Riassunto diritto pubblico

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Riassunto diritto pubblico

RIASSUNTO DI :
-FAUSTO CUOCOLO –
 -ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICO-

PARTE PRIMA : DIRITTO – ORDINAMENTO GIURIDICO – STATO

CAPITOLO 1 : IL DIRITTO (NORMA E ORDINAMENTO GIURIDICO)

Il diritto si presenta come un insieme di regole dirette a disciplinare il comportamento dell’uomo nella società. Le norme sociali sono regole del dover essere, le leggi naturali regole dell’essere.
Il diritto dello Stato, proprio per la sua maggior forza, dovuta all’autorità preminente dell’ente sociale che lo esprime, è il fenomeno giuridico più rilevante e prevalente.
Funzioni del diritto :
À repressione dei comportamenti socialmente dannosi (diritto penale)
Á allocazione di beni e servizi a favore degli individui e della società (diritto civile)
 disciplina delle istituzioni e della distribuzione di poteri (allocazione di poteri pubblici, dir.proc.)
Caratteri della norma giuridica :

  • generalità : applicabile a tutti coloro che si trovino nella situazione disciplinata,
  • astrattezza : disciplina situazioni che potranno verificarsi,
  • novità : deve innovare nell’ordinamento,
  • esteriorità : oggetto della sua disciplina è l’azione esterna al soggetto,
  • interdipendenza : crea un’interdipendenza tra situazioni di vantaggio e di svantaggio,
  • imperatività.

Teoria “normativa”: nell’ordinamento giuridico dalla norma fondamentale si giunge al comando concreto in una disposizione gradualistica di rigorosa correlazione tra norme sopra e sottoordinate (Scuola viennese).
Teoria “istituzionale”: un ordinamento non si risolve solo di norme: il diritto è innanzitutto assetto della collettività e la norma è solo la manifestazione di tale assetto.
Alle due teorie si preferisce la tesi secondo cui l’organizzazione sociale traduce nelle norme e nell’ordinamento le proprie finalità e le scelte che compie di fronte ai problemi storici.
Esistono una pluralità di ordinamenti giuridici, dati dalla pluralità degli Stati. Ma per accertare la reale esistenza di un ordinamento si deve verificare l’effettività, ovvero la vigenza delle norme da esso poste.

 

 

 

CAPITOLO 2 : LE FONTI DEL DIRITTO :

SEZIONE  À  : LE FONTI DEL DIRITTO IN  GENERALE

La norma giuridica è prodotta da atti o fatti considerati idonei a porre regole di comportamento, costitutive del diritto oggettivo: tali fatti o atti sono definiti fonti del diritto.
Le fonti-fatto sono collegate alla ripetitività di comportamenti o all’assunzione di determinati accadimenti o situazioni quali fatti idonei a determinare regole di comportamento obbligatori e per tutti i consociati, dando vita a un diritto non volontario appunto perché derivante da fatti e non da atti.
Le fonti-atto, invece, sono manifestazioni volontarie dei soggetti cui è riconosciuta la competenza a dettare regole di comportamento e in quanto tali si traducono in documenti, produttivi di norme giuridiche che, adottati secondo le procedure prescritte, hanno la forza ad essi attribuita dall’ordinamento. Ogni ordinamento riconosce le proprie fonti legali.
Le fonti-fatto:

  • la consuetudine : perché una consuetudine si formi si richiede un comportamento ripetuto nel tempo tali da indicare una relativa stabilità e uniformità (condizione oggettiva), e che tali comportamenti siano tenuti dai soggetti con il convincimento di conformarsi a una regola giuridica(condizione soggettiva). Solitamente la consuetudine regole materia non disciplinata dal diritto scritto, oppure funge da “conferma” del diritto scritto esistente.
  • la necessità : si richiede una necessità straordinaria da non poter essere soddisfatta con le procedure formali, di situazioni non prevedibili e non disciplinabili a priori, che trovano nella necessità straordinaria la loro giustificazione e la loro fonte (stato d’assedio, eventi bellici..).
  • il rinvio a fonti di altri ordinamenti : perché l’efficacia delle norme internazionale si dispieghi anche nell’ordinamento interno, è necessario un atto di esecuzione da parte dello Stato oppure un rinvio alla fonte internazionale, che può essere rinvio mobile (efficacia anche alle disposizioni che nel tempo la norma produrrà) oppure rinvio recettizio (efficacia alla sola legge)

Le fonti-atto nell’ordinamento italiano, secondo la disposizione gerarchica:

  • Costituzione e leggi equiparate (leggi di revisione cost. e leggi costituzionali).Fonte costituente
  • Legge ordinaria e atti equiparati (decreti legislativi, decreti legge, referendum abrogativo)
  • Regolamenti interni degli organi costituzionali (due Camere, presidenza Repub.,Corte costituz.)
  • Regolamenti statali (decreti del presidente della Repubblica o decreti ministeriali)
  • Fonti di ordinamenti territoriali minori: leggi regionali, regolamenti regionali, statuti
  • Disposizioni normative della Comunità Europea abilitate ad operare nel nostro ordinamento

I problemi di antinomia tra le fonti possono essere risolti attraverso due criteri :

  • Criterio gerarchico : non tutte le norme hanno la stessa forza giuridica, essendovene alcune sovraordinate. In certi casi va combinato con il criterio di competenza.
  • Criterio cronologico : si fonda sul principio che tra più fonti o norme pariordinate prevale, in caso di contrasto, quella più recente.
  • Riserva di legge : stabilita dalla Costituzione. Una certa materia può essere regolata solo dalla legge o da atto di grado pari o sovraordinato : può essere assoluta (l’intera materia regolata dalla legge) o relativa (la disciplina ulteriore può essere posta da fonti subordinate)
  • Preferenza di legge : se la legge disciplina anche materie non coperte dalla legge, essa prevale su qualsiasi disciplina subordinata già eventualmente esistente e preclude l’adozione di disposizioni secondarie in contrasto con la disciplina legislativa.

® Principio di legalità : l’esercizio di autorità amministrativa deve trovare sia il proprio limite negativo sia il proprio fondamento positivo in una previa norma di legge.
Le fonti di produzione pongono le norme di comportamento costitutive del diritto oggettivo.
Le fonti sulla produzione disciplinano i procedimenti delle fonti di produzione, indicando chi è competente ad adottarle e i modi della loro adozione.

 

SEZIONE Á : FORMAZIONE ED EFFICACIA DELLE FONTI :
Le fonti entrano in vigore dopo la promulgazione o emanazione seguita dalla pubblicazione nelle forme previste dall’ordinamento e dal decorso di un periodo di tempo definito vacatio legis, alla cui scadenza l’atto normativo diverrà obbligatorio. Le leggi e gli ordinamenti divengono infatti obbligatori nel quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto. Con l’entrata in vigore Õ la legge acquista efficacia.
Efficacia in relazione al tempo : la legge non dispone che per l’avvenire e dunque non può avere di regola efficacia retroattiva.
Efficacia in relazione allo spazio : può variare in relazione all’ente al quale le fonti appartengono.
Efficacia in relazione ai soggetti : la legge è applicabile a tutti coloro che sono soggetti alla sovranità dello stato, o che sono residenti sul territorio o cittadini dello Stato.
Leggi eccezionali . disposizioni dettate per disciplinare situazioni che derogano alla generalità della disciplina e in termini che non ammettono ripetitività, come invece avviene per le leggi speciali.

SEZIONE Â : L’INTERPRETAZIONE DELLE FONTI – ATTO :
Per interpretare le norme giuridiche si ricorre a  :

  • Interpretazione letterale : deve risultare dalla rilevanza testuale dei vocaboli e dalla loro connessione che può modificarne la dinamica.
  • Interpretazione sistematica: si mira a ricostruire non tanto la volontà del legislatore, quanto la “volontà della legge”, che si è oggettivata nel testo normativo e va interpretata per quello che è, ma partendo dal presupposto che sia conforme al sistema giuridico. Spesso, collegandole alla presumibile volontà della legge, si effettuano interpretazioni estensive o restrittive.
  • Analogia legis : si basa sul principio logico che se il legislatore avesse dovuto regolare una data fattispecie nata successivamente all’adozione di una certa disposizione normativa, lo avrebbe fatto basandosi sulle stesse idee che lo avevano spinto a disciplinare casi analoghi o simili.
  • Analogia iuris : quando non si può ricorrere ai casi analoghi, è possibile far riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico.

SEZIONE Ã : L’ABROGAZIONE DELLA LEGGE :
La legge è destinata a produrre norme giuridiche fino a che resti efficace. L’efficacia può cessare per scadenza del termine (legge ad tempus), per dichiarazione di illegittimità costituzionale, o per abrogazione Õ finalità di far cessare l’efficacia della legge precedente.
Secondo l’ art. 15 delle “Preleggi”  può esserci :

  • abrogazione esplicita, cioè espressamente dichiarata dalla dichiarazione posteriore che fa venir meno la vigenza e l’efficacia della legge anteriore. E’ indispensabile per leggi speciali;
  • abrogazione implicita, per l’incompatibilità tra le disposizioni nuove e le precedenti o perché la nuova legge disciplina interamente la materia regolata da legge anteriore

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3 : LO STATO E I SUOI ELEMENTI COSTITUTIVI :

Sezione À : concetti generali:
Lo Stato, ordinamento giuridico più rilevante, può essere definito l’ente politico costituito da una collettività stabilmente stanziata su un territorio e fornito di sovranità tanto all’esterno quanto all’interno. E’ il solo ente ad essere contemporaneamente ente politico, territoriale, sovrano.
Stato come ente politico : può assumere a contenuto della propria azione tutte le finalità che storicamente ritenga opportuno assumere (politicità = libertà dei fini). Tutti gli Stati hanno in generale il fine comune di sopravvivere, e ogni Stato ha poi finalità particolari : il punto che differenzia la politicità degli enti territoriali infrastatali dallo Stato è che quest’ultimo è sovrano e dunque originario, mentre gli altri enti sono derivati e dunque soltanto autonomi.

Sezione Á : gli elementi costitutivi dello Stato:
Elementi costitutivi dello Stato :     3 popolo
3territorio
3sovranità

  • Popolo : del popolo fanno parte soltanto coloro che hanno con lo Stato un rapporto di cittadinanza, che conferisce alla persona diritti e doveri. La cittadinanza si può acquistare:
  • al momento della nascita: a seconda degli ordinamenti, per discendenza da genitore/i cittadini (jus sanguinis), o per nascita sul territorio dello Stato (jus soli, non nei Paesi d’immigrazione)
  • successivamente alla nascita, per il verificarsi di situazioni previste dalla legge (ad es. matrimonio), o per concessioni dello Stato per situazioni eccezionali o a particolari condizioni.

Nell’ordinamento italiano la cittadinanza si può acquistare per nascita con lo jus sanguinis (jus soli in via unicamente sussidiaria), o per numerosi eventi successivi alla nascita.
La cittadinanza italiana può invece esser perduta per volontà del cittadino o statuizione di legge. 
Secondo il Trattato di Maastricht è invece cittadino europeo ogni cittadino degli Stati membri.
Popolazione (¹ popolo) : complesso delle persone che si trovano stabilmente sul territorio dello Stato, indipendentemente dal possesso della cittadinanza
Nazione (¹ popolo) : collettività che si caratterizza per la comunanza di lingua, di tradizioni, di religione, di cultura e simili, indipendentemente dall’appartenenza a uno Stato. Le minoranze nazionali sono ampiamente tutelate.

  • Territorio : è quella parte della superficie terrestre che entra a costituire un certo Stato storico e gli è coessenziale costituendone sia lo spazio indispensabile sia la sfera di validità e di efficacia del proprio ordinamento e del proprio di imperio (anche per gli enti territoriali).

Extraterritorialità : vengono sottratte alla potestà di impero dello Stato una o più porzioni, per lo più di limitatissima estensione, della terraferma costituente il territorio statale (ad esempio la Santa Sede, le sedi diplomatiche, veicoli situati nello Stato che battono bandiera straniera).
Ultraterritorialità : lo Stato può esercitare potere di imperio su porzioni di terraferma siti al di fuori del proprio territorio (reciproco della extraterritorialità)
Elementi costitutivi del territorio :

  • la terraferma, porzione di superficie terrestre che è delimitata dai confini, siano naturali (fiumi, mari, catene montuose,..), siano stabiliti mediante accordi internazionali
  • il mare territoriale e la piattaforma continentale : il mare territoriale è costituito dalla fascia di mare lungo le coste che corrisponde alle esigenze di vita e di difesa della comunità statale e sulla quale lo Stato esercita la propria sovranità (tra le tre e le dodici miglia marine).                                            La piattaforma continentale è il sottosuolo marino attiguo alla terraferma, ma fuori del mare territoriale, sul quale gli Stati costieri rivendicano la propria sovranità ai fini di sfruttamento.                          Al di là dei limiti del mare territoriale il mare è considerato libero (principio della libertà dei mari) sul quale ogni Stato ha lo stesso diritto a trarre tutte le utilità che il mare può offrire.
  • Il soprasuolo : lo spazio aereo soprastante il territorio statale, comprendendo sia la terraferma sia il mare territoriale. La sovranità sul soprasuolo si estende fino al limite max di utilizzazione.
  • Il sottosuolo : anche per le profondità, la sovranità si estende fino al limite max di utilizzazione.

 

  • Sovranità : è la supremazia, nei confronti di ogni altro ente esterno, che si concreta nell’affermazione dell’originarietà dell’ordinamento giuridico e della sua indipendenza.

L’originarietà è una caratteristica giuridica, nel senso che ogni ordinamento statale, in quanto sovrano, si autolegittima, cioè trova in sé medesimo la giustificazione giuridica della sua esistenza e del suo potere. L’indipendenza significa che ogni Stato, in quanto sovrano, non può essere subordinato ad altri ordinamenti e, nel suo ambito, gode del diritto di esclusione degli altri.
La sovranità dello Stato non può tuttavia spettare allo Stato inteso come Stato- governo e in Italia, Stato repubblicano, secondo l’art.1 della Costituzione, “la sovranità appartiene al popolo,
che la esercita nella forme e nei limiti della Costituzione”(non solo nel titolo, ma anche nell’esercizio).Le scelte del corpo elettorale sono la forma di gran lunga oggi prevalente nell’esercizio della sovranità popolare.

Sezione  : le forme di Stato :
La forma di Stato si riferisce alla reciproca posizione degli elementi costitutivi dello Stato (popolo, territorio e potere sovrano), ponendo quindi l’attenzione sulle finalità, mentre la forma di governo indica la distribuzione del potere tra gli organi costituzionali dello Stato e la loro reciproca posizione, concentrandosi sui mezzi per raggiungere le finalità.
Ogni forma di Stato si spiega pensando alle radici storiche :

  • Stato patrimoniale (ordinamento feudale) :l’organizzazione del potere è di natura privatistica, non  si prefigge il raggiungimento di interessi generali, ma solo la difesa di interessi di carattere patrimoniale e privatistico.
  • Stato assoluto (Principati, Comuni, Signorie) : l’ordine sociale non è più fondato sulla fedeltà obbligatori, ma sul principio della potestà assoluta sovrana e della gerarchia.
  • Stato di polizia (monarchie illuminate, tardo Settecento) : il sovrano è sempre più un funzionario dello Stato, è il “primo suddito”. Finalità dello Stato è curare i fini di benessere collettivo, considerato un dovere del sovrano, liberando la libertà terriera e facendo giustizia amministrativa.
  • Stato liberale (‘800) : emerge il ceto borghese, la legittimazione del potere statale si basa sulla derivatività dai cittadini, ora liberi êsi va verso la democrazia contemporanea(supremazia legge)

Caratteristiche dello Stato moderno:
À costituzionalità (dalla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”del 1789),
Á giuridicità (Stato che si sottopone al diritto che garantisce le libertà fondamentali),
 rappresentatività (partecipazione dei cittadini alla volontà dello Stato),
à democraticità ( essenziale la separazione dei poteri, deve inoltre valere il principio di maggioranza e devono essere rispettati i diritti delle minoranze).
Lo Stato moderno non può limitarsi a garantire le libertà e ad assicurare il metodo democratico, dovendo invece, operare incisivamente sui rapporti sociali.
Forme di Stato:

  • monarchie : il potere del capo dello Stato deriva immediatamente dalla Costituzione,
  • repubbliche : il potere è rimesso alla scelta o alla decisione di un organo incaricato,
  • Stati unitari: un solo ordinamento giuridico sovrano êun territorio,un popolo,un potere sovrano
  • Stato composto o federale: nell’incontro tra ordinamenti sovrani ne nasce uno nuovo êsomma di popoli, territori, poteri sovrani, ma ogni Stato membro conserva i propri elementi costitutivi ed esercita la propria sovranità nei limiti delle competenze attribuitogli

PARTE QUARTA : L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA

CAPITOLO 1 : TEORIE GENERALI. LE FORME DI GOVERNO

 

Le forme di governo indicano il diverso assetto che si instaura tra gli organi titolari della potestà suprema e segnatamente tra capo dello Stato, governo, parlamento e ordine giudiziario.
In uno Stato costituzionale moderno non basta rispettare il principio di uguaglianza dei cittadini : presupposto fondamentale è la teoria della separazione dei poteri, elaborata per la prima volta da Montesquieu alla metà del ‘700, che mirava a fondare una formula di buon governo, ma soprattutto a garantire la libertà : “Perché non si abusi del potere bisogna che, per la stessa disposizione delle cose, il potere limiti il potere”  Õ le funzioni fondamentali dello Stato, fare le leggi, darvi esecuzione, giudicare sui crimini e le controversie, devono essere attribuite a organi distinti.
Le forme di governo nello Stato moderno:
? governo costituzionale puro: rigida distinzione e indipendenza tra potere legislativo (parlamento), cui compete solo la formazione delle leggi, ed esecutivo (governo), cui compete solo, o quasi, l’attività amministrativa. Il monarca tuttavia può scegliere i ministri e sovrintende al loro operato (l’esecutivo risponde al sovrano), il parlamento introduce una cornice di leggi che il sovrano deve rispettare (governo dualista di re e parlamento).
Nella variante chiamata cancellierato verso il monarca è responsabile solo il capo del governo (cancelliere),mentre i ministri sono responsabili verso quest’ultimo(Germania,1850-1918,Bismarck)
? governo assembleare : la concentrazione di tutto il potere elettivo è nell’assemblea elettiva, per un criterio astratto di maggiore democrazia. Realizza di fatto una confusione di poteri.
? governo presidenziale : la sua attuazione più riuscita si è avuta negli Stati Uniti d’America.
La Costituzione americana separa nettamente, almeno in teoria, legislativo (Congresso = Camera dei rappresentanti + Senato) ed esecutivo (presidente federale e segretari di Stato), eletti entrambi dal popolo. In pratica il presidente può proporre leggi e dare il veto su altre, mentre il Congresso influisce sull’esecutivo in vari modi, ad esempio mediante la procedura di impeachment.
Un’importante variante è il semi-presidenzialismo, a metà tra presidenzialismo puro e parlamentarismo : il presidente della repubblica è eletto a suffragio universale e dispone di importanti prerogative, riconosciutegli dalla Costituzione (Francia della V Repubblica, Austria, Finlandia, Islanda, Portogallo, Repubblica di Weimar 1925-1933)
La “coabitazione” tra presidente e parlamento evidenzia tuttavia le numerose difficoltà in caso di disaccordi : in Francia il sistema funziona solo per il fair play dei contendenti (Jospin e Chirac)
? governo parlamentare : legislativo ed esecutivo sono affidati a corpi diversi, espressione di principi politici diversi, ma si condizionano reciprocamente attraverso la fiducia di cui l’esecutivo deve godere da parte del legislativo (con obbligo di dimettersi in caso di sfiducia), e attraverso il potere attribuito all’esecutivo (e per esso il capo dello Stato) di sciogliere il parlamento.
Forma di governo in Italia : lo Statuto albertino non precisava la forma di governo adottata, ma fin da subito il sistema si evolse in senso parlamentare, fino al periodo autoritario. Con la caduta del fascismo, dopo aver valutato di introdurre il sistema presidenziale, si adottò un nuovo sistema parlamentare, razionalizzato. I capisaldi del sistema adottato nella Costituzione del 1948 sono:

  • separazione dei poteri, ma non in termini rigoristici,
  • responsabilità del governo di fronte alle camere, che possono anche votare mozione di sfiducia,
  • facoltà di sciogliere le Camere attribuita al capo dello Stato,
  • posizione di imparzialità del capo dello Stato che opera non come capo dell’esecutivo,
  • indipendenza del potere giudiziario (Consiglio superiore della magistratura)
  • controllo di costituzionalità delle leggi attribuito alla nuova Corte Costituzionale

 

 

PARTE TERZA :  LA  COSTITUZIONE  E  LE

 VICENDE  COSTITUZIONALI  ITALIANE

 

CAPITOLO 1 : LA COSTITUZIONE. TEORIE GENERALI :

Al vertice delle fonti, come stabilisce essa stessa (Artt.134-138-139) la Costituzione si trova in posizione primaria, per quanto riguarda i contenuti, e in essa si riassumono i principi fondamentali, organizzativi e finalistici della comunità statale.
Concetto : la Costituzione è il complesso di norme, anche non scritte, per le quali uno Stato è quello che è in un determinato contesto storico : ogni Stato ha, e non può non avere, una Costituzione e la Costituzione si pone con lo stesso porsi dello Stato. Essa tuttavia non è una legge fondamentale qualsiasi, ma quella legge fondamentale che presenta un certo contenuto legato a scelte politiche ben precise. L’art.16 della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789 assumeva già un concetto fondamentale di Costituzione, fondandolo, principalmente, sui diritti individuali e sulla separazione dei poteri.
Distinzioni tra Costituzioni :
¬ Costituzioni “bilancio”, che traducono in norma positiva un ordinamento politico già realizzato, e Costituzioni “programma” che, pur fissando obiettivi da raggiungere, vanno completate attraverso interventi normativi.
­ Costituzioni scritte , le più diffuse, più sicure in quanto documenti scritti , e Costituzioni consuetudinarie , ad esempio in Inghilterra .
® Costituzioni flessibili, quando, nella scala gerarchica delle fonti normative, si trovano in una posizione pariordinata alla legge ordinaria statale, con la conseguenza che qualsiasi legge di tale tipo può modificarle ( Inghilterra, Statuto Albertino), e Costituzioni rigide, quando hanno una forza formale superiore a quella delle fonti ordinarie sicché, per modificarle o abrogarle, sono necessarie speciali procedure, appositamente previste dalla stessa Costituzione (maggiore garanzie contro eventuali mutamenti í Costituzione italiana).
¯ Costituzioni “concesse”, che il sovrano adottava autolimitando il suo potere assoluto, senza l’intervento, almeno formale, della volontà popolare (nel passaggio dallo Stato assoluto allo Stato costituzionale), e Costituzioni “votate”, deliberate cioè da assemblee rappresentative, per lo più appositamente elette e definite appunto assemblee costituenti.
° Costituzione formale, complesso delle fonti normative di grado costituzionale, e Costituzione materiale, che comprende tutte quelle norme che in un determinato contesto storico- politico si ritengono così essenziali alla definizione dello Stato da considerarsi parte della sua Costituzione.

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 2 : CENNI DI STORIA COSTITUZIONALE ITALIANA:

Dal punto di vista giuridico formale, lo Stato italiano sorge con la l.17 marzo 1861,n.4671, che attribuisce al sovrano il titolo di Re d’Italia : in pratica si è trattato di un graduale incorporazione dei vari Stati con province annesse nel Regno di Sardegna, che mantenne la sua continuità assumendo la denominazione di Regno d’Italia.
Lo Statuto Albertino è laCostituzione che Carlo Alberto concesse nel 1848, nel contesto della ventata rivoluzionaria che sconvolse i residui assolutismi europei in quegli anni, ispirata ai principi di separazione dei poteri e dell’uguaglianza dei sudditi : “legge fondamentale, perpetua e irrevocabile della monarchia”, “concessa” dal sovrano, lo Statuto era Costituzione flessibile, e si adeguò con relativa facilità ai movimenti politici del periodo 1848/1922.
Il passaggio al fascismo segnò la fine dell’ ”adeguamento” dello Statuto : pur nella formale legalità statuaria, il regime abolì o limitò le principali libertà, soppresse il carattere rappresentativo dello stato ed eliminò l’uguaglianza tra i cittadini.
Con la caduta del fascismo, iniziò un processo di rinnovamento istituzionale che si incentrò nella scelta repubblicana e nella approvazione di una nuova Costituzione. E’ il cosiddetto periodo “transitorio”, in cui si distinguono quattro fasi :

  • dalla caduta del fascismo (25/7/1943) all’annuncio dell’armistizio con gli alleati (8/9/1943) : il re tenta di dimostrare l’irresponsabilità regia nell’ascesa del fascismo.
  • dall’armistizio fino alla presa di Roma degli alleati (4/6/1944) : “tregua istituzionale” tra il C.L.N e il re, che nomina suo figlio Umberto I luogotenente generale del Regno.
  • dalla presa di Roma al referendum (2/6/1946), con l’elezione di un’Assemblea Costituente.
  • elaborazione di una nuova Costituzione (fino al 1° gennaio 1948)

Caratteri formali della Costituzione italiana : 139 articoli e XVIII disposizioni finali e transitorie.
Comprende un nucleo di principi fondamentali (artt.1-12), una prima parte intitolata a diritti e doveri dei cittadini (artt.13-54), una seconda parte intitolata all’ordinamento della Repubblica (artt.55-139), disposizioni finali e transitorie (norme di completamento o di efficacia limitata nel tempo). Si può affermare che caratteristiche della Costituzione italiana sono :
4rigidità : la rigidità della nostra Costituzione non è assoluta, bensì attenuata, nel senso che è 
possibile modificarla, ma solo con un procedimento aggravato, e solo per alcuni aspetti.
4 lunghezza : si occupa cioè di argomenti di cui non tutte le costituzioni si occupano.
4 programmaticità : vengono stabiliti obiettivi e scelte di fondo da seguire. Esistono norme, da 
molti criticate, che impegnano il legislatore futuro, e che impongono una  
tavola di principi e valori anche per l’avvenire.
4 apertura : molte norme hanno infatti un carattere generico, che riflettono il carattere  
compromissorio
La Costituzione fu risultato di un compromesso tra i partiti popolari antifascisti (D.C, P.C.I, PSI) costitutivi dell’Assemblea costituente, e riflette così un’ispirazione di tipo cattolico- marxista, ma anche di tipo liberale. Sebbene la Costituzione scaturì principalmente da un compromesso, tuttavia fu realizzata nel segno dell’equilibrio , senza creare fratture. Fu approvata con larghissima maggioranza: questo indica che il “compromesso” fu un frutto scaturito dal pensiero di tutti gli Italiani in quel momento. Si verificò comunque una costante lentezza nell’attuazione delle disposizioni.
Revisione costituzionale : le revisioni e le riforme nella Costituzione sono esplicitamente ammesse dalla stessa Costituzione all’art.138. La legge costituzionale 24 gennaio 1997, n.1, istituì una Commissione parlamentare, che aveva il compito di esaminare i progetti di legge costituzionale e di redigere un progetto di legge di riforma della parte II della Costituzione. Il progetto di revisione provocò però opposizioni politiche, restando di fatto bloccato.

 

PARTE SETTIMA : LE GARANZIE COSTITUZIONALI

 

CAPITOLO 1 : LA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE :

 

La rigidità della costituzione è una forma di garanzia del sistema: la revisione della costituzione può
avvenire solo con atti aventi grado costituzionale, e attraverso un procedimento aggravato.
La Costituzione italiana rispetta i seguenti principi :

  • principio democratico
  • principio personalistico : lo Stato è al servizio della persona e dei suoi bisogni
  • principio pluralista: si riconoscono più centri di potere (non solo lo Stato, ma anche le regioni,

                                       le province, la famiglia e così via)

  • principio laborista : sul lavoro è fondata la Repubblica, secondo l’art.1 Cost.

In sede di revisione, il primo pensiero da porsi è se questi principi costituiscono un limite alla modificazione. I metodi di revisione adottati in diritto comparato sono :
-    ricorso a organi speciali : la revisione può essere attribuita alla competenza di un’assemblea
competente, appositamente costituita.

  • ricorso a speciali procedure : la competenza a deliberare sulle revisioni costituzionali è lasciata agli organi legislativi ordinari i quali però, nell’adottare leggi costituzionali, devono seguire procedure aggravate (referendum, speciali maggioranze).

