Riassunto di storia il Secolo dei Lumi

Riassunto di storia il Secolo dei Lumi

 

 

 

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Riassunto di storia il Secolo dei Lumi

Capitolo 14: “Secolo dei Lumi”.
Kant definisce l’Illuminismo: l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità. Il secolo dei lumi vide l’uso spregiudicato della ragione applicata a tutti i campi. Negli ultimi anni del 17 sec fu l’epoca della crisi della coscienza europea, l’età del preilluminismo. La seconda fase tra gli anni 30-40 del 700 coincise con il periodo di formazione della più importante iniziativa editoriale degli illuministi: l’enciclopedia. La terza fase tra gli anni 60-70 vide l’economia al 1° posto e l’esperienza del governo illuminato di alcuni sovrani assolutisti. La prima idea guida del dibattito illuministico fu il nesso religione-libertà-tolleranza. Tema affrontato da Spinoza, egli aveva spogliato la parola di Dio sottoponendola all’analisi filologica-crititca. Tolleranza o libertà di pensiero erano fondate nel mondo moderno. Uno dei padri fondatori del principio di tolleranza fu Bayle (costretto a emigrare dalla Francia per sfuggire alle persecuzioni successive alla revoca dell’editto di Nantes (1685)) prospettò la possibilità di una società laica che poteva fare a meno della religione. L’illuminismo fu una cultura universale anche se connotata diversamente a seconda delle aree europee. Parigi fu al centro del movimento dove gli intellettuali dell’Illuminismo (philosophes) si posero l’obiettivo di dirigere la società. Nella Germania l’Illuminismo si sviluppò in un contesto ostile. L’Inghilterra ebbe una vita intellettuale vivace, un’intensa attività politica, ma non un moto illuminista che, come a Parigi, ha avuto uno sviluppo e un’organizzazione propria, che operasse come forza politica nuova ed autonoma. Il 700 è il secolo di espansione economica. Tutta la società si muove. Il movimento di crescita riguardò l’economia e la demografia. L’aumento della popolazione era dovuto alla diminuzione della mortalità, prolungamento della vita, aumento della natalità. Nella metà del 700 diminuirono anche le epidemie. In Inghilterra diminuì l’importanza della crisi alimentare: quando il raccolto non era sufficiente si ricorreva all’importazione. Il periodo favorevole dell’economia napoletana dopo il 1730 fu dovuto all’aumento naturale della popolazione e delle buone annate agricole. L’agricoltura fino 1850 occupò il 1° posto nell’economia europea, dove l’aumento della produzione è ottenuto attraverso l’aumento della superficie coltivata e l’intensificazione del lavoro contadino. L’Europa del 700 fu l’Europa delle città, delle metropoli; nel 1800 ne saranno 3: Londra, Parigi e Napoli, seguirono Vienna e Amsterdam. La società di antico regime è una gerarchia di ordini, stati, ceti che si forma in base a funzioni sociali e valori. Caratteristiche essenziale di questa società è l’attribuzione di valore al pregio che conferisce onore e potere: il privilegio di sangue e nascita, per la nobiltà di spada, il privilegio del feudo, di una dignità civile, cioè di una carica. Le basi materiali ed economiche di questa società iniziarono a mutare nel 18 sec e gli illuministi ne fecero l’oggetto dei loro dibattiti. L’accumulazione del capitale favorì l’accentuazione del conflitto tra diritto di proprietà e privilegio del possesso, contribuendo a determinare la vittoria del 1° principio. La disputa plurisecolare sulla nobiltà, cioè se fosse privilegio di nascita o condizione da acquisire attraverso l’esercizio delle virtù umane, si risolse in favore di quest’ultima. La nobiltà di sangue dell’Europa orientale è ben diversa da quella dell’Europa mediterranea: aveva potere militare, economico e sociale. In Polonia si identificò con lo stato, che nel processo di trasformazione della nobiltà svolse un ruolo importante: a oriente creò la nobiltà di servizio, subordinandone i bisogni e richieste al potere centrale, ma concedendole poteri illimitati sul processo economico e sociale; in occidente favorì una + accentuata dialettica interna al mondo nobiliare. Quasi dappertutto in Europa la nobiltà era una casta che si riconosceva in valori e comportamenti comuni: lo sfruttamento economico e sociale del privilegio; il rifiuto di qualsiasi attività mercantile. Nel 1748 Montesquie pubblica lo Spirito delle leggi con il quale si difende dagli attacchi dei gesuiti e giansenisti. In questa biografia possiamo sottolineare alcuni tratti significativi per capire l’uomo dell’Illuminismo. Il carattere cosmopolita dell’intellettuale è una caratteristica che colpisce nella biografia di M.: il viaggio, il soggiorno sono occasioni per l’esperienza diretta e la ricerca sul campo, al fine di conoscere usi, costumi dei vari popoli. Egli esamina le 3 forme di governo e le leggi che ne regolano il funzionamento. Da questa analisi emerge un modello ideale di stato basato sulla separazione tra poteri: esecutivo al re, che esige rapidità di azione e di esecuzione quindi concentrato nelle mani di una persona; legislativo alle camere, giudiziario è interprete della legge. Questi poteri sono distinti ma cooperanti tra loro. Il contratto sociale fonda la società civile. Con il patto si passa dallo stato di natura allo stato civile. Per Hobbes lo stato di natura è pericoloso, per Rousseau è uno stato felice. Sono state le prime istituzioni umane, la proprietà privata che hanno favorito l’origine della disuguaglianza. Come conciliare il patto con la libertà? Ciò è possibile nella misura in cui la legge anziché essere espressione dell’arbitrio di un sovrano assoluto, esprime invece la volontà generale: obbedendo ad essa ciascun individuo obbedisce a se stesso,poiché l’io di ciascuno si identifica con l’io di tutti.
