Insicurezza

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Insicurezza

L’immagine di sé

Compito primario di ogni essere umano  è quello di acquisire un’immagine di sé soddisfacente. L’identità personale non è un dato biologico iscritto nei cromosomi, ma il risultato di un processo da realizzare tra dubbi, incertezze o crisi.

Insicurezza e immagine negativa di sé

Al di là delle apparenze, l’immagine negativa di sé è molto diffusa. Molte espressioni riflettono un senso di rassegnazione di fronte a una sorta di “male comune”:  “Non so che fare...”; “Ho poca fiducia in me stesso…”; “Non sono sicuro…”; Ho sempre paura di non farcela…”. La scarsa considerazione di sé porta all’insicurezza, a un senso di inadeguatezza e ci fa sentire quasi incapaci di vivere. L’esperienza clinico-terapeutica riscontra dati impressionanti. Soffre di insicurezza circa il 75% delle persone, collocabili all’interno di un ventaglio caratterizzato da due tipologie estreme, quello dello spaccone e quella del timido.

L’insicurezza negata: lo spaccone
Lo spaccone preferisce ignorare la sua insicurezza, pensando di viver meglio.  Soffre i suoi limiti (fisici, comportamentali, caratteriali) anche se è naturale averne. Ha come paura di se stesso e della sua zona negativa, teme di esserne travolto e inconsapevolmente sceglie di negarne l'esistenza. Le colpe e le responsabilità sono sempre degli altri o delle strutture, perché “Io non sbaglio mai”. Se colto in fallo si arrabbia terribilmente e fa di tutto per avere comunque ragione; non accetta consigli, né stimoli per un'analisi critica di sé. Manca di coraggio nell'ammettere serenamente il proprio limite. La considerazione di sé appare ottimistica e positiva all'esterno, ma nasconde una continua insoddisfazione e tristezza interna. La percezione negativa di sé, inconscia e insopportabile, lo porta a cancellarla attraverso il dominio sull'altro: “più mi impongo, più sono qualcuno”. Quanto più sa porsi al di sopra degli altri, tanto più si illude di essere positivo. Cerca la competizione, percepisce i rapporti interpersonali come confronto esasperato, soffre di invidia, è aggressivo e ama la conflittualità spinta all'estremo. La regola dell'insicuro "spaccone" deve obbedire alle “leggi di manutenzione e sostentamento dell'io”: l'azione deve garantirgli il senso di positività personale. Non essendo sicuro “dentro” del proprio valore, va a cercarlo all'esterno, attraverso i risultati del proprio operare e il consenso degli altri. Il fallimento sarebbe insopportabile: confermerebbe la presenza di quella zona negativa di sé che non vuole accettare.

L’insicurezza subita: il timido
Il timido, non reagendo alla sua insicurezza,  la subisce passivamente e tende a commiserarsi. Coglie soprattutto gli aspetti negativi della sua personalità (non aver una certa dote, un certo carattere, determinate capacità...)  e non sa valorizzare quelli positivi. Si sente, pertanto, inadeguato; teme di non farcela e si chiude in se stesso. Oppresso dai propri limiti, diventa prigioniero del senso di colpa e di inferiorità. La tendenza a isolarsi è interrotta da rare reazioni improvvise, accompagnate da sintomi fisiologici (sudorazione, tremolio, vampate di calore al viso...). È  abile nel delegare incarichi e responsabilità agli altri. Preferisce il disimpegno, che motiva con il ritenersi “vittima” degli altri. Assume la posizione di osservatore “critico” per non mettersi in gioco e proiettare sugli altri il senso di colpa e di inadeguatezza. Teme i rischi, vive “in difesa”, preoccupato di proteggere un io già debole. Il timore dell'insuccesso lo paralizza.

L’immagine positiva di sé

Come è possibile vivere la propria vita in modo originale e coraggioso, se l’insicurezza ci fa sentire degli “incapaci”? Come risolvere la propria autopercezione negativa? Bisogna cercare di scoprire
la reale spinta motivazionale del proprio agire. La reazione del timido (diventare invidioso o aggressivo) o dello spaccone (dominare) rivela atteggiamenti “compensativi” che non risolvono l’insicurezza, ma accrescono il disagio e sviano l’attenzione dal conflitto interno che è alla radice della loro insicurezza. È fondamentale per ogni uomo avere un senso corretto del proprio io, realistico e stabilmente positivo, condizione per accettare serenamente se stessi e i propri limiti. Le compensazioni illusorie non aiutano, certo, a recuperare la propria positività. Bisogna imparare a diventare persone positive.

I livelli d’identità
Raggiungere un senso corretto del proprio io, realistico e stabilmente positivo, è una necessità per tutti. Ogni compensazione illusoria genera frustrazione e sofferenza psichica. Le insoddisfazioni incombono come fantasmi e vanno contrastate con un cammino di progressione personale, segnato da tappe decisive.