Nella Costituzione italiana l’art.138 stabilisce che gli organi competenti all’adozione di leggi di revisione sono le due Camere, cioè gli organi a cui spetta, secondo l’art.70, la funzione legislativa ordinaria.
L’iter del progetto di revisione : la relativa iniziativa spetta agli organi ed enti cui compete l’iniziativa legislativa ordinaria. Non presenta diversità, in prima lettura, rispetto all’iter delle leggi ordinarie, con l’unico limite per il quale dovrà seguirsi la “procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera”.
Procedimento di revisione : il procedimento di adozione delle leggi di revisione è aggravato per
tre aspetti :

  • sono richieste due successive deliberazioni da parte di ogni Camera
  • tra le due deliberazioni devono intercorrere non meno di tre mesi
  • nella seconda votazione è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti : se la maggioranza è superiore ai 2/3, la legge viene promulgata e poi pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale”; se la maggioranza è assoluta ma inferiore ai 2/3, la legge viene pubblicata ed entro tre mesi può essere chiesto un referendum popolare (non obbligatorio). Se il referendum non viene richiesto, dopo tre mesi la legge viene promulgata e pubblicata, se viene richiesto, deve essere approvato dalla maggioranza dei voti validi.

Limiti della revisione costituzionale : secondo l’art.139 Cost. “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”, per un principio di definitività della Repubblica.
Limiti logici sembrano inoltre essere l’elettività del Capo dello Stato e la durata limitata del suo mandato, altri limiti riguardano la revisione dei diritti inviolabili dell’uomo, del principio democratico e della rilevanza conferita al lavoro, del principio dell’eguaglianza e di quello solidarista, del principio dell’unità e indivisibilità della repubblica e di quello dell’articolazione autonomistica dello Stato. La loro eventuale revisione consisterebbe nell’instaurazione di un ordinamento nuovo e diverso.
Leggi costituzionali : l’art.138 Cost. si riferisce alle leggi di revisione costituzionale ma anche alle “leggi costituzionali”. Tali leggi disciplinano materie non disciplinate dalla Costituzione : pongono regole fondamentali ma senza incidere sul testo costituzionale, e per questo non sono totalmente equiparate alla fonte costituente. Talvolta è la stessa Costituzione a decidere che alcuni argomenti siano trattati da leggi costituzionali, come nel caso delle regioni a Statuto speciale : si crede tuttavia che queste leggi irrigidiscano il sistema, perché nessuna legge ordinaria potrà modificarle, ma solo altre leggi costituzionali.

PARTE QUARTA : L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA

CAPITOLO 2 :  IL PARLAMENTO :

SEZIONE ® : LE FUNZIONI DEL PARLAMENTO :

  • LE LEGGI ORDINARIE : La funzione prevalente del Parlamento in uno Stato costituzionale

è  la funzione legislativa, cioè la deliberazione delle leggi.
Evoluzione storica : Nei tempi passati, ma anche fino ai secoli XIII e XIV, la legge è la volontà stessa del sovrano, mentre l’assemblea rappresentativa non ha ingerenza sul punto e la sua funzione principale consiste nel consentire la tassazione. Successivamente il potere legislativo è ancora del re, ma condizionato dalle assemblee : con il tempo la vera volontà legislativa si concentra nel Parlamento, e al sovrano spetta ancora un potere formale sanzionatorio. Attualmente la nostra Costituzione stabilisce che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (“Bicameralismo”), che hanno tuttavia anche poteri di controllo.
Caratteristiche delle leggi : le leggi sono fonti a competenza residuale, destinate a disciplinare le materie che la Costituzione non ha riservato a se stessa o ad altre fonti, e destinate a rispettare i regolamenti regionali e quelli parlamentari. Altri limiti incontrati dalla legge sono la riserva di legge, che le impone di regolare una data materia, e l’irretroattività, secondo il principio che le leggi ordinarie non sono efficaci nei casi avvenuti nel periodo a loro precedenti.
Solitamente le leggi presentano i caratteri di generalità e astrattezza, tuttavia possono anche essere l’esatto contrario, ovvero puntuali e concrete : prendono così il nome di provvedimento.
La legge è inoltre caratterizzata dalla cosiddetta “forza di legge”, che si traduce in :

  • idoneità ad abrogare leggi precedenti
  • capacità di resistere all’abrogazione di fonti successive sottoordinate

Leggi speciali : esprimono un rapporto con un’altra fonte,  quindi un rapporto generale /speciale, e ammettono ripetitività.
Leggi eccezionali : disposizioni dettate per disciplinare situazioni che derogano alla generalità e in termini che non ammettono ripetitività.
Leggi temporanee : leggi la cui efficacia nel tempo è circoscritta dalla legge stessa, o indicando un termine, o un evento al cui verificarsi perderanno efficacia. Derogano al principio secondo cui l’efficacia dovrebbe cessare solo in seguito ad abrogazione o dichiarazione di illegittimità.
à Procedimento legislativo :
¬ Iniziativa legislativa : la prima fase è la formulazione della legge. Secondo l’art.71 Cost. il potere 
di iniziativa spetta a :

  • Governo: i testi presentati sono indicati “disegni di legge” , invece dell’abituale “proposte di legge”, e hanno più possibilità di essere approvati
  • Ciascun membro delle due Camere (deputati e senatori)
  • Popolo, mediante la proposta di almeno 50000 elettori, che deve essere redatta in articoli e accompagnata da una relazione descrittiva
  • Organi ed enti cui il potere d’iniziativa sia conferito dalla Costituzione
  • Comitato nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL), secondo l'art. 99 Cost.
  • Regioni, secondo l’art. 121 Cost.
  • Comuni, nel caso di mutamento di circoscrizioni provinciali o di istituzione di nuove province nell’ambito di una stessa regione, secondo l’art. 131 Cost.

­ Fase istruttoria (o di esame) : esistono tre procedure d’esame, secondo la Costituzione:

  • procedura “normale” (art. 72 Cost.) : consta di due fasi : a) esame da parte di una delle Commissioni permanenti in sede referente (fase preparatoria), b) esame e deliberazione da parte della Camera.

 Secondo questo schema una delle Commissioni, ricevuto il progetto da una delle Camere, lo  
discute, formula nel caso un testo modificato e riferisce alla Camera. Successivamente, la      
Camera procede alla discussione del progetto e a votazione a scrutinio palese che avviene prima   
articolo per articolo e poi sul testo complessivo. In caso di approvazione, la proposta di legge  
viene trasmessa all’altra Camera mediante messaggio del Presidente e dopo, eventualmente,  
dalla seconda Camera al Governo, sempre con messaggio, per la promulgazione da parte del 
Capo dello Stato.
Procedura semplificata : le Commissioni “in sede deliberante” : la Commissione è investita dell’esame del progetto in sede legislativa, procede a votazione prima articolo per articolo e poi con votazione sul testo finale, e si limita a riferire alla Camera. Fino all’approvazione definitiva da parte della Commissione, la Camera ha il potere di “riappropriarsi” del procedimento.
Per alcune materie, come stabiliscono la Costituzione nell’art. 72,è escluso il procedimento in 
Esame, ma è ammesso soli il procedimento ordinario: si tratta dei disegni di legge in materia  
costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare  
trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.

  • Procedura semplificata : le Commissioni “in sede dirigente”:  il potere della Commissione è più marcato rispetto al procedimento ordinario, ma meno marcato rispetto alla prima procedura semplificata. Alla Commissione competente è assegnato il potere di formulare gli articoli in un disegno di legge e di approvare gli articoli, riservando alla Camera l’approvazione finale del progetto, o al Senato la votazione finale con sole dichiarazioni di voto. Anche questo procedimento non è ammesso per tutti i disegni di legge.

® Fase di deliberazione : ogni progetto di legge, per divenire legge perfetta, deve essere approvato 
nell’identico testo da entrambe le Camere (“bicameralismo perfetto”). In alcuni casi, una Camera
non approva il testo che aveva trovato il consenso dell’altra : il testo emendato deve tornare così
alla prima Camera perché questa valuti le modificazioni apportate e le accolga, oppure le
respinga, oppure introduca ulteriori cambiamenti e in questo caso il progetto torna alla precedente
Camera. Questi passaggi , chiamati “navette” , si concludono con l’accordo delle due Camere
sullo stesso testo o con l’abbandono del progetto.  Il principio della continuità legislativa afferma  
che la decadenza dei progetti pendenti alla fine della legislatura non è assoluta.
¯ Fase di promulgazione : la promulgazione è l’atto, dovuto,  con il quale il Capo dello Stato  
attesta solennemente,che un certo testo è stato approvato quale legge e ne ordina la pubblicazione 
e l’osservanza, in qualità di supremo garante della costituzionalità dell’ordinamento.
Rinvio presidenziale :  solitamente la promulgazione deve avvenire entro un mese  
dall’approvazione della legge ma il presidente della Repubblica, qualora non ritenga di procedere 
alla promulgazione, può rinviare la legge alle Camere, con messaggio motivato, per chiedere una 
nuova deliberazione. I motivi addotti dal rinvio possono essere di costituzionalità ma anche di    
merito, se vengono segnalati interessi generali ; le Camere non sono tenute a riconsiderare il
progetto ma, qualora la legge sia riapprovata, con o senza modificazioni del Presidente, essa deve    
essere promulgata.
° Fase di pubblicazione e di vacatio legis : solo con la pubblicazione la legge diventa efficace per
l’ordinamento generale dello Stato : essa si effettua subito dopo la promulgazione ,  
nell’inserzione nella “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana” e nella 
pubblicazione dell’annuncio di tale inserzione e del testo della legge nella “Gazzetta ufficiale 
della Repubblica”. Le Camere possono chiedere l’entrata in vigore con urgenza della legge, ma
normalmente, la legge entra in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla  
Gazzetta Ufficiale : il periodo di tempo intercorrente tra pubblicazione e vigenza viene definito   
“vacatio legis”e mira a permettere l’effettiva situazione di conoscibilità dell’esistenza della legge.

 

 

 

Ogni legge è destinata ad esser vigente nell’ordinamento fino alla scadenza di un termine, o fino

alla durata di una particolare situazione, o al verificarsi di un determinato evento (leggi ad tempus), oppure può perdere efficacia in caso si dichiarazione di illegittimità da parte della C. Costituzionale, ma più frequentemente perde vigenza a seguito di abrogazione esplicita o implicita.

  • IL REFERENDUM : Il referendum abrogativo è un meccanismo introdotto dalla Costituzione

per l’abrogazione di leggi, attraverso un’apposita consultazione popolare.
Il referendum abrogativo è espressione del principio della sovranità popolare e strumento per verificare la conformità dell’azione della maggioranza all’effettiva volontà popolare.
Modalità di effettuazione del referendum abrogativo : l’art. 75 Cost. ammette il referendum abrogativo per tutte le leggi e gli atti aventi forza di legge, eccezion fatta per quelle tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali.
Perché il referendum dia risultato positivo,cioè produca l’effetto abrogativo, è necessario:

  • Deve avere partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto
  • La proposta abrogativa deve avere ottenuto la maggioranza dei voti validamente espressi

La richiesta per indire il referendum non può essere presentata entro sei mesi dopo le elezioni e nell’anno che precede la scadenza delle Camere: essa deve provenire da cinquecentomila elettori o da cinque consigli regionali. Le domande per il referendum vanno depositate tra il 1° gennaio e il 30 settembre di ciascun anno presso l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione, che controlla il numero di firme e la loro autenticità, che può procedere all’unificazione di più richieste referendarie e anche disporre l’interruzione del processo referendario, ma solo qualora la legge da sottoporre a referendum sia stata già effettivamente modificata. Sull’ammissibilità del referendum decide poi la Corte Costituzionale entro il 20 gennaio con sentenza da pubblicarsi entro il 10 febbraio: sono sicuramente inammissibili referendum che intendono abrogare norme costituzionali, ma anche quelli riferiti a leggi ordinarie con “contenuto vincolato” alla Costituzione, per i quali abrogando la legge verrebbero meno gli effetti di norme costituzionali. Solitamente sono stati dichiarati inammissibili anche referendum che investono norme non omogenee, per i quali non è possibile rispondere con un “sì” o un “no” secco, e referendum che paralizzerebbero organi costituzionali.
Se il giudizio della Corte sia nel senso dell’ammissibilità, il Presidente della Repubblica indice con proprio decreto il referendum, fissandone la data in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Qualora i risultati del referendum sono favorevoli all’abrogazione, il Presidente dichiara, con proprio decreto, l’avvenuta abrogazione del testo legislativo sottoposto a referendum , avviando la pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale” e all’abrogazione che decorre dal giorno successivo alla pubblicazione (in alcuni casi può esserci vacatio per 60 giorni, tempo concesso al Parlamento per colmare la “lacuna” lasciata dalla legge abrogata).
Qualora, invece, il referendum dia risultato contrario all’abrogazione, il Ministero di Grazia e Giustizia ne dà notizia e non può proporsi nuova domanda per sottoporre a referendum lo stesso testo prima di cinque anni.
Attuazione pratica : dall’entrata in vigore della l. 352/1970, relativa ai referendum, la pratica dell’istituto referendario ha denunciato sempre più i suoi limiti e i suoi rischi, quando si ricorra al referendum non tanto per conseguire i risultati abrogativi che gli sono propri, quanto per fini politici generali, rischiando di coinvolgere questioni ben più ampie. Questo ha portato a una disaffezione dei cittadini verso forme di partecipazione che finiscono così per risultare strumentali e di difficile interpretazione.
Possibili riforme del referendum : nel corso degli anni la Corte Costituzionale ha sempre più richiesto la necessità che la formulazione dei quesiti da sottoporre a referendum sia semplice e chiara. Il ricorso ai referendum non deve comunque rivelarsi eccessivo, e in futuro si può ipotizzare l’aumento del numero minimo di firme necessario per la richiesta, e una più precisa definizione delle condizioni di ammissibilità dei referendum. Bisognerebbe inoltre tutelare maggiormente i sostenitori del “no”, evitando che le posizioni di chi è contrario all’abrogazione non siano conosciute apertamente dagli elettori, e introdurre una diminuzione del numero minimo di votanti oggi richiesto per la validità della consultazione referendaria. Si è anche teorizzata una revisione più ampia, con l’introduzione di referendum consultivi e deliberativi, con i quali gli elettori non sarebbero chiamati a dire cosa non vogliono, ma cosa vogliono, dando dunque al referendum un valore positivo, che potrebbe così coinvolgere maggiormente i cittadini.
Posizione gerarchica del referendum : l’opinione prevalente è che la disposizione contenuta nel risultato del referendum sia un “frammento di norma”, destinato a saldarsi con quella abrogata. Ma le Camere possono adottare con legge ordinaria un testo identico o comunque analogo a quello abrogato, frustrando, così, la decisione popolare? Si ritiene principalmente che l’atto risultante dal referendum non può essere contraddetto da una legge delle Camere, perché il referendum mal si presta ad essere inquadrato nella gerarchia delle fonti. La caratteristica del referendum è di essere fonte del tutto atipica e unica: la volontà popolare deve prevalere per un principio organizzativo essenziale del sistema, giuridicamente rilevante e quindi vincolante, e pregiudica le eventuali deliberazioni che le Camere volessero adottare sulla stessa materia. 
“Referendum di indirizzo” : nel 1989 si è deciso di sottoporre a voto consultivo popolare l’idea di trasformare le Comunità europee in vera Unione, con Governo, Parlamento e Costituzione propri e a tal fine si è indetto un apposito referendum. Il referendum può definirsi consultivo perché si richiede un consiglio, o meglio un “indirizzo”, con un contenuto doveroso assai più vincolante un semplice parere, destinato certamente ad assumere un notevole valore politico  (rafforzato dall’88,1%  a favore del “sì”), ma privo della forza tipica delle direttive.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 4  :   IL GOVERNO :

 

SEZIONE ­ : LE FUNZIONI DEL GOVERNO

Le funzioni normative del governo :  La delegazione legislativa:
Di regola, la funzione legislativa spetta alle Camere, e il Governo può intervenire soltanto nella fase instaurativa del procedimento legislativo, mediante presentazione dei disegni di legge.
Tuttavia, un fenomeno che deroga a questa regola si manifesta con l’esercizio da parte del Governo di attività normativa di grado primario, cioè con l’emanazione di atti che hanno forza di legge : si tratta dei decreti legislativi e dei decreti legge.
Secondo l’art.72 Cost., la delegazione legislativa consiste nel trasferimento dalle Camere al Governo non della titolarità legislativa, che resta alle Camere, ma dell’esercizio di tale potere, e si effettua mediante legge formale che richiede la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte delle Camere (art.76 Cost.). La legge di delegazione, norma di produzione e nello stesso tempo norma sulla produzione, fonte di legittimazione dell’esercizio di potestà legislativa da parte del Governo, deve contenere un complesso di limiti per l’attività dell’organo delegato :

  • limiti di tempo, secondo i quali ogni delega ha un termine ben stabilito, che si intende rispettato se entro quel dato termine viene emanato il decreto legislativo
  • limiti di materia , secondo i quali la delegazione può essere concessa solo per  “oggetti definiti”, senza la possibilità che il potere legislativo conceda all’esecutivo deleghe generiche per la disciplina di “materie”
  • limiti di contenuto, secondo i quali la legge di delegazione deve indicare i principi e i criteri direttivi cui deve attenersi il legislatore delegato

Si ritiene anche che oltre agli indicati “limiti minimi”, la legge di delegazione possa subordinare la delega a ulteriori limitazioni, ad esempio di carattere procedurale.

  • I DECRETI LEGISLATIVI: divenuta vigente la legge di delegazione, il Governo provvede ad

esercitare la potestà legislativa delegatagli mediante l’adozione di decreti legislativi emanati dal Presidente della Repubblica, che dovranno conformarsi strettamente ai limiti imposti, per non cadere nell’ipotesi di illegittimità costituzionale per eccesso di delega.
Seppure il decreto legislativo, in quanto più recente, potrebbe in teoria prevalere con modifiche sulla legge di delegazione, in pratica è la legge delegante a condizionare la legge delegata, e prevale su di essa in forza di esplicita prescrizione costituzionale. I decreti legislativi vengono dunque considerati fonti equiparati alle leggi ordinarie dello Stato, ma con i limiti derivanti dall’art. 76 Cost. nei rapporti con la sola legge di delegazione.     I decreti legislativi vengono pubblicati sulla “Gazzetta Ufficiale” ed entrano in vigore trascorsa la consueta vacatio legis.

  • I DECRETI LEGGE : in aggiunta al decreto legislativo, in Assemblea Costituente si ritenne di

non potere escludere rigidamente che situazioni particolari potessero legittimare il Governo ad adottare atti con forza di legge, anche senza la previa delega delle Camere  è  viene dunque a sorgere il presupposto per i decreti legge, dal carattere extra- ordinem, emanati attraverso decreto del Presidente della Repubblica, adottati quando ricorrono situazioni straordinarie di urgenza e necessità, che entrano in vigore il giorno stesso della pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale”.
Dopo la sua emanazione, il decreto legge ha vita massima di sessanta giorni : entro tale termine il decreto deve essere convertito in legge e quindi cessa di esistere essendovi sostituzione della fonte, oppure, se non convertito, si considera come se non fosse mai esistito, e si dice che “perde efficacia fin dall’inizio”.. Per ottenere la conversione in legge, il decreto deve essere presentato dal Governo alle Camere il giorno stesso dell’emanazione ; ricevuto il decreto, le Camere sono appositamente convocate, anche se sciolte, e debbono riunirsi entro cinque giorni. Il procedimento di conversione in legge o di bocciatura deve concludersi entro sessanta giorni. 
Sembra discutibile la possibilità che le Camere apportino modifiche al decreto legge, sminuendone così l’importanza, così come la pratica di rinnovazione dei decreti legge scaduto il loro termine e non convertiti dalle Camere, che tuttavia sembra abbandonata. Le Camere possono , ma in realtà devono, regolare con legge i rapporti sorti sulla base di decreti non convertiti.

  • I REGOLAMENTI : il potere regolamentare è esercitato anche da altri organi ed enti,

specialmente autonomi, ma i regolamenti che a noi interessano maggiormente sono adottati dal Governo, atti apparentemente soltanto di natura amministrativa, ma che hanno anche contenuto normativo, creativo di diritto oggettivo. La Costituzione non concede molto spazio ai regolamenti, mentre le “Disposizioni sulla legge in generale”, dopo aver elencato i regolamenti al secondo posto nella gerarchia delle fonti del diritto, dopo la legge, esplicitamente riconoscono un potere al Governo e ad “altre autorità”, stabilendo che non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge e che i regolamenti non governativi non possono dettare norme contrarie ai regolamenti governativi. La legge e atti aventi forza di legge prevalgono sempre sui regolamenti, talvolta è prevista a anche riserva di legge (vedi pagina 2), o preferenza di legge, nel senso che la legge, quando disciplina la materia, prevale su tutte le fonti regolamentari già in vigore e rende illegittime le disposizioni regolamentari successive che eventualmente fossero con essa in contrasto.
Nell’ordinamento italiano non è prevista riserva di regolamento.
Emanazione: secondo l’art.87 Cost. il Presidente della Repubblica emana i regolamenti.
L’ art.17, l. 400/1988 afferma inoltre che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro 90 giorni dalla richiesta, sono emanati regolamenti da sottoporsi al visto e alla registrazione della Corte dei conti e da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale. Sono questi i regolamenti governativi, che hanno l’obbligo di essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ed
entrano in vigore nel quindicesimo giorno successivo a quello della loro pubblicazione, salvo che sia altrimenti disposto.
Quando la legge espressamente conferisce tale potere,sono anche ammessi regolamenti ministeriali, adottati cioè dai singoli ministri, nelle materie di competenza al ministro, che non possono comunque dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Tali regolamenti devono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Secondo l’art. 17 della l. 400/1988, i regolamenti governativi sono di vari tipi :

  • regolamenti esecutivi, diretti a disciplinare l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, attraverso i quali vengono attuate norme di dettaglio rispetto alla legge;
  • regolamenti attuativi e integrativi, di leggi e decreti legislativi recanti norme di principio, quando la fonte primaria si limita a porre le norme principio che poi la fonte secondaria potrà integrare o attuare (esecuzione = emanazione di norme di dettaglio con discrezionalità limitata ¹ integrazione = sviluppo del principio- base, con maggiore libertà per l’esecutivo);
  • regolamenti indipendenti, emanati per disciplinare le materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge, purché non si tratti di materia coperta da riserva di legge;
  • regolamenti organizzativi, per regolare l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche, l’organizzazione del lavoro e i rapporti di lavoro
  • regolamenti di delegificazione (o autorizzati), secondo i quali la legge concede a un regolamento di occuparsi di una certa materia da un certo momento. Quando il regolamento viene emanato, la legge in questione viene abrogata : è dunque la stessa legge che fa dipendere l’effetto abrogativo di norme legislative (che non devono però essere coperte da riserva di legge) a una condizione sospensiva, ovvero in questo caso l’entrata in vigore di una disposizione parlamentare.

 

 

 

 

PARTE 2 : RAPPORTI DELLO STATO CON
ALTRI ORDINAMENTI GIURIDICI SOVRANI

CAPITOLO 1 : LO STATO E L’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE :

Esiste una pluralità di ordinamenti giuridici sovrani, i diversi Stati, l’ordinamento internazionale, la Chiesa Cattolica. Ogni Stato, pur affermando la sua indipendenza ed esclusività, non può non avere rapporti con gli altri ordinamenti sovrani e così anche con l’ordinamento internazionale.
E’ questa un concezione in contrasto con la teoria monista sostenuta dal Kelsen, secondo la quale la sovranità può attribuirsi allo Stato o all’ordinamento internazionale, ma non ad entrambi, per la contraddizione che non lo consentirebbe, e che presupporrebbe dunque che le norme dell’ordinamento internazionale non si rivolgono ai soggetti dei diversi ordinamenti statali, alle quali essi rimarrebbero indifferenti.
I rapporti tra gli Stati vengono normalmente disciplinati tramite accordi che presuppongono la soluzione di eventuali controversie in via pacifica, i più importanti dei quali sono i trattati.
I trattati, che obbligano ogni contraente sul piano internazionale, non hanno di per sé alcuna efficacia sul piano dell’ordinamento interno dei singoli Stati, per la quale è necessario un ulteriore atto che conformi l’ordinamento interno all’ordinamento internazionale.
Gli strumenti che gli Stati utilizzano quando ritengono necessario tutelare i propri interessi mediante la forza sono la legittima difesa, la rappresaglia, la guerra.

Secondo la Costituzione italiana : l’organo competente a rappresentare il nostro Stato nei rapporti con gli altri Stati è il Presidente della Repubblica, al quale vengono conferiti i poteri di accreditare e di ricevere i rappresentanti diplomatici (art. 87), di ratificare i trattati (artt. 80 e 87), solitamente con la preventiva autorizzazione delle Camere da concedersi con legge, nonché di dichiarare lo stato di guerra (art. 87), anch’esso previamente deliberato dalle Camere.

Adattamento del diritto interno al diritto internazionale : secondo l’art. 10 Cost. l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, e deve farlo automaticamente, cioè senza la necessità di ulteriore attività da parte dello Stato.
Ma la disposizione, che può considerarsi norma sulla produzione, lascia dei dubbi :

  • quali sono le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute: la norma in discorso presuppone un giudizio di valore rimesso all’interprete, ma non consente che esemplificazioni non esaustive;
  • quale grado tali norme assumono una volta trasferite nel diritto interno : si ritiene che le norme internazionali abbiano maggior durezza delle norme statali di grado legislativo ordinario e debbano quindi prevalere su queste in caso di contrasto. Non si crede che esse prevalgano anche sulle norme costituzionali che rimangono al vertice delle fonti.

Ripudio della guerra e limitazioni di sovranità : l’art. 11 Cost. delinea la volontà di pace e di collaborazione internazionale dell’Italia, che si concreta non solo nel ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma anche nella disponibilità a far quanto possibile, accettando se del caso limitazioni di sovranità, per assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni.
Le limitazioni della sovranità sono acconsentite a due condizioni : devono essere finalizzate al perseguimento degli scopi esplicitamente enunciati dall’art.11 e devono avvenire in condizioni di parità con gli altri Stati. Questo è avvenuto con l’adozione dell’Atto unico europeo e del Trattato di Maastricht.
Il nostro Stato, come detto, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. L’Italia fa parte di :

  • l’ONU (Organizzazione delle nazioni unite): sorta nel 1945, è un’associazione a tendenza universale e conta 185 membri. L’organo formalmente più importante è l’Assemblea generale, composta da tutti gli Stati membri, ognuno con un voto, mentre l’organo di maggior rilievo per i suoi poteri è il consiglio di Sicurezza, composto da cinque membri permanenti (U.S.A., Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia), e da dieci membri eletti ogni biennio dall’Assemblea generale.
  • La NATO (Organizzazione del Trattato del Nord- Atlantico): risale all’aprile 1949 e si qualifica ufficialmente come patto difensivo regionale in conformità alla Carta delle Nazioni Unite. Di contenuto in origine prevalentemente militare, ha subito recentemente un ridimensionamento sotto questo profilo e un potenziamento del ruolo politico.
  • Il Consiglio d’Europa : sorto nel 1949, raggruppa 18 membri, tra cui l’Italia.
  • Le comunità europee: ovvero la C.E.C.A.(Comunità europea dl carbone e dell’acciaio), istituita nel 1951,  la CEE (Comunità economica europea) e la EURATOM  (Comunità europea per l’energia atomica), istituite nel 1957. La C.E.C.A. può adottare decisioni obbligatorie, raccomandazioni, che vincolano solo sulla finalità da perseguire e pareri, che non hanno effetto vincolante; la CEE e l’EURATOM, invece, adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri. I regolamenti comunitari hanno portata generale, sono obbligatori in ogni loro elemento, e sono direttamente applicabili in ogni Stato membro; la direttiva vincola lo Stato ai soli scopi ma non alle modalità, la decisione è obbligatoria solo per i suoi destinatari, mentre raccomandazioni e pareri non creano alcun vincolo.

