Introversione

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Introversione

La rivincita degli Introversi: come si diventa ciò che si è sempre stati

1. Introduzione

Qualche tempo fa, effettuando una ricerca su internet a proposito di patologie psichiche nello spettro dell’autismo, mi sono imbattuto casualmente in un sito che ha subito attirato la mia attenzione: www.legaintroversi.it, portale web della Lega Italiana per la tutela dei Diritti degli Introversi. La cosa mi ha inizialmente insospettito, oltre che incuriosito: alto era il rischio che si trattasse di qualche strana setta para-psicologica mossa magari da fini non proprio edificanti. Tuttavia la lettura dell’abbondante materiale contenuto nel sito, supportato da un linguaggio scorrevole e chiaro, da una reale e non superficiale cultura scientifica ed umanistica mi ha persuaso della serietà dell’iniziativa. Mi sono fidato. E sorprendentemente ho scoperto un fenomeno particolarmente interessante come oggetto di studio ma anche persuasivo nel suo tentativo di rivendicare una nuova identità su base psicologica.  In particolare ho cercato di applicare a questo fenomeno le conoscenze acquisite a proposito dell’identità e dei gruppi di appartenenza, cercando di evidenziare come anche in questo caso agiscano le medesime strategie culturali, sebbene con alcune rilevanti peculiarità. Inoltre ho potuto testare con mano la forza effettiva di queste forme di identità e la loro capacità di persuasione. Per tutto il tempo in cui ho lavorato a questa relazione sono stato combattuto sulla linea da adottare: da un lato volevo presentare il mio oggetto di studio senza discreditarlo troppo, evitando di ridurlo ad un’iniziativa eccentrica e del tutto infondata come spesso capita quando si tratta di esprimere un giudizio su fenomeni simili; dall’altro lato, il punto di vista antropologico mi ha obbligato ad uno sguardo più distaccato, capace di illuminarne le strategie nascoste e a metterne in luce contraddizioni e debolezze. La visione che ne è venuta fuori, che per ovvie ragioni di tempo e spazio è assai grossolana e superficiale, è dunque in chiaro-scuro: lo sguardo scientifico e imparziale non può fare a meno di mostrare la fragilità delle costruzioni culturali, mentre queste ultime pretendono di essere eterne ed inattaccabili. Questa incompatibilità è in sostanza l’insegnamento che ho potuto trarre da questa breve ricerca e dallo studio dell’antropologia. Come studente alle prime armi ho perciò concluso il mio lavoro con un punto interrogativo, nella speranza di poter in futuro fornire una risposta.

2. La LIDI

La Lega Italiana per la tutela dei Diritti degli Introversi è un’Associazione Onlus fondata a Roma nel maggio 2006 da un gruppo di individui interessati a sviluppare le problematiche sollevate dalle riflessioni del Dr. Luigi Anapeta, artefice e teorico dell’iniziativa.

