell'età evolutiva è stata ed è tuttora molto importante; le sue opere, inoltre, hanno dato un rilevante apporto alla formazione del neo-behaviorismo (v. behaviorismo).
Fra le sue opere: Le langage et la pensée chez l'enfant (1923), La représentation
du monde chez l'enfant (1926), La naissance de l'intelligence chez l'enfant
(1936), Introduction à l'épistémologie génétique (1950), La genèse
des structures logiques élémentaires (1960), Sagesse et illusions de
la philosophie (1965), Où va l'éducation (1973).
Grandi e piccini
La teoria di Piaget sullo sviluppo mentale del bambino
e la critica di Vygotsky
I) La più importante teoria sullo sviluppo mentale del bambino, la prima ad averne analizzato sistematicamente, col metodo clinico di esplorazione delle idee, la percezione e la logica, è quella elaborata da Jean Piaget (1896-1980). Egli ha dimostrato sia che la differenza tra il pensiero del bambino e quello dell'adulto è di tipo qualitativo (il bambino non è un adulto in miniatura ma un individuo dotato di struttura propria) sia che il concetto di intelligenza (capacità cognitiva) è strettamente legato al concetto di "adattamento all'ambiente". L'intelligenza non è che un prolungamento del nostro adattamento biologico all'ambiente. L'uomo non eredita solo delle caratteristiche specifiche del suo sistema nervoso e sensoriale, ma anche una disposizione che gli permette di superare questi limiti biologici imposti dalla natura (ad es. il nostro udito non percepisce gli ultrasuoni, però possiamo farlo con la tecnologia).
II) Piaget ha scoperto che la conoscenza del bambino si basa sull'interazione pratica del soggetto con l'oggetto, nel senso che il soggetto influisce sull'oggetto e lo trasforma. La sua formazione strutturalistica gli ha permesso di superare i limiti sia della psicologia gestaltistica e associazionistica (Herbart), che considera l'oggetto indipendente dalle azioni del soggetto; sia delle moderne psicologie positivistiche, che vedono nei concetti il prodotto della percezione, escludendo che nella conoscenza sia vitale l'azione del soggetto sull'oggetto.
III) Piaget distingue due processi che caratterizzano ogni adattamento: l'assimilazione e l'accomodamento, che si avvicendano durante l'età evolutiva.
Si ha assimilazione quando un organismo adopera qualcosa del suo ambiente per un'attività che fa già parte del suo repertorio e che non viene modificata (p.es. un bambino di pochi mesi che afferra un oggetto nuovo per batterlo sul pavimento: siccome le sue azioni di afferrare e battere sono già acquisite, ora per lui è importante sperimentarle col nuovo oggetto). Questo processo predomina nella 1a fase di sviluppo.
Nella 2a fase invece prevale l'accomodamento, allorché il bambino può svolgere un'osservazione attiva sull'ambiente tentando altresì di dominarlo. Le vecchie risposte si modificano al contatto con eventi ambientali mutevoli (p.es. se il bambino precedente si accorge che l'oggetto da battere per terra è difficile da maneggiare, cercherà di coordinare meglio la presa dell'oggetto). Anche l'imitazione è una forma di accomodamento, poiché il bambino modifica se stesso in relazione agli stimoli dell'ambiente. Un buon adattamento all'ambiente si realizza quando assimilazione e accomodamento sono ben integrati tra loro.
IV) Piaget ha suddiviso lo sviluppo cognitivo del bambino in 5 livelli (periodi-fasi), caratterizzando ogni periodo sulla base dell'apprendimento di modalità specifiche, ben definite. Ovviamente tali modalità, riferendosi a una "età evolutiva", non sempre sono esclusive di una determinata fase.
A) Fase senso-motoria. Dalla nascita ai 2 anni circa.
E' suddivisa in 6 stadi.
Riflessi innati: dalla nascita al primo mese. Modalità reattive innate: pianto, suzione, vocalizzo ecc. che il bambino utilizza per comunicare col mondo esterno. L'esercizio frequente di questi riflessi, in risposta a stimoli provenienti dal suo organismo o dall'ambiente, porta all'instaurarsi di "abitudini". Ad es. dopo i primi giorni di vita il neonato trova il capezzolo molto più rapidamente; pur succhiando sempre il dito, lo discrimina dal capezzolo o dal ciuccio, e smette di succhiare il dito se gli viene dato il cibo. Non c'è ancora né imitazione né gioco, però il bambino è stimolato a piangere dal pianto di altri bambini.
