Riassunto Il mondo in questione

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Riassunto Il mondo in questione

IL MONDO IN QUESTIONE

LE ORIGINI DEL PENSIERO  SOCIOLOGICO

 

LA  RIVOLUZIONE INDUSTRIALE E LA RIVOLUZIONE   FRANCESE

L‟inizio della modernità ebbe luogo attraverso due avvenimenti importantissimi  nella storia, tali erano: la “Prima  Rivoluzione  Industriale”  con cui ebbe inizio  il processo di industrializzazione, svoltasi  in  Inghilterra  nella  seconda  metà  dl  settecento. L‟avvio di tale processo non poteva prescindere da alcuni presupposti, tali  erano (ossia): la disponibilità di  materie  prime  a  buon  prezzo,  il  controllo  delle  principali vie commerciali dei mercati coloniali da parte dell‟Inghilterra, la disponibilità  per  il lavoro in fabbrica da parte dei contadini espulsi dalle campagne e la  disponibilità  di nuove tecnologie. Dall‟Inghilterra  il nuovo  modo  di produrre – “il modo industriale” o come dice Max “il modo capitalistico di produzione”  si  diffuse  in  tutto  il continente e dall‟Europa nel resto del mondo. L‟industria è un sistema di produzione  che utilizza, oltre al lavoro degli uomini anche fonti di energia inanimata le così dette “nuove tecnologie”. Il nuovo modo di produrre avviato dalla rivoluzione industriale presentava una peculiarità che  lo  distingueva  da  quelli  che  lo  avevano preceduto, ossia la capacità di far  crescere con una certa regolarità  la  produzione.

Anche le rivoluzioni politiche hanno avuto un ruolo importante, tale  da trasformare a partire dal XVIII secolo,  sia  l‟Europa che l‟America  del Nord.  Tale ruolo  in Europa fu rivestito dalla  “Rivoluzione  Francese”  che  è  il  momento  culminante di una serie di processi che portano alla delegittimazione  del “Potere Feudale”  e allo  stabilirsi di  un nuovo tipo di legittimità di potere fondato sul consenso della società civile a leggi razionalmente stabilite e all‟obbedienza a governanti liberamente eletti. Dietro la “Rivoluzione Francese” c‟era la pressione della classe costituita da Commercianti, Banchieri, dall‟élite delle Professioni Tecniche e dai Proprietari delle Manifatture che aveva come obiettivo, rimuovere il potere delle Aristocrazie  e  sostituirlo  con  il proprio. Nella lotta contro le Aristocrazie e i loro privilegi, questa classe sviluppò un‟ideologia che tendeva presentare  le  proprie  aspirazioni  come  le  aspirazione  di tutta  la società.

 

L’ILLUMINISNO

Tutto ciò ha a che fare con la sociologia nella misura  in  cui  costituisce  lo  sfondo storico del suo sorgere, anche se questo sfondo possiamo considerarlo palesemente problematico. La società moderna è una società che emerge sopprimendo un ordine precedente,  quello  feudale  e ne instaura  un altro,  che ha come carattere fondamentale  il mutamento continuo. Possiamo dire, dunque che la sociologia ha le sue radici nel confronto con un mondo umano che non appare più vincolato e garantito dalla  tradizione. Se i processi di sviluppo dell‟Industria da una parte e i mutamenti politici avviati dalla Rivoluzione Francese dall‟altra,  hanno  fornito  elementi  del  contesto  in cui la Sociologia è chiamata a  svolgere  le  proprie  funzioni,  dal  punto  di  vista culturale    le     origini    della    Sociologia    non    sono    comprensibili,    senza   riferirsi


 

all‟Illuminismo, un movimento culturale che a segnato in maniera profonda il XVIII secolo e i Montesquieu, Voltaire, Diderot, D‟Alambert e Rosseau  sono  i  suoi esponenti principali. L‟illuminismo  ebbe  un ruolo  fondamentale  nella  critica dell‟ordine feudale, fondando tale critica sulla  ragione. Agli  occhi  degli  illuministi,  nulla è legittimo se non ciò che è motivato  razionalmente.  Il  mondo  umano  appare come un mondo essenzialmente storico e questa storia  ha una direzione che è  quella  del progresso. La filosofia degli Illuministi fu la filosofia di  quelli  stessi  strati  che furono dietro alle grandi rivoluzioni liberali  che  consideravano  il  governo  della nazione, non una cosa propria del sovrano  o  dei sui nobili,  ma  una  cosa pubblica,  cioè di tutti e di nessuno in particolare. Uno dei primi personaggi a dare un‟impronta sostanziale alla sociologia fu indubbiamente Montesquieu il  quale  scrisse  due  libri degni di nota: Lo Spirito delle Leggi (1748) e Le  Lettere  Persiane  (1721).  Nel primo Montesquieu intraprende un discorso comparativo,  basato  sull‟osservazione, delle leggi che governano gli uomini in diverse società  e  si  tende  a  mettere  in relazione tali leggi con elementi diversi, come il clima in cui i popoli vivono, i loro costumi, i fatti storici ecc. Egli non stabilisce i principi in base a quali gli uomini dovrebbero vivere ma si limita ad osservare come essi vivono di fatto e constata la relatività delle leggi e delle abitudini. Ovviamente, questo non gli impedisce  di prediligere certi sistemi ad  altri anche se il punto  non è questo, ma quello  di osservare  la  varietà  delle  Istituzioni  umane  e provare ad spiegarle.

Questo atteggiamento è alla  base del pensiero  sociologico.  Le Lettere Persiane sono  un romanzo epistolare dove l‟autore finge di pubblicare alcune lettere che il Principe Persiano “Uzbek”  invia  agli  eunuchi e alle  mogli del suo serraglio  ed  altre che riceve.  Il lettore è messo a confronto con un mondo che gli appare esotico, trovandosi spaesato, in quanto, vede la propria nazione con  gli occhi di uno  straniero  e non può più dare per scontato la propria realtà abituale. Dapprima incredulo, si trova a vedere come esotico il proprio mondo  e al termine  del libro  può  cominciare  a domandarsi  per quale ragione il suo mondo sia così e quello da cui proviene Uzbek diverso. In questo libro vi è la constatazione della  differenza  e  della  relatività  dei mondi sociali, unita al desiderio di scoprirne le cause, quindi ciò che è essenziale al pensiero sociologico.

 

L’EMPIRISMO ESOTICO E IL PROBLEMA DELLA AUTOREGOLAMENTAZIONE  DELLA   SOCIETA’

Un  altro  movimento  culturale  considerato  determinante  nelle  origini  della  sociologia  è “L’empirismo”,  che si è sviluppato  nella  seconda metà  del   1700 in  Inghilterra e in

Scozia. Come gli illuministi in Francia,  anche  per  gli  empiristi  l‟osservazione  era  il loro credo, anche se l‟empirismo non condivideva con l‟illuminismo la stessa convinzione, nella capacità della ragione a venire a capo  della  realtà  era  da  questo punto di vista più scettico. Ma condivideva lo stesso atteggiamento  critico  nei  confronti di ogni dogma. Tale atteggiamento è riscontrabile nell‟opera di autori come Adam Fergusson e Adam Smith.


 

SOCIOLOGIA E POSITIVISMO

 

INTRODUZIONE

Sul piano della cultura il XIX era positivista, nonostante ci fossero numerosi altri movimenti culturali e che non tutti i pensatori dell‟ottocento erano positivisti, ma tale corrente dà un impostazione dominante. Esso è costituito da un atteggiamento prevalentemente laico e orientato al progresso. Quindi possiamo definirlo come un movimento  culturale  orientato  alla sistematicità e  alla classificazione:  ricerca  e riordina dei “fatti “ che ritiene  di poter  cogliere  con una  oggettività  sulle  cui regole non si pone domande. La parola sociologia è utilizzata in questo contesto per la prima volta da Auguste Comte (1798-1857) pensatore molto complesso, a volte difficile da comprendere, la cui opera è caratterizzata da due questioni dominanti: da un lato l‟esigenza di affrontare il mutamento, dall‟altro quella di  contribuire  a  restaurare l‟ordine compromesso dalla ventata napoleonico e poi rimesso in discussione da  ripetuti  movimenti  rivoluzionari.

 

COMTE  E SAINT-SIMON

Comte iniziò la sua carriera come segretario particolare  di  Henri Saint-Simon  che fu  una figura molto importante, in quanto segnò il passaggio dall‟istanze emancipative dell‟Illuminismo a quelle tecnocratiche del positivismo, contribuendo a fondare una corrente di pensiero utopico che confluirà nei  movimenti  di  ispirazione  socialista.  Henri Saint-Simon ebbe una vita molto movimentata, studiò ingegneria durante la rivoluzione, rinunciò al titolo nobiliare ma fu coinvolto in numerose speculazioni e conobbe il carcere; durante il periodo  napoleonico  maturò numerosi  progetti  scientifici (immaginò tra l‟altro il futuro canale di Suez, realizzato poi da uomini che furono suoi allievi) ed elaborò un programma sociale che mirava ad un nuovo cristianesimo ed a una società nel cui governo fosse attribuito ai tecnici un  ruolo  di primo piano. Comte, invece, non era uno scrittore brillante ed è difficile per un lettore contemporaneo trovarlo interessante, anche  se  ebbe  un‟importanza  notevole  nella storia della Sociologia, tale da esercitare influenza su Durkheim e su diversi altri sociologi. Per Comte lo spirito e la conoscenza umana così come la storia universale passa attraversi tre stadi (La Legge dei Tre Stadi): da quello teologico, cioè quello fittizio, dove l‟uomo cerca le conoscenze assolute dello spirito e  dove  la  natura orienta i fenomeni, a quello metafisico, cioè astratto, che è un‟alterazione del primo, dove gli eventi provengono da forze astratte, a quello positivo, dove la conoscenza  viene a delinearsi come sapere scientifico, basato sulla ricerca dei  fatti.  La  successione di tali stadi è intesa da Comte come una legge naturale. Nel corso della Filosofia positiva, Comte delinea i contorni di quella che a suo parere deve essere la sociologia: una fisica sociale cioè una scienza  modellata sui  tratti  delle  scienze naturali. Comte inoltre distingue una statica sociale, quale branca della sociologia che studia il modo in cui le società si autoregolano e una dinamica sociale,  quale branca  della sociologia che studia il mutamento. Infine interessante  vedere  che,  nella  fase  finale   del  suo   pensiero,  ritorni  sulla  questione  della  religione,   non  trattandola più


 

come un elemento dello stadio primitivo ma come un elemento essenziale ai fini dell‟integrazione  sociale.

 

ALEXIS  DE TOCQUEVILLE

Alexis de Tocqueville fu un pensatore dell‟epoca che, andava dalla fine del settecento all‟inizi  dell‟ottocento.

Il   suo   interessamento   fu  concentrato   sulla  novità   rappresentata  dalla democrazia.

Nella Democrazia gli uomini sono inseriti in un sistema legale in  cui  i  diritti  sono  definiti in modo tale da permettere una  vasta  mobilità  sociale:  tutti  in  linea  di principio possono accedere a qualsiasi rango o qualsiasi posto di lavoro. In tale possibilità c‟è la sua fondamentale differenza con il regime feudale. Tra le sue opere ricordiamo: La Democrazia in America,  riconosce  negli  Stati Uniti,  il  luogo  dove tale processo si è finora più sviluppato; L’Antico Regime  e  la  Rivoluzione,  uno studio sulla Francia prima e dopo la  rivoluzione accompagnato  da frequenti confronti  tra questa e i paesi vicini.

 

HERBERT  SPENCER

Se Comte fu il primo a usare il termine sociologia Spencer fu colui che contribuì a diffonderlo presso il pubblico.  Come Comte,  Spencer vede la società come una sorta  di organismo ma a differenza del primo realizzò le sue speculazioni sul concetto dell‟evoluzione in parte preso da Darwin. Il trattato di Darwin l‟origine della specie, pubblicato in Inghilterra nel 1859, ebbe una  notevole  influenza  sul  pensiero ottocentesco. L‟idea fondamentale di Darwin era quella di un processo di trasformazione e differenziazione delle  specie  animali, Spencer  prova  ad  applicare  tale idea allo studio delle formazioni  sociali,  ossia  ciò  che  poi  si  chiamerà Darwinismo sociale. Tra il 1850 e l‟anno della sua morte Spencer pubblicò numerosi scritti riguardanti diversi argomenti, fra  cui i Principi  di Sociologia,  a tal proposito  la sua sociologia si basa su una  vasta raccolta di informazioni su diversi tipi di società.  Tali informazioni sono ordinate in base a due tipologie:  la  prima  e  fondamentale  è quella che distingue le società in base al grado di complessità  della loro differenziazione   interna,  la  seconda è quella tra società militari   e società.


 

KARL MARX

 

INTRODUZIONE

Karl Marx nacque a Treviri,  in  Germania  nel  1818. Studiò  filosofia  a  Berlino  e  esordì come giornalista nella “Rheinische Zeitung” di  Colonia  con  una  serie  di  articoli  sulle  condizioni dei lavoratori  in Renania.

Dopo che la rivista fu soppressa per il suo  atteggiamento  radicale,  si trasferì a Parigi dove conobbe Friedrich Engels, la cui amicizia era destinata a durare per tutta la vita. Espulso  da Parigi per  la  sua attività intellettuale e politica si spostò a Bruxelles,  dove   si mise in contatto con diverse associazioni operaie e dove scrisse il Manifesto di Fondazione del Partito Comunista. Dopo la fine dei moti rivoluzionari del 1848, si trasferì a Londra con la sua famiglia, dove visse in miseria, sostenuto da Engels, collaborando saltuariamente con alcune riveste. Morì a Londra nel 1883. Per le  sue attività intellettuali e  politiche Marx fu  espulso  da  molti  paesi,  controllato  dalle polizie di diversi stati nonché ridotto alla fame,  ciò  nonostante  il  suo  lavoro  fu  fra quelli che hanno più segnato la storia moderna. L‟opera principale di Marx è Il  Capitale: il primo volume, l‟unico pubblicato  durante  la  vita  dell‟autore,  uscì  nel 1867, il secondo uscì nel 1885 e il terzo  nel  1894  entrambi  pubblicati  da  Engels.  Prima del Capitale Marx scrisse molte altre opere: fra le più importanti ricordiamo il Manifesto di Fondazione del Partito Comunista; le Lotti di Classe in Francia; l’Ideologia Tedesca e i sette quaderni dal titolo Lineamenti Fondamentali della Critica dell’Economia Politica; la maggior parte delle sue opere principali furono realizzate  in  collaborazione  con Engels.

 

LE ORIGINI FILOSOFICHE DEL PENSIERO DI MARX E LA CONCEZIONE  MATERIALISTICA  DELLA STORIA

All‟inizio della  sua  carriera  intellettuale,   Marx  era  un  filosofo,  cosiddetto  hegeliano in quanto l‟influenza di Hegel è estremamente avvertibile nella sua opera, tanto che il termine dialettica che nelle sue frasi, è un termine hegeliano;  che  significa originariamente dialogo o percorso  di  un‟argomentazione),  tanto  per  Hegel  quanto  per Marx è un movimento; quel movimento  del pensiero  o della realtà che, attraverso  una negazione di una precedente affermazione, porta ad una sintesi che  è  il superamento di entrambi. È importante capire cosa si intende per Superamento: è un processo che comporta l‟insieme di tre momenti: “ Conservare; Far scomparire;  Portare ad un livello superiore. Quando Marx parlerà di superamento della società capitalistica, intenderà che dispiegandosi produce  al  suo  interno  delle  contraddizioni che portano necessariamente ad un livello superiore, cioè a qualcosa che conserva gli sviluppi della società capitalistica come suoi presupposti ma li fa  scomparire  e  li supera sintetizzandoli entro una nuova formazione. Il “Comunismo rappresenta  in  questo senso per Marx, il superamento del capitalismo. Da Hegel viene anche un altro concetto importante che ha segnato il pensiero di Marx Alienazione. Per Hegel l‟alienazione è un aspetto dell‟oggettivazione e quindi un  elemento  importante  della storia umana. Quando gli uomini  esercitano  un‟attività pratica,  producono  degli oggetti che,  non  sono  altro  i risultati del soggetto. L‟alienazione è l‟aspetto  di questo


 

processo per cui l‟oggetto è la negazione del soggetto, è il suo contrario, ma tale negazione può essere superata. Il momento di tale superamento è l‟autocoscienza dell‟uomo che riconosce il prodotto come proprio prodotto e in questo modo ne provoca una riappropriazione. Anche per Marx l‟oggettivazione è una categoria essenziale per meglio capire la storia umana ma  la  distingue radicalmente dall‟alienazione. Il lavoro umano è alienato secondo Marx in certe condizioni: ossia quando vi è sfruttamento  dell‟uomo  sull‟uomo.  In altre parole secondo  Marx se non  ci fosse sfruttamento non vi sarebbe ragione di  parlare  di  alienazione:  di  fatto  il lavoro si considera alienato quando il soggetto che produce non ha il possesso  del  frutto del proprio lavoro. Questa è la condizione dell‟operaio nelle fabbriche nella moderna società industriale. In un libro dal titolo La  Situazione  della  Classe Operaia in Inghilterra, Engels aveva denunciato le durissime condizioni di vita  cui erano sottoposti i lavoratori delle prime fabbriche; e lo stesso Marx in Il Capitale, ne documenterà la miseria. Per cui la riappropriazione dell‟oggetto  di cui parlava  Hengel non può risolversi in un atto della coscienza, ma è necessaria un‟azione pratica, una rivoluzione che restituisca a chi lavora il controllo del  proprio  lavoro.  Si  tratta,  dunque, di determinare le condizioni concrete in cui gli uomini vivono  ed  operare per poi trasformarle. In tale contesto è importante rilevare il termine “Struttura”  ossia l‟insieme di rapporti di produzione e di forze produttive: i primi comprendono i rapporti generati dalla divisione del lavoro e dalla  divisione della  proprietà,  le seconde comprendono i mezzi di produzione (materie  prime, fonti  energetiche, strumenti e lavoro) e le tecniche utilizzate per la produzione. Il concetto di struttura è decisivo nel pensiero di Marx,  in  quanto  la  struttura di una società determina le forme di tutto il resto che egli chiama  sovrastruttura.  Gli ambiti delle  istituzioni giuridiche  , delle rappresentazioni religiose, della morale e della stessa filosofia , sono per Marx “sovrastrutturali”ciò significa che non  hanno  una  propria  storia,  ma  che  dipendono nel loro  svolgersi dalle  modificazioni  della  struttura  a cui corrispondono.

