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LA
RESTAURAZIONE
IL CONGRESSO DI VIENNA
A Vienna, dal 1 novembre 1814 all'8 giugno 1815 si riunirono a congresso le "potenze" che avevano sconfitto Napoleone I: Gran Bretagna, Impero Asburgico, Prussia e Russia, fra i quali riuscì a inserirsi, contro la loro volontà, il rappresentante francese Charles de Talleyrand, che ebbe un ruolo di primo piano.
Il compito era quello di costruire un nuovo ordine europeo dopo la Rivoluzione francese e il periodo napoleonico.
I PRINCIPI. I principi applicati furono due:
Il congresso cercò dunque di contrastare ovunque le idee della Rivoluzione francese: da ciò la svolta inaugurata da quel momento ha preso il nome di Restaurazione, nel senso di ritorno all'antico.
IL NUOVO ASSETTO ITALIANO. Il perno della situazione europea era ora l'Austria, rappresentata da Metternich, che ottenne tutti i territori perduti e soprattutto nella penisola italiana il suo controllo risultava quasi totale:
A parte lo Stato Pontificio, solo il Piemonte (Regno di Sardegna) era di fatto immune dalla tutela austriaca.
LA SANTA ALLEANZA. Ai margini del Congresso, lo zar russo, Alessandro I, si fece promotore di un accordo che prese il nome di Santa Alleanza, a cui aderirono l'imperatore austriaco Francesco II e il re di Prussia Guglielmo III.
I tre sovrani cristiani (uno ortodosso, l'altro cattolico, il terzo protestante) si impegnavano a ostacolare le idee liberali, considerate nemiche della religione e dell'ordine costituito.
La Santa Alleanza, nei decenni successivi, si rivelerà un vero e proprio strumento di polizia internazionale e, in sostanza, il simbolo delle forze della reazione in Europa.
PREGI E LIMITI DEL CONGRESSO. Il merito del Congresso fu quello di riuscire a mantenere per qualche decennio l'equilibrio in Europa. La Gran Bretagna, rassicurata dall'ordine e dall'equilibrio europeo, puntò da quel momento ad ampliare il proprio ruolo coloniale e a rafforzare il suo carattere di grande potenza marittima e commerciale
Il limite fu quello di non parlare nè di popoli nè di identità nazionali: infatti le aspirazioni a una maggiore libertà e, nel caso di Italia, Polonia, Germania e area balcanica, all'autonomia e all'indipendenza nazionale erano sempre più diffuse e non più comprimibili.
Esse sarebbero emerse negli anni a venire, fino ad esplodere nella "rivoluzione europea" del 1848.
L'OPPOSIZIONE ALLA RESTAURAZIONE
LE QUESTIONI NAZIONALI IRRISOLTE. L'Italia (formata da più Stati), la Germania (politicamente frammentata) e la Polonia (spartita fra Russia, Prussia e Austria), in cui Napoleone aveva avviato la costituzione di Stati unitari (anche se subordinati agli interessi francesi), oltre al Belgio (di religione cattolica, costretto a convivere con l'Olanda calvinista) e alla Grecia (sottomessa all'Impero turco-ottomano), svilupparono, all'indomani del Congresso un sentimento patriottico a nazionale che conquistò strati sempre più ampi dell'opinione pubblica.
L'idea di base era quella dell'unità nazionale, secondo la quale ogni nazione doveva avere la possibilità di cistituirsi come stato autonomo e indipendente, che i cittadini potessero percepire come propria patria.
ROMANTICISMO E NAZIONE. Il nazionalismo fu uno dei temi cruciali diffusi dal Romanticismo.
La nazione a cui guardavano i Romantici è un popolo che ha storia, tradizioni, lingua e cultura non soltanto comuni ma anche specifici, cioè diversi da quelli degli altri popoli.
Inoltre, come ogni uomo deve affermare la propria libertà individuale, allo stesso modo ogni popolo deve difendere e valirizzare la propria identità nazionale, affermandola contro chiunque voglia limitarla o soffocarla.
Fu in nome di questi ideali di libertà e di nazione, che la maggior parte degli intelluati romantici assunse posizioni liberali e democratiche, schierandosi contro l'ordine imposto dal Congresso di Vienna e contro l'assolutismo.
IL LIBERALISMO. La principale teoria politica della prima metà dell'Ottocento fu il liberalismo, nato nel Seicento con il pensiero del filosofo inglese John Locke e diffusosi nel Settecento grazie a Montesquieu e sopratto alle rivoluzioni francese e americana.
I liberali auspicavano uno Stato che garantisse ai cittadini le fondamentali libertà politiche ed economiche.
Tali libertà dovevano essere riconosciute e tutelate da una Costituzione, cioè da una legge dello Stato che:
IL LIBERISMO ECONOMICO. il progetto politico del liberalismo prevedeva anche dirette implicazioni economiche, descritte dalla teoria detta del liberismo, nata nel Settecento ad opera del filosofo Adam Smith.
Secondo le tesi liberiste:
IL
RISORGIMENTO
I MOTI DEL 1820-1821
LE SOCIETA' SEGRETE. Nella situazione creatasi con la Restaurazione, gli oppositori scelsero di organizzarsi in società segrete o sètte, come la Carboneria in Italia, l'Eterìa in Grecia, i Comuneros in Spagna etc.
Le società segrete, formate da intellettuali, ufficiali e studenti, volevano promuovere cospirazioni o insurrezioni che costringessero i sovrani a concedere la Costituzione, oppure avevano anche l'obiettivo (come in Italia, Polonia e Grecia) dell'indipendenza nazionale.
Esse svolsero un ruolo storico importante, anche se presentavano debolezze come:
Tutte precauzioni per sfuggire ai controlli della polizia, che finirono però per impedire a queste organizzazioni di radicarsi nella società.
L'OPPOSIZIONE IN ITALIA. In Italia l'opposizione alla Restaurazione fu affidata anche a movimenti di opinione.
In Lombardia essa era animata da intellettuali, commercianti ed esponenti della borghesia che si raccolsero attorno al periodico "Il Conciliatore", una rivista letteraria attenta a tematiche civili e sociali. A Milano esisteva poi una rete di cospiratori affiliati alla Carboneria, in collegamento con i patrioti piemontesi (oppositori di Vittorio Emanuele I) che erano intellettuali illuministi, funzionari statali, aristocratici borghesi e ufficiali dell'esercito, duramente penalizzati dalle epurazioni compiute dal sovrano.
I MOTI DEL '20-'21 IN SPAGNA. La prima rivolta dopo il Congresso di Vienna ebbe luogo in Spagna, a Cadice e poi si estese ad altre città. Ferdinando VII di Borbone fu costretto a:
I MOTI DEL '20-'21 IN ITALIA. In Italia, sull'esempio spagnolo, la prima ribellione scoppiò nel luglio 1820 a Napoli, guidata dapprima da due ufficiali, Morelli e Silvati, e poi da Guglielmo Pepe, ex generale dell'esercito napoleonico. Il re delle Due Sicilie, Ferdinando I, fu costretto a concedere una Costituzione.
A Palermo invece gli insorti rifiutarono la Costituzione concessa dal re e spinsero la rivolta (appoggiata dai baroni) fino a proclamare l'indipendenza dell'isola.
Ma il moto separatista siciliano fu stroncato pochi mesi dopo dalle truppe napoletane.
Nel marzo del 1821 la ribellione scoppiò in Piemonte, guidata dal conte Santorre di Santarosa che confidava nell'appoggio di un principe di casa Savoia, Carlo Alberto, che nutiva notoriamente idee antiaustriache, e che aveva ottenuto la reggenza in seguito all'abdicazione di Vittorio Emanuele I e all'assenza in quei giorni del nuovo re Carlo Felice.
Il 14 marzo Carlo Alberto, nella sua qualità di reggente, concesse una Costituzione sul modello spagnolo.
Ma Metternich, nel Convegno di Troppau riuscì a convincere Francia e Russia dell'utilità di applicare il principio di intervento per schiacciare le rivolte e non mettere a rischio l'ordine sancito dal Congresso di Vienna.Così, già nel marzo 1821, le truppe austriache entrarono a Napoli abbattendo il governo costituzionale.
La stessa sorte tocco ai rivoluzionari in Piemonte dove il re Carlo Felice sconfessò l'operato del nipote Carlo Alberto e chiese aiuto all'Austria che sedò la rivolta.
Fu invece il re francese Luigi XVIII a muovere il suo esercito per stroncare il moto spagnolo.
IL SUCCESSO DELLA GRECIA. L'unico paese che riuscì a portare a compimento la sua lotta per l'indipendenza (sotto il protettorato della Russia) fu la Grecia, all'epoca sotto la dominazione turco-ottomana. Malgrado la forte opposizione di Metternich, infatti, ostile a ogni ribellione popolare, Russia, Francia e Inghilterra colsero il vantaggio che avrebbero potuto trarre dall'indebolimento ell'impero ottomano e si schierarono con gli insorti greci.
Il caso della Grecia era il primo, forte scricchiolio dell'edificio faticosamente costruito a Vienna nel 1815.
IL FALLIMENTO DELLA RUSSIA. In Russia insorse un gruppo di ufficiali nel dicembre 1815 e per questo chiamati poi decabristi (dicembre in russo), in occasione dell'insediamento del nuovo zar Nicola I. Essi chiedevano:
La reazione dello zar non si fece attendere: molti insorti furono condannati a morte, altri vennero deportati in Siberia.
I MOTI DEL 30-31
LA FORZA DELLE IDEE. I primi moti del 1820-1821 erano falliti per:
La repressione però poco poteva contro il dilagare del sentimento patriottico e nazionale: la forza delle idee non era contrastabile semplicemente con strumenti polizieschi, e infatti, all'inizio degli anni '30 ci fu una nuova fase di insurrezioni.
LA RIVOLUZIONE PARIGINA. La scintilla rivoluzionaria scoccò a Parigi, dove la Restaurazione aveva allora il volto di Carlo X. Egli, salito al trono, aveva attuato una politica reazionaria, favorendo aristocrazia e clero e opponendosi a qualsiasi riforma; per frenare le opposizioni aveva abolito la libertà di stampa e sciolto il Parlamento.
Il popolo insorse e il re fu costretto ad abdicare e fuggire. La borghesia scelse come nuovo re Luigi Filippo d'Orleans: nacque così la “monarchia di luglio”, con Filippo che concesse una Costituzione più liberale e in politica estera scelse la politica del non-intervento
LE RIVOLTE IN BELGIO E POLONIA. Contando sulla politica di non-intervento francese (che in realtà li aiutò):
L'INSURREZIONE IN EMILIA ROMAGNA. In Emilia nel febbraio 31 scoppiò una insurrezione guidata da Ciro Menotti. Lo scopo era:
Francesco IV subito sembrò appoggiare il moto (sperando di allargare il proprio territorio): si formarono così governi liberali a Modena, Parma, Reggio Emilia e Bologna.
Poi però Francesco IV con un brusco voltafaccia fece arrestare Menotti e assieme al papa Gregorio XVI chiese l'intervento dell'esercito austriaco.
Ciro Menotti fu giustiziato e molti patrioti incarcerati.
IL SIGNIFICATO STORICO DELLE RIVOLUZIONI DEL '30-31. Nel 1833 Metternich convocò un congresso della Santa Alleanza nel quale, benchè prive del sostegno francese, Austria, Russia e Prussia riaffermarono la volontà di repressione verso tutti I moti rivoluzionari.
Era chiaro però che, a parte in questi tre Paesi, il crescere di una più matura coscienza civile nei popoli rendeva sempre più anacronistica la forma di governo dell'ancien regime.
I PROGETTI POLITICI
L'OBIETTIVO DELL'UNITA' NAZIONALE. Il fallimento dei moti del 20-21 aveva evidenziato
Inoltre si allargavano le prospettive: non bastava più ottenere una costituzione o un governo liberale ma occorreva realizzare un obiettivo più ambizioso: l'unità nazionale.
Vennero elaborate diverse proposte su come raggiungere l'unità e l'indipendenza, e i due schieramenti fondamentali furono quello liberal-moderato e democratico, che differivano per:
I LIBERALI MODERATI. I liberali moderati ritenevano che:
Vincenzo Gioberti: Fra i moderati si distinse Vincenzo Gioberti, il quale voleva risolvere il problema dell'unità costituendo una confederazione di Stati italiani, ciascuna governata dal proprio principe, sotto la presidenza del Papa, cosa che avrebbe permesso di superare l'ostacolo dello Stato della Chiesa nel centro della penisola.
Cesare Balbo: Cesare Balbo, altro autorevole esponente moderato, accettò l'idea di Gioberti, ma propose alla guida della confederazione la dinastia dei Savoia; egli vedeva infatti nel Regno di Sardegna l'unico stato in grado di sfruttare le circostanze favorevoli del contesto europeo.
Proprio questa, grazie all'apporto di Cavour, si sarebbe rivelata la linea vincente del Risorgimento italiano.
I DEMOCRATICI. I democratici ritenevano invece che:
Giuseppe Mazzini: Aveva della nazione una concezione di tipo religioso, riassunta nel motto “Dio e popolo”. Per lui il Risorgimento doveva essere sostenuto da una profonda fede: una “fede” tutta laica e terrena, di una forza ideale che occorreva diffondere a tutto il popolo e che fosse in grado di svolgere un'opera di educazione morale e civile del popolo, guidandolo all'obiettivo dell'insurrezione generale. Il passo successivo sarebbe stato l'instaurazione di una Repubblica democratica il cui organo fondamentale doveva essere un Parlamento eletto a suffragio universale.
A tale scopo fondò prima la Giovine Italia e poi la Giovine Europa.
Carlo Cattaneo: illustre illuminista lombardo, fondò e diresse per molti anni la prestigiosa rivista “Il Politecnico”. Come Mazzini, pensava che l'indipendenza dovesse venire “dal basso”. Auspicava però un'Italia organizzata come federazione di Stati, sul modello degli Stati Uniti.
IL 1848 IN EUROPA
UN ANNO SPARTIACQUE. La data del '48 è diventata proverbiale per indicare cambiamenti profondi e improvvisi. Nonostante tutte le rivoluzioni del '48 siano state sconfitte, infatti, esse segnarono uno spartiacque fondamentale: si era definitivamente conclusa l'età della restaurazione, che prevedeva il mantenimento dello status quo e l'esclusione dei ceti borghesi e popolari dalla vita politica. Era nata una fase storica nuova, contrassegnata dall'Europa delle Nazioni e della grande industria.
LA CRISI ECONOMICA DEL '45-'47. Per cogliere I motivi che scatenarono il “Quarantotto” bisogna partire dal contesto sociale ed economico in cui essa maturò.
Quindi nel '48:
IL QUARANTOTTO FRANCESE. La scintilla ancora una volta scoccò in Francia, dove regnava in modo autoritario il “re di luglio” Luigi Filippo.
La borghesia, inasprita dalla crisi economica, tolse il proprio appoggio al re e si alleò con le classi lavoratrici. Luigi Filippo abdicò, fuggì in Inghilterra e il potere fu assunto da un governo repubblicano.
I moderati però, atterriti dalla prospettiva di una rivoluzione sociale che consegnasse il potere al popolo, favorì l'elezione a presidente della Repubblica di Luigi Bonaparte, nipote del grande Napoleone, ritenuto in grado di riportare la sicurezza e l'ordine in una situazione ancora incandescente.
Egli infatti, dopo un primo periodo di regime di tipo autoritario, nel 1852, per consolidare il suo potere, si proclamò imperatore dei Francesi con il nome di Napoleone III.
Cominciò così per la Francia la stagione del Secondo Impero.
LA RIVOLUZIONE NELL'IMPERO ASBURGICO. Il 3 marzo si sollevò Budapest, che reclamava l'autonomia dall'Austria.
Il 13 marzo a Vienna si sollevarono borghesi, operai e studenti, che costrinsero Metternich a fuggire e l'imperatore Ferdinando I a concedere l'elezione di un'assemblea costituente a suffragio universale.
A quel punto si sollevarono Praga, Venezia (che proclamò la Repubblica veneta) e Milano che alla fine delle “cinque giornate” costrinse Radetzky a ritirarsi dalla città.
LA RIVOLUZIONE IN PRUSSIA E GERMANIA. Dopo le ribellioni in Prussia, una folla di rivoltosi si scontrò a Berlino con l'esercito, fino a costringere il re Guglielmo IV a convocare un'Assemblea costituente.
IL RIFLUSSO DELL'ONDATA RIVOLUZIONARIA. L'ondata rivoluzionaria del '48 era appena cominciata, ma stava già per concludersi.
La vittoria elettorale di Luigi Bonaparte in Francia spinse i liberali moderati di Austria e Germania ad allearsi con i gruppi più conservatori, togliendo appoggi preziosi alla "primavera dei popoli".
Lo scontro che si era acceso, infatti, non era solo fra conservazione e progresso ma fra ordine e rivoluzione sociale dei nuovi ceti operai.
Una rivoluzione dunque non solo politica ma sociale.
Non bisogna dimenticare che in quel momento s'aggirava per l'Europa lo spettro del comunismo, il cui Manifesto, di Carl Marx e Friedrich Engels, fu pubblicato giusto alla vigilia dei primi moti.
Fu precisamente la paura della democrazia, vista come anticamera della rivoluzione sociale, a unire i conservatori seguaci di Metternich e i liberali più moderati, e fu questa loro alleanza a determinare il fallimento dei moti del '48.
Le due rivoluzioni (politica e sociale) furono dunque domate ovunque e le conquiste del Quarantotto andarono perdute. Tutte tranne una: fu ottenuta infatti la solenne abolizione per legge della servitù della gleba nell'impero asburgico.
La rivoluzione del '48, benchè sconfitta, pose pertanto fine all'Ancien Regime, all'assolutismo e ai loro metodi di esercizio del potere; e diede vita a una nuova fase storica: la storia dell'Europa contemporanea.
IL 1848 IN ITALIA
IL BIENNIO RIFORMATORE. Il1848 in Italia fu preceduto da una fase di riforme che destarono molte speranze nei patrioti.
IL MESE DELLA RIVOLUZIONE. Sula scia della rivolta di Palermo, scoppiarono altre rivolte in Italia, che portarono a concedere una Costituzione:
Ben presto però dalla liberalizzazione della vita sociale e politica si passò alla lotta aperta contro lo straniero, al Risorgimento della nazione italiana. Così la rivoluzione scoppiò:
LA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA. La liberazione di Milano, la momentanea debolezza dell'Austria, le altre rivoluzioni scoppiate e l'appoggio dei moderati convinsero Carlo Alberto, che dichiarò guerra all'Austria.
L'entusiasmo fu generale e lo appoggiarono con l'invio di truppe:
Questo conflitto prese il nome di prima guerra di indipendenza.
Il 26 marzo Carlo Alberto entrò trionfalmente a Milano e a giugno un plebiscito decise l'unione della Lombardia al Piemonte.
Nel frattempo gli altri sovrani italiani (Pio IX in testa) erano:
Così ritirarono il proprio appoggio. Ferdinando II attuò anche una svolta reazionaria.
Radetzky, ricevuti gli attesi rinforzi:
Pochi giorni dopo Carlo Alberto firmò l'Armistizio di Salasco.
L'INIZIATIVA PASSA AI DEMOCRATICI. Il fallimento della "guerra regia" non scoraggiò i democratici, che reagirono energicamente
I democratici, che sognavano un Repubblica con capitale Roma, potevano sperare:
LA SCONFITTA DELLE REPUBBLICHE DEMOCRATICHE. Carlo Alberto cercò la rivincita decise di riprendere la guerra contro l'Austria, ma:
Come conseguenza di ciò:
QUALI PROSPETTIVE PER IL FUTURO? I moti del '48 erano falliti per:
Tuttavia i progetti unitari e nazionali avevano avuto l'appoggio sia del ceto borghese sia delle masse popolari. Decisiva fu inoltre la volontà del nuovo sovrano Vittorio Emanuele II di non abrogare lo Statuo Albertino. Il Regno di Sardegna si era rivelato l'unico Stato in grado di contrastare l'Austria, ma la Prima guerra di indipendenza aveva dimostrato la necessità di cercarsi un alleato: l'unica scelta possibile era il nuovo regime francese.
LE DIVERSE ITALIE ECONOMICHE
UNO SGUARDO GENERALE.L'Italia di questi decenni era un paese economicamente arretrato e assai poco industrializzato. La popolazione era oppressa in gran parte da una diffusa povertà e, presa dai problemi della sopravvivenza quotidiana, poco o nulla alfabetizzata, doveva necessariamente rinunciare alla partecipazione politica.
Va precisato però che la fisionomia economica dell'Italia a metà Ottocento non era affatto uniforme.
LE DIVERSE ITALIE RURALI.
Il Lombardo-Veneto e il Piemonte erano le aree più sviluppate della penisola:
In Toscana, Umbria e Marche:
Le regioni centro-meridionali:
Comune alle diverse "Italie rurali" era una produzione agricola quasi solo orientata all'autoconsumo, con limitatissimi scambi fra gli Stati della penisola. Mancava in sostanza un mercato nazionale.
GEOGRAFIA DELL'INDUSTRIA ITALIANA. Commerci, manifatture e industrie erano poco presenti nell'Italia di metà Ottocento e, in generale, si impiantarono là dove l'agricoltura stava facendo i maggiori progressi: dunque nell'Italia settentrionale, specialmente in Lombardia e Piemonte.
Il primo nucleo di industrializzazione nel nord Italia fu la seta, di cui l'Italia era il maggior produttore mondiale dopo Cina e Giappone.
L'industria del sud (tessile, alimentare, dei cantieri navali e delle maioliche a Napoli) benchè fosse quantitativamente meno sviluppata (mancanza di capitali, povertà delle polazioni, mancanza di strade e ferrovie), non era molto più arretrata dal punto di vista qualitativo.
CAVOUR E IL PIEMONTE
IL REGNO SABAUDO. Vittorio Emanuele II, nonostante le sconfitte del '48, capì che non si poteva più tornare indietro e perciò non abrogò lo Statuto Albertino, facendo del regno sabaudo un'eccezione tra gli Stati italiani e un punto di riferimento per i patrioti della penisola.
Lo Statuto Albertino prevedeva:
Il Governo moderato, presieduto da Massimo D'Azeglio, non riuscì infatti a farle approvare la pace con l'Austria.
Il Re così sciolse la Camera e col "proclama di Moncalieri" chiese al suo paese di favorire la formazione di un Parlamento più conciliante. Così fu e venne ratificato il trattato di pace con l'Austria.
D'Azeglio però non si arrese e lottò (come il suo successore Cavour) affinche tutte le decisioni del governo dovessero essere approvate dalla Camera, e non dal Re, come prevedeva lo Statuto Albertino.
DA D'AZEGLIO A CAVOUR. Nel "decennio di preparazione" in cui il Regno di Sardegna si preparò ad assumere la guida dell'unificazione:
Cavour ottenne una solida maggioranza parlamentare con la tattica detta del "connubio":
LA MODERNIZZAZIONE DEL PIEMONTE. Cavour si dedicò in primo luogo alla modernizzazione dell'economia piemontese:
Completò la politica ecclesiastica avviata da D'Azeglio: l'istruzione venne laicizzata e resa pubblica; diversi organi religiosi vennero soppressi e i loro beni incamerati; il governo aveva potere d'intervento anche nelle nomine vescovili.
Nei rapporti con la Chiesa egli seguiva il criterio liberale, basato sull'autonomia delle due sfere, religiosa e civile. Era il principio della "libera Chiesa in libero Stato", poi solennemente affermato nel 1861.
UN FARO PER LA SOCIETA' ITALIANA. Falliti nuovi tentativi insurrezionali organizzati dalle frange mazziniane e democratiche, la politica mazziniana dell'unificazione "dal basso" con sbocco repubblicano, appariva ormai irrimediabilmente compromessa. Solo la politica di Cavour sembrava in grado di portare a compimento la "rivoluzione italiana".
LA POLITICA ESTERA DI CAVOUR. Cavour era convinto che per risolvere la questione italiana sarebbe stato necessario coinvolgere altri stati europei, in primis Francia e Inghilterra, le potenze più interessate a modificare gli assetti politici del Congresso di Vienna.
Egli decise quindi di inserire il Piemonte nel vivo della diplomazia europea.
L'occasione gli si presentò con la guerra di Crimea(1854-1855) che vedeva:
Cavour, vinta l'opposizione di Re e Parlamento, inviò in Crimea 15.000 uomini guidati dal generale La Marmora, che si fecero onore nella battaglia della Cernaia.
La Russia fu sconfitta, e Cavour fu invitato al Congresso di pace di Parigi.
In quella sede il Piemonte:
L'ALLEANZA CON LA FRANCIA. Anche l'attentato che Felice Orsini (mazziniano esule in Francia) fece a Napoleone III servì a Cavour per dimostrare la gravità delle tensioni nella penisola.
Nel luglio 1858, con un incontro segreto, Cavour e Napoleone III stipularono gli accordi di Plombieres.
Tali accordi prevedevano un'alleanza militare che sarebbe entrata in azione in caso di attacco diretto dell'Austria al Regno di Sardegna.
Dopo l'eventuale conflitto la penisola sarebbe stata divisa in 3 parti:
I tre Stati sarebbero stati legati tra loro in una Confederazione presieduta dal Papa (Napoleone voleva garantrsi il favore dei cattolici francesi)
Per compensare l'appoggo militare, il Piemonte avrebbe ceduto a Napoleone III la regione alpina della Savoia e la città di Nizza.
Rimaneva ora a Cavour un ultimo problema: farsi dichiarare guerra dall'Austria.
VERSO IL CONFLITTO CON L'AUSTRIA. Subito dopo gli accordi, Napoleone si pentì, pressato dagli altri Stati che temevano uno sconvolgimento degli equilibri internazionali.
Anche nel Regno Sabaudo le concessioni fatte a Napoleone a Plombieres non piacquero a molti.
Ma l'Austria compì un passo avventato: visto che il Piemonte stava ammassando uomini e mezzi sul confine, mandò a Torino un duro ultimatum.
L'ultimatum fu respinto e il 26 aprile 1859 l'Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna.
LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA. Cominciò così la seconda guerra di indipendenza.
Le armate austriache passarono il Ticino e furono duramente sconfitte dall'esercito franco-piemontese a Palestro, Montebello e Magenta.
L'8 giugno 1859 Vittorio Emanuele II entrò trionfalmente a Milano a fianco di Napoleone III.
Nel frattempo Garibaldi, con i Cacciatori delle Alpi, liberava Como, Varese, Bergamo e Brescia.
Successivamente gli Austriaci vennero sconfitti a San Martino (dai piemontesi) e a Solferino (dai francesi).
Le perdite furono enormi da entrambe le parti e all'armarono l'opinione pubblica internazionle: nacque allora la Croce rossa internazionale (poi riconosciuta nel 1864).
In tutti i Regni settentrionali i sovrani fuggirono e nacquero governi provvisori, che immediatamente chiesero l'annessione al Regno di Sardegna.
In Umbria e nelle Marche la rivolta fu invece repressa duramente dalle truppe papaline.
L'ARMISTIZIO DI VILLAFRANCA. Napoleone era preoccupato:
Così Napoleone III, senza preavvisare l'alleato piemontese, l'11 luglio 1859 si incontrò segretamente con Francesco Giuseppe a Villafranca, dove firmò un armistizio che prevedeva:
Questo armistizio fu una pugnalata per le speranze italiane. Cavour protestò con Napoleone, ma visto che Vittorio Emanuele II intendeva accettare l'armistizio si dimise.
Gli accordi di pace vennero ratificati a Zurigo.
IL REGNO SABAUDO SI ALLARGA. La pace lasciava irrisolte due questioni:
A sbloccare questa situazione giunse il ritorno al Governo di Cavour che ottenne l'assenso di Napoleone all'annessione al Piemonte degli stati dell'Italia Centrale, in cambio della cessione alla Francia di Nizza e della Savoia.
Plebisciti attentamente preparati sancirono così l'annessione al Piemonte di Emilia e Toscana.
Il Regno Sabaudo quindi adesso comprendeva:
Mancavano all'appello:
A completare il successo di Cavour, con le nuove elezioni, ci fu la vittoria dei moderati, a discapito delle forze mazziniane e repubblicane.
Queste forze però erano destinate a riprendere presto l'iniziativa, proprio grazie a Garibaldi.
L'IMPRESA DEI MILLE E IL REGNO D'ITALIA
LA SICILIA NEL MIRINO. In questo contesto Cavour doveva fare molta attenzione a non compromettere la situazione internazionale, in quanto aveva ottenuto l'appoggio di Francia e Gran Bretagna presentandosi come il garante, nella penisola, dell'ordine e della legalità.
Con l'attendismo di Cavour contrastava il fervore dell'opinine pubblica e potè così riprendere fiatol'iniziativa di democratici e mazziniani, fondatori di un Partito d'azione che auspicava:
Intanto sul trono delle Due Sicilie, morto il padre Ferdinando II, era salito il giovane Francesco II, che sordo a ogni richiesta aveva confermato il dispotismo dei predecessori, alimentando gravissime tensioni interne.
Nel marzo 1860 Mazzini scrisse una lettera ai Siciliani invitandoli a insorgere: la prima rivolta, scoppiata a Palermo, guidata da Francesco Crispi, e, repressa, divampò poi nei centri minori e nelle campagne.
Sollecitato dai mazziniani siciliani, Giuseppe Garibaldi cominciò ad arruolare volontari e il Governo Sabaudo non intervenne a fermarlo per due motivi:
L'IMPRESA DEI MILLE. Tra il 5 e il 6 maggio 1860 un migliaio di volontari (intellettuali, operai e artigiani), sotto la guida di Garibaldi, salpò da Quarto, presso Genova, su due vecchi bastimenti, il Piemonte e il Lombardo (ufficialmente rubati, in realtà procurati dal Regno di Sardegna).
L'11 maggio i Mille sbarcarono a Marsala, sotto la protezione delle navi inglesi e Garibaldi si proclamò dittatore della Sicilia assumendo i poteri in nome di Vittorio Emanuele II.
Il 15 maggio le truppe garibaldine sconfissero quelle borboniche a Calatafimi, guadagnandosi l'appoggio delle popolazioni locali: nel giro di poche settimane i Mille divennero un vero e proprio esercito. A muovere i contadini in massa per la prima volta, non fu l'obiettivo dell'unificazione ma la volontà di appropriarsi della terra, liberandosi da ingiustizie secolari.
A Bronte i contadini massacrarono i nobili locali, provondo di repressione spietata del luogotenente garibaldino Nino Bixio, che avvicinò così alla causa garibaldina nobili e borghesi.
Dopo l'occupazione di Palermo, Garibaldi sconfisse i borbonici a Milazzo, passò lo stretto e sbarcò in Calabria.
Per salvare il salvabile Francesco II ripristinò la Costituzione del 1848, ma non servì a nulla.
Il 7 settembre Garibaldi entrò a Napoli, accolto da liberatore. Il giorno prima Francesco II si era rinchiuso nella fortezza di Gaeta.
La conquista di Garibaldi parve incredibile agli occhi del mondo. In realtà il Regno delle Due Sicilie era una struttura così antica e deteriorata che un piccolo urto fu sufficiente per farla disintegrare.
VITTORIO EMANUELE II RICEVE UN REGNO IN DONO. La vittoria di Garibaldi rappresentava però un problema per Cavour:
Era dunque necessario intervenire e sbarrare al più presto a Garibaldi la strada per Roma.
Un grande esercito piemontese entrò nello Stato Pontificio, sconfisse le truppe papaline a Castelfidardo e proseguì la sua marcia su Napoli.
Garibaldi intanto aveva nuovamente sconfitto i borbonici sul fiume Volturno.
Il 26 ottobre 1860, Vittorio Emanuele II incontrò personalmente Garibaldi a Teano (Caserta): il generale rimise ogni potere nelle mani del monarca sabaudo.
Dieci giorni dopo Garibaldi attese invano che il Re rendesse omaggio ai suoi uominischierati davanti alla Reggia di Caserta: deluso si ritirò nell'isola di Caprera.
Con due distinti plebisciti, le popolazioni dell'ex Regno delle Due Sicilie e quelle di Marche e Umbria (ex pontificie) approvarono l'annessione al Regno di Sardegna.
All'inificazione, ottenuta grazie al contributo decisivo dei democratici, mancavano ancora:
17 MARZO 1861: SI PROCLAMA L'UNITA' D'ITALIA.
Il 17 marzo 1861, a Torino, il primo Parlamento dell'Italia unita, a schiacciante maggioranza liberale, proclamò solennemente la nascita del Regno d'Italia.
Pochi giorni dopo, il 6 giugno, morì Cavour, lasciando il giovane Regno orfano della sua guida illuminata di statista.
LA DESTRA STORICA AL POTERE
I GRUPPI POLITICI. Nel Parlamento del nuovo Regno si confrontavano due gruppi politici distinti:
Le prime elezioni politiche (27 gennaio 1861) diedero la maggioranza parlamentare alla Destra (chamata poi dagli studiosi "Destra storica" per distinguerla dai movimenti conservatori e reazionari di epoche successive), un gruppo omogeneo, formato da nobili e ricchi borghesi con obiettivi economici e sociali comuni.
Destra e Sinistra storiche erano in realtà due schierameni meno distanti della Destra e della Sinistra attuali.
Entrambi i gruppi:
Essi però differivano in quanto:
ACCENTRAMENTO O DECENTRAMENTO. L'Italia unita era in realtà un Paese ancora diviso da barriere secolari fatte di tradizioni e culture diverse (solo 650mila cittadini sapevano parlare la lingua italiana; 21 milioni parlavano una miriade di dialetti).
Come unificare l'Italia? Emersero due linee:
Prevalse la soluzione dell'accentramento, per paura, in questo contesto ancora fragile, delle spinte democratiche e repubblicane ancora molto forti in alcune zone del Mezzogiorno.
IL RUOLO DEI PREFETTI. Così il 22 dicembre 1861 il governo Ricasoli estese a tutta l'Italia la legge comunale e provinciale esistente nel Piemonte.
Le 59 province del Regno vennero sottoposte al controllo di un prefetto nominato dal ministro dell'interno. Anche i sindaci erano di nomina regia e sottoposti al controllo prefettizio.
La figura chiave era dunque quella dei prefetti, rappresentati del governo in ogni provincia, che controllavano l'ordine pubblico, la sanità, la scuola, la nomina dei sindaci e dei deputati.
Non a caso la gran maggioranza dei prefetti era piemontese.
LA "PIEMONTESIZZAZIONE" DELL'ITALIA. A tutto il Regno fu esteso lo Statuto Albertino, che permise a Vittorio Emanuele II di continuare a esercitare notevoli poteri anche perchè il Senato era tutto di nomina regia.
La giustizia:
La scuola:
L'esercito:
Il Commercio:
SI CONCLUDE IL RISORGIMENTO
L'UNITA' DA COMPLETARE. Quando fu proclamato il Regno d'Italia, abbiamo visto che mancavano all'appello, perchè ancora sotto il dominio austriaco:
Rimanevano ancora inoltre nelle mani del Pontefice:
A Destra come a Sinistra era unanime il desiderio di vedere completata l'unità, ma vi erano divergenze sui mezzi da adottare:
LA TERZA GUERRA DI INDIPENDENZA. Nel 1866, quando scoppiò la guerra austro-prussiana, il Regno d'Italia non si lasciò sfuggire l'occasione di allearsi con la Prussia.
Questa guerra combattuta contro gli austriaci fu chiamata Terza guerra di indipendenza.
L'esercito italiano, largamente impreparato, venne duramente sconfitto a Custoza e a Lissa.
Solo i Cacciatori delle Alpi, un corpo di volontari al comando di Giuseppe Garibaldi, ottennero una vittoria.
Ma gli Austriaci furono duramente sconfitti dai Prussiani a Sadowa e quindi l'armistizio che seguì obbligò Garibaldi ad arrestare la sua avanzata a malincuore, col celebre telegramma "Obbedisco".
Dal successivo trattato di pace di Vienna l'Italia ottenne:
In mano austriaca dunque erano rimasti:
La convinzione che questi territori appartenessero naturalmente all'Italia diede vita al cosiddetto "irredentismo", il movimento di liberazione delle terre "non redente" dal dominio straniero, destinato a trascinarsi fino alla vittoria nella Prima guerra mondiale.
LA QUESTIONE ROMANA. Senza Roma capitale l'unione d'Italia non era completa, ma tale risultato sembrava sbarrato da più motivi:
I TENTATIVI FALLITI DI GARIBALDI. Tra i più decisi a ottenere Roma vi erano i democratici, tra cui Mazzini e Garibaldi. Con lo stesso stratagemma dei volontari, per non turbare la Francia, il Regno consentì a Garibaldi di riunire in Sicilia circa 2.000 camicie rosse, per poi marciare alla conquista di Roma. Ma Napoleone III dichiarò che avrebbe difeso il Lazio con le sue truppe e così il Re si dissociò dall'iniziativa.
Il governo della Destra avviò così trattative segrete con Napoleone III e giunse alla Convenzione di Settembre, che prevedeva:
Perciò nel giugno 1865, nonostante numerose proteste, il Parlamento deliberò il trasferimento della capitale a Firenze.
Garibaldi non rinunciò però alla conquista di Roma e nel 1867 marciò verso la città con un migliaio di volontari, ma il Re questa volta, temendo una definitiva rottura dei rapporti con la Francia, non lo appoggiò; non insorsero neanche i cittadini romani, e i garibaldini furono sconfitti a Mentana dalle truppe franco-pontificie.
LA CADUTA DI NAPOLEONE III. Bisognò attendere la sconfitta della Francia a Sedan (2 settembre 1870) nella guerra franco-prussiana, e la conseguente caduta di Napoleone III, per una nuova spedizione alla volta di Roma, dove le truppe francesi ancora presenti erano già state richiamate il patria.
Fallito l'ultimo tentativo di un'annessione pacifica, il 20 settembre 1870 un gruppo di bersaglieri, al comando di La Marmora, si aprì a cannonate un varco nele antiche mura aureliane, presso Porta Pia, ed entrò a Roma.
Il 13 marzo 1871 il Governo italiano emanò una serie di norme, la "Legge delle Guarentigie",cioè delle "garanzie", che prevedevano per il Papa:
Ma Pio IX:
Il 20 settembre 1870 pose fine al millenario potere temporale dei Papi, ma non alla "questione romana", destinata a risolversi solo nel 1929 con i Patti Lateranensi.
SOCIETA' ED ECONOMIA DELL'ITALIA UNITA
L'ITALIA: UN PAESE PREVALENTEMENTE AGRICOLO. Al momento dell'Unità, gli italiani erano prevalentemente contadini (70%), mentre gli operai erano una ristretta minoranza (18% ).
IL BRIGANTAGGIO NEL MEZZOGIORNO. I contadini del Sud avevano sostenuto l'impresa dei Mille nella speranza di una riforma agraria volta alla ridistribuzione delle terre.
La realtà dopo l'Unità fu però ben diversa, in quanto la Destra Storica:
Per reazione, migliaia di lavoratori rurali, armati di schioppo, presero la via delle montagne e si organizzarono in bande di briganti. In pochi mesi il brigantaggio si estese all'intero Mezzogiorno, finanziato dai Borboni in esilio, che speravano in un ritorno al potere.
Queste bande saccheggiavano e uccidevano, soprattutto i cosiddetti "galantuomini", borghesi che con l'Unità si erano appropriati delle terre demaniali.
Distruggevano poi gli archivi comunali, per evitare la chiamata alle armi e i passaggi di proprietà.
Il brigantaggio era dnque una rivolta popolare, segno di un malessere profondo che doveva essere affrontato con riforme strutturali volte a migliorare le condizioni di vita delle masse contadine. Ma la soluzione scelta dal Governo di Torino fu ben diversa.
Venne inviato nel Mezzogiorno un esercito di 100.000 uomini (la metà dell'esercito nazionale) che represse duramente la guerriglia, a prezzo di 18.000 morti.
L'OBIETTIVO ECONOMICO DELLA DESTRA STORICA. All'unificazione politica della Penisola bisognava affiancare quella economica.
Secondo la Destra, sostenitrice elle dottrine liberiste, era necessario creare un unico, grande mercato nazionale, in modo che le merci potessero circolare più facilmente in tutta la penisola. Quindi:
Tali scelte, come vedremo, esposero l'economia italana a una forte concorrenza estera.
UNA RETE FERROVIARIA NAZIONALE. Per rendere efficiente il nuovo mercato nazionale occorreva far viaggiare le merci rapidamente e a costi non troppo alti.
La ferrovia però non esisteva negli ex domini pontifici e borbonici.
Così tra i primi obiettivi del Governo vi fu la realizzazione di un'efficiente rete di comunicazioni stradali e ferrovie, a livello nazionale.
Per la costruzione di queste infrastrutture però si utilizzarono quasi solo tecnologie e materiali importati dall'estero, e non si innescò quindi un effetto di crescita industriale interna.
GLI EFFETTI DEL LIBERISMO ECONOMICO. La politica liberista della Destra, aperta agli scambi internazionali, favorì lo sviluppo delle coltivazioni specializzate dirette all'esportazione e un'agricoltura di tipo capitalistico al Nord e in Emilia Romagna; grazie alle nuove vie di comunicazione, i prodotti industriale del Nord giunsero fino alle aree più remote del Sud.
Purtroppo però il liberismo fece crollare l'industria al Sud, meno sviluppata e incapace di reggere la concorrenza. Il Sud fu, di fatto, condannato ad essere una regione agricola.
Il liberismo decretò anche la fine dell'artigianato locale e dell'industria a domicilio, che con la tessitura del lino e della canepa dava lavoro a più di 300mila contadini. Con la diffusione della tecnologie e dei suoi bassi prezzi, questi contadini vennero così privati del loro tradizionale lavoro integrativo e dovettero occuparsi come operai salariati nelle fabbriche.
Ciò toccò anche la produzione dei generi alimentari: la fabbricazione di latticini e salumi e la produzione di farina, vino, olio, strumenti da lavoro agricoli e materiali da costruzione, venne a poco a poco assorbita dalle nuove industrie meccanizzate.
DEFICIT E IMPOSTE. Per costruire ferrovie, organizzare la nuova burocrazia e fornire i servizi più indispensabili, il nuovo stato unitario doveva spendere somme enormi.
Il bilancio statale era paurosamente in deficit ma il raggiungimento del pareggio di bilancio pareva fondamentale; le dottrine liberiste infatti esigevano un equilibrio fra entrate e uscite.
Per ottenere ciò non bastavano però i prestiti contratti con l'estero nè un'amministrazione oculata delle uscite: l'unica via possibile era inasprire la pressione fiscale.
La Destra scelse di aumentare non tante le imposte dirette (in base al reddito), ma quelle indirette, gravanti sulle singole merci di consumo (farina, sale, fiammiferi...), che gravarono enormemente sui poveri, la maggioranza della popolazione.
Fu adottato poi il corso forzoso della moneta (cioè fu sospesa la convertibilità delle banconote in metallo prezioso), oggi normale ma nell'800 operazione scorretta. Con il corso forzoso la lira si svalutò (vantaggio per lo Stato che vide alleggerire i suoi conti), ma aumentò l'inflazione, per cui aumentò il costo della vita a danno della gente comune.
LA TASSA SUL MACINATO. Tutto ciò aggravò le misere condizioni dei contadini e degli operai, determinando una grave tensione sociale.
La situazione peggiorò quando, nel 1869, entrò il vigore una nuova imposta, la "tassa sul macinato", da versarsi in proporzione alla farina macinata nei mulini e alla quale era impossibile sfuggire.
Nacque così un vasto moto di rivolta, soprattutto nelle campagne del centro-nord, e la risposta del Governo fu repressiva: reparti dell'esercito, guidati da Raffaele Cadorna, repressero le rivolte nel sangue.
SI ESAURISCE LA DESTRA STORICA. Nonostante queste tensioni, nel 1875 la Destra riuscì a raggiungere il pareggio di bilancio, grazie soprattutto all'ottimo ministro delle finanze Quintino Sella.
L'Italia vide accrescere il proprio prestigio internazionale, ma pagò un prezzo troppo alto:
La politica della Destra si era rivelata deficitaria, soprattutto
Anche i borghesi erano delusi dai risultati raggiunti.
Si erano create le premesse affinchè la Destra moderata d'ispirazione cavouriana, dopo un quindicennio di governo, fosse sostituita alla guida del Paese dalla Sinistra Storica.
LA SINISTRA AL POTERE
FINISCE IL RISORGIMENTO E SI APRE UNA PAGINA NUOVA. Con l'annessione del Veneto, di Roma e del Lazio, i problemi dell'unità nazionale erano finiti, ma ora bisognava aiutare il paese a crescere e a svilupparsi. Sarà questo l'obiettivo della Sinistra storica.
Il peso eccessivo delle tasse imposte dalla Destra aveva allargato la distanza fra i gruppi dirigenti e la società italiana.
La Destra inoltre non rappresentava gli interessi e i bisogni del nuovo ceto industriale, che voleva:
Gli interessi degli industriali e quelli dei lavoratori finivano così per coincidere, e fu proprio ciò a dare la maggioranza alla Sinistra nelle elezioni del 1876.
Gli obiettivi della Sinistra infatti erano:
LO SVILUPPO DELL'INDUSTRIA. Presidente del Consiglio divenne Agostino Depretis, che aveva basato i suoi comizi su:
Lo stato cominciò allora a distribuire cospicue sovvenzioni: nacquero così la Pirelli (1872), la Terni (1884), le officine metallurgiche Breda e la prima centrale termoelettrica (il centro di Milano fu il primo d'Europa a essere illuminato elettricamente).
IL PROTEZIONISMO. Il dato saliente della politica economica della Sinistra fu l'abbandono del liberismo e l'adozione di una politica protezionista.
L'imposizione di tasse doganali ebbe però effetti contrastanti:
Non a caso in quel periodo crebbe il fenomeno dell'emigrazione, soprattutto verso le Americhe.
LE PRINCIPALI RIFORME. Fra le principali riforme della Sinistra ricordiamo:
LA "QUESTIONE SOCIALE". Prese corpo in quegli anni l'interesse per l'Italia reale, che diede avvio ad alcune grandi inchieste, che misero in luce l'arretratezza di alcune zone del paese.
Si cominciò così a parlare di "questione sociale", anche per l'influsso crescente, in Italia, delle idee socialiste e di quelle anarchiche.
Nel 1892, per iniziativa di Turati, Costa e Labriola nacque a Genova il Partito dei lavoratori italiani, poi ribattezzato Partito Socialista Italiano (1895).
Anche il mondo cattolico avvertiva l'esigenza di rinnovare i suoi strumenti di intervento nella società e diede vita a una rete di banche popolari e di cooperative di natura solidaristica e interclassista; iniziative che rafforzarono la presenza cattolica, soprattutto nelle campagne; presenza che sarà ulteriormente rafforzata dalla Rerum Novarum di Leone XIII.
PRUDENZA E TRASFORMISMO. Nonostante tutto ciò, le differenze sociali erano rimaste uguali, e il cauto riformismo della Sinistra prevedeva sempre la gestione del potere nelle mani di un'oligarchia composta da proprietari terrieri, industriali, grandi commercianti e professionisti, tutti accomunati dall'ideologia liberale.
La "rivoluzione" auspicata dalla sinistra dunque non ci fu: lo dimostra anche il fatto che molti deputati della Destra confluirono nella Sinistra. Così Depretis potè contare su una larga maggioranza parlamentare, procurandosi di volta in volta l'appoggio di deputati conservatori.
Tale disinvolto sistema di governo venne chiamato "trasformismo" e si attirò molte critiche, in quanto veicolo di corruzione e di clientelismo.
LA TRIPLICE ALLEANZA. Il campo in cui la Sinistra si mostrò veramente rivoluzionaria rispetto alla Destra fu quello della politica estera, che aveva sempre confermato l'alleanza con la Francia contro l'Austria.
Nel 1881 però la Francia occupò la Tunisia, suscitando forti proteste da parte dell'Italia che mirava a un'espansione coloniale in quei territori.
Per reazione, e per rompere l'isolamento diplomatico dell'Italia, i governi della Sinistra conclusero, nel 1882, un trattato con la Germania e l'Austria-Ungheria, chiamato Triplice alleanza.
Si trattò di una scelta dolorosa perchè all'Austria si riconosceva implicitamente il possesso dei territori "irredenti" Trento e Trieste.
L'ESPANSIONE COLONIALE. Sempre nel 1882 il Governo italiano acquistò dalla Società Rubattinoi territori intorno alla baia di Assab, sul Mar Rosso, in Etiopia.
Da quella zona partì il primo tentativo di espansione coloniale dell'Italia in Africa.
Il negus, l'imperatore etiopico, reagì all'espansione e annientò a Dogali una colonna militare italiana.
Depretis interruppe ogni tentativo di espansione coloniale, ma in Italia era ormai attiva e operante la miccia del nazionalismo.
L'ITALIA DA CRISPI ALLA CRISI
DI FINE SECOLO
FRANCESCO CRISPI. Alla morte di Agostino Depretis divenne presidente del consiglio l'avvocato Francesco Crispi, principale consigliere politico di Garibaldi durante l'impresa dei Mille: era stato dunque un politico rivoluzionario e repubblicano, ostile al moderatismo di Cavour e ai Savoia.
Poi negli anni Ottanta era cambiato e aveva a poco a poco assunto posizioni monarchiche, probabilmente influenzato da Otto von Bismarck, il "cancelliere di ferro" che lui apprezzava molto.
Egli quindi, sulla scia di Depretis:
LE RIFORME DI CRISPI. Nei suoi 4 governi, dal 1887 al 1896, il suo autoritarismo non gli impedì dunque di operare delle riforme:
LE AMBIZIONI COLONIALI. Nonostante la sconfitta a Dogali del 1887, forte dell'appoggio di Germania e Austria-Ungheria, Crispi non volle rinunciare alla conquista del corno d'Africa.
L'imperatore etiope Menelik, siglò con l'Italia il Trattato di Uccialli (1889), che stabiliva il protettorato italiano su diverse zone dell'Etiopia, della costa somala e su alcune città eritree.
Nel 1885 però l'Italia, prendendo come pretesto un'interpretazione discordante del trattato, spinta dagli spiriti dei nazionalisti, riprese la penetrazione in Etiopia.
Il negus Menelik si oppose con le armi e nel 1886 sconfisse pesantemente le truppe itaiane ad Adua.
Questa sconfitta inaspettata provocò disordini e manifestazioni, e Crispi fu costretto a dimettersi.
LA CHIESA TORNA IN CAMPO. La Chiesa, di fronte alle esigenze delle grandi masse, cambiò profondamente atteggiamento.
Nel 1891, Leone XIII con l'enciclica Rerum Novarum:
Nacquero inoltre:
LA CRISI ECONOMICA. La rigida politica protezionistica di Crispi:
Aumentarono così le disuguaglianze economiche e il malcontento, e con essi le tensioni sociali. Nelle zone più colpite i disoccupati cominciarono ad emigrare verso Argentina, Brasile, Uruguay e Stati Uniti: circa 5 milioni di italiani tra il 1876 e il 1915.
IL SOCIALISMO SI ORGANIZZA. Nelle regioni in cui c'era una situazione economica distorta, si sviluppò il movimento operaio e nel 1992 nacque il Partito socialista italiano.
Fino ad alora a interpretare e rivendicazioni sociali egli operai e dei contadini erano stati gli anarchici, che avevano:
I socialisti invece:
LA SVOLTA AUTORITARIA. Dopo Crispi tornò al potere la Destra che, spaventata dall'integrazione delle masse lavoratrici nella vita dello stato e dalle loro rivendicazioni, rispose con una chiusura netta.
Nel 1898, a Milano, mentre al governo c'era il generale Pelloux, una folla che dimostrava contro l'aumento del prezzo del pane fu dispersa a cannonate.
Questa svolta autoritaria fu però bloccata dalle elezioni del 1900, quando l'elettorato premiò i socialisti, i radicali, i repubblicani e i liberali riformisti: l'opinione publica italiana non aveva gradito la svolta repressiva e cercava nuove strade per affermare la democrazia in Italia.
Un mese dopo le elezioni, l'anarchico Gaetano Bresci uccise a Monza il re Umberto I, che ai suoi occhi incarnava l'Italia della repressione.
DUE IMPERI IN DIFFICOLTA'
AUSTRIA E RUSSIA
LA CRISI DELL'IMPERO ASBURGICO. Nella seconda metà dell'Ottocento, come abbiamo visto, l'Impero asburgico, un mosaico di popoli, aveva subito un lento declino, a causa del "risveglio delle nazionalità".
Negli anni Sessanta:
I PROBLEMI DELLO SVILUPPO INDUSTRIALE. La struttura economica dell'Impero, specialmente nelle regioni meridionali, era sostanzialmente agraria e gravata da antichi vincoli feudali. Anche l'industria era limitata.
Quindi le scelte imperialiste, come quella che aveva portato all'annessione della Bosnia-Erzegovina (1908), non erano dettate da una logica economica (espansione del mercato) bensì geopolitica.
In sostanza, erano un segno di debolezza.
La burocrazia, un tempo preparata ed efficiente, col crecere della complessità della vita sociale ed economica, ad un certo punto smise di essere il lubrificante che faceva "girare" il motore dello Stato e si trasformò in un freno per lo sviluppo sciale ed economico.
Nonostante tutto ciò, alle soglie del Novecento l'Impero Austro-Ungarico si presentava ancora come una grande potenza, interessato ad espandersi nella penisola balcanica, dove convergevano anche gli interessi russi e dove le nazionalità slave ceravano di approfittare dell'indebolimento dell'Impero ottomano.
LA RUSSIA, UN PAESE ARRETRATO. La Russia alla fine dell'Ottocento era un gigante addormentato. Era un paese essenzialmente rurale (75% della popolazione) e per di più arretrato e pocomeccanizzato, quindi incapace di alti rendimenti. Inoltre la proprietà della terra si concentrava nelle mani della grande nobiltà assenteista, penalizzando la piccola proprietà contadina.
Nonostante ciò lo zar cercò di avviare un processo di industrializzazione, soprattutto intorno alle due aree urbane di Mosca e San Pietroburgo; uno sforzo imponente che pagò la dipendenza finanziaria dai capitali stranieri.
Un ruolo strategico ebbe la costruzione della linea ferroviaria Tansiberiana, che collegava Mosca al Pacifico. Essa rappresentò un vero e proprio volano dell'industrializzazione.
La consegenza di questa trasformazione dell'economia russa fu la nascita di un proletariato industriale, che viveva in condizioni miserabili e che formò la base umana su cui si fondò il socialismo russo.
L'OPPOSIZIONE ALLO ZARISMO. L'opposizione allo zarismo era in quel momento egemonizzato da due forze molto diverse per estrazione sociale e propositi politici.
I populisti:
Gli anarchici:
LA RESTAURAZIONE AUTOCRATICA. I due zar che succedettero a Alessandro II, Alessandro III e Nicola II (1894-1918):
Questa politica finì per allontanare dallo zar anche le simpatie della borghesia liberale.
LA GUERRA RUSSO-GIAPPONESE. Nicola II volle recuperare il terreno perduto nella spartizione coloniale del globo, e l'obiettivo principale erano i Balcani, che avrebbero consegnato allo zar il tanto agognato sbocco al Mar Mediterraneo.
All'inizio del Novecento tuttavia cadde sotto le mire russe anche l'Asia Orientale, e ciò provocò uno scontro con un avversario insormontabile: il Giappone.
Contrariamente alle prospettive di una facile vittoria, la Russia andò incontro a una cocente sconfitta, che aprì la strada alla rivoluzione.
LA RIVOLUZIONE DEL 1905. La guerra contro il Giappone:
Nel gennaio 1905, a San Pietroburgo, una manifestazione di migliaia i persone, riunite davante al Palazzo d'inverno per chiedere diritti politici e provvedimenti contro la carestia, fu dispersa con le mitragliatrci. La rivolta è nota anche come "domenica di sangue".
Questa violenta repressione non placò la protesta ma la estese, al punto che a San Pietroburgo si riunirono 2 milioni di persone che chiedevano:
Gli operai intanto si erano riuniti in consigli di fabbrica, i Soviet, che si candidavano a esercitare un vero e proprio contropotere.
Lo zar, alla fine, pressato anche dai ceti borghesi e dagli intellettuali, che auspicavano un avvicinamento alle potenze occidentali, accettò:
Gli operai, però, decisero di mantenere in vita i Soviet, e fecero bene: lo zar infatti riuscì a far eleggere una Duma completamente aservita alla sua volontà, cui subito revocò poteri e autonomia.
L' IMPERIALISMO
DAL COLONIALISMO ALL'IMPERIALISMO. Fin dal XVI secolo Francia, Gran Bretagna e Spagna avevano iniziato a dai vita a colonie.
Sui nuovi territori:
Fino alla prima metà dell'Ottocento i paesi colonialisti gestivano i loro possedimenti per lo più attraverso trattati di "collaborazione".
Così fece l'Inghilterra con l'India, dove la penetrazione non avvenneper via militare ma attraverso la Compagnia delle Indie, un'impresa mercantile che giunse a dominare tutto il subcontinente indiano e ad avere un potere talmente vasto che la corona britannica, preoccupata, glielo revocò.
Negli anni Settanta dell'Ottocento la Spagna aveva perso quasi tutti i possedimenti.
Francia e Gran Bretagna, rimaste sole a contendersi l'egemonia coloniale:
Il vecchio colonialismo lasciò così posto al nuovo imperialismo.
Alla base di questo processo vi furono:
I RAPPORTI DI FORZA FRA LE POTENZE EUROPEE.
La Gran Bretagna fu la maggiore potenza imperialista perchè:
La Francia si stava espandendo:
La Spagna e il Portogallo avevano ormai pochissime colonie.
All'Olanda apparteneva quasi tutta l'Indonesia.
Erano al momento escluse dal gioco:
L'INIZIO DELL'IMPERIALISMO. Gli storici hanno individuato nel 1876 la data chiave dell'avvio dell'imperialismo: in quell'anno gli Inglesi entrarono nell'amministrazione del Canale di Suez insieme alla Francia. Sei anni dopo, nel 1882, rompendo l'accordo con la Francia, gli Inglesi occuparono l'Egitto.
E nel 1914 metà del mondo apparteneva a qualche Stato europeo.
La matrice culturale e politico-filosofica va cercata nel nazionalismo, declinato in senso aggressivo, che affermava il diritto del più forte a scapito del più debole.
Molto diverso quindi dal nazionalismo che aveva ispirato la lotta di liberazione nazionale di tanti popoli oppressi.
AL SERVIZIO DELLA GRANDE INDUSTRIA. Dagli anni '60 dell'Ottocento la produzione industriale subì una nuova accelerazione (diffusione energia elettrica, scoperta del petrolio ecc), collegata allo sviluppo imperialistico, di cui era causa ed effetto, in quanto:
UNA VALVOLA DI SFOGO ALLE TENSIONI SOCIALI. Con l'industrializzazione aumentò la diffusione:
Tutto ciò provocò un aumento della popolazione, visto positivamente dalle potenze imperialistiche, in quanto potevano incrementare le masse lavoratrici e gli effettivi degli eserciti.
La costruzione di un Impero fu considerata dunque una valvola di sfogo:
Quindi l'imperialismo permetteva:
A tutto ciò si univa l'orgoglio nazionale e la convinzione di svolgere un ruolo determinante sul palcoscenico del mondo.
Fonte: http://www.itisalbenga.it/download/appunti/Storia/RIASSUNTO%20RISORGIMENTO.doc
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