I giuristi del diritto comune vigente in Europa avevano risolto il problema della certezza del diritto affidando alla coscienza del giudice, depositario della verità nascosta nei segreti del diritto, la garanzia di giustizia x il suddito. Gli illuministi lottarono contro gli arbitri del magistrati. I principali obiettivi della battaglia politico-culturale combattuta dagli illuministi sul fronte del diritto e della giustizia furono: una legge uguale per tutti, il controllo del procedimento giudiziario, la fissa regolamentazione del rapporto reato-pena. Cesare Beccaria denunciò la tortura e la pena di morte come strumenti giudiziari inumani e sostenne l’esatta proporzionalità fra reato e pena che doveva avere come fine il recupero del reo. La circolazione delle idee erano necessarie nell’Europa dei Lumi. Gli strumenti di comunicazione furono un tratto distintivo dell’illuminismo. Fu nuovo anche il modo di organizzare la cultura dei Lumi. Nacque un vero e proprio partito degli intellettuali con caratteri simili nei vari paesi d’Europa del 700. Le caratteristiche degli illuministi europei furono: il sentimento di appartenenza alla stessa comunità; la capacità di incidere come gruppo di pressioni nella formazione dell’opinione pubblica; la rivendicazione della funzione della classe dirigente. Ma le posizioni dei philosophes e degli illuministi europei non furono omogenee. Sul terreno dell’organizzazione della cultura che l’illuminismo produsse modelli innovativi rispetto al passato, come: l’enciclopedia, un’opera in 17 volumi di testo e 11 di illustrazioni. I suoi ispiratori capirono che per cambiare il modo di pensare della gente era meglio non scrivere un libro di dura polemica religiosa, morale, politica, ma un dizionario di scienze, lettere e arti. Il 700 fu il sec dello sviluppo dell’editoria; i giornali divennero lo strumento di comunicazione. Gli illuministi si posero poi il problema della alfabetizzazione e dell’istruzione delle classi sociali. Ma esse erano ancora affidate alla chiesa.
LA MASSONERIA DEL 700: nel 1717 due pastori protestanti fondarono a Londra la Grande Loggia. Questo viene considerato l’atto di nascita della Massoneria. Gli elementi che confluiscono sull’origine dell’associazione sono: il bisogno di elevazione spirituale attraverso il contatto diretto con Dio, l’aiuto reciproco tra fratelli, una nuova società fondata sugli ideali. La chiesa cattolica è avversaria della massoneria: non solo l’ateismo, ma anche le tendenze mistiche, spiritualistiche, sono pericolose per la chiesa. Papa Clemente XII e Benedetto XIV scomunicarono e inquisiscono i massoni. Il contrasto tra Massoneria e Chiesa sarebbe proseguito per tutto il 19secolo.
Capitolo 15: “Settecento riformatore”.
L’età dell’assolutismo illuminato rappresentò lo sviluppo più maturo dei principi e delle funzioni dello stato moderno, ma anche la difficile sintesi tra due concetti: Assolutismo ed Illuminismo. I sovrani intesero portare a compimento un progetto di ulteriore concentrazione ed efficacia del potere sovrano, capacità di governo del territorio, consolidamento interno ed internazionale degli Stati attraverso la promozione di riforme e l’avvio di un processo di rinnovamento politico e sociale ispirato alle idee dell’illuminismo. La difficoltà di conciliare l’assolutismo e l’illuminismo, consiste nel fatto che il processo riformatore dovette fare i conti con i limiti dell’antico regime. Per raggiungere tale obiettivo fu necessaria la rivoluzione. I contemporanei operano una prima distinzione tra assolutismo ed illuminismo. Monarchia dispotica era quello dello zar di Russia, che per il suo governo autocratico poteva essere paragonato agli antichi re assiri o al sultano ottomano. Lo zar trattava i sudditi come schiavi, applicava pene brutali nel paese, disponeva a piacimento della vita e dei beni. Governava oltre la legge. Monarchia assoluta era invece il regine del sovrano per il diritto divino che governava attraverso la legge. Una seconda distinzione riguardava il potere dei sovrani limitato da altri organi costituzionali come Parlamento, Stati del Regno, ecc. Nel XVIII secolo ci fu il passaggio graduale da un sistema di governo, in cui i rapporti tra politica e amministrazione erano assai confusi, a un modello di divisione di funzioni tra il governo e la burocrazia. Furono soprattutto le riforma dell’assolutismo illuminato a spingere verso un apparato amministrativo più efficiente e verso una più precisa distinzione tra funzioni e poteri. Le riforme intervengono nella materia fiscale. Le più importanti nella prima metà del ‘700 erano: dazi sulle importazioni, monopoli (tabacco, carte da gioco, sale, ecc), imposte dirette, indirette, miste. Tutti gli Stati ricorrevano all’imposizione indiretta perché era più facile riscuoterla, ma era anche la più impopolare, causa di malcontento e rivolte, anche perché colpiva i ceti produttivi più deboli. Il ‘700 fu il secolo della scienza camerale, cioè della scienza dell’amministrazione pubblica. Molti studiosi, soprattutto tedeschi, si dedicarono all’elaborazione di una teoria delle scienze amministrative. I principi di tale scienza furono:

  • il primato del governo monarchico;
  • la felicità dello stato come fine della politica;
  • l’utilizzo delle risorse statali per garantire la sicurezza del paese.

Il modello dell’assolutismo illuminato, una monarchia assoluta che promuove riforme per rafforzare l’unità e la centralizzazione del potere politico, trovò nella Prussia di Federico II il luogo di più efficace applicazione. Con Federico II la Prussia consolidò il ruolo di grande potenza. La formazione della potenza prussiana fu avvantaggiata sia dall’assetto interno alla Germania, sia dalla politica internazionale. La consapevolezza della potenza prussiana indusse le grandi potenze a riconoscere il suo peso militare, che avrebbe potuto sconvolgere tutti gli assetti faticosamente costruiti. Così nel 1748, con la pace di Aquisgrana che metteva fine alla guerra di successione austriaca (1740/48), Federico II riusciva a ottenere il riconoscimento dell’annessione della ricca regione mineraria ed industriale della Slesia, sottratta all’Austria. In politica interna, il punto di forza di Federico II fu la capacità di tradurre alcuni principi di riforma dello stato senza intaccare le fondamenta della formazione sociale del paese. Il sovrano aveva ereditato il militarismo del padre Federico Guglielmo I. Ma dimostrò anche sensibilità per la filosofia, la letteratura, l’arte, la musica e per i valori laici della cultura illuministica. Favorì la libertà di Stampa, rese obbligatoria l’istruzione elementare, si preoccupò di migliorare le condizioni culturali dei suoi sudditi. Furono soprattutto l’amministrazione e la giustizia i settori privilegiati dell’intervento riformatore di Federico II. I grandi alti dell’esercito e dell’amministrazione civile furono affidati all’aristocrazia. La nuova organizzazione della burocrazia era retta da principi collegiali, cioè non basata su un singolo funzionario, ma su un consiglio di funzionari responsabili di sviluppare il senso collettivo dell’onestà e del dovere. Federico II abolì inoltre la tortura, limitò la pena di morte. Intervenne inoltre nell’economia: il sovrano favorì la colonizzazione delle terre orientali, stimolò programmi pubblici in campo agricolo e industriale. Nonostante queste significative riforme le basi della società prussiana rimasero immutate. Infatti lo stato non esercitava nessuna giurisdizione diretta sulla massa della popolazione rurale, governata dagli Junker, rappresentati dall’aristocrazia fondiaria, le imposte dei contadini erano riscosse direttamente dai signori e rimaneva in vigore la servitù della gleba. L’ascesa al trono della figlia di Carlo VI, Maria Teresa d’Asburgo, aprì una fase di riforme anche per l’Austria. Durante il suo regno l’intero apparato di governo fu rinnovato e modernizzato. Maria Teresa fondò collegi per l’educazione e la formazione del personale addetto alla Pubblica amministrazione. Ma le riforme teresiane furono superate in quantità e qualità dal figlio primogenito dell’imperatrice, Giuseppe II, che successe alla madre e governò per 10 anni. Soppresse le proprietà ecclesiastiche, trasformò le università in istituzioni statali e sottoponendo a controllo l’attività religiosa. L’istruzione di base fu resa obbligatoria e laicizzata. Scienza e tecnica erano i due insegnamenti nei programmi delle scuole superiori. La pubblica amministrazione fu resa più professionale e le sue gerarchie furono organizzate in base al merito e aperte a nuovi ceti sociali, mentre la polizia segreta sorvegliava procedure e comportamenti dei funzionari. Anche la giustizia venne investita dalla politica riformatrice dell’imperatore: fu abolite la censura e introdotto un nuovo codice penale nel 1787. I decreti più rivoluzionari furono quelli che riguardavano l’abolizione della servitù di gleba, la difesa del piccolo possedimento contadino, la garanzia per tutti i sudditi della libera scelta in materia matrimoniale e il diritto a mutare residenza, professionale e proprietà. Con tali provvedimenti Giuseppe II, a differenza dell’altro sovrano illuminato Federico II di Prussia, interveniva sulle basi materiali della società e suscitò opposizioni e contrasti. Pietro il Grande era stato l’artefice della potenza russa. Aveva creato un esercito disciplinato, una flotta, nobiltà di servizio, centralizzato il potere e riorganizzato l’apparato amministrativo, facendo assumere alla Russia il ruolo di grande potenza in Europa ed in Asia. Nonostante gli sforzi di modernizzazione di Pietro I, la Russia restava un paese arretrato. Nel 1762 la moglie di Pietro III si impadronì del potere con un colpo di stato e poi fece assassinare il marito. Terminò così la fase dell’assolutismo illuminato in Russia che col regno di Caterina II fu aperto alle influenze culturali