Luigi Anapeta (nato a Roma il 20 marzo 1942) è medico, psichiatra e psicanalista; dopo aver partecipato al movimento “anti-istituzionale”, ovvero alla lotta contro l’istituzione manicomiale, si è dedicato alla psicoterapia e all’elaborazione di un modello psicopatologico interdisciplinare in grado di spiegare la patologia psichica in una prospettiva che egli definisce “pan-antropologica”, che riesca a comprendere i nessi fra soggettività e storia sociale attingendo a tutte le scienze umane e sociali. E’ nell’ambito di questo quadro culturale che nasce la sua ricerca sull’introversione, culminata nella stesura di un saggio di discreto successo: Timido, docile, ardente… Manuale per capire ed accettare valori e limiti dell’introversione . Sono le riflessioni contenute in questo libro ad aver ispirato la fondazione della LIDI, di cui il Dr. Anapeta è anche presidente. Oggi l’Associazione offre una vasta gamma di servizi: informazione e orientamento, sportelli d’ascolto, gruppi di auto-aiuto per adulti, donne, uomini e giovani, gruppi di monitoraggio dell’ambiente scolastico, seminari e conferenze, cicli di letture, laboratori teatrali e musicali. Stando a quanto riportato nel sito stesso , i risultati raggiunti dall’Associazione non sono però del tutto positivi. I soci iscritti erano a dicembre 2008 solo poco più di 140, numero ritenuto troppo esiguo per far fronte alle necessità economiche e organizzative.  Pare dunque che la stessa sopravvivenza della LIDI sia a rischio. Nonostante queste ombre, la visibilità mediatica è piuttosto buona, merito soprattutto della voce “Introversione” su Wikipedia, compilata sulla base del materiale della Lega. Il seguito complessivo dell’organizzazione sembra comunque essere superiore a quanto il numero di iscrizioni faccia pensare: il forum conta alla data odierna circa 500 utenti registrati ma ben 3000 visite mensili e 58000 visite totali, il che fa supporre che un cospicuo numero di visitatori preferisca restare anonimo e non partecipare pubblicamente alle discussioni; non dispongo purtroppo del numero di accessi mensili della home page del sito, certamente superiore rispetto al forum.
Per capire di che cosa si occupi la LIDI è necessario prima compiere una panoramica sulle tesi sostenute dal Dr. Anapeta nel suo libro: la peculiarità di tale associazione è proprio che essa si fonda su una teoria psicologica piuttosto elaborata. Tenterò brevemente di riassumere i concetti chiave necessari al mio discorso, sebbene i testi del Dr. Anapeta meriterebbero di essere letti e commentati integralmente.

 

3. Il problema dell’introversione

L’idea fondamentale alla base delle attività della LIDI è che introversione ed estroversione siano componenti costitutive di ogni personalità. Questa distinzione è stata operata per la prima volta da Carl Gustav Jung nella sua famosa opera Tipi psicologici : egli riprendendo l’idea di Freud di una forza motivazionale primaria denominata libido, distingue fra una libido indirizzata verso l’oggetto (il mondo esterno) e una indirizzata verso il soggetto stesso (il mondo interiore).
Numerose sono state le teorie della personalità elaborate dalla psicologia nell’ultimo secolo e, sebbene nessuna di esse sia riuscita ad imporsi come modello di riferimento, tutte convergono nel distinguere la tipologia introverso/estroverso, evidentemente a dimostrazione della sua efficacia euristica.

Ogni coscienza individuale vive nel rapporto fra due mondi: quello esterno, su cui si affaccia attraverso i sensi, e quello interno, percepito come la sede della propria identità. Sulla base della distinzione estroversi/introversi, i primi tendono a pensare e ad agire sulla base dei dati provenienti direttamente dall’esterno, i secondi “filtrano” tali dati attraverso il proprio mondo interiore dando ad essi significati soggettivi.

Particolarmente rilevante è l’interesse del Dr. Anapeta per la dimensione genetica, pur consapevole della costante interrelazione fra fattori ereditari ed ambientali: egli, tenendo presenti i moderni progressi della biologia e il legame ormai generalmente riconosciuto fra corredo genetico e predisposizione a determinati tratti psichici , può sostenere:
Estroversione e introversione sono due componenti, geneticamente determinate (grassetto mio), normalmente presenti in ogni personalità. Non esistono di conseguenza forme pure dell'una e dell'altra. [...] Quando si parla di estroversione o di introversione si fa riferimento, dunque, al tratto prevalente. Da molti dati si ricava che, nella popolazione, la prevalenza della componente estroversa è maggioritaria, mentre quella introversa riguarda all'incirca il 5-7% della popolazione stessa. In quanto di natura genetica, la prevalenza del tratto estroverso o introverso determina dei vincoli allo sviluppo, che hanno però un certo grado di elasticità. Nel corso della vita, un introverso può in una certa misura estrovertirsi e un estroverso introvertirsi.
Anapeta elenca dunque alcune caratteristiche specifiche degli introversi:

  • un corredo di emozioni superiore alla media, associato ad un'intelligenza solitamente vivace e talora essa stessa superiore alla media;
  • una sensibilità sociale che comporta l'intuizione immediata degli stati d'animo e delle aspettative altrui;
  • un senso di pari dignità e di giustizia precoce, persistente e d'intensità spesso drammatica;
  • un orientamento di tipo idealistico, che comporta il riferimento ad un mondo caratterizzato da rapporti interpersonali corretti e delicati, tali da ridurre al minimo la possibilità di farsi del male;
  • una vocazione sociale altamente selettiva, che, per realizzarsi, richiede un certo grado di affinità e di sintonia con l'altro;
  • un'affettività molto intensa che tende a stabilire con il mondo (persone, natura, cultura, oggetti, animali) rapporti significativi e profondi;
  • un orientamento incline alla riflessione, all'introspezione e alla fantasia più che all'azione;
  • una predilezione per interessi intellettuali e creativi, alimentata dal piacere del funzionamento della mente;
  • un corredo di bisogni (d'appartenenza e d'individuazione) piuttosto ricco, per quanto diversamente rappresentato nei singoli individui.

 

A prima vista, scorrendo questi tratti, la “condizione introversa” sembrerebbe estremamente ricca di potenzialità. Perché allora la necessità di istituire una Associazione a difesa degli introversi? Questo è il cuore del problema. Le motivazioni sono sostanzialmente riconducibili a tre ordini di problemi:

Primo. Fragilità interiore:
[Queste qualità] confluendo univocamente nella tendenza a interrogarsi su se stessi, sugli altri e sullo stato di cose esistente nel mondo, "condannano" in una certa misura l'introverso a porsi dei problemi per tutta la vita, e a tentare di risolverli raggiungendo livelli sempre più elevati di consapevolezza e di comprensione della realtà. Questa "condanna" a crescere emotivamente e culturalmente, a esplorare mondi e modi di essere possibili, è spesso mal vissuta dagli introversi, che, avvertendola come un peso, giungono ad invidiare coloro che vivono senza porsi troppi problemi.
Secondo. Chiusura: la “chiusura” dell’introverso nei confronti degli altri è forse l’aspetto comportamentale che più incide nella sua vita sociale.

Per un verso, la chiusura fa capo ad una limitazione costituzionale delle capacità comunicative. L'introverso dispone di un solo registro comunicativo congeniale, che è un registro profondo. Egli dunque riesce a sintonizzarsi solo laddove si dà un certo grado di affinità. La comunicazione quotidiana, che è fatta di luoghi comuni, di convenzioni, di discorsi fatui, di parole usate per scongiurare il silenzio lo imbarazza e lo mette a disagio.

Per un altro verso, la chiusura è da ricondurre al timore di rimanere ferito dagli altri. L'introverso, in nome della sua sensibilità, ha una tendenza naturale a preoccuparsi delle conseguenze dei suoi comportamenti a carico degli altri: è tendenzialmente scrupoloso. Interagire con un mondo nel quale le persone si comportano spontaneamente, spesso dicendo e facendo, senza rendersene conto, cose che dispiacciono, turbano o addirittura offendono gli altri, è un dramma. [...]

Purtroppo, dall'esterno, la chiusura dell'introverso non è mai colta nel suo autentico significato. Più spesso viene scambiata per un modo di essere scostante, superbo, rifiutante, se non addirittura sprezzante. D'acchito, insomma, a livello sociale l'introverso risulta antipatico alla maggioranza delle persone, e viene trattato come tale. Egli si rende conto di questo, lo ritiene ingiusto, spesso si arrabbia. Ma, non essendo in grado di esprimere la rabbia o avendo timore di esprimerla per non offendere gli altri, la cova dentro di sé. Questo significa che egli accentua le sue difese rispetto al mondo. S'instaura di conseguenza un circolo vizioso[...].