  1. Livello corporeo
    Il corpo è caratterizzato da una determinata espressione somatica, da specifiche abilità fisiche e qualità estetiche. L'identificazione con il corpo è immediata e naturale;  comincia con il riconoscimento materno: “Sei il bambino più bello del mondo!”, a cui segue un sorriso compiaciuto. Gli adolescenti sono particolarmente attenti alle proprie e altrui caratteristiche fisiche, desiderano spesso cambiare il proprio corpo, mostrando difficoltà di accettazione.  Numerosi adulti si fermano a questo stadio: il loro senso di sé rimane limitato del tutto o in parte ai confini della loro individualità corporea, che naturalmente è “sovraccaricata” di importanza. Quando la preoccupazione primaria per “sentirsi bene” è che il corpo sia sempre sano-bello-forte-giovanile o ci sia un'accentuata insofferenza per l'eventuale difetto estetico, per l'insorgere della malattia o l'avanzare della vecchiaia, subentra insoddisfazione e crisi d'identità.
  2. Livello psichico
    La persona è soddisfatta di sé quando riconosce le proprie capacità e fa emergere le qualità. Il senso dell'io e l'autostima crescono. Fondare però le proprie speranze di positività su doti e qualità personali rende  insicura e instabile la propria dignità e amabilità, poiché restano condizionate dalla presenza o assenza di queste qualità. La sopravvalutazione delle qualità personali porta a una pericolosa deviazione verso l'esterno di sé. L'individuo diventa dipendente dall'ambiente, perché si modella su valori imposti, rafforzando il “falso sé”. Per stare bene è “obbligato” ad assumere un determinato ruolo (es. ragazzo studioso e serio), rischiando di soffocare la sua vera identità. Il ruolo riconosciuto (es. ragazzo perbene) offre soddisfazioni immediate, ma costringe a ottenere sempre  successo e apprezzamento per poter “sentirsi bene”. L’autostima aumenta o diminuisce in base ali risultati raggiunti. L'insuccesso diventa un attentato alla propria personalità, trasformando in negativo l'immagine di sé con una quasi-sentenza: “io non valgo niente”. Per il timido c'è una reazione di sconforto, accompagnata da autocommiserazione, che lo porta a chiudersi ed abbandonare il campo. Per lo spaccone c'è la reazione di rabbia, accompagnata dalla voglia di rivalsa e dallo scaricare la colpa sugli altri. Identificarsi con i propri successi significa: “Guai a non sbagliare!”. È il caso di ricordare, invece, che “errare humanum est”.
  3. Livello ontologico
    Per quanto importanti i livelli corporeo e psichico non sono sufficienti a dare un senso adeguato del proprio io, poiché il senso positivo della propria identità rimane instabile. Occorre scendere a un livello più profondo. Non basta possedere delle doti, serve altresì sapere “per chi” e “per che cosa” utilizzarle. Bisogna ancorare la propria identità a contenuti più “solidi”. A livello ontologico la persona costruisce la sua vera identità su “ciò che oggettivamente è” e “ciò che è chiamato a essere”. La relazione tra l'io attuale (chi sono oggi con bisogni e potenzialità) e l'io ideale (chi voglio essere domani con valori da vivere e mete da raggiungere) diventano il campo d'azione per costruire un'immagine positiva e soddisfacente di sé. La distanza ottimale tra l'io attuale e l'io ideale deve essere realistica e perseguibile. Il “chi vorrei essere”, alimentando solo sogni irrealizzabili, va riformulato in “Chi posso essere” nella situazione data e con le capacità riconosciute. Lo spaccone tende a eliminare tale distanza, identificando l'io attuale con l'io ideale. Sicuro di sé, ritiene sempre di fare tutto bene; nasconde la sfiducia che ha verso se stesso, annullando l'io ideale ed eliminando ogni tensione verso i valori. Il timido ritiene incolmabile la distanza tra io attuale e io ideale; non potendo raggiungere nessun valore, si sente incapace, in colpa, perennemente frustrato. Il suo io attuale è come schiacciato dalle esagerate aspettative dell'io ideale. Sia lo spaccone che il timido restano in balia dell'insicurezza, poiché entrambi non camminano verso i valori; l'uno perché ritiene già di possederli, l'altro perché dispera d'arrivarci. Bisogna invece saper “recuperare” un senso potenzialmente positivo dell'io. Non è necessario cercare la propria positività al di fuori di sé, nella stima degli altri o nei risultati esaltanti, ma dentro se stessi, in ciò che fa parte della nostra identità umana e cristiana (per chi la riconosce). Questa positività potenziale è evidente in tutte le persone. Ognuno possiede energie preziose: sa amare, appassionarsi, dedicarsi agli altri, fare qualcosa di buono, avere fantasia, essere creativo... Non servono solo doti spiccate o prestazioni eccellenti. Ciò che conta è scoprire la propria positività interna, fondata sulla consapevolezza della propria “unicità” e “originalità”. Convincersi che “Come me, nessuno mai!”, non è esercizio illusorio per ritenersi migliori degli altri, quanto piuttosto il riconoscimento della propria originale dignità, stimolo della motivazione