Riassunto pedagogia generale

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Riassunto pedagogia generale

PREFAZIONE

 

La pedagogia può essere paragonata alla fenice, un animale fantastico della mitologia greca che aveva la capacità di rinascere dalle proprie ceneri conservando la propria natura. La pedagogia – infatti- è una disciplina in divenire; è una disciplina che prende in considerazione diverse istanze disciplinari e si trasforma senza perdere la propria natura ( dismorfica e complessa) e senza trascurare il proprio oggetto d’indagine: la formazione della specie umana. Una delle caratteristiche particolari della pedagogia è la sua funzione meta-riflessiva, la quale non la spinge verso delle soluzioni sicure ma verso degli equilibri che sono momentanei e soggetti a futuri mutamenti. Da ciò si evince che intorno alla pedagogia ruota il concetto di dinamicità e quello di ricerca (intesa come ricerca della propria identità perduta o in trasformazione) i quali si collegano alle idee che uniscono la pedagogia alle altre scienze dell’educazione e che ne sostengono la complessità. Intorno alla pedagogia ruotano diversi problemi: 1) la pedagogia può essere interpretata come scienza o come filosofia?; 2) la pedagogia che rapporto intreccia con le scienze dell’educazione;3) come è possibile orientarsi nei molteplici oggetti della pedagogia, scoprendone l’unitarietà?
Il primo problema può essere interpretato in chiave storica e problematica. La lente storica mette in evidenza che il dibattito scienza, filosofia e pedagogia è stato un alternarsi di punti di vista che non si è arrestato con la nascita delle scienze dell’educazione perché esse hanno fatto emergere nuovi problemi epistemologici, i quali hanno attivato la ricerca di uno statuto per la pedagogia. La data di nascita della pedagogia – intesa come scienza- coincide con il 1967/ 1968, quando essa ha riconosciuto come oggetto della sua ricerca il processo formativo e ha chiarito il suo rapporto con la filosofia e con la scienza: la prima è una riflessione fatta sui problemi dell’educazione; la seconda porta la pedagogia verso la concretezza.
La lente della problematizzazione, partendo dalla crisi d’identità della disciplina, si propone di cercare percorsi che hanno permesso ad essa di definire il proprio statuto epistemologico. Infine è importante sottolineare che la pedagogia – negli ultimi anni- si presenta come una disciplina che problematizza e
ri-tematizza la propria identità in linea con l’evoluzione dei concetti di scienza e filosofia. Essa – quindi- è una scienza che ha individuato il proprio oggetto d’indagine; che è indipendente ma ha bisogno di altre discipline che la integrano; è una scienza olistica, in divenire, dinamica, complessa, polimorfa, ma capace di individuare una propria identità.

PARTE PRIMA: LA PEDAGOGIA E’ SCIENZA E/O FILOSOFIA? PREMESSA

La pedagogia esprime la sua complessità epistemologica nel suo pluralismo e nella sua insita dialetticità i
quali mettono a fuoco ulteriori caratteri della pedagogia, quali: la dinamicità, la ricerca e la retroazione. Il concetto di dinamicità esprime sia la dialettica che c’è tra i vari aspetti che compongono l’architettura della pedagogia, sia la sua tendenza a progettare nuove soluzioni e individuare nuovi possibili indirizzi di pensiero per la formazione dell’uomo. In questo modo la pedagogia cerca di costruire e ricostruire la propria identità, che è un’identità aperta e flessibile in quanto tale disciplina tende sempre a mutare e a
trasformarsi in relazione agli eventi esterni e interni che la caratterizzano. Pertanto la pedagogia anche se tende ad assumere forme sempre diverse ha la capacità di non essere altro da sé, ossia di non perdere la propria identità.

PEDAGOGIA SCIENTIFICA E PEDAGOGIA FILOSOFICA

Nel Novecento è possibile rintracciare – da un lato- la ricerca dei caratteri distintivi della pedagogia che permettono di qualificarla come disciplina autonoma; dall’altro le tappe fondamentali di 2 percorsi: quello della pedagogia intesa come scienza e quello della pedagogia intesa come filosofia. Questi due percorsi anche se sono distinti, tendono a richiamarsi costantemente l’uno con l’altro e dei punti di vista particolari mettono in evidenza l’avvicinamento della pedagogia o all’una o all’altra. Ad esempio la pedagogia si è risolta nella filosofia nel momento in cui c’è stato il passaggio dalla pedagogia scientifica del positivismo a quella filosofica gentiliana; oppure una tensione scientifica si è presentata nel confronto tra la prospettiva cattolica e quella laica, tra una pedagogia intesa come disciplina pratica e una pedagogia intesa come disciplina sperimentale e pragmatica. Un altro supporto alla scientificità è stato dato dalla diffusione del pensiero di Dewey.


PEDAGOGIA SCIENTIFICA. LE RADICIE NELLA RICERCA DI FINE OTTOCENTO

La pedagogia intesa come scienza unitaria dell’educazione è nata verso la fine dell’800 con l’emergere del Positivismo, il quale proponeva il modello scientifico (basato sull’esperienza e sull’identificazione di leggi universali) come la base di tutti i saperi, compresa la pedagogia. Infatti nel 1876 la Sinistra al potere propose – in Italia - il positivismo come il paradigma più consono ad esprimere le istanze della modernità e come la guida della pedagogia, la quale doveva mirare al rafforzamento della ricerca scientifica e alla diffusione dell’istruzione in tutti i livelli sociali. A partire da quest’epoca – infatti- la pedagogia assume un rigore sempre più scientifico, tanto da fare uso di un metodo sperimentale x spiegare la natura e il comportamento dell’uomo. I maggior esponenti del positivismo italiano sono stati: Ardigò, il quale proponeva una pedagogia intesa come un campo di tecniche oggettivabili, ossia da estendere a tutti; Gabelli che ha proposto di introdurre il metodo scientifico nell’organizzazione scolastica; Angiulli il quale promuoveva l’idea di una scuola obbligatoria, laica e gratuita; e – infine- De Dominicis che si concentrò sul condizionamento. Tra questi esponenti il più importante è stato Ardigò, in quanto egli ha introdotto in Italia il concetto di evoluzione, secondo il quale la realtà è in continuo sviluppo e si trasforma costantemente. E’ proprio su questo aspetto che il positivismo è entrato in contrasto con lo storicismo idealista, e in particolar modo sulla definizione di un residuo valoriale che non sia soggetto a tale trasformazione. In relazione a ciò il positivismo ha messo in evidenza che questo valore è a priori per l’individuo e a posteriori per la specie; lo storicismo sosteneva che ciò non è possibile perché così si rende più concreto il pericolo di un relativismo logico.
Il tentativo positivista di dar vita ad una scienza unitaria dell’educazione si è tradotto nella nascita di una pluralità di scienze dell’educazione le quali sono indipendenti ma – nello stesso tempo- avvertono l’esigenza di entrare in rapporto l’una con l’altra. In relazione alla pedagogia, i positivisti si fecero promotori del modello strumentale/tecnologico, secondo il quale il compito della pedagogia era quello di applicare nella prassi le scoperte della psicologia e della sociologia, considerate vere scienze. Quindi, secondo tale visione, la pedagogia è una disciplina ancillare alla psicologia e alla sociologia e la sua funzione è quella di mettere in luce i problemi da affrontare in campo educativo e definire il loro campo di indagine. La psicologia e la sociologia, invece, forniscono quei metodi pratici e operativi utili per risolvere i problemi e per giungere a una soluzione.  Dall’analisi di ciò si evince che verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 c’è stato un avvicinamento della pedagogia alla psicologia e alla sociologia, il quale ha permesso a tale disciplina di allontanarsi dalla concezione che la dimensione filosofica potesse essere l’unica attraverso la quale poter giungere ad un’identità. Ma in questo stesso periodo le coordinate epistemologiche che avrebbero definito la relazione tra pedagogia e scienze psicologiche e sociologiche non erano ancora ben delineate ed è per questo che c’è stata una ripresa della tradizione idealista che rappresenta un momento di rinnovata aderenza della pedagogia alla filosofia, mediante il pensiero di Gentile.

PEDAGOGIA FILOSOFICA. LA RICERA ALL’INIZIO DEL NOVECENTO

All’inizio del 1900 emerse una polemica contro i positivisti i quali vennero considerati inadeguati nell’affrontare i fenomeni spirituali, ossia fenomeni complessi. Uno dei maggior rappresentanti di questa polemica è stato Gentile, che propose una nuova idea di pedagogia: egli parlava di pedagogia filosofica, e cioè di una disciplina i cui metodi d’indagine venivano mutuati dalla filosofia e rispondevano ad un’immagine di scienza costruita su un modello filosofico. Per Gentile la filosofia rappresentava l’unica scienza perché essa- a differenza delle altre scienze le quali accumulavano una serie di dati senza interrogarsi sui concetti appresi- ha la capacità di pensare e di riflettere su i suoi stessi fondamenti. Inoltre per Gentile la filosofia è il dispiegarsi dello spirito (ossia della capacità dell’uomo di creare valori, arte e cultura) verso una maggiore autoconsapevolezza e il singolo uomo è immagine dello spirito. Per questo motivo la filosofia è pedagogia; essa – infatti- è storia della formazione dello spirito e, di conseguenza, risulta adeguata al compito di educare e formare l’individuo in base a valori prestabiliti.
La ripresa della tradizione idealista e dell’attualismo di Gentile ha orientato la relazione alunno-docente verso una visione finalistica del rapporto educativo, il quale assunse un carattere particolare: esso rappresentava il rapporto tra un soggetto che ha raggiunto la piena consapevolezza di sé ( il maestro) e che si fa guida di un altro soggetto che – invece- è inconsapevole della sua natura sia cognitiva che affettiva (l’allievo). L’alunno instaura – con il docente- un rapporto spirituale di tipo identificatorio e attraverso l’ascolto del maestro (quindi applicando un metodo filosofico e non scientifico) egli viene investito da una


serie di trasformazioni interne che lo spingono verso una maggiore autoconsapevolezza. In questo modo Gentile, anche se intendeva concentrare la sua attenzione sul processo di sviluppo dell’allievo, non ha fatto altro che sollevare due problemi: 1) il primo mette in evidenza che egli ha enfatizzato il ruolo dell’insegnante (inteso come guida del bambino) a discapito dell’allievo, considerato un soggetto ancora intrappolato negli inganni dei sensi e che solo attraverso la formazione poteva avere la possibilità di accedere al mondo della cultura e di raggiungere la consapevolezza di sé. 2) Il secondo problema è legato alla pedagogia che – con Gentile- si è configurata come teoria dell’autoformazione dello Spirito e si è risolta nella filosofia. Ciò significa che la pedagogia vale solo se è filosofia.