 

LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA E IL CONCETTO  DI MODO DI  PRODUZIONE CAPITALISTICO

L‟espressione “critica dell‟economia”, oltre ad essere il titolo del volume che Marx pubblicò nel 1859 e anche il sottotitolo dell‟opera più importante  di  Marx “Il Capitale”. Lo scopo del “Capitale” è quello di indagare il modo capitalistico di produzione e i rapporti di produzione e di scambi che gli  corrispondevano.

La critica dell‟economia politica corrisponde a tale indagine. Un modo di produzione  per Marx era un insieme storicamente determinato di mezzi per  la  produzione  e  rapporti di produzione. Il modo di produzione capitalistico è il modo di produzione emerso nella rivoluzione industriale, dunque un modo  di produzione  moderno.  Se  è vero che l‟industria in quanto tale è essenziale a questo modo di produzione  è  altrettanto vero che non sono da considerarsi equivalenti, in quanto nella seconda espressione sono contenute delle determinazioni che alla prima mancano, vale a dire i caratteri specifici dei rapporti sociali. La nozione di modo di produzione è molto importante per Marx, poiché la struttura di base per ogni società è determinata dai rapporti  che  gli  uomini  intrattengono  tra  di loro  e la  natura,  al fine  di produrre tutto


 

ciò che è necessario a soddisfare i loro bisogni. In altre parole il modo produzione dominante di una determinata società corrisponde alla struttura di questa società. Il Capitalismo è il nome dato da Marx alla società la cui struttura è fornita dal modo capitalistico di produzione. L‟aggettivo capitalistico  ha  un  determinato significato, ossia, che la caratteristica di questo modo di produzione è di essere fondata  sul Capitale. Nella prima frase  Marx  cita  la  definizione  di  Capitale che  viene  fornita dagli economisti, ossia che  il  capitale  corrisponde  al lavoro  accumulato.  il  problema di spiegare che cos‟è che rende il lavoro accumulato – delle materie prime, degli strumenti di lavoro, dei mezzi di sussistenza –  precisamente  Capitale.  La  risposta a  ciò che rende lavoro accumulato “capitale!” è una specifica condizione  dei rapporti sociali che presentano  le  seguenti caratteristiche.

  • Si tratta di rapporti dove entrano in relazione da  una  parte  i proprietari  dei mezzi di produzione i cosiddetti “capitalisti”, dall‟altra uomini che non possiedono mezzi di produzione ma hanno solo una cosa di cui disporre: la propria forza lavoro,  questi sono i proletari.
  • Il rapporto tra questi due insiemi di individui  è  mediati  dal denaro,  nel senso che la forza lavoro dei proletari viene presentata come merce venduta ai capitalisti ad un certo prezzo che è chiamato “Salario” attraverso il quale i lavoratori possono acquistare i beni necessari per la propria sussistenza. I lavoratori salariati non sono pagati con una quota del loro prodotto, ma con un salario che corrisponde ad una certa quota del loro tempo che vendono. Per quanto riguarda il loro tempo che vendono essi si assoggettano alla disciplina stabilita dal loro datore di lavoro, ma fuori dal lavoro  essi sono  uomini liberi. Ciò distingue tali rapporti da quelli caratteristici del modo  di  produzione  fondato sulla  schiavitù  o sui rapporti di tipo feudale.
  • I beni economici prodotti all‟interno di questo modo di produzione sono le merci: la produzione è finalizzata alla vendita dei prodotti sul  mercato  e  la merce è un bene che viene scambiato sul mercato  ed  ha un carattere duplice:  per un verso ogni merce possiede un suo valore d‟uso e dall‟altro verso essa possiede anche un valore di scambio che si esprime nel prezzo della stessa merce. Il denaro nella cui quantità le merci si esprimono è l‟equivalente universale  del valore  di scambio delle merci.
  • Il lavoro accumulato si presenta come capitale quando viene utilizzato nella produzione, assieme al lavoro vivo degli operai salariati, per  ottenere  un profitto  da parte del capitalista.

L‟ultimo punto necessita di maggiori chiarimenti, esso  sottintende  che  il  capitalismo non è semplicemente una società basata su scambi di mercato, ma  qualcosa di più.  Esso presenta, uno scambio di tipo particolare, ossia produrre, con delle merci, altre merci che abbiano un valore maggiore di quello che era presente  all‟inizio.  In  altre parole per Marx, ciò che rende  capitalista  un  individuo  è che, all‟inizio  egli possiede un certo ammontare di denaro (D) che investe acquistando delle merci  (M),  ossia  materie prime, strumenti di produzione (lavoro accumulato),  e  forza lavoro  (il lavoro vivo degli operai). Facendo lavorare i suoi operai con le sue materie  prime  e  i suoi mezzi di produzione,  egli ottiene nuove merci,  che, una volta vendute,  si tramutano    in


 

un ammontare di denaro (D‟) superiore a quello disponibile all‟inizio. In sintesi lo scambio che caratterizza il capitalismo  è: D  –  M –  D‟,  dove D‟  è maggiore  di D e tale differenza costituisce il profitto del capitalista.  Tale  profitto  secondo  gli economisti è, il risarcimento dell‟impegno del capitalista, ossia risarcire il rischio connesso all‟investire, la posizione di Marx è decisamente differente. Per  Marx  il  profitto del capitalista, nasce dallo sfruttamento dell‟operaio, il quale è pagato con un salario che corrisponde al costo dei beni necessari alla sua sopravvivenza, mentre il lavoro che egli realizza per conto del capitalista genera in realtà un valore superiore a quello corrispondente al salario e a tutti i mezzi di produzione impegnati. Nell‟appropriazione del plusvalore da parte  del  capitalista  c‟ è  l‟equivalente alienazione dell‟operaio: ossia  il  frutto  del lavoro  non  è  suo, ma è di altri.  A lui resta il salario, che per definizione basta solo a comprare  il  necessario  per  farlo sopravvivere. Ciò che rende il lavoro accumulato di cui parlano gli economisti più precisamente  capitale  è dunque lo  sfruttamento.

 

LA  NOZIONE DI CLASSE

Per Marx la paraola “Classe”, è innanzitutto:  un  insieme  di individui  che  si trovano nella medesima posizione, all‟interno dei rapporti di produzione tipici di un modo di produzione  determinato.

Per Marx, ogni società è caratterizzata dalla presenza di classi, cioè di individui  collocati diversamente  entro  i rapporti di produzione.

In base  alla loro  diversa  collocazione,  le  classi  sviluppano  interessi  diversi, ed entrano in conflitto tra di loro per stabilire  il  potere  all‟interno  della  società. All‟interno della società dominata dal modo di produzione capitalistico, per Marx individua principalmente due classi i cui interessi sono antagonistici: quella della “borghesia composta dai capitalisti, cioè i proprietari dei  mezzi  di  produzione  e  quella del proletariato composta  dai lavoratori  salariati,  che  non  posseggono  i mezzi di produzione e vendono  la  loro  forza-lavoro  sul mercato  del lavoro.  Nell‟analizzare gli interessi delle  due  classi,  Marx  elabora  una  premessa  di carattere  generale,  ossia gli interessi nella maggior parte dei casi non si presentano nella loro forma bruta. Gli interessi della borghesia sono supportati da un‟ideologia che giustifica i rapporti  esistenti e presenta il capitalismo come il rappresentante degli interressi universali dell‟umanità, come il modo di produzione capace di generare un progresso  i  cui benefici valgono per tutti.  Gli  interessi  della  classe  proletaria  sono  raramente  chiari alla stessa classe operaia. Il passaggio della classe operaia dallo stato di incapacità di riconoscere i propri interessi ad uno in cui  li  riconosce,  organizzandosi  di conseguenza è il passaggio dalla “classe in sé” alla  “classe per sé”ed è il passaggio in  cui la classe operaia acquisisce una propria conoscenza di classe.  Tale passaggio non  si genera automaticamente, ma con le lotte che gli stessi operai intraprendono contro i capitalisti. Alla luce  di  questo  ragionamento,  possiamo,  quindi,  integrare  la  nozione  di classe precedentemente data, con più completa, ossia che la classe, è un soggetto collettivo  capace di intraprendere  azioni  congruenti  con i propri interessi.

 

LA  TEORIA MARXIANA DEL MUTAMENTO


 

L‟oggetto specifico della riflessione di Marx è il movimento generale della società capitalistica. La teoria Marxiana trova fondamento nel capitalismo o nella teoria sociologica delle classi, tutti questi motivi  uniti insieme,  formano  un‟altra  teoria  che mira ad identificare ragioni e direzioni  del  mutamento  all‟interno  della  società  sorta con la rivoluzione industriale. Prima di osservare ciò che, secondo Marx porta al superamento della forma  sociale  del capitalismo,  è importante  osservare  che il modo di produzione capitalistico stesso è un sistema in grado  di generare mutamento,  anzi sotto alcuni aspetti è il più potente generatore di mutamento sociale e materiale mai apparso  nella  storia.  La società moderna è una società dove la produzione si accresce  e  genera  innumerevoli,  veloci e  continui  cambiamenti  nella   vita  materiale. L‟elemento portante di questo processo, per Marx,  sta  nella  ricerca  di  profitto  da parte del capitalista. L‟interesse del capitalista è  quello  di  massimizzare il  suo profitto, per cui se il suo interesse è quello di avere il massimo profitto, e se il suo profitto in ultima analisi è generato dal pluslavoro degli  operai,  ne  deriva  che l„interesse del capitalista è aumentare il più possibile la quota di  pluslavoro.  Il capitalista, per Marx, può ottenere questo obbiettivo in due  modi:  allungando  la giornata lavorativa dei lavoratori salariati, oppure rendendo il  loro  lavoro  più  produttivo. Il primo modalità è quella seguita nelle prime fasi  della  rivoluzione industriale, ma essa ha  avuto  opposizione  non  solo  dai  limiti  fisiologici della resistenza umana, ma anche con l‟opposizione  degli operai stesso  che hanno  lottato per ottenere la riduzione dell‟orario di lavoro. La seconda è quella  che  ha  dato maggiori frutti. Essa consisteva nel rendere più produttivo il lavoro degli operai, attraverso un‟organizzazione del lavoro di fabbrica più efficiente e attraverso una crescente introduzione  di macchine.

Sul lungo periodo, questa strada porta in realtà, secondo  Marx,  a  dei  problemi, indicati nella tesi “Caduta tendenziale del saggio di profitto” elaborata nel “Il Capitale”. Tale caduta è dovuta alla crescente spesa per l‟acquisto e la manutenzione delle macchine e a quella decrescente  dedicata  all‟acquisto  della  forza  lavoro,  la quale è l‟unica che produce valore. Nel breve periodo, agli occhi del capitalista, l‟introduzione di macchine che aumentano la  produttività  del  lavoro  degli  operai appare una strada estremamente redditizia. Essa consente di battere la concorrenza producendo un numero maggiore di merci, o  addirittura  producendo  merci di nuovo tipo  o  di qualità superiore. Per cui, producendo più merci il capitalista può abbassarne  il prezzo e invadere nuovi mercati. Per conseguire il profitto, è alla costante ricerca di innovazioni tecnologiche. Possiamo, quindi, ribadire il concetto che, per Marx, il capitalismo è una forza  rivoluzionaria  senza  precedenti,  e  il  motore  dei  mutamenti  che esso spinge è dato dalla ricerca del profitto da parte  del  capitalista.  Vi  sono tuttavia anche mutamenti di un  altro  genere  che  non  quelli  provocati  dalla  relazione tra ricerca di profitto e innovazione tecnologica. Continuando ad accrescere il proprio capitale quindi il proprio potere, i capitalisti, provocano un‟altrettanta  crescita  della classe operaia. Essa diviene sempre più numerosa e relativamente alla crescente ricchezza dei capitalisti sempre più povera,  però  diviene  sempre  più  consapevole  della propria forza e del  proprio  ruolo  nella  produzione.  Tale  consapevolezza,  fa  si che   la   classe   operaia   si  organizzi   per   rivoluzionare   i  rapporti  sociali   esistenti.


 

L‟obiettivo principale di tale rivoluzione è quello di fondare  una  società  senza  più classi e senza  proprietà  privata,  una  società  fondata  sull‟uguaglianza  e sulla giustizia. Il capitalismo ha generato anche delle contraddizioni, la principale è  quella  rappresentata dalla classe operaia stessa, che cresce entro il capitalismo ma si pone  come suo antagonista. La risoluzione di tale contraddizione è quella di  passare  ad un‟altra forma di rapporti sociali che elimini lo sfruttamento, per Marx tale forma è il “Comunismo”.

IL MARXSISMO DOPO  MARX

Nel 1914, a Londra Marx e Engels con altri intellettuali e attivisti fondarono la prima associazione internazionale dei lavoratori, attraverso questa associazione il Marxismo divenne una dottrina capace di egemonizzare la  maggior  parte dei gruppi,  dei partiti e dei movimenti della classe operaia in Europa  tanto  che,  verso  la fine del XIX secolo  era considerato una delle principali teorie sociali  disponibili. Dopo  la  sua  morte  si sono sviluppate diverse interpretazioni sulle sue teorie. In Germania, soprattutto sotto l‟influenza di Kark Kautsky (1854-1938), il Marxismo fu concepito come una teoria scientifica dell‟evoluzione sociale, con significativi riferimento al Darwinismo. In Russia, dove il Capitalismo  era  appena incominciato  a svilupparsi e  dove non c‟era  un movimento operaio di massa, il Marxismo fu trasformato  da Lenin  (1870-1924)  in una dottrina più volontaristica: l‟idea di una “avanguardia” della classe operaia che avrebbe dovuto assumersi il compito di sviluppare la sua coscienza di classe divenne l‟elemento centrale  della dottrina  di  quello che  sarebbe  diventato il  Partito Bolscevico. Il Revisionismo di  Eduard  Bernestein (1850-1932),  criticò  la  tesi  secondo cui, la fine del Capitalismo sarebbe stata conseguente ad una sua crisi economica generalizzata e mise in discussione l‟idea marxiana della crescente polarizzazione della società industriale fra borghesia e proletariato. Le critiche revisionistiche diedero un forte impulso agli aspetti più propriamente sociologici del Marxismo. Fu nel tentativo di contrastare queste critiche, che il cosiddetto Austro- Marxismo, formulò una serie di interessanti ricerche empiriche  sul  nazionalismo,  il diritto,  e soprattutto  sulla  fase  imperialistica  o  monopolistica del Capitalismo.  Lenin  e i Bolscevichi, con l‟eccezione di Bucharin, prestarono poca attenzione alla ricerca sociologica  e  risposero  alle critiche,  identificando il  revisionismo come  un riformismo che tradiva  gli  interessi  rivoluzionari  della  classe  operaia.  La  loro versione del Marxismo, era  concentrata  sulla  creazione  di  un  partito  rivoluzionario che doveva essere capace di guidare la classe operaia e i suoi alleati alla conquista del potere. Nel 1917 la rivoluzione Russa portò al potere i  Bolscevichi.  Il  Leninismo divenne un‟ideologia ufficiale che  legittimava  la  dittatura  del  proletariato e  che acquistò  grande  influenza  soprattutto  con  la  costituzione  della  Terza  Internazionale nel 1919 con la fondazione dei partiti comunisti sul modello sovietico in altri paesi europei. Il Partito socialdemocratico tedesco, che in Germania si ispirava ad  una  versione del marxismo meno radicale di quella russa , veniva nel frattempo indebolito dalla guerra  e dalla  sconfitta  delle  insurrezioni rivoluzionarie  che si erano  manifestate in Germania e in Ungheria nel 1918-1919. Negli anni tra le due guerre  ,  il marxismo  venne  ad  identificarsi  nella  cultura  Europea  come  il marxismo  sovietico.  Le difficoltà


 

di sviluppare una società ispirata ai principi del comunismo  si combinarono  in Russia sin dall‟inizio con la necessità di promuovere l‟industrializzazione. Tutto ciò provocò intensi dibattiti su la politica da attuare nel cosiddetto “periodo transitorio” verso il comunismo; ma tali  dibatti terminarono  bruscamente  negli  anni  trenta con la  dittatura di Stalin e la repressione di  ogni  critica  interna,  e  l‟imposizione dell‟industrializzazione e la  coltivazione  dell‟agricoltura  forzata.  Infine,  il  marxismo non era solo l‟ideologia ufficiale dell‟Unione Sovietica,  esso  divenne  a partire  dagli anni venti la dottrina del Partito comunista cinese; dopo  una  lunga  lotta  la  Cina divenne  nel 1945  una  Repubblica Popolare.


 

EMILE DURKHEIM

 

INTRODUZIONE

Gli anni fra il 1890 e il 1910 sono gli anni della prima istituzionalizzazione  della sociologia in quanto disciplina accademica e ancora in questi anni che si assiste ad un tentativo parallelo, da parte di studiosi, di dare un fondamento teorico e metodologico  alla sociologia in quanto tale. Il principale di questi studiosi è certamente Emile Durkheim. Il suo programma è quello  di fondare la  sociologia e  in  tale  programma,  egli si ricollega ai progetti di Comte  e  di Spencer.  Emile  Durkheim  nacque  a  Epinal, in lorena, nel 1858. Nel 1887 cominciò ad insegnare sociologia  all‟università  di Bordeaux, fu uno dei primi a fondare, 1896, una rivista esclusivamente dedicata alla raccolta degli  studi  sociologici:  L’Année  sociologique.  Emile  Durkheim, ha esercitato un‟influenza profondissima sulla  sociologia  del  novecento  e  su  diverse altre scienze dell‟uomo. La prima opera importante  di  Emile  Durkheim  è  La  divisione del lavoro sociale, pubblicata nel 1893, nel 1895 pubblicò Le regole del metodo sociologico e nel 1897 Il suicidio. Nel 1912 uscì l‟ultimo dei suoi lavori più importanti, Le forme elementari della vita religiosa. Morì nel 1917. Il problema di fondo del pensiero di Emile Durkheim, è il problema dell‟ ordine, ovvero quello della coesione di una società e della sua riproduzione nel tempo. Il problema scientifico principale consiste nel rispondere alla domanda: che cosa tiene insieme un società? la risposta è: La Morale. Per Emile Durkheim, il sentimento morale è ciò che unisce ciascuno dei membri di un insieme sociale alla società stessa. Realizzandosi in una solidarietà dei membri della società fra di loro, esso consente la vita in comune. La società è propriamente un ordine morale. L‟impostazione generale  del  pensiero  di Emile Durkheim risente dell‟influenza di  Spencer,  per  quanto concerne l‟evoluzionismo e l‟organicismo di  quest‟ultimo.  Rispetto  a  Spencer,  Emile  Durkheim ribalta la prospettiva per ciò che riguarda i  rapporti  dei  singoli  con  la società: mentre per Spencer la società si basa in ultima analisi su di una  sorta  di contratto che gli uomini istituiscono fra  loro,  per  il  perseguimento  dei  propri  utili  (una visione detta Utilitarismo), per Emile Durkheim, la società non deriva da un contratto fra uomini separati, essa è piuttosto ciò che precede e rende possibile ogni contratto, quindi il comportamento di ciascun uomo non è mai del tutto  comprensibile se non come espressione del suo relazionarsi in  un insieme   sociale.