Reazioni circolari primarie: dal 2o al 4o mese. Per "reazione circolare" s'intende la ripetizione di un'azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino esegue per ritrovarne gli interessanti effetti. Grazie alla ripetizione, l'azione originaria si consolida e diventa uno schema che il bambino è capace di eseguire con facilità anche in altre circostanze. In questo stadio il bambino, che pur ancora non riesce a distinguere tra un "sé" e un "qualcosa al di fuori", cerca di acquisire schemi nuovi: ad es. toccandogli il palmo della mano, reagisce volontariamente chiudendo il pugno, come per afferrare l'oggetto; oppure gira il capo per guardare nella direzione da cui proviene il suono. Particolare importanza ha la coordinazione tra visione e prensione: ad es. prende un giocattolo dopo averlo visto.
Reazioni circolari secondarie: dal 4o al 8o mese. Qui il bambino dirige la sua attenzione al mondo esterno oltre che al proprio corpo. Ora cerca di afferrare, tirare, scuotere, muovere gli oggetti che stimolano la sua mano per vedere che rapporto c'è tra queste azioni e i risultati che derivano sull'ambiente. Ad es. scopre il cordone della campanella attaccata alla culla e la tira per sentire il suono. Ancora non sa perché le sue azioni provocano determinati effetti, ma capisce che i suoi sforzi sono efficaci quando cerca di ricreare taluni eventi piacevoli, visivi o sonori.
Coordinazione mezzi-fini: dall'8o al 12o mese. Il bambino comincia a coordinare in una sequenza due schemi d'azione (p.es. tirare via un cuscino per prendere un giocattolo sottostante). In tal modo riesce a utilizzare mezzi idonei per il conseguimento di uno scopo specifico. L'intenzionalità si manifesta anche nella comunicazione con gli adulti (ad es. punta il dito verso il biberon per farselo dare). Inizia inoltre a capire che gli oggetti possono essere sottoposti a vari schemi d'azione, come scuotere, spostare, dondolare ecc. Gradualmente si rende conto che gli oggetti sono indipendenti dalla sua attività percettiva o motoria.
Reazioni circolari terziarie (e scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva): dai 12 ai 18 mesi. Il bambino, nel suo comportamento abituale, ricorre sempre più spesso a modalità diverse per ottenere effetti desiderati. Inizia il "ragionamento". Mentre prima, per eseguire una sequenza di azioni, doveva partire dall'inizio, ora può interrompersi e riprendere l'azione a qualsiasi stadio intermedio. Inoltre egli è in grado di scoprire la soluzione dei suoi problemi, procedendo per "prove ed errori". Quindi esiste per lui la possibilità di modificare gli schemi che già possiede. Ad es. dopo aver tentato, invano, di aprire una scatola di fiammiferi, esita per un attimo e poi riesce ad aprirla. Infine può richiamare alla memoria gli oggetti assenti, grazie alle relazioni che intercorrono tra un oggetto e la sua possibilità di utilizzo.
Comparsa della funzione simbolica: dai 18 mesi in poi. Il bambino è in grado di agire sulla realtà col pensiero. Può cioè immaginare gli effetti di azioni che si appresta a compiere, senza doverle mettere in pratica concretamente per osservarne gli effetti. Egli inoltre usa le parole non solo per accompagnare le azioni che sta compiendo (nominare o chiedere un oggetto presente), ma anche per descrivere cose non presenti e raccontare quello che ha visto-fatto qualche tempo prima. Il bambino riconosce oggetti anche se ne vede solo una parte. È in grado di imitare i comportamenti e le azioni di un modello, anche dopo che questo è uscito dal suo campo percettivo. Sa distinguere i vari modelli e sa imitare anche quelli che per lui hanno un'importanza di tipo affettivo. Vedi ad es. i giochi simbolici che implicano "fare finta" di fare qualcosa o "giocare un ruolo".
B) Fase pre-concettuale. Va da 2 a 4 anni.
L'atteggiamento fondamentale del bambino è ancora di tipo egocentrico, in quanto non conosce alternative alla realtà che personalmente sperimenta. Questa visione unilaterale delle cose lo induce a credere che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi desideri-pensieri, senza che sia necessario fare sforzi per farsi capire.