PEDAGOGIA CATTOLICA E PEDAGOGIA LAICA

La Riforma Gentile è stato l’emblema della pedagogia italiana sino al secondo dopoguerra. In questo periodo cominciò ad emergere l’esigenza di individuare nella pedagogia una disciplina autonoma; si pose il problema della sua scientificità; cominciò ad essere individuata come disciplina autonoma e si analizzarono i suoi diversi aspetti. In questo nuovo dibattito epistemologico relativo alla pedagogia emersero due posizioni interpretative diverse per la loro concezione di uomo, di realtà e di storia: quella cattolica e quella laica.

PEDAGOGIA CATTOLICA. UNA DISCIPLINA PRATICA E POIETICA

La pedagogia cattolica riprese e rielaborò alcuni temi dell’idealismo gentili ano anche se partiva da postulati diversi: essa – infatti- non accettava l’immanentismo di Gentile, ma tentò comunque l’assimilazione dell’attualismo avanzando l’ipotesi che l’idealismo avesse mutuato i suoi principi dalla tradizione cristiana. (prendere appunto dalla pennina…)

PEDAGOGIA LAICA. LA “SCOMMESSA” SU UNA DISCIPLINA DI RICERCA

In questi anni emerse anche la pedagogia laica, la quale ha introdotto il pensiero di Dewey nella pedagogia e cultura italiana. Ciò rappresentò il tentativo di superare l’attualismo e il totalitarismo politico di Gentile e di dar vita ad un nuovo modello pedagogico il quale si proponeva di formare e sviluppare delle comunità in cui ogni individuo fosse responsabile sia da un punto di vista morale che sociale.
Nel rapporto alunno-insegnante l’attenzione è stata posta sull’alunno il quale non veniva più visto come un soggetto passivo, un “vaso vuoto” da riempire con nozioni che non mutavano mai nel tempo e che venivano trasmesse da un docente dotto; piuttosto come un soggetto attivo pronto ad interagire con l’ambiente per sviluppare sempre di più le sue qualità naturali. In questa nuova prospettiva sia la pedagogia che l’educazione sono cambiate: la pedagogia si è impegnata maggiormente sul piano politico e sociale; l’educazione non è stata più concepita come preparazione alla vita (in quanto la società non è statica, ma dinamica); bensì come un processo che non si conclude mai e che è sempre pronto ad evolversi in relazione ai cambiamenti sociali. Pertanto ogni educazione dipende dall’interiorizzazione della coscienza sociale della propria comunità da parte dell’individuo che impara a conoscersi prendendo in considerazione le stimolazioni ambientali e i feedback di risposta che riceve dalle proprie azioni. Questa apertura dell’educazione verso la società è stata proposta da Dewey e portata avanti da una serie di intellettuali che si riunirono intorno alla rivista “scuola e città” di Cordignola. Dewey è stato un gran rivoluzionario per la pedagogia italiana in quanto: 1) si fece promotore del concetto di pedagogia intesa come scienza; 2) introdusse il circuito prassi-teoria-prassi secondo il quale la pedagogia deve partire dalla realtà e dall’esperienza per formulare delle ipotesi (definite ipotesi di lavoro) le quali devono essere prima verificate (da un punto di vista teorico) e poi attuate nella nuova prassi. 3) promosse l’idea di una società educante, e cioè di una società che attraverso l’educazione riusciva ad emanciparsi. Dewey parlava di educazione democratica in quanto il metodo della democrazia coincideva con quello sperimentale perché esso si preoccupa di sperimentare le soluzioni migliori per risolvere i problemi che si presentano quotidianamente in vista di un fine specifico: quello di una società libera e democratica.
L’idea di una scuola attiva deweyana e i valori proposti dalla pedagogia cattolica hanno propugnato la collaborazione tra pedagogia e altre discipline e sviluppato una visione interdisciplinare e pluralistica che sottendeva la necessità di più metodologie d’indagine nella ricerca educativa.
Nei confronti dei cattolici, i laici hanno ripreso – nuovamente Dewey- perché egli sosteneva che non ci sono dei valori assoluti verso i quali tende l’individuo, ma gli obiettivi e gli scopi che ciascuno si propone di


raggiungere prendono forma nell’esperienza e si traducono in progetti sperimentali. Con il termine “sperimentale” Dewey indicava la formae mentis dello scienziato, il quale indaga la realtà per giungere a delle nuove idee. Pertanto, in questa ottica, l’esperienza si propone come quello strumento al servizio della scoperta di nuove conoscenze che non essendo mai definitive assumono l’identità di credenze condivise.
I concetti presentati da Dewey sono stati ripresi anche da De Bartolomeis, il quale ha scritto due testi importanti: “la pedagogia come scienza” e “la ricerca come antipedagogia”. In quest’ultima la ricerca dell’identità della pedagogia è stata sostituita dall’esigenza di configurare tale disciplina come attività di ricerca. Infatti – secondo De Bartolomeis- la pedagogia autentica deve essere continua ricerca di soluzioni (attraverso ipotesi di lavoro e di intervento) e si deve opporre alla pedagogia intesa come insieme di valori prestabiliti. La pedagogia – in questo senso- si proponeva di agire sull’alunno e sulle sue capacità utilizzando un approccio interpretativo che andava ad analizzare i processi dell’educazione.

3 PEDAGOGIA COME DISCIPLINA. VERSO UNA TEORIA DELL’EDUCAZIONE

Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 la teoria dell’educazione cominciò a distinguersi dalla filosofia, anche se la sinergia tra teoria dell’educazione, filosofia e ideologia non poteva scomparire del tutto in quanto le implicazioni ideologiche della filosofia influenzano i percorsi di sviluppo della pedagogia. Nonostante ciò è importante fare una distinzione tra filosofia dell’educazione, la quale rispecchia la cultura dominante; e la teoria dell’educazione che vedeva nel rinnovamento della società un modello rappresentativo del carattere progettuale della pedagogia. La tensione ideologica può essere intesa sia come attrazione politica o filosofica; sia come quel termine che stimola la tensione interna della pedagogia che la spinge ad uscire fuori da se stessa, a ricercare un’identità persa nelle varie sovrastrutture ideologiche e/o filosofiche e nelle altre discipline, e a ritrovarla nella sua natura pluralistica ma – nello stesso tempo- autonoma. Infine è importante sottolineare che accanto al discorso sul configurarsi di una teoria dell’educazione autonoma dalla filosofia e dall’ideologia si è affiancata l’esigenza di definire lo specifico settore disciplinare di ricerca della pedagogia tra più scienze.

QUALE RICERCA E’ LA PEDAGOGIA?  DENTRO LE SCIENZE DELL’EDUCAZIONE.

Negli anni ’50 la pedagogia cominciò – da un lato- ad avviarsi verso la sua frammentazione; dall’altro a riconoscere la propria unitarietà. Tra gli anni ’70 e ’80 la pedagogia cominciò a riconoscersi come “scienza applicata”, ossia come una scienza che lavorava su ipotesi di lavoro e su materiali provenienti da altre discipline e che si proponeva di raggiungere degli obiettivi specifici seguendo il circuito prassi-teoria-prassi. Una prima idea di frammentazione della pedagogia è stata promossa da Dewey, il quale riteneva che una vera scienza non si basa su conclusioni isolate, ma su più scoperte che – unendosi tra loro- danno vita ad un sistema coerente. In questa prospettiva i materiali, le fonti che derivano dai vari saperi diventano contenuto della scienza dell’educazione (secondo Dewey) nel momento in cui sono mossi da intenzionalità educativa, possono essere rielaborati sui problemi di natura pedagogica e verificati empiricamente nelle pratiche educative. Tuttavia le “scienze dell’educazione”( ossia l’articolarsi della pedagogia in una molteplicità di specializzazioni) sono nate nel secolo scorso, quando ci si è resi conto che l’educazione è troppo complessa per essere studiata da un’unica disciplina. Secondo De Barolomeis le specializzazioni possono essere definite pedagogiche nel momento in cui c’è una convergenza tra loro sui problemi educativi; mentre più scienze dell’educazione possono essere messe insieme nel momento in cui perseguono finalità di ricerca rivolte all’istruzione, all’educazione e alla formazione.  All’interno delle scienze dell’educazione sono state distinte le scienze pedagogiche: le prime sono più teoretiche; le seconde metodologiche. Tale distinzione è stata portata avanti soprattutto da autori francesi (come Debesse e Mialaret) i quali – sin dalla fine dell’Ottocento- cominciarono ad affiancare al termine pedagogia quello di scienze dell’educazione e, successivamente, numerose cattedre universitarie presero il nome di “scienze dell’educazione”.
La nascita delle scienze dell’educazione è stata importante per la pedagogia perché tali scienze hanno confermato sia la sua natura scientifica sia la sua natura teoretica che, non essendo più legata ad una filosofia sistematica e analitica ma ad una filosofia ermeneutica e critica, ha permesso alla pedagogia di ritrovare la propria intenzionalità riflessiva senza entrare in contraddizione con la sua stessa scientificità. Pertanto le scienze dell’educazione hanno favorito la concretizzazione della vena sperimentale di tale


disciplina e – nello stesso tempo- hanno dimostrato che l’elemento di natura scientifica non poteva precludere l’accesso agli ambiti di criticità i quali hanno dato un forte contributo nella strutturazione della “scientificità disciplinare”.