L’esperienza della Comunità ha concretamente costituito un passo importante nel senso della sovranazionalità, tuttavia il progressivo allargamento della Comunità ha contribuito per troppo tempo a far perdere di vista l’iniziale finalità di trasformare la Comunità economica in Comunità politica. Quella speranza federalista è comunque risorta in termini decisivi negli ultimi anni con l’adozione dell’Atto unico europeo e con il Trattato di Maastricht.
L’Assemblea comune delle tre comunità europee, che ha assunto la denominazione di Parlamento Europeo, composto attualmente da 626 membri, viene oggi eletta a suffragio universale e diretto da parte dei cittadini dei quindici Stati partecipanti : i suoi poteri rimangono eminentemente consultivi, anche se è cresciuta la risonanza dei dibattiti svolti e delle risoluzioni adottate. Qualche innovazione è stata introdotta dal Trattato di Maastricht (vedi dopo).
L’Atto unico europeo : dopo lunghi dibattiti e contrasti, si è pervenuti nel 1986 alla stipulazione del cosiddetto “Atto unico europeo”, che, pur con molte riserve sui suoi reali contenuti, può essere considerato un passo significativo verso la realizzazione dell’Unione europea, come è confermato dal successivo Trattato di Maastricht, che ne conferma in gran parte le disposizioni.
Il Trattato sull’unione europea (Maastricht, 7 febbraio 1992): attraverso tale trattato firmato dai rappresentanti dei dodici Stati della CEE (cui si aggiunsero nel 1995 l’Austria, la Svezia e la Finlandia), viene istituita una “Unione europea” fondata sulle esistenti Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione che il Trattato introduce. Scopo dell’ Unione è di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli e di definire una comune politica estera e di sicurezza.
Il quadro istituzionale dell’Unione diviene unico ed è costituito dal Parlamento europeo, dal Consiglio europeo, dalla Commissione della Comunità, dalla Corte di giustizia e dalla Corte dei conti ed assicura la coerenza e la continuità delle azioni svolte per il perseguimento dei suoi obiettivi. L’Unione si impegna a rispettare l’identità nazionale degli Stati membri i cui sistemi di governo si fondano sui principi democratici.
Alcune disposizioni del Trattato .

  • la Comunità economica europea prende il nome di “Comunità europea”;
  • viene istituita una cittadinanza dell’Unione attribuita a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro;
  • quanto agli organi istituzionali:
  • il Parlamento europeo, composto di rappresentanti dei popoli riuniti nella Comunità ed esercita i poteri attribuitigli dal trattato, che restano prevalentemente consultivi e di impulso, ma anche poteri di intervento sul piano legislativo,
  • il Consiglio , che ha poteri di decisioni delle politiche comunitarie,
  • la Commissione, organo esecutivo della Comunità,
  • la Corte di giustizia, che deve assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati europei,
  • la Corte dei conti, che ha la competenza al controllo delle entrate e delle spese;
  • Sono definite le politiche  della Comunità particolarmente  nel settore economico e monetario, sia per coordinare le politiche economiche degli Stati membri, sia per contenere i disavanzi pubblici dei singoli Stati, sia per mantenere la stabilità dei prezzi in un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Viene istituita la moneta unica europea, denominata inizialmente ECU, ma poi chiamata EURO. Col trattato dopo l’Atto Unico del 1986, si compie un passo significativo verso l’Unione europea, anche se il cammino è tutt’altro che completato  sia per le riserve già avanzate dalla Gran Bretagna soprattutto  sull’unione monetaria, sia per le difficoltà obiettive che potranno incontrarsi considerato il diverso grado di sviluppo economico dei diversi Paesi.

  

 

 

 

PARTE SESTA : DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

CAPITOLO 6 : I DIRITTI POLITICI :

 

I diritti politici, costituzionalmente affermati e garantiti, che possono spettare solo ai cittadini, esprimono la pretesa del singolo di partecipare alla comunità statale di cui fa parte.
La nostra Costituzione disciplina in quattro articoli (48-51) i diritti politici dei cittadini: meno rilievo assumono la possibilità di accesso ai pubblici uffici in situazioni di uguaglianza e il diritto di petizione, mentre più importanti sono il diritto di voto e il diritto di associarsi in partiti, che manifestano le esigenze di partecipazione che caratterizzano l’attuale configurazione dello Stato democratico.
Il diritto di voto: è senza dubbio il più rilevante strumento di partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato. Con l’esercizio del voto il cittadino non si limita ad esprimere una propria valutazione priva di rilevanza generale, ma contribuisce alla formazione di decisioni della comunità o alla costituzione di organi costituzionali dello Stato o di organi deliberanti di altre comunità locali.
All’art. 48 la Costituzione afferma il diritto di voto ma stabilisce che il suo esercizio è dovere civico, tuttavia non è più un obbligo positivamente sanzionato come in passato.
Lo stesso art.48, al primo comma, stabilisce il principio del suffragio universale, statuendo che sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Caratteri del voto:

  • personalità: il diritto e il suo esercizio appartengono a chi ne ha la titolarità secondo la legge Þ non sono ammessi voti per delega, tuttavia è ammesso l’invio dei voti per iscritto se vengono garantite la libertà e la segretezza e anche il voto di elettori fisicamente impediti con l’aiuto di altri elettori.
  • eguaglianza: tutti i voti concorrono in pari misura a determinare il risultato elettorale Þ non devono esistere voti multipli o plurimi.
  • libertà: i cittadini- elettori possono esprimere le loro opinioni politiche senza dover cedere a pressioni o a ricatti o comunque a condizionamenti che ne limitino la libera decisione.
  • segretezza.

Liste elettorali: il diritto di voto diviene concreto ed esercitabile mediante l’iscrizione nelle liste elettorali Þ sono iscritti d’ufficio nelle liste elettorali i cittadini che abbiano compiuto il 18° anno di età, che non si trovino in una delle condizioni che per legge privano dell’elettorato attivo e che siano compresi nel registro della popolazione stabile del Comune.
Secondo l’art.48 Cost. il diritto di voto può essere limitato per effetto di incapacità civile o per effetto di sentenza penale irreversibile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. Sono invece esclusi dall’elettorato attivo i membri e i discendenti di Casa Savoia.
Sezioni elettorali: ogni Comune è ripartito in sezioni elettorali, che comprendono da 100 a 800 elettori; il cittadino è assegnato alla sezione nella cui circoscrizione ha l’abitazione ed esercita il diritto di voto nella sezione elettorale nella cui lista è iscritto, con alcune eccezioni.
Le operazioni di voto per la Camera e per il Senato si svolgono in un solo giorno, così come le elezioni per il Parlamento Europeo.

I partiti politici: i partiti politici sono forme organizzative che consentono, unitamente al diritto di voto, una più continua partecipazione alle scelte della comunità, sistematica e non casuale, di indirizzo e anche di controllo. Il sorgere dei partiti è notevolmente influenzato dal progressivo estendersi del suffragio elettorale: quanto più ampi è il numero dei titolari del diritto di voto, tanto più è infatti necessaria una mediazione sistematica tra elettori ed eletti.

Art.49 Cost.: tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (ê funzione dei partiti).
ê Osservazioni: il diritto di associarsi in partiti non è riconosciuto a stranieri ed apolidi; il diritto di associarsi in partiti si differenzia dal diritto di voto non essendo un dovere; la pluralità dei partiti è condizione essenziale ed ineliminabile per la corretta attuazione del regime democratico.
Finanziamento pubblico dei partiti: il problema del finanziamento pubblico dei partiti è complesso, perché in mancanza di finanziamenti pubblici le risorse finanziate necessarie sono spesso giunte con prestiti illeciti o al limite del lecito, e spesso non verso il partito, ma verso i singoli esponenti.
Un minimo finanziamento appare dunque necessario. La legislazione italiana sul tema è passata attraverso la l.2 maggio 1974, n. 195, con cui è stato fissato il contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici, e il referendum popolare del 18 aprile 1993 che ha abrogato gli artt.3 e 9 di tale legge, riconoscendo un contributo statale per concorso nelle spese elettorali sostenute per l’elezione delle Camere o dei Consigli regionali o dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, attribuito ai partiti politici che ne facciano richiesta. Il referendum per l’ulteriore abrogazione di tale disposizione non ha raggiunto il quorum necessario.
Il diritto di petizione: l’art.50 Cost. afferma che “tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o per esporre comuni necessità”.
Tali petizioni vanno inoltrate per iscritto alle Camere, vengono comunicate in sunto alle Assemblee e quindi vengono trasmesse alle Commissioni competenti.
Il diritto di petizione ha comunque perduto pressoché totalmente la sua efficacia reale.

Il diritto di accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive: ai sensi dell’art.51 Cost., tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. La legge inoltre può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

CAPITOLO 7: I DOVERI DEI CITTADINI:

L’art.2 Cost., accanto ai diritti inviolabile dell’uomo,richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,economica e sociale.Non tutti i doveri pubblici hanno rilevanza costituzionale.

La fedeltà alla Repubblica: il dovere più rilevante che grava su ogni cittadino è quello di essere fedele alla Repubblica, trattato dall’art.54 Cost. Tale dovere può essere inteso, in termini generali, come dovere di accettazione e di rispetto dei valori essenziali dell’ordinamento, e nel rispetto del metodo democratico.

L’osservanza della Costituzione e delle leggi, discende dal dovere di fedeltà e con esso si integra. L’art.54, che disciplina questo dovere, sancisce inoltre il dovere dei cittadini cui siano affidate pubbliche funzioni di adempierle con disciplina ed onore, prestando il giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

L’art.52 stabilisce tre principi fondamentali: a) il dovere del cittadino di difendere la patria, attraverso l’azione delle Forze armate dello Stato e dunque attraverso b) l’obbligo di prestazione del servizio militare. In oggi nel nostro ordinamento il servizio militare è obbligatorio per i cittadini di sesso maschile, tuttavia è ammessa anche la sua sostituzione attraverso l’obiezione di coscienza. La prestazione del servizio militare obbligatorio non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio di diritti politici. L’ultimo principio affermato è il c) criterio democratico nello ordinamento delle Forze Armate. La disposizione secondo la quale “l’ordinamento delle F.Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” , va intesa come necessario collegamento tra Forze Armate, che non sono corpo a sé stante, e Repubblica, la cui integrità devono difendere.

Dovere tributario: per quanto riguarda il dovere fiscale l’art.53 Cost. stabilisce due principi. Quello per cui tutti (e quindi non soli i cittadini) sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e quello per il quale il nostro sistema tributario è informato a criteri di progressività. Sono cioè previste tasse più alte per chi ha un reddito più alto, quale strumento di perequazione fra i diversi contribuenti. Il criterio appare efficace, seppure non sia possibile applicarlo alle imposte dirette reali (imposte sui beni acquistati).

 

PARTE QUARTA : L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA

 

CAPITOLO 2 : IL PARLAMENTO :

Il Parlamento si presenta in posizione di primato tra gli organi costituzionali dello Stato, espressione istituzionalizzata e sistematica della sovranità del popolo.
Bicameralismo: nel nostro ordinamento si assiste al cosiddetto bicameralismo perfetto, in cui le due Camere hanno assoluta identità di funzioni e di poteri, seppure con qualche correttivo Þ si è assistito a numerose critiche per le inutili duplicazioni di questo sistema, che d’altra parte garantisce una maggiore ponderazione delle scelte legislative.
Composizione delle due Camere e legislatura: il Parlamento si compone nel nostro vigente ordinamento della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Entrambe le Camere sono elette, oggi, per cinque anni e il periodo intercorrente tra l'elezione di una Camera e il suo scioglimento viene denominato legislatura, ai sensi dell’art. 60 Cost.
La durata della legislatura può essere prorogata solo in caso di guerra e mediante legge formale, mentre la fine anticipata della legislatura può essere disposta dal Presidente della Repubblica mediante scioglimento delle Camere o di una sola di esse, ai sensi dell’art. 88 Cost.

  • La Camera dei deputati: è eletta a suffragio universale e diretto e composta da 630 deputati. Sono eleggibili a deputati tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25° anno di età nel giorno delle elezioni; sono elettori della Camera coloro che hanno il diritto di voto e quindi tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano raggiunto la maggiore età. Per le elezioni della Camera, il territorio nazionale è attualmente diviso in 26 circoscrizioni.
  • Il Senato della Repubblica: è eletto, come da Costituzione, “a base regionale”, e composto da 315 senatori elettivi: ogni regione ha almeno sette senatori, salvo il Molise che ne ha due e la Valle d’Aosta che ne ha uno. Sono eleggibili a senatori tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto nel giorno delle elezioni il 40° anno di età; sono elettori del Senato tutti i cittadini elettori che abbiano compiuto il 25° anno di età. Accanto ai senatori elettivi si trovano i senatori di diritto, a vita, e senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica.

Sono senatori di diritto, a vita, coloro che abbiano ricoperto la carica di Presidente della Repubblica, mentre il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che abbiano illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.
Ineleggibilità: quando il candidato si trova in situazione, prevista dalla legge, per cui non può essere eletto, qualora vi sia egualmente candidatura, e il candidato venga eletto, l’elezione è invalida e priva di efficacia.
Sono ineleggibili:

  • coloro che ricoprano determinate cariche o uffici di natura elettiva o burocratica., per non influenzare eventualmente l’elettorato;
  • i magistrati, per non impedire l’imparzialità nell’esercizio della funzione giurisdizionale;
  • coloro che ricoprano uffici presso governi esteri tanto in Italia quanto all’estero;
  • coloro che per la posizione ricoperta in imprese private che abbiano rapporti di affari con lo Stato non potrebbero esercitare il loro mandato con sufficienti garanzie per l’interesse pubblico.

Incompatibilità: quando il candidato si trova in situazione per la quale , se vuole conservare la carica parlamentare che è stata validamente assunta, deve rinunziare ad altra carica, incompatibile, appunto, con quella parlamentare. Sono cause di incompatibilità: la carica di deputato o di senatore con quella di Presidente della Repubblica, con quella di componente del Consiglio superiore della Magistratura o della Corte Costituzionale, con quella di consigliere regionale. Altre cause di incompatibilità sono fissate in via generale dalla l.13 febbraio’53 e da altre disposizioni particolari.
La presenza di una causa di incompatibilità pone il deputato o senatore nella necessità di optare per il mandato parlamentare o per la carica incompatibile.
I sistemi elettorali: la formazione e il funzionamento delle Camere sono ovviamente condizionati dal sistema elettorale adottato.

  • Sistemi uninominali: il territorio è diviso in collegi e in ogni collegio si presenta un solo candidato per simbolo o gruppo politico, e l’elettore può scegliere uno solo dei candidati.
  • Sistemi plurinominali: i candidati si presentano raggruppati in liste, e l’elettore sceglie non la persona ma la lista, pur potendo spesso esprimere una o più preferenze tra i candidati della lista.
  • Sistemi maggioritari: possono essere plurinominali o uninominali. I seggi vengono assegnati a chi ottiene nel collegio la maggioranza dei voti espressi; il sistema penalizza i partiti più deboli ma garantisce maggiore stabilità politica. Il sistema maggioritario majority attribuisce i seggi a chi ha ottenuto la maggioranza del 50% dei voti più uno, il sistema maggioritario plurality necessita soltanto la maggioranza relativa.
  • Sistemi proporzionali: sono necessariamente plurinominali. I seggi sono ripartiti tra le diverse liste in competizione in proporzione ai voti ottenuti; il sistema garantisce il rispetto totale dell’opinione del Paese, ma è causa di frammentazione e di instabilità.

In Italia: dapprima si affermò il sistema proporzionale ma la stessa Assemblea Costituente preferì non inserire nella Costituzione disposizioni in materia di sistemi elettorali, limitandosi a prescrivere il suffragio universale e diretto. La decisione era volta ad evitare di impegnare le future Camere costringendole a una revisione della Costituzione nel caso che volessero in avvenire adottare un altro sistema. Infatti, con la crescente instabilità politica, si sentì l’esigenza di una revisione del sistema elettorale: con la riforma del 1993 si introdusse tanto per la Camera quanto per il Senato un meccanismo di votazione a turno unico con attribuzione di ¾ dei seggi con sistema maggioritario e del restante quarto con sistema proporzionale.
Sistema elettorale del Senato: in base alla l. 4 agosto 1993, l’elezione del Senato della Repubblica avviene a base regionale. I ¾ dei seggi vengono dunque attribuiti con sistema maggioritario, per l’assegnazione dei seggi residui (¼), il sistema è più complesso: l’ufficio elettorale “scorpora” , per ogni gruppo, i voti dei cittadini già proclamati eletti, determinando la cifra elettorale per gruppo e la cifra individuale dei singoli candidati data dalla percentuale dei voti validi ottenuti in rapporto ai voti validi espressi nel collegio. Successivamente assegna i seggi spettanti ad ogni gruppo dividendo la cifra elettorale di ogni gruppo successivamente per uno, due, tre, ecc.. sino alla concorrenza dei senatori da eleggere e scegliendo quindi tra i quozienti così ottenuti i più alti in numero uguale ai senatori da eleggere, con conseguente assegnazione dei seggi ai gruppi in corrispondenza dei quozienti (metodo d’Hondt o delle divisioni successive).
Sistema elettorale della Camera: l’elezione della Camera dei Deputati è stata profondamente modificata dalla l. 4 agosto 1993, introducendo un sistema molto simile a quello adottato per l‘elezione del Senato e quindi con combinazione del metodo uninominale maggioritario con quello proporzionale per l’assegnazione dei seggi residui.
Verifica dei poteri: gli Uffici centrali circoscrizionali o quelli regionali procedono, sulla base dei conteggi effettuati, a proclamare l’elezione tanto dei deputati quanto dei senatori. Tale proclamazione non ha però efficacia definitiva essendo subordinata al risultato della cosiddetta “verifica dei poteri” o anche, come dice l’art. 66 Cost., al giudizio dei titoli d’ammissione, attribuita alle stesse Assemblee.
Divieto di mandato imperativo: la libertà delle scelte del parlamentare non può essere limitata in alcun modo, né da parte degli elettori che lo hanno votato né da parte del partito di appartenenza, che potrebbero aspettarsi dal proprio rappresentante determinati comportamenti. Ad ogni modo il parlamentare è responsabile, non solo nei confronti dei propri elettori, ma di tutto il corpo elettorale, e il partito, se “tradito” dal parlamentare, può emettere sanzioni punitive o censure verso di lui, che tuttavia non lo privano dello status di parlamentare.
Prerogative e immunità dei parlamentari: con la legge costituzionale 29 ottobre 1993 è stato sostituito l’art. 68 Cost. e sono stati modificati i diritti dei parlamentari Þ i parlamentari sono insindacabili per le opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni ed è necessaria l’autorizzazione della Camera di appartenenza per le perquisizioni personali o domiciliari, per gli arresti o altre privazioni della libertà personale, per mantenere in detenzione un parlamentare, per sottoporlo ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza (non è più richiesta per la sottoposizione a procedimento penale).
Indennità parlamentari: secondo l’art. 69 Cost. i membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge, diretta a garantire il libero svolgimento del mandato, che comprende il rimborso delle spese di segreteria e di rappresentanza. Essa è determinata dagli uffici di presidenza delle Assemblee in misura tale che non superi il trattamento complessivo dei presidenti di Sezione della Corte di Cassazione.

SEZIONE Á : L’ORGANIZZAZIONE
I regolamenti parlamentari: l’organizzazione interna delle Camere e del Parlamento in seduta comune nonché le procedure per il loro funzionamento sono in parte disciplinate dalla stessa Costituzione ed in parte dai regolamenti parlamentari cui la Costituzione rinvia (artt.64 e 72).
La Costituzione stabilisce (art.64) che ciascuna Camera adotta il proprio regolamento interno a maggioranza assoluta dei suoi componenti, mentre l’art. 72 Cost. riserva ai regolamenti delle Camere la disciplina del procedimento legislativo, fatte salve, le sole disposizioni direttamente dettate dalla Costituzione Þ i regolamenti parlamentari si pongono quindi in posizione subordinata alla sola Costituzione e a loro favore è fissata una “riserva” che non potrebbe essere violata con disposizioni di legge ordinaria.
Gli attuali regolamenti della Camere sono stati adottati nel febbraio 1971 e sono entrati in vigore, entrambi, il 1° maggio di tale anno. I regolamenti delle Camere prescrivono la loro pubblicazione sulla “Gazzetta Ufficiale”, facendo tra l’altro decorrere da tale pubblicazione la vacatio per la loro entrata in vigore.
Organi delle Camere: la Costituzione si limita, all’art.63, a stabilire che ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’ufficio di Presidenza. Maggiori dettagli sono forniti necessariamente dai regolamenti parlamentari i quali indicano gli organi delle Assemblee e ne stabiliscono le modalità di costituzione. In sintesi, ogni Camera ha:

  • un presidente eletto dagli appartenenti alla singola Assemblea, che non ha più solo funzioni di direzioni dei lavori, ma anche funzioni di direzione politica.
  • quattro vice presidenti, tre questori ed otto segretari.
  • un ufficio di presidenza del quale fanno parte i vice presidenti, i questori e i segretari.
  • gruppi parlamentari costituiti in base alle dichiarazioni rese dai singoli senatori o deputati. Per la costituzione di un gruppo parlamentare al senato sono necessari almeno dieci senatori, mentre alla Camera almeno venti deputati. I deputati o i senatori che non aderiscono ad alcun gruppo sono iscritti automaticamente al cosiddetto “gruppo misto”.
  • le giunte, organi a carattere permanente le cui funzioni principali risultano dalla loro stessa denominazione
  • le commissioni permanenti, costituite in ogni Camera con competenze legislative, di controllo politico e conoscitive, in numero di tredici tanto alla Camera quanto al Senato. La ripartizione di senatori e deputati nelle diverse commissioni deve ispirarsi all’esigenza di rispettare, in proporzione, la composizione delle Assemblee

Funzionamento delle Camere: sul funzionamento numerose disposizioni si ritrovano nella stessa Costituzione, tuttavia è molto ampia l’autonomia delle Camere stesse. Nell’ambito della legislatura non si parla più di “sessioni”, periodi di effettivo lavoro delle Assemblee, con l’eccezione della “sessione parlamentare di bilancio” ; esistono solo i periodi di seduta delle Camere, peraltro di notevole durata, cosicché può dirsi che le Camere sono di fatto in attività per tutto il corso della legislatura.
Le sedute delle Camere: le sedute delle Camere, convocate sempre dal presidente, possono essere pubbliche o segrete, ordinarie o straordinarie. In via ordinaria, ai sensi della Costituzione (art.62), le Camere si riuniscono il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre; in via straordinaria, ogni Camera si riunisce per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Non ha il potere di convocazione il Governo.
Secondo l’art. 64 Cost. le deliberazioni (e non le sedute!) di ciascuna Camera “non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti e se non sono adottate a maggioranza dei presenti”. Tanto alla Camera che al senato, le votazioni possono avvenire a scrutinio palese o a scrutinio segreto e la maggioranza normale prescritta dalla Costituzione per le deliberazioni parlamentari è la maggioranza semplice (50% più uno dei presenti). Per quanto riguarda la Camera sono considerati validi e presenti solo favorevoli e contrari, e non gli astenuti, mentre il regolamento del Senato afferma che tutti i senatori, siano favorevoli, contrari o astenuti sono da ritenersi presenti.
Programmazione dei lavori parlamentari: i lavori delle Camere sono organizzati secondo programmi che si articolano su alcuni momenti essenziali tra i quali i contatti tra i presidenti delle Camere e con il Governo e la formazione del programma cui provvede la conferenza dei capigruppo. Se tale programma è adottato all’unanimità dalla conferenza dei presidenti dei gruppi, diviene impegnativo dopo la comunicazione all’assemblea e alle commissioni permanenti; l’Assemblea può comunque, al termine di ogni seduta, apportare le necessarie modificazioni all’ordine dei lavori già stabilito.
Il Parlamento in seduta comune: l’art. 55 della Costituzione afferma che il Parlamento può riunirsi anche in seduta comune dei membri delle due Camere, deliberando autonomamente. Tale ipotesi è prevista solo nei casi tassativamente previsti dalla Costituzione (vedi pagina seguente) ed un suo ampliamento sarebbe possibile solo mediante legge costituzionale. Il presidente, l’ufficio di presidenza, il regolamento e la sede del Parlamento in seduta comune sono quelli della Camera dei deputati.

SEZIONE Â : LE FUNZIONI

1. FUNZIONE LEGISLATIVA: Þ vedi pagine 10-13

2. FUNZIONE DI CONTROLLO:
L’attività di controllo delle Camere sul Governo e sulla Pubblica Amministrazione in generale si attua attraverso i seguenti strumenti ispettivi:

  • interrogazione: consiste nella semplice domanda, rivolta per iscritto, per sapere se un fatto sia vero; può essere a risposta orale e a risposta scritta. Secondo la procedura del question time ogni mercoledì di norma la seduta è dedicata alla discussione di “interrogazioni a risposta immediata”, consistenti in domande al Governo, con limiti di tempo estremamente limitati.
  • interpellanza: consiste nella domanda, rivolta per iscritto, per conoscere i motivi o gli intendimenti della condotta del Governo in questioni che riguardino determinati aspetti della sua politica. E’ strumento tipicamente ispettivo. In caso di insoddisfazione, può esserci mozione.
  • risoluzione: con essa vengono manifestati orientamenti o definiti indirizzi su specifici argomenti
  • mozione: è un testo che può essere presentato da un presidente di gruppo o da almeno dieci deputati alla Camera, da almeno otto senatori al Senato, che mira a promuovere una deliberazione dell’Assemblea su un determinato argomento.

Ma l’attività di controllo si manifesta anche nelle inchieste parlamentari: la stessa Costituzione (art.82) disciplina la materia, stabilendo che ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina tra i propri componenti una Commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione tra i vari gruppi, che procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. Le commissioni di inchiesta possono essere istituite separatamente da ognuna delle Camere o da entrambe le Camere congiuntamente, oppure l’inchiesta può essere deliberata con apposita legge. A conclusione dei lavori, le Commissioni devono riferire alla Camera da cui sono state nominate, mediante una o più relazioni, a seconda che i risultati dell’inchiesta siano adottati all’unanimità o a maggioranza Þ sarà poi la Camera ad assumere le decisioni conseguenti.