Terzo. Pregiudizio sociale: nella nostra società, l’introversione si è caratterizzata sempre più come un tratto negativo della personalità. Introverso è oggi sinonimo di chiuso, solitario, poco comunicativo, timido, insicuro, impacciato, imbranato se non addirittura sfigato, loser, nerd. Questa stigmatizzazione del carattere introverso si configura come una vera e propria discriminazione da parte del modello normativo estroverso, maggioritario per consistenza numerica ed egemone dal punto di vista culturale.

La nostra società, capitalistica e mercantile, all'interno della quale lo scambio è il metro di misura del valore, privilegia, sotto il profilo psicologico, l'intraprendenza, la spigliatezza, la capacità di contatto comunicativa, il pragmatismo, il successo, il saper vendere bene se stessi. La capacità di comunicazione sociale, vale a dire la capacità di accattivarsi il consenso, di promuovere un giudizio positivo, di influenzare gli altri a proprio favore, è giunta di conseguenza a configurarsi come un tratto positivo di personalità.

Il mondo è dunque degli estroversi, che fanno il buono e cattivo tempo e impongono, tra l'altro, il loro modo di essere come metro di misura della normalità. Gli introversi [...] vivono in un cono d'ombra, defilati, frustrati. Inesorabilmente contaminati dal codice culturale prevalente, essi stessi si ritengono spesso inadeguati, meno capaci degli altri, gravati da tratti di carattere che, se non morbosi, ritengono disfunzionali. Ciò li induce a nutrire un sordo risentimento nei confronti della natura, responsabile di un carattere che crea solo problemi, associato spesso ad una rabbia più o meno consapevole nei confronti della società che li disconferma e, talora, li emargina.

Questi tre fattori (problematicità interiore, frequente insuccesso nelle relazioni personali e pregiudizio sociale) pongono evidentemente gli introversi in una posizione critica: “Nel nostro mondo, insomma, gli introversi, in genere, vivono male”. Questo “male di vivere” della personalità introversa è confermato dal fatto che“tra coloro che manifestano, soprattutto a livello giovanile, una qualche forma di disagio psichico, una quota rilevante ha alle spalle una carriera evolutiva che attesta inequivocabilmente un orientamento costituzionale introverso”.

Il disagio psichico è un esito non raro per i soggetti introversi. Naturalmente non si tratta di un esito certo: la carriera evolutiva di ogni soggetto porta ad esiti anche diametralmente opposti: alcuni introversi, che trovano intorno a sé un ambiente favorevole allo sviluppo delle proprie potenzialità, maturano una personalità serena ed equilibrata. Più frequentemente tuttavia, gli introversi, schiacciati da un ambiente ostile, che non li comprende e anzi li emargina, continuamente soggetti alle tensioni omologanti del modello normativo estroverso, tendono ad evolvere verso personalità fortemente a rischio che a volte assumono i caratteri della patologia.

Anapeta trae dunque le conclusioni:

Nel nostro mondo, insomma, gli introversi, in genere, vivono male. Non si dà alcun motivo di considerare questa una fatalità. Si tratta di una congiuntura storico-culturale, dovuta al modello normativo, marcatamente estroverso, che governa la nostra società, all'adozione pressoché generale di tale modello da parte delle istituzioni pedagogiche (famiglia, scuola, ecc.) e alla difficoltà degli introversi di prendere coscienza del valore e dei limiti della loro condizione e di farsi carico del "peso" che essa comporta in termini di coltivazione di sé e di crescita emozionale e culturale.