 

MORALE,  NORME E FATTI  SOCIALI

Una morale è un insieme di norme alle quali ciascun  membro  della  società  è vincolato. Tali norme agiscono sia  dall‟esterno  che  dall‟interno;  dall‟esterno,  nel senso che infrangere una norma provoca una sanzione, dall‟ interno, nel senso che l‟individuo avverte, come da entro di se, una  spinta  a rispettarla.  L‟appartenenza  ad una morale comune è ciò che lega fra di loro i membri di una società  e  il  modo principale con cui le norme morale si impongono in una società  è  il  loro istituzionalizzarsi nelle forme di  un  insieme  di  credenze  religiose,  rese  sacre  dalla loro iscrizione entro un insieme di riti, a tal proposito si possono  prendere  come esempio   i  contenuti  dei  Dieci  Comandamenti  biblici,   infatti  in   essi  si  esprime   in


 

forma di rilevazione divina un insieme di norme morali che sono state tra l‟altro incorporate nella religione cristiana, e sono tuttora parte della  morale  della  nostra  cultura. A tal proposito ci si chiede cosa sono le norme dal punto di vista della sociologia e conseguentemente come affrontarne lo studio? Per Durkheim le norme rappresentano dei fatti sociali, ossia fenomeni che non si possono spiegare ricorrendo alla sola  analisi  delle azioni  dei  singoli o  all‟analisi psicologica  delle loro motivazioni, ma sono  qualcosa che si presenta in media o normalmente all‟interno  di  una  società: tuttavia  non è il carattere di media che li definisce ma ciò  che li definisce    e che essi si impongono ai singoli come qualcosa che proviene al di fuori e contemporaneamente li attraversano nel nei loro modi di sentire, di pensare e di comportarsi. I fatti sociali esistono nella misura in  cui  esistono  gli  uomini  e  sono  frutto della loro  interazione e sono propriamente l‟espressione della vita della società.  Per fare un esempio, si pensi al linguaggio che certamente non è creato da nessun individuo preso isolatamente: è linguaggio proprio in quanto è qualcosa di intersoggettivo, un modo di fare consolidato cioè il risultato dell‟interazione di innumerevoli uomini  in  un tempo lunghissimo frutto  della loro  volontà  di comunicare.

 

UN  APPROCIO FUNZIONALISTA

La società per Durkheim è una realtà sui generis, superiore alla  vita dei suoi membri.  Così come un corpo di un uomo non è la semplice somma dei suoi  organi,  ma qualcosa di più, cioè l‟insieme funzionante di questi organi come unità, allo  stesso modo  per Durkheim  la  società è più  della  somma degli individui che la  compongono, è un‟unità di livello superiore dotata di una vita propria. A tal  proposito  viene  utilizzata una metafora organicista, nel senso che viene descritta come un organismo, dotato di una serie di organi che si integrano e cooperano tra loro. Da qui deriva una caratteristica rilevante del pensiero di Durkheim che,  appunto,  consiste nel spiegare ogni elemento di una società tentando di riconoscere  quali  funzioni  tale  elemento svolga all‟interno della società stessa. Per esempio la funzione della religione in  una società è quella di sacralizzare e  codificare  le  norme  morali,  la  funzione  dell‟economia è quella di provvedere al sostentamento della  vita  materiale  e cosi via. Una spiegazione funzionalista è una spiegazione di  un  fenomeno  sociale  sulla  base della funzione che esso svolge all‟interno di una società.  In  realtà  Durkheim  non  ritiene che la spiegazione funzionalista  sia  l‟unica,  al  contrario,  ritiene  che  sia possibile solo dopo che siano stati esaminati che legano  il fenomeno  considerato ad  altri fenomeni precedenti nel tempo. Tuttavia non bisogna confondere l‟idea che Durkheim ha di funzione con  l‟idea  che  ogni  fenomeno  sociale debba necessariamente coincidere con qualche fine prestabilito.  Un  esempio  tipico  è  dato dalla sua trattazione sulla devianza, un termine sociologico che intende l‟esistenza dei comportamenti che discostano dalla norma per esempio  il   crimine.

 

SOLIDARIETA’  MECCANICA E  SOLIDARIETA’ ORGANICA

Per Durkheim non esiste  tanto  la  società in  generale,  quanto  la diversi tipi di società. In  “La  divisione  del  lavoro  sociale”  Durkheim  parla  di  un‟evoluzione  delle  società


 

umane come un movimento  da un tipo di società ad un altro. Il primo tipo di società e   la società semplice, cioè quella basata su di una bassa divisione del lavoro,  nel senso  che gli individui che vi appartengono svolgono attività poco differenziate tra loro. Il secondo tipo di società è detta complessa, quella che corrisponde  alle nazioni moderne. Qui la società è fondata su un‟ampia  e articolata  divisione  del lavoro. Ciò  che interessa e che in questi due tipi di società la morale si presenta in forme diverse, cioè è diverso il modo in cui si stabilisce  la  solidarietà  che  tiene  insieme  i membri  della società. Quindi nella terminologia Durkheimiana, le società semplici sono caratterizzate da una solidarietà meccanica, ossia quella solidarietà che si presenta tra individui strettamente uniti da vincoli quotidiani le cui  attività  si  diversificano  poco. Nelle società complesse invece  la  solidarietà  si dice organica.  Essa stabilisce  legami tra individui che hanno tra loro grandi differenze, ma che  pur  tuttavia  devono cooperare tra loro per la vita dell‟insieme sociale da cui dipendono. Da qui deriva che nelle società semplici dotate di solidarietà meccanica, le coscienze degli  individui  proprio per la scarsa diversità  delle  loro  mansioni,  e  per la forza dei vincoli materiali che li  uniscono,  tendono  a differenziarsi scarsamente.

Nelle società complesse le mansioni dei singoli  si differenziano  ponendo  le  basi per una  diversificazione   dei contenuti delle coscienze

 

L’ANOMIA

Bisogna dire però, che proprio nelle società complesse si  accentua  il  rischio dell‟anomia ossia l‟assenza di norme morali condivise in altre parole la carenza nella capacità  della  società di vincolare  a sé i suoi membri di garantire la loro  adesione ad un medesimo  e condiviso  ordine di valori.  Per esempio  i conflitti fra la  classe operaia  e borghesia appaiono manifestazioni di anomia. La cura dell‟anomia che Durkheim intravede per le società complesse è quella del corporativismo che consiste nello sviluppo di associazioni intermedie tra i singoli e la società basate sull‟associazione professionale o meglio  ancora in potenziamento  dei processi   educativi.

 

LA  RICERCA SUL SUICIDIO

Il suicidio è qualcosa che riguarda esclusivamente e drammaticamente un singolo individuo. Tuttavia, proprio da questo fatto così personale, nasce  la  prima dimostrazione  empirica della validità  della impostazione  della sociologia di  Durkheim. L‟opera di Durkheim è tesa a dimostrare che  l‟individuo  isolato  non esiste  e che gran parte di ciò che pensiamo come caratteristico dell‟essere individuale è riconducibile all‟influenza della società. Il suicidio appare in questo contesto in netto contrasto con la coesione sociale che Durkheim postula a fondamento del  vivere  umano. Ciò che Durkheim intende  dimostrare  e che almeno  in parte il gesto  estremo  del suicidio dipende non da un fattore soggettivo ma da cause di ordine sociologico. L‟oggetto della ricerca  di Durkheim  non  è il suicidio  dei singoli  individui,  ma il tasso di suicidi che si riscontra in una data società. Secondo  Durkheim  la  regolarità  di  questi tassi ha la sua ragion d‟essere  in  un  insieme  di spiegazioni di ordine sociale e più precisamente in relazione con il grado di integrazione sociale che una data società consente.   Nel   dimostrare  tutto   ciò,   Durkheim  ha  fornito   alla   sociologia  il primo


 

esempio di ricerca basato sul metodo empirico che si basa sull‟uso metodico di dati statistici, discussi e interpretati alla luce di una teoria di integrazione sociale. Prima di proporre le spiegazioni relative agli andamenti dei tassi di suicidio, affronta la tesi secondo la quale i numero di suicidi sarebbe da imputare  a fattori climatici.  Tale tesi non entra nel merito della psicologia individuale ma mette a confronto  i  numeri  di suicidi presenti in diversi paesi in diverse  stagioni  dell‟anno,  e  mostra  che  la variazione del clima non corrisponde ad un aumento o ad  una  diminuzione  del numero dei suicidi. Per cui se non vi è relazione tra le  variazioni del clima  e il variare  del numero dei suicidi, non è possibile  spiegare  il  numero  dei suicidi con l‟influenza del clima. Osservando le statistiche  dei  diversi  paesi  europei,  Durkheim  giunge  ad una rilevazione di una correlazione positiva. Egli osserva che i  membri  delle  confessioni protestanti presentano al loro interno un tasso  di suicidio  maggiore  di  quello presente fra i membri di altre confessioni. Poiché tale proporzione  rimane  sempre costante, si considera che l‟appartenenza religiosa abbia qualche connessione con la tendenza al suicidio. Una possibile spiegazione e data secondo Durkheim dal minor grado di integrazione sociale che  la  religione  protestante  fornisce  ai  suoi membri rispetto a quella fornita da altre confessioni. Il tipo di suicidio che appare correlato all‟influenza delle condizioni religiose del protestantesimo è denominato suicidio egoistico, il termine egoistico ha a che fare con un forte  sviluppo  dell‟ego ossia con l‟enfasi della cultura protestante sulla liberta e la solitudine del singolo  soggetto di fronte alle proprie scelte di fondo. Un altro  elemento  che  secondo Durkheim correlato con la tendenza al suicidio è l‟andamento dell‟economia. Infatti il numero dei suicidi nei diversi paesi europei è particolarmente alto negli anni i cui l‟economia appare in crisi. Ma Durkheim dimostra che  il  numero  dei  suicidi  non cresce solo quando una crisi economica comporta miseria,  ma anche quando la crisi è  di tipo positivo, comporta cioè, bruschi balzi di benessere. Tale crisi, quindi crea un‟incertezza rispetto all‟aspettativa di vita. Incertezza  che Durkheim  chi anomia  per cui il tipo di suicidio connesse a queste cause è detto  anomico.  Sia  il  suicidio egoistico che quello anomico sono uniti da un‟unica spiegazione che è quella dell‟integrazione sociale. Vi è un terzo tipo di suicidio che è detto altruistico. A differenza degli altri due  il  suicidio altruistico è  espressione  di  una  fortissima coesione sociale, un esempio è dato dal sacrificio di una milite   per la  sua  patria.

 

I DURKHEIMIANI

Attorno alla rivista  “L‟Année Sociologique” Durkheim raccolse  numerosi collaboratori che continuarono la sua opera anche dopo la sua morte. Fra  i  collaboratori più noti  ricordiamo  Henri Hubert,  Francois  Simiand,  Maurice  Halbwachs e Marcel Mauss. In molte opere  Halbwachs  articolò  il  pensiero  di Durkheim sviluppando un‟attenzione  alle forme concrete  delle  società contemporanee,  in  particolare  assumono  importanza  rilevante  i suoi lavori sulle  classi e sulla loro  “psicologia  collettiva”  e  quelli  sulla  morfologia  sociale.  Tuttavia  la  fama di Halbwachs è legata alle  sue  ricerche  sulla  memoria  collettiva.  Halbwachs  osserva che la memoria è un elemento costitutivo dell‟identità di ogni gruppo, e  dunque  un fattore  della  sua  coesione.  E  osserva  inoltre  che  le   immagini  del  passato  che    la


 

memoria conserva non sono fotogrammi statici ma ricostruzioni e interpretazioni del passato.

 

GEORG SIMMEL

 

INTRODUZIONE

Georg Simmel nacque a Berlino nel 1858, e morì  Strasburgo  nel 1918.  Non  scrisse solo opere di sociologia ma anche e soprattutto di filosofia e di estetica, le opere dedicate a temi sociologici sono: “La Differenziazione Sociale, Filosofia del Denaro, Sociologia e Problemi Fondamentali della Sociologia”.  Simmel  ebbe  una  carriera molto controversa nell‟università tedesca, tuttavia fu per tutta la  vita  un  insegnante molto noto ed enormemente ascoltato. Generazioni di studiosi si sono angustiati sul problema se Simmel sia stato un sociologo o un filosofo. In realtà egli si ritenne un filosofo, ma per un lungo periodo della sua vita si dedicò al progetto fondare la sociologia come branca autonoma del sapere. Oggi Simmel è considerato forse il più contemporaneo degli autori classici. La sua sociologia ha come oggetto l‟interazione sociale ed è antipositivista, asistematica e molto autoconsapevole  rispetto  alle premesse epistemologiche  che la sorreggono.

 

SOCIETA’ E  SOCIOLOGIANEL PENSIERO DI SIMMEL

Per fondare la sociologia come branca autonoma del sapere, il primo  passo affrontato  da Simmel è stato quello di definire l‟oggetto e l‟oggetto della sociologia è la  società. Per certi versi, Simmel scrive che la società non esiste, egli osserva che il pensiero  umano opera sempre per astrazioni, ciascuna delle quali è  corrispettiva  ad  un  certo punto  di vista,  o ad  una certa distanza dall‟oggetto  su cui riflette: lo stesso individuo è  a guardare da molto vicino, è composto di arti e di organi o, se lo si osserva dal microscopio, è composto di cellule. Cos‟è che fa si che lo percepiamo come un‟unità? La risposta è: una certa prospettiva, una certa distanza dallo sguardo. Noi assumiamo  che l‟individuo rappresenti un‟unità: il che è corretto da un punto di vista,  ma  lo sarebbe se lo  osservassimo  da una  distanza diversa da quella usuale. Quindi la società   è un oggetto del pensiero che emerge considerando insiemi di individui da una certa distanza. Ciò non significa che la società  non  esista,  al  contrario  proprio  la prospettiva che ce la rende visibile  permette  di osservare una  realtà  fondamentale,  e cioè che gli uomini stanno fra loro  in  relazioni  di reciprocità,  cioè  agiscono  gli uni sugli altri. Il concetto  di effetto  di reciprocità è il concetto  fondamentale del pensiero  di Simmel. Oggetto della sociologia sono dunque le forme di relazioni di influenza reciproca che sussistono tra gli uomini, quindi la società come oggetto emerge solo e nella misura in cui più individui entrano  in  azione reciproca.  Alla  nozione  di reciprocità va affiancato il secondo concetto fondamentale della  sociologia  di  Simmel: quello di sociazione. La sociazione è il processo attraverso cui una forma di azioni reciproche si consolida nel tempo. La sociologia per Simmel è una  scienza formale che  si occupa di descrivere le  forme che le  relazioni di reciprocità assumono  in  situazioni  e  in  tempi differenti.


 

 

 

LE  FORME E LA VITA

Nei saggi che compongono “La Sociologia” Simmel  dichiara  di volersi concentrare sulla forma delle relaziono e dei processi sociali in un modo che prescinda dai loro contenuti. L‟analisi di  determinazioni  effettivamente  formali  è  evidente  nelle  pagine  in si occupa degli  effetti  del numero  dei membri di un gruppo.  Oltre a questo  nucleo di analisi Simmel si è occupato delle forme  che  le  interazioni  assumono  all‟interno delle costellazioni storiche e culturali determinate. La nozione di forma  ha un ruolo  molto complesso nel pensiero di Simmel è decisivo il riconoscimento  del fatto  che la vita è sia un fluire incessante,  sia una produzione di forme in  cui questo fluire si fissa.  Si tratta di forme di relazioni, istituzioni, simboli, prodotti  della  vita  artistica:  la cultura insomma sia  nel suo  aspetto  materiale che in quello  linguistico  ed  espressivo. In ciascuna  di queste manifestazioni la  vita  si esprime ma,  per così dire si rapprende:  la loro oggettività, prodotto della vita, si contrappone al  carattere  fluido  della  vita stessa. Il mutamento  culturale,  è il  prodotto di questa tensione.