e spinta all’azione. Per il cristiano c’è pure un'ulteriore motivazione. Il fatto di “esserci”, creati a immagine e somiglianza di Dio, è il segno di una positività inscritta nella nostra persona. Se Dio ci ha voluti come figli, è perché ha un progetto positivo su di noi. Il cammino verso l’io ideale non può però appoggiarsi su una libertà disinvolta, malata di autosufficienza, perché è minato dai peccati. Bisogna invece aprirsi alla rivelazione di Dio, a colui che ci chiama a essere. Il cristiano, consapevole della positività ricevuta in dono e dei suoi limiti, ne diventa l'interprete e, rispondendo alla chiamata di Dio, che lo invita a dare se stesso per gli altri, risolve in tal modo il problema dell'autostima. La voglia di donarsi in modo originale ha un nome: “carisma”. Esso prende forma nel carisma  vocazionale-ideale che dice il progetto dell'io, la scelta dello stato di vita (matrimonio, vita consacrata o altro)  con i valori e gli obiettivi a essa connessi; si attualizza nei carismi funzionali-attuali, che riguardano i modi di essere della persona che sono al servizio di quel progetto e di quella scelta.
  4. Livello metapsichico
    Questo livello si sviluppa all'interno di quello ontologico e consiste nel recuperare doti e capacità, valutandole ed esprimendole da un nuovo punto di vista. La propria positività non si fonda più sulle proprie doti e qualità, anche se restano importanti; ciò che conta è il saperle utilizzare in funzione del proprio io ideale. Le doti personali diventano un mezzo (carismi funzionali) per arrivare alla realizzazione del proprio scopo di vita (carisma vocazionale). Essere intelligenti o creativi, abili in certi compiti o esperti in certi campi ha significato solo se permette di realizzare le mete importanti della propria vita. Le ricchezze del livello psichico non sono più proprietà proprie, ma vengono percepite come dono ricevuto gratuitamente (dalla natura o da Dio per chi crede); nasce un senso di profonda gratitudine, di gioia e serenità per i beni che vediamo nella nostra vita e in quella degli altri. La persona ora si accetta: riconosce il suo positivo e ne gode, guarda al suo negativo e non se ne dispera. Sa infatti riconoscere in se stessa, al di là degli insuccessi, una radicale e inattaccabile positività. Si sente soddisfatta e profondamente libera. Resa pura la libertà, scopre che non c'è niente di più bello e più naturale del mettere i propri doni al servizio degli altri. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,18). Fare qualcosa di buono per gli altri dà grande soddisfazione.
  5. Livello metacorporeo
    La persona che si identifica a livello ontologico vede la realtà del proprio corpo non più come fonte unica di positività, ma come oggetto e ambito di donazione. Rinuncia anche alla proprietà della sua vita fisica e mette le sue stesse risorse fisiche a servizio del valore scoperto nell'io ideale. Non c'è più preoccupazione di sé, della salute, del riposo, della giovanilità in modo esclusivo, anzi, tutto questo è disposto a rischiarlo per gli altri (nel matrimonio per il coniuge e per i figli, nella vita sociale attraverso le varie forme di volontariato per chi ha bisogno, sul piano professionale con prestazioni efficienti ed efficaci). Chi si identifica a livello metacorporeo non ha bisogno di costruirsi delle illusioni consolatorie (il sesso  per esempio - come direbbe Becker - è spesso vissuto come “simbolo inconscio di immortalità”, che regala all'uomo l'illusione di essere senza limiti e gli impedisce di accettare la propria limitatezza e, di riflesso, la propria morte), perché nella realtà di quello che è ed è chiamato a essere trova la ragione del suo vivere e del suo morire. Infatti si vive e si muore per lo stesso motivo: il bene ricevuto (la vita) tende “naturalmente” a diventare bene donato (la morte.) La morte, evento negativo per eccellenza, il deperimento fisico o la vecchiaia, non sono disavventure inaccettabili, ma diventano l'ultimo atto di un dono che restituisce la vita, vissuta in modo pieno, alla Vita.

All’inizio dell’esistenza il bambino si identifica primariamente con il proprio corpo (livello corporeo). Con l’adolescenza viene spontaneo ritrovare il senso del proprio io nelle qualità personali e nell’istinto di autorealizzazione (livello psichico).
Divenire giovani significa invece scoprire la radice positiva della propria identità nei valori dell’essere e nell’appello vocazionale (Dio o natura) che chiama a vivere la vita in modo pieno (livello ontologico). La maturità raggiunge lo stadio adulto quando il vivere in modo pieno fa sentire la propria vita come dono da mettere a disposizione di molti (livello metapsichico), fino al punto di rendere completa e profonda tale offerta nella morte (livello metacorporeo).

 

 

Fonte: http://religione.liceomascheroni.it/Approfword/App%2015.2.doc

Sito web da visitare: http://religione.liceomascheroni.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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