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Appunti sull’ EMPIRISMO
Lungo tutto il corso della storia della filosofia occidentale sul problema gnoseologico si sono contrapposte due tendenze:
la prima evidenziava il carattere instabile, incerto, soggettivo - e quindi non-scientifico - della conoscenza empirica (cioè della conoscenza derivata dai sensi, o esperienza, in greco “empeiria”) e affermava la necessità, per la scienza, di una conoscenza razionale pura ( esempi: Parmenide, Platone, Agostino, Cartesio, Spinoza ecc.)
la seconda valorizzava anche l’esperienza e affermava la necessità, per la scienza, di un’integrazione di ragione ed esperienza (esempi: Aristotele, Tommaso d’Aquino, Galilei ecc.)
Un’accentuazione o addirittura una assolutizzazione del valore conoscitivo dell’esperienza viene proposta (nell’ambito culturale anglosassone nel XVII e XVIII secolo) dall’EMPIRISMO, che si contrappone programmaticamente al razionalismo cartesiano.
L’EMPIRISMO INGLESE
Corrente filosofica del XVII-XVIII secolo caratterizzata da queste tesi:
1) l’esperienza è l’unica fonte (diretta o indiretta) della conoscenza, la mente è una “tabula rasa” su cui l’esperienza “scrive”.
2) l’esperienza è il criterio di verifica delle idee e delle teorie filosofiche.
In antitesi al razionalismo l’empirismo sottolinea i limiti delle possibilità conoscitive dell’uomo. Non si può conoscere ciò che eccede i limiti dell’esperienza (---> atteggiamento anti-metafisico)
I principali esponenti dell’empirismo inglese sono:
John Locke , George Berkeley, David Hume
JOHN LOCKE (1632 - 1704) inglese
opera “Saggio sull’intelletto umano”
Critica la teoria cartesiana delle idee innate: la mente è un “foglio bianco”; le fonti della conoscenza sono le sensazioni e il senso interno, da esse derivano le IDEE SEMPLICI, e dalle idee semplici derivano le IDEE COMPLESSE. Le idee complesse non sempre sono attendibili, vanno verificate con l’esperienza.
Locke è noto anche per le sue importanti opere di filosofia politica.
GEORGE BERKELEY (1685 . 1753) irlandese, vescovo anglicano
opera “Trattato sui principi della conoscenza umana”.
“Esse est percipi” = esistere significa essere percepito, vale a dire: noi non conosciamo cose o fatti ma solo percezioni, non esiste una realtà oggettiva al di fuori delle percezioni, la realtà coincide con ciò che io percepisco ---> esito idealistico dell’empirismo
DAVID HUME (1711-1776) scozzese
opere “Trattato sulla natura umana” , “Ricerca sull’intelletto umano”, “Ricerca sui principi della morale”
Progetto di Hume: costruire una scienza della natura umana in analogia alla scienza della natura fisica di Newton. Se si possiede la scienza della natura umana che è la “capitale” del “regno” del sapere, facilmente si possederà poi tutto il regno, cioè tutto il sapere.
Tuttavia il risultato della ricerca di Hume non sarà la conquista della scienza della natura umana, ma piuttosto una forma di scetticismo.
Per Hume tutti i contenuti della mente umana si riconducono a due classi di percezioni: impressioni e idee
IMPRESSIONI: sono le percezioni più forti e vivaci, quelle che comunemente si ritengono prodotte da oggetti presenti
IDEE: sono le immagini, le tracce lasciate da precedenti impressioni, e si distinguono dalle impressioni perché sono meno forti e vivide, sono impressioni indebolite o attenuate.
Hume nota che noi non possiamo sapere se esistano davvero oggetti reali che producono le impressioni (conosciamo solo le impressioni!), ma convenzionalmente riteniamo “reali”, “evidenti”, le percezioni più forti, cioè le impressioni.
Tutte le idee semplici derivano dalle impressioni, perché tutte le idee sono tracce, ricordi delle impressioni .
Nelle mente umana non ci sono idee innate, c’è però una forza, definita PRINCIPIO DI ASSOCIAZIONE, che spinge la mente a stabilire relazioni tra le idee e quindi a comporre o costruire idee complesse.
Il principio di associazione opera in tre modi:
1) per somiglianza
2) per contiguità nel tempo
3) per contiguità nello spazio
Il principio di associazione per somiglianza ci permette di designare con un unico nome diverse idee particolari; ma non esiste un’idea universale o generale che esprima caratteristiche comuni a diversi oggetti, esiste semplicemente un nome che richiama l’abitudine di associare per somiglianza diverse idee particolari.
Il principio di associazione per contiguità nel tempo e nello spazio sta all’origine di alcune idee complesse che Hume sottomette ad analisi critica: le idee di causa-effetto e di sostanza materiale e spirituale. Preliminarmente osserviamo che per Hume un’idea è valida quando è riconducibile a un’impressione : tutte le idee semplici derivano dalle impressioni, ma l’origine delle idee complesse è molteplice e non sempre chiara ed è per questo che si pone il problema dell’accertamento della loro validità oggettiva
CRITICA DELL’IDEA DI RELAZIONE CAUSA-EFFETTO.