 

METROTROPOLI, DENARO E INTELLETTUALIZZAZIONE  DELLA  VITA

Simmel nel momento in cui descrive la modernità,  ne  intende  la  crisi;  la  nozione  stessa della modernità è, nel pensiero filosofico e sociale tedesco, espressione dell‟autocoscienza della crisi della cultura europea. La  modernità  è  infatti essenzialmente crisi permanente non solo e non tanto perché si radica in processi che sconvolgono progressivamente tutti gli ordini sociali tradizionali, ma perché il mutamento in se stesso è il suo principio. La modernità è flusso e instabilità di ogni forma, e la cultura che, alla fine dell‟ottocento, ne elabora il concetto è la  cultura che tenta infine di venire a patti con il mutamento perpetuo  ma che,  si rende anche conto  del fatto che il mutamento stesso nega la stabilità dei concetti con cui essa  tenta  di venire a capo o di comprenderlo. L‟epoca del fortuito,  del volatile  e  del transitorio come fu descritta da charles Baudelaire, è  tuttavia  una  formazione  storica.  E  come ogni formazione storica ha i suoi tratti distintivi, la specifica  “costellazione  di fenomeni, tendenze e atteggiamenti degli individui in cui si realizza si offre alla percezione. L‟analisi  di questa  costellazione  è  l‟oggetto  di “La  filosofia del denaro”. Il punto di vista da cui si muove l‟analisi, è fornito dal compito di indagare  i  movimenti con cui la personalità si adegua alle forze ad essa esterne, cioè si tratta di indagare le forme delle esperienza moderna,  che  per Simmel coincide essenzialmente con l‟esperienza metropolitana. La prima caratteristica di questa esperienza consiste nell‟intensificazione della vita nervosa e nel corrispondente intellettualismo della coscienza. Per comprendere il linguaggio di Simmel bisogna ricordare che  nel  suo lessico “intelletto” è un termine più specifico  di  quanto  non  sia  in  italiano. L‟intelletto è distinto dalla ragione:  mentre  la  seconda  è  un  principio  che dà ordine alle  conoscenze empiriche  in  base a domande che riguardano  il loro  senso, l‟intelletto è una facoltà  essenzialmente logico-combinatoria,  orientata  alla calcolabilità.  In  questa accezione è la più superficiale e la più adattabile delle nostre facoltà. La sua ipertrofia – che per Simmel è tipica della modernità – corrisponde oltre all‟intensificazione   della   vita  nervosa   anche  allo    sviluppo   di  un      atteggiamento


 

strumentale e calcolistico tanto nei confronti delle relazioni fra le persone tanto nei confronti della vita in generale. Essendo orientato al calcolo, l‟intelletto tende a prescindere dalle differenze qualitative tra i fenomeni, e a rifuggire ogni  giudizio  di valore. Ma  allo stesso  atteggiamento  conduce  lo  sviluppo  dell‟economia  monetaria, di cui la metropoli è la sede privilegiata. Il secondo punto  dell‟argomentazione  di Simmel riguarda così la corrispondenza tra le tendenze intellettualistiche della vita e dell‟esperienza metropolitana e i caratteri tipici dell‟economia monetaria. Come l‟intelletto, anche il denaro è essenzialmente indifferente alla qualità dei beni di cui permette lo scambio. Il denaro è l‟equivalente universale:  quanto  più  esso  si generalizza come medium di tutti gli scambi, tanto più la sensibilità verso il valore qualitativamente dissimile delle cose si attenua. La personalità dell‟uomo blasè – il cittadino disincantato – è considerata da Simmel uno  dei  prodotti  emblematici  di  questa costellazione  di  forze  che  spingono  verso  l‟indifferenza  nei confronti di tutta la varietà qualitativa  delle  cose.  Lo  sviluppo  della  metropoli,  l‟intellettualizzazione  della vita e la diffusione del denaro si combinano dunque nel generare una forma di esperienza peculiare alla modernità.  Complessivamente,  tendono  a  produrre  un sistema di relazioni sociali contraddistinte da un notevole grado anonimità. Un  altro motivo importante del saggio  sulle metropoli riguarda il  rapporto  tra la differenziazione sociale e l‟aumento della  libertà  dell‟individuo. Tanto  più  stretta, poco numerosa e indifferenziata al suo interno è un cerchia sociale, tanto meno individualizzati sono i contenuti della coscienza  di ciascuno  dei sui membri.  Quanto più, al contrario, la cerchia si allarga, tanto  più  il  singolo ha  la  possibilità  di sviluppare il senso della propria autonomia  e  della  propria  unicità.  Poiché  la metropoli è il luogo della massima concentrazione e della massima differenziazione sociale, è dunque la sede dell‟individualità per eccellenza, il luogo dove è massima la libertà di movimento e di espressione  del  singolo.  In  generale,  il  contraltare  della libertà dell‟uomo moderno è la crescente dipendenza di ciascuno da un mondo di istituzioni, tecniche ed apparati che lo sovrasta. Nelle pagine finali del saggio questo motivo è espresso nei termini di una crescente  divaricazione  tra  i  contenuti  dello  spirito oggettivo e quelli dello spirito soggettivo. Lo spirito oggettivo è la cultura oggettivata nei prodotti dell‟uomo. Lo spirito soggettivo si manifesta viceversa nella cultura  di un soggetto.

 

ANCORA A  PROPOSITO DELL’INDIVIDUO

Diversamente da Durkheim, Simmel non tende a  porre  la  sociologia al di sopra delle altre scienze dell‟uomo, ma si limita a definirne la specificità. Egli non ritiene  che l‟oggetto della sociologia cioè la società sia intrinsecamente superiore all‟individuo. Quindi per lui, società e individuo esistono  parimenti: è la  diversità  dello  sguardo  di  chi osserva che mostra ora gli uni, ora l‟altra. Ciò non toglie che  tra  società  e individuo esistono delle tensioni. Da un lato la società tende ad imporsi al singolo pretendendo che svolga compiti in coordinamento con gli  altri per  la  sopravvivenza della società stessa nel suo insieme. In questo senso vincola la libertà individuale. Dall‟altro lato, l‟individuo può ritenere che il suo  compito  non sia quello di cooperare alla    sopravvivenza   della  società,   ma   quello    di   realizzare  obbiettivi   strettamente


 

individuali. Tale contrasto astratto si realizza in  forme  diverse  nel  corso  della  storia, anzi si realizza in  modo  esplicito  e generalizzato  solo  nell‟epoca  moderna: è proprio  in  questa epoca che nasce un orientamento  etico  che tende a sovradimensionare più  che mai la libertà essenziale di ogni individuo. Per lo sviluppo  di  questa  tematica Simmel si rifà all‟opera dello storico tedesco Burckhardt, il quale aveva sottolineato i rapporti che esistono  tra  l‟affermarsi nella  cultura  europea  del concetto  di individuo ed il rinascimento italiano,  inteso  come  uno  dei  momenti  fondanti  dello  sviluppo della cultura moderna. Simmel osserva che il concetto di individuo ha dei significati differenti, ad esempio nella cultura europea del settecento e in quella del secolo successivo. Ossia, nella cultura settecentesca parlare di individui significò soprattutto affermare il principio dell‟uguaglianza naturale di tutti gli uomini. Si trattava di un‟istanza critica nei confronti della cultura feudale e aristocratica che al contrario tendeva a rimarcare le differenze tra gli uomini.  La  cultura  dell‟illuminismo  si opponeva a questa impostazione e affermava  che  gli  uomini  essendo  per  natura  uguali hanno medesimi diritti e doveri. Nell‟corso dell‟ottocento, si fa strada un altro contenuto, cioè l‟idea che gli uomini siano sì, dal punto  di vista del diritto  tutti uguali, ma per quanto concerne la loro  interiorità  siano  dissimili.  A  tale  idea  si  affianca  quella secondo cui il compito etico di ciascuno consiste esattamente nel portare a compimento, cioè nel realizzare  la  propria unicità.

 

LA MODA

Secondo Simmel, nella moda si esprime in modo perfetto la compenetrazione in un fenomeno unico di due spinte contraddittorie: la distinzione da un lato e l‟imitazione dall‟altro. La prima tendenza esprime l‟esigenza  di  differenziarsi,  di  affermare  la  nostra singolarità rispetto agli altri, la seconda esprime  il  bisogno  di  affermare  la nostra partecipazione ad una cerchia sociale che riconosciamo autorevole  in  fatto  di stile. La moda consiste in un processo di  mobilità  sociale  apparente:  imitando  la  moda chi è più in basso nella scala della  società può far mostra   di appartenervi.


 

MAX WEBER

 

INTRODUZIONE

Max  Weber nacque a Erfurt nel 1964 e morì a Monaco  nel 1920.  Figlio  di un giurista  e deputato, fu membro di una famiglia dell‟alta borghesia tedesca, e per tutta la vita intrattenne rapporti con molti dei principali uomini politici ed  intellettuali  del  suo  tempo. Nel 1891 iniziò la sua carriera accademica, dapprima come  docente  di economia politica, infatti la sua formazione è centrale nel suo pensiero. Negli anni a cavallo del 1900 partecipò  alla formazione  della  rivista  “Archivio delle  Scienze Sociali e la Scienza Politica” e  alla fondazione  dell‟Associazione  tedesca  di sociologia. Tra il 1906 e il 1917 pubblicò gli  studi  della  sua  Sociologia  delle Religioni, la sua opera più nota “Economia e Società fu  invece  pubblicata  due anni dopo la sua morte da sua moglie e dal collega  J.  Winckelmann.

Max Weber è una personalità complessa, la sua partecipazione agli eventi politici fu sempre estremamente intensa, al punto che più volte considerò l‟idea di dedicarsi all‟attività politica in prima persona, per poi rinunciarvi. Durante la prima guerra mondiale, svolse dapprima il ruolo di ufficiale in un gruppo di ospedali, più tardi partecipò a numerose  missioni  diplomatiche,  come  quella  che  a  Versailles  in  qualità di esperto in questioni economiche della delegazione tedesca, furono patteggiate le condizioni  della  pace del 1918.

La vastità della cultura di Weber nella storia  del  pensiero  sociologico  fu  enorme.  I suoi studi teorici riguardano essenzialmente tre campi d‟indagine: metodologico, storico-comparativo  e sistematico.  In altre  parole  Weber si occupò di tre questioni:

  • Il problema del metodo delle scienze sociali (in particolare della sociologia) e dei rapporti tra sapere scientifico e giudizi di  valore;
  • Il problema della genesi, della specificità  e del destino della civiltà   occidentale

moderna.

  • Il problema di una definizione sistematica e coerente dei concetti della sociologia.

LA  SOCIOLOGIA COME  SCIENZA COMPRENDENTE

Weber definisce la sociologia nella prima pagina di “Economia e Società”come: una scienza che si propone di intendere in virtù di un procedimento interpretativo l‟agire sociale, e quindi spiegarlo casualmente nel suo corso e nei suoi effetti.  Quindi  per Weber  la  sociologia  è  una  scienza comprendente,  una scienza il cui primo  obbiettivo è comprendere  l‟agire  sociale.  Comprendere  un‟azione  per  Weber  significa intenderne il senso, cioè interpretare  il  significato  che  quella  azione  ha  agli  occhi di chi la compie. La possibilità che si dia comprensione le scienze umane  da  quelle  naturali. Questo punto è fondamentale perché segna una netta separazione dell‟impostazione del pensiero che  ha  caratterizzato  i  primi illuministi fino a Durkheim che vedevano come modello scientifico per eccellenza quello delle scienze naturali. Per Weber questa impostazione è errata per un motivo molto  semplice,  cioè nelle  scienze  naturali  i  fenomeni non vengono  posti in  essere da soggetti che    danno


 

loro un significato, mentre nelle scienze dell‟uomo, lo scienziato ha a che fare con fenomeni  posti in essere da soggetti i quali  attribuiscono  loro  un significato.

Le  origini  della  differenziazione  tra  scienze  naturali  e  scienze  dell‟uomo    affondano

nel dibattito sui metodi delle  diverse  discipline scientifiche che  ebbe  luogo in Germania negli ultimi decenni dell‟ottocento. Riallacciandosi  a  questa  tradizione, Weber intende tutte le scienze sociali comprendenti, scienze che hanno per  oggetto l‟agire in quanto comportamento dotato di significato. Vi  sono  tuttavia  delle  differenze tra le diverse discipline scientifiche. Per esempio, la storia si occupa della singolarità degli eventi: essa intende comprendere fatti che si sono verificati una volta sola, e non si interessa alla regolarità  con  cui  si  manifestano i  fenomeni. La  sociologia al contrario è un a scienza orientata alla generalità: essa intende studiare le azione sociali degli uomini in quello che esse hanno di tipico, cioè di ricorrente in più casi. La costruzione di tipi ideali, è lo strumento principale della sociologia in questa direzione. La sociologia si propone  in  primo luogo di  comprendere  l‟agire,  in secondo luogo si preoccupa di spiegare casualmente l‟agire, ossia rintracciare un fenomeno che sia precedente nel tempo  a quello  che si intende spiegare,  e rispetto  a  cui ciò che vogliamo spiegare sia logicamente un effetto che  ne  dipende.  In  poche parole significa individuare una causa. L‟idea di Weber è che una spiegazione causale perfettamente esaustiva per i fenomeni  umani non  sia  mai rintracciabile.  La  molteplicità dei fattori che si combinano nel produrre ogni  fenomeno  del  mondo umano e sociale è tale che una definitiva spiegazione causale è impossibile. Quindi spiegare casualmente un  fenomeno  umani  per Weber significa: cercare pazientemente  di rintracciare, per i fenomeni che si intende spiegare, le condizioni che sono sempre presenti quando essi si manifestano. Per questo motivo, piuttosto che parlare di cause,  in tutti i suoi lavori in cui si occupa dei concreti problemi sociali, Weber preferisce parlare  di condizioni,  o di influenze  o di insiemi  di fattori.

 

IL CONCETTODI IDEALTIPO E I  FONDAMENTI DELL’AGIRE SOCIALE

La sociologia è una scienza che si occupa dell‟agire degli uomini ed in particolare dell‟agire sociale. Non tutte le forme di agire per Weber sono sociali; è sociale quell‟agire che è orientato all‟atteggiamento degli altri. L‟agire sociale può essere di diversi tipi. Weber parla di idealtipi o tipi  ideali,  ossia  la  costruzione  del  pensiero, cioè lo strumento conoscitivo di cui lo scienziato sociale si dota per comprendere il senso delle azioni. Il senso che ciascun soggetto attribuisce alle proprie azioni è differente caso per caso è la sociologia tende generalizzare. Il  tipo  ideale  è  lo  strumento di questo processo di generalizzazione. Il concetto di tipo ideale  ricorre in tutta l‟opera di Weber. Alcuni autori hanno rilevato che vi sono diverse specie di tipi ideali in Weber. Ad un primo livello sono  tipi ideali  determinate  formazioni storiche colte nella loro individualità. Ad un secondo livello sono tipi ideali concetti come burocrazia, tipi di poteri carismatici, tradizionale e  legal-razionale.  Ad  un  livello  ancora più astratto, vi sono tipi ideali come i tipi di azione sociale. Weber distingue quattro  tipi di azione sociale:

    • Agire razionale rispetto allo scopo;
    • Agire razionale rispetto al valore;

 

    • Agire affettivo;
    • Agire tradizionale.

Ognuno di questi tipi di agire corrisponde ad un diverso tipo di senso che l‟azione ha per il soggetto che la compie. L‟agire razionale  rispetto  allo  scopo,  è il tipo  di agire  nel quale il soggetto agisce per raggiungere un fine (es. l‟agire di un imprenditore che vuole ottenere  un  profitto).  L‟agire  razionale  rispetto  al valore,  è un tipo  di agire che è orientato dalla convinzione nell‟incondizionato valore in se di un comportamento in quanto tale, a prescindere dalle conseguenze di tale comportamento. Tale valore può essere attribuito ad un comportamento etico, religioso  ecc.  (es.  l‟agire  di un martire  che decide di sacrificarsi per la sua fese). L‟agire affettivo  è  l‟agire  il  cui senso  è legato ad un particolare affetto o stato d‟animo del soggetto. L‟agire  tradizionale  è l‟agire  dettato da una abitudine  acquisita.

 

IL  CONCETTODI CAPITALISMO

Dal punto di vista della sua  organizzazione economica,  la  società  occidentale moderna ha il suo perno nel capitalismo. Per capire cos‟è per Weber il capitalismo, partiamo dalla definizione dell‟agire economico di  tipo  capitalistico.  Un  atto  economico capitalistico è per Weber, un atto che si basa sull‟aspettativa di guadagno derivante dallo sfruttare abilmente le congiunture dello scambio. Quindi l‟agire economico o capitalistico è un agire orientato all‟aumento costante del  capitale,  ne deriva che il capitalismo è un sistema economico al cui interno  i soggetti agiscono al fine di conseguire un guadagno in modo formalmente pacifico  utilizzando le  congiunture dello scambio. Il tipico soggetto di questo sistema è il proprietario dell‟impresa capitalistica che dispone di un capitale e mira ad accrescerlo mediante il conseguimento rinnovato di profitti che di norma vengono reinvestiti per  procurare nuovo profitto. Inoltre per definire il capitalismo occidentale modero è necessario  un‟altra caratteristica, ossia l‟organizzazione razionale del lavoro  formalmente  libero, cioè l‟utilizzo   di lavoratori salariati,  per lo  svolgimento  delle  attività dell‟impresa.

In tale definizione rispetto a quella richiamata da Marx è assente il tema dello sfruttamento, perché la definizione di Weber non si basa sulle  caratteristiche  dei rapporti di produzione, ma su in insieme di caratteristiche che riguardano il senso dell‟agire capitalistico e le condizioni  storiche  in  cui  tale  agire  si  dispiega.  Inoltre nella definizione di Weber compare un altro concetto che in quella di Marx non era presente ossia il riferimento al carattere razionale dell‟agire capitalistico, cioè alla razionalità formale del calcolo economico che vi è alla base e alla organizzazione  razionale del lavoro. Poiché il capitalismo potesse svilupparsi, sono stati necessari numerosi fattori storici, Weber nella  sua opera richiama   soprattutto:

  • la  disponibilità  di lavoro  formalmente  libero;
  • lo  sviluppo  di mercati aperti;
  • la  separazione tra famiglia   ed impresa.