E’ proprio in questa prospettiva che si comprende la necessità di fondare la LIDI, le cui finalità possono essere sintetizzate in alcune linee guida:

  • Sensibilizzare l’opinione pubblica, gli insegnanti e le famiglie sulle specificità degli individui introversi e sulle problematiche ad essi collegate, combattendo il pregiudizio negativo nei loro confronti;
  • Intervenire sulle difficoltà psicologiche degli introversi, agendo nell’ambito delle istituzioni pedagogiche (scuola, famiglia, ecc.) e assistenziali con l’obiettivo di modificarne l’organizzazione normalizzante e istituire un modello educativo che tenga conto delle specificità dei soggetti introversi.
  • Diffondere le conoscenze relative all’introversione e ai suoi frequenti sviluppi psicopatologici nell’ambito della psichiatria e della psicologia, superando il pregiudizio vigente secondo cui essa costituisca una difficoltà adattiva e dunque vada curata.
  • Prevenire il disagio psichico giovanile e adolescenziale;
  • Fornire assistenza e solidarietà ad introversi adulti.

 

4. La costruzione di un’identità

Nonostante l’intera questione dell’introversione meriti secondo me di essere presa sul serio e studiata nel merito, non è questo il luogo per stabilire se le teorie del dottor Anapeta siano corrette e se sia scientificamente sostenibile l’esistenza della personalità introversa. Questo è compito delle discipline psicologiche. La prospettiva antropologica mi richiede per il momento di mettere fra parentesi il discorso sull’introversione per concentrarmi invece sul modo in cui questo discorso “costruisce” una nuova identità e un nuovo senso di appartenenza. Per fare ciò partirò dalle parole dello stesso Dr. Anapeta:

[il fine della LIDI è] non già di creare un'enclave protettiva, ma piuttosto di sensibilizzare la società su questo problema e d'indurre negli introversi confusi o preda dell'alienazione normativa il riconoscimento e la valorizzazione della propria condizione.

Lo scopo dell’Associazione è di “indurre il riconoscimento della propria condizione negli introversi”. Questa affermazione è gravida di conseguenze: le tesi avanzate dall’associazione costituiscono una sorta di “modello” nel quale ciascuno può riconoscersi oppure no. Ciò comporta che, in caso di riconoscimento in questa ricostruzione, non solo si entra a far parte del nuovo gruppo sociale, ma si “scopre” di esserne sempre stati parte, seppure inconsapevolmente. L’incontro con la LIDI e l’adesione alle teorie del dottor Anapeta, permettono, per così dire, di “scoprire ciò che si è sempre stati”.

Si ripete anche in questo specifico fenomeno il paradosso dell’identità: quando si accetta una nuova definizione di sé, riconoscendosi parte di un gruppo ben definito e caratterizzato da alcuni tratti specifici, si accetta implicitamente di essere sempre stato tale.
In verità non si è introversi finché non si decide esplicitamente di esserlo: prima di allora si può essere timido, chiuso, riservato, ecc. ma non si è davvero introversi nel senso indicato da Anapeta.
Accettare una nuova identità, applicare a se stessi un nuovo nome, è un fatto sociale estremamente importante, poiché cambia il modo stesso di essere di un individuo. Sebbene l’introverso creda di essere tale da sempre, nel momento in cui ne diventa cosciente inizia a comportarsi diversamente, applicando la nuova definizione di sé al mondo circostante, ridefinendosi in rapporto all’universo simbolico che lo circonda. L’individuo crede che, accettando questa nuova definizione di sé, non faccia altro che sottolineare un aspetto che da sempre lo ha caratterizzato, senza alcuna discontinuità nel tempo. In realtà l’acquisizione di una nuova identità segna una cesura netta nella vita dell’individuo: egli da quel momento in poi guarderà il mondo diversamente, pensando se stesso in opposizione ad altre persone che prima di allora erano suoi simili.
Riconoscersi “Introverso” comporta la piena adesione alla teoria del dottor Anapeta, poiché l’auto-identificazione nel modello-introverso è possibile solo condividendo del tutto il discorso sull’introversione. Tale testo (che in questo caso è concretamente un testo, non in senso metaforico) è in realtà il contenitore di un vero e proprio universo simbolico alternativo, separata da quello estroverso da una serie di tratti della personalità ben delineati.
Accettando la nuova identità, un individuo adotta una nuova visione del mondo: troppo forte è un cambiamento di identità per non influenzare profondamente il modo in cui un soggetto si posiziona ed agisce nel mondo. Da allora in avanti, per esempio, un introverso potrebbe decidere di stringere amicizie autentiche solo con persone che rientrano nel modello introverso, relegando gli estroversi in una posizione secondaria, ritenendoli adatti solo per un rapporto più superficiale. Questo è certamente un esempio estremo, ma non c’è dubbio che l’adesione al “partito” degli introversi è tutto fuorché senza conseguenze. Il riconoscimento in introverso non è una semplice presa di coscienza, ma è un fatto, una scelta, una decisione, con delle conseguenze concrete. Nelle pagine del forum si possono trovare numerosissimi esempi di come la coscienza di essere introversi modifichi radicalmente il modo di pensare e di agire degli individui: l’opposizione introverso-estroverso diventa il paradigma di riferimento per ogni relazione sociale e non raramente si possono leggere eccessi che sfiorano la discriminazione. Ciò che colpisce è quanto profondamente la nuova identità agisca nella visione del mondo di chi vi aderisce: da quel momento ogni evento viene interpretato secondo quel modello, senza metterlo mai seriamente in discussione, come se fosse una realtà oggettiva, eterna ed immodificabile.

Una volta riconosciuto il carattere simbolico, dunque costruito e contingente dell’identità introversa, è necessario chiedersi: da dove nasce l’esigenza di una nuova identità? Perché si costituisce un nuovo gruppo di appartenenza laddove in precedenza esso non esisteva?
Una simile domanda richiede probabilmente conoscenze al di là del mio bagaglio culturale e certamente necessiterebbe di uno studio ben più approfondito di quanto io possa fare in questa sede. Credo però di poter indicare alcune ipotesi generali.
Innanzitutto, in questo caso, le finalità dell’operazione non sono inconsapevoli, come spesso accade per altre forme di appartenenza, ma sono ben chiare ai membri del gruppo. La LIDI nasce con l’obiettivo dichiarato di valorizzare la condizione di introverso, partendo da una situazione percepita come fortemente penalizzata. Fra le cause di questo fenomeno bisogna dunque citare prima di tutto una volontà di rivendicazione, che nasce dalla percezione di un trattamento sfavorevole all’interno della nostra società. E’ in sostanza questa consapevolezza ad unire i membri dell’associazione e a motivare la loro adesione. Scopo esplicito della LIDI è di migliorare la vita di quegli individui che per via della loro personalità vengono discriminati e stigmatizzati. L’associazione rappresenta per molti di essi un barlume di speranza, capace di dare senso alla propria esistenza e di rendere tollerabile (se non addirittura apprezzabile) la propria diversità. L’identità di introverso, l’appartenenza al gruppo degli introversi, una volta ufficializzata e dichiarata con voce ferma e, diciamo, autorevole dal dott. Anapeta rappresenta una potente arma di difesa nei confronti di una società ostile. La LIDI si propone di affermare le specificità e i pregi della “condizione introversa” di fronte al mondo intero ed evitare ogni qualifica negativa della diversità psicologica.
E’ chiaro il debito del movimento con l’anti-psichiatria degli anni ’70, che criticava i concetti di malattia e normalità in favore di un approccio relativista nei confronti della diversità psichica. Su questa scia la LIDI va affiancata a movimenti per certi versi simili come il movimento per i diritti degli autistici o l’associazione “Nessuno è perfetto”, impegnate a combattere lo stigma sociale e i trattamenti discriminatori su base psicologica.
La differenza rispetto a queste associazioni o a simili enti per la difesa e la tutela dei diritti delle minoranze è che queste solitamente nascono quando già è diffusa la coscienza di una diversità. La LIDI al contrario fonda contemporaneamente l’associazione di difesa e gli stessi soggetti da difendere, fornendo non solo uno strumento di tutela e valorizzazione ma anche un’identità tutta nuova. In questo sta la peculiarità dell’iniziativa ed anche la sua “stranezza”: un’associazione in difesa degli omosessuali può suscitare perplessità di ordine morale ma difficilmente si metterebbe in discussione l’esistenza di individui omosessuali, poiché tale identità è già depositata nel senso comune; al contrario un’associazione in difesa degli introversi spiazza sin da subito, poiché è in dubbio l’esistenza stessa di un’identità introversa ed è dubbia la necessità di tutelare individui che il senso comune considera sì “diversi”, ma solo entro l’ampio spettro delle possibili personalità umane.
Sebbene il dottor Anapeta ribadisca frequentemente che la LIDI non voglia essere un’“enclave protettiva” e che il suo fine ultimo sia di rimuovere ogni pregiudizio negativo e valorizzare i meriti degli introversi, l’Associazione finisce paradossalmente per marcare una differenza, creare un confine netto, che non esiste nel senso comune. Per vedere riconosciuti i meriti degli introversi, per valorizzare le loro peculiarità, la LIDI deve accentuare le differenze fra essi e i “normali”, ricorrendo addirittura alla causa genetica, a cui tradizionalmente è sempre ricorsa ogni ideologia basata sulla discriminazione.

A questo punto non vorrei aver dipinto questo fenomeno a tinte troppo fosche, paragonando la LIDI a fenomeni simili animati da intenti assai meno nobili. Voglio piuttosto evidenziare i rischi che una simile operazione comporta, mostrando i paradossi in cui si cade ogni qualvolta si utilizza la propria identità come strumento di difesa o affermazione sociale.
L’intento della LIDI è la valorizzazione degli introversi e la lotta contro lo stigma sociale legato alla loro personalità. Al di là della sostenibilità teorica di un “personalità introversa”, il semplice fatto che i membri percepiscano negativamente una propria diversità è una prova sufficiente che una qualche peculiarità psicologica esista. A questo punto per evitare la discriminazione si afferma chiaramente la “diversità” degli introversi e si fornisce loro una nuova identità in cui riconoscersi.
Paradossalmente per evitare la discriminazione si finisce per sottolineare la diversità, sancendo di fatto la separazione di un nuovo corpo sociale dall’insieme.
In sostanza l’identità introversa sorge come “strumento” delle rivendicazioni della LIDI. Logicamente e cronologicamente l’Associazione viene prima dell’identità da tutelare e ciò perché la rivendicazione delle peculiarità degli introversi è “funzionale” al miglioramento del trattamento sociale di quegli individui che si riconoscono nei “sintomi” indicati da Anapeta. L’obiettivo di fondo non è creare una grande famiglia in cui gli introversi possano trovare sostegno e protezione, ma il concreto miglioramento della loro considerazione nella società. A questo punto credo di poter affermare che l’identità costruita dalla LIDI non sia diversa per esempio da altre forme culturali di appartenenza come l’identità etnica. Come quest’ultima, la causa sociale della costruzione simbolica di una nuova identità è la lotta per l’accesso alle risorse. Nel caso qui studiato la risorsa contesa è prima di tutto la considerazione sociale. Costruendo una nuova identità, un gruppo svantaggiato nel raggiungimento di certe risorse costruisce una “via di fuga”, afferma la propria peculiarità nel tentativo di garantirsi una via di accesso alternativa a quel prezioso tesoro che è la stima e il riconoscimento sociale.
La differenza sostanziale rispetto ad ogni altra costruzione identitaria è invece nell’alto livello di autoconsapevolezza che si può notare in questo fenomeno: mentre l’identità etnica nasce “spontaneamente”, senza alcuna coscienza dell’artificialità della propria costruzione simbolica e spesso trova terreno fertile nell’ignoranza e nelle emozioni più istintive dei popoli (sebbene non manchi di essere sostenuta strumentalmente a livello più o meno colto), in questo caso gli autori dell’iniziativa e spesso anche coloro che vi aderiscono sono consapevoli che l’identità introversa va affermata energicamente perché essa sia riconosciuta, perché tale identità assuma una realtà concreta per la società e venga accettata; inoltre tutto il discorso sull’identità viene costruito con materiali colti, complessi, che spesso richiedono un elevato livello di istruzione per essere compresi. Infine le argomentazioni del dottor Anapeta, attingendo a piene mani dalle conoscenze sviluppate dalle scienze sociali, “schivano” le critiche che si potrebbero muovere ad un movimento potenzialmente settario, che manipola artificialmente le identità. Le tesi sostenute hanno una forza effettiva notevole, sono convincenti e non sono macchiate di quell’ingenuo estremismo che provocherebbe la critica di “razzismo”. Così presentata, l’identità di introverso è perfettamente accettabile e credibile, e in ciò sta la sua capacità di attirare “adepti”. Tuttavia c’è da notare che questa notevole autoconsapevolezza, a cui le stesse scienze sociali contribuiscono, dà forma ad un’esigenza di rivendicazione che in sostanza non è diversa da quella che si manifesta più brutalmente in ideologie razziste o discriminatorie.
Possiamo azzardare che il procedimento culturale compiuto dalla LIDI sia una nuova forma di costruzione dell’identità, colta e politically correct, realizzata a partire da conoscenze (anche antropologiche) che forniscono strumenti concettuali ben più complessi e potenti, in grado di tradurre nel moderno linguaggio multiculturale e tollerante le esigenze di rivendicazione sociale di una minoranza. L’interesse di questo fenomeno sta secondo me proprio nella sottigliezza dei procedimenti simbolici adottati e nella novità rispetto alle tradizionali strategie di affermazione dell’identità. La nostra società ha forse posto le basi per il proliferare di movimenti per i diritti e gruppi di appartenenza sempre più specifici e settari? E’ una conclusione forzata ed affrettata ma la LIDI e gli Introversi potrebbero suggerirci che le conoscenze antropologiche, la tolleranza, il relativismo culturale non hanno reso impossibile o poco credibile la costruzione simbolica di nuove identità, ma al contrario hanno semplicemente fornito nuovi strumenti, un nuovo alfabeto con il quale declinare bisogni di rivendicazione e logiche discriminatorie duri a morire. La LIDI dimostra di utilizzare questi strumenti simbolici con finalità sostanzialmente positive, sebbene siano chiari i rischi di una degenerazione discriminatoria. Ma se accettiamo la costruzione dell’identità Introversa, come dobbiamo porci di fronte a ideologie ben più preoccupanti che adottano la stessa logica di fondo?


Luigi Anapeta, Timido, docile, ardente… Manuale per capire ed accettare valori e limiti dell'introversione (propria o altrui), Franco Angeli, 2007

http://www.legaintroversi.it/iniziative-attivita.asp

Questa sezione riprende, in buona parte, riadattandolo, il Vademecum sull’introversione di Luigi Anapeta, consultabile all’indirizzo web http://www.legaintroversi.it/vademecum-introversione.asp. Tutte le citazioni, quando non accompagnate dalla relativa nota, sono prese dallo stesso documento.

Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, Newton Compton, 1973

Cfr. M. Ridley, Il Gene Agile, Adelphi, 2005

http://www.legaintroversi.it/tx_introversione-e-disagio-psichico.asp

ibidem

http://www.legaintroversi.it/tx_introversione-e-disagio-psichico.asp                                    http://www.legaintroversi.it/introversione-e-disagio-psichico.asp                                                  http://www.legaintroversi.it/tx_il-dramma-degli-introversi.asp                                                               http://www.legaintroversi.it/tx_la-diversita-negata.asp

http://www.legaintroversi.it/tx_introversione-e-disagio-psichico.asp

http://www.legaintroversi.it/lidi.asp

 

Fonte: http://www.uniroma2.it/didattica/aca/deposito/Tamburrini_Fabio_ModA_Introversi.doc

Sito web da visitare: http://www.uniroma2.it

Autore del testo: Fabio Tamburrini

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

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