FILOSOFIA, SCIENZA E IDEOLOGIA: PER UNA TEROIA DELL’EDUCAZIONE

Per analizzare a fondo il rapporto tra filosofia dell’educazione, scienza dell’educazione, ideologia e teoria dell’educazione è opportuno ripartire dall’idealismo, il quale ha influenzato per lungo tempo la cultura italiana e ha spinto la filosofia a conformarsi allo status quo. In questa prospettiva, se la filosofia si presentava come sviluppo dello spirito che tende verso la sua forma assoluta, la quale si realizza nell’organizzazione dello Stato, la teoria dell’educazione non poteva fare altro che avallare l’ideologia esistente: per Hegel quella dello stato prussiano; per Gentile quella del regime fascista.
Questa ispirazione filosofica fu talmente forte che riuscì a persistere negli anni successivi e ad accordarsi alla politica e alla società nonostante i radicali mutamenti. Infatti, nel dopoguerra cominciarono a muoversi i primi passi verso la Repubblica e verso una scuola democratica e defascistizzata (soprattutto per opera dei partigiani); anche se non si intendeva delegittimare la riforma Gentile e la sua impostazione classista e dualistica, così come le basi idealiste e spiritualiste che ancora permeavano la scuola. Tuttavia gli imminenti mutamenti storici – come l’istituzione (durante la Rep. dell’Ossola) di una commissione autonoma la quale aveva il compito di riorganizzare la scuola- hanno spinto la pedagogia ad aprirsi maggiormente alle problematiche sociali e a puntare verso un’educazione democratica, ossia verso un’educazione intesa come “progresso sociale”. In questa prospettiva l’educazione è la base del progresso e delle riforme le quali devono partire dalla scuola per poi giungere nella società. Pertanto l’educazione rappresenta il metodo del progresso; la democrazia il progresso stesso. Facendo una sintesi tra l’uno e l’altro possiamo dire che l’educazione è il metodo della democrazia. Ciò vale sia per l’educazione cattolica che per quella laica, in quanto i primi puntano sul rispetto dell’individuo inteso come persona; i secondi si fanno promotori di un’educazione attenta alle esigenze di giustizia e libertà dei soggetti. Per questo motivo l’educazione è educazione alla libertà, nel senso che ciascun individuo si auto-limita per l’interesse della comunità.
Alla filosofia di stampo idealista, gli esponenti di sx (i quali si concentravano intorno alla rivista “Riforma della scuola”) opposero una nuova figura di intellettuale e una scuola democratica. Il nuovo intellettuale aveva il compito di riformare la scuola riducendo le distanze tra teoria e prassi, tra struttura e sovrastruttura; e questo suo compito doveva prescindere dagli interessi della classe dominante. La scuola democratica non doveva più essere organizzata in base al ceto di appartenenza o all’ideologia partitica degli allievi, bensì in base ai loro interessi e alle loro necessità. Inoltre doveva essere una scuola aperta al sapere scientifico, al quale la comunità era chiamata a partecipare; una scuola politecnica, ossia una scuola dove istruzione e lavoro camminavano di pari passo; una scuola con un’unica impostazione di studi. Negli anni ’60 una figura importante è stato Gramsci, che propose e attuò la scuola media unica grazie alla quale si è superata la differenzazione tra borghesia e masse subalterne e ci si è mossi verso un’educazione democratica, popolare, laica e civica.
Broccoli riteneva che la pedagogia, affinchè potesse essere considerata una scienza capace di trasformare la società e gli individui che la costituiscono doveva calarsi nella comunità, nelle sue problematiche e nelle sue dinamiche storiche in quanto basandosi solo sul metodo scientifico si allontana dalla prassi perché esso, con la sua pretesa onnicomprensiva, è soggetto alle mistificazioni dell’ideologia.

SECONDA PARTE: LA PEDAGOGIA E’ UNA “SCIENZA” DELL’EDUCAZIONE? PREMESSA

Nel 1900 le riflessioni sulla scientificità della pedagogia hanno spostato l’asse epistemologico da un’idea di pedagogia intesa come disciplina ad un’idea di pedagogia intesa come scienza dell’educazione. Parlare di pedagogia come scienza non significa sostenere che essa sia soltanto ciò in quanto la metafora della fenice pedagogia ha dimostrato che la pedagogia mostra più facce di se stessa, e in particolar modo quella scientifica e quella filosofica. Questi aspetti convivono sempre insieme e - hanno la capacità di riconoscere con criticità riflessiva il loro divenire in fieri. In questo modo c’è un’evoluzione dal paradigma del moderno a quello del postmoderno che investe sia la filosoficità della pedagogia sia il suo approccio scientifico, il quale è soggetto anche ad un’altra evoluzione: quella dalla sistematicità alla complessità. Ciò significa che tale


approccio si sviluppa parallelamente al costruirsi e il ricostruirsi dell’idea di scienza. L’esigenza della pedagogia di configurarsi come scienza affonda le proprie radici nel 1700: anno in cui nacque il paradigma scientifico e ci fu la diffusione delle idee di Locke, il quale affermò che l’esperienza era molto importante per la conoscenza. Nell’800 il paradigma scientifico si è sostanziato nelle teorie dei positivisti ed è proprio in questo secolo, soprattutto sotto la spinta di Herbart, che ebbe inizio il dibattito sulla fondazione scientifica della pedagogia. Più tardi il metodo scientifico di Comte e il suo relativo approccio hanno influenzato la costruzione dell’identità della pedagogia intesa come scienza; ossia la costruzione di un’identità che aveva oggetto e metodo ben definiti. Questa esigenza di scientificità (che attraversò il corso dell’intero ‘800) nel 1900 si indirizzò verso una riflessione consapevole sulla peculiarità (ossia sulla particolarità) della pedagogia e – in questo stesso secolo- l’attenzione della ricerca si concentrò su una serie di nodi problematici rilevanti per la definizione dello statuto epistemologico della pedagogia intesa come scienza.
Un primo problema riguarda la definizione della pedagogia, in quanto non si sa se intenderla come scienza, filosofia, come entrambe, come arte, educazione,scienza dell’educazione.
Il secondo problema è nato dal fatto che la pedagogia – nella seconda metà del ‘900- si è parcellizzata in una molteplicità di saperi: infatti sono nate le scienze dell’educazione. In relazione a ciò si pongono diversi quesiti: 1) il primo si chiede da quanti e da quali saperi può essere composta la pedagogia per essere definita disciplina autonoma; 2) il secondo si chiede se tali saperi la compongono o la circondano; 3) il terzo si propone di individuare quale relazione epistemologica c’è tra la pedagogia e questi saperi in quanto non è possibile individuare una sicura corrispondenza tra scienze pedagogiche, scienze dell’educazione e scienze della formazione. Esse – infatti – sono diverse: le prime rappresentano le possibili direzioni pedagogiche nei differenti ambiti di tecnicizzazione; le seconde rappresentano discipline concorrenti alla pedagogia le quali - da un lato- cercano di destabilizzarla; dall’altro l’aiutano a cogliere la propria unitarietà. Le terze si uniscono con tutte quelle discipline che si avvicinano allo studio della formazione dell’uomo.
Tuttavia il problema – oggi- è che non è facile decidere se la pedagogia può essere considerata una delle scienze dell’educazione, così come sosteneva Massa nel 1975 il quale proponeva che alla pedagogia le fosse attribuito uno statuto diverso attraverso il quale essa poteva essere considerata una delle scienze dell’educazione; non è facile stabilire quali rapporti regolativi ha con le diverse discipline a cui si lega o se si avvicina di più alle scienze pedagogiche piuttosto che alle altre. A questi nodi problematici si raccorda, inoltre, un ulteriore questione che mette in discussione l’idea della pedagogia come scienza.

PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE

Nel momento in cui la pedagogia L’idea che la pedagogia ha sentito una tensione interna che l’ha spinta a scomporre la propria unitarietà e – nello stesso tempo- a porre le basi per ricercarla, è nato un dibattito che si propone di definire – in primo luogo- la quantità e la qualità delle scienze dell’educazione; in secondo luogo il rapporto che intercorre tra esse. Infine, dopo aver stabilito che la pedagogia è una scienza con un proprio oggetto e dei propri metodi d’indagine, in questo dibattito ci si chiede come la frammentazione della materia e la ricerca di uno statuto epistemologico ben definito possano coincidere.