 

LO SPIRITO DELCAPITALISMO E LE SUE ORIGINI NELL’ETICA PROTESTANTE


 

Definito il capitalismo, il problema è: quali sono le  condizioni  che  hanno determinato il suo sorgere. Per Weber non esiste solo una causa,  ma  bensì una  serie di fattori, il principale di questi è la peculiare attitudine razionalistica che caratterizza la civiltà moderna. Il punto è  individuare  le  origini  della  capacità  e  della disposizione degli uomini dell‟occidente moderno a sviluppare in modo particolare delle forme di condotta pratico-razionale, nella vita.  Queste  sono  alla base dell‟agire economico di tipo capitalistico, quell‟agire che calcola  in  vista  di uno scopo, il guadagno, e tende a  sottovalutare  il concreto godimento  di quanto viene prodotto. Il saggio “L‟etica protestante”  e  “Lo  spirito  del  capitalismo”  e teso a definire le origini di tale disposizione  culturale.  Che  per  Weber  andrà cercata all‟interno delle forme specifiche della cultura europea nei secoli  che  stanno all‟inizio dell‟età moderna, cioè in forme religiose, ed in  particolare attraverso l‟avvento del protestantesimo che si assestò a partire dal cinquecento in tutta l‟Europa settentrionale e che vide quella in quella calvinista la versione più rilevante. Weber rileva che il protestantesimo si differenzia dal cattolicesimo per un‟enfasi particolare sulla vita mondana. Il frutto dell‟opera di Lutero  nel campo etico fu la caduta della sopravalutazione dei doveri ascetici in confronto a quelli profani. E proprio sulla base della rivalutazione dei compiti mondani  che  si instaura il concetto di “Beruf” che significa simultaneamente professione e vocazione. Ossia in tale concetto i protestanti hanno indicato il carattere sacro dei compiti professionali di ciascuno. Inoltre, vi è un‟altra caratteristica della dottrina protestante che ha grande rilevanza. Si tratta della concezione dell‟assoluta imperscrutabilità del valore divino, e la sua totale indipendenza dalle azioni degli uomini che nella versione calvinista, questa  enfasi  dell‟assoluta  libertà  di  Dio  sugli uomini si tramuta  nel dogma  della  predestinazione  delle  anime.  Solo  Dio  ha il potere di salvare o di perdere per  l‟eternità. Questo  dogma  ha  delle conseguenze psicologiche rilevanti. Il singolo credente non ha alcun potere sulla propria salvazione. Per cui il compimento con successo del proprio dovere professionale viene a costituirsi in questo quadro come una risposta alla pressione psicologica prodotta dalla dottrina della predestinazione. La condotta di vita che emerge dall‟insieme di tali atteggiamenti è fortemente metodica.  È  importante rilevare a questo proposito un punto: a differenza dei cattolici i calvinisti non possono sperare di recuperare le ore di debolezza e di leggerezza con maggiore buona volontà in altri momenti, è estranea per quanto li riguarda la credenza della possibilità  del perdono dei peccati tramite il  sacramento  della  confessione.

Adesione al mondo nel compimento del proprio Beruf, e insieme  ascesi  dal mondo, rinuncia ad ogni godimento: questo atteggiamento è detto  da  Weber “ascesi intramondana”, cioè la fusione di rinuncia al godimento del mondo e di presenza attiva nel  mondo.  Proprio  tale  atteggiamento  si  rivela,  all‟analisi,  a quanto richiede lo spirito del capitalismo, almeno ai suoi inizi. L‟etica protestante favorisce lo sviluppo di questa mentalità  offrendone  le  basi di senso.  Si osserva che l‟impostazione  Weberiana  del problema dell‟origini del capitalismo  è radicata in un ampio dibattito a lui contemporaneo. In questo dibattito è particolarmente rilevante  la   figura   di  Werner   Sombart.   Anche   Sombart   attribuisce   ai fattori


 

culturali  un ruolo  principale nello  spiegare  le  origini degli   atteggiamenti economici che stanno alla base del capitalismo. Egli individua diversi gruppi di mentalità che avrebbero cooperato. In particolare osserva  che  caratteristica  dei primi imprenditori dovette essere una certa marginalità nell‟ambito della cultura tradizionale, aspetto importante per la nascita di uno spirito imprenditoriale dal momento che corrisponde ad una non dipendenza dai vincoli della tradizione e dunque ad una condizione favorevole a comportamenti innovativi. L‟etica protestante è uno dei fattori che hanno contribuito al sorgere e allo svilupparsi del capitalismo occidentale moderno, ma non è l‟unico ne possiamo dire che giochi tutt‟ora questo ruolo, anzi secondo Weber produce una situazione paradossale. Infatti lo mostra chiaramente nell‟ultimo capitolo dell‟etica protestante: l‟etica puritana favorisce la produzione di ricchezza, ma la ricchezza una volta prodotta gioca a sfavore degli impulsi religiosi originari, favorendo proprio ciò che questi chiamavano tentazione. La perplessità di Weber di fronte a ciò è evidente, ma ciò nonostante non lo porta a posizioni critiche nei confronti del capitalismo, questo dipende dal fatto che Weber non vede nel momento storico in cui vive alternative plausibili allo sviluppo del capitalismo, infatti nei confronti del capitalismo è chiaramente scettico ma soprattutto la sociologia di Weber è dichiaratamente avalutativa,  cioè vieta  esplicitamente  di formulare  giudizi  di valore.

 

L’AVALUTATIVITA’   DELLE  SCIENZE SOCIALI

I valori sono orientamenti culturali di fondo che motivano  le  nostre  condotte  quindi esprimono  degli  atteggiamenti  morali.  Per comprendere Weber a riguardo,  si dovrà procedere ad una distinzione: fra riferimento ai  valori  e  giudizio  di  valore. Il riferimento ad un valore e il soggettivo riferirsi nella propria condotta, a  certi valori. Il giudizio di valore è un‟affermazione che riguardo a certi fenomeni, esprime posizioni positive o  negative.  Lo  scienziato  sociale non può  fare a meno di riferirsi ai valori. Per due motivi. Da un  lato,  perché  i valori  sono  parte  del senso che gli attori attribuiscono al proprio agire. Dall‟altro lato, lo  scienziato  sociale si riferisce a dei valori in quanto uomo e come tale è situato in un contesto storico sociale. Secondo Weber, proprio da questa appassionata presenza nel  mondo dipende la propria stessa volontà di fare ricerca e i suoi orientamenti personali lo spingeranno a scegliere di analizzare certi nessi causali piuttosto  che altri. La realtà per Weber è infinita  e  nessuna  spiegazione  può  essere esaustiva. vista così la sociologia di Weber non garantisce nessuna oggettività. Ciò che la garantisce è di essere consapevole  dei propri  orientamenti  soggettivi e di mettere da parte i propri riferimenti  di valore.  L‟oggettività  è  in  altri  termini  il  frutto  di una  disciplina.  Tale disciplina  si chiama  avalutatività.

 

ALCUNE   CATEGORIE DELLA SOCIOLOGIA WEBERIANA

Oltre alla ai concetti di sociologia comprendete, agire e agire sociale nella sociologia di Weber esiste anche il concetto di relazione sociale che si definisce subito dopo agire sociale; si ha relazione sociale, quando essendovi  più  attori  sociali  compresenti,  il  senso  dell‟agire  di  ciascuno  si  riferisce  all‟atteggiamento


 

dell‟altro, in modo tale che le azioni sono reciprocamente orientate fra  loro.  Individui i relazione costante fra loro possono costituire comunità e società o associazione. Per Weber, un gruppo di individui costituiscono una comunità se, e nella misura in cui la disposizione dell‟agire sociale poggia su una comune appartenenza sentita da parte  degli individui  che  vi partecipano.  Vi è  una società se e nella misura in cui la disposizione dell‟agire poggia su una convergenza di interessi o su un legame di interessi motivato razionalmente.  Comunità  e  società sono per Weber tipi ideale di relazioni sociali ossia concetti astratti, nei casi  concreti molto spesso le  relazioni  sociali hanno  in  parte il carattere di comunità  e in parte il carattere di società. Comunità e società sono forme dell‟agire sociale in  cui l‟accento è posto sull‟integrazione dei membri del gruppo. Ma vi  possono essere anche relazioni sociali di tipo opposto; la lotta in particolare è un tipo di relazione sociale in cui ciascun attore non mira ad una integrazione con l‟altro  ma alla sua sopraffazione. Il concetto di lotta è molto importante nella sociologia di Weber, tanto che il suo approccio è definito conflittualistico. A differenza di Durkheim, Weber non tende ad enfatizzare  la  presenza  dell‟ordine  e  della coesione entro il  mondo  umano,  ma ad  osservare la  ricorrente presenza di forme di lotta. Infine le  relazioni sociali possono  essere aperte o chiuse; si dicono aperte se la partecipazione all‟agire sociale che le costituisce è possibile per chiunque; si dicono chiuse se vi sono degli ordinamenti che ne limitano l‟accesso solo a determinati soggetti in possesso di certi requisiti.  Se  un  gruppo sociale  si definisce attraverso la sua occupazione di un dato territorio e se nella sua organizzazione è presente la possibilità  di  minacciare  il  ricorso  alla  forza  fisica per imporre il rispetto delle regole, questo gruppo è  detto  da  Weber raggruppamento politico. In particolare lo stato è quel tipo di  raggruppamento politico che dispone del monopoli della violenza legittima su di un determinato territorio.

 

LE  FORME DI LEGGITTIMAZIONE DEL POTERE

Ma che cosa rende legittima  la  violenza?  la  validità  dell‟autorità  che la  impone. Per cui l‟autorità è l‟espressione di un potere legittimo. Per meglio comprendere  tali affermazioni bisognerebbe affrontare la  trattazione  Weberiana  del  potere  e della legittimità. In Economia e  Società  distingue il  concetto  di  potenza  da quello di potere. La potenza indica qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale,  anche di fronte a un‟opposizione, la propria volontà. Per potere  si intende la possibilità che un comando, che abbia determinati contenuti, trovi obbedienza presso certe persone. Quindi nel caso della potenza, chi la subisce si trova costretto a seguire la volontà dell‟altro; nel caso del potere, la situazione,è quella di qualcuno che obbedisce ad un comando  perché  ritiene  legittimo  il potere da cui il comando proviene. Il problema è quello di comprendere secondo quale senso l‟obbedienza sia accordata, cioè comprendere come un  comando possa essere considerato legittimo. Weber distingue tre tipi di legittimazione del potere.


 

  • legittimità del potere può essere di  carattere  tradizionale,  quando  poggia sulla credenza del carattere sacro  di  tradizioni  ritenute  valide  da  sempre, per cui il potere di chi comanda riceve la  sua legittimità  dal passato (es. il  Re, il padre nelle  famiglie   patriarcali).
  • la legittimazione del potere può essere carismatico. Per carisma si intende  una qualità personale in dote ad un individuo particolare.(es. i  Profeti,  i  grandi condottieri). Il potere che  si fonda  sulla  legittimazione  carismatica è un potere capace di produrre mutamento.
  • la legittimità del potere può essere infine di carattere razional-legale, l‟obbedienza non è prestata ad una persona in particolare ma a delle leggi. Questa è la forma di legittimazione del potere più tipica delle società moderne.

 

LA  STRATIFICAZIONE SOCIALE

Per stratificazione sociale si intende in sociologia il modo in cui in una società gli individui e i raggruppamenti di individui sono differenziati e  ordinati  gerarchicamente. Per Weber  in  ogni  società  umana coesistono  diversi ordinamenti, vi è un ordinamento economico, un ordinamento culturale e un ordinamento politico.  All‟interno di  ognuno  di  questi  ordinamenti  la stratificazione si presenta secondo criteri differenti. La nozione di  classe  è  la nozione centrale dal punto di vista economico. Per Weber una classe è un insieme di individui che condivide possibilità analoghe di  procurarsi  beni  economici, quindi  tali individui hanno  interessi   economici   simili.   All‟interni dell‟ordinamento  culturale  la  nozione  la  stratificazione  si  esprime  attraverso  i ceti. La nozione di ceto  è  uno  dei contributi più  originali  e  importanti di Weber alla teoria sociologica della stratificazione. Weber definisce situazione di ceto un effettivo  privilegio  positivo  o  negativo  nella  considerazione  sociale.   Tale privilegio positivo o negativo può essere fondato sulla specie  di  educazione ricevuta, sul prestigio o sul disprezzo  derivante dalla  nascita,  o  su quello derivante dalla professione ecc.. Un ceto si  definisce  come  un  insieme  di individui che condividono un certo status riconosciuto socialmente. Infine la stratificazione politica si realizza  nelle  forme degli  apparati  politici  e amministrativi   di un gruppo sociale ossia nelle  cariche  che vi si possono ricoprire.


 

LE ORIGINI DELLA SOCIOLOGIA AMERICANA

 

INTRODUZIONE

A partire dall‟ultimo decennio dell‟800 la sociologia è insegnata nelle università americane. La sociologia di autori come Albion Small,  William  Sumner  e Thorstein Veblen, è influenzata da quella britannica e soprattutto dalla figura di Spencer e dal suo evoluzionismo,  anche  se non  manca  di teorizzazioni originali. Per esempio in Costumi di gruppo (1906) Sumner fornisce per la prima volta il concetto di etnocentrismo, ossia il privilegiare da parte di un gruppo i propri costumi e valori con la relativa svalutazione di quelli degli altri. Nella teoria della classe agiata Veblen propone il concetto di costumo vistoso, ossia il consumo non finalizzato al soddisfacimento dei bisogni materiali, ma all‟ostentazione della ricchezza. La società nordamericana a cavallo tra  il  l‟800  e  il  900  è contrassegnata da mutamenti molto intensi. L‟immigrazione ha ritmi intensissimi. L‟immigrati inizialmente provenivano dall‟Europa centro-settentrionale attorni  al 1900 la situazione si modifica, nel senso che la maggior parte dei nuovi arrivi proveniva dalle regioni europee orientali e meridionali. Le differenze di lingue, tradizioni e costumi sono rilevanti, dando luogo a forti problemi di integrazione. Inoltre l‟industrializzazione si sviluppa a ritmi elevati contribuendo ad  una espansine straordinaria delle aree urbane. Ai problemi dell‟immigrazione, dei conflitti interetnici, della disgregazione sociale e della devianza si dedicarono particolarmente gli autori della prima grande scuola di sociologia americana, la cosiddetta scuola di Chicago.

 

LA  SCUOLA DI CHICAGO

Le prime cattedre di sociologia vennero istituite  in  America  nelle  università dell‟est. Ma il primo dipartimento dedicato agli studi sociologici venne istituito all‟università di Chicago fondata nel 1892. il primo direttore del dipartimento fu Albion Small, che nel 1895 fondò  L‟American  Journal  of  Sociology.  Gli autori che più contribuirono al suo sviluppo furono William Thomas e Robert Park. L‟opera fondamentale di Thomas  è il contadino  polacco  in  Europa  in America.  Un lavoro che rappresentava le condizioni degli immigrati polacchi a Chicago. La principale caratteristica di tale lavoro è la  tesi  che  il  comportamento  degli immigrati non è comprensibile senza far riferimento alla loro  storia,  al paese dal quale provengono alle ragione che stanno dietro l‟emigrazione. Con il contadino polacco Thomas diede inizio a quelli che saranno poi chiamati i metodi qualitativi della ricerca sociologica. Le ragioni di questa scelta metodologica sono tecniche. Thomas ritiene che la sociologia non possa far a meno di  tener  conto  del significato che  gli  attori  attribuiscono  al  proprio  comportamento  e  alle  situazioni in cui si trovano. Dopo Thomas la direzione del dipartimento venne  affidata  a Robert Park, e proprio sotto  la  sua guida che si formò  una vera e propria scuola.  La scuola di chicago è caratterizzata in primo luogo da  una  fortissima  propensione alla ricerca empirica, ricordiamo gli studi sui vagabondi, sul ghetto o sulle  bande   di  giovani   delinquenti,   tale   studi  impiegavano  diversi  metodi    di


 

ricerca, il più originale fu quello noto come “osservazione partecipante, cioè la parziale compenetrazione del ricercatore per un lungo periodo  di tempo  nella  vita del gruppo che studia. Attraverso gli autori della scuola di Chicago  la  sociologia esce dalle aule universitarie e l‟oggetto principale delle ricerche  è  la  città.  A  riguardo il loro approccio è spesso detto ecologico: sia nel senso che concepisce il comportamento dei gruppo nello spazio urbano sulla base di un modello naturalistico, sia nel senso che presta particolare  attenzione  ai contesti fisici entro cui si esplica il  comportamento.

 

LA CITTA’

La nozione chiave per comprendere la natura della città moderna è quella  di  mobilità. A partire dal secondo dopoguerra, tale concetto verrà definito in termini sempre più precisi e darà luogo a molteplici ricerche empiriche. Quest‟ultime si concentreranno da un lato sulla mobilità geografica  dall‟altro sulla  mobilità sociale ossia la maggiore o minore possibilità che hanno individui appartenenti a gruppi  diversi di ascendere  o  discendere  socialmente.  Nella  terminologia  di Park e degli altri autori della scuola di  Chicago  la  parola  mobilità  a  significati  più  ampi. In questo contesto, è mobilità sia lo spostamento geografico o sociale, sia anche la vivacità spirituale che deriva dall‟esposizione a stimoli vari e numerosi. Infatti, A. Pizzorno nell‟introduzione all‟edizione italiana del volume “La Città” definisce la città come il frutto della mobilità ed la massima  fonte  di  mobilità  perché la densità  di  popolazione  moltiplica  gli  stimoli,  gli  incontri,  la  possibilità di appartenere a nuovi gruppi. L‟esito  di tali processi è ambivalente, nel senso che  la maggiore mobilità da una parte può comportare un  maggior  sviluppo  delle facoltà individuali, dall‟altra parte crea una  maggiore  disorganizzazione  sociale  ossia l‟incapacità dell‟ambiente sociale di fornire agli individui risorse per soddisfare i propri bisogni. In tale contesto  si inserisce uno  dei concetti più  tipici di Park e della sua scuola, quello di distanza sociale: il sentimento di un gruppo di essere distinti ed  estranei rispetto  ai membri di un altro.  La distanza sociale tende  ad esprimersi in distanza territoriale: sul territorio di una città, i gruppi  diversi tendono a collocarsi in aree distinte. È questa  la  base  della  teoria  delle  aree naturali.