dei philosophes, che ispirarono molte sue riforme. Le preoccupazioni più importanti di Caterina furono il consolidamento della potenza internazionale della Russia, fondato sull’estensione e unificazione del suo territorio, e l’ordine sociale interno, garantito dall’alleanza fra lo zar e la nobiltà fondiaria. Il primo obiettivo fu realizzato con l’annessione della Cremea, stato vassallo dell’impero ottomano, che non solo privava la Russia dello sbocco sul mar Nero, ma era una minaccia permanente di destabilizzazione dell’Ucraina, sottoposta a continue irruzioni da parte dei turchi. Dopo una lunga guerra, la Crimea fu annessa alla Russia nel 1783. Vaste aree della steppa ucraina furono colonizzate e messe a coltura. Gli effetti della vasta opera di colonizzazione furono: l’agricoltura estensiva, aumento della popolazione servile. Ciò portò allo scoppio di una rivolta contadina che investì tutto il paese e che l’esercito imperiale represse rapidamente. Effetto di ciò fu il consolidamento dell’alleanza fra lo zar e l’aristocrazia che fu formalizzata nella “Carta della Nobiltà” concessa da Caterina II nel 1785. con tale documento venivano riconfermati i privilegi tradizionali della nobiltà, cadevano alcuni caratteri del regime autocratico instaurato da Pietro, infatti alla fine del regno di Caterina II, la Russia era un po’ meno uno stato autocratico e un po’ più uno stato feudale. Aveva esteso il proprio territorio e rafforzato la struttura dello stato e il ruolo della nobiltà. La Svezia era stata ridimensionata nel suo ruolo di grande potenza e rovinata sul piano finanziario della seconda guerra del Nord. Ma l’età di Carlo XII era stata anche un’epoca di consolidamento dell’assolutismo. Alla sua morte senza eredi, i ceti e i gruppi più influenti della società svedese ebbero un peso maggiore sia nel rapporto coi successori del sovrano che nella vita politica del paese. Il colpo di stato di Gustavo III restaurò l’assolutismo monarchico. Alle opposizioni dei ceti il sovrano rispose imponendo l’Atto di unione e di sicurezza all’assemblea svedese. Dovette però promettere il libero accesso alla P.A, la libertà di commercio, limitazione dei privilegi aristocratici. Nonostante le riforme illuminate promosse da Gustavo, ovvero abolizione della tortura, compravendita degli uffici, la monarchia assoluta si rivelava assai debole. In Spagna la nuova monarchi borbonica, succeduta nel 1713 agli Asburgo, trovava difficoltà ad arginare la potenza della Chiesa. L’iniziativa riformatrice di Carlo III di Borbone, succeduto da Ferdinando VI, portò ad alcuni risultati significativi: limitò le immunità ecclesiastiche e i poteri dell’Inquisizione ed espulse i gesuiti dal regno. L’azione riformatrice dei sovrani illuminati nella penisola italiana fu incisiva in tre stati: il regno di Napoli, governato dai Borbone, la Lombardia austriaca e la Toscana dei Lorena. Nel 1734 sul trono napoletano saliva Carlo di Borbone, figlio di Filippo V ed Elisabetta Fornese. Il Mezzogiorno riconquistato, dopo quasi tre secoli dell’esperienze aragonese, un proprio re e l’indipendenza. Carlo infatti è stato uno dei sovrani più importanti della storia del Regno di Napoli: riformò l’amministraione centrale e promosse la riforma dei tribunali, diede inizio ad un progetto di codificazione del diritto. Mise in atto il primo serio tentativo di riforma fiscale, limitò i poteri della Chiesa attraverso la stipulazione del concordato tra il Regno di Napoli e la Santa Sede. Nel 1759 moriva Ferdinando VI, re di Spagna, senza lasciare eredi e Carlo di Borbone viene chiamato a ricoprire il trono vacante. A Napoli, per la minore età del figlio di Carlo, Ferdinando, fu costruito un Consiglio di Reggenza. I provvedimenti in questo periodo furono: la riforma delle finanze comunali, il rafforzamento delle magistrature periferiche dello stato, l’espulsione dei gesuiti. Nonostante le riforme, la struttura economica del Mezzogiorno restava fragile: lo squilibrio tra le province produttrici di risorse e la capitale consumatrice, tra campagna e città restava immutato. Le manifatture scarseggiavano e Napoli non riuscì a diventare il cuore e motore dello sviluppo economico del regno. Il periodo riformatore di Maria Teresa nell’impero asburgico ebbe profonde conseguenze anche sulla Lombardia. Giuseppe II estese anche alla Lombardia le riforme promosse negli altri territori dell’impero asburgico, cioè il controllo rigido dello stato sulla Chiesa, gli interventi nel campo dell’educazione scolastica primaria, secondaria ed universitaria. Giuseppe II inserì la Lombardia in un sistema economico integrato nel sistema degli scambi europei e abolì il senato milanese. Pietro Leopoldo, del granducato di Toscana, promosse due importanti riforme:

  • La prima: allivellazione concedeva ai mezzadri, ovvero i contadini, i terreni di proprietà dello stato dietro il pagamento di un canone annuo fisso.
  • La seconda: il nuovo codice pensale ne l1786, con il quale vennero aboliti la pena di morte, la tortura, la confisca dei beni del condannato, come indicato dal giurista “Cesare Beccarla” nella sua opera “Dei delitti e delle pene”.

I sudditi del granducato acquisirono durante i 23 anni del regno di Pietro Leopoldo, diritti sul piano della libertà individuale ed economica.
Dopo la pace di Aquisgrana nel 1748 le potenze si divisero in due categorie: quelle che avevano orizzonti continentali e quelle che avevano interessi d’oltremare. Nel gennaio del 1756 scoppiava la guerra dei 7 anni dal 1756 al 1763.  Le cause furono:

  • rivalità coloniale tra Francia e Inghilterra; la ripresa della politica espansionistica dell’Inghilterra desta le preoccupazioni della Francia, dato che le pretese coloniali inglesi sono a danno della rete dei territori in possesso dei francesi.
  • volontà dell’Austria di recuperare i territori perduti con la pace di Aquisgrana del 1748;
  • timore di Russia e Svezia per la crescente potenza della Prussica.

Il conflitto è centrato “sul rovesciamento delle alleanze tradizionali”: la Prussia si allea con l’Inghilterra e la Francia con l’Austria. Il protagonista del conflitto è Federico II di Prussica. Le vicende non gli sono sempre favorevoli, a volte è vincitore, a volte vinto. Se le cose per la Prussica volgono al peggio, ciò non può dirsi per l’Inghilterra. Questa infatti prende a dominare con la flotta gli oceani, sconfiggendo ripetutamente i francesi e gli spagnoli, loro alleati. I contendenti cominciarono a pensare alle trattative di pace, che segnerebbero la sconfitta della prussica. Nel 1762 Federico II firmava la pace con lo zar Pietro III di Russia e nel 1763 con l’Austria, ottenendo la conferma dell’annessione della Slesia. La pace firmata a Parigi nel 1763, tra Francia e Inghilterra estrometteva la Francia dall’America settentrionale e riconosceva l’espansione inglese in India. La pace da all’Inghilterra il primato assoluto coloniale e marittimo che le permetterà di affermare la propria potenza nel mondo. Per quasi due secoli le potenze europee esercitavano una sorta di protettorato sulla Polonia. Dopo la morte del principe ereditario, Augusto III di Sassonia, Russia e Prussia invasero la Polonia per imporre il loro candidato, Stanislao. Egli era stato educato secondo idee illuministiche e voleva attuare riforme per limitare il potere dell’aristocrazia polacca. Per contrastare la resistenza dell’aristocrazia, che si era subito riunita nella Confederazione di Bar, la Russia inviò le truppe in territorio polacco, le quali dopo 4 anni di guerra schiacciò la ribellione dell’aristocrazia. Nel 1772, la Russia con la Prussia e Austria, procedettero alla prima spartizione della Polonia: l’Austria acquistò la Galizia, la Russia gran parte della Bielorussia, la Prussia ottenne la Prussia occidentale e il controllo del litorale Baltico meridionale. Questa prima spartizione fu un grave colpo per gli ideali illuministici. Nel 1792 i soldati di Caterina II invasero di nuovo il paese poiché Stanislao cercò di trasformare la monarchia polacca da elettiva in ereditaria. Nel 1793 ci fu la seconda spartizione a favore della Russia e della Prussia. Nel 1795 ci fu la terza spartizione che portò alla cancellazione della Polonia dalla carta geopolitica dell’Europa. Riconquisterà identità nazionale solo dopo la I G.M.
Capitolo 16: “L’espansione coloniale:Il mondo oltre l’Europa”.
Nel XVIII secolo Spagna e Portogallo, pur ridotte nel ‘700 a potenza di rango secondario in Europa, possedevano estesissimi territori oltre oceano. Nella corsa all’espansione coloniale in Asia e in Africa, Spagna e Portogallo furono esclusi perché la spinta a quella corsa fu fornita dai ceti commerciali e imprenditoriali delle grandi potenze economiche e politiche in Europa durante il ‘600 e ‘700: l’Olanda, l’Inghilterra e la Francia. L’impero coloniale spagnolo, nel ‘700, comprendeva gran parte dell’America meridionale (il Brasile e una zona dell’Uruguay erano portoghesi), le isole dei Carabi, il Messico, la Florida. Sotto il regno di Carlo III di Borbone si ebbe la massima espansione territoriale della Spagna in America. Nel corso del XVII secolo la crescita di popolazione bianca, l’arrivo di schiavi neri, la formazione di popolazione meticcia aveva favorito la ripresa demografica. Grazie agli schiavi, condotti verso le Americhe spagnole e il Brasile portoghese, l’agricoltura poté svilupparsi nel corso del ‘600. allo sviluppo contribuirono: l’introduzione di nuove coltivazioni, l’impiego crescenti di animali nella produzione agricola, la messa a coltura di nuove terre. Le famiglie dell’aristocrazia terriera allargarono le loro proprietà attraverso i matrimoni con i membri della stessa classe. Anche la chiesa e gli ordini religiosi accumularono grandi proprietà: a metà del ‘600 detenevano quasi tutta la terra produttiva delle colonie. Le attività manifatturiere e industriali si svilupparono  durante il XVII e XVIII secolo. Nel complesso la situazione economica e sociale dell’America spagnola era caratterizzata da una certa aristocrazia. Gli elementi deboli di questo sistema erano:

  • La scarsa efficacia del potere di controllo e di monopolio della Casa de Contratacion (i contrabbandieri avevano pertanto vita facile);
  • La fragilità dell’esercito: nelle Indie non vi fu u esercito regolare fino alla fine della guerra dei sette anni, le province esposte agli attacchi si difendevano arruolando milizie non regolari sul luogo;
  • La corruzione e scarsa efficienza dell’amministrazione coloniale;

Le riforme di Carlo III solo in parte eliminarono alcuni motivi della debolezza del sistema. I possedimenti coloniali del Portogallo comprendevano: il Brasile e le basi commerciali sulle coste africane, indiane, indonesiane e su alcune isole del Pacifico. Il Brasile non disponeva di una consistente manodopera indigena a buon mercato; la popolazione era scarsa e il lavoro era affidato a schiavi. Per quanto riguarda gli scambi con l’esterno il paese era inserito in un ampio sistema commerciale triangolare, i cui vertici erano in Portogallo, Angola e Brasile. Le esportazioni delle colonie servivano al Portogallo per raddrizzare il suo bilancio. Anche il Portogallo come la Spagna  costituì una struttura centralizzata “la Giunta di commercio”, che non riuscì a frenare il contrabbando praticato dai cittadini portoghesi e il commercio di frodo praticato da navi straniere, soprattutto inglesi. Furono gli olandesi a svolgere la funzione di guida dell’espansione europea nel XVII secolo. Mentre la Gran Bretagna diventerà la più grande potenza del mondo nel XVIII secolo, il 600 fu il secolo d’oro dell’Olanda. Il primato commerciale olandese era dentro alla superiorità tecnologica. Il capitale commerciale olandese era interessato al commercio del spezie. Nel ‘600 gli olandesi detenevano il monopolio delle spezie a spese dei portoghesi, spagnoli e inglesi. I segnali di crisi si avvertivano nel ‘700, con i bilanci passivi delle compagnie e l’aumento del contrabbando. Gli inglesi solo alla fine del XVII secolo assunsero un ruolo leader nell’espansione coloniale. La concorrenza con l’Olanda fu vinta dagli inglesi per vari motivi:

  • il più stabile assetto costituzionale dell’Inghilterra;
  • investimenti più massicci più largo coinvolgimento dei ceti nelle imprese e negli affari coloniali;
  • l’importanza crescente dei tessuti in cotone al posto delle Spezie e il declino del commercio olandese.