QUALE RUOLO HA LA PEDAGOGIA? FUORI DALLE SCIENZE DELL’EDUCAZIONE

La ricerca di un punto di equilibrio tra l’idea della pedagogia come scienza dell’educazione e l’espressione del sapere pedagogico in una moltitudine di scienze dell’educazione ha aperto un dibattito sull’interdisciplinarietà, all’interno del quale si pongono diverse questioni.
Il primo problema riguarda il rapporto tra la pedagogia e le altre discipline; a tal proposito una figura importante è stato Visalberghi, il quale – da un lato- ha fatto una distinzione tra rapporti pluridisciplinari, interdisciplinari e transdisciplinari; dall’altro sosteneva che le scienze dell’educazione sono legate da un rapporto pluridisciplinare perché sono motivate dalle stesse finalità e/o da comuni ipotesi d’indagine, pur restando indipendenti.
Il concetto di unità funzionale e pragmatica si basava – invece- su un’idea diversa di pedagogia: essa veniva intesa come una rete di saperi legati da rapporti transazionali che favoriscono la modifica dei dati durante l’osservazione e fanno si che ogni indagine sia soggetta a criteri di relatività e indeterminismo.
Un’altra questione sulla quale molti si sono soffermati fa riferimento alla difficoltà che si trova nel definire un autonoma identità della pedagogia, la quale mutua apporti diversi da una molteplicità di scienze e si


avvale di una teoria che senza la prassi non può esistere. La difficoltà che la pedagogia ha nel trovare una propria identità va ad incentivare l’approccio interdisciplinare, il quale può essere interpretato anche in chiave strutturalista. Secondo tale prospettiva la pedagogia non può essere identificata con nessun sapere in particolare perché non esiste nessun ambito che risulti esaustivo per le problematiche educative. Per questo motivo si prendono in considerazione tutte le scienze dell’educazione le quali si propongono – come obiettivo- di formare l’uomo e instaurano con la pedagogia un rapporto di cooperazione e condivisione, e non più di subordinazione di tale disciplina ad esse. Il termine “interdisciplinarietà”, infatti, indica proprio la condivisione reciproca di metodi d’indagine senza che ogni materia si privi della propria identità. Tale modello è stato definito interdisciplinare/specialistico.
Molti studiosi – poi- si pongono un ennesimo interrogativo: se delle materie affini possono condividere lo stesso oggetto d’indagine e se lo possono analizzare da un punto di vista comune o condivisibile. Secondo la prospettiva pragmatica e funzionale, prendere in considerazione il solo oggetto di ricerca non basta perché esso molto spesso è complesso e difficilmente delimitabile e – quindi- non garantisce l’unità della disciplina. Inoltre, anche se si riuscisse ad individuare un oggetto di ricerca comune a più scienze dell’educazione, risulterebbe complesso identificare i modi attraverso i quali esse cooperano. Per questo motivo l’unico elemento di relazione tra le scienze dell’educazione può essere identificato nelle problematiche comuni che si pongono in gioco nel momento in cui viene identificato un indirizzo di ricerca da perseguire insieme. Questa interazione è stata messa in discussione per approdare all’individuazione di un metodo ermeneutico per le scienze dell’educazione: ossia di un metodo che non si limita ad omologarsi a quello scientifico (che – a sua volta- cerca di ridurre le relazioni tra le scienze dell’educazione in rapporti finalizzati a promuovere il carattere empirico e pragmatico dell’azione educativa) ma che si apre anche ad una dimensione teorica e meta-riflessiva, la quale rappresenta una caratteristica particolare del pluralismo pedagogico. Questo carattere pluralistico e dinamico della pedagogia rappresenta una delle fonti della multiformità di oggetti di studio e metodi d’indagine che emergono nell’ambito educativo; infatti il percorso storico della pedagogia è un altro fattore che ha contribuito a dar vita a tale situazione in quanto i metodi – nel tempo- si sono modificati in conformità al cambiamento delle idee o della cultura. Infatti è scorretto parlare di storia, filosofia e scienza in quanto ciò che esiste è il modo di fare storia, filosofia e scienza che tende ad evolvere nel tempo.
L’approccio meta-riflessivo si propone di arrivare ad un mondo meta-empirico (senza staccarsi da quello empirico) attraverso delle categorie che fanno riferimento alle esigenze interpretative dell’uomo e non attraverso delle categorie metafisiche. La dimensione teorica – invece- si rifà ad una filosofia che non utilizza più lo strumento logico per razionalizzare la pedagogia, ma per conoscere la sua specificità epistemica. In questo ambito si sono sviluppate – sia nella pedagogia filosofica che in quella scientifica- il concetto di trasversalità delle conoscenze e delle competenze e il concetto di trasferibilità della conoscenza competente (la quale indica la capacità di trasferire delle conoscenze in un campo diverso da quello in cui esse sono state apprese).

FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE, METATEORIA E RAGIONE CRITICA.

Molti studiosi si sono chiesti se la filosofia dell’educazione può rientrare nell’ambito delle scienze dell’educazione. La risposta può essere doppia: 1) se si prende in considerazione il carattere empirico e sperimentale e l’aspetto ipotetico/deduttivo di una scienza, la risposta è negativa; 2) se con il termine scienza si indica sapere, la risposta è affermativa in quanto la filosofia dell’educazione viene riconosciuta come un aspetto integrativo e costitutivo della pedagogia. Essa rappresenta il criterio regolativo che unisce e compie una riflessione critica sulle linee guida della pedagogia: la complessità, lo storicismo inteso come pluralismo, la storicità e la deonticità, ossia l’apertura della materia a modelli utopici.
Da un punto di vista pluralistico è possibile distinguere tre momenti - nell’ambito pedagogico: l’aspetto empirico e sperimentale, che lega la filosofia al modello delle scienze esatte; la dimensione filosofica e storica, che lega alla pedagogia a valori già definiti; l’aspetto epistemologico e metateorico il quale si basa su di un modello capace di cogliere i nessi tra la teoria e la prassi; un modello nel quale la disciplinarietà non è determinata a priori in quanto l’oggetto di ricerca si modifica lungo il suo percorso storico a seconda delle influenze ambientali, situazionali e agli orientamenti di ogni disciplina. Infine esso è un modello che considera le motivazioni al teorizzare educativo degli aspetti che possono garantire la scientificità del discorso pedagogico.


Prendendo in considerazione il rapporto pedagogia-psicologia è importante far riferimento al modello di interazione transattiva in quanto è in esso che la relazione tra le due discipline si rafforza. Questo modello si propone di definire l’oggetto della ricerca educativa, le sue metodologie e il suo linguaggio e si presenta come una sintesi rispetto al modello scientifico e all’orientamento teoretico. Rispetto al primo il modello transattivo avverte l’esigenza di trovare delle leggi generali, ma a tale esigenza affianca un atteggiamento critico che pone sempre nuovi interrogativi. Rispetto all’orientamento teoretico – che tende a limitare e invalidare le possibilità d’azione delle due discipline- il modello transattivo soddisfa l’esigenza di verificare i dati sia sul piano epistemologico, ma – in particolare- su quello pratico. In questo modo si tende a quantificare e valorizzare l’intenzionalità operativa, progettuale e autocritica delle due discipline.
In questa prospettiva il problematicismo (il cui max esponente è Bertin) mette in evidenza il carattere problematico della realtà e la complessità che domina il rapporto uomo-mondo. Inoltre il problematicismo si lega al razionalismo critico di Banfi perché la razionalità si pone come quel principio concreto che – insieme ad un’etica dell’impegno- riesce a risolvere la problematicità della realtà la quale deriva dalla consapevolezza che il processo d’esperienza è infinito. Da un punto di vista pedagogico il problematicismo svolge un ruolo critico e interpretativo sulla prassi educativa, che si ritrova tesa tra una molteplicità di approcci disciplinari e tra il versante filosofico e scientifico.
Dall’analisi di tutto ciò si evince che con il ritrovare un senso specifico alla filosofia dell’educazione e con le problematiche che ne sono derivate, si è rimessa in discussione l’identità della pedagogia, facendo riferimento sia al suo rapporto con altre discipline, sia alla sua stessa natura la quale può essere interpretata nelle scienze dell’educazione o oltre: in questo senso la ped. può essere intesa come scienza dell’educazione.

PEDAGOGIA COME SCIENZA DELL’EDUCAZIONE

Con il costituirsi delle scienze dell’educazione ( seconda metà del Novecento) la pedagogia attraversò una crisi d’identità che la portò ad indagare le possibili modalità di relazione con le altre discipline e le caratteristiche attribuibili alla propria natura che era scientifica, empirica, critica, axiologica, metateorica, ecc. in questo senso si fece sempre più viva l’esigenza di cercare e dare alla pedagogia un impianto teorico ben definito il quale potesse restituirle autonomia. Per questo motivo dar vita ad una teoria pedagogica sembrò essere il primo passo verso la scientificità e la definizione di uno statuto epistemologico. L’esigenza di dare alla pedagogia un proprio statuto si avvertì sin dall’inizio del 1900, ma essa è emersa concretamente solo dopo il costituirsi delle scienze dell’educazione, mantenendo la consapevolezza che nella epistemologia del pensiero pedagogico convive sempre la richiesta di una pedagogia che conservi in sé una riflessività valutativa di stampo filosofico. Per questo non è possibile negare che il sapere pedagogico è costituito sia da elementi di filosoficità che elementi di scientifcità.
La vera e propria riflessione epistemologica della pedagogia è avvenuta verso la fine degli anni ’60 ed essa partiva con un’intenzione neopositivista e una direzione di filosofia analitica. L’intenzione neopositivista era quella di analizzare gli apporti che le altre discipline davano alla pedagogia e mettere a fuoco i suoi aspetti empirici, teorici e utopici. La direzione analitica partiva dallo studio del linguaggio e promuoveva il trasferimento del controllo critico (proprio di esso) nel linguaggio pedagogico, in modo che esso acquisti una maggiore consapevolezza del proprio possibile rigore.
La realizzazione dello statuto epistemologico della pedagogia si inserisce in un processo distinguibile in diverse fasi, ognuna caratterizzata da momenti epistemologici diversi da un punto di vista ideologico, ma tutti orientati verso la ricerca di uno statuto che potesse contraddistinguere l’identità disciplinare della ped.