3. FUNZIONE DI INDIRIZZO:
Tale funzione corrisponde alla natura delle Camere in quanto espressive in via diretta della volontà popolare. Appartengono all’attività di indirizzo le mozioni e le risoluzioni, ma possono essere comprese anche le leggi di autorizzazione e di approvazione, che esercitano un’efficacia condizionante non solo per l’attività successiva del Governo, ma anche per quella dello stesso Parlamento che rimane perciò vincolato alla loro osservanza, a meno di non derogarvi in modo espresso.
Collegati alle leggi di autorizzazione e di approvazione sono la legge di bilancio, il principio secondo il quale ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farne fronte e l’obbligo per le Camere di approvare annualmente, oltre al bilancio dello Stato, anche il rendiconto consuntivo presentato dal Governo.
4. ALTRE FUNZIONI DELLE CAMERE:
Spetta alle Camere delegare al governo l’esercizio della funzione legislativa, deliberare lo stato di guerra, autorizzare con legge la ratifica dei principali trattati internazionali.
Le Camere hanno anche il dovere di esaminare le petizioni che i cittadini hanno ad esse rivolte, per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità, e il potere di svolgere, attraverso le commissioni, indagini conoscitive che possono concretarsi in udienze conoscitive.
5. FUNZIONI DEL PARLAMENTO IN SEDUTA COMUNE:
Le sedute “tassativamente previste” dalla Costituzione per il Parlamento in seduta comune sono:

  • di natura elettorale. Spetta infatti al Parlamento, integrato dai rappresentanti regionali, eleggere: il Presidente della Repubblica, un terzo dei componenti del Consiglio superiore della Magistratura, un terzo dei componenti della Corte Costituzionale, i 45 cittadini che formano l’elenco dal quale verranno estratti a sorte, quando necessario, i 16 giudici aggregati della Corte Costituzionale per i giudizi di accusa. In tutti questi casi, si vota soltanto, senza che sia consentita discussione.
  • di natura processuale- penale. Il Presidente della Repubblica può essere posto, con deliberazione del Parlamento in seduta comune, in stato di accusa dinanzi alla Corte Costituzionale per i reati previsti dalla Costituzione (art.90 Cost.)
  • di accertamento. Il Parlamento in seduta comune, non integrato in questo caso dai rappresentanti regionali, riceve il giuramento che il Presidente della Repubblica compie prima di assumere le sue funzioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3 : IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA:

SEZIONE ¬ : LA STRUTTURA

Capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale, il presidente della Repubblica si colloca, nel nostro ordinamento, al vertice formale dell’organizzazione statale, fornito di limitati ma significativi poteri anche sul piano sostantivo.
Durante i lavori della Costituente si discusse a lungo sulla concretezza dei poteri del presidente, indubbiamente ridotti quantitativamente rispetto a quelli che lo Statuto Albertino concedeva al re, ma non per questo meno incisivi e rilevanti nel funzionamento del Senato.
Al di sopra delle parti, il capo dello Stato è garante della costituzionalità dell’ordinamento e la Costituzione gli garantisce efficienti poteri per assolvere a questa delicata funzione: egli è un organo tendenzialmente al di sopra delle parti, capace di intervenire in forza di tali poteri costituzionalmente assegnatigli, per consentire al sistema di funzionare nei momenti di crisi o di pericolo. L’indirizzo politico per il quale agisce è distinto da quello di maggioranza e può definirsi “indirizzo costituzionale” proprio in considerazione della posizione che gli spetta di “custode della Costituzione”.
Elezione e procedure per l’elezione: il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri, alla quale partecipano tre delegati per ogni regione, con eccezione della Valle d’Aosta che ne ha uno, eletti dal Consiglio regionale.
La convocazione di tale Parlamento spetta al presidente della Camera dei deputati, che deve provvedervi trenta giorni prima che scada il termine di durata del mandato del presidente in carica. Se però le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, l’elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle nuove Camere. Nel frattempo vengono prorogati i poteri del presidente in carica.
In caso di inadempimento permanente o di morte o di dimissioni del presidente della Repubblica, la convocazione del Parlamento integrato dai rappresentanti regionali ha luogo entro quindici giorni dal verificarsi dell’evento, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manchi meno di tre mesi alla loro cessazione. In questi casi, ai sensi dell’art. 86 Cost., le funzioni presidenziali sono svolte in qualità di supplente dal presidente del Senato.
L’elezione del presidente della repubblica ha luogo a scrutinio segreto; è dichiarato eletto chi consegua il voto dei due terzi dei componenti dell’Assemblea. Qualora nessuno ottenga un tale risultato, si procede a una seconda ed eventualmente a una terza votazione; solo a partire dal quarto scrutinio è dichiarato eletto chi consegua la maggioranza assoluta.
Proclamato l’esito positivo della votazione, secondo la prassi il presidente della Camera, accompagnato dal Segretario Generale, si reca dall’eletto per consegnargli il verbale dell’avvenuta elezione. Non è prevista in questa fase alcuna accettazione formale da parte dell’eletto.
Requisiti di eleggibilità e incompatibilità: può essere eletto presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquant’anni di età e goda dei diritti civili e politici.
L’ufficio di presidente della Repubblica è inoltre incompatibile con qualsiasi carica o ufficio pubblico o privato e con l’esercizio di qualsiasi professione. Al presidente sono attribuiti una dotazione ed un assegno rivalutati automaticamente annualmente, in base all’indice ISTAT dei prezzi di consumo.
Assunzione della carica: il presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, secondo l’art. 91 Cost. deve prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune.
Il giuramento è l’atto con il quale l’eletto capo dello Stato manifesta la sua volontà di accettare la carica e viene immesso nell’esercizio delle sue funzioni. E’ ormai prassi consolidata che all’atto del giuramento il presidente rivolga alle Camere riunite un messaggio, oralmente.
Il presidente della Repubblica dura in carica sette anni dal giorno del giuramento: il termine presidenziale è stato fissato più lungo rispetto alla durata delle Camere (5 anni), per garantire
maggior indipendenza al presidente nei confronti delle Assemblee, entrambe rinnovate nel corso del mandato presidenziale. In astratto, il Capo dello Stato è rieleggibile senza limiti, tuttavia si sono manifestate prevalenti opinioni contrarie alla rielezione dei presidenti scaduti.
Cessazione della carica: la cessazione del mandato può essere determinata da diverse cause:

  • scadenza del mandato: è la situazione normale; il presidente della Camera procederà agli adempimenti di cui all’art. 85 Cost.
  • dimissioni: atto personale del presidente che non va controfirmato, per essere valido, dai ministri.
  • perdita dei requisiti per ricoprire la carica: ipotesi piuttosto astratta.
  • condanna da parte della Corte Costituzionale: per atti non riferentisi all’esercizio delle funzioni presidenziali nei casi preveduti dalla legge.
  • morte: il presidente del Senato eserciterà le funzioni di Capo dello Stato e il presidente della Camera indirà entro i quindici giorni dall’evento luttuoso l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
  • impedimento permanente all’esercizio delle funzioni: questa ipotesi potrebbe sollevare più problemi rispetto alla morte.

Alla cessazione della carica il presidente della Repubblica diventa senatore di diritti, a vita, secondo l’art. 59 Cost. La carica si acquista automaticamente, senza bisogno di accettazione, ma è rinunciabile per espressa disposizione costituzionale. Se il presidente ha perduto la cittadinanza o i diritti civili e politici non può diventare senatore.
Sostituzione temporanea del presidente: si è detto che, secondo l’art. 86, qualora il presidente della Repubblica non possa adempiere le sue funzioni, queste sono esercitate dal presidente del Senato.
Si è infatti tenuto conto che al presidente della Camera è attribuita la presidenza del Parlamento in seduta comune, e la disposizione in materia di supplenza riequilibra così il rapporto tra le due Assemblee ispirato appunto al bicameralismo perfetto.
L’istituto della supplenza del presidente del Senato è lasciato dalla Costituzione a regole di correttezza: è presupposto un impedimento temporaneo o permanente del presidente della Repubb.
Se l’impedimento è permanente devono sussistere ragioni di salute, e il presidente del Senato eserciterà le funzioni di capo dello Stato fino all’entrata in carica del nuovo presidente della Repubblica. Se l’impedimento è temporaneo, dovrà risultare da una situazione obiettiva (ad esempio viaggi all’estero) e non da decisione personale del capo dello Stato, la cui valutazione è peraltro rilevante e può risultare determinante; è escluso l’istituto della delega delle funzioni.
Accertato l’impedimento, il presidente del Senato acquista immediatamente l’esercizio delle funzioni presidenziali, con tutte le prerogative della carica, senza necessità di alcuna particolare procedura e senza l’obbligo di prestare giuramento. In astratto, il supplente può esercitare tutte le funzioni del presidente impedito; tuttavia si è ritenuto che la correttezza costituzionale gli impedisca di adottare decisioni di particolare rilievo politico, quale lo scioglimento delle Camere, o non particolarmente urgenti, come la nomina di sentori a vita.

SEZIONE ­ : LE FUNZIONI:
Nell’ordinamento internazionale: nello svolgimento dell’attività internazionale del nostro Stato, il presidente della Repubblica:

  • rappresenta lo Stato nei rapporti internazionali avendo una capacità rappresentativa generale;
  • accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, secondo l’art. 87 Cost.;
  • ratifica i trattati previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Tale autorizzazione è richiesta per i trattati di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.;
  • dichiara lo Stato di guerra deliberato dalle Camere. Nella prassi soltanto con legge potrebbero essere conferiti al Governo i “poteri necessari” e solo successivamente il presidente della Repubblica potrebbe procedere alla formale dichiarazione di guerra (che tuttavia nel nostro ordinamento, ai sensi dell’art. 11 Cost., può solo essere guerra difensiva).

Nell’ordinamento interno:

  • Gli atti di indirizzo governativo: gli atti che rendono concreta la politica del Governo vengono imputati al Presidente della repubblica per ragioni formali, ma non indicano una competenza sostanziale dell’organo alla loro adozione, e vengono definiti atti di indirizzo governativo.         La legge 12 gennaio 1991,n.13, ha indicato 30 gruppi di atti che vanno, appunto, adottati con decreto presidenziale con elencazione esplicitamente dichiarata tassativa e tale da non poter essere “modificata, integrata, sostituita o abrogata se non in modo espresso”.

·   Gli atti esecutivi di prescrizioni costituzionali: altri atti devono essere compiuti dal presidente
della Repubblica per lo stesso funzionamento dell’ordinamento costituzionale. Si tratta di atti 
dovuti anche se spesso la loro concreta adozione è preceduta da una proposta ministeriale,
assolutamente necessari per la continuità legale e il regolare funzionamento dello Stato, sicché
la loro omissione o anche un semplice ritardo sarebbero una forma gravissima di violazione 
costituzionale da parte del capo dello Stato. Tali sono: la promulgazione delle leggi alla quale il 
presidente deve procedere entro un mese, salvo che non intenda rinviare la legge alle Camere 
per una nuova deliberazione; l’indizione del referendum popolare, costituzionale o abrogativo;       
l’indizione delle elezioni delle nuove Camere e la fissazione della loro prima riunione.
¸   La presidenza di organi collegiali: spetta al presidente della Repubblica la presidenza di organi
collegiali di rilevanza costituzionali, il Consiglio supremo di difesa e il Consiglio superiore della 
Magistratura. Il Consiglio supremo di difesa è composto da otto membri permanenti, ovvero il 
presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio dei ministri, cinque ministri e il capo di 
stato maggiore della difesa. La presidenza del Consiglio superiore della Magistratura ha 
soprattutto carattere simbolico.
¹   Gli atti di prerogativa: si tratta di concessioni di onorificenze di ordini cavallereschi, di potere
di grazia e di commutazione delle pene, secondo l’art. 87 Cost., mentre la potestà di concedere  
amnistia e indulto rimane alle Camere.

  • Gli atti di indirizzo presidenziale: sono atti attribuiti non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, al capo dello Stato. In forza di tali poteri, il nostro presidente non è solo l’organo neutro e di intermediazione, bensì l’organo attivo abilitato ad intervenire con atti rilevanti, nell’interesse del rispetto della Costituzione e di quell’unità nazionale che spetta al presidente rappresentare. In particolare:
  • La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: i margini di scelta del capo dello Stato possono in realtà risultare molto ridotti, poiché non può non tenere conto degli orientamenti delle forze capaci di dar vita a una maggioranza parlamentare. Il presidente della Repubblica ha il compito di nomina del presidente del Consiglio e, su sua proposta, dei ministri.
  • L’accettazione delle dimissioni del governo: spetta al Presidente accettare le dimissioni presentate dal Governo. Quando il Governo non ha ottenuto la fiducia delle Camere o è stato colpito da sfiducia l’atto è dovuto, così come nel caso di morte, impedimento permanente o decadimento della carica del presidente del Consiglio. Quando invece il Governo presenta le sue dimissioni per valutazioni politiche il capo dello Stato può giocare un ruolo importante e la sua decisione di accettare o di respingere le dimissioni del Governo, rientra in una valutazione autonoma e fondata sugli interessi generali del Paese.
  • L’autorizzazione alla presentazione di disegni di legge di iniziativa governativa: l’atto di autorizzazione della presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo ha per lo più valore formale.
  • La convocazione straordinaria delle Camere: tale potere, previsto dall’art. 62 Cost., non è mai stato esercitato fino ad oggi.
  • L’invio di messaggi alle Camere: i messaggi del capo dello Stato alle Camere hanno un senso solo se si considerano come atti di indirizzo presidenziale, come la possibilità data al presidente, in momenti gravi per il Paese, di prendere l’iniziativa di inviare alle Camere messaggi per richiamare la loro attenzione su questioni che meritino di essere esaminate e discusse.
  • Il potere di esternazione: il presidente della Repubblica deve avere la possibilità di esprimere le proprie valutazioni in ordine all’indirizzo costituzionale a lui rimesso, rivolgendole alle Camere con messaggi formali, ma anche ad altre istituzioni costituzionali e al Paese. Tali esternazioni non possono però investire questioni che rientrano nella competenza del Governo e del Parlamento e non devono essere contestazioni da parte del presidente delle istituzioni costituzionali che a lui spetta di garantire.
  • Il rinvio delle leggi alle Camere per una seconda deliberazione: tale rinvio deve essere operato con un messaggio nel quale il capo dello Stato chiarisce i motivi della sua decisione. Il capo dello Stato deve infatti avere il potere di richiamare le Camere a una più attenta valutazione delle leggi approvate, quando tali leggi appaiano in contrasto con prescrizioni costituzionali o con quegli interessi generali della comunità nazionale di cui il capo dello stato è tutore.
  • Lo scioglimento delle Camere: è il potere più rilevante attribuito al capo dello Stato, contrappeso al potere delle Assemblee di condizionare, con il voto di fiducia, l’esistenza del Governo nominato dal presidente della Repubblica. Dopo il 1948 si sono avuti numerosi scioglimenti anticipati, determinati da motivazioni tecniche (1953, 1958, 1963, 1968), situazioni di instabilità politica del Parlamento (1972, 1976, 1979, 1983, 1987) contrasti istituzionali (1992), bufere giudiziarie e mutamento delle leggi elettorali (1994), rotture politiche (1996).       Il potere di scioglimento risponde, anzitutto, alla necessità di garantire il funzionamento delle istituzioni in caso di incapacità delle Camere di dare un Governo almeno relativamente stabile al Paese. L’art. 88 Cost., che non parla sui casi nei quali può farsi ricorso allo scioglimento anticipato, contiene due indicazioni procedurali. Infatti il capo dello Stato: a) prima di disporre lo scioglimento deve consultare i presidenti delle due Camere e b) non può procedere a scioglimento negli ultimi sei mesi del suo mandato (“semestre bianco”).
  • La nomina di cinque giudici costituzionali: spetta al presidente nominare un terzo dei giudici della Corte Costituzionale (cioè cinque), dopo l’elezione degli altri dieci giudici, per consentire al presidente della Repubblica di integrare la composizione della Corte con quelle competenze che fossero state eventualmente trascurate dal Parlamento o dalle supreme magistrature.
  • La nomina di cinque senatori a vita: secondo l’art. 59 Cost. La scelta rimessa al presidente garantisce una valutazione obiettiva e non condizionata da considerazioni politiche particolari e, come tale, rientra nelle esigenze politiche del sistema.
  • La nomina di otto componenti del CNEL e del Segretario Generale della presidenza della Repubblica: dei dodici membri scelti fra qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica, otto sono nominati dal presidente della Repubblica, senza bisogno della proposta del presidente del Consiglio dei ministri. Perla nomina del Segretario generale della presidenza della Repubblica è invece obbligatorio il parere del Consiglio dei ministri, ma non vincolante, mentre è esclusa l proposta governativa.

SEZIONE ® : LA RESPONSABILITA’
La tutela del capo dello Stato è disciplinata dal Codice Penale, che protegge il presidente della Repubblica contro particolari reati quali l’attentato contro la sua vita, la sua incolumità e la sua libertà personale (art. 276); l’offesa alla sua libertà (art. 277); l’offesa al suo onore e prestigio (art.278). Secondo l’art. 279 il presidente non ha responsabilità e non può essere biasimato per gli atti del Governo da lui emanati, tuttavia per lo stesso criterio si ritiene che sia responsabile per gli atti di indirizzo presidenziale.
Responsabilità politica: secondo l’art. 89 Cost., nessun atto di indirizzo governativo è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità. Per quanto riguarda gli atti di indirizzo presidenziale, il Governo non si assume invece nessuna responsabilità politica.
Responsabilità penale: ai sensi di Costituzione (art. 90 Cost.), il presidente non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, con l’eccezione nel caso di alto tradimento o di attentato alla Costituzione. A mettere il presidente in stato di accusa è il Parlamento in seduta comune, a giudicarlo la Corte Costituzionale in composizione integrata.
CAPITOLO 4: IL GOVERNO:

SEZIONE ¬ : LA STRUTTURA:
Secondo la definizione dell’ art. 92 Cost., il governo della Repubblica è composto da:

  • il presidente del Consiglio;
  • i ministri, in numero indeterminato, pur sussistendo sul punto una riserva assoluta di legge ai sensi dell’art. 95 Cost.;
  • il Consiglio dei ministri, costituito dal presidente del Consiglio unitamente ai ministri.

Il Governo è un organo che agisce in forza di un’autonoma posizione costituzionale, con proprie competenze, raccordate, nel loro esercizio, con la volontà popolare espressa dalle Camere e riassunta nella concessione della fiducia e nello svolgersi del rapporto fiduciario. E al Governo spetta tutto il potere esecutivo, escludendo l’attività esecutiva per via giurisdizionale.
Procedimento formativo del Governo: ai sensi dell’art. 92 Cost. il presidente della Repubblica:
a) nomina il presidente del Consiglio; b) nomina, su proposta del presidente del Consiglio,i ministri.
Secondo la pratica attuale, il presidente della Repubblica, quando riceve le dimissioni del Governo uscente, si riserva di accettarle. Quindi, conferisce verbalmente l’incarico di formare il Governo e solo dopo l’accettazione dell’incaricato provvede, con tre decreti distinti ma contestuali, a:

  • ad accettare le dimissioni del precedente Gabinetto : i decreti di accettazione delle dimissioni sono controfirmati dal presidente del Consiglio entrante;
  • a nominare il nuovo presidente del Consiglio;
  • a nominare, su proposta del presidente del Consiglio, i ministri del nuovo Gabinetto.

Fase preparatoria alla nomina del presidente del Consiglio: in realtà l’atto di nomina del presidente del Consiglio è preceduto da una fase preparatoria che si compone di tre momenti:

  • Consultazioni: il capo dello Stato , secondo una consuetudine tradizionale, acquisisce le necessarie notizie ufficiali per la situazione più conveniente della crisi, rivolgendosi ad alcune personalità secondo le sue preferenze. Solitamente si tratta di personalità che per la posizione ricoperta in passato possono dare al presidente una visione che prescinda dalle considerazioni di parte (ex presidenti della Repubblica, della Camera, del Consiglio..) o personalità che esprimano le posizioni delle diverse forze politiche rappresentate in Parlamento.
  • Missioni esplorative, affidate a personalità che possano fornire ulteriori indicazioni, ma che non si propongono di costituire il Governo, o pre- incarichi, affidati al pre- incaricato di formare il Governo, per ulteriori chiarimenti. Il capo dello Stato può far ricorso alle missioni esplorative o ai pre- incarichi qualora ritenga che esistano ancora margini di dubbio o zone di incertezza.
  • Conferimento dell’incarico: l’incarico in oggi è conferito verbalmente e di tale conferimento viene data notizia nel decreto di nomina del presidente del Consiglio. L’incaricato, che accetta con riserva, compie a sua volta, secondo la prassi affermatasi, ulteriori consultazioni, valutando per proprio conto la situazione politica, e qualora si convinca della possibilità di ottenere un risultato positivo, si reca dal presidente della Repubblica per sciogliere la riserva e accettare di formare il Governo.                                                                                                             L’attività del capo dello Stato si esaurisce nella scelta del capo dello Stato: conclusa tale attività, egli non può ingerirsi nelle valutazioni politiche e nelle conseguenti determinazioni operative che spettano, ormai, all’incaricato e ad esso soltanto. Di conseguenza il capo dello Stato potrà revocare l’incarico, ma solo per motivi che non attengano alle scelte politiche compiute dall’incaricato.

La nomina del presidente del Consiglio dei ministri: se la persona prescelta accetta l’incarico, il presidente della Repubblica la nomina, con proprio decreto, presidente del Consiglio dei ministri.
Tale decreto deve essere controfirmato dallo stesso presidente del Consiglio entrante, che attesta che la scelta del capo dello Stato è conforme a Costituzione, cioè tende effettivamente alla formazione di un Governo nel rispetto delle regole del sistema.
Né la Cost. né le leggi prevedono particolari requisiti per la carica di presidente del Consiglio: come per tutte le cariche pubbliche è sufficiente la maggiore età e il godimento dei diritti civili e politici.
La nomina dei ministri: come detto, da un punto di vista formale, il presidente incaricato conserva la libertà, che la Costituzione gli riconosce, di scegliere i ministri che più rispondono al suo disegno politico. Sul presidente incaricato, però, sono esercitate pressioni dai partiti e dai loro gruppi parlamentari, tanto che, in pratica, sono più gli organi dei partiti che non l’incaricato a formare la lista dei ministri, particolarmente quando il Governo è di coalizione.
Completata la lista dei ministri il presidente del Consiglio la propone al presidente della Repubblica (il quale non ha il potere di cambiarla ma solo di consigliare l’incaricato della scelta), che procede alla firma dei decreti di nomina. Nella lista dei ministri spesso compaiono:

  • Vice presidenti del Consiglio: l’attribuzione di tale funzione a un ministro, che resta possibile ma non necessaria, spetta al Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio;
  • Ministri senza portafoglio: secondo la l. 400/1988 il presidente della Repubblica, all’atto della costituzione del Governo, può, su proposta del presidente del Consiglio, nominare, presso la presidenza del consiglio, ministri senza portafoglio, i quali svolgono le funzioni loro delegate dal presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri, con provvedimento da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale. Sono sorte numerose critiche perché la l. 400/1988 sembra aggirare la Costituzione, per la quale il numero dei ministri è determinato per legge.

Il giuramento dei membri del governo: prima di poter assumere le proprie funzioni, presidente del Consiglio e ministri devono prestare giuramento, che avviene in due tempi: prima giura da solo il presidente del Consiglio, e poi, a turno, tutti i ministri, alla presenza del presidente del Consiglio che funge da testimone del giuramento dei suoi colleghi di Gabinetto. La l. 400/1988 fissa il contenuto di tale giuramento: “Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”.
L’interpretazione formalmente più corretta della Costituzione richiederebbe dapprima la nomina e il giuramento del presidente del Consiglio e quindi la nomina e il giuramento dei ministri.
Altri organi del Governo, secondo la l. 400/ 1988, possono essere considerati:

  • Sottosegretari di Stato: ovvero segretari parlamentari che collaborano con un ministro del Governo. Per la nomina,  è previsto il decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio, sentito il Consiglio dei ministri. Ma la proposta del presidente del Consiglio va fatta “di concerto con il ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare. L’ufficio dei sottosegretari, che prestano giuramento nelle mani del presidente con la stessa formula stabilita per i ministri, va disciplinato con legge. I sottosegretari seguono inoltre la sorte del Governo che ne ha deciso la nomina e il limite massimo del loro numero è scomparso.
  • Commissari straordinari del Governo: ferma restando le attribuzioni dei ministeri fissate per legge, possono essere nominati Commissari straordinari del governo, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali. La nomina dei Commissari straordinari è disposta con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.
  • Comitati interministeriali: ovvero organi collegiali ristretti con compiti settorialmente limitati e rientranti nella sfera di più ministeri, con finalità di coordinamento di attività che interessano più dicasteri (dicastero = ministero). Dei comitati interministeriali possono farne parte solo ministri, o ministri e sottosegretari. I Comitati non hanno comunque responsabilità nei confronti delle Camere, mentre restano responsabile il Governo e i ministri individualmente. I Comitati  dovranno inoltre attenersi all’indirizzo politico- amministrativo deliberato dal Consiglio dei ministri e dinanzi a questo saranno responsabili per gli atti eventualmente difformi da tale indirizzo.

 

 

SEZIONE ­ : LE FUNZIONI:

  • FUNZIONE POLITICA O DI GOVERNO:

Posto al vertice dell’esecutivo, il Governo esercita innanzitutto funzioni di indirizzo politico: la politica generale del Governo è il momento della scelta, fra i vari indirizzi possibili, dell’indirizzo politico cui intende conformarsi l’attività dell’esecutivo e della pubblica amministrazione e si distingue dalla politica nazionale, momento di analisi delle possibili scelte in ordine alle esigenze nazionali. Alcuni punti essenziali riguardo alla funzione di governo:

  • l’attività di governo è attività politica, ovvero libera nel fine;
  • l’attività di governo è condizionata al rispetto della Costituzione e delle leggi. Si pone però come attività legislativa anche sul piano legislativo e come tale può tendere al mutamento della situazione legislativa esistente, mediante proposta di disegni di legge;
  • l’attività del Governo è attività di scelta e di comando, dove si esprime l’autorità dello Stato;
  • l’attività di governo spetta istituzionalmente all’organo Governo, ma trova la sua verifica, in relazione alla volontà popolare, nel raccordo con le Camere che si esprime con la concessione e con la revoca della fiducia. Spetta inoltre alle Camere, approvando o respingendo le proposte di legge del Governo,consentire davvero all’attuazione dell’indirizzo politico adottato e perseguito

Indirizzo politico: non può aversi indirizzo politico senza azione di governo ma anche viceversa.
L’indirizzo politico si concreta nella predeterminazione della linea politica lungo la quale si svolgerà l’attività del Governo e nella mozione motivata della Camera con la quale le Camere concedono la fiducia al Governo sulla base del programma (cioè dell’indirizzo) esposto dal presidente del Consiglio. Si ritiene che il Governo potrà discostarsi dall’indirizzo politico illustrato alle Camere e posto a base della fiducia, tuttavia portando la responsabilità politica del cambiamento dell’indirizzo politico originario ê le Camere potranno far valere tale responsabilità revocando la fiducia.
L’indirizzo amministrativo: l’indirizzo amministrativo si manifesta soprattutto nella cosiddetta attività di “alta amministrazione”. Secondo l’art. 95 Cost. anche l’attività amministrativa, per la parte che non è pura esecuzione, va rimessa alle scelte generali del Governo ê l’alta amministrazione è il punto di raccordo tra l’indirizzo politico del Governo e l’attività amministr.

  • FUNZIONI NORMATIVE:   a) la delegazione legislativa

                                                 b) i decreti legge                         vedi pagg. 14 - 15
c) i regolamenti                

  • FUNZIONI SPECIFICHE DEI SINGOLI ORGANI DI GOVERNO:

In base alle disposizioni della l. 23 agosto 198, n.400, e della Costituzione:

  • Il Consiglio dei ministri è competente a decidere la politica generale del Governo, tanto interna quanto internazionale e spettano alla sua competenza tutte le decisioni che la Costituzione attribuisce al Governo. Spetta inoltre al Consiglio dei ministri deliberare l’indirizzo generale dell’azione amministrativa, dirimere i conflitti di attribuzione tra i ministri, decidere sulle decisioni del Governo nei confronti delle Regioni, deliberare sugli atti concernenti i rapporti con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose, nonché decidere sugli atti da emanare con decreto del presidente della Repubblica previo parere del Consiglio di Stato, qualora il ministro competente non intenda conformarsi a tale parere, e sulla richiesta di registrazione con riserva alla Corte dei conti.
  • Il presidente del Consiglio dei ministri è l’organo individuale di maggior rilevanza nell’ambito del Governo e rappresenta il Governo. Propone al capo dello Stato la lista dei ministri e dei sottosegretari da nominare; dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile; mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. Spettano a lui importanti funzioni di impulso e di direzione nei confronti dei ministri (circolari, direttive, e simili, oppure richiami, richieste di spiegazioni o di chiarimenti e simili). Ove lo ritenga opportuno e necessario, può proporre al capo dello Stato la revoca di uno o più ministri.
  • I vice presidenti del Consiglio  suppliscono il presidente in caso di assenza o impedimento temporaneo. In mancanza del vice presidente tale supplenza spetta al ministro più anziano d’età.
  • I ministri, in quanto organi individuali del Governo, contribuiscono a decidere la politica generale del Governo e hanno compiti amministrativi, tanto da costituire il necessario raccordo tra attività di Governo e attività amministrativa. I ministri senza portafoglio hanno competenza politica ma non amministrativa ( non sono cioè preposti a un ministero).
  • I comitati interministeriali hanno competenze prevalentemente preparatorie nell’ambito dei settori materiali loro assegnati, contribuendo a coordinare l’attività e le decisioni dei diversi ministeri in settori di competenza mista o comunque collegata.
  • I commissari straordinari del Governo hanno la funzione di realizzare specifici obiettivi in relazione a programmi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri ed anche la funzione temporanea di coordinamento operativo fra amministrazioni statali.
  • I sottosegretari di Stato hanno il compito istituzionale di coadiuvare il ministro preposto al ministero cui sono assegnati. Trattandosi di delegazione in senso proprio, l’attività compiuta dal sottosegretario è imputata al ministero, così come se fosse stata compiuta dal ministro.

SEZIONE ® : LA RESPONSABILITA’ GOVERNATIVA. LE CRISI DI GOVERNO:
Dopo la nomina da parte del capo dello Stato, il Governo deve ancora affrontare la verifica parlamentare, deve cioè ottenere il consenso delle due Camere mediante concessione di fiducia.   
Questo corrisponde al principio dei regimi parlamentari secondo il quale il Governo è politicamente responsabile nei confronti delle assemblee rappresentative. Oltre che in sede politica, i ministri possono essere responsabili in sede penale (reati ministeriali), in sede civile (per atti in violazione di diritti), in sede contabile per danni cagionati con dolo o colpa grave nelle loro funzioni.
Rapporto fiduciario: secondo l’art. 94 Cost. “il Governo deve avere la fiducia delle due Camere”.
ê senza la fiducia il Governo non può sopravvivere e il rapporto fiduciario deve permanere.
In Italia: nel nostro ordinamento, secondo Costituzione, il Governo deve presentarsi alle Camere entro dieci giorni dalla nomina per ottenere la fiducia, esponendo, mediante una dichiarazione del presidente del Consiglio, la propria linea programmatica, sulla quale si apre un dibattito che si conclude con un voto sulla mozione di fiducia. L’instaurazione della fiducia deve obbligatoriamente avvenire mediante una votazione delle Camere su una apposita mozione motivata e votata per appello nominale.
ê   Il discorso programmatico del Governo è letto solo in una Camera mentre all’altra è consegnato  
il testo scritto che viene pubblicato subito negli Atti.