Questo fu il motivo più decisivo che determinò le fortune inglesi. Olanda, Inghilterra e Francia si erano avventurate nell’espansione extraeuropea per contrastare le potenze iberiche; i francesi riuscirono però a intraprendere un’azione sistematica di penetrazione in Oriente solo con la fine delle guerre di religione e con il consolidamento dello Stato Moderno. Anche la Francia utilizzò per l’espansione verso le coste africane e le Indie orientali lo stesso strumento adoperato da Inghilterra e Olanda, cioè la “Compagnia commerciale”. Fu Colbert (controllore generale delle finanze sotto Luigi XIV) a promuovere la creazione di una grande compagnia. L’espansione francese fui contrastata dagli olandesi, che nel 1670 sconfissero la flotta del Re Sole in India, e dagli inglesi, che bloccarono le mire francesi sul Siam Sia la guerra della Lega di Augusta (1689-1697): conflitto nel quale le maggiori potenze europee si unirono per combattere la strapotenza francese), sia la guerra di successione spagnola, danneggiarono lo sviluppo degli affari della compagnia. Rispetto alle compagnie olandesi e inglesi, quella francese presentava una più marcata dipendenza dalla Corona, che interferiva nella vita finanziaria, nella formazione del personale e nelle scelte politiche. Furono questi i motivi della sconfitta della Francia nel conflitto con l’ Inghilterra. Alla fine della guerra dei sette anni, la Francia dovette rinunciare all’espansione territoriale in India. L’Inghilterra gettava la fondamenta dell’Impero delle Indie britanniche.
Capitolo 17: “La Rivoluzione Industriale”.
Tra il 1750 e la prima metà dell’800 una parte dell’Europa occidentale fu investita da una grande trasformazione nelle basi dell’economia, nell’ordine sociale, nei modelli di vita. Un contributo decisivo alla grande trasformazione fu dato da un insieme di innovazioni tecnologiche: l’uso delle macchine al posto dell’abilità e del lavoro dell’uomo; la situazione dell’energia umana, animale e naturale con fonti di energia artificiale (come quella prodotta dalle macchine) e l’uso di nuove materie prime. Questo processo, che interessò per prima l’Inghilterra e che si sviluppò nel resto dell’Europa in tempi e modi differenti, venne chiamato rivoluzione industriale e segna la data d’inizio del mondo contemporaneo. Esso portò a un aumento di produttività e del reddito individuale, migliorò le condizioni di vita e l’equilibrio tra popolazione e risorse, stimolò un flusso continuo di investimenti in conoscenze e tecnologie e miglioramenti dei sistemi e dei cicli di lavorazione. Ma accanto ai vantaggi e alle svolte che segnò, la rivoluzione presentò anche costi elevati: lo sfruttamento coloniale da parte delle grandi potenze economiche; fu brutalmente sfruttato il lavoro di donne bambini; si accentuò il divario tra i paesi industriali più ricchi e meno ricchi. L’agricoltura ebbe ancora un’incidenza altissima nello sviluppo economico europeo. Solo alcune aree agrarie dell’Europa si trovarono meglio preparate all’industrializzazione. L’Olanda è al primo posto: tra il ‘500e ‘600 reagì all’equilibrio tra popolazione e risorse non con l’aumento degli addetti ai terreni agricoli, ma rendendo più efficiente il loro lavoro grazie ad una più marcata specializzazione, il che consentì agli altri settori della popolazione di dedicarsi con profitto al commercio e manifatture. Meno preparata allo sviluppo industriale si presentò l’Europa mediterranea: nell’Italia centrale dominava la mezzadria; in Spagna e in Italia meridionale dominava invece la gestione latifondista che influì sia sulla stagnazione agricola sia sul mancato decollo industriale. Infine la Germania presentava un dualismo tra la parte orientale, a est dell’Elba, dominata dalle grandi proprietà feudali e da arretratezza industriale, e la parte occidentale dominata da un’agricoltura a proprietà contadina e stimolata dai mercati cittadini che si rivelerà più aperta alle trasformazioni industriali. L’Inghilterra e il paese che subì, soprattutto nel ‘700, le più importanti trasformazioni agricole. Con il fenomeno delle reazioni (cioè la vendita delle terre comuni, legata ancora a privati che le gestivano in modo imprenditoriale), l’introduzione delle macchine, l’investimento di capitali urbani nella terra per migliorare la produzione consentiranno all’Inghilterra di integrare la rivoluzione agricola e industriale e di stabilire il primato economico internazionale. Il quadro inglese preindustriale fu caratterizzato dalla presenza diffusa di manifatture rurali a domicilio, dai bassi costi di produzione e distribuzione, da un mercato omogeneo in cui erano assenti barriere doganali dazi di tipo feudale, dagli investimenti di risorse pubbliche e private come strade, ponti, sistemi di comunicazione fluviale. Altri fattori che avvantaggiarono l’Inghilterra furono la disponibilità di materie prime, la libertà di adattamento e iniziativa, la diffusione del pensiero scientifico, della ricerca e di una mentalità empirica e sperimentale e la disponibilità all’innovazione. Inoltre bisogna ricordare che l’Inghilterra era il paese in cui il potere d’acquisto e il tenore di vita erano più alti rispetto al resto del continente europeo. La società inglese era aperta. Il mercato interno dei manufatti si espanse in Inghilterra, grazie ad un processo di urbanizzazione che vedeva le città assumere funzioni sempre più articolate, ai contatti e agli scambi tra le città e la campagna. Le ferrovie divennero il settore trainante della rivoluzione industriale. La produzione inglese di ferro superò in pochi decenni quella del resto del mondo. Un nuovo convertitore di energia, la “macchina a vapore”, checonsentiva un notevole risparmio di energia e possibilità di applicazione in tutti i campi dell’economia, e lo sfruttamento del carbone fossile al posto del carbone di legna permisero lo sviluppo e la straordinaria diffusione della rivoluzione industriale inglese. La rivoluzione industriale portò cambiamenti nel sistema di produzione e nei rapporti tra le classi sociali:portò alla separazione fra i proprietari dei mezzi di produzione e i produttori diretti, fra imprenditori e lavoratori salariati. Comportò la concentrazioni dei lavoratori in un luogo di lavoro: la fabbrica. Tra la fine del ‘700 e i primi anni dell’800 ci fu una lenta maturazione di una coscienza di classe: la formazione e diffusione di leghe e club di lavoratori radicali, il movimento buddista. Quest’ultima forma di protesta prende il nome di Ned Ludd, personaggio forse leggendario a cui si attribuiva la distribuzione di un telaio meccanico ne 1779. la fase culminante del luddismo finì con la legge del 1812 che della distruzione dei telai faceva un delitto punibile con la morte. L’immagine che il luddismo da di sé è di un movimento contro la rivoluzione industriale per la ricerca storica invece il luddismo nacque per problemi come: il salario minimo, più umane condizioni di lavoro, rispetto per la persona dell’operaio, riduzione della giornata lavorativa.
Capitolo 18: “La Rivoluzione americana”.
La Rivoluzione americana è un processo di distacco delle 13 colonie americane dalla madrepatria inglese. Dopo gli spagnoli, portoghesi e olandesi giungono nel continente anche gli inglesi che riescono a stabilirsi in America del nord, formando così le 13 colonie, sotto la sovranità dell’Inghilterra. Ai primi coloni del XVI secolo, se ne aggiunsero numerosi durante il secolo seguente. Un centinaio di puritani, definiti “padri pellegrini”, che lasciarono l’Inghilterra per sfuggire alle persecuzioni religiose. In America fondarono colonie per la quale si impegnarono a emanare leggi giuste, imparziali e tolleranti (giuramento della MayFlower, considerato il più antico documento della democrazia americana e ricordato ogni anno nel quarto giovedì del mese di novembre, il giorno del ringraziamento). Al motivo religioso si aggiunse il motivo economico. La maggioranza di coloro che prendevano la via dell’America erano attratti dalla speranza di migliorare la loro situazione economica (anche i condannati per crimini comuni, nel XVIII secolo, ottenevano la grazia dai giudici in cambio della partenza per l’America). Le singole colonie si diedero ordinamenti, istituzioni, leggi. La fedeltà delle colonie alla madrepatria fu favorita dalla politica internazionale: la sicurezza dei coloni non poteva essere affidata a fragili milizie locali capaci solo di scontrarsi con gli indiani sulle frontiere; essa richiedeva eserciti regolari e il contributo della flotta inglese. Il ‘700 per le colonie inglesi d’America fu un’età di tumultuosa crescita demografica. La chiave dell’espansione demografica verificatasi nel XVIII secolo in America fu l’elevata produttività dell’agricoltura. Negli anni 30 del 700 si cominciò a formare nei coloni americani la coscienza di costituire un corpo politico unitario diverso e separato dall’Inghilterra e ad apparire nella stampa il termine “America” nel suo significato politico oltre che geografico. Nel corso del 1730 si accentuarono le ragioni del conflitto che opponevano i coloni agli inglesi e che contribuirono a formare l’autocoscienza americana. Le ragioni del conflitto erano sia di natura economica che politica. Gli eventi che contribuirono ad approfondire il solco tra colonie americane e madrepatria furono tre:

  • il risveglio religioso in America tra gli anni 30 e gli anni 40 del ‘700; Il “grande risveglio” fu un’ondata di fermento religioso, mistico. Soprattutto le colonie del nord e del centro furono investite dalla speranza che l’America potesse realizzare una società giusta
  • la guerra dei sette anni (combattuta dai coloni americani contro i coloni francesi). C’è un’attiva partecipazione dei coloni nella speranza di ottenere un trattamento più equo dalla Madrepatria. Tali aspettative si rivelarono illusorie. Gli anni successivi alla guerra furono una scottante delusione per i coloni, i quali avvertirono con più forza la discrepanza fra la loro crescente capacità di guidare la situazione interna e la frustante posizione subordinata nell’impero. Da un lato non era più indispensabile il sostegno militare della madrepatria. Le forze americane, sia come truppa che come comandi, si rivelò più preparata di quella inglese per eliminare la presenza francese. Dall’altro lato l’Inghilterra si accingeva a far pagare ai coloni americani il salatissimo conto della guerra dei sette anni. Re Giorgio III, il suo ministero e il Parlamento richiesero un più massiccio coinvolgimento delle colonie nordamericane nelle spese dell’impero.
  • i provvedimenti fiscali decisi dall’Inghilterra negli anni ’60: il parlamento impose nuove tasse su alcuni generi di consumo e lo Stamp Act, cioè una tassa di bollo su giornali e atti legali.