Il linguaggio diventa molto importante, perché il bambino impara ad associare alcune parole ad oggetti o azioni. Con il gioco occupa la maggior parte della giornata, perché per lui tutto è gioco: addirittura ripete in forma di gioco le azioni reali che sperimenta (ad es. per lui è un gioco vestirsi e svestirsi).
Imita, anche se in maniera generica, tutte le persone che gli sono vicine: le idealizza perché sa che si prendono cura di lui. Impara a comportarsi come gli adulti vogliono, prima ancora di aver compreso il concetto di "obbedienza".
Non è in grado di distinguere tra una classe di oggetti e un unico oggetto. Ad es. se durante una passeggiata vede alcune lumache, è portato a credere che si tratti sempre dello stesso animale, non di diversi animali della stessa specie. Gli aspetti qualitativi e quantitativi di un oggetto può percepirli solo in maniera separata, non contemporaneamente.
Non è neppure capace di relazionare i concetti di tempo, spazio, causa. Il suo ragionamento non è né deduttivo (dal generale al particolare), né induttivo (dal particolare al generale), ma transduttivo o analogico (dal particolare al particolare). Ad es. se un insetto gli fa paura perché l'ha molestato è facile che molti altri insetti che non l'hanno molestato gli facciano ugualmente paura.
C) Fase del pensiero intuitivo. Da 4 a 7 anni.
Aumenta la partecipazione e la socializzazione nella vita di ogni giorno, in maniera creativa, autonoma, adeguata alle diverse circostanze. Entrando nella scuola materna, il bambino sperimenta l'esistenza di altre autorità diverse dai genitori. Questo lo obbliga a rivedere le conoscenze acquisite nelle fasi precedenti, mediante dei processi cognitivi di generalizzazione: ovvero, le conoscenze possedute, relative ad un'esperienza specifica, vengono trasferite a quelle esperienze che, in qualche modo, possono essere classificate nella stessa categoria.
Tuttavia, la sua capacità di riprodurre mentalmente un avvenimento avviene nell'unica direzione in cui l'avvenimento si è verificato. Non è capace di reversibilità. Ad es. mettiamo davanti al bambino due vasi A e B, uguali e trasparenti, e un numero pari di biglie. Chiediamogli di mettere, usando una mano per ogni vaso, una biglia per volta nei due vasi, in modo che siano perfettamente distribuite. Poi si prenderà il vaso B e si verseranno tutte le biglie in un vaso C, di forma e dimensioni diverse da A e B. I bambini di 4 - 5 anni affermeranno che, nel caso in cui C sia più sottile di A e B, le biglie sono aumentate; diminuite invece, nel caso in cui C è più largo di A e B. Se allo stesso bambino mettiamo di fronte una fila di 8 vasetti di fiori e collochiamo un fiore in ogni vasetto, il bambino dirà che il numero dei fiori e dei vasetti è lo stesso. Se però gli facciamo togliere i fiori per farne un mazzetto, il bambino dirà che i vasetti sono più dei fiori.
Nel primo caso l'errore è dovuto al fatto che egli ha tenuto conto solo del livello raggiunto dalle biglie e non anche della forma del vaso, mentre nel secondo caso il maggior spazio occupato dalla fila dei vasetti ha dominato la sua valutazione. In sostanza ciò che non ha compreso è stata l'invarianza (o conservazione) della quantità al mutare delle condizioni percettive.
Molto importante in questa fase è lo studio psicologico dei disegni infantili.
D) Fase delle operazioni concrete. Da 7 a 11 anni.
Il bambino è in grado di coordinare due azioni successive; di prendere coscienza che un'azione resta invariata, anche se ripetuta; di passare da una modalità di pensiero analogico a una di tipo induttivo; di giungere ad uno stesso punto di arrivo partendo da due vie diverse. Non commetterà più gli errori della fase precedente.
Un ingegnoso esperimento di Piaget illustra bene queste nuove capacità. Si mettano davanti al bambino 20 perle di legno, di cui 15 rosse e 5 naturali. Gli si chieda se, volendo fare una collana la più lunga possibile, prenderebbe tutte le perle rosse o tutte quelle di legno. Il bambino, fino a 7 anni, risponderà, quasi sempre, che prenderebbe quelle rosse, anche se gli si fa notare che sia le bianche sia le rosse sono di legno. Solo dopo questa età, essendo giunto al concetto di "tutto" e di "parti", indicherà con sicurezza quelle di legno.