  • Il dibattito sulle dichiarazioni del Governo avviene, alternativamente, prima alla Camera e poi al  

       Senato.

  • Il Governo, dopo aver prestato il giuramento e prima di aver ottenuto la fiducia, può esercitare  

       tutte le funzioni che gli competono ma si ritiene che per correttezza, debba astenersi dal 
compiere atti o dall’adottare iniziative in attuazione di un indirizzo politico che deve essere 
ancora  confortato dalla fiducia parlamentare.
La permanenza della fiducia si presume, e la sua messa in causa può ottenersi mediante voto di una Camera su una mozione di sfiducia o sulla questione di fiducia posta dallo stesso Governo:

  • La mozione di sfiducia: secondo l’art. 94 Cost., “il voto contrario di una o di entrambe le

      Camere su una proposta del Governo non importa l’obbligo di dimissioni”. La revoca della  
fiducia va operata mediante strumenti formali e con le procedure apposite, richieste dall’art. 94.
La mozione di sfiducia deve essere motivata, deve essere sottoscritta da almeno un decimo dei 
componenti della camera dinanzi alla quale viene presentata, deve essere votata per appello 
nominale. Qualora la mozione sia approvata, il Governo deve dimettersi senza indugio e si apre 
così la crisi di Governo (crisi parlamentare). Nella pratica tutte le crisi, fino ad ora, sono state  
determinate da avvenimenti accaduti fuori del Parlamento, caratterizzandosi così come crisi
      extraparlamentari.
     Sfiducia individuale: la dottrina ammette la possibilità astratta di un voto di sfiducia individuale, 
che tuttavia in concreto porrebbe in posizione critica l’intero Governo per il principio dell’unità 
e della solidarietà ministeriale.

  • La questione di fiducia: la permanenza del rapporto fiduciario tra Governo e Camere può essere 

      verificata anche per iniziativa del Governo mediante la posizione della questione di fiducia su   
un testo che una Camera si appresti a votare ê l’adozione o la reiezione del testo contro o a 
favore del quale il Governo ha posto la questione, comporta la revoca delle fiducia e le 
dimissioni obbligatorie del Gabinetto.
La posizione della questione di fiducia deve essere preceduta da una deliberazione del Consiglio  
dei ministri e la votazione sulla questione di fiducia deve avvenire per appello nominale.
Il “rimpasto” del Governo: talvolta sono necessarie modifiche nella struttura del Governo, successive alla sua formazione, a causa di situazioni politiche non rilevanti (dimissioni di un ministro per motivi personali; morte di un ministro e simili), o a causa di contrasti di carattere politico (dimissioni di uno o più ministri per dissensi sulla linea politica del Governo).
Sembra comunque necessario, salvo casi marginali, che il Governo rimaneggiato si presenti alle Camere per constatare la permanenza del rapporto fiduciario.
Il Governo dimissionario: quando un Governo presenta le dimissioni il presidente della Repubblica a)si riserva di accettarle; b) invita il Governo a restare in carica per il disbrigo degli affari correnti. Non sembra accoglibile né la teoria di un organo straordinario che sostituirebbe il Governo nella normalità delle sue funzioni, né quella del governo che diventerebbe organo amministrativo e non più politico.
La responsabilità penale dei ministri: i ministri hanno piena responsabilità in sede penale e non godono di alcuna immunità. Per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni (cioè per i cosiddetti reati ministeriali), secondo la l. cost. 16 gennaio 1989, i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera della quale facciano parte o, se non parlamentari, del Senato della Repubblica. I reati ministeriali sono quelli compiuti a causa o in occasione delle attività ministeriali o in connessione con esse.
Il giudizio su detti reati è demandato al Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’appello competente per territorio. Un collegio composto di tre membri effettivi e di tre membri supplenti provvede all’istruttoria preliminare, potendo disporre l’archiviazione del procedimento o la trasmissione degli atti alla presidenza della Camera competente per l’autorizzazione a procedere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 6: GLI ORGANI AUSILIARI:

Sotto il titolo dedicato al Governo, la Costituzione (artt.99 e 100) tratta degli organi ausiliari, cioè del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti.
Secondo la definizione più corrente, gli organi ausiliari sono quegli organi che svolgono un’azione funzionalmente correlata a quella di organi primari e quindi un’azione consultiva o di controllo.
Tali organi non si ritengono costituzionali, ovvero talmente coessenziali al sistema da alterare, ove mancanti, lo stesso ordinamento, ma costituzionalmente rilevanti e garantiti e quindi una loro abolizione non potrebbe operarsi che mediante legge di revisione costituzionale.
¬ Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL): doveva costituire un momento per comporre preventivamente, rispetto al procedimento di emanazione delle leggi, gli interessi delle categorie produttive ed economiche, ma viene spesso considerato un “ramo secco”. Ai sensi dell’art.99 e della legge, il CNEL è composto di esperti (in numero di 11) e rappresentanti (in numero 99) delle categorie produttive ed economiche, integrati dal presidente: tutti i componenti durano in carica 5 anni e possono essere riconfermati.
Le funzioni del CNEL sono di due ordini (art.99): a) è organo di consulenza delle Camere e del Governo, e può agire per propria iniziativa o su proposta del Governo, b) è organo dotato di iniziativa legislativa: può proporre progetti di legge nelle materie dell’economia e del lavoro.
­ Il Consiglio di Stato: anch’esso ha due importanti funzioni, secondo l’art.100: a) funzioni consultive in materia giuridico-amministrativa (il parere del C.di S. richiesto dai ministri può essere facoltativo o obbligatorio, ma non è mai vincolante), o attraverso formulazione di progetti di legge e di regolamenti affidati dal Governo, b) funzioni giurisdizionali su atti o provvedimenti amministrativi emessi in violazione di interessi legittimi ed, eccezionalmente, di diritti soggettivi.
Il C.di S. si divide in sei sezioni, le prime tre consultive, mentre le altre tre costituiscono il C.di S. in sede giurisdizionale. Ogni sezione si compone di due presidenti e almeno dodici consiglieri.
® La Corte dei Conti: ha anche funzioni consultive ma, soprattutto, di controllo: il suo controllo sull’amministrazione dello stato non è solo contabile ma di legittimità (e non di merito), nei limiti stabiliti dalla legge, e ad essa sono attribuite funzioni giurisdizionali in materia di contabilità pubblica. Gli atti sottoposti a controllo preventivo divengono efficaci se la Corte non ne dichiara l’illegittimità nel termine di trenta giorni.

CAPITOLO 7: LA MAGISTRATURA:

SEZIONE ¬ : PRINCIPI GENERALI. L’INDIPENDENZA DEI GIUDICI E DELL’ORDINE 
                       GIUDIZIARIO:
Per adempiere il mandato che esercita in nome del popolo la magistrat. è autonoma e indipendente.
Funzione giurisdizionale: consiste nell’applicazione del diritto al caso concreto, da parte di un organo terzo rispetto al conflitto e di solito in seguito a impulso di parte. E’ la funzione esercitata di regola dai magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, ai sensi dell’art.102 Cost.
Indipendenza dei giudici: l’indipendenza funzionale dei giudici consiste nella possibilità di giudicare senza altra soggezione che non sia la soggezione alla legge ê art.101 Cost.: “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”. La dipendenza del giudice dalla legge, che deve applicare per quello che è e per quello che vuol dire, è senza riserve, ma è anche l’unica; per legge si intende il diritto oggettivo, quale che ne sia la fonte di produzione. L’indipendenza organizzativa della magistratura è la tutela del giudice fuori dal giudizio. A ciò mira l’autonomia e l’autogoverno del potere giudiziario ê art.105: “la magistratura costituisce un organo autonomo e indipendente da ogni altro potere”. L’art. 107 afferma che i giudici sono inamovibili, se non con il proprio consenso o con decisione del CSM adottata per gravi motivi o per iniziativa dello stesso giudice. I giudici tra loro non si differenziano per posizione )non esistono gerarchie) ma unicamente per funzioni.
Il Consiglio superiore della magistratura: assicura il collegamento tra potere giudiziario e altri poteri dello Stato. Previsto dall’art. 104 Cost., il CSM si compone di tre membri di diritto (presidente della Repubblica, primo presidente, procuratore generale della Corte di Cassazione) e da 30 membri elettivi. Venti di essi sono eletti dai magistrati ordinari e dieci dal Parlamento in seduta comune. Secondo l’art. 105 Cost., spettano al CSM, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati, ed altre designazioni secondo l’art.106. Appare dunque chiara la competenza del CSM in tutte le materie attinenti allo stato giuridico dei magistrati e al governo dell’ordine giudiziario, in modo da essere considerato organo di autogoverno della magistratura, capace di realizzare l’indipendenza organizzativa di cui essa necessita.
Presidente del CSM è il presidente della Repubblica; il Consiglio poi elegge un vice presidente fra i dieci componenti di nomina parlamentare. Nell’ambito del CSM sono costituite, all’inizio di ogni anno, commissioni aventi il compito di riferire al Consiglio e di grande importanza è la sezione disciplinare, competente a conoscere dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati. Le deliberazioni sono adottate a maggioranza dei voti (in parità prevale il voto del presidente) e si traducono in DPR o decreti del ministro per la grazia e la giustizia; i componenti del CSM “non sono punibili per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni e concernenti l’oggetto della discussione”. Contro i provvedimenti del CSM la legge ammette il ricorso al giudice amministrativo per motivi di legittimità, mentre contro i provvedimenti in materia disciplinare è ammesso ricorso, che ha effetto sospensivo, alle sezioni unite della Corte di Cassazione.
Si considera il CSM anch’esso organo costituzionalmente rilevante, e non organo costituzionale.
Responsabilità civile dei giudici: con l’adozione della legge 13 aprile 1988, n.117, è stato modificato il sistema: può agire in giudizio chiunque abbia “subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni,o per diniego di giustizia”.Solo successivamente lo Stato esercita l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato.

SEZIONE ­ : LA MAGISTRATURA ORDINARIA:
la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Per converso, ai giudici ordinari spetta il potere giurisdizionale nella sua generalità, con la sola esclusione delle materie e delle situazioni attribuite per legge a giudici speciali o a sezioni specializzate. La magistratura ordinaria è disciplinata dall’ordinamento giudiziario che va adottato con legge, secondo l’art.108 Cost.
Il pubblico ministero: esso è un altro organo previsto dall’ordinamento giudiziario che si affianca al giudice: alle dipendenze del procuratore capo si trovano i sostituti procuratori. In materia civile, il p.m. esercita l’azione civile e interviene nei processi, nei casi stabiliti dalla legge; in materia penale, il p.m. è obbligato, secondo l’art.112 Cost., ad esercitare l’azione penale ed interviene a tutte le udienze penali delle corti, dei tribunali e delle preture. Il p.m. ha carattere del tutto “neutrale” ed è estraneo all’apparato amministrativo.
Il giudice naturale precostituito per legge: nessuno, secondo Costituzione, può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge ê la precostituzione del giudice, non in quanto persona fisica, ma in quanto organo, comporta la previa determinazione di competenze realizzabili in futuro e non già, a posteriori, in relazione a una controversia già insorta. Non un giudice qualsiasi è competente a giudicare la fattispecie ma solo il “giudice naturale”.
Garanzie costituzionali del processo: alcuni principi in materia processuale fissati dalla Costit.:
ognuno può agire in giudizio per la difesa dei propri diritti e interessi legittimi; art.113: “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria e amministrativa.Tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.”
Art.24: la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. La Costituzione prevede che siano assicurati, ai non abbienti,mezzi per agire e difendersi davanti ogni giurisdizione.
Garanzie del processo penale: alcuni principi fissati dalla Costituzione: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (irretroattività della legge penale e riserva assoluta di legge, art.25); art.27: personalità della responsabilità penale, presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino alla condanna definitiva, principi relativi alle finalità e all’entità delle pene.
Tanto nel processo civile quanto in quello penale i provvedimenti dei giudici possono assumere la forma del decreto (da non motivare), dell’ordinanza o della sentenza (entrambe da motivare).
Il ricorso in Cassazione per violazione di legge è sempre ammesso contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali e mira ad evitare la possibilità di escludere il ricorso in Cassazione per particolari materie o limitandolo a particolari vizi di legittimità. Unica eccezione a questo principio si ha per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.

SEZIONE ® : I GIUDICI SPECIALI:
I principi fondamentali che risultano dalla Costituzione in ambito di giudici speciali sono:
a) la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari, secondo l’art.102, ed è vietata l’istituzione di giudici straordinari (creati appositamente per una controversia) o speciali (che si occupano solo di alcune materie), consentendosi soltanto l’istituzione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari; b) revisione, e quindi sopravvivenza, dei giudici speciali di giurisdizione esistenti (ed è dunque un’eccezione al principio a)); c) mantenimento delle funzioni giurisdizionali di alcuni giudici speciali quali il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti e i tribunali militari; d) istituzione, nelle Regioni, con legge statale, di organi di giustizia amministrativa di primo grado; e) la garanzia, da stabilirsi con legge, dell’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali.

  • LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA:

I giudici speciali che assumono maggior importanza nel nostro ordinamento, sia per l’ampiezza della competenza, sia per l’entità delle pronunce, sono i giudici amministrativi.
Nel diritto pubblico, e in particolare nei rapporti tra privato e p.a., le posizioni giuridicamente tutelate non assumono soltanto la configurazione di diritti soggettivi, come nel diritto privato. Accanto a questi si pongono nel nostro vigente ordinamento anche gli interessi legittimi, nella doppia configurazione di interessi occasionalmente protetti e di diritti affievoliti, mentre gli stessi interessi semplici possono acquistare qualche rilievo nella misura in cui investono il merito dell’attività amministrativa.
Le posizioni giuridiche soggettive tutelate: a) diritti soggettivi: il diritto soggettivo sorge quando la legge attribuisce ad un soggetto un potere per la tutela primaria e diretta del proprio interesse.
b) interessi legittimi: si ha interesse legittimo (o interesse occasionalmente protetto) quando il comportamento della pubblica Amministrazione incide su una posizione giuridica che si trovi in una particolare relazione con la situazione di interesse generale, sicché ne scaturisce una protezione per l’interesse particolare altrimenti impossibile. (ad es. in caso di concorso pubblico l’interesse legittimo sarà di colui che è stato escluso a partecipare e che si trova perciò in una posizione soggettiva attiva qualificata).
c) diritti affievoliti: si ha diritto affievolito quando un diritto soggettivo si estingue a causa dell’esercizio dei poteri dell’autorità amministrativa. Il diritto soggettivo è dunque subordinato alla sua compatibilità con l’interesse pubblico. In caso di incompatibilità, il diritto perde la sua rilevanza e appunto si affievolisce, riducendosi a mero interesse legittimo. L’esempio più comune è l’espropriazione per pubblica utilità: lo stesso diritto di proprietà si affievolisce, e la proprietà del bene espropriato viene trasferita ad altro soggetto.
I Tribunali amministrativi regionali: i TAR sono stati istituiti con la l.6 dicembre 1971, previsti dall’art.125 Cost., e sono stati riordinati con la l.27 aprile 1982. I TAR sono “organi di giustizia amministrativa di primo grado”, composti da un presidente e da almeno cinque magistrati amministrativi regionali: le loro circoscrizioni sono regionali ma possono essere istituite sezioni staccate. Il TAR decide su vari tipi di ricorso e sulla violazione di interessi; la sua giurisdizione è di regola di legittimità. Il termine per presentare ricorso al TAR è di sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto da parte dell’interessato e le sentenze, con le quali si conclude il procedimento dinanzi al TAR, sono impugnabili mediante ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, da proporre entro sessanta giorni dalla sentenza.
Anche il Consiglio di Stato ha una competenza generale di legittimità e una competenza particolare di merito. Nella grande maggioranza dei casi, il C.di s. decide sulla controversia annullando la decisione impugnata o respingendo il ricorso contro di essa. Contro le decisioni pronunziate dal C.di s. sono ammessi soltanto il ricorso per revocazione in alcuni casi e il ricorso in Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione.
Il Consiglio di presidenza della giurisdizione amministrativa: tale organismo, composto da 13 membri effettivi, si configura organo di autogoverno della magistratura amministrativa. Le sue attribuzioni sono dirette all’organizzazione dell’attività dei giudici amministrativi e a garantire l’indipendenza organizzativa della magistratura amministrativa. Il consiglio delibera sulle assunzioni, assegnazioni di sedi e funzioni, trasferimenti, promozioni, conferimento di uffici direttivi e su ogni altro provvedimento riguardanti lo stato giuridico dei magistrati del consiglio di stato e dei TAR. Esso inoltre delibera sui provvedimenti disciplinari riguardanti tali magistrati.
Commissioni tributarie: possono essere annoverate tra i giudici speciali amministrativi i oggi esistenti. Esse sono competenti a giudicare sulle controversie concernenti le imposte sui redditi, l’IVA, l’INVIM, l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, le imposte ipotecaria e catastale,l’imposta sulle assicurazioni,i tributi comunali nonché negli altri casi previsti dalla legge.
Con il d.lgs.n.545/1992 si sono costituite commissioni provinciali e commissioni regionali.
Avverso la sentenza della commissione regionale può essere proposto ricorso per cassazione.
Tribunali delle acque pubbliche: rientrano nella giustizia amministrativa gli organi giurisdizionali aventi competenza sulle controversie in materia di acque pubbliche e precisamente di acque del demanio idrico statale. Nonostante la definizione tali tribunali sono Sezioni specializzate della Corte di appello presso la quale sono istituiti. Giudice speciale è invece il Tribunale superiore delle acque pubbliche istituito a Roma, e composto di 12 componenti. Contro le decisioni pronunciate in grado di appello dal Tribunale superiore è ammesso ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Altre giurisdizioni amministrative speciali sono previste nel nostro ordinamento.

  • LA GIUSTIZIA PENALE MILITARE

I giudici speciali istituiti nell’ambito della giurisdizione penale militare sono i tribunali militari, che in tempo di pace, come afferma l’art.103 Cost., hanno giurisdizione per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate, mentre in tempo di guerra la competenza, ovviamente più vasta, viene rimessa alla legge. Per reato militare si intende qualunque violazione della legge penale militare o quella fattispecie criminosa nella quale si realizzi concorso di lesione della legge penale comune e della legge penale militare.
I Tribunali militari, in numero di otto, sono giudici di primo grado; quando vi sia concorso nel reato di militari e civili, è competente per tutti i procedimenti l’autorità giudiziaria ordinaria.
La Corte militare d’appello: giudica sull’appello proposto avverso tutti i provvedimenti emessi dai Tribunali militari. Contro i provvedimenti dei giudici militari è ammesso ricorso per cassazione secondo le norme del codice di procedura penale.
Il Consiglio della magistratura militare: con la l.30 dicembre 1988, n.561, è stato istituito il consiglio della magistratura militare con compiti nei confronti dei magistrati militari analoghi a quelli del Consiglio superiore della magistratura nei confronti dei magistrati ordinari.

 

 

PARTE SETTIMA: LE GARANZIE COSTITUZIONALI

 

CAPITOLO 2: LA CORTE COSTITUZIONALE

SEZIONE ¬ : LA GIUSTIZIA COSTITUZIONALE IN GENERALE:
Il problema della giustizia costituzionale, intesa come possibilità di sindacare le leggi ordinarie per preteso contrasto con la Costituzione, sorge, prevalentemente, in presenza di Costituzioni rigide e si pone come garanzia di tale rigidità.
“Sindacato diffuso” di costituzionalità: si parla di sindacato diffuso quando ogni giudice, all’atto di applicare una legge, può, e deve, accettarne la conformità a Costituzione, disapplicandola in caso di difformità. Il giudice non annulla, non potendo, la norma ritenuta incostituzionale, ma si limita a non applicarla: è il caso degli U.S.A. I vantaggi sono legati a una più diretta e immediata possibilità di controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie, tuttavia questo sistema può consentire ai giudici ordinari un’ingerenza nel merito delle scelte legislative delle Assemblee (“governo dei giudici”).
Sindacato accentrato di costituzionalità: sistema opposto al precedente, si realizza quando la competenza a valutare la conformità a Costituzione delle leggi è attribuita a un solo organo. Può distinguersi a seconda che l’organo sia di natura prevalentemente politica (Francia), o di natura prevalentemente giurisdizionale (Stati tedeschi, Austria). La soluzione adottata dalla Costituzione italiana per una magistratura speciale denominata Corte Costituzionale si avvicina maggiormente a quest’ultimo modello.

SEZIONE ­ : POSIZIONE E STRUTTURA DELLA CORTE COSTITUZIONALE:

Nel nostro ordinamento non fu mai contestata la scelta di istituire una magistratura costituzionale, al fine di assicurare il rispetto dell’ordine costituzionale delle competenze, mentre si discusse se assegnare o meno alla Corte una composizione influenzata dal dato politico, propendendo per il no.

L’art.137 Cost. riserva alla legge costituzionale (legge cost.1953,n.1) di stabilire le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, nonché le garanzie di indipendenza dei giudici della Corte, mentre le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte sono stabilite con legge ordinaria (legge 1953,n.87).
La composizione della Corte Costituzionale: la composizione della Corte Costituzionale è disciplinata anzitutto dall’art.135 Cost., modificato dalla l.cost. 1967,n.2.
I giudici della Corte sono quindici e sono nominati, in ordina successivo: dalle supreme magistrature ordinaria e amministrativa (1/5), dal Parlamento in seduta comune (1/5), dal presidente della Repubblica (1/5). Tali giudici sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria e amministrative, tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo vent’anni di esercizio, e durano in carica nove anni. Viene esclusa l’ipotesi della proroga dei poteri con l’eccezione del caso di scadenza di un giudice durante un processo penale costituzionale: il giudice resta in carica limitatamente allo svolgimento di quel processo e fino alla sua conclusione. I giudici non possono essere nuovamente nominati, scaduti i nove anni.
Per i soli giudizi di accusa contro il presidente della Repubblica è prevista una composizione allargata della Corte Costituzionale: accanto ai quindici giudici ordinari intervengono altri sedici giudici “aggregati”, di origine più accentuatamente politica, tratti a sorte da un elenco, compilato dal Parlamento, di 45 cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore (aventi 40 anni).
“Status” dei giudici costituzionali: ogni giudice, prima di assumere le funzioni, presta giuramento nelle mani del presidente della repubblica di osservare la Costituzione e le leggi, e da tale momento decorrono i nove anni di durata della carica. La l.cost. 1953,n.1 e la l. 1953,n.87 disciplinano lo status di giudice costituzionale: sostanzialmente i giudici non possono assumere o conservare altri impieghi lavorativi, possono iscriversi a partiti politici ma non esercitare l’attività di partito e godono dell’immunità accordata ai membri della Camera (senza autorizzazione della C.Cost., non possono essere arrestati, perquisiti, ecc.. e godono di una cospicua retribuzione). I giudici costituzionali inoltre non sono sindacabili né possono essere perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni; non possono essere rimossi né sospesi dal loro ufficio se non con decisione della Corte, per sopravvenuta incapacità fisica o civile o per gravi mancanze nell’esercizio delle loro funzioni. Infine va ricordato che un giudice che per sei mesi non eserciti le sue funzioni decade dalla carica.
Organizzazione interna della Corte Costituzionale: il presidente della Corte Costituzionale, che dura in carica tre anni, è eletto dai giudici ordinari a maggioranza dei componenti; nel caso nessuno riporti la maggioranza si procede a una seconda votazione, ed eventualmente a ballottaggio.
Subito dopo l’elezione, il presidente designa un giudice che assume il ruolo di vice presidente, destinato a sostituirlo per il tempo necessario in caso di impedimento. E’ prevista inoltre la costituzione di un ufficio di presidenza composto del presidente, del vice presidente e di quattro giudici, eletti per due anni dalla Corte a scrutinio segreto. Ancora, la Corte procede all’elezione di due commissioni di tra giudici ciascuna, una per gli studi e i regolamenti, l’altra per la biblioteca.
La Corte Costituzionale ha sede a Roma nel Palazzo della consulta. La destinazione di tale Palazzo, compresi gli accessori, le pertinenze e gli arredi, a sede permanente della Corte, costituisce un’ulteriore garanzia in favore dell’indipendenza e dell’autonomia della Corte.

SEZIONE ® : LE FUNZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE:
Nel nostro ordinamento la Corte Costituzionale è organo di garanzia e, in quanto tale, esercita un’importante funzione di controllo. Secondo l’art.134 Cost. modificato dalla l.cost. 16 gennaio 1989, la Corte ha la competenza a giudicare:

  • sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni;
  • sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni;
  • sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica a norma della Costituzione;
  • sull’ammissibilità rispetto all’art.75 Cost. delle richieste di referendum abrogativi (secondo la l.cost. 11 marzo 1953)
  • IL GIUDIZIO SULLA LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELLE LEGGI E DEGLI ATTI AVENTI FORZA DI LEGGE DELLO STATO E DELLE REGIONI.

Atti assoggettabili al giudizio della Corte: la competenza di maggior rilievo della Corte Costituzionale è quella di giudicare la costituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge.
Gli atti che possono essere sottoposti al giudizio della Corte sono, anzitutto, le leggi dello Stato e quelle delle Regioni; in secondo luogo gli atti aventi forza di legge dello Stato (ma non delle Regioni); in terzo luogo le leggi delle Province autonome di Trento e Bolzano.
In quanto “atti”, può escludersi l’impugnabilità di norme consuetudinarie, in quanto “aventi forza di legge”, può escludersi la competenza della Corte su atti normativi di grado secondario, che spetta invece al giudice ordinario o al giudice amministrativo.
Tra gli atti dello Stato aventi forza di legge (per il concetto di “forza di legge” vedi pag.10), possono essere compresi i decreti presidenziali di attuazione degli statuti regionali speciali, che rientrano nei decreti legislativi, gli atti adottati dal Governo dotato dal Parlamento di potestà legislativa, gli atti normativi e il risultato del referendum abrogativo.
Per quanto riguarda gli atti legislativi regionali, possono sicuramente essere impugnate le leggi regionali, mentre qualche dubbio rimane per gli statuti regionali. Sono da escludere invece gli atti regionali con forza di legge analoghi ai decreti legge o ai decreti legislativi statali, per il fatto che al Consiglio regionale spetta la potestà legislativa, senza possibilità di deleghe o di eccezioni.
Possibili vizi delle leggi: i possibili vizi degli atti impugnati possono inquadrarsi nella tripartizione:
F violazione di legge: può essere stata violata la Costituzione negli aspetti formali (procedimento 
di formazione) o negli aspetti materiali (contrasto del contenuto);
F incompetenza: in ipotesi di concorso vincolato di fonti a competenza reciprocamente definita (ad
es. decreti legislativi che superino il contenuto della legge di delegazione, o legge statale che 
disciplina una materia riservata ad altra fonte;
F eccesso di potere legislativo: anche il legislatore deve infatti perseguire le finalità stabilite dalla 
Costituzione, sicché la sua attività non può più dirsi del tutto libera nel fine, può essere  
impugnata per eventuali deviazioni dalla finalità prescritta. Deve invece escludersi  
l’ammissibilità che il controllo di legittimità della Corte comporti una valutazione di natura 
politica o un sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento.
Il processo costituzionale può iniziarsi o mediante ricorso proposto da chi vi sia legittimato (procedimento in via d’azione o principale), oppure mediante eccezione di incostituzionalità sollevata nel corso di un giudizio (procedimento in via di eccezione o incidentale).
a) Procedimento in via d’azione: può essere iniziato solo dallo Stato nei confronti di leggi regionali e dalle Regioni nei confronti di leggi o atti con forza di legge dello Stato o di altre Regioni.
L’impugnazione dello Stato può essere esercitata quando la Regione abbia riapprovato la legge che il Governo aveva già rinviato per motivi di illegittimità, e ha natura preventiva, nel senso che interviene dopo l’approvazione della legge (che dunque è perfetta) ma prima della sua promulgazione. Per quanto riguarda l’impugnazione da parte delle Regioni di leggi o atti con forza di legge statali e di leggi di altre Regioni, questa è sempre successiva alla pubblicazione.
I motivi di ricorso: le leggi statali possono essere impugnate dalle Regioni solo per “invasione di competenza”, la legge regionale, invece, può essere impugnata dal Governo quando esso ritenga che la legge “ecceda la competenza della Regione”, ma comprendendo anche qualsiasi vizio di incostituzionalità. Se però l’impugnazione della legge regionale è proposta da un’altra regione, il vizio deve riguardare la violazione della Regione corrente (di nuovo incompetenza in senso stretto).
b) Procedimenti in via di eccezione: i soggetti diversi dallo Stato e dalle Regioni possono chiamare in causa la C. Costituzionale per far valere l’illegittimità di una legge soltanto in via di eccezione.
Tale procedura presuppone:

  • l’esistenza di un giudizio principale dinanzi ad un’autorità giurisdizionale;
  • la necessità di applicare, nel corso di tale giudizio, una disposizione legislativa che una parte, o il pubblico ministero, o lo stesso giudice sospetta di incostituzionalità;
  • la questione di costituzionalità sollevata mediante istanza da una delle parti o d’ufficio, che si configura come incidente processuale;
  • un preliminare esame del giudice per accertare che la disposizione enunciata sia rilevante (nel senso che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della proposta questione) e che la questione non sia manifestamente infondata;
  • l’emissione di un’ordinanza con la quale il giudice del procedimento principale dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.