Le prime immediate reazioni scattarono in Virginia, colpita da una crisi di tabacco. Pochi mesi dopo, i delegati di nuove colonie si riunirono a New York nel congresso dello Stamp Act, votarono la Dichiarazione dei diritti e doveri dei coloni d’America, inviarono petizioni al re e al Parlamento. Nel 1766 il palmento inglese fu costretto a revocare lo Stamp Act, ma proclamò il Declaratory Act nel quale ribadiva che le colonie erano soggette all’autorità del Parlamento. Il 5 Marzo 1770 i soldati inglesi repressero nel sangue una rivolta scoppiata a Boston e uccisero cinque persone. Il Parlamento fu costretto ad abolire dazi e imposte, ma nel 1773 approvò il Tea Act, che concedeva alla Compagnia delle Indie orientali il monopolio di tutto il mercato del tè. Era questo un ulteriore atto della politica di controllo mercantilistico  esercitato dalla madrepatria sugli americani. Nel dicembre 1773, coloni mascherati da indiani salirono a bordo di navi della compagnia e gettarono in mare le casse di tè. L’episodio, chiamato Boston Tea party, inaugurò una nuova fase nel rapporto tra le tredici colonie e la madrepatria: quello detto scontro aperto. Le rappresaglie inglesi furono durissime e si espressero in una serie di leggi, chiamate “intollerabili” dai coloni perché sognavano una dipendenza ancora maggiore dell’America  dal Parlamento inglese. Le leggi disposero la chiusura del porto di Boston fino al risarcimento completo dei danni inflitti alle navi della compagnia e l’abolizione delle autonomie del Massachusetts, previste nella sua Carta. “Thomas Jefferson”, uno dei leader intellettuali della ribellione coloniale, ribadì la distinzione tra Corona e Parlamento. Egli sosteneva che i coloni non erano vincolati alle decisioni del Parlamento inglese, perché non vi erano rappresentanti; che, le uniche rappresentanze politiche per le colonie erano le loro assemblee; che, quando queste venivano sciolte, il potere tornava al popolo; che queste stesse assemblee erano parte di una più vasta assemblea, quella dell’impero, sotto il vincolo di fedeltà al re d’Inghilterra. Ciò dimostra che la prima fase della Rivoluzione Americana si basava sull’ipotesi del “Commonwealth” britannico, fedele al re ma autonomo in tutte le sue componenti. Nel 1774 le colonie riunite nel primo Congresso continentale decisero il boicottaggio del commercio con la Gran Bretagna. L’anno successivo ci furono i primi scontri armati e l’apertura  a Philadelphia del secondo Congresso Continentale che nominò Gorge Washington comandante delle truppe. Nello stesso anno Giorgio III dichiarava ribelli i coloni americani. Ma la data decisiva per la Rivoluzione Americana fu il 1776 l’anno di pubblicazione del “Commmon Sense”, un opuscolo di Thomas Paine e della Dichiarazione d’indipendenza (4 luglio), redatta da Thomas Jefferson. Paine nella sua opera scriveva che il re, simbolo e garante dell’unità costituzionale dei popoli inglesi, aveva rotto il contratto con i sudditi americani, li aveva privati dei loro diritti, era perciò un tiranno contro il quale la ribellione era non solo una cosa giusta, ma un dovere da compiere in nome dell’intera umanità. Il Common Sense di Paine ebbe una straordinaria diffusione. La Dichiarazione d’indipendenza fu redatta da Jefferson e discussa e approvata dal Congresso dopo un appassionato dibattito. Nella Dichiarazione sono espressi i principi ispiratori della nazione americana. Essi sono tre: il diritto all’indipendenza e alla libertà è un diritto naturale, superiore a qualunque volontà umana; attraverso il contratto sociale, i governatori si impegnano a rispettare tutti i diritti inalienabili degli individui; il rapporto tra governanti e governati è fondato sul condendo di questi ultimi e sul potere di controllo, il mandato dei governanti può perciò essere in qualsiasi momento revocato, quando i fini del contratto sociale non vengono rispettati. In questi principi si rispecchiavano sia influenze illuministiche tipiche sia caratteristiche tipiche della cultura politica americana. Le caratteristiche sono: l’individualismo dei diritti naturali, l’insistenza sul potere di controllo esercitato dai governati, l’identificazione del nemico numero uno dell’America nel re d’Inghilterra. Il passaggio alla ribellione significò la guerra. George Washington riorganizzò le forze armate, costituite da alcune migliaia di volontari, valorizzando allo stesso tempora disciplina, il senso di appartenenza nazionale, il sentimento di combattere una guerra giusta, la preparazione tecnica. Sul piano tattico l’esercito americano dimostrò di avere la meglio su quello inglese attraverso l’uso di imboscate, attacchi di sorpresa, tecniche di guerriglia apprese nei combattimenti con gli indiani. Nella battaglia di Saratoga (1777) i reparti americani sconfissero quelli inglesi. Ma fu l’intervento francese a fianco degli americani (1778) a incidere sulle sorti della guerra. Nel 1778 anche la Spagna si alleava con gli americani. Dopo la sconfitta a York Town delle truppe inglesi, nel 1783 fu firmata la pace di Versailles, che metteva fine alla guerra anglo-americana. La Gran Bretagna riconosceva l’indipendenza delle tredici colonie nordamericane, trasformate in STATI UNITI D’AMERICA, alla Francia, erano restituiti territori nei Carabi e nel Senegal, la Spagna riotteneva la Florida, persa dopo la guerra dei sette anni, e Minorca. Dopo la Dichiarazione d’indipendenza molte colonie avevano messo a punto nuove Carte costituzionali. Gli anni 80 furono per gli Stati della confederazione un periodo assai tormentato: la fase cruciale della guerra e i problemi del dopoguerra con le sue conseguenze sociali ed economiche si intrecciarono con le questioni interne della rivoluzione e con il complesso dibattito politico che preparò la Costituzione americana. Da un punto di vista economico la rivoluzione portò a un esteso impoverimento. Vaste regioni furono sconvolte dalle distribuzioni della guerra. L’inflazione, la svalutazione della moneta e dei titoli del debito pubblico colpirono le campagne e le città. Nella nuova Costituzione degli Stati Uniti d’America il potere legislativo era conferito al Congresso degli Stati Uniti, composto da un senato e da una camera dei rappresentanti. La camera era formata da deputati eletti ogni due anni dai vari stati in numero proporzionale a quello della popolazione dello Stato, il senato invece era formato da due senatori per ogni stato, eletti per un periodo di sei anni. Il congresso aveva poteri di natura finanziaria e fiscale, contraeva i prestiti, batteva moneta e ne fissava il valore, reclutava e manteneva eserciti, deteneva i poteri di difesa. Il potere esecutivo era conferito al Presidente degli Stati Uniti che durava incarica quattro anni. Il presidente era eletto dal popolo che in ogni stato designava elettori delegati che a loro volta eleggevano a maggioranza il presidente. Il presidente era il comandante dell’esercito e della marina, nominava i membri del governo federate. Il potere giudiziario era conferito alla Corte suprema composta da nove membri di vita, di nomina presidenziale. Essa era il vertice della giurisdizione; la sua funzione era soprattutto controllare la legittimità costituzionale della legislazione federale e dei spigoli stati e di dirimere le controversie tra le vari e istanze costituzionali. Il principio che ispirò il moderno costituzionalismo americano fu quello della divisione e limitazione dei poteri. Nel 1799 la Costituzione fu ampliata da dieci emendamenti, con la quale veniva prestata maggiore attenzione ai diritti dei singoli, erano riconosciute: l’uguaglianza giuridica e politica dei cittadini, la libertà individuale di pensiero, stampa e religione. Nonostante ciò vi erano ancora freni alla realizzazione della democrazia politica:

  • L’esistenza della schiavitù: abolita solo nel 1865;
  • Limitazione del diritto di voto: allargamento del suffragio solo nel 1870.

Nonostante tali limiti, quella degli Stati Uniti rappresenta la prima Costituzione democratica della storia moderna. Il primo presidente degli Stati Uniti fu Gorge Washington, eletto nel 1789 e rieletto nel 1793. Negli anni 90 si aggiunsero altri stati ai tredici esistenti. Con la presidenza Jefferson, gli Stati Uniti si affacciano sul nuovo secolo.

 

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