Naturalmente il bambino fino a 11 anni è in grado di svolgere solo operazioni concrete, non essendo ancora capace di ragionare su dati presentati in forma puramente verbale. Ad es. non è in grado di risolvere il seguente quesito, non molto diverso da quello delle perle. Un ragazzo dice alle sue tre sorelle: “In questo mazzo di fiori ce ne sono alcuni gialli”. La prima sorella dice: “Allora tutti i tuoi fiori sono gialli”. La seconda dice: “Una parte dei tuoi fiori è gialla”. La terza dice: “Nessun fiore è giallo”. Chi delle tre ha ragione?
E) Fase delle operazioni formali. Da 11 a 14 anni.
Il pre-adolescente acquisisce la capacità del ragionamento astratto, di tipo ipotetico-deduttivo. Può ora considerare delle ipotesi che possono essere o non essere vere e pensare cosa potrebbe accadere se fossero vere. Il mondo delle idee e delle astrazioni gli permette di realizzare un certo equilibrio fra assimilazione e accomodamento. Egli è in grado di comprendere il valore di certi oggetti e fenomeni, la relatività dei giudizi e dei punti di vista, la parità dei diritti, la distinzione e l'indipendenza relativa tra le idee e la persona, ecc. è altresì capace di eseguire attività di misurazione, operazioni mentali sui simboli (geometria, matematica...) ecc.
Famoso è l'esperimento del pendolo ideato da Piaget. Al soggetto viene presentato un pendolo costituito da una cordicella con un piccolo solido appeso. Il suo compito è quello di scoprire quali fattori (lunghezza della corda, peso del solido, ampiezza di oscillazione, slancio impresso al peso), che ha la possibilità di variare a suo piacere, determina la frequenza delle oscillazioni. Lavorando su tutte le combinazioni possibili in maniera logica e ordinata, il soggetto arriverà ben presto a capire che la frequenza del pendolo dipende dalla lunghezza della sua cordicella.
Ovviamente il pensiero logico-formale non è ancora quello teorico-scientifico, che non si forma certo nel periodo adolescenziale.
PIAGET CRITICATO DA VYGOTSKY
Lev Vygotsky – (Russia – 1896 -1934), studia giurisprudenza e filosofia, insegna lingua russa e letteratura nelle scuole serali; logica, psicologia e pedagogia nelle magistrali; estetica e storia dell’arte al Conservatorio. Studioso di teatro, spettacolo e critica letteraria. Ricercatore in psicologia e pedagogia (cattedra di pedologia), fondatore della scuola storico-culturale.
I) Gli esperimenti condotti da Vygotsky condussero lo scienziato russo a risultati opposti a quelli ottenuti da Piaget. Secondo Vygotsky, Piaget è andato a cercare nell'analogia con la logica formale e matematica (contemporanea) la possibilità di dare un fondamento razionale alla psicologia. Egli si è rivolto alla logica formale perché con essa credeva di poter stabilire definitivamente il concetto di invarianza dell'oggetto, per eliminare così le rappresentazioni illusorie del soggetto. Non a caso la maggior parte delle sue ricerche si riferisce alla ricostruzione delle tappe evolutive del principio di conservazione (o invarianza) della quantità-sostanza-peso-volume degli oggetti. La matematica infatti possiede il più forte apparato di descrizione delle invarianti. Di qui il formalismo di Piaget: il suo pensiero è genetico solo in senso cronologico non ontologico, è classificatorio-combinatorio-meccanico, non concettuale-dialettico.
II) Secondo Piaget il legame che unisce tutte le caratteristiche specifiche della logica infantile è l'egocentrismo, che sarebbe una posizione intermedia tra il pensiero autistico e quello controllato (adulto). Il pensiero del bambino sarebbe originariamente autistico e solo con la pressione sociale diventerebbe realistico: questo perché ciò che interessa al bambino è la soddisfazione di piaceri, in antitesi al principio di realtà. Piaget avrebbe preso da Freud: a) l'idea che il principio del piacere preceda quello di realtà; b) l'idea che il piacere sia una forza vitale indipendente.