OGGETTO E METODI DELLA PEDAGOGIA: “ riceve … ma non trasmette”

 

Sulla scientificità della pedagogia sono nate diverse domande che sono emerse – soprattutto – nel rapporto tra la pedagogia e le altre scienze dell’educazione e alle quali non si può dare una risposta se prima non si individuano i caratteri distintivi di una pedagogia intesa come scienza.
A tal proposito il primo problema da risolvere è quello di trovare un oggetto di ricerca della pedagogia; in seguito stabilire se esso è di natura umanistica o scientifica e – infine- verificare in quale relazione può stare con gli oggetti d’indagine delle altre scienze dell’educazione. La ricerca e la definizione dell’oggetto della pedagogia non è stata molto facile in quanto la pedagogia non è legata ad un ambito specifico (o quello


scientifico o quello delle scienze umane). Per molti anni la pedagogia è stata inserita nell’ambito delle scienze umane e sociali in quanto il modello positivista – che era quello predominante- sosteneva che la natura polimorfa di tale disciplina (come quella di tutte le scienze dell’educazione) sfuggiva al paradigma epistemologico analitico ed empirico. Per contro la pedagogia avvertiva l’esigenza di sistematizzare il proprio sapere attraverso una teoria generale. Questa esigenza portava la pedagogia ad avvicinarsi – da un lato- alla filosofia in quanto essa poteva mutuare da quest’ultima dei principi normativi capaci di soddisfare la propria esigenza epistemologica e formativa; dall’altro la avvicinava al modello delle scienze esatte.
Pertanto la pedagogia si è sempre ritrovata in bilico tra scienza e filosofia; e ciò è evidente anche se si prende in considerazione il rapporto biunivoco di teoria e prassi che la caratterizza. Questo discorso si lega ad una visione dinamica e pluralista, la quale sostiene che l’oggetto di indagine della pedagogia è in continuo divenire; che non esiste una verità assoluta che definisce il campo di una scienza, ma la verità è soggetta a continui mutamenti. In questa prospettiva le teorie scientifiche si presentano come ipotesi da verificare costantemente e – di conseguenza- le discipline umanistiche possono essere considerate delle scienze, diverse ma non distinte da quelle esatte. Come tali discipline, anche la pedagogia può essere presa in considerazione come scienza e la sua scientificità è data da una ricerca non univoca, ma dinamica e soggetta a variabili che possono emergere sia dall’applicazione delle teorie alle contingenti situazioni storico-sociali; sia dal rapporto che la pedagogia istaura con le altre scienze.
L’analisi metodologica del discorso pedagogico prende in considerazione quegli aspetti che concorrono a impostarne la ricerca: il soggetto, l’oggetto e il metodo. Parlare di soggetto, oggetto e metodo non è molto corretto in quanto nell’ambito pedagogico si distinguono: diversi soggetti (sociale, personale, istituzionale); una molteplicità di oggetti di studio, i quali non possono essere separati né dalla dimensione contestuale in cui agiscono né dai soggetti con cui interagiscono. Infine non si può fare riferimento ad un unico metodo (ossia quello scientifico) ma ad una serie di metodi che cambiano e vengono rimodellati a seconda del variare dei soggetti e degli oggetti della ricerca.
Un modello molto particolare è quello della ricerca-azione, il quale presenta una struttura aperta che ospita strumentazioni quantitative e qualitative. Da un punto di vista quantitativo tale modello si serve di un sistema di ipotesi attraverso le quali interpretare la realtà e – attraverso l’esperienza- sostanzia questo sistema di ipotesi in modo da trasformare le teorie precedentemente formulate. Da un punto di vista qualitativo il modello della ricerca-azione compie una riflessione critica sulle metodologie applicate nella ricerca e sui risultati ottenuti e, inoltre, prende in considerazione i vissuti di chi opera al suo interno. Infine è importante sottolineare che i risultati ottenuti non sono mai definitivi, ma soggetti a processi di cambiamento.

ANALISI DEL DISCORSO PEDAGOGICO E SCIENZA EMPIRICA DELL’EDUCAZIONE

L’intenzione della pedagogia di configurarsi come scienza è emersa concretamente nel 1967 (anno di pubblicazione dell’opera della Metelli di Lallo) e nel 1968 (anno di pubblicazione dell’opera di Granese). Nel lavoro della Metelli di Lallo viene superata la concezione secondo la quale una disciplina trova la propria giustificazione inserendosi in un sistema di saperi già predefinito e viene messo in evidenza che ogni scienza deve orientare e riorientare il sistema in cui si inserisce secondo il proprio ruolo e le proprie dinamiche.
Granese nella sua opera propone di rifornire alla pedagogia l’appoggio della filosofia, la quale non deve essere una filosofia idealistica, ma una filosofia analitica. Questo tipo di filosofia si lega all’etica (perché un’educazione avulsa dalla morale è impensabile) e permette alla pedagogia di tradurre la propria intenzionalità valoriale in progettualità operativa e pratica, regolata scientificamente dall’uso attento del linguaggio. Nel “Documento Granese-Bertin” – invece- viene messa in evidenza l’esigenza di emancipare la pedagogia dalla filosofia, dando la possibilità alla prima di trovare una dignità scientifica, alla quale giunge nel momento in cui fa proprio uno statuto che avvicina le ipotesi formulate alle realtà in atto. Soltanto attraverso questo movimento la pedagogia può giungere ad una propria autonomia.
Intorno alla pedagogia intesa come scienza sono nati diversi punti di vista: Cambi ha ribadito la necessità dell’intreccio tra filosofia dell’educazione e pedagogia sottolineando che tale filosofia non né analitica, né speculativa, bensì filosofia critica ed ermeneutica, e cioè dedita alla ricerca di metodi che affrontano la complessità pedagogica senza forzarne la debolezza e cogliendone il nesso con la prassi e con le dinamiche storiche. Bertolini sostiene che la pedagogia non può essere identificata né con la filosofia dell’educazione né con le altre scienze dell’educazione. Piuttosto occorre partire dai fenomeni educativi, dall’esperienza per


trovare, mediante un’analisi teoretica, quel criterio che rappresenti l’unità di senso dei fenomeni e che ci permette di definire il pedagogico. Laporta parla di una scienza empirica dell’educazione, con la quale non intende una scienza sperimentale avulsa dai valori. Egli – infatti- propone una pedagogia che, in primo luogo, deve raccogliere i dati, i costrutti e i concetti dall’esperienza e – in secondo luogo- deve intenzionali in senso educativo attraverso la sua apertura ad una molteplicità di discipline e mediante un’analisi linguistica che consente di indagare concetti complessi, come quello di libertà. De Giacinto ritiene che la pedagogia non può essere intesa come scienza perché non ha un oggetto di ricerca specifico. Essa, invece, si presenta come un punto di vista globale sull’educazione. In questa interpretazione la pedagogia si configura come una disciplina per la pratica che si rapporta con le altre scienze,e –nello stesso tempo- conserva come sua peculiarità la capacità di formalizzare e modellizzare un evento educativo. Inoltre la pedagogia si presenta come una disciplina le cui metodologie sono soggette a numerose trasformazioni; il cui oggetto d’indagine tende a divenire sempre più complesso; la cui epistemologia è molto flessibile. Infine questa disciplina è caratterizzata da una serie di antinomie e dalla compresenza di aspetti soggettivi ed oggettivi, i quali la spingono a formulare delle analisi specifiche e dei modelli generali.  Un altro punto di vista molto importante è quello di Leang, il quale ha fatto una distinzione tra antropologia; teleologia e metodologia della pedagogia. L’antropologia studia l’uomo nella sua dimensione di essere vivente; la teleologia studia l’uomo come dovrebbe essere, ossia il fine ultimo dell’educazione; la metodologia della pedagogia mette in luce i processi attraverso i quali si può passare dall’una all’altra dimensione.
Infine è importante sottolineare che il passaggio dalle vecchie considerazioni della pedagogia a quella moderna (che da un lato è più matura, ma dall’altro sempre acerba perché in continua ridefinizione) è stato segnato dall’abbandono di una concezione univoca e sistematica del sapere pedagogico e dall’approdo ad una concezione dinamica di esso.

PEDAGOGIA COME SCIENZA COMPLESSA

Dopo aver costatato e affermato che la pedagogia può essere considerata una scienza è opportuno capire se essa può essere definita scienza dell’educazione (termine nato nell’800) o scienza della formazione.

Che tipo di scienza potrebbe essere la pedagogia?

Quando si parla di pedagogia come scienza si fa riferimento alla ricerca di uno statuto epistemologico, la quale implica una serie di considerazioni fatte – in particolar modo- sul concetto di epistemologia. La prima considerazione mette in evidenza che non è possibile parlare di un'unica epistemologia in quanto ne esistono una molteplicità. La seconda considerazione mette in luce che l’epistemologia di ogni disciplina entra in rapporto con l’epistemologia di natura generale che regola lo svolgersi dei saperi. Tale relazione è molto importante perché attraverso di essa ogni disciplina può ricostruire il proprio modo di fare scienza (che non è mai definitivo) ed è possibile dedurre che l’avventura epistemologica della pedagogia si è compiuta attraverso diverse posizioni interpretative. Tutte queste considerazioni, e a loro diffusione nell’ambito pedagogico, hanno determinato la crisi della scienza nella quale sono stati messi in discussione una serie di concetti (di analisi, di osservazione, di unità di metodo) ed è stata criticata l’infallibilità della scienza stessa. Una delle conseguenze di questa crisi è stata la possibilità di poter distinguere i principi di intelligibilità della scienza, i quali avanzano un’idea di scienza oggettiva e regolata da leggi generali,  da quelli che regolano il paradigma della complessità e che si fanno promotori di un’idea di scienza particolare, contingente, complessa e determinata da aspetti soggettivi.

