Acquatinta

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Significato dei termini utilizzati nei libri

 

Acquatinta

Acquatinta [comp. Di acqua, dal lat. Ăqua, e tinta, der. Di tingere, lat. Tĭngĕre, «tingere»]. Tecnica d’incisione calcografica, simile all’acquaforte, ma molto diversa sia nella preparazione della lastra da immergere nell’acido sia per gli effetti di tonalità che si possono ottenere. Questa tecnica d’incisione è attribuita da alcuni a e. Zegers (circa 1660), da altri a f. Charpentier (1760) o a g.B. Leprince (1767) e poi quasi dimenticata fino alla fine del settecento, epoca dalla quale fu molto utilizzata fino alla metà dell’ottocento quando fu sostituita, in specie per scopi editoriali, dalla litografia. La particolarità di questo tipo d’incisione consiste nell’applicare una speciale preparazione detta grana, da cui l’operazione di granitura, che interagisce tra il mordente e la lastra. Esistono vari metodi di stendere sul rame lo strato protettivo. Il più usato consiste nel cospargere la superficie con polveri finissime, che sono poi fuse sulla lastra, generando un contesto omogeneo. Allo scopo s’impiegano sostanze che fondono a bassa temperatura e che aderiscono bene alla superficie metallica come la colofonia (resina di pino), il bitume, l’asfalto, ma anche pece, zolfo, e miscele varie comprendenti granelli di zucchero e sale. Le grane possono essere positive o negative. Il primo tipo, il più antico, consiste nel depositare sulla superficie del metallo minuscoli grani di resina che vi aderiscono per fusione parziale, di modo che il mordente possa aderire solo negli interstizi liberi. Per le grane negative invece, l’isolante interposto tra lastra e mordente è costituito dal sale. La lastra è preparata con una vernice di cera solida bianca affumicata, ricoperta più o meno uniformemente di sale. Successivamente si procede a riscaldare la matrice, in modo che i granelli del sale vengano a contatto del metallo, attraverso la vernice ammorbidita. Compiuta quest’operazione, si lascia raffreddare la lastra, si scuote il sale e s’immerge nell’acqua corrente. L’effetto finale è una superficie cosparsa d’innumerevoli forellini, attraverso i quali il mordente agisce. Un secondo metodo, più frequente nel settecento, consiste nel disciogliere le resine in alcool, quindi si sparge la soluzione sulla lastra, l’alcool evaporando lascia un sottile film di protezione, però insufficiente a coprire omogeneamente l’intera superficie, di conseguenza si ottiene una trama irregolare di particelle deposte. Nel caso di acquatinta a colori, si preparano tante lastre quanti sono i colori da utilizzare, e quindi si sovrastampano a registro varie lastre, ciascuna inchiostrata con diverso colore. Un’altra tecnica prevede l’inchiostrazione di una sola lastra con i diversi colori da utilizzare. (V. Anche acquaforte). Bibliografia: gascoigne 2004, gusmano 1999, zappella 2001-2004:2.

 

Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151

Sito web da visitare: http://www.cricd.it/

Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.

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