 

LA SOCIOLOGIA IN ITALIA  AGLI INIZI  DEL SECOLO

 

INTRODUZIONE

In Italia la sociologia inizia a svilupparsi dall‟ultimo decennio dell‟ottocento dalla duplice matrice delle inchieste sociali, tra cui ricordiamo l‟inchiesta sulla Sicilia compiuta da Sonnino e Franchetti e del pensiero positivista che vede come suo esponente più noto Cesare Lombroso.  Per  quanto  riguarda  la  sociologia ispirata ad un orientamento evoluzionistico ed organicista vanno ricordati Roberto Ardigò (autore di una sociologia scritta), Scipio Sighele (autore della folla delinquente) e Enrico Morselli (noto per lo studio sul suicidio). Nel 1896 venne fondata la prima rivista italiana di sociologia.  Negli  anni  20  la  sociologia  italiana  per  motivi  diversi ebbe una battuta d‟arresto.  Sul  piano  politico-civile il  fascismo rappresento una sorta di congelamento della ricerca sociale scientifica. Sul piano culturale, ebbe un certa influenza  la  posizione  assunta da Benedetto  Croce,  che  era in quel momento l‟intellettuale italiano più  importante.  Infatti Croce se da un  lato era ostile al fascismo  dall‟altro  era  ostile  anche  alla  sociologia  che definiva una  pseudoscienza. acume

 

VILFREDO PARETO

Vilfredo Pareto nacque a Parigi nel 1848 da un famiglia nobile italiana e morì a Losanna nel 1923.  La  sua  prima  formazione  fu nel campo  dell‟ingegneria  anche se successivamente si dedicò allo studi dell‟economia tant‟è  che  le  sue  prime opere sono di questa materia. Tuttavia dal 1912 iniziò ad occuparsi di sociologia, pubblicando fra il 1916 e il 1919 il  trattato  di  sociologia  generale.  La  prima  chiave per comprendere il pensiero  di Pareto  sta nel suo passaggio  dall‟interesse per l‟economia a quello per la sociologia. L‟economia sia occupa  di  azioni logiche, tuttavia la vita dell‟uomo è ricca di azioni che non sono affatto logiche, quindi per comprenderla l‟economia non è sufficiente. Per cui la sociologia è la scienza che dovrà spiegare ciò che l‟economia non riesce a comprendere. La sociologia è la scienza logico-sperimentale dei comportamenti degli uomini è la spiegazione logica di ciò che logico non è. Nel trattato  di  sociologia  generale  Pareto esprime parecchi concetti i più importanti sono quelli dei residui e della derivazione. I residui son ciò che di fondamentale c‟è nell‟uomo, ossia ciò che rimane una volta che si sia scomposto il comportamento degli uomini nelle sue componenti elementari.  Pareto  riconosce sei tipi di residui:

  • l‟istinto  alla  combinazione;
  • la  persistenza  degli aggregati;
  • il  bisogno  di manifestare  i sentimenti;
  • la socialità;
  • l‟integrità  della persona;
  • e il  residuo  della sessualità.

I residui rappresentano il fondamento non  logico  del comportamento.  Al  disotto  di tutti i comportamenti dell‟uomo  vi è la  spinta dell‟uno  o dell‟altro  di questi residui.


 

Tuttavia l‟uomo tende ad ingannarsi, tende a produrre giustificazioni pseudo  razionali  dei comportamenti. Tale giustificazioni sono  ciò  che  Pareto  chiama  le  derivazioni.  Una derivazione è un sistema di rappresentazioni mentali che occulta gli impulsi fondamentali e propone una legittimazione del  comportamento  in  termini  che appaiono logici.

 

LE  TERORIE DELLE ÈLITE

Èlite è un termine francese che designa una cerchia sociale ristretta e influente. In sociologia tale termine è utilizzato per indicare un gruppo o più gruppi in grado di esercitare un controllo, un  influenza  sulla  tutta la  società.  La riflessione  sui caratteri e sul ruolo sociale delle èlite è tipa del  pensiero  sociologico  italiano.  Sintetizzando  le teorie degli autori italiani, potremmo  affermare  che  la  teoria  delle  èlite  è  una  critica del funzionamento reale delle democrazie. Le teorie di questi  autori  non  si  oppongono alla democrazia in nome dei principi tradizionali dell‟aristocrazia, ma intendono svelare l‟inganno che si cela dietro, mostrando come  nei fatti a governare siano  sempre delle  piccole minoranze.

 

IL FASCISMO

Il fascismo nasce come un movimento di stampo nazionalista dopo la prima guerra mondiale esattamente nel 1922. Nel 1925 diede luogo ad un regime che abrogò la democrazia, mettendo fuori legge tutti i partiti di opposizione, vietando la libertà di stampa ed associazione e soprattutto concentrando il potere nelle mani dell‟apparato esecutivo che corrispondeva alla gerarchia del partito fascista.  In  altre  parole  tra  il 1925 e il 1943 si costituì in Italia come  una  dittatura.  Una  dittatura  moderna  non basata solamente sulla violenza ma anche sulla ricerca di un consenso popolare, utilizzando da una parte rituali, mezzi di propaganda  efficaci  e  dall‟altra la  disponibilità  di gettare  sul leader  una  forte carica affettiva.

 

ANTONIO GRAMSCI

Gramsci fu membro di spicco del partito comunista  italiano  e l‟ispiratore  e teorico della più grande insurrezione operai italiana,  ossia quella  dei consigli operai di Torino nel 1920. A lui si può  far risalire  numerosi concetti usati in  sociologia i più  noti sono: il termine fordismo che fa riferimento alle trasformazioni e agli sviluppi del modo capitalistico di produzione avviati da Henry Ford  nelle  sua  fabbriche  di  automobili negli Stati Uniti tra il 1910 e il 1920. Questi sviluppi riguardano due aspetti dell‟organizzazione del lavoro, il  primo è  direttamente legato  alla produzione,  in quanto Ford aveva modificato il lavoro dei sui operai scomponendone l‟attività  in piccoli compiti specifici. Si è dato  avvio  ad  una  razionalizzazione  della  produzione, con il conseguente aumento della produttività complessiva del  lavoro.  Il  secondo aspetto consisteva nel alzare il livello dei  salari.  Tale  politica  aveva  una  doppia ragione da un lato si ricompensava i lavoratori per la disciplina cui si sottoponevano, dall‟altro si trattava di aprire il mercato a piccoli consumatori. Infatti accedendo al mercato in virtù dell‟aumento dei propri salari, la classe operai viene a partecipare all‟aumento   di  benessere  che  lo   sviluppo   delle  forze  produttive  consente. L‟altro


 

concetto risalente a Gramsci è egemonia, ossia la capacità di diffondere all‟interno di tutta la  società una cultura  congruente con i propri valori ed i propri interessi  .

 

 

VIENNA  E DINTORNI

 

LUDWIG  WITTGENSTEIN

Wittgeinstein nacque a Vienna nel 1889 appartenente ad  una  famiglia dell‟alta borghesia. La sua prima  opera fu il Tractatus  logico-philosophicus  diciamo  un trattato di logica, che mirava a fornire  un  impianto  logico  al linguaggio  ordinario  tale per cui  sia possibile individuarvi e successivamente escludere tutte le proposizioni  che non  sono suscettibili di verifiche in altre parole prive di un significato accettabile. Tale progetto presupponeva la possibilità di una corrispondenza univoca tra  ogni espressione linguistica.  Nel  linguaggio  ordinario,  le  parole  hanno  significati  diversi, che dipendono  dal contesto  in cui queste di volta in volta sono usate. Possiamo dire  che il linguaggio è una pratica, un‟attività che svolgiamo in quanto esseri umani, intrecciata con tutte le  attività  in  cui siamo  immersi.  La  conseguenza  di quest‟ordine di pensieri sono notevoli. Come per  esempio  il  ruolo  del  linguaggio  nella  società viene in primo piano. La lingua è lo strumento con cui gli uomini si servono  per intendersi fra loro in relazione alle attività in cui sono coinvolti. Dopo la metà del novecento, la rivalutazione del linguaggio del ruolo operata Wittgeinstein e la sua concezione del significato  come  “uso” delle  parole  si combineranno  con l‟influenza  di altre correnti del pensiero  sociale,  dando  luogo  a  quella  che  alcuni  chiameranno una  vera propria svolta linguistica  nelle  scienze  sociali.

 

MANNHEIM  E  IL PROBLEMA DEL RELATIVISMO

Karl Mannheim nacque a Budapest  nel  1893.  Nel  1919  prese  parte  all‟insurrezione che portò alla costituzione della repubblica dei consigli ungherese. Fallita quella esperienza andò in Germania dove insegnò a Heidelber e a Francoforte. Nel 1933 si trasferì a Londra dove vi morì nel 1947. Nella sua formazione  è  determinante  il  pensiero di Marx. Più decisiva ancora, è tuttavia l‟appartenenza alla  generazione che visse la prima guerra mondiale. I  suoi  studi  si  concentrarono  sulla  formulazione  di una sociologia della conoscenza. La sua opera più nota è Ideologia e Utopia. Il problema cruciale dei Mannheim è quella del relativismo. Il primo oggetto della riflessione di Mannheim è la compresenza  in  una  medesima  società  di  visioni politiche differenti. Al concetto Marxiano di Ideologia, Mannheim affianca quello  di utopia, intendendo la visione del mondo tipica di coloro che impegnati nella lotta per rovesciare i rapporti esistenti , non riescono a  scorgere nella  realtà  se no  gli elementi che vogliono negare. Come l‟Ideologia, l‟Utopia è una parziale  deformazione  della realtà. Proseguendo nel suo pensiero, vi è  l„allargamento  della  nozione di ideologia e nel concetto di situazione esistenziale.  Mannheim  propone  di  usare  il  termine Ideologia per intendere che ogni individuo, in quanto appartenente  ad  un  gruppo  sociale determinato, tende a concepire la realtà, secondo un  punto  di  vista  che esprime  gli  interessi,   la   cultura  di  quello  stesso  gruppo.  Non  si  tratta  solo   della


 

collocazione di classe: l‟appartenenza ad una nazione, ad un gruppo etnico o ad un generazione può essere altrettanto determinante. In altre parole  il  modo  con  cui ciascuno di noi vede  la  realtà.  Dal  problema  del  relativismo  Mannheim  arriva  così alla proposta teorica di un  relazioniamo.  Concetto  che  indica  la  relazione  originaria che lega ogni prodotto della cultura all‟esistenza concreta e determinata  in  cui sono posti i soggetti. Affermare il relazioniamo non significa affermare che non esista più alcuna verità. Quest‟ultima diventa un limite a cui si può solo  tendere. L‟approssimazione a questo limite è tanto maggiore quanto  più  si  è  capaci  di prendere atto  delle  diverse  prospettive  esistenti e  di controllare  grazie  al confronto e al dialogo, le tendenze ideologizzanti presente in  ciascuno  di noi.  Con  la  sociologia della conoscenza di Mannheim la sociologia si avvia a diventare una scienza autoriflessiva.


LA SCUOLA DI FRANCOFORTE

 

INTRODUZIONE

L scuola di Francoforte costituisce una delle imprese collettive  più  rilevanti  del pensiero sociale del XX secolo. Essa prende il nome dall‟istituto per la ricerca sociale che venne fondato a Francoforte nel 1923, grazie ad un finanziamento privato. Il suo primo direttore fu Carl Grϋnberg, ma chi più contribuì al suo sviluppo fu Max Horkheimer. Oltre ad Horkheimer, i membri più noti della scuola furono  Theodor Adorno, Herbert Marcuse, Erich Fromm. La formazione di questo gruppo di studiosi non è omogenea.  Il  riferimento  al  marxismo  era  almeno  all‟inizio  il  tratto  comune, ma non si tratta di Marxisti ortodossi. Ciò che gli unì fu dapprincipio l‟intento di promuovere un rinnovamento della ricerca sociale marxista. Il  Marxismo  a  cui  la  scuola faceva riferimento era fortemente antidogmatico e non determinista. Sotto la direzione di Horkheimer l‟istituto una forte  revisione rivalutandone le  origini  nel pensiero Hegeliano e integrandovi diversi elementi della psicanalisi freudiana,  l‟approccio che ne derivò fu una teoria critica della società dai  tratti  fortemente  originali. Con l‟avvento del  fascismo  l‟istituto venne  chiuso,  perché  considerato  ostile al regime, e molti dei  suoi  membri  lasciarono  la  Germania,  emigrando soprattutto negli stati uniti dove continuarono la loro  attività  e  allargando  i  loro interessi allo studio della società di massa e dell‟industria culturale ed in particolare Horkheimer e Adorno elaborarono una critica radicale  della  modernità  occidentale. Infatti sono di quel periodo le opere più note, La dialettica dell‟illuminismo di Horkheimer e Adorno, Eclisse della ragione di Horkheimer. Nel 1950 l‟istituto venne riaperto. Horkheimer e Adorno lasciarono gli Stati Uniti,  la  loro  fama  era circoscritta nella Germania nazista, anche perché negli Stati Uniti tutti i loro testi erano scritti in tedesco. La teoria critica diventa una  dei  principali  riferimenti  intellettuali  per  tutti coloro che non intendono riconoscere al marxismo sovietico  unica  alternativa  al sistema  capitalistico.  Inoltre  l‟insegnamento dei  membri  dell‟istituto fu  una  delle fonti di ispirazione dei movimenti studenteschi del 1968. Infine possiamo dire che la teoria critica è caratterizzata da un forte intreccio di ricerca sociale,  psicanalisi  e  filosofia.

 

L’INTEGRAZOINE DELLA PSICANALISI E LE RICERCHE SULLA FAMIGLIA E SULLA  PERSONALITÀ.

Attraverso  un  suo  intervento  sulla  rivista  che l‟istituto  pubblicò  fra  il 1933  e il 1941,

Horkheimer aveva espresso la necessità di  integrare  il  marxismo  con  una  teoria  capace di spiegare meccanismi della psiche. Si trattava di comprendere l‟integrazione della classe operaia nel capitalismo e, quanto alla  Germania,  la  stessa  adesione  di massa su cui il nazionalsocialismo poteva contare. Si trattava di indagare come la coscienza si formi. A questo si prestava la psicologia ed in particolare la psicanalisi. L‟integrazione della psicanalisi all‟interno della teoria critica è molto complessa e le posizioni dei membri della scuola sono  diverse.  La  prima integrazione  della  psicanalisi  di Freud  e del pensiero  di Marx è opera di Fromm negli studi sull‟autorità  e  la  famiglia  per  spiegare  i  processi di socializzazione  dell‟individuo: la  famiglia  è  il


 

collegamento tra la struttura sociale e la coscienza del singolo, il luogo dove questi impara ad adattarsi. Tuttavia  la  famiglia  non è sempre  uguale  a se stessa,  nel corso  del passaggio dall‟epoca della borghesia classica all‟epoca del  tarso  capitalismo,  tende a indebolire la capacità di formare individui auto responsabili e far  crescere persone dotate di un carattere autoritario, ossia il carattere tipico  di chi, reprimendo  in  se stesso la tensione a soddisfare i  propri  impulsi  libidici,  scarica  aggressivamente sugli altri la frustrazione che accumula, affidandosi irrazionalmente all‟autorità  di un leader che promette di soddisfarne i bisogni. Gli studi sulla costituzione psicologica proseguirono in america, dove verrà cognato il concetto di capo  espiatorio.  Chi  è incline ad una personalità autoritaria tende a sfuggire  all‟analisi  razionale  della  realtà, ossia sfugge alla ricerca dei fattori sociali che, in un  dato  momento,  possono provocare disagio,  temendo  di criticare  il proprio  governo  e di mettere  in discussione il sistema in cui vive, tendendo a scaricare la colpa del disagio che avverte su gruppi minoritari e impotenti, come le minoranze etniche. Costituendo questi, come capri espiatori. L‟uso della psicanalisi che ne fa Marcuse in Eros  e Civiltà  tende  ad  una  critica del capitalismo generale. Freud aveva osservato che il processo della  civilizzazione aveva comportato un forte controllo degli impulsi libidici. Con il capitalismo lo sviluppo delle forze produttive aveva permesso di ridurre  questo controllo e lasciare spazio  allo  sviluppo  di un‟umanità  capace di entrare con la  natura in un rapporto non più solo antagonistico, ma  conciliato:  l‟endonismo,  la  capacità degli uomini di godere della propria vita e di essere  felici  entro  i limiti  che  la  vita stessa pone, all‟interno  di un quadro sociale sgombrato  dall‟ingiustizia.

 

LA  CRITICA DELLA  RAZIONALIZZAZIONE

Il processo di razionalizzazione descritto da Weber viene inteso dai  membri  della  scuola di Francoforte come un processo di alterazione della ragione, ossia come una riduzione della ragione ad intelletto. Gli uomini moderni sono sempre più capaci di eseguire  calcoli  tecnici,  ma  sempre  meno  capaci di esercitare  quelle  facoltà  critiche in cui si posiziona la ragione. In  Eclisse  della  ragione,  Horkheimer  vede  la  causa di tale processo nel passaggio dall‟illuminismo al positivismo, ossia all‟abbandono delle valenze critiche manifestato nel positivismo. Mentre l‟illuminismo  aveva  usato  il richiamo della ragione come strumento per far valere il principio della libertà, della tolleranza, al sistema dei privilegi e delle superstizioni del feudalesimo, il pensiero positivista livella l‟idea di ragione sul modello della ricerca  scientifica  e  tecnologica. Nella dialettica dell‟illuminismo, è proprio questo ultimo ad essere messo in  qualche modo in discussione, nella  misura  in  cui corrisponde ad un progetto di rischiaramento del mondo che da un lato nega  la cittadinanza a tutto  ciò  che non ha la possibilità di  una spiegazione razionale e, dall‟altro si  esprime  in  una  logica  di  dominio  sulla natura. Il primo punto di questa critica  corrisponde ad  una  rivalutazione  della  validità del pensiero magico e religioso, che conservano il riconoscimento di qualcosa che il pensiero razionalistico tende a non riconoscere più,  cioè che non tutto  è dominabile  con la ragione. Per quanto riguarda al secondo  punto  ossia il nesso  tra  la  ragione  e con la logica del domino. Possiamo dire la parola “illuminismo” non è più usata per identificare   un  movimento   storico   determinato,   ma  è  utilizzata   per  denominare la


 

civiltà occidentale, ricompressa come un unico progetto di razionalizzazione e di padroneggiamento del mondo. Ma nel compimento di questo progetto l‟uomo si  estranea dalla natura, il pensiero razionale si estranea dalla natura e vi si contrappone, favorendo lo sviluppo del sapere  tecnico  ma  contemporaneamente  esprimendosi  in una logica che annulla ogni senso della vita che non corrisponda  al  mero  dominio tecnico  sopra di essa.