La rilevanza della questione e la non manifesta infondatezza trovano giustificazione nell’esigenza non solo che esista un filtro selettore delle questioni di costituzionalità ma anche che esso funzioni correttamente per evitare che la legge venga aggirata e siano portate al giudizio della Corte questioni la cui decisione non ha influenza sulla definizione del processo principale.
Con l’ordinanza di rimessione, che deve indicare le disposizioni dell’atto che si ritengono viziate da illegittimità costituzionale e quelle della Costituzione o delle leggi costituzionali che si assumono violate, la questione di costituzionalità è sottoposta al suo giudice naturale, cioè la Corte Costituzionale. Si instaura così il processo di costituzionalità.
La decisione della Corte: l’art. 18 della legge 1953,n.87, pur subendo eccezioni, stabilisce che la Corte giudica in via definitiva con sentenza, mentre gli altri provvedimenti di sua competenza sono adottati con ordinanza. Le sentenze della Corte, secondo lo schema più semplice, possono essere di accoglimento (e quindi incostituzionalità) o di rigetto. Principio generale nella decisione della controversia da parte della Corte è la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ma possono esserci due eccezioni: a) la Corte stessa, nel corso di un processo in svolgimento dinanzi ad essa sollevi eccezione di incostituzionalità nei confronti di una disposizione da applicarsi nel processo di che trattasi; b) la Corte dichiari l’illegittimità di altre disposizioni legislative, in conseguenza dell’illegittimità delle disposizioni impugnate.
Le sentenze di accoglimento: le sentenze di accoglimento sono pubblicate due volte: mediante deposito in cancelleria, come le sentenze delle altre magistrature, ed entro dieci giorni “nella medesima forma stabilita per la pubblicazione dell’atto dichiarato costituzionalmente illegittimo” , e cioè sulla Gazzetta Ufficiale e, in caso di legge regionale, sul Bollettino Ufficiale della Regione. E’ stata inoltre disposta la pubblicazione del testo integrale di tutte le sentenze della Corte nella prima parte della Gazzetta Ufficiale.
Secondo l’art. 136 Cost. “la norma dichiarata incostituzionale dalla Corte cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Con la legge 57/1983 viene però dichiarata la retroattività della pronuncia della Corte: dal giorno successivo alla pronuncia della Corte la legge dichiarata incostituzionale non può più avere applicazione, con l’eccezione dei rapporti già esauriti (sentenza passata in giudicato, prescrizione maturata, decadenza). Tale eccezione non vale comunque in materia penale, dove la sentenza ha efficacia totalmente retroattiva.
Le sentenze di rigetto: come tutte le sentenze della Corte Costituzionale, sono pubblicate per esteso nella Gazzetta Ufficiale; a differenza delle sentenze di accoglimento, le decisioni di rigetto non hanno efficacia generale, e i loro effetti sono limitati al processo nel corso del quale è stata sollevata l’eccezione. Nulla esclude che sotto altri profili, o in riferimento a disposizioni costituzionali diverse da quelle enunciate nell’eccezione che ha dato luogo al giudizio,la legge sia incostituzionale e tale possa venir giudicata dalla Corte in un successivo processo.
Altre sentenze: accanto alle sentenze di accoglimento e di rigetto, espressamente previste dalla legge, la pratica ha evidenziato un altro tipo di sentenze, definite volta a volta interpretative, condizionali, parziali, correttive, addittive, manipolative e talora “monitorie” (verso il legislatore), che hanno accentuato il ruolo politico della Corte e hanno solo forza di legge ordinaria.

  • IL GIUDIZIO SUI CONFLITTI DI ATTRIBUZIONI.

Compete dunque alla Corte decidere sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni e tra le Regioni. Sorge un conflitto quando due autorità si dichiarino entrambe competenti(conflitto positivo)o entrambe incompetenti rispetto allo stesso affare(conflitto negativo).
Conflitti reali: se vi è stata emanazione di provvedimenti che importino assunzione di competenza o implicita affermazione di competenza ¹ Conflitti virtuali: presuppongono un’affermazione potenziale di competenza, non però tradottasi nell’emanazione di un atto.
Conflitti diretti: è il titolare della attribuzione a sollevare la questione ¹ Conflitti indiretti: tale potere spetta a soggetti esterni, a ciò espressamente preposti.
I poteri nel vigente ordinamento non possono ridursi ai tre tradizionali, dovendosi riconoscere posizione distinta ad altri organi e così, almeno, al presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale la cui posizione al di fuori dei tre poteri tradizionali è da tutti ormai riconosciuta.
Il problema di chi sia abilitato a sollevare il conflitto nell’ambito del potere è meno rilevante per i poteri organizzati gerarchicamente, ma non così per organi come la magistratura (i giudici sono sullo stesso piano) o il Parlamento (le Camere hanno gli stessi poteri). Per il Governo è competente il Consiglio dei ministri.
Procedimento: la Corte decide con ordinanza in camera di consiglio sulla ammissibilità del ricorso, se la decisione è nel senso dell’ammissibilità, la Corte dispone la notifica del ricorso a tutti gli organi interessati. Successivamente la Corte risolve il conflitto sottoposto al suo esame dichiarando con sentenza il potere al quale spettano le attribuzioni in contestazione. Ove sia stato emanato un atto viziato da incompetenza, lo annulla.
Per i conflitti di attribuzioni tra Stato e regioni e tra Regioni, i conflitti si caratterizzano per essere reali e positivi; si richiede un’invasione di competenza (che è soprattutto con atti amministrativi, ma anche con atti giurisdizionali) già realizzata e non meramente eventuale. Successivamente al ricorso, presentato per lo Stato dal presidente del Consiglio dei ministri o da un ministro da lui delegato e per la Regione dal presidente della Giunta regionale dopo deliberazione della Giunta stessa, la decisione della Corte è pronunciata dalla Corte con sentenza ed eventuale annullamento dell’atto, anche in questa ipotesi.
3.   IL GIUDIZIO SULLA AMMISSIBILITA’  DELLE RICHIESTE DI
REFERENDUM ABROGATIVO.
La Corte dovrà accertare, anzitutto, che le leggi delle quali si chiede l’abrogazione mediante referendum non siano leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. Il giudizio di ammissibilità richiede inoltre che si stabilisca in via preliminare se non si impongano altre ragioni, costituzionalmente rilevanti, in nome delle quali si renda indispensabile impedire il referendum abrogativo, ad integrazione delle ipotesi previste dalla Costituzione. Nella sentenza 16/1978 sono state dichiarate inammissibili le richieste di referendum: a) per l’abrogazione del Concordato tra Stato e Chiesa Cattolica, e di parte del Trattato lateranense; b) per l’abrogazione di 97 articoli del Codice penale; c) per l’abrogazione del Codice penale militare di pace; d)per l’abrogazione dell’ordinamento giudiziario militare.
La C.Costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità delle richieste di referendum mediante sentenza che va pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale entro il 10 febbraio.

  • IL GIUDIZIO SULLE ACCUSE CONTRO IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.

Procedimento per la messa in stato d’accusa: l’art.90 Cost. dispone che il presidente della Repubblica responsabile di alto tradimento o di attentato alla Costituzione è messo in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune a maggioranza assoluta dei suoi membri.
I successivi atti e rapporti vengono trasmessi ad un apposito Comitato parlamentare per i procedimenti d’accusa, che compie le indagini del caso e, se non si dichiara incompetente e non dispone l’archiviazione, dopo richiesta di un quarto dei componenti del Parlamento in seduta comune presenta la propria relazione al Parlamento, che nel caso di messa in stato di accusa deve riportare le indicazioni degli addebiti con le relative ipotesi di reato e degli elementi su cui la proposta è basata,.
Entro 30 giorni dalla presentazione della relazione del Comitato viene convocato il Parlamento in seduta comune: in caso di proposta di messa in stato d’accusa, si vota a scrutinio segreto e la deliberazione deve essere adottata a maggioranza assoluta. Qualora il Parlamento abbia deliberato la messa in stato d’accusa, il presidente della Camera trasmette entro due giorni l’atto di accusa della Corte Costituzionale unitamente alla relazione del Comitato per i giudizi di accusa, alle eventuali relazioni di minoranza e agli atti e ai documenti del procedimento.
Procedimento di fronte alla Corte Costituzionale: la composizione della Corte sale in questo caso a trentun membri per la ”aggregazione” di altri sedici giudici. Alle udienze devono partecipare tutti i giudici che non siano legittimamente impediti e il giudice assente ad un’udienza non può partecipare alle udienze successive. Dopo aver nominato un giudice per l’interrogatorio, gli atti istruttori necessari e la relazione, si passa al dibattimento e poi alla riunione in Camera di consiglio. Ogni giudice esprime oralmente la propria votazione, senza possibilità di astensione, e distintamente per ogni capo d’imputazione. Il dispositivo della sentenza è letto dal Presidente in pubblica udienza. La sentenza è depositata in cancelleria e trasmessa al Ministro di Grazia e Giustizia per la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale; essa è inappellabile e può solo essere sottoposta a revisione ove, dopo la condanna, sopravvengano o si scoprano fatti nuovi importanti.
La pena irrogabile al presidente della Repubblica può raggiungere l’ergastolo, mentre per le altre sanzioni è da ritenersi certa la pronuncia della decadenza della carica, nonché l’interdizione dai pubblici uffici e gli eventuali risarcimenti di danni, in conformità alle norme generalmente vigenti.

 

 

 

PARTE QUARTA: L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA

CAPITOLO 5: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:

SEZIONE ¬: PRINCIPI COSTITUZIONALI SULLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE:
La Costituzione dedica numerosi articoli alla Pubblica Amministrazione ma i più importanti sono il 97 e il 98 nel titolo riservato al Governo, con l’intenzione di comprendere l’amministrazione nell’attività esecutiva in senso lato: essa non può essere intesa come un corpo separato nell’ambito dell’organizzazione statale, poiché, attraverso di essa, si concretano le finalità dello Stato.
Definizione: in senso oggettivo, la pubblica amministrazione è l’attività svolta dagli organi della p.a. per provvedere alla cura degli interessi concreti ad essi affidati attraverso gli strumenti del diritto pubblico. In senso soggettivo invece, la pubblica Amministrazione è costituita dal complesso di organi ed enti che esercitano l’attività amministrativa appena definita.
Art.97 Cost.: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge (a), in modo che siano assicurati il buon andamento (b) e l’imparzialità dell’amministrazione (c).
Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

  • a) riserva di legge nell’organizzazione dei pubblici uffici: si tratta di riserva relativa, ammettendo l’esigenza di consentire a fonti di grado secondario di disciplinare l’organizzazione di dettaglio dei pubblici uffici. Subordinando l’organizzazione amministrativa al Parlamento, si riconduce la p.a. alla volontà popolare.
  • b) principio del buona andamento della p.a.: il concetto di buona amministrazione mira ad assicurare l’efficienza, la rapidità, la correttezza, la congruità dell’azione amministrativa in riferimento ai fini di interesse pubblico che con essa devono essere perseguiti.
  • c) imparzialità della p.a.: l’intendimento del costituente era non nel senso di non essere parte (la sua posizione parziale nei rapporti giuridici dovrebbe essere la regola), quanto nel significato di garantire l’indipendenza della p.a. da influenze politiche, nel duplice senso, attivo e passivo.        L’imparzialità si concreta nel dovere di usare parità di trattamento per tutte le situazioni.

Art.98 Cost.: i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità.
Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero.

SEZIONE ­ : L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA:
Funzione amministrativa: la funzione amministrativa, che consiste nel perseguimento degli scopi di pubblico interesse che l’ordinamento assegna all’apparato amministrativo, è caratterizzata dalla concretezza e dalla variabilità nel corso del tempo. L’attività amministrativa si presenta complementare all’attività normativa, trasformando il precetto astratto in imperativo concreto.
Soggetti amministrativi pubblici: la p.a. comprende tutti i soggetti pubblici, competenti a porre in essere attività ammin.; il più importante di essi è lo Stato, per gli altri c’è incertezza classificatoria.
La p.a. può compiere attività di diritto privato ed attività di diritto pubblico. La prima deriva dal fatto che le persone giuridiche godono della stessa capacità giuridica delle persone fisiche, sicché esse possono compiere tutte le attività che rientrino nella capacità di queste ultime e che siano compatibili con la peculiare natura delle persone giuridiche. L’attività di diritto pubblico della p.a. si realizza nella generalità dei casi mediante atti amministrativi, che vengono considerati nel complesso degli atti dei pubblici poteri, per sottolineare il carattere di espressione della amministrazione autoritativa che ad esso compete quando assume la veste di provvedimento, conseguendo il massimo di forza giuridica.

Elementi essenziali dell’atto amministrativo: gli elementi di cui si compone un atto amministrativo possono essere essenziali o eventuali. Elementi essenziali di ogni atto amministrativo sono:

  • il soggetto: deve essere, di regola, un organo della p.a., competente ad adottare l’atto;
  • l’oggetto: è il termine passivo nei cui confronti opera la vicenda giuridica cui l’atto rivolge i propri effetti (ad esempio il terreno espropriato, il pubblico impiegato promosso..);
  • il contenuto: è quanto l’atto dispone. Il contenuto necessario corrisponde alla finalità concreta perseguita, ma accanto a questo può ammettersi un contenuto eventuale (ad esempio clausole);
  • la causa: consiste nella funzione istituzionale che con l’atto si persegue o anche nello scopo tipico dell’atto. Accanto ad essa si collocano i motivi;
  • la forma (talora): non con finalità probatorie o di validità, bensì elemento essenziale in quanto esternazione dell’amministrazione. Solitamente è la forma scritta.

Elementi eventuali dell’atto amministrativo: essi vengono considerati clausole accessorie:

  • la condizione: è l’avvenimento futuro e incerto al cui verificarsi è subordinato l’inizio (condizione sospensiva) o la cessazione dell’efficacia dell’atto (condizione risolutiva);
  • il termine: è il momento a partire dal quale, o fino al quale, l’atto ha efficacia;
  • il modo: è l’onere cui può essere assoggettato il destinatario (beneficiario) dell’atto.

Il silenzio della p.a.: in diritto amministrativo il silenzio viene considerato, più spesso, come silenzio-rifiuto, e, più raramente, come silenzio-accoglimento.
Procedimento amministrativo: esso si compone di tre fasi che godono di relativa autonomia e spesso sono attribuite ad organi diversi. La prima fase è la fase preparatoria, nella quale si avvia il procedimento, si compiono le eventuali operazioni necessarie, si acquisiscono pareri, ecc..; la seconda è la fase costitutiva (talora definita essenziale), nella quale sulla base dell’accertamento e della valutazione dei presupposti viene emanato l’atto che esprime la statuizione dell’autorità amministrativa. Segue, infine, la fase integrativa dell’efficacia, nella quale si acquisiscono quegli ulteriori elementi che sono necessari perché l’atto possa produrre l’effetto giuridico che gli è proprio. L’atto è perfetto a conclusione della fase costitutiva, per essere efficace deve completarsi la fase integrativa dell’efficacia. L’amministrazione ha inoltre il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso,entro un termine certo, che se non è altrimenti fissato è di 30 giorni.
Invalidità dell’atto: l’invalidità dell’atto può consistere nella sua difformità da una norma (vizio di legittimità), oppure da un regola di buona amministrazione o di opportunità amministrativa (vizio di merito). I vizi di legittimità possono comportare la nullità o l’annullabilità dell’atto, i vizi di merito soltanto la annullabilità e nei soli casi previsti dalla legge.
Nullità dell’atto amministrativo: un atto amm. È nullo quando in esso manca un elemento essenziale; se contrario a norme imperative di legge, non è nullo ma soltanto annullabile per violazione di legge. Cause di nullità dell’atto amministrativo:

  • mancanza del soggetto: quando un atto non è stato posto in essere da un organo della p.a. oppure è stato emanato sì da una pubblica autorità, ma assolutamente incompetente;
  • mancanza dell’oggetto: quando non esiste il bene o il rapporto che l’atto contempla, tanto materialmente quanto giuridicamente;
  • mancanza della forma: quanto manca del tutto qualsiasi tipo di esternazione.

Annullabilità dell’atto amministrativo: l’atto amm. è invalido e annullabile quando viziato da:

  • incompetenza: quando l’autorità che ha emanato l’atto non ne aveva la legittima potestà o per ragioni di materia, o di territorio, o di grado;
  • violazione di legge: quando si registra una violazione di una disposizione normativa cui l’amministrazione doveva invece attenersi;
  • eccesso di potere: le più rilevanti figure sintomatiche di eccesso di potere possono indicarsi nella insufficiente o incongrua motivazione, nell’ingiustizia grave e manifesta, nella disparità di trattamento, nella contraddittorietà fra provvedimenti dell’amministrazione, nel travisamento o nell’erronea rappresentazione dei fatti, nella illogicità dei criteri di valutazione.

Annullabilità dell’atto viziato nel merito: l’atto viziato nel merito può essere annullato e revocato, ma solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
Sanatoria degli atti amministrativi invalidi: l’atto amministrativo nullo non produce effetti validi e la nullità tanto dell’atto quanto dei suoi effetti può essere fatta valere in qualunque tempo. L’atto viziato, invece, deve essere impugnato entro termini perentori, a pena di divenire inoppugnabile, consolidandosi dunque, nonostante i suoi vizi e salva sempre la facoltà di autotutela della amministrazione. La sanatoria può riguardare solo i vizi di legittimità, posto la difficoltà logica di sanare vizi di merito. Può avvenire mediante convalida, cioè rimozione da parte della stessa autorità che ha adottato l’atto, di quei difetti di legittimità che viziavano l’atto, mediante ratifica dell’organo competente, oppure mediante conversione in forza della quale si attribuiscono all’atto invalido gli effetti di altro atto del quale possiede i requisiti.

SEZIONE ® : I RICORSI AMMINISTRATIVI:
Se l’atto viziato viola situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela, può essere impugnato, per farne valere la nullità o l’annullabilità, tanto in sede amministrativa quanto in sede giurisdizionale. Quanto ai ricorsi in via giurisdizionali, la relativa cognizione è rimessa a giudici speciali (vedi pag. 37). I procedimenti in via amministrativa sono caratterizzati dall’essere rimessi alla stessa amministrazione che, appunto, attraverso un riesame del provvedimento oggetto del ricorso, ne decide il mantenimento (respingendo il ricorso)o l’annullamento (accogliendo il ricorso).

  • ricorso in opposizione: è diretto alla stessa autorità che ha emanato l’atto, solo nei casi espressamente previsti dalla legge. E’ sempre facoltativo ed è considerato strumento di collaborazione del privato per ottenere la rettifica del provvedimento verso cui è preposto.
  • ricorso gerarchico: è rimedio a carattere generale avverso gli atti emanati da un’autorità amministrativa, che non siano definitivi e si pretendano lesivi di un diritto o di un interesse, per motivi di legittimità o di merito. Deve esistere un rapporto di sovra e sotto ordinazione tra l’organo al quale viene presentato il ricorso e l’organo che ha emanato l’atto. Il ricorso gerarchico può essere inoltre proposto “in un'unica istanza”, cioè una sola volta.

L’organo decidente sovraordinato, esaurita l’istruttoria, può: a) dichiarare il ricorso inammissibile se non poteva essere proposto; b) respingere il ricorso se lo riconosce infondato; c) accogliere il ricorso per motivi di legittimità o di merito, annullando o riformando l’atto, salvo il rinvio dell’affare all’organo che lo ha emanato. La decisione deve essere motivata e comunicata all’organo che ha emanato l’atto, al ricorrente e agli altri interessati.
In talune ipotesi, previste tassativamente dalla legge, è ammesso ricorso contro atti di autorità che non hanno un superiore gerarchico (secondo il d.p.r. 1199/71, verso gli atti amministrativi di ministri, di enti pubblici, di organi collegiali).

  • ricorso straordinario al presidente della Repubblica: il ricorso al capo dello Stato è ammesso soltanto contro gli atti amministrativi definitivi. Può essere proposto per la tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi ma soltanto per motivi di legittimità, con l’esclusione di censure di merito. Il ricorso straordinario è alternativo al ricorso giurisdizionale, sicché chi lo abbia proposto non può, anche se ancora in termini, proporre ricorso al TAR avverso lo stesso provvedimento.

Il ricorso straordinario deve essere presentato presso il Ministero competente per materia o presso l’autorità amministrativa che ha emanato l’atto impugnato. Il ministero competente deve poi trasmettere il ricorso al Consiglio di Stato per il previsto parere, che nei confronti del capo dello Stato è “relativamente vincolante”: è vincolante cioè fino a che non intervenga una dichiarazione difforme del Consiglio dei Ministri. La decisione è assunta con decreto del presidente della Repubblica, controfirmato dal Ministero proponente e, se vi è stata deliberazione del Consiglio dei Ministri, anche del presidente del Consiglio.

 

 

PARTE QUINTA: LE AUTONOMIE LOCALI. LE REGIONI

CAPITOLO 1: LE AUTONOMIE LOCALI NELLA COSTITUZIONE:

La prospettiva regionale: dopo le tendenze federaliste postunitarie, i provvedimenti fascisti contro le autonomie infrastatali, coloro che prepararono il nuovo ordinamento democratico e poi la nuova Costituzione guardarono alle autonomie locali, alla loro rinascita e al loro potenziamento, come uno dei punti fermi del nuovo Stato, libero e fondato sulla partecipazione popolare.
Senza dubbio il rilievo concesso a tali autonomie era anche legato alle aspirazioni di una civiltà contadina che stava per subire,in quegli anni,il più forte ridimensionamento degli ultimi secoli e che concepiva la contrapposizione, e non la necessaria collaborazione,tra potere centrale e potere locale. Tuttavia alla fine della guerra e nel periodo di preparazione della nuova Costituzione, era ben chiara agli osservatori più attenti la necessità di ridare vigore alle pubbliche istituzioni con una ripresa di efficienza e di velocità della pubblica Amministrazione. Era necessario cercare di trovare un corretto punto di equilibrio tra le esigenze dello Stato e dell’Amministrazione centrale e quelle delle autonomie locali, spesso eccessivamente frammentate, anche in prospettiva di programmazione economica: la dimensione regionale divenne così la dimensione ottimale della nuova organizzazione amministrativa. La “Commissione Forti” condusse tra il 1945 e il 1946 una serie di studi importanti sulla riorganizzazione dello Stato.
Motivazioni importanti, che prevalsero, favorevoli alle autonomie locali, furono il valore dell’auto governo (“Non si tratta solo di portare il governo alla porta degli amministrati, con un decentramento burocratico e amminisrtativo…si tratta di porre gli amministrati nel governo di sé medesimi”), e il tema della crescita delle libertà (“Senza istituzioni locali una nazione può darsi un governo libero, ma non lo spirito della libertà”).
In conclusione, l’Assemblea costituente adottò una disposizione a carattere generale, inserita tra i principi fondamentali (art.5) con l’esplicito riconoscimento delle autonomie locali, e dedicò il titolo V della parte II agli enti locali territoriali, introducendo nel nostro ordinamento, accanto ai Comuni e alle Province, le Regioni, quali enti autonomi dotati di propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione. La norma chiave è:
Art.5: La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; si attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Il pluralismo giuridico non deve comunque trasformarsi in separazione politica. Qualunque iniziativa assunta nel campo delle autonomie locali dovrà essere valutata alla stregua di questo limite e sarà conforme a Costituzione solo se non comprometterà l’unità e indivisibilità della Repubblica. Altri principi importanti sono dettati dagli artt 119 (“autonomia finanz.”),115,116,128.
Ordinamenti degli enti locali: in generale, le autonomie locali hanno la possibilità di creare diritto non solo nell’ambito dell’ordinamento statale, ma dando vita ad ordinamenti particolari ricompresi nell’ordinamento generale. Sicuramente la Regione ha comunque un’autonomia più ampia, perché nella creazione del suo ordinamento incontra solo i limiti direttamente o indirettamente derivanti dalla Costituzione, mentre i Comuni e le Province devono contenersi, in più, nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica. Tanto le Regioni quanto i Comuni e le Province hanno però titolo a creare un proprio ordinamento giuridico, derivato da quello statale, e nel quale entrano, in un incontro talora non semplice, norme statali e norme poste dall’ente locale in una articolazione di competenze che trova nella Costituzione il suo punto di riferimento, la sua giustificazione e anche i criteri per il superamento delle possibili antinomie.
Autonomia politica degli enti locali:tale autonomia consiste nel potere di darsi un indirizzo politico.
A livello di comunità più ristrette dello Stato, quali Regioni, Province, Comuni, costituzionalmente disciplinate e garantite, può ammettersi l’esistenza di un indirizzo variamente circoscritto, ma pur sempre suscettibile di uniformarsi a valutazioni politiche e che potrà essere definito secondario o minore, o politico-amministrativo, ma che comunque non può essere negato o contestato, quando resti nei limiti indicati da Costituzione. Si rileva anzi posizione di reciprocità tra Stato e Regione, poiché non solo lo Stato può contrastare le scelte regionali che superino i limiti costituzionali, ma anche la Regione può opporsi a quegli atti statali che invadano la sua sfera di competenza.
Tale attività politica della Regione con cui essa può darsi un indirizzo politico non è originaria come quella statale, ma derivata ed appunto per ciò la si definisce autonoma. Analogamente può parlarsi di autonomia politico-amministrativa per gli enti locali subregionali.
Né questo, di per sé, compromette l’unità statale o incrina il principio dell’indivisibilità della Repubblica, perché l’autonomia politico-organizzativa tanto delle Regioni quanto degli enti locali infraregionali deve contenersi nei limiti stabiliti dall’ordinamento e vi sono strumenti idonei per garantire il rispetto di tali limiti.

CAPITOLO 2: LA REGIONE:

SEZIONE ¬ : PROBLEMI GENERALI. L’ISTITUZIONE DELLE REGIONI.
Art. 115 Cost.: le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Distinzioni tra Regioni: la Costituzione differenzia dalle Regioni ad autonomia ordinaria cinque Regioni alle quali, secondo l’art.116, sono attribuite “forme e condizioni particolari di autonomia” (ovvero dove più forte è il problema delle minoranze linguistiche: Sicilia, Sardegna, Trentino – Alto Adige, , Valle d’Aosta, istituite nel 1948, e Friuli – Venezia Giulia, istituita nel 1963). Gli statuti speciali sono considerati atti dello Stato e non della Regione, e tali Regioni non godono quindi di potestà statutaria, ma d’altra parte esse godono di più ampi poteri proprio in forza degli statuti che, essendo leggi costituzionali dello Stato, ben possono derogare alle prescrizioni generali in materia di regioni fissate dalla Costituzione.
Evoluzione storica: dopo numerose peripezie i consigli regionali furono effettivamente eletti solo il 7-8 giugno 1970, i decreti delegati, per il trasferimento da parte del Governo delle funzioni amministrativi, furono emanati nel gennaio 1972 e il concreto esercizio di tali funzioni iniziò il 1° aprile 1972. Più volte, e in ultimo nel 1998, sono stati innovati i trasferimenti delle materie e la loro distribuzione tra regioni ed enti locali infraregionali. I blocchi di materie trasferite sono stati identificati nello sviluppo economico e attività produttive; nel territorio, ambiente e infrastrutture; nei servizi alla persona e alla comunità e nella polizia amministrativa e regime autorizzatorio.
Più di recente è stata istituito un organismo denominato Conferenza Stato-Regioni.