Vygotsky invece afferma che lo sforzo per ottenere la soddisfazione di un bisogno e lo sforzo per adattarsi alla realtà non sono separabili né opponibili, altrimenti c'è patologia.
III) Piaget sostiene che il gioco (immaginazione) è la legge suprema dell'egocentrismo fino a 7-8 anni. Vygotsky invece sostiene che la funzione primaria del linguaggio - nei bambini e negli adulti - è la comunicazione. Il primo linguaggio è quello sociale (globale e plurifunzionale); in seguito le funzioni si differenziano, cioè si egocentrizzano, permettendo allo sviluppo del pensiero e del linguaggio d'interiorizzarsi. In altre parole, ad una certa età il linguaggio diventa anche egocentrico, ma resta sociale, poiché l'egocentrismo rappresenta soltanto un'interiorizzazione di forme di comportamenti sociali. Nell'adulto c'è il linguaggio interiore (linguaggio egocentrico in profondità), che si sviluppa all'inizio dell'età scolare.
Vygotsky poté costatare che di fronte alle difficoltà il coefficiente del linguaggio egocentrico raddoppiava, ma proprio perché con esso il bambino realizzava un processo di presa di coscienza che lo portava, in un modo o nell'altro, a cercare una soluzione del problema.
E' noto il suo esempio: mentre un bambino di 5 anni stava disegnando un tram, gli si ruppe la matita. Accortosi ch'era del tutto inservibile, decise di usare gli acquerelli, disegnando un tram rotto dopo un incidente; egli continuava di tanto in tanto a parlare con se stesso circa il cambiamento del suo disegno. In pratica il linguaggio egocentrico fungeva da mediatore fra quello vocale (se vogliamo "autistico") e quello "interiore" (quello che dà "senso" alle cose).
Qual è la differenza, sotto questo aspetto, fra l'adulto e il bambino? Secondo Vygotsky, il linguaggio egocentrico del bambino è stato così interiorizzato dall'adulto ch'esso, in questi, non si manifesta più come tale. Piaget direbbe che non si manifesta più perché è scomparso; in realtà esso è stato solo "interiorizzato".
L'egocentrismo quindi è quella molla che permette di non essere soffocati dal conformismo sociale, per sua natura ripetitivo. Piaget invece pensava che il bambino diventasse adulto nel momento stesso in cui usciva dal piacere egocentrico per entrare nel dovere sociale.
IV) Secondo Vygotsky il pensiero autistico è un risultato del pensiero realistico di Piaget, poiché questi pretende che il pensiero realistico - sganciato da bisogni-interessi-desideri - sia "puro", capace di ricercare la verità per se stessa. Secondo Vygotsky il pensiero realistico di Piaget si trasforma in autistico perché presume di soddisfare con la fantasia i bisogni frustrati della vita (la logica staccata dalla vita porta all'irrazionalismo).
Va considerata superata la tesi che vede il pensiero egocentrico come un legame genetico tra quello autistico e quello logico-controllato. Nelle sue prime pubblicazioni, Piaget spostava addirittura fino all'età di 7-8 anni la presenza del pensiero egocentrico dominato dall'esperienza del gioco.
V) In Piaget l'apprendimento del bambino utilizza i risultati dello sviluppo senza modificarlo. Piaget vuole studiare l'apprendimento a prescindere dalle esperienze, conoscenze e cultura del bambino. Ecco perché egli pone dei quesiti ai quali il bambino non è in grado di rispondere: p.es. "perché il sole non cade?". Piaget vuol costringere il bambino a lavorare su problemi del tutto nuovi, illudendosi di poter studiare le tendenze del suo pensiero in forma pura.
VI) Piaget si è preoccupato di descrivere le operazioni mentali, ma non si è preoccupato di delineare una didattica che modifichi la situazione in cui si svolge l'apprendimento.
VII) Piaget non prende in considerazione i fattori culturali che condizionano le risposte del bambino (cioè le acquisizioni anteriori, ovvero l'appartenenza a un gruppo, ceto sociale…). Gli interessa soltanto descrivere le differenze del comportamento mentale del bambino, a seconda delle età, rispetto al comportamento mentale dell'adulto. Tuttavia può essere considerata acquisita la ripartizione degli stadi conoscitivi: intelligenza senso-motoria, esperienze concrete, operazioni formali.
Fonte: http://sophiaepolitea.altervista.org/mappa_storia_della_psicologia.doc
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