SCIENTIFICITA’ DISCIPLINARE E PEDAGOGIA COME SCIENZA COMPLESSA

Le proposte emergenti – che si indirizzano verso il superamento delle scienze dell’educazione e verso la ricerca di un senso attribuibile alla scientificità della pedagogia- si sono inserite in una nuova considerazione della pedagogia come scienza. In tale considerazione la pedagogia non si presenta come scienza sistemica, ma come scienza complessa: infatti il paradigma della complessità è rappresentativo della sua natura aperta all’incertezza e alla pluralità. Dall’analisi di ciò emerge che la pedagogia mentre cerca – da un lato- la propria sistematizzazione epistemologica; dall’altro ne sfugge in quanto essa non può essere incardinata in modo univoco: infatti i suoi confini non sono chiusi e ben definiti, ma aperti e flessibili, tanto da dare a tale disciplina l’opportunità di intrecciare rapporti con altre scienze.
Le interpretazioni attuali relative alla scientificità della pedagogia sono legate alla concezione secondo la


quale essa po’ essere definita scienza in qualità di attitudine, ma non di sistema: infatti la pedagogia – nel corso del 1900- da unitaria scienza dell’educazione si è trasformata in scienza complessa. Questa idea di complessità e non sistematicità della pedagogia è stata condivisa anche dalla filosofia, la quale è divenuta teoria pedagogica, metateoria critica e filosofia dell’educazione, dotata di uno statuto epistemologico debole ma – nello stesso tempo- espressione di una meta riflessione capace di regolare i rapporti tra i vari saperi e all’interno dello stesso sapere pedagogico.

PARTE TERZA: ESISTE ANCORA LA PEDAGOGIA GENERALE? PREMESSA

Nel corso del ‘900 si chiedevano se esisteva la pedagogia. Oggi questa domanda non può essere più fatta in quanto il continuo ricercarsi della materia ha dato vita ad una serie di risultati i quali, anche se non sono definitivi, hanno dimostrato la sua esistenza. Pertanto la domanda che adesso ci si può porre è se esiste una pedagogia generale. Prima di dare una risposta è opportuno soffermarsi sul termine generale. Se per pedagogia generale si intende una disciplina che assume un ruolo critico di meta livello grazie al quale ha la possibilità di dare uno sguardo di insieme sulle particolarità del pedagogico, ciò non può essere negato.
Ancora, se con la parola generale si allude all’unitarietà e all’integrità della disciplina, allora questa istanza è da considerare maggiormente rispetto a quella precedente in quanto essa qualifica la pedagogia come disciplina dotata di un proprio oggetto d’indagine e di proprie metodologie – da un lato- e, dall’altro, la riconosce come scienza generale che non esclude la particolarità, ma – al contrario- la include in essa. In questa prospettiva la pedagogia viene definita scienza olistica dell’educazione e della formazione ( e per scienza olistica si intende un campo mult idisciplinare che studia i sistemi complessi) in quanto anche se l’educazione e la formazione non possono essere considerate coincidenti, nello stesso tempo non possono considerarsi escludenti perché la formazione può tendere verso finalità educative sia di natura pratica che valoriale.  Dall’analisi di ciò è possibile giungere ad una risposta da dare alla domanda precedente: esiste una pedagogia generale? Si, esiste nel suo duplice aspetto di disciplina autonoma e di disciplina che si apre e si confronta con le altre scienze.

1 LA NUOVA FENICE PEDAGOGICA

Le diverse cause che determinano il continuo disgregarsi e il parallelo rinnovarsi della pedagogia possono essere analizzate in chiave costitutiva e in chiave contingente. Gli aspetti costitutivi mettono in evidenza l’intrinseca complessità del discorso pedagogico, il quale è caratterizzato da una tensione dialettica e pluralistica e da un’intima inquietudine, ossia da un conflitto interiore che è il risultato della compresenza di aspetti diversi, che non possono essere evitati ma devono essere messi in relazione. Per seguire l’andamento epistemologico della pedagogia bisogna andare alla ricerca di tutte quelle componenti del discorso pedagogico con la consapevolezza che esse determinano il funzionamento dell’ingranaggio, ma – nello stesso tempo- possono essere la causa del suo malfunzionamento. Tale malfunzionamento è un’eventualità da tener sempre presente, ma – nel contempo- è una caratteristica dell’ingranaggio stesso utile per dargli la spinta a rigenerarsi, a ripensarsi e a rinnovarsi. Infine è importante sottolineare che la conflittualità interna della pedagogia non è data solo dalla sua intrinseca inquietudine, ma anche da un’incertezza che rappresenta quella condizione che apre le possibilità dell’educare e del formare e che pone le basi per la ricostruzione di una fenice sempre nuova.
Gli aspetti contingenti dell’attuale rigenerazione del sapere pedagogico sono molteplici. Tra questi quello che viene identificato con maggior evidenza fa riferimento al riemergere della natura generale della materia che - nel passaggio dalla pedagogia alle scienze dell’educazione- è stata considerata superata e/o marginale in quanto la scientificità della pedagogia si esprimeva nel suo costituirsi come una molteplicità di scienze in relazione tra loro. L’emergere e l’affermarsi della natura generale della pedagogia è stato oggetto di un intenso dibattito verificatosi in Italia – tra gli anni ’70 e ’80- durante il quale si è cercato di dare alla pedagogia un’identità più problematica rispetto a quella che aveva assunto nel suo trasformarsi in scienza dell’educazione. A tal proposito è importante sottolineare che la restaurazione della pedagogia generale non coincide con la ripresa dell’immagine passata di questa disciplina, ma rappresenta un’esigenza di insoddisfazione e di ripensamento della pedagogia la quale deve essere posta in una condizione non più


univoca, ma complessa, plurale e instabile. Il ripensamento della natura generale della pedagogia e il suo andare oltre le scienze dell’educazione ha comportato anche un ripensamento di queste ultime; ha permesso alla pedagogia di acquisire autonomia scientifica e sembra derivare dall’esigenza – da parte della pedagogia- di centrare nuovamente il proprio oggetto d’indagine, individuato nel processo formativo dell’uomo. Da ciò si evince che oggi la scientificità della pedagogia passa attraverso un’ulteriore messa a fuoco del suo oggetto di ricerca, il quale la spinge a definirsi come scienza della formazione dell’essere umano e ad affermare la propria specificità rispetto le altre discipline.
Al giorno d’oggi una delle esigenze più avvertite è quella di trovare una teoria globale della formazione: ossia una teoria che si apra al collettivo, e cioè alle istanze provenienti da diverse culture e società; ma che
– nello stesso tempo- non trascuri il particolare, ossia le caratteristiche specifiche dei singoli individui. Seguendo tale direzione, si tende – da un lato- verso l’affermazione della pedagogia come scienza autonoma e generale e – dall’altro- verso la ricerca dell’unitarietà del fenomeno educativo. Per quanto riguarda il primo punto è importante sottolineare che la pedagogia non vuole tornare ad essere una disciplina chiusa in se stessa ed estranea agli altri saperi, piuttosto si propone di costruirsi come una scienza che riesce a trovare un senso partendo dalle proprie peculiarità e intrecciando una serie di rapporti critici con altri saperi. Per quanto riguarda l’unitarietà del fenomeno educativo, non si fa riferimento ad un’unitarietà della pedagogia lineare, ma ad unitarietà complessa che riesce a mettere in contatto le specializzazioni delle scienze dell’educazione e nella quale l’organizzazione nasce dalla differenza.
il ripensamento della pedagogia – se visto da un altro punto di vista- sembra derivare dall’introduzione della categoria del postmoderno rispetto alla categoria del moderno, che cambi non associava al 1400/1500, ma al Seicento perché in questo secolo è nata la scienza che si è opposta ai modelli filosofici; è mutato il lavoro dell’uomo; è mutato il sapere pedagogico e il paradigma metafisico/religioso ha dato spazio a nuovi paradigmi. La categoria del postmoderno – invece- è caratterizzata da una serie di aspetti che hanno spinto il discorso pedagogico ad aprirsi verso nuove frontiere le quali indicano un decostruire che deve essere coniugato al costruire perché quest’ultimo riparte proprio da un ripensamento del soggetto.