SEZIONE ­ : GLI STATUTI REGIONALI:
L’organizzazione regionale è delineata nei suoi aspetti essenziali dalla Costituzione ma la stessa Costituzione attribuisce alle sole Regioni ad autonomia ordinaria la potestà statutaria, nell’art.123, affidando la competenza a regolare l’organizzazione interna delle Regioni ad appositi statuti.
Secondo l’art. 123 Cost., ogni statuto ordinario è deliberato dal Consiglio regionale (entro 120 giorni dalla prima convocazione) a maggioranza assoluta dei suoi componenti ed è approvato con legge della Repubblica. Il Consiglio regionale trasmette lo statuto deliberato al presidente del Consiglio dei ministri, il quale provvede a presentarlo entro 15 giorni al Parlamento.
Imputazione dello statuto: lo statuto, nonostante la successiva approvazione statale, è e resta atto della Regione e va attribuito alla sola volontà regionale.
Lo statuto nel sistema delle fonti: si è spesso sostenuto che lo statuto vada considerato in posizione sovraordinato alla legge regionale; tuttavia deve comunque escludersi che il legislatore regionale debba sottostare, per obbligo giuridico, alle indicazioni programmatiche degli statuti.
Contenuto degli statuti regionali: ai sensi del solito art. 123 Cost. lo statuto, “in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della Regione”. Inoltre “lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali”. Apparentemente lo spazio che concretamente residua agli statuti è piuttosto modesto, si è così pensato di interpretare in modo più ampio il riferimento all’organizzazione interna regionale.
L’ “armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica” non deve essere considerata limite degli statuti, o semplice e piatta conformità. Essa esprime infatti l’esigenza di un collegamento logico con il sistema generale che, proprio per essere unitario, non potrebbe tollerare contrapposizioni organizzative così rilevanti da compromettere il quadro logico dell’ordinamento.
Revisione degli statuti: la revisione degli statuti si opera mediante legge costituzionale per le Regioni ad autonomia speciale e mediante procedimento identico all’adozione di testi statutari per le Regioni ordinarie. La deliberazione di revisione statutaria dovrà essere adottata dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta e sottoposta ad approvazione da fare con legge della Repubblica.

SEZIONE ® : GLI ORGANI DELLE REGIONI:
La stessa Costituzione, all’art.121, indica quali organi della Regione il Consiglio regionale, la giunta e il suo presidente, definibili organi necessari alla Regione e organi istituzionali, cioè organi che corrispondono alla struttura organizzativa fondamentale dell’ente. Per la maggior parte la materia dell’organizzazione dei massimi organi regionali è comunque da ritenersi rimessa all’autonomia statuaria di ogni Regione, ovvero a statuti regionali e a regolamenti interni.

  • IL CONSIGLIO REGIONALE.

Il Consiglio regionale è rappresentante in via diretta della volontà popolare ed ha importanti poteri di decisione. Alcuni principi riguardo alla sua organizzazione sono dettati dalla Cost., ma la maggior parte dalla legge statale: il numero di consiglieri regionali è compreso tra 30 e 80; sono eleggibili e elettori sostanzialmente tutti i maggiorenni; il sistema elettorale regionale combina sistema maggioritario e proporzionale; i Consigli regionali durano in carica 5 anni.
Come per i parlamentari, esistono diverse cause di ineleggibilità e incompatibilità per i consiglieri regionali, che non sono tenuti a giurare, godono di insindacabilità per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, rappresentano l’intera Regione e godono di un’indennità di carica. I consiglieri regionali sono proclamati eletti dal presidente dell’ufficio centrale circoscrizionale: tale elezione deve però essere convalidata dallo stesso Consiglio regionale che incarica un’apposita Commissione di scovare eventuali cause di ineleggibilità.
Secondo l’art. 122 Cost., il Consiglio regionale “elegge in suo seno un presidente e un ufficio di presidenza per i propri lavori”. Il presidente viene eletto a scrutinio segreto, talora con particolari maggioranze; l’ufficio di presidenza, eletto dal Consiglio, si compone del presidente, dei vice presidenti, dei segretari. Altri organi spesso specificati dagli statuti sono i gruppi consiliari, la conferenza dei capigruppo, le commissioni consiliari (con il compito di esaminare preliminarmente i progetti di legge e le altre deliberazioni consiliari, non dotate di competenza deliberante).
Attribuzioni del Consiglio regionale: secondo Costituzione, il Consiglio regionale “esercita le potestà legislative e regolamentari attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi”. Inoltre “può fare proposte di legge alle Camere”.
Appare dunque evidente che il Consiglio è il massimo organo deliberativo della Regione.
Le norme sul funzionamento dei Consigli regionali sono contenute negli statuti che rinviano a loro volta ai regolamenti consiliari. Spesso i lavori consiliari vengono divisi in sessioni e programmati.

  • LA GIUNTA REGIONALE E IL SUO PRESIDENTE.

Composizione: La Giunta regionale, organo esecutivo della Regione, viene eletta dal consiglio regionale tra i suoi componenti, solitamente a scrutinio palese per appello nominale. Tra Consiglio regionale e Giunta si instaura un rapporto fiduciario simile a quello Parlamento - Governo.              La Giunta compone del presidente, che “rappresenta la Regione”, e dei membri della Giunta, spesso definiti “assessori”. Il numero di assessori è fissato dagli statuti; quando essi agiscono come componenti della Giunta, non godono dell’immunità di cui godono i consiglieri regionali.
Compiti: compiti principali attribuiti alla Giunta sono quelli di attuare i programmi approvati dal Consiglio regionale, conformarsi agli indirizzi politici e amministrativi deliberati dal Consiglio, proporre al Consiglio regionale i provvedimenti da valutare ed eventualmente deliberare.
La Giunta regionale ha l’iniziativa delle leggi regionali e degli altri atti normativi la cui adozione spetta al Consiglio. Spetta anche alla Giunta deliberare di ricorrere alla Corte Costituzionale.
Bisogna escludere invece che la Giunta regionale possa adottare in via d’urgenza, in mancanza di disposizioni statutarie che lo consentano, deliberazioni o atti di competenza del Consiglio.
Posizione del presidente: per espressa disposizione costituzionale spetta al presidente rappresentare la Regione; promulgare le leggi e i regolamenti; dirigere le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del Governo centrale. La sua posizione è simile a quella del presidente del Consiglio dei ministri per il compito di dirigere e coordinare l’attività della Giunta e di mantenere l’unità di indirizzo della Giunta medesima. Il presidente può essere coadiuvato da un vice presidente che lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento.
Principio della collegialità: si ritiene che sia necessario privilegiare ed evidenziare l’attività della Giunta con limitazione dell’attività individuale dei suoi componenti. In pratica, il principio risulta spesso disatteso con notevole incremento delle attività individuali degli assessori.

SEZIONE ¯ : LE FUNZIONI DELLE REGIONI.

  • LA FUNZIONE LEGISLATIVA.

La funzione legislativa è la competenza di porre norme costitutive di diritto obiettivo e poste in posizione equiordinata con la legge statale ordinaria (non così per gli altri enti locali).
Esistono diversi tipi di legislazione regionale: a)legislazione esclusiva, compete alle sole Regioni ad autonomia speciale ed “esclude” la competenza statale; b) legislazione concorrente, compete a tutte le Regioni e comporta concorso di norme statali e regionali, su una data materia; c) legislazione integrativa o di attuazione, compete a tutte le Regioni.
Le leggi regionali possono sottostare a limiti di legittimità o di merito. Limiti di legittimità:

  • limite costituzionale: le Regioni non possono porre disposizioni contrastanti con la Costituzione;
  • limite territoriale: le Regioni non possono adottare disposizioni legislative destinate a valere oltre il proprio territorio;
  • limite dei principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato;
  • limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica: per la necessità di omogeneità dell’indirizzo generale economico-sociale dello Stato;
  • limite degli obblighi internazionali dello Stato: è un’esigenza derivante direttamente dal carattere unitario del nostro Stato. Le Regioni non hanno competenza in politica estera;
  • limite delle materie: le regioni possono legiferare attenendosi alle enumerazioni (tassative) delle materie di competenza legislativa regionale;
  • limite dei principi fondamentali della legislazione statale: tale limite vale solo per la legislazione regionale concorrente. La soluzione migliore sarebbe stata richiedere leggi-cornice.

Limiti di merito: le norme legislative regionali non devono essere in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni. In caso di controversie, se il limite è di legittimità, la competenza è attribuita alla Corte Costituzionale, se il limite è di merito la competenza è invece attribuita alle Camere.
Procedimento di formazione delle leggi regionali: le leggi regionali sono deliberate dal Consiglio regionale. Le procedure sono disciplinate da statuti e regolamenti interni, e sono ispirate alle procedure di approvazione delle leggi del Parlamento. E’ previsto l’esame da parte di commissioni permanenti del Consiglio con competenza referente e al controllo, di legittimità e di merito, del Governo nazionale, attraverso il visto del Commissario del Governo. Se il Governo ritiene che la legge ecceda la competenza o incontri dei limiti, può “rinviare”  la legge al Consiglio regionale.
Il Consiglio regionale può modificare la legge o riapprovarla nello stesso testo: il Governo potrà in questo caso promuovere la questione di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale o alle Camere.
Posizione della legge regionale: la legge regionale è dunque equiparata alla legge statale, nel senso che anche la legge statale deve cedere alla legge regionale, quando quest’ultima disciplini una materia attribuita alla legislazione regionale. Nell’incontro sulla stessa materia, la prevalenza dovrà essere riconosciuta alla fonte competente, statale o regionale che sia.

  • LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA.

Criterio del parallelismo delle funzioni: la Regione ha competenza amministrativa negli stessi settori nei quali le è attribuita competenza legislativa, ma non viceversa (art.118 Cost.).
Le leggi della Repubblica possono anche attribuire, in tali settori, le competenze amministrative di interesse esclusivamente locale alle province, ai comuni o ad altri enti locali.
Lo Stato può anche, con legge, delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.
Trasferimento delle funzioni: l’art.17 della l.1970,n.271, ha delegato il Governo ad emanare 11 decreti legislativi per regolare il passaggio delle funzioni amministrative attribuite alla Regione dall’art.117 Cost. e del relativo personale dipendente dallo Stato. Con la l.22 luglio 1975, n.382 è stata conferita al Governo una nuova delega e con il d.p.r. 24 luglio 1977 si è completato il trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni.
Dopo la l.15/3/97, n.59 e il decreto lgs.31/3/98,n.112, il conferimento delle funzioni, comprendente le funzioni di organizzazione e le attività connesse, è operato in blocco alle Regioni le quali poi debbono provvedere entro sei mesi a conferire agli enti locali subregionali le funzioni amministrative che non richiedono il loro unitario esercizio a livello regionale.
Ai sensi dell’art.118 Cost., le Regioni dovrebbero delegare agli enti subregionali l’amministrazione, mantenendo prevalenti compiti legislativi, di programmazione e di indirizzo dell’attività amministrativa. In realtà il quadro dell’amministrazione è molto accentrato e nelle stesse materie resta riservata allo Stato la funzione di indirizzo e di coordinamento per esigenze di unitarietà, così come le leggi cornice statali delimitano la legislazione regionale.
Controllo sugli atti amministrativi regionali: il controllo di legittimità e talora anche di merito dei regolamenti di competenza del Consiglio regionale viene esercitato da una Commissione statale sedente nel capoluogo regionale, che può annullare l’atto, prevista dall’art.125 Cost.

  • I RAPPORTI DELLA REGIONE CON GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI.

Principio di sussidiarietà: il trasferimento di funzioni sia da Stato a Regioni sia da Regioni a altri enti locali si è ispirato al principio di sussidiarietà, attribuendo cioè le funzioni in discorso all’autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini, con esclusione delle sole funzioni che richiedono l’unitario esercizio a livello regionale. Il conferimento di compiti e funzioni agli enti locali è stato effettuato con legge regionale, antecedente il 30 settembre 1998, con la quale la Regione ha attribuito agli enti locali le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall’esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti.
Controllo sugli atti degli enti locali. Ai sensi dell’art.130 Cost., spetta alla regione esercitare il controllo di legittimità e di merito sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali, attraverso un Comitato regionale di controllo.

SEZIONE ° : L’AUTONOMIA FINANZIARIA REGIONALE.
La limitatezza di adeguati mezzi finanziari a disposizione delle Regioni è stata una delle cause del ritardato decollo dell’ordinamento regionale.
Autonomia finanziaria delle regioni: secondo l’art.119 Cost., alla Regione sono assegnati:

  • tributi propri e quote di tributi erariali in relazione ai bisogni regionali per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali, comunque troppo bassi per le esigenze regionali. Alle Regioni viene in pratica impedita la potestà impositiva regionale, potendo soltanto determinare aliquote di tributi già disciplinati dal legislatore italiano.
  • contributi speciali per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Sud.
  • un demanio (che comprende i beni indicati dall’art.822 c.c., e che godono di inalienabilità, incommerciabilità, imprescrittibilità) e un patrimonio regionale (che comprende gli altri beni appartenenti alla regione).

Secondo la l.158/1990 i tributi erariali del punto a) vengono accorpati in un fondo comune distribuito proporzionalmente alle regioni, e in un altro fondo sono raggruppati trasferimenti dallo Stato per gli investimenti. L’autonomia finanziaria è garantita anche dalla possibilità di ricorrere all’indebitamento. La l..281/1970 prevede inoltre l’istituzione di un fondo diretto al finanziamento dei programmi regionali di sviluppo, composto di una quota variabile e di una fissa, e di un fondo sanitario nazionale, con la finalità di garantire i livelli sanitari in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ogni Regione adotta con legge, ogni anno, un bilancio annuale e un bilancio pluriennale, seguendo i principi fondamentali e le norme in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni fissati dalla l.19 maggio 1976, n.335.

SEZIONE ± : I CONTROLLI SULLE REGIONI.
Organi di controllo: il controllo dello Stato sugli organi e sulle attività regionali costituisce lo strumento per garantire il rispetto delle esigenze unitarie e del quadro costituzionale complessivo.
Gli organi statali cui compete esercitare il controllo sull’attività e sugli organi delle regioni sono:

  • il Governo della repubblica: ad esso compete il controllo di legittimità e di merito sulle leggi regionali, nonché il controllo sugli organi regionali.
  • il Commissario del Governo nella Regione: soprintende alle funzioni amministrative esercitate dallo stato e le coordina con quelle esercitate dalla Regione. Raccorda lo Stato e le Regioni, vistando le leggi regionali o rifiutando il visto, rinviando le leggi al Consiglio.
  • la Commissione statale di controllo: vedi pag.51
  • la Commissione interparlamentare per le questioni regionali : interviene nel procedimento di controllo per l’eventuale scioglimento del Consiglio, formula proposte al Governo per la concessione di contributi speciali alle Regioni e fornisce pareri di merito.

Controllo sugli organi regionali: il controllo su presidente della Giunta, Giunta e Consiglio è esercitato dal Governo nei seguenti casi: A) sulla Giunta e/o sul suo presidente quando compiano atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, invitando il Consiglio a sostituire la Giunta o il presidente; B) sul Consiglio regionale qualora questo organo: a) compia atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge; b) non corrisponda all’invito del Governo di sostituire la Giunta o il presidente; c) non sia in grado di funzionare, per dimissioni o per impossibilità di formare una maggioranza; d) per ragioni di sicurezza nazionale. La sanzione è lo scioglimento del Consiglio stesso.
Scioglimento automatico: la durata del Consiglio regionale è ridotta a un biennio se nel corso di ventiquattro mesi il rapporto fiduciario tra Consiglio e Giunta è comunque posto in crisi. Non sarà comunque difficile al Consiglio dissenziente porre in difficoltà la Giunta senza porre formalmente in crisi il rapporto fiduciario, evitando così la sanzione dello scioglimento anticipato.

CAPITOLO 3: GLI ENTI LOCALI INFRAREGIONALI:

l’Art.5 Cost. afferma che la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali”, riferendosi a Province e Comuni. La legge fissa poi i principi all’interno dei quali si esplica l’autonomia comunale e provinciale, impedendo così anche interferenze delle Regioni.
Organi del Comune: gli organi di governo del Comune sono il sindaco, la giunta municipale e il Consiglio comunale. Il Consiglio dura in carica quattro anni ed è composto dal sindaco e dai consiglieri; la Giunta comunale è composto dagli assessori nominati dal sindaco. Le cariche di consigliere e assessore sono incompatibili. Tra il sindaco e il Consiglio si instaura una sorte di rapporto fiduciario
Competenze degli organi del Comune: il sindaco, “ufficiale del Governo”, ha importanti compiti di responsabilità e di supervisione, di sicurezza e ordina pubblico, di polizia e di sanità. La giunta collabora con il sindaco nell’amministrazione del Comune. Il Consiglio, organo di indirizzo e di controllo politico- amministrativo, decide riguardo gli “atti fondamentali del comune”.
Funzioni del Comune: spettano al Comune tutte le funzioni amministrative ce riguardino la popolazione e il territorio comunale precipuamente nei settori organici dei servizi sociali, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico. Gestisce inoltre i servizi elettorali, di anagrafe, di stato civile, di statistica e di leva militare. Sono previste diverse forme di gestione da parte del Comune.
La Provincia: la Provincia è l’ente locale intermedio tra Comuni e Regione. Essa comprende il territorio di più comuni, ma la sua rilevanza operativa è assai inferiore a quella dei Comuni.
Gli organi istituzionali della provincia sono il presidente, la Giunta, il Consiglio provinciale.
Competono alla provincia le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale in settori determinati e rilevanti. Le spettano inoltre importanti compiti di programmazione e la predisposizione e l’adozione del piano territoriale di coordinamento.
Nelle nove “aree metropolitane” la Provincia si configura come autorità metropolitana ed assume la denominazione di “città metropolitana”. Le funzioni di questa città metropolitana sono anche più ampie di quelle attribuite alla Provincia.
Controlli sui comuni e sulle Province: il controllo di legittimità e di merito sugli atti degli enti locali è esercitato, come detto a pag.51, dal Comitato di controllo. Riguardo il controllo sugli organi degli enti locali, i Consigli comunali e provinciali possono essere sciolti con decreto del presidente della repubblica, su proposta del ministro dell’interno; i controlli “atipici” (autorizzazioni, approvazioni, visti e simili) sono invece a competenza prevalentemente regionale, senza escludere quella statale.
Altri enti locali infraregionali: tra i numerosi enti locali infraregionali possono essere ricordati i consorzi e le comunità montane, che hanno personalità giuridica, e le esperienze comprensoriali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PARTE SESTA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI

 

CAPITOLO 1:
LE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE E  DICHIARAZIONI DEI DIRITTI:

Il tema delle libertà si collega a una lunga lotta per la loro conquista e per l’affermazione di un’importante posizione del singolo e delle formazioni sociali nell’ambito dell’ordinamento giuridico generale, durata centinaia di anni. Bisogna considerare le libertà come diritti, con tutto ciò di positivo che questo implica, ma anche e soprattutto come elementi di partecipazione e non di contrapposizione, proprio per superare una concezione dello Stato costituzionale valida agli inizi dell’Ottocento, ma ormai logorata.
Classificazione dei diritti pubblici soggettivi: secondo lo Jellinek, i diritti pubblici soggettivi sono le pretese giuridiche che derivano dai rapporti tra cittadini e Stato.

  • Status subiectionis: indica la mancanza di diritti pubblici soggettivi, e la soggezione totale degli individui (qualificati appunto “sudditi”) al potere sovrano.
  • Status libertatis (status negativo): al sorgere del regime costituzionale, si afferma la garanzia di sfere di libertà, sottratte all’influenza del potere pubblico. Si afferma la pretesa giuridica, ma non i diritti di libertà.
  • Status civitatis (status positivo): vengono a coincidere interesse pubblico e individuale. Lo Stato riconosce all’individuo pretese giuridiche verso l’attività statale, attribuendogli strumenti giuridici per realizzarle.
  • Status activae civitatis (status attivo): viene attribuita non una pretesa giuridica, ma la possibilità di agire come titolare di un organo dello Stato, cioè come membro dell’ordinamento.

Dichiarazioni dei diritti: le prime dichiarazioni di diritti, rilevanti e significative, si hanno in Inghilterra (Magna Charta 1215, Petition of Rights 1628, Bill of Rights 1689).Larga risonanza ebbe la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, deliberata dall’Assemblea francese il 26 agosto 1789, con la quale si affermarono i diritti dell’uomo in quanto tale, come preesistenti allo Stato e quindi da garantirsi e non da concedersi da parte dello Stato medesimo. Da quel momento seguirono numerose dichiarazioni dei diritti, anche molto diverse tra loro, tra le quali si ricorda la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Assemblea generale delle nazioni Unite, 1948).
Esclusione di una dichiarazione programmatica dei diritti nella Cost.italiana: il Costituente italiano ha preferito escludere un preambolo contenente una dichiarazione astratta di diritti, disciplinandoli ampiamente nella parte prima della Costituzione (Diritti e doveri dei cittadini).
Non si volle infatti creare una graduatoria tra le norme del preambolo e quelle del testo costituzionale, e soprattutto  si volle sottrarre le disposizioni più rilevanti per la vita del Paese ad improvvise modificazioni, collocandole nella “rocca” della Costituzione e sottoponendo la loro eventuale revisione a più caute procedure.
Art.2 Cost.: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia coma singolo, sia nella formazione sociale, ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
ê viene così introdotto il principio personalistico, ovvero l’affermazione della supremazia della persona umana sullo Stato medesimo. La Repubblica “riconosce” i diritti inviolabili: riconoscere non vuol dire attribuire, quindi tali diritti appartengono all’uomo in quanto tale, prima e indipendentemente da ogni intervento statale, che ha solo significato ricognitivo e di garanzia.
ê si introduce il pluralismo sociale: contrapponendosi all’esperienza fascista, il pluralismo sociale, sostanzialmente ineliminabile, viene ad assumere il ruolo di pluralismo istituzionale, strumento essenziale dell’organizzazione democratica della Repubblica e condizione essenziale per il pieno esplicarsi della persona umana.
ê viene posta l’attenzione sui doveri e sul principio di solidarietà: non la contrapposizione ma la composizione degli interessi deve divenire la regola e le posizioni soggettive vanno coordinate in un quadro di solidarietà non solo politica, ma economica e sociale, che conferisca alla Repubblica la capacità di essere realmente il punto di incontro di tutti i componenti della comunità nazionale.
Condizione giuridica dello straniero e dell’apolide: in teoria, la parte della Costituzione dedicata ai diritti e doveri, è riservata ai cittadini. Per quanto riguarda gli stranieri, l’art.10 Cost. afferma che:
a) la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali; b) lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge (non occorre dunque essere perseguitato politico). Secondo la l.40/1998 sono riconosciuti allo straniero i diritti fondamentali della persona umana e i diritti in materia civile se regolarmente soggiornante, compresa la parità di trattamento con il cittadino. L’estradizione dello straniero per reati politici non è ammessa.
Per quanto riguarda l’apolide, il principio ispiratore è che, per quanto riguarda i diritti civili, l’apolide è assimilato al cittadino mentre, per quanto riguarda i diritti politici, è assimilato allo straniero.

CAPITOLO 2: IL PRINCIPIO DI EGUAGLIANZA:

La nostra Costituzione afferma il principio dell’eguaglianza, che si affermò con lo Stato costituzionale, non solo in termini di eguaglianza formale, ma anche di eguaglianza sostanziale.
Art.3 Cost.: (1° comma) Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. (2° comma). E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
ê l’eguaglianza formale si esprime, per lunga tradizione, nell’uguaglianza dinanzi alla legge.
La parità di trattamento va naturalmente garantita per situazioni eguali, mentre situazioni differenziate devono essere trattate in modo differenziato. L’eguaglianza dinanzi alla legge richiede l’eguaglianza di forza giuridica della legge per tutti i cittadini.
Le specificazioni rispetto a situazioni differenziate (sesso, razza,..) sono dovute agli ingiustificati trattamenti differenziati del passato. Alcune deroghe sono previste e giustificate da ostacoli biologici o naturali, o di ordine morale, per le quali in non pochi casi la diversità di sesso può determinare una disparità di trattamento senza violare il principio di eguaglianza (agente di custodia in un carcere maschile, vigilatrice di scuola materna,..)
ê l’eguaglianza sostanziale implica la possibilità di conseguire il pieno sviluppo della propria personalità e di partecipare, con pari opportunità, alla vita politica, civile ed economica del Paese.
E’ una linea di sviluppo che dovrà essere ancora in gran parte essere realizzata concretamente dal legislatore ordinario.
Molto deve essere fatto dallo Stato e dagli altri enti pubblici per attuare il precetto costituzionale. Attraverso una decisa programmazione economica; attraverso la rivendicazione prioritaria della funzione sociale della proprietà che va resa accessibile a tutti; attraverso interventi che, restituita serietà alla scuola, garantiscano concretamente ai capaci e meritevoli la possibilità di raggiungere i più alti gradi degli studi; e così via.

 

 

 

 

CAPITOLO 3: I DIRITTI DI LIBERTA’ CIVILE:

La Costituzione tratta dei diritti e doveri nella parte prima (artt. 13-54), distinguendo in  rapporti civili, etico-sociali, economici e politici.
La libertà personale: l’art.13 Cost. garantisce e disciplina la libertà personale, dichiarata “inviolabile”. Senza la garanzia della libertà personale tutte le altre libertà potrebbero vanificarsi e divenire semplici espressioni verbali. La libertà personale indica la libera disponibilità della propria persona fisica (garantita dagli habeas corpus), ma sono ricompresi nella libertà personale anche gli aspetti psichici e morali. In senso attivo, la libertà personale è la disponibilità nel poter fare, e in senso passivo nello escludere interferenze nella sfera della personalità, verso il pubblico e verso il privato. Sempre secondo l’art.13, non è ammessa “forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale”.
Tutela delle persone e trattamento dei dati personali: la protezione della privacy da intrusioni e utilizzazioni è volta a impedire quella violazione che potrebbe recar danno o limitare comunque il libero dispiegamento della libertà personale, nei limiti consentiti dalla legge. Non tutti, naturalmente, possono richiedere la stessa protezione.
L’aumento vertiginoso di questo problema ha portato a nuove leggi: la legge 31 dicembre 196, n. 675 definisce i dati personali protetti come ogni informazione relativa a persona fisica, giuridico, ente od associazione, identificati o identificabili anche indirettamente. Particolare tutela è riservata ai “dati sensibili”. Il trattamento dei dati personali deve svolgersi nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale. Per garantire la corretta applicazione della legge e per rilasciare le prescritte autorizzazioni è istituito un “Garante” avente carattere collegiale, composto da quattro membri eletti dalle Camere, tra i quali viene eletto un presidente, il cui voto prevale in caso di parità.
Limitazioni della libertà personale: la Costituzione, all’art.13, prevede ed ammette la possibilità di limitazioni o restrizioni della libertà personale, subordinatamente al verificarsi si due condizioni:

  • che la limitazione o restrizione sia disposta con “atto motivato dell’autorità giudiziaria”       

riserva di giurisdizione) e b) che ciò avvenga “nei soli modi e casi previsti dalla legge”           (ê riserva assoluta di legge). In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti, se pur provvisori, limitativi della libertà personale.
L’attuazione della libertà personale non è così facili: la legge stabilisce casi in cui possono essere adottate misure di prevenzione, adottate per prevenire la commissione di reati anche contro incensurati, e misure di sicurezza, disposte a carico di abbia commesso un delitto.
Posizione dell’imputato: lo stesso art.13 punisce ogni violenza fisica sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà, e demanda alla legge la fissazione dei limiti massimi della carcerazione preventiva (secondo il C.p.p. varia da tre mesi a un anno).
Altre disposizioni in materia penale sono stabilite dagli artt. 25 e 26 Cost.: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Sul punto il C.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali. Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella più favorevole al reo. L’art. 27 Cost. statuisce che la responsabilità penale è personale, e che l’imputato non è da considerarsi colpevole fino alla sentenza definitiva (“presunzione di non colpevolezza”).
Regime delle pene:l’art.27 Cost., che riguarda le pene limitative della libertà personale, afferma che esse non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbono tendere alla rieducazione del condannato. Non è inoltre ammessa la pena di morte. E’ stata invece dichiarata costituzionale dalla Corte, la pena dell’ergastolo: gli ergastolani possono essere posti in libertà condizionale dopo aver scontato 25 anni di reclusione e purché abbiano tenuto buona condotta.
Secondo la legge 354/1975 “il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona”, ma nella pratica il problema è consistente.
Amnistia e indulto (l.cost. 6 marzo 1992, n.1): il potere di esercitare clemenza nei confronti dei responsabili di reati o dei condannati a pene detentive, spetta alle Camere che vi provvedono con legge, che deve essere approvata a maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
La clemenza non può applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge. Le modalità di concessione e di applicazione di tale potere sono stabilite dalla legge.
Estradizione: l’estradizione è l’istituto di collaborazione penale internazionale per il quale uno Stato consegna ad un altro Stato un individuo accusato o condannato, al fine della sottoposizione del processo o all’espiazione della pena. L’estradizione dello straniero non è ammessa per reati politici (art.10 Cost.); e non può essere concessa quando vi è ragione di ritenere che l’imputata verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori oppure a pene e trattamenti crudeli (art.698 C.p.p.).
L’estradizione del cittadino invece non solo non può essere in alcun caso ammessa per reati politici ma anche per i reati comuni può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.
Prestazioni personali: nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge (art.23 Cost., riserva di legge relativa). In base all’art.32 Cost., premesso il dovere della Repubblica di tutelare la salute,si aggiunge che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale non può comunque in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. L’art.22 Cost. afferma che nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.
Libertà di domicilio: l’art.14 Cost. disciplina la libertà di domicilio. Nel domicilio è ricompreso l’abitazione altrui o altro luogo di privata dimora. Anche il domicilio è dichiarato “inviolabile” e le eventuali limitazioni o restrizioni di tale libertà (quali ispezioni, perquisizioni o sequestri) sono consentite soltanto con le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale, e cioè nei casi e modi stabiliti dalla legge e mediante atto motivato dell’autorità giudiziaria. In casi eccezionali di necessità e urgenza (ad esempio flagranza di reato), l’autorità di pubblica sicurezza può procedere a ispezioni, perquisizioni o sequestri, ma deve comunicarlo entro 48 ore all’autorità giudiziaria.
Libertà di corrispondenza: fra le libertà “inviolabili”, la Costituzione comprende anche la libertà di corrispondenza e di comunicazione. L’art.15 afferma che la limitazione dell’inviolabilità e della segretezza della corrispondenza può avvenire solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge (tale divieto viene esteso anche alla pubblica autorità con l’art.15). Non sono previste limitazioni da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Eccezioni all’inviolabilità e alla segretezza sono ammesse a favore degli ufficiali di polizia giudiziaria e nei confronti di soggetti che si trovino in particolari situazioni previste dalla legge.
Libertà di circolazione e di soggiorno: ogni cittadino, come dispone l’art.16 Cost., può soggiornare e circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza (e quindi senza intervento dell’autorità giudiziaria). Nessuna restrizione può essere determinata per ragioni politiche.
ê stranieri e apolidi potranno dunque essere assoggettati a limitazioni senza poter invocare le garanzie dell’art.16. Unica eccezione alla libertà di soggiorno è prevista per Casa Savoia.
Libertà di espatrio: allo stesso art.16, la Costituzione garantisce anche la libertà di espatrio, intesa come libertà dei cittadini di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi. Sono fatti salvi gli “obblighi di legge” ê oneri o condizioni cui è subordinato il documento autorizzativo.
Diritto di emigrazione: secondo l’art.35 la libertà di emigrazione è subordinata al rispetto degli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale.
Libertà di riunione: accanto ai diritti di libertà che sono riconosciuti all’uomo, o al cittadino in quanto tale, la Costituzione disciplina i diritti di libertà che spettano all’uomo in quanto appartenente a formazioni sociali, secondo il principio affermato dall’art.2.
La distinzione tra riunioni ed associazioni si fonda sul carattere temporaneo delle prime e sul vincolo più saldo delle seconde; mentre la distinzione tra riunioni e assembramenti sta nella casualità degli assembramenti, mentre la riunione è il preordinato convenire di più persone in un medesimo luogo per uno scopo prefissato.
La libertà di riunione è disciplinata dall’art.12 che la riconosce ai soli cittadini (degli assembramenti la Costituzione non parla, e per essi non può invocarsi garanzia costituzionale). Le riunioni possono svolgersi in luogo privato, in luogo aperto al pubblico o in luogo pubblico. Tutte le riunioni debbono svolgersi pacificamente e senza armi (vietate “armi improprie” e mascheramenti).
Solo per le riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle solo per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, oppure per ragioni di ordina pubblico, di moralità o di sanità pubblica. I cortei sono stati definiti “riunioni in movimento” , e serve quindi preavviso alle pubbliche autorità. L’art.19 garantisce invece a tutti il diritto di esercitare il culto religioso “in pubblico”, senza prescrivere obblighi di preavviso.
Libertà di associazione: la disposizione dell’art.18 Cost. garantisce il diritto di associazione in termini assai ampi, escludendo ogni forma di autorizzazione, e ponendo come unico limite il perseguimento di fini che non siano vietati ai singoli dalla legge penale. Sono inoltre proibite, per esigenza di lealtà da parte dei cittadini, le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Le associazioni segrete sono state disciplinate con la legge 25 gennaio 1982, n.17.
La libertà di associazione implica, in certi casi,anche la libertà di non associarsi (libertà “negativa”).
Libertà religiosa: la libertà religiosa, conquista fondamentale dello Stato moderno, è la libertà per ognuno di poter pensare e dire ciò che vuole anche in materia religiosa. Art.19 Cost.: “tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”. Viene così garantita la libertà di coscienza, intesa come libertà di avere una fede o di non averne, e appunto la libertà religiosa, che si concreta non solo nell’adesione a una religione ma anche nella possibilità di esercitare liberamente la propria fede.
Per quanto riguarda la religione cattolica, essa non è in oggi la sola religione di Stato, ma dato che la stragrande maggioranza degli italiani sono cattolici, non è possibile escludere, in taluni casi, disposizioni differenziate in suo favore (ad esempio in materia di vilipendio della religione). Più problematica è la questione della compatibilità tra le formule del giuramento con la libertà religiosa.
Per l’art.20 Cost., il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto di una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica ed ogni forma di attività.
Libertà di manifestazione del pensiero: la libertà di manifestazione del pensiero acquista crescente importanza con lo sviluppo dei mass media, per la necessità di impedire degenerazioni attraverso la creazione di situazioni monopolistiche che potrebbero impedire di fatto la circolazione delle idee.
L’art.21 Cost. garantisce a tutti (e quindi non ai soli cittadini) il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Lo strumento di diffusione che il legislatore ha più ampiamente disciplinato è la stampa.
Õ Libertà di stampa: l’art.21 Cost. è integrato dalla legge sulla stampa (l. 2 febbraio 1948, n.47).
La regola fondamentale è che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si esclude, cioè, ogni possibilità del potere pubblico di intervenire sull’esercizio della libertà o di limitare libertà mediante controlli sul contenuto l’esercizio di tale degli stampati. Seguono poi disposizioni che prevedono il “sequestro preventivo” degli stampati nel caso di delitti per i quali la legge espressamente lo autorizzi o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescrive per l’indicazione dei responsabili (nome e domicilio stampatore, luogo e anno di pubblicazione, ecc..). La stampa periodica deve avere un direttore responsabile il quale può essere perseguito, qualora non eserciti il controllo necessario per evitare la commissione di reati con la pubblicazione.
Secondo l’art.21 sono inoltre vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge può anche stabilire che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica ê la l.5 agosto 1988, n.338, detta disposizioni dirette ad impedire la concentrazione della stampa quotidiana in poche mani, prevede l’istituzione di un registro nazionale della stampa, una miglior trasparenza della pubblicità sui giornali e sui periodici, nonché la pubblicità dei bilanci delle imprese editoriali.
Teatro e cinematografo: per gli spettacoli teatrali,, la vigente legislazione si limita a prescrivere la licenza del questore. Quanto alle rappresentazioni cinematografiche, la legge 161 dispone che la proiezione in pubblico dei film è soggetta a nulla osta che va rilasciato dal ministro del turismo e spettacolo su parere conforma di speciali commissioni di primo grado e di appello.
Disciplina della radio e della televisione: il d.lgs. 3 aprile 1947, n.428, concedeva in via esclusiva alla RAI il servizio delle radio audizioni circolari e il servizio di televisione circolare; affermando che la maggioranza assoluta delle azioni RAI doveva passare in titolarità all’IRI.
Successivamente, di fronte alle continue critiche del monopolio statale, fu approvata la l.14 aprile 1975, n.103, contenente “nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva”, e infine la l.6 agosto 1990, n.223, più volte integrata. Secondo tale legge l’esercizio della radiodiffusione di programmi radiofonici e televisivi è subordinato a una concessione a una società per azioni a totale partecipazione pubblica o a soggetti privati. La RAI è una società per azioni “di interesse nazionale” e il suo C.d.A. è nominato d’intesa fra i presidenti di Camera e Senato.
E’ istituita una Autorità per le garanzie  nelle  comunicazioni che assorbe le funzioni già attribuite al Garante per  la radio diffusione e l’editoria, le cui competenze sono elencate dalla legge 249/97.
Tale legge vieta sostanzialmente posizioni dominanti nei settori delle comunicazioni sonore e televisive, anche nelle forme evolutive. 
Disciplina delle pubblicità: la l.223/90, dopo aver premesso che la pubblicità radiofonica e televisiva non deve offendere la dignità della persona, non deve evocare discriminazioni di razza, sesso e nazionalità, non deve offendere condizioni religiose e ideali, non deve indurre a comportamenti pregiudizievoli per la salute, la sicurezza e l’ambiente, non deve arrecare pregiudizio morale e fisico ai minorenni, stabilisce i limiti temporali massimi della durata dei messaggi pubblicitari. E’ inoltre disciplinata la sponsorizzazione e l’inserimento di spots all’interno de programmi radiofonici o televisivi.
Disciplina dell’informazione e disposizioni rilevanti: i concessionari privati hanno l’obbligo di trasmettere programmi per un numero di ore giornaliere e settimanali fissate dalla legge, e programmi di informazione, statale o locale. Il Governo, le Amministrazioni dello Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono chiedere ai concessionari privati o alla concessionaria pubblica la trasmissione di brevi comunicati, da trasmettere immediatamente.
E’ vietata la trasmissione di messaggi cifrati o di carattere subliminale; è vietata la trasmissione di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori, che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità.
I film vietati ai minori di anni 18 non possono essere trasmessi,   i film vietati ai minori di anni 14 possono invece essere trasmessi tra le  22.30 e le 7.
La pianificazione delle radiofrequenze deve constare di un piano nazionale di ripartizione, aggiornato di regola ogni cinque anni, e di un piano nazionale di assegnazione.

 

CAPITOLO 4: I DIRITTI CIVICI. RAPPORTI ETICO- SOCIALI:

Concetto di diritti civici: i “diritti civici” o “di prestazione”, che sorgono superata la prima fase dello Stato costituzionale,  sono quei diritti per i quali il soggetto ha diritto non già ad un’astensione della pubblica autorità (come nei diritti di libertà), ma ad un suo intervento attivo per assicurare il conseguimento di quei fini di interesse generale che corrispondono alla progressiva evoluzione dello Stato moderno.
La famiglia nella Costituzione: l’art.29, riferendosi alla famiglia come all’insieme di coniugi e figli, afferma che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. E’ la positiva affermazione che la famiglia ha diritti che preesistono allo Stato e che da esso non possono essere menomati né mutati. Unioni di fatto non hanno dunque riconoscimento costituzionale, ma questo non significa che esse non siano situazioni giuridicamente rilevanti.
Il matrimonio: secondo il 2° comma dell’art.29 “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità famigliare”. La famiglia legittima dunque si fonda sul matrimonio, ed anzi sorge con esso. Nel nostro vigente ordinamento sono possibili tre tipi di matrimonio: a) matrimonio civile, celebrato di fronte ad un ufficiale di Stato; b) matrimonio concordatario, che si concreta nel riconoscere effetti civili al matrimonio canonico; c) matrimonio celebrato dinanzi ad un ministro di culto ammesso nello Stato, che acquista effetti civili qualora siano osservate le formalità e le prescrizioni dettate dalla l.24/6/1929.
Il principio dell’incostituzionalità del matrimonio non è costituzionalizzato, e anzi la legge 1°dicembre 1970, n.898, ha introdotto il divorzio, pur con molte tesi contrarie.
I rapporti tra i coniugi e nei confronti dei figli: le disposizioni degli art.29 e 30 Cost. riguardo all’ordinamento interno della famiglia hanno avuto ampia e importante attuazione grazie alla l.19 maggio 1975,n. 151, intitolata alla “Riforma del diritto di famiglia”: tale legge ad esempio detta norme riguardo all’eguaglianza dei coniugi (proclamata dalla Costituzione), che raccoglie le legittime aspirazioni della donna e ne garantiscono la posizione nella famiglia.
Anche nei confronti dei figli la legge del 1975 stabilisce una posizione di eguaglianza da parte dei coniugi, non più di patria potestà, ma di potestà dei genitori. Alla parità di diritti nei confronti dei figli corrisponde parità di doveri: ad entrambi i genitori spetta infatti l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, anche se nata fuori del matrimonio, come secondo Costituzione, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli.
Nuovo orientamento della legge del 1975 anche verso il regime patrimoniale del matrimonio: mentre prima la regola era la separazione dei beni, ora la regola è la comunione dei beni, dando quindi maggior considerazione all’apporto del lavoro casalingo. E’ stata inoltre abolita la dote.
L’art.30 Cost., aggiunge che, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti (si richiede dunque riserva di legge e accertamento oggettivo e certo).
Tutela dei figli illegittimi: come detto, la Costituzione afferma il diritto- dovere, per i genitori, di uguale trattamento sia verso i figli legittimi sia verso i figli nati fuori del matrimonio. Essi godono infatti di ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La Costituzione prevede inoltre che disposizioni di legge fissino i criteri e i limiti per la ricerca della paternità.
Doveri della Repubblica nei confronti della famiglia: l’art.31 Cost. indica i compiti attivi, di prestazione, dello Stato nei confronti della famiglia, affermando che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Inoltre, protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.
E’ dunque un “favor familiae, intesa come più importante formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’uomo. Rilevanti in questo contesto sono i provvedimenti nei confronti delle lavoratrici e specialmente verso le lavoratici madri o per l’attribuzione di assegni famigliari.
Disciplina dell’aborto: fino al 1978 l’aborto (o “interruzione volontaria della gravidanza”) era considerato un delitto, e dunque perseguibile in sede penale.
Con la legge 22 maggio 1978, n.194 viene invece consentito alla donna, anche se minorenne, nei primi novanta giorni della gestazione, piena e assoluta libertà di decisione sull’interruzione della gravidanza, subito o al più tardi dopo sette giorni dalla richiesta. Tale legge riconosce inoltre al personale sanitario ed esercente attività ausiliarie, di poter compiere “obiezione di coscienza”, potendo quindi decidere di non prendere parte agli interventi abortivi e alle relative procedure.
Tutela della salute: l’art.32 Cost. afferma la tutela della salute da parte della Repubblica “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, garantendo cure gratuite agli indigenti. Questo articolo e l’art.38, relativo a lavoratori inabili, infortunati, minorati, ecc.., postulano l’introduzione delle necessarie riforme con la relativa provvista di mezzi finanziari, senza precisarne le modalità. Va segnalato che la maggior parte delle funzioni relative alla “assistenza sanitaria e ospedaliera” sono state trasferite alle Regioni e che con la l.23 dicembre 1978, n.833, è stato istituito il“Servizio sanitario nazionale”,la cui attuazione ha comunque registrato molte lacune.
Trattamenti sanitari obbligatori: ai sensi dell’art.32 Cost. “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In forza di tale norma, viene quindi istituita riserva di legge assoluta ed è stato possibile dichiarare incostituzionale il test del DNA, se non effettuato con il consenso dell’interessato. Unica ipotesi nella quale può ammettersi un intervento medico senza il previo consenso del malato, si ha qualora si versi in una condizione di pericolo o di urgenza. Non sembrano ammissibili trattamenti obbligatori a fini eugenetici, quali la visita prematrimoniale e l’eventuale sterilizzazione, con il fine di prevenire o evitare la nascita di soggetti malati.
Diritto all’ambiente: è un diritto dei singoli determinato da una progressiva presa di coscienza dei problemi ambientali, caratterizzato dall’istituzione nel 1986 del Ministero dell’ambiente.
Libertà dell’arte e della scienza: tale libertà, affermata dall’art.33 Cost., è determinata e resa indispensabile dalle finalità di progresso che l’arte, ma soprattutto la scienza, perseguono, e si afferma quindi nell’interesse non solo del singolo artista o ricercatore, ma dell’intera società, come condizione vitale per il suo sviluppo e per il suo avanzamento.
Libertà di insegnamento: la libertà di insegnamento discende dalla libertà dell’arte e della scienza.
In quanto libertà nell’insegnamento, pur non significando anarchia, garantisce ad ogni docente la possibilità di esercitare le sue funzioni di insegnante in conformità alle proprie convinzioni in ordine alla disciplina che insegna, senza essere condizionato o costretto da una verità ufficiale alla quale adeguarsi. Ma la libertà di insegnamento si concreta anche nella possibilità di istituire scuole.
Il primo punto fermo che risulta dalla Costituzione (art.33) è la preminenza della posizione statale nell’organizzazione scolastica: spetta infatti alla Repubblica non solo istituire proprie scuole per tutti gli ordini e gradi, ma anche dettare le norme generali sull’istruzione, secondo un diritto civico (di prestazione) dei cittadini nei confronti dello Stato.
Gli enti e i privati hanno comunque il diritto di istituire scuole e istituti di istruzione, senza oneri per lo Stato. Le scuole paritarie si distinguono per l’intervento pubblico che ha legittimato la loro apertura. Tale intervento, trattasi di concessione o autorizzazione, è diretto a garantire la serietà dell’iniziativa e ad evitare che si carpisca la buona fede di coloro che si propongono di seguire l’insegnamento impartito in una scuola privata. Gli esami di maturità e di abilitazione, come prescritto dalla Costituzione, sono comunque riservati allo Stato.
Sempre l’art.33 dispone che “le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello stato”. Il principio di libertà di insegnamento è naturalmente valido anche per l’insegnamento universitario, e non si esclude comunque la possibilità di università non statali.
Libertà di istruzione: ai sensi dell’art.34 Cost. “la scuola è aperta a tutti” e non sono quindi ammissibili selezioni fondate su valutazioni non rispondenti al principio generale di uguaglianza.
“L’istruzione inferiore, della durata di otto anni è obbligatoria e gratuita”: la gratuità rende concreto il diritto allo studio.. Per quanto riguarda la scuola non obbligatoria, la Costituzione limita il diritto (che non comporta gratuità) a raggiungere i più alti gradi degli studi ai “capaci e meritevoli”.
CAPITOLO 5. I RAPPORTI ECONOMICI:

La nostra Costituzione sottolinea in misura rilevante il carattere sociale di un nuovo tipo di Stato che ha tra i suoi fini fondamentali quello di intervenire nei rapporti sociali per modificarne gli effetti a favore di determinati gruppi e categorie, e segnatamente a favore dei gruppi e delle categorie economicamente più deboli.

Il lavoro nella Costituzione: la posizione del lavoro, non solo manuale ma in ogni sua forma di espressione umana, è fondamentale nel nostro ordinamento, e la stessa Costituzione si apre con il riconoscimento di tale posizione centrale, affermando che la Repubblica democratica è “fondata” sul lavoro. Quale che sia la forma della sua manifestazione e purché miri a contribuire al progresso materiale o spirituale della società, il lavoro è dunque fondamento della Repubblica e conferma la pari dignità sociale di tutti i cittadini, senza possibilità di introdurre differenziazioni discendenti dalla diversa attività lavorativa esercitata. Questo non esclude tuttavia che il lavoro subordinato sia destinatario delle disposizioni costituzionali che mirano a tutelare il prestatore d’opera.

Il diritto al lavoro: la Costituzione, all’art.4 introduce il diritto (considerato anche un dovere) al lavoro, ponendolo tra i principi fondamentali dell’ordinamento.
Esso si pone come diritto di libertà, nel senso che ogni cittadino deve essere libero di scegliere l’attività più congeniale alle proprie possibilità e alle proprie preferenze, e come diritto civico, in quanto attribuisce al cittadino la pretesa a un “facere” da parte della Repubblica per promuovere, come precisa l’art.4, le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Nella realtà, preoccupanti problemi di disoccupazione e sottoccupazione frustrano non solo il diritto al lavoro come diritto civico, ma anche come diritto di libertà posto che le possibilità di scelta dei singoli lavoratori ne sono gravemente limitate o addirittura escluse.
La tutela del lavoro nella Costituzione: il principio fondamentale in materia di tutela del lavoro è proclamato dal 1° comma dell’art.35, per il quale la Repubblica assume a suo compito la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Si prevedono inoltre accordi internazionali per affermare e regolare i diritti del lavoratore e si riconosce la libertà di emigrazione con conseguente tutela del lavoro italiano all’estero.
L’art.36 stabilisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro (principio della giusta retribuzione) e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (principio della retribuzione familiare). La retribuzione non è la sola corrisposta durante il rapporto di lavoro, ma anche quella differita. Quanto all’orario di lavoro, l’articolo riserva alla legge la competenza a stabilire la durata massima della giornata lavorativa, e infine, stabilisce il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, cui il lavoratore non può rinunciare.
L’art.37 tutela in particolare la posizione della donna, il cui trattamento nel rapporto di lavoro deve essere equiparato a quello dell’uomo, e privilegia, giustamente, la lavoratrice in relazione alla sua essenziale funzione familiare, più rilevante in presenza di figli piccoli. Per quanto riguarda il lavoro minorile, la Costituzione rimanda alla legge per stabilire il limite minimo d’età per il lavoro salariato (fissato in 15 anni), e tutela la posizione del minore nell’attività lavorativa.
Lo Statuto dei lavoratori: ampia tutela, tanto sul piano sostanziale tanto su quello processuale, alla libertà e dignità del lavoratore e della libertà sindacale, viene attuata dalla l.20 maggio 1970, n.300, il cosiddetto Statuto dei lavoratori. Tralasciando il piano sostanziale, per il quale vengono enunciati numerosi diritti dei lavoratori, sotto il profilo processuale viene prevista una speciale procedura dinanzi al pretore per la repressione della condotta antisindacale nonché la legittimazione delle organizzazioni sindacali a promuovere il procedimento giudiziario di che trattasi. Giudice del lavoro di primo grado è in ogni caso il pretore e contro le sue sentenze è ammesso ricorso al tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro. La sentenza del tribunale è ricorribile alla Corte di Cassazione, secondo il rito ordinario.
Collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende: in forza dell’art.46 Cost., la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge. La disposizione mira a elevare il lavoratore da strumento a collaboratore della produzione, ma in quanto norma programmatica e diretta quindi al legislatore non ha potuto essere applicata non essendo intervenute le necessarie disposizioni legislative (tranne Olivetti e Ilva).
Il sindacato: lo strumento più efficace per la tutela del lavoratore, e particolarmente del lavoratore subordinato, è il sindacato. L’art.39 Cost. sancisce anzitutto il principio fondamentale della libertà dell’organizzazione sindacale. Questo significa libertà di costituzione di uno o più sindacati e libertà per ogni lavoratore di aderire o meno al sindacato. L’unico obbligo che può essere imposto ai sindacati, a norma dell’art.39, è la loro registrazione presso uffici centrali e locali, alla sola condizione che gli statuti dei sindacati che chiedono la registrazione sanciscano un ordinamento interno a base democratica. Con la registrazione, i sindacati acquistano personalità giuridica.
Tale registrazione, ai sensi di Costituzione, deve avvenire però in base a norme da stabilirsi con legge ordinaria (legge sindacale) e poiché tale legge non è intervenuta, fino ad oggi, anche a causa della netta opposizione dei sindacati all’adozione delle necessarie disposizioni legislative, le norme costituzionali non possono trovare attuazione. La mancanza di registrazione rende dunque impossibile la stipulazione di contratti collettivi di lavoro di diritto pubblico (previsti dall’art.39), sicché accanto ai contratti individuali di lavoro sono possibili solo i contratti collettivi di lavoro di diritto privato o di diritto comune.
Il diritto di sciopero e i suoi limiti: lo sciopero è un’astensione dalla prestazione del lavoro effettuata da una pluralità di lavoratori e che non dà luogo a una violazione del contratto di lavoro, sicché il datore di lavoro può solo non corrispondere la retribuzione.
Lo sciopero, fondamentale strumento di autotutela dei lavoratori, vietato dal codice penale fascista, è stato dichiarato dall’art.40 Cost. un diritto, anche se viene operato un rinvio alla legge ordinaria per la determinazione delle modalità (e quindi anche dei limiti) per l’esercizio di tale diritto.
Più di recente, la Corte Costituzionale ha affermato la legittimità non solo dello sciopero rivolto a conseguire fini di carattere economico, ma anche di scioperi politici, di solidarietà, di pressione.
Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali: la l.12 giugno 1990, n.146, contiene norme importanti riguardo allo sciopero nei servizi pubblici essenziali, quelli cioè volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati. Nei servizi pubblici essenziali stabiliti dalla legge, il diritto di sciopero non può esercitarsi se non : a) con un preavviso di almeno 10 giorni; b) con la predisposizione di prestazioni indispensabili; c)con l’indicazione della durata della astensione dal lavoro; d) con comunicazioni adeguate agli utenti. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il prefetto,in caso di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti, possono adottare un’ordinanza diretta a garantire le prestazioni indispensabili.
E’ stata inoltre istituita una Commissione di garanzia per l’attuazione della legge 146.
La serrata: la Costituzione non disciplina la serrata, ovvero la sospensione totale o parziale della attività da parte del datore di lavoro per finalità collegate o meno al contratto di lavoro. Si ritiene che essa non possa più essere considerata un delitto, mentre può concretare un illecito civile.

Libertà di iniziativa economica privata: l’art.41 Cost.: a) afferma il principio della libertà dell’iniziativa economica privata; b) indica i limiti cui deve attenersi tale iniziativa (non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana); c) rinvia alla legge per la determinazione di programmi ed i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

La programmazione economica: essa è dunque prevista dall’art.41, e avrebbe dovuto concretarsi in interventi dello Stato in settori determinati dalla legge, non solo mediante disposizioni di stimolo o di incentivo, ma anche mediante disposizioni imperative, giustificate da quei fini di utilità sociale che vanno perseguiti, tenendo comunque conto del principio della libertà di iniziativa economica privata. Tale programmazione non ha comunque ottenuto risultati positivi, se non con interventi programmatori di estensione settoriale.

Nazionalizzazione delle imprese: strumento rilevante di intervento pubblico nell’economia è la nazionalizzazione delle imprese, che oggi ha perduto buona parte della sua efficacia. L’art.43 ha introdotto il principio della possibile nazionalizzazione delle imprese, circondandolo di cautele.
Innanzitutto l’atto a disporre la nazionalizzazione è la legge. Poi deve esistere un fine di utilità generale, deve trattarsi di imprese, aventi carattere di preminente interesse generale, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio. Qualora ricorrano queste condizioni, tali imprese possono essere riservate originariamente o trasferite, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o i utenti. Il caso più rilevante di nazionalizzazione si è avuto con l’ENEL (1962).
Il diritto di proprietà e i suoi limiti: nel Codice del 1942 e nella Costituzione il diritto di proprietà viene riconosciuto, ma rispetto al passato viene circondato da limiti. L’art.42 Cost., riconoscendo il diritto di proprietà, ne sottolinea la funzione sociale, affidando alla legge il compito di renderla accessibile a tutti. Come afferma l’art.42, la proprietà è pubblica e privata e i beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
Espropriazione per pubblico interesse: ai sensi dello stesso art.42, la proprietà privata può essere espropriata per motivi di interesse generale, nei casi previsti dalla legge (ê riserva di legge assoluta) e salvo indennizzo che, secondo il parere della Corte Costituzionale, deve consistere in un “serio ristoro del pregiudizio economico risultante dall’espropriazione”.
Disciplina della proprietà terriera privata: disposizioni particolari, legate ad un antica battaglia contro il latifondo, sono dettate dall’art.44 Cost. in materia di proprietà terriera privata, al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali.
La Costituzione rinvia alla legge per stabilire le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Altre disposizioni costituzionali in materia economica: altre disposizioni costituzionali sono dettate in materia di cooperazione, a favore dell’artigianato, di incoraggiamento al risparmio, e in materia di credito.
Assistenza e sicurezza sociale: l’art.38 Cost. introduce il principio della sicurezza sociale, affermando che ogni cittadino inabile e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. Viene inoltre affermato il diritto di lavoratori infortunati, malati, invalidi, anziani, ecc.…di godere un sistema di assistenza e di previdenza, che si concreta attraverso le assicurazioni sociali. Il relativo finanziamento è oggi in larga misura a carico dei datori di lavoro e dei lavoratori con la necessità, però, di massicci interventi pubblici.
Un serio sistema di sicurezza sociale non potrà non accompagnarsi a profonde revisioni dell’attuale struttura previdenziale e assistenziale pubblica per evitare che finalità giuste e doverose siano compromesse da oneri economici ingiustificati ed eccessivi, capaci di determinare il dissesto della finanza pubblica e dell’economia del Paese.

 

Fonte: http://melfiweb.it/matematica/Diritto/Diritto%20Pubblico%20-%20Riassunto%20(Istituzioni%20di%20diritto%20pubblico).doc

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Autore del testo: M.Carbone

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