 

L’INDUSTRIA  CULTURALE

Per quanto il processo di razionalizzazione si sia dispiegato fin dentro le nostre coscienze, permane dentro ciascuno di noi il ricordo di qualcosa che resiste alla razionalizzazione – è il ricordo al desiderio alla felicità. L‟aspirazione  alla  felicità  è  anche ciò a cui si riferisce l‟industria  culturale  a  cui dedicano  una delle  tre sezioni in cui è suddivisa la  dialettica  dell‟illuminismo.  Secondo  Horkheimer  e Adorno si tratta  di una parodia. Nel capitalismo maturo l‟industria culturale corrisponde all‟amministrazione dello svago, che mira a fornire ai lavoratori una compensazione temporanea per i sacrifici cui si sottopongono. L‟interesse per la stampa e in generale per i mezzi di comunicazione diventa centrale per i  membri  della  scuola  di Francoforte. L‟industria culturale porta la cultura alle masse, tuttavia sotto questa apparenza si nasconde uno svuotamento della nozione stessa di cultura, in quanto non rappresenta più il luogo privilegiato  dell‟elaborazione  del  senso  e  veicolo di aspirazioni ideali che trascendono l‟ordine dato, bensì luogo di intrattenimento e, soprattutto, meccanismo di promozione dell‟adattamento di  ciascuno  all‟ordine sociale esistente e un progetto di manipolazione che è innato nella logica della comunicazione di massa. La democraticità apparentemente connessa al fatto che le informazioni sono disponibili a ognuno è negata dal fatto che non è previsto che gli  utenti siano anche emittenti. Il collante  di questo  sistema  è  dato  dalla  sua  funzione che da un lato promuove un adattamento generalizzato al sistema sociale, e dall‟altro quella di sostenere il mercato invitando ciascuno al consumo. La pubblicità è il cuore della  comunicazione.

 

JURGEN  HABERMAS

Habermas arriva a Francoforte nel  1956. I  suoi  primi lavori  si  rientrano  nelle tematiche affrontate dall‟istituto. Per esempio Storia e critica dell‟opinione pubblica, riguarda la nascita dell‟opinione pubblica col sorgere della società borghese e il suo successivo impoverimento nella società di massa. Nei  suoi  studi,  Habermas  tiene  conto dei risultati delle ricerche di molte correnti scientifiche, in particolare della linguistica e della filosofia del linguaggio. Egli riconosce che  gli uomini sono  sempre legati gli uni a gli altri dalla ricerca di una comprensione reciproca, che si  realizza mediante la lingua. Questa posizione  lo  conduce  ad  una  critica  del  riduzionismo  in cui cade il marxismo nel senso che la società non può essere analizzata basandosi esclusivamente sulla dimensione del lavoro, fianco delle attività produttive vanno considerate le pratiche dell‟interazione attraverso i linguaggio. Nella teoria dell‟agire comunicativo, Habermas associa al lavoro e all‟interazione  linguistica  due  diverse forme  di razionalità.  Vi è  una  razionalità  strumentale,  che  attraverso  lo  sviluppo della


 

teoria dell‟azione di Weber egli associa al lavoro e, la razionalità comunicativa che associa all‟interazione linguistica. La contraddizione tipica della società moderna consiste nel fatto che essa ha prodotto le condizioni per lo sviluppo delle forme dell‟agire, orientato alla comprensione  reciproca,  ma  nel  contempo  ha  bloccato queste potenzialità tramite un‟estensione straordinaria  delle forme dell‟agire strumentale.


 

LA SOCIOLOGIA AMERICANA FRA GLI ANNI TRENTA E CINQUNATA

 

LA  SOCIOLOGIAAMERICANA DOPO CHICAGO

Sul piano della ricerca empirica, la sociologia americana ha prodotto alcuni studi di comunità di grande rilievo. Il più popolare e Middletown, scritto dai coniugi Lynd. Si tratta di uno studio concentrato in una città  americana di  medie  dimensioni,  che analizza la stratificazione sociale, gli stili di vita e  comportamenti  sociali  con  una pluralità di metodi di indagini. Lo studio del lavoro  e delle  organizzazioni furono  due dei campi in cui  la  ricerca  empirica si sviluppò  particolarmente. Contemporaneamente alla ricerca empirica si  svilupparono  anche  le  tecniche  di ricerca quantitative. Per esempio il cosiddetto positivismo strumentale  di  William Ogburn concepiva la sociologia scientifica come la messa a punto di strumenti di misurazione sempre più sofisticati, capace di affrontare le variabili  sociali  con procedure di tipo statistico. Dopo la guerra queste tecniche si arricchirono di diverse innovazioni e furono sistematizzate in un corpus di metodi e strumenti abbastanza imponente che trovò ampie applicazioni nella ricerca di mercato. Uno degli artefici principali di questo sviluppo fu Paul Lazarsfeld. Lazarsfeld è in realtà uno studioso tedesco in Germania aveva sviluppato una ricerca dal  titolo  I  disoccupati  di  Marienthal e aveva collaborato ad alcune fasi della ricerca sull‟autorità e la famiglia dell‟Istituto per la ricerca sociale di Francoforte. Inoltre successivamente diventò uno  dei rappresentanti della ricerca scientifica sulle comunicazioni di massa sull‟opinione pubblica.  Negli  Stati Uniti si è realizzato  in  effetti un  intreccio  tra  le scienze sociali e  le  istituzioni   politiche,  economiche e anche militari.

 

TALCOTT PARSONS

Talcott Parsons nacque nel 1902 a Cororado Springs, morì nel 1979. Dopo l‟università ed un periodo di perfezionamento in Europa, nel 1927 fu chiamato a insegnare a Havrard. La sociologia americana e gran parte di quella europea dopo la seconda guerra mondiale ebbe un influenza enorme sul suo pensiero. Fra le sue opera principali ricordiamo: la struttura  dell‟azione sociale  (1927), Il  sistema  sociale  (1951), Famigli e socializzazione (scritto con  Bales  nel  1955). L‟approccio  di Parsone viene chiamato struttural-funzionalista, nel senso  che  si propone  di  individuare la struttura di fondo della società e propone di comprenderla mostrando le funzioni che le sue parti assolvono, o più appropriatamente suo approccio può essere definito sistemico, il concetto di sistema  è  cruciale  nel suo  pensiero.  Il problema  da cui Parsons parte è  quello  di integrare  le  prospettive  di Weber e Durkheim;  ossia da un lato si tratta di comprender in cosa consiste l‟azione degli individui, dall‟altro di vedere come l‟azione si inserisca in un  quadro  di  vincoli  sovraindividuali.  Nelle ultime opere si evince l‟interesse per una teoria generale dell‟evoluzione e per la comparazione fra  sistemi sociali  diversi.  Interrelato

 

AZIONE  SOCIALE  E SISTEMA


 

In La struttura dell‟azione sociale considera l‟azione come l‟unità elementare di cui si occupa la sociologia. Nella descrizione di  un‟azione  si  individuano  un  attore,  colui che compie l‟atto, un fine, una situazione le cui linee di sviluppo differiscono, dalla situazione verso la quale è orientata l‟azione, cioè il fine e infine un orientamento normativo.  Queste  definizioni  sono  solo  apparentemente  neutrali,  in  realtà  nasconde il fatto che nel contesto della società americana Parsons lottava da un lato contro il comportamentismo che tende a ridurre l‟azione umana a un  meccanismo  di risposta  agi  stimoli,  riducendo  così  il  ruolo  della          volontà  e  dall‟altro  conto  l‟utilitarismo implicito                          nell‟economia         neoclassica che  riduce                  ogni                   azione                a       un         interesse. L‟importanza di tali definizioni sta nel fatto che nella  prima  vi  è  un  tentativo  di  rendere conto della relativa libertà di scelta che ha l‟attore nei  confronti  della situazione in è immerso, in quanto alla seconda, nel risalto  del  peso  che  hanno  le  norme nel vincolare e governare l‟azione. Le norme sono il nesso che collega la personalità di ogni individuo all‟insieme sociale di cui fa parte.  Ognuno  di noi non agisce come se fosse solo a decidere, ma in base ad un insieme di regole di origine sociale, che a loro volta sono espressione di un insieme di valori, ossia di una cultura. Secondo                  una   suddivisione   tipica   della  sociologia  americana,    Parsons   distingue personalità, sistema sociale e cultura, purché un sistema sociale funzioni in modo coerente è necessario che i suoi membri siano dotati di una personalità e che facciano propri i valori e le norme di una cultura  comune.  Tutto  ciò  viene  elaborato  nel volume Il sistema sociale. Un sistema è un insieme  di  parti  ciascuna  delle  quali  svolge un funzione necessaria  alla  riproduzione  dell‟intero  sistema,  che interagiscono tra di loro e capace di autoregolazione.  Parsons  osserva che ogni sistema deve essere  in grado di svolgere  almeno  quattro  funzioni  e  ognuna  di queste funzioni è svolta da un sottosistema specifico. Tali funzioni sono; quella di adattarsi all‟ambiente il cui compito è svolto dal sottosistema economico, la definizione degli obiettivi  il  cui compito è svolto dal sottosistema politico, la trasmissione e la conservazione dei  modelli di organizzazione sono compiti svolti dalla famiglia e dal sistema scolastico e infine l‟integrazione delle varie parti di cui  è  costituito  il  sistema  e  il  controllo  dei suoi membri sono compiti del sottosistema  giuridico  e  della  religione.  Il  sistema  mette in relazione fra loro individui che agiscono, per individui si  intende  no  già individui in quanto tali ma in quanto sono dotati di personalità che permettono loro di coprire dei ruoli. I ruoli sono un insieme di modelli di comportamento orientati all‟espletamento  di una  funzione.  Dunque il  sistema sociale è un insieme  di ruoli.

 

FAMIGLIA  E SOCIALIZZAZIONE

Il concetto di interiorizzazione è molto importante. Parsone lo riprende da Freud. Il processo  di interiorizzazione  delle  norme  e dei valori coincide con la  socializzazione,  e questa si realizza principalmente nella prima  infanzia,  in  seno  alla famiglia. La  famiglia è dunque un sottoinsieme cruciale. Possiamo dire anche,  che  in  tutte  le  epoche e le società premoderne, l‟istituzione famigliare non svolgeva solamente la funzione di socializzare i figli, ma anche funzioni assistenziali, religiose e soprattutto economiche. Secondo Parsons l‟evoluzione delle società comporta di norma un processo     di     differenziazione      e     di     specializzazione     delle     istituzioni.    La


 

differenziazione corrisponde in generale a un  processo  di  moltiplicazione  dei  ruoli  che un sistema sociale permette. Nella specializzazione i ruoli  differenziati  si  rapportano a compiti sempre più circoscritti,  consentendo  una  loro  maggiore  efficacia. Rispetto alla famiglia  questi processi significano  da  un  lato  che essa perde  via via alcune funzioni tradizionali, dall‟altro che essa si specializza  in  un  compito sempre più specifico, diventa in buona sostanza la fondamentale agenzia di socializzazione dei bambini e di stabilizzazione  della  personalità  degli  adulti.  Nel  corso dei medesimi processi, la famiglia tende a conformarsi secondo alcune caratteristiche, che nel loro insieme permettono di distinguere  la  famiglia  moderna da ogni altra forma di famiglia nella  storia.  Innanzitutto  tende  a  presentarsi  come  famiglia nucleare, composta esclusivamente dalla  coppia  dei  genitori dai  figli.  I genitori al suo interno hanno funzioni differenti alla moglie/madre spetta il ruolo di casalinga e di leader espressiva, al  marito/padre  spetta  invece  il  ruolo  di  bread- winner  (ossia  colui che  procura  il  denaro  necessario  al sostentamento  della  famiglia) e di leader-strumentale (colui che dirige strategicamente i rapporti della famiglia con l‟ambiente esterno). In buona sostanza la posizione della famiglia nel sistema sociale dipende principalmente dalla professione del padre. La famiglia è un‟istituzione  che media fra il sistema sociale e la personalità. Non è l‟unica ma probabilmente è la più importante.

 

ALCUNE  CATEGORIE ANALITICHE

Oltre ai concetti di norme, valori, ruoli, istituzioni e socializzazione, Persons tenta di definire alcuni parametri in base ai quali sia possibile distinguere società e  culture diverse. Si tratta di ciò che lui  ha  definito  variabili  strutturali,  ossia  quelle  scelte  binarie di fondo che sarebbero riscontrabili analiticamente al di sotto di ogni sistema d‟azione. Queste scelte riguardano:  particolarismo  e  universalismo  la  cui differenza sta nella distinzione fra il comportamento di un amico che è ispirato ad  un  criterio secondo cui ciò che si fa per una persona particolare non si fa necessariamente per un‟altra e, quello, per esempio di un giudice ispirato al principio secondo cui la medesima regola deve valere per tutti; diffusione e specificità dove in certe forme di relazioni l‟azione può essere orientata alla considerazione  di  una  pluralità  di  aspetti della propria e dell‟altrui personalità e in altre è orientata ad un singolo aspetto;  ascrizione e acquisizione, ossia l‟importanza relativa che nel nostro comportamento attribuiamo ai tratti che caratterizzano una persona, ad  es.  per nascita  o  a ciò  che è stata o è capace di realizzare; affettività o neutralità affettiva ossia la differenza che passa tra sistemi d‟azione nei  quali  vi  è  una  gratificazione  affettiva  dei partecipanti (es. all‟interno di famiglia) e sistemi in cui questa non è prevista e il significato dell‟azione e puramente strumentale (es. nel rapporto tra un avvocato e il suo cliente); infine gli attori possono  essere  orientati  verso  interessi privati  (ad.  Esempio  l‟azione di un imprenditore) o verso interessi collettivi (secondo Parsone,  l‟azione  di  un  medico è orientata verso interessi collettivi). Riconoscere i modi secondo cui gli si dispongono rispetto a questi atteggiamenti di fondo permette secondo Parsons di descrivere i caratteri fondamentali  di  un  sistema  sociale.  E  utilizzando  le  differenze fra  particolarismo  e  universalismo  e    ascrizione  e  acquisizione  nei  suoi  studi sui


 

sistemi di società, osserva che le società moderne  si  differenziano  da  quelle tradizionali nella misura le azioni  sono  prevalentemente orientate  in  senso universalistico   e ispirati  al principio  dell‟acquisizione.

 

L’ANALISI  FUNZIONALE  DI ROBERT  K. MERTON

Dal 1941 fino al suo ritiro, Merton insegnò  alla  Columbia  University,  a  New  York. Nella sociologia Americana ha avuto una posizione di rilievo inferiore  rispetto  a Parsons. Relativamente poco interessato alla grande teoria e nello stesso tempo poco propenso a privilegiare la  ricerca  empirica. Egli  tende  a  distinguere gli  scienziati sociali che potrebbero sottoscrivere l‟affermazione “non so se quello che dico è vero, ma so  che è importante”, e quelli che potrebbero sottoscrivere l‟affermazione “non so  se quello che dico è vero, ma so che è importante”, in altre parole la differenza tra le grandi teorie inverificabili e ricerche accurate ma  irrilevanti.  Merton  propone  una  strada intermedia, quella delle teorie  a  medio raggio: una  serie  di  concetti logicamente collegati  fra  loro  ma  che non pretendono  di essere universali,  ponendosi lo scopo di costruire ponti fra ricerche diverse. Il concetto di funzione è centrale nel pensiero di Merton, ma non è la chiave di volta di una teoria omnicomprensiva della società, infatti rispetto  al pensiero  di Parsons  ci sono  delle  differenze  sostanziali.  Il suo approccio non è  funzionalistico,  ma  sostiene  un‟analisi  funzionale.  Applicando una teoria omnicomprensiva  basata  sulla  critica  del  funzionalismo,  innanzitutto  non  va considerato il postulato  dell‟unità  funzionale  della  società,  cioè che ogni elemento del sociale debba essere inteso come funzionale al sistema nel  suo  complesso,  nel senso che ciò che è funzionale dal punto di vista di certi attori non lo  è  per  altri, essendo il mondo sociale conflittuale  è  quanto  meno improbabile  identificare  un  punto di vista al di sopra delle parti in grado di decidere per tutti  che  cosa  è funzionale e cosa non lo è. In secondo luogo Merton rifiuta sia l‟idea che  tutti gli elementi di un sistema sociale debbano avere un funzione, sia  quella  che  certe  istituzioni debbano svolgere funzioni indispensabili. In terzo luogo Merton opera una distinzione tra funzioni manifeste e funzioni latenti di  ogni  fenomeno.  Questa distinzione la esplica  in  tanti modi diversi,  in uno  di questi fa riferimento  alla  nozione di consumo vistoso di Veblen, il quale  aveva  mostrato  nella  Teoria  della  classe agiata, che il consumo  può  assumere  un  significato  diverso  da quello  apparente.  Da un punto di vista apparente il consumo serve a soddisfare  certi  bisogni,  ma  come spiega nel suo volume, serve anche a innalzare lo status  sociale  attraverso l‟ostentazione della  capacità di acquistare merci costose.  Come si vede il fenomeno  è lo stesso ma i due esempi mostrano questo possa avere  funzioni  diversi.  Quindi  rispetto alla distinzione possiamo dire che la  seconda è manifesta  la  prima  è latente,  non solo non appare immediatamente allo sguardo ma può non essere percepita come tale neppure dagli attori coinvolti. Questo tipo di analisi può essere ripetuto per altri fenomeni. Il punto è che gli uomini non sono sempre coscienti degli scopi che stanno perseguendo, quindi delle funzioni che assolvono i  loro  comportamento  e  le  istituzioni del resto possono avere funzioni che non coincidono con  quelle  che  svolgono  apparentemente.


 

PER UNA  SOCIOLOGIADELLA SCIENZA

Merton, durante la sua vita si è occupato di molti temi, tra questi vi è un interesse particolare per la sociologia della scienza, un ramo della sociologia di cui è considerato l‟iniziatore. Lui osserva che l‟aspetto più evidente della relazione fra  la società e la scienza consiste nell‟esistenza di una serie di domande  che  la  stessa società pone alla scienza: la scelta dei temi di cui gli scienziati si occupano  è  determinata in gran parte dagli interessi del mondo circostante e in minima parte dalle logiche interne della ricerca scientifica. Inoltre l‟idea che la verità sia qualcosa di accertabile razionalmente mediante l‟osservazione  sistematica  e  l‟esperimento  è  l‟idea secondo cui la scienza stessa non esisterebbe: ma questa idea non nasce dalla scienza, bensì all‟interno della cultura più vasta in cui essa  è  inserita.  Per  cui  la scienza è un‟istituzione sociale. Ciò non  vuol dire che non abbia una sua autonomia.  Uno dei principali interessi di Merton riguarda le tensioni che possono manifestarsi in certe situazioni fra la  logica  propria  della  comunità  scientifica  e  il resto  della società. La logica della comunità presenta aspetti peculiari. Da un lato si basa su una serie di procedure caratteristiche, dall‟altro si fonda anche su un ethos specifico. Questo ethos attribuisce un valore chiave  al  dubbio  sistematico,  comporta  che  ogni affermazione sia verificabile intersoggettivamente e quindi  impone  il  dialogo aperto  tra  gli  scienziati,  implica la  disponibilità universale  dei  risultati  della  ricerca  e   infine richiede che ogni scienziato  sia  valutato  in  relazione  ai  meriti  del  proprio  lavoro. Nella misura  in  cui la  comunità  scientifica  si conforma  a  questi principi,  può  entrare in collisione con la società che la circonda. Rispetto a questi elementi, la sociologia di Merton si articola in un programma di ricerca empirica. Questi programmi di ricerca sono stati al centro dell‟attenzione di un gran numero di  scienziati,  tuttavia  la sociologia di Merton è stata oggetto di critiche. Egli era poco  sensibile  alle  differenze fra scienze naturali e scienze sociali, il suo atteggiamento di fondo era positivista, comportando l‟idea della cumulabilità dei  risultati  della  ricerca  scientifica  che  non  tutti  condividono.  Negli  anni  sessanta  l‟idea  della  cumulabilità  dei risultati  scientifici è stata messa in discussione da Thomas Kuhn nel suo libro “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, per  il  quale  la  scienza  è un  gioco  linguistico  fra gli altri e ha la stessa natura di ogni altro linguaggio,  Kuhn nega  la  cumulabilità  del  sapere scientifico mostrando che la storia della scienza è fatta di ricorrenti passaggi da un paradigma ad un altro, e che questi paradigmi  sono  incommensurabili.  Questa posizione tende all‟affermazione di un relativismo piuttosto radicale e  spingono  a  vedere più le dinamiche di conflitti e poteri interne al sapere scientifico che non la possibilità  di un‟evoluzione  progressiva della  conoscenza.