EDUCABILITA’: UNA DELLE POSSIBILI IDENTITA’ DELLA FENICE PEDAGOGICA

Una delle possibili identità della nuova fenice pedagogica può essere l’educabilità, ossia l’attitudine/il bisogno intrinseco dell’uomo di ricevere un’educazione. Nel quadro di una pedagogia dello sviluppo, un prospetto dell’educabilità comprende una serie di sinergie: 1) la relazione sinergica geni-ambiente; 2) la relazione sinergica struttura-funzione; 3) la relazione sinergica cultura-cognizione.
La relazione sinergica geni –ambiente si lega, in primo luogo, alla teoria dell’epigenesi secondo la quale i geni non determinano l’uomo sin da quando esso è feto in quanto non si auto-controllano, ma sono controllati e influenzati dall’ambiente e dalla nostra mente. in secondo luogo, tale relazione sinergica mette in evidenza che è importante analizzare contemporaneamente la relazione di interdipendenza tra il livello ontogenetico (che studia lo sviluppo biologico dell’essere vivente) e il livello filogenetico (che studia lo sviluppo della specie alla quale appartiene l’essere vivente) perché lo sviluppo dell’individuo e il suo adattamento all’ambiente è regolato sia da fattori genetici che dalla sua esperienza concreta. La relazione sinergica geni-ambiente si lega – da un punto di vista pedagogico- al focus plasticità-sviluppo il quale si concentra sulle possibilità che gli ambienti di apprendimento hanno di formare, educare e di istruire. Gli ambienti di apprendimento devono essere dinamici, evolutivi e adattivi. Dinamici in quanto devono modificarsi in relazione alle esigenze emergenti dal singolo e dalla collettività; evolutivi perché non devono essere prevedibili; correlativi in quanto deve essere possibile cogliere le relazioni che ci sono tra gli elementi presenti al suo interno; e – infine- adattivo. Ciò significa che l’ambiente di apprendimento deve essere flessibile alle richieste di chi ne fruisce e deve modificarsi in relazione ai risultati ottenuti ,affinchè esso diventi sia una costruzione personale del soggetto, sia una guida per quest’ultimo (perché l’ambiente si modifica in base a scelte che sono già predefinite).
La sinergia struttura-funzione studia come , nei sistemi adattivi, le diverse funzioni entrano in relazione di interdipendenza reciproca con strutture con le quali interagiscono e dalle quali dipendono. I significati di questa sinergia possono essere ampliati al rapporto individuo/individui e ambiti della conoscenza, il quale implica un’influenza reciproca che si attiva di volta in volta. Alla sinergia struttura-funzione è legato il focus


innato-acquisito, il quale regola l’espressione di tale sinergia e mette in evidenza i percorsi della conoscenza nelle sue molteplici dimensioni.
La sinergia cultura-cognizione mette in evidenza che le diverse culture e le loro ricadute sulla formazione possono influenzare e modulare i processi cognitivi/conoscitivi dei soggetti. E legata a tale sinergia c’è il focus esperienza-adattamento, il quale mette in evidenza che le strutture conoscitive degli individui interagiscono con quelle epistemiche del conoscere mediante il rapporto con gli altri e con diverse culture. Attraverso l’educabilità e i suoi caratteri: correlazione, cambiamento e modificabilità adattiva, è possibile definire il quadro teorico di riferimento della pedagogia dello sviluppo, all’interno del quale l’obiettivo formativo è quello di promuovere le potenzialità individuali, rispettando la persona e tenendo presenti le reazioni di apertura e/o chiusura che ognuno può manifestare rispetto i processi di sviluppo. L’obiettivo – invece- di un discorso sull’educabilità è quello di ricercare le variabili che agiscono in questi processi di sviluppo e in base ad esse costruire ipotesi e progetti di formazione.

LA PEDAGOGIA COME SCIENZA DELLA FORMAZIONE E DELL’EDUCAZIONE

La pedagogia generale può accogliere in sé aspetti sia scientifici che filosofici attraverso il suo oggetto d’indagine: la formazione. La formazione viene definita sia come “categoria reggente” della pedagogia sia come il “cantiere” irrinunciabile per la costruzione del soggetto-persona di cui- al giorno d’oggi- si tende a riconoscerne l’autonomia, il diritto di realizzarsi come essere umano e il diritto di ognuno di essere libero, il che significa dare una certa forma alla propria formazione. Da ciò si evince che la formazione è sia quel processo in cui si mette in luce la persona e il suo prender forma in modi, tempi e luoghi diversi; e sia la categoria emergente del pedagogico, interdipendente rispetto a quella dell’educazione. Il concetto di educazione - negli ultimi 15 anni della ricerca pedagogica- è stato messo al centro di un dibattito che ha comportato la messa in discussione della sua univocità categoriale, la quale si era rapportata ai termini di istruzione e apprendimento. In realtà vi è una distinzione tra questi termini: per quanto riguarda l’unione educazione-istruzione è importante sottolineare che per educazione si intende un processo intenzionale che implica problemi di valore e di senso e che mira a modificare e perfezionare un comportamento del soggetto. L’istruzione –invece- si lega al progresso delle scienze e dei saperi perché essa implica la trasmissione di questi ultimi all’individuo.
Per quanto riguarda il rapporto educazione-apprendimento è necessario affermare che essi sono due termini interdipendenti e che si distinguono per la loro natura. L’educazione tende ad essere sempre un processo normativo, valoriale e intenzionale; l’apprendimento si configura come un processo che tende verso dei fini formativi, la cui valenza non è legata e guidata necessariamente da valori educativi.
In questi ultimi anni il termine educazione è stato comparato anche ad un altro concetto importante: quello di formazione in quanto la categoria della formazione tende ad inglobare in sé l’educazione la quale si presenta come una delle molteplici modalità di formazione. In realtà tale inglobamento non può essere risolto in modo esaustivo perche i due concetti - anche se propongono azioni finalizzate a mettere insieme tutto ciò che potrebbe occorrere all’individuo per promuovere il proprio sé- sono distinti. L’educazione conserva il suo carattere intenzionale, valoriale e finalistico; la formazione –invece- si presenta come un processo che segue delle regole ma che – nello stesso tempo- è caratterizzato dalla non calcolabilità delle loro espressioni e dall’imprevedibilità.

SULL’OGGETTO DELL’ANTICA (E NUOVA) FENICE

La formazione è la categoria chiave della pedagogia ed essa si distingue dall’educazione grazie alla sua natura autonoma e indipendente. Inoltre la formazione non è una categoria univoca, ma composta da una pluralità di significati che possono essere colti in 3 dimensioni: 1) complessità; 2) pluralismo; 3) analisi diacronica. La complessità della formazione si esprime nella molteplicità delle prospettive che adotta; nei diversi campi d’indagine (sia teorici che passici); nella varietà dei settori e nel dinamismo dei rapporti. Il pluralismo della formazione trova espressione in una molteplicità di interpretazioni, emergenze e scienze; nell’interazione tra più scienze e nel rapporto che la pedagogia intreccia con altre discipline, quali: la sociologia, la storia, l’antropologia, la psicologia e la didattica. Infine la formazione è stata studiata anche nella dimensione diacronica, la quale valuta come essa si è evoluta nel tempo. La dimensione diacronica della formazione affonda le proprie radici nell’antichità, ossia nel mondo dei Greci. Qui – infatti- sono state


definite: 1) le teorie dell’educazione come riflessione universale e rigorosa sui processi formativi; 2) la ragione come modello teoretico dal quale partire per sviluppare un pensiero razionale; 3) la paideia, che rappresenta l’ideale della formazione umana. La paideia punta sulla formazione globale dell’uomo e incarna la tensione enciclopedica del mondo classico, l’apertura verso altri saperi e la considerazione delle humanitates come aree di studio. Tuttavia è sbagliato considerare la pedagogia classica come pedagogia della paideia in quanto: 1) al modello socratico-platonico di uomo (che è insieme corpo e anima) si opponeva quello tragico, il quale non reprimeva i suoi istinti ed enfatizzava alla lotta; 2) all’oggettività dei saperi si opponeva il modello di Socrate, che prevedeva partecipazione da parte del soggetto nel
conoscere; 3) infine, alla negazione platonica della dimensione corporea si opponeva la formazione agonistica la quale puntava proprio sul corpo e sul suo sviluppo.
Nell’illuminismo greco la paideia si fece più attenta ai problemi dell’uomo e la formazione era sempre più tesa verso il principio di kalokagathos, ossia di uomo bello e buono.
In Socrate nacque l’idea dell’educazione come episteme (ossia conoscenza certa). Questa conoscenza assoluta non sta al di fuori dell’uomo, ma in se stesso ed è per questo che egli deve guardarsi dentro e cercare di coglierla. In tale prospettiva la formazione diviene paideia come universalizzazione del soggetto. In Platone ci si propone di formare l’anima individuale attraverso la contemplazione delle idee. Di conseguenza, l’obiettivo della paideia è quello di riconoscere la spiritualità dell’anima, la sua identità contemplativa e di identificare la virtù con la conoscenza.
In Aristotele l’uomo si realizza seguendo la propria forma, definita dall’attività dell’intelletto; e l’obiettivo della formazione è quello di raggiungere la virtù della saggezza mediante la padronanza dell’istruzione e il controllo del corpo. A partire dal periodo in cui si fece strada il pensiero di Platone si è affermata una paideia alternativa a quella classica: la paideia politica, la quale considera l’uomo come animale sociale inserito in uno Stato. Tale paideia ha introdotto la civiltà romana in cui la formazione non era solo letteraria, ma anche civile. Il modello formativo – infatti- si basava su valori come l’eroismo, il coraggio e la dignità; la paideia si trasformò in humanitas e si puntava sullo studio delle arti liberali e delle humanae litterae perché si dava importanza all’oratore, all’uomo politico. Tuttavia, dopo la conquista della Grecia e il contatto con l’ellenismo la cultura romana si trasformò: la formazione riguardava l’uomo in quanto espressione dell’umanità e non solo in quanto cittadino e il modello della romanitas cominciò ad avvicinarsi a quello cristiano, il quale si faceva promotore di valori completamente diversi: l’uguaglianza, la solidarietà, l’umiltà. La paideia cristiana si è affermata nel Medioevo – in particolare- e con il suo programma educativo finì per eclissare quello della cultura classica. Nel Rinascimento si fece un grande passo avanti: la paideia medioevale si trasformò in una paideia laica, centrata sull’Homo faber e promotrice di valori come la libertà, il progresso, l’emancipazione e la razionalizzazione.
Nel periodo della Riforma Protestante molti si fecero promotori di un approccio autonomo alla cultura e alla sua diffusione, incentivando gli uomini a leggere personalmente i testi sacri. Diversa è la situazione nel periodo della Controriforma, in cui i curricoli formativi sono soggetti a norme rigorose e convergenti ai modelli politici e sociali espressi dall’autorità religiosa e civile.
Nella Modernità, e in particolar modo tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘700, ci sono due eventi importanti: da un lato nasce la pedagogia utopistica; dall’altro c’è la scoperta della “nuova scienza” e del metodo scientifico. La pedagogia utopistica associava il modello di uomo proposto dalla paideia classica alla progettazione di società ideali; la nuova scienza apre la strada verso una fondazione rigorosa della pedagogia. Nel ‘700 la formazione svolge una funzione di omologazione sociale e di promozione della coscienza civica e nell’800 la paideia ritorna come Bildung e si avverte – sempre di più- l’esigenza di una fondazione epistemologica della pedagogia come sapere autonomo, rigoroso e sperimentale.

