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Significato dei termini utilizzati nei libri
Corano [dall’arabo qur’ān «lettura, recitazione liturgica», e quindi anche il testo recitato]. Libro sacro dell’islamismo, costituito dall’insieme delle rivelazioni che maometto ricevette da dio. Scritto in lingua araba, è composto in prosa rimata e si divide in 114 capitoli (detti sure) i quali