 

LE TEORIE DELLA VITA  QUOTIDIANA

 

ALFRED SCHUTZ  E  LA SOCIOLOGIAFENOMENOLOGICA

La sociologia fenomenologica è un indirizzo di pensiero che nasce dalla fusione della sociologia di Weber con la filosofia fenomenologica di Edmund Husserl. Il primo ad elaborare tale forma di pensiero fu Alfred Schutz che scrisse  nel  1932  La fenomenologia del mondo sociale, ponendone le basi teoriche. Da Weber, Schutz trae l‟interesse dei problemi fondamentali della teoria sociologica: azione, senso e comprensione, da Husserl invece l‟idea  stessa di fenomenologia,  ossia quella  scienza che studia ciò che appare. L‟idea fondamentale della fenomenologia è che il soggetto non è semplicemente nel mondo, ma lo costituisce. In La fenomenologia del mondo sociale, Schutz utilizza la fenomenologia di Husserl per una disamina dei concetti fondamentali di Weber, mostrando che la costruzione di tipi ideali  che  Weber intendeva come il metodo proprio dello scienziato sociale è in  realtà  qualcosa che noi tutti facciamo costantemente. Il concetto di tipizzazione è fondamentale, tipizzare appunto significa ridurre la complessità del reale a un insieme di tipi di cose  che possono succedere, di tipi di persone che si possono incontrare, di tipi di situazioni in cui ci si può imbattere. I tipi  sono  delle  rappresentazioni della  realtà,  costituendone  una classificazione. Ciascuno di noi potrebbe definire  delle  tipologie  di  fenomeni come gli pare e piace ma, concretamente ciascuno gli definisce in accordo al modo in  cui essi sono definiti nel mondo sociale  al quale appartiene.  L‟utilità  dei tipi consiste nel fatto che essi siano condivisi con gli altri. La loro funzione è quella di favorire l‟interazione sociale.  Ogni  sfera  implica  la  costruzione  di tipologie  dei fenomeni  che vi fanno parte. La sfera su cui Schutz si sofferma e  presta  particolare  attenzione  è quella della vita quotidiana, anche se non è l‟unica sfera in cui trascorriamo la nostra esistenza. Per cui a seconda della nostra attenzione  noi  viviamo  in  diverse  realtà. Anche se la realtà per eccellenza è quella dei sensi e delle cose fisiche, ossia la vita quotidiana. Ogni ordine di realtà ha delle  caratteristiche,  quella della  vita  quotidiana è che noi agiamo dando per scontato tutto ciò in cui siamo immersi. La ragione di ciò è pratica, nel senso che sarebbe impossibile porci della domande su tutto ciò che facciamo, almeno fino al momento in cui subentra nella nostra vita un problema inconsueto o una crisi che ci costringe a rivedere quello che fin lì davamo  per  scontato.

 

IL SENSO COMUNE

Il pensiero in cui siamo immersi è il senso comune. Nella vita quotidiana noi sospendiamo ogni dubbio, il senso comune è un meccanismo a tenere lontani i dubbi, dando per scontato le tipizzazioni di cui facciamo uso. Significa le intendiamo come naturali, anche se in realtà non sono propriamente naturali,  ma modi di interpretare la realtà che abbiamo appreso nella nostra esperienza e nella  nostra  socializzazione. Tuttavia Schutz ha mostrato in un saggio  dedicato  allo  straniero  che avvolte risolvere dei problemi non è sufficiente affidarsi al senso comune. Questo è il caso  dello  straniero che si trova in un situazione in cui niente è scontato, ad incominciare dal linguaggio  che  può  essere un altro.  Quindi subentra una  crisi dello  straniero  che deve


 

abbandonare un senso comune e imparare a condividerne un altro. Il senso comune funziona come un sistema condiviso di credenza. Quindi il risultato di una specie di accordo tacito, che si basa in parte sulla tradizione di un gruppo sociale e in parte è riprodotto e confermato dall‟attività di ciascuno. Questo accordo permette di dare per scontata all‟interno di una cerchia sociale determinata, una certa interpretazione della realtà,  altrimenti  il  nostro mondo quotidiano  precipiterebbe nel caos.

 

COMMENTI

Data la sua attenzione sulla vita quotidiana,  Schutz viene  inteso  come un  esponente della microsociologia, cioè  della sociologia che  si occupa  della dimensione quotidiana della vita sociale.  Questa  interpretazione  appare  molto  riduttiva,  tanto  è  che Schutz intende il proprio lavoro come  un  contributo  alla chiarificazione  dei concetti fondamentali delle scienze sociali attraverso lo studio delle forme di costituzione intersoggettiva della realtà. Il  suo  problema  è  infatti  come  sia  possibile che le scienze sociali forniscano interpretazioni adeguate del senso delle azioni degli individui e, la soluzione passa per il riconoscimento del fatto che interpretare il significato delle azioni degli altri è un problema  che  gli  individui  risolvono  di  continuo nelle proprie interazioni ordinarie. La differenza tra il pensiero delle scienze sociali e quello quotidiano riguarda i criteri con cui viene costruito il  sapere:  nel pensiero quotidiano è orientato in senso concreto non teme né „incoerenza né l‟approssimazione, in quello scientifico cerca la coerenza logica e si interroga sistematicamente sull‟adeguatezza delle sue affermazioni. Tra scienza  sociale  e pensiero quotidiano non vi è una tanto una differenza di sostanza quanto di metodo e soprattutto  di grado.

 

PETER BERGER E  THOMAS  LUCKMANN

Berger nato a Vienna nel 1929 Luckmann a Jesenice (Slovenia) nel 1927, entrambi emigrati negli Stati Uniti, hanno collaborato  con  Shutz  nella  New  school  di  New York. Pur essendo entrambi interessati alla  sociologia  delle  religioni,  per  il  resto  la loro produzione è diversificata. Luckmann si è interessato a questioni concernenti la comunicazione e l‟intersoggettività, Berger invece ha sviluppato un‟importate serie di ricerche sulla modernizzazione e  sui rapporti tra  cultura  e  economia.  Ma  ciò  che  gli ha resi famosi è il libro scritto  da entrambi “La realtà  come costruzione  sociale”.  Il libro è uno sviluppo sistematico della prospettiva di Schutz. L‟argomentazione d‟apertura contenuta nel libro prende spunto da tre moti  teorici.  La  prima  è  una lettura del pensiero di Schutz come una sociologia della conoscenza quotidiana. La seconda è l‟affermazione che la sociologia della conoscenza quotidiana è il perno principale della sociologia.  La  terza  è  la  tesi secondo cui questo approccio consente di fare interagire le due prospettive  fondamentali  della  sociologia,  cioè  quella proposta da Durkheim, riguardante l‟apparente oggettività di fatti sociali, e quella di Weber circa la priorità del senso che  gli  individui  attribuiscono  soggettivamente all‟agire. Proseguendo l‟argomentazione il  libro  evidenzia  due  momenti distinti ossia: da un lato si tratta di vedere  come la  realtà  sia  prodotta  dagli individui in interazione  fra  loro   come  una  realtà   oggettiva,   dall‟altro   come  questa  realtà  sia  interiorizzata


 

soggettivamente dagli individui. Si tratta da un lato dell‟analisi dei processi di oggettivazione, dall‟altro di quella dei processi di socializzazione. Il concetto di oggettivazione viene elaborato da Berger e luckmann in  maniera  particolare.  Per spiegare tal concetto costruiamo una  situazione  originaria  fittizia:  immaginiamo un primo uomo solo all‟interno di un certo ambiente, il  quale  dovrà  risolvere dei problemi fondamentali per la sua sopravvivenza: procurarsi il  cibo,  difendersi. Attraverso diverse prove, giungerà a riconoscere ciò che gli serve e ad imparare come farne un uso efficace. Le soluzioni  che  si saranno  rese efficaci diventeranno  modi  tipici di comportarsi, quindi abitudini. La trasformazione dell‟azione in abitudine è il primo passo verso il cammino dell‟oggettivazione. Conseguenza si tale processo è compattamento del comportamento soggettivo, con acquisizione  di  una  propria inerzia. Si prova ad immaginare un‟altra  situazione,  ossia che il  primo  uomo  incontri un altro. Inizialmente il comportamento dell‟altro apparirà problematico. Si tratta di interpretarlo, essendo l‟interpretazione una questione di comunicazione, il processo comporterà come nel primo caso prove ed errori, ma infine la comunicazione potrà considerarsi stabilita  quando  entrambi  avranno  imparato  a  tipizzarsi  reciprocamente, in altre parole i due saranno capaci di interagire reciprocamente in modo efficace. Per interagire i due hanno tipizzato reciprocamente i loro comportamenti: l‟insieme delle tipizzazioni che i due  ora  condividono  costituisce  un  insieme  di routine.  La routine è un corso d‟azione che si ripete è un‟abitudine  condivisa  il cui significato  viene  dato per scontato. Questo è il secondo  passo  verso  il processo di oggettivazione.  Infine ci si immagina  che  compaia  una  terza  persona con gli stessi problemi di comunicazione e di interazione, ma a differenza dell‟altro, potrà basarsi sul fatto che i due hanno già consolidato una struttura di interazione fra loro. Tale struttura gli apparirà come  qualcosa di già dato, in altre parole le routine che trova già costituite non saranno più l‟esito di un processo, ma qualcosa si esistente di per se. Questo ultimo è il terzo passaggio. Questo esempio dimostra che il processo  che  porta  alla costruzione comune della realtà corrisponde al processo di oggettivazione e la formazione successiva di abitudini, routine e istituzioni ne sono i  passaggi  fondamentali.  Per  quanto riguarda il processo di socializzazione possiamo dire che, nel momento in cui veniamo al mondo la realtà è già stata istituzionalizzata si tratta in  pratica di imparare come  ci si comporta.  La socializzazione primaria  è la  prima tappa per sapere ciò  che  è necessario per muoversi nella società in cui si è immersi. Quindi il senso comune di coloro fra i quali cresciamo diventa per noi naturale. I vari processi di socializzazione secondaria articolerà questo  bagaglio  iniziale  senza  mettere  in  discussione il carattere di fondamento naturale del nostro senso della  realtà.  Continuando  nella  loro esposizione berger e Luckmann ci offrono molti altri passaggi tra questi la  trattazione  dei problemi concernenti il linguaggio e come  si  verifica  il  mutamento  sociale.  La realtà e una costruzione sociale che noi usualmente diamo per scontata. In linea di principio ciò che è stato istituzionalizzato può essere deistituzionalizzato. Ciò avviene quando si generano movimenti sociali, in altre parole quando  alcuni  membri  della  società avvertono il bisogno di interpretare il mondo in modo diverso da quello fin li ritenuto  scontato.


 

L’ETNOMETOEDOLOGIA

Schutz è stato anche l‟ispiratore dell‟etnometodologia, la corrente di pensiero di cui è principale esponente e Harold  Garfinkel.  Il termine  etnometodologia intende lo  studio dei modi o metodi con i quali i soggetti situati i contesti culturali di volta in  volta  diversi, danno senso alla loro esperienza e cooperano alla costruzione dell‟universo sociale in  cui interagiscono.  In  altre  parole e lo  studio  dei modi nei quali si organizza la conoscenza che i soggetti  adoperano  nel  corso  delle loro  attività, degli innumerevoli  incontri,  scambi e conversazioni che riempiono  la  vita  quotidiana.

 

L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO E LA TEORIA DELL’ETTICHETTAMENTO

Il termine interazionismo simbolico è stato proposto dal sociologo di Chicago Blumer negli anno trenata, ma ha avuto una diffusione negli anni sessanta, indicando un approccio teorico che si focalizza sull‟interazione e sul suo carattere simbolicamente mediato (comprensibile solo attraverso il riferimento all‟interpretazione che gli  attori stessi danno della  situazione  in  cui sono coinvolti).  Si può riscontrare una certa analogia per quanto riguarda l‟approccio teorico e gli interessi della ricerca dell‟interazionismo simbolico con la sociologia fenomenologia e l‟ etnometodologia, anche se nel interazionismo  simbolico  tendono a concentrarsi soprattutto sui processi di formazione dell‟identità degli individui. L‟identità è un prodotto di un processo autoriflessivo nel quale il soggetto si confronta con le definizioni di se stesso che si sostanziano nei discorsi con gli  altri.  Da questo punto l‟interazionismo  simbolico giunge  alla  cosiddetta teoria dell‟etichettamento,  teoria utilizzata  soprattutto negli  studi sulla devianza compiuti negli anni sessanta da alcuni ricercatori tra cui Becker. L‟idea centrale di questa teoria è che la devianza sia un processo d‟interpretazione di determinati comportamenti, piuttosto che un fenomeno dotato di un sua indiscutibile oggettività. Becker pensa ai devianti in senso ristretto della parola, non coloro che deviano  in  un modo o nell‟altro  dai comportamenti standard, ma coloro che sono posti ai margini della società perché si ritiene che il loro comportamento offenda le regole basilari  della  vita  in  comune. Quindi pensa ai drogati, ai vagabondi ai ladri,  ecc.. Analizzando  queste figure  possiamo dire che la devianza  sia più un‟interpretazione del comportamento che il comportamento stesso. Questo ragionamento ha due implicazioni. La prima  è che il  processo dicostruzione sociale della realtà va inteso come un processo di interpretazione, la seconda e che questo processo ha degli aspetti conflittuali  che mettono in gioco il  potere che i diversi soggetti hanno di imporre la propria interpretazione. Per es. è molto più difficoltoso rendere efficace l‟etichetta per uno studente che chiama  criminale  un poliziotto  piuttosto che il contrario. In ogni società esistono istituzioni  specifiche dotate del potere di attribuire  etichette  che trasformano la  vita  di una persona nel senso che danno forma ad una serie di aspettative tali  da trasformagli  l‟identità.   Inoltre  l‟etichetta viene interiorizzata nel senso che colui che è stato etichettato per un certo comportamento, è probabile che sia spinto a comportarsi di conseguenza. La teoria dell‟etichettamento non è una teoria complessiva della devianza, nel senso che la possibilità  di produrre etichette  efficaci rimanda  in  ultima   analisi  alla distribuzione


 

del potere all‟interno della società, senza, peraltro, dir nulla sulle origini e sulla distribuzione  del potere stesso.

 

ERVING GOFFMAN

L‟opera di Goffman è uno dei contributi più interessanti della sociologia  nordamericana, il suo approccio è definito drammaturgico, nel senso che  il  teatro  diventa per lui la metafora che permette di capire come le persone agiscono nella vita quotidiana. Nel teatro vi sono una scena e una retroscena, sulla scena recita una parte sforzandosi di produrre nel pubblico certe impressioni, nel retroscena si prepara alla scena discutendo con il regista o con i  suoi  collaboratori,  abbandonando  il personaggio che recita sul palco. Allo stesso modo nelle interazioni con il pubblico ciascuno di noi si sforza di produrre certe impressioni: di sostenere un ruolo,  di suscitare negli altri un atteggiamento non ostile nei sui confronti. Ma c‟è anche il retroscena ossia la sfera privata i momenti  di  autoriflessione  dove  insomma prepariamo le nostre nuove prestazione. Nel teatro si finge. Ma fra l‟attore  e  gli spettatori si stabilisce un accordo  che  inquadra  ciò  che sta avvenendo  almeno  fino  alla fine dello spettacolo. Nella vita quotidiana avviene qualcosa di simile. In ogni situazione si instaura un accordo implicito (inteso come la produzione di una cornice cognitiva) tra le persone coinvolte che definisce appunto la  circostanza  in  cui  ci si trova. Goffmann analizza come quotidianamente siamo impegnati ad incorniciare e reincorniciare le  situazioni  in  cui siamo  coinvolti.  I messaggi attraverso  cui definiamo le situazioni sono dei  metamessaggi; quei  messaggi  impliciti  che  sono  al  margine della comunicazione, quindi una sorta di comunicazione non verbale. La metafora metaforica è prospettata da Goffmann  in  “La vita quotidiana come rappresentazione”.  Il libro più noto è “Asylums” basato su una ricerca  empirica. Goffmann  si  fa assumere per un anno come infermiere in un ospedale psichiatrico per studiarne il funzionamento. Giungendo alla conclusione che invece  di  curare,  il  manicomio produce la fissazione del paziente dell‟identità patologica di cui è affetto, che si pretenderebbe di modificare. Dopo Asylums  Goffmann  ha  pubblicato  altri  volumi  i più noti sono “Relazioni in pubblico” e “Frame analysis”. Il suo interesse come dimostrano i sui lavori è  concentrato  sull‟interazione  sociale,  con  particolare riferimento all‟interazione faccia a faccia, cioè quella dove due i più attori sono fisicamente  compresenti nella  medesima  scena.

 

 

Fonte: http://www.riassuntisdf.altervista.org/wp-content/uploads/2013/01/Il-Mondo-in-questione-1.pdf

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