SUI METODI DELLA NUOVA FENICE. L’ALA SPEZZATA?

La pedagogia, al giorno d’oggi, è riuscita a definire con chiarezza la natura del proprio statuto epistemologico e il proprio oggetto di ricerca, ma – nello stesso tempo- non è riuscita ad individuare delle metodologie proprie, atte a perseguire il cammino della ricerca. In questa prospettiva, il problema fondamentale della pedagogia non è quello di definire la sua natura, piuttosto quello di garantirle continuità epistemologica, ossia un riconoscimento continuo come scienza; e ciò non è possibile se non vengono messe in luce delle metodologie specifiche all’ambito di ricerca.
La pedagogia ha un oggetto di ricerca molto complesso e – in secondo luogo- ha una duplice dimensione:


quella scientifica/prassica e quella filosofica/teorica. Per questi motivi essa si ritrova ad utilizzare una molteplicità di metodologie le quali – anche se sono diverse- devono attenersi ad alcuni principi esposti nello statuto della disciplina e devono mettere in evidenza l’integrarsi della sua natura scientifica e filosofica. Degli impianti metodologici per la pedagogia possono essere: 1) l’approccio sperimentale ( individuazione del problema, formulazione di ipotesi, verifica delle ipotesi, rielaborazione delle ipotesi in base ai risultati, configurazione di un piano sperimentale); 2) ascolto dalle discipline con le quali interagisce in quanto mediante la conoscenza della diversità si raggiunge la consapevolezza di ciò che si è o si potrebbe essere. Delle metodologie innovative entrano in gioco nel momento in cui vi è l’incontro tra le modalità individuali di organizzazione della conoscenza e le modalità sociali di condivisione e sistematizzazione di essa. In questo caso – infatti- si apre uno spazio pedagogico che deve essere valorizzato come possibile dimensione di bilanciamento tra processi di comprensione individuali della conoscenza e processi di rappresentazione collettivi. Altre metodologie particolari della pedagogia vengono messe in atto nella formazione degli adulti, la quale costruisce i propri curricoli intorno ai bisogni e agli interessi di chi apprende che – avendo già un bagaglio di esperienze- non si forma basandosi solo sulle conoscenze altrui ma valorizzando le proprie. In questo approccio la metodologia utilizzata si basa sull’analisi dei contenuti esperienziali e sull’incentivazione della gestione autonoma dei processi di apprendimento. In riferimento alla formazione degli adulti è importante sottolineare –infine- che essa è continua perché comprende diverse fasi della vita e incline al cambiamento, il quale non è un concetto che può essere insegnato, ma una modifica del sé che avviene in base alle esperienze e ad una riflessione su di esse. Inoltre bisogna dire che tale trasformazione non mette in gioco solo la sfera individuale di un soggetto, ma anche quella sociale in quanto egli si presenta come un sistema dinamico che entra in relazione con altri sistemi in modo da poter trarre da essa quegli elementi che lo spingono verso la miglior forma possibile.

3 LA PEDAGOGIA DA SCIENZA GENERALE A SCIENZA OLISTICA

Al giorno d’oggi la pedagogia è stata riconosciuta come scienza, ma resta ancora in dubbio che tipo di scienza possa essere. A tal proposito sono emerse diverse interpretazioni: 1) c’è chi ha parlato di pedagogia come scienza generale; 2) c’è chi ha parlato della pedagogia come scienza olistica dell’educazione e della formazione. L’utilizzo del termine olistico è previsto sia in ambito scientifico che in quello filosofico in quanto esso fa riferimento ad un approccio interpretativo che una disciplina può utilizzare anche in combinazione con altri processi. Con il termine “scienza olistica” non si intende proprio una scienza, piuttosto dei campi multidisciplinari che studiano i sistemi complessi e i comportamenti che li regolano.
Inoltre, è importante sottolineare che l’approccio olistico non considera il sistema complesso come una somma di più parti che devono essere analizzate singolarmente per spiegare il tutto; piuttosto un sistema che si evolve mediante dei processi dinamici. L’utilizzo del paradigma olistico nell’ambito della pedagogia viene effettuato per trovare una categoria interpretativa che possa rappresentare – nello stesso tempo- il particolare e il generale e mettere in evidenza che il generale può includere il particolare, ma non in modo esaustivo. Pertanto una pedagogia intesa come scienza olistica può riconoscere la presenza – al suo interno- di antinomie, pluralismi, ma non escludere la possibilità di poter dare una visione d’insieme dell’uomo e del suo comportamento.

LA FENICE CHE NASCE E LA NATURA UTOPICA DELLA PEDAGOGIA

L’attuale ripensamento della pedagogia, che ha investito – sia nell’ambito filosofico che in quello scientifico- la dimensione individuale e collettiva, ha fatto emergere una nuova considerazione della Bildung (ossia della formazione). La Bildung non ha – in questa prospettiva- una forma fissa e propria, ma è una bildung critica e aperta al cambiamento. In questa idea di formazione l’ironia e l’utopia si collegano perché la consapevolezza che vi è un presente da poter  superare in modo ironico getta le basi per un futuro che può essere superato, rinnovato e modificato allo stesso modo.
La natura utopica della pedagogia rappresenta il modello ideale di una società educante, in quanto essa sottrae le istituzioni educative dal rischio di agire in funzione delle esigenze del presente evitando – così- di preservare lo status quo, senza andare avanti. Inoltre, il concetto di utopia (e con esso la progettualità utopica della pedagogia) è importante perché – da un lato- può costituire un elemento di mediazione tra la teoresi (analisi speculativa) e l’attuazione delle teorie; dall’altro esso si presenta come il punto d’unione tra la componente filosofica e quella scientifica che – da sempre- hanno caratterizzato la pedagogia.


L’utopia, legata alla filosofia, può rappresentare una modalità interpretativa del vivere, la quale si basa sull’accettazione della complessità, della problematicità e del disincanto, senza perdere – però- di vista la speranza di credere in qualcosa che può essere realizzato.
L’utopia, legata alla scienza, mette in luce che quest’ultima segue la direzione di un lavoro che non avrà mai fine perché necessita di essere ripensato e rivalutato in base alle circostanze. Ed è proprio quest’ultima caratteristica: quella di superare se stessa, di decostruirsi e rinascere dalle proprie ceneri, che determina la scientificità della pedagogia.

LA FENICE CHE VERRA’ E LA NATURA OLISTICA DELLA PEDAGOGIA

Nel nuovo secolo la sfida della pedagogia può essere quella di superare le scienze dell’educazione senza negarle, ma inglobandole in se stessa in una visione generale e unitaria. L’unitarietà che caratterizza la pedagogia non rappresenta l’insieme di più parti che ruotano intorno ad un unico oggetto di indagine; piuttosto essa va intesa come processo olistico nel quale è possibile individuare i caratteri di correlazione e interrelazione che emergono tra i vari aspetti che costituiscono un insieme (pedagogia/ processo formativo). Questi caratteri di correlazione, poi, non vanno colti in modo statico, ma seguendo l’evolversi dei processi di formazione e scoprendo – di volta in volta- l’unitarietà derivante dall’integrazione di una molteplicità di fattori. Inoltre è importante sottolineare che questi aspetti interagenti si inseriscono in una disciplina che può essere definita:

  1. generale (in senso olistico), ossia caratterizzata da un insieme di elementi che conservano le loro peculiarità ma che – nello stesso tempo- si integrano tra loro ed entrano a far parte di un insieme;
  2. trasformativa, in quanto il cambiamento è insito nel suo oggetto di ricerca che si qualifica come processo e nei confronti del quale tale disciplina non si limita ad osservarlo, ma vi opera delle trasformazioni;
  3. ipercomplessa; dismorfica, perché assume diverse forme non sempre coerenti tra loro;
  4. umile, perché ha imparato a non essere univoca e ad accettare le possibili revisioni;
  5. concreta e di ricerca, in quanto – da un lato- la teoria orienta la pratica e viceversa; dall’altro perché essa riesce ad essere propositiva anche se molto spesso la realizzazione – nel concreto- di qualcosa non è possibile;
  6. “di frontiera” perché è difficile trovarle una collocazione epistemologica definita (anche se viene inserita nelle scienze umane).

 

Fonte: http://clip2net.com/clip/m5192/1272445107-b1ade-356kb.pdf?nocache=1

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