Il rapporto di causa-effetto (fondamentale nella concezione meccanicistica -deterministica della natura) indica un nesso necessario tra due eventi contigui nel tempo: a un evento A (causa) segue necessariamente un evento B (effetto). Tuttavia, osserva Hume, non esiste un’impressione della relazione necessaria tra A e B, esiste soltanto l’impressione di A e l’impressione successiva di B. In altri termini: non facciamo esperienza della relazione necessaria tra A e B ma solo della successione A, B. Da che cosa nasce allora quest’idea di relazione necessaria? L’idea di relazione necessaria tra causa ed effetto nasce quando A e B si presentano ripetutamente in successione e generano quindi un’ABITUDINE e una CREDENZA. Per esempio: poiché ho constatato moltissime volte che una palla da biliardo urtandone un’altra la mette in movimento, mi sono abituato ad associare i movimenti delle due palle da biliardo; e questa abitudine mi spinge a credere che anche la prossima volta si verificherà la stessa successione. Ma si tratta di una credenza soggettiva e ingiustificata, perché l’esperienza ripetuta della successione di due fenomeni non mi autorizza ad affermare l’esistenza oggettiva di un legame necessario tra i due fenomeni.
Da questo consegue che le stesse leggi e predizioni scientifiche non hanno un fondamento oggettivo, ma derivano da abitudini e credenze soggettive. Hume non mette in dubbio l’utilità pratica della scienza e delle predizioni basate sull’abitudine e la credenza, ma contesta la pretesa di assolutezza della scienza, in particolare la pretesa di accertare le leggi necessarie di una realtà indipendente e immutabile.
Nell’esperienza certe impressioni si presentano ripetutamente associate per contiguità nello spazio; da ciò deriva un’abitudine e da questa la credenza che esista qualcosa di oggettivo (= sostanza) che lega insieme quelle impressioni; ma questa credenza non è giustificata dall’esperienza perché non c’è nessuna impressione di questo legame oggettivo. Esempio: quando vedo e mangio una mela ricevo insieme certe impressioni di colore, di sapore, di odore, di consistenza ecc. Quando ripeto molte volte questa esperienza si crea un’abitudine (l’abitudine a ricevere insieme quelle impressioni) e una credenza (la credenza che quelle impressioni - le qualità della mela - siano tenute insieme da una cosa definita la sostanza-mela). Ma di questa cosa che lega insieme le qualità della mela non facciamo esperienza, non c’è un’impressione della sostanza-mela oltre le impressioni del sapore, odore, colore ecc. In definitiva le “cose” sono soltanto fasci di impressioni, e l’esistenza di sostanze, cioè di cose fuori di noi è soltanto una credenza derivata dall’abitudine ma destituita di validità oggettiva.
CRITICA DELL’IDEA DI SOSTANZA SPIRITUALE (IO COSCIENTE)
Analoghe critiche Hume rivolge anche contro l’esistenza di una sostanza spirituale, in particolare contro l’esistenza dell’io inteso come realtà semplice, dotata di sussistenza continua e autocosciente (la Res cogitans di Cartesio). Infatti dell’io non c’è nessuna precisa impressione, per conseguenza l’idea dell’io non è giustificata: anche l’io, come le cose materiali, è semplicemente un fascio, o un fluire, di impressioni e idee.
Qualche rapido cenno merita anche la teoria morale di Hume.
Secondo Hume un’azione si deve considerare buona quando risulta utile e cattiva quando risulta dannosa. Eppure la morale comincia ad esistere proprio quando si comincia a distinguere il buono dall’utile e il cattivo dal dannoso. Infatti una persona può riconoscere che una punizione che riceve è giusta, quindi buona, anche se gli reca danno, oppure può rifiutare di compiere un’azione perché la ritiene cattiva, anche se gli recherebbe vantaggio.
Come nascono, dunque, i concetti di buono e di cattivo? e come si distinguono dall’utile dal dannoso?
Hume dice che il buono e il cattivo si formano quando consideriamo l’utile e il danno non dal nostro punto di vista individuale, bensì dal punto di vista di tutta la società di cui facciamo parte. E questo avviene perché c’è in noi un sentimento di simpatia verso gli altri membri della società, un sentimento per cui noi ci mettiamo al posto degli altri, ci identifichiamo con loro, subiamo le ripercussioni delle gioie e dei dolori provati dagli altri.
Da questi impulsi sentimentali (ultimamente egoistici), e non dalla ragione, è determinato, secondo Hume, l’agire morale. Si noti che questa dottrina etica, per la quale impulsi egoistici possono portare per vie naturali a risultati vantaggiosi per la società, è vicina alle teorie di Mandeville e dell’economia politica.
Nel Seicento la scienza galileiana (sperimentale-matematica) era stata accolta come una conoscenza certa e oggettiva della realtà naturale considerata nei suoi aspetti quantitativi - misurabili. Galilei aveva dichiarato di non volere e non potere conoscere le essenze e i fini delle cose, ma d’altra parte aveva assunto, senza giustificarle, alcune tesi metafisiche quali l’esistenza di un Creatore che “geometrizza”, l’ordine matematico dell’universo, l’uniformità delle leggi di natura, il realismo ecc.
Cartesio si era proposto l’obiettivo di raggiungere, anche in campo filosofico metafisico, quel grado di certezza, di universalità, di oggettività che riteneva fosse stato raggiunto dalle scienze naturali;
ma il tentativo di Cartesio e dei filosofi razionalisti era sostanzialmente fallito.
Con Hume assistiamo addirittura a un rovesciamento : non soltanto non è possibile raggiungere certezze in campo filosofico metafisico, ma anche la scienza non è per nulla ben fondata come sembrava; anche il fondamento della scienza (la credenza generata dall’abitudine) è incerto, soggettivo e irrazionale. Questo è l’esito scettico dell’empirismo radicale di Hume.
Da questo risultato, fallimentare per le possibilità conoscitive della ragione umana, nasce la riflessione di Kant.
Fonte: http://www.liceogalvani.it/download_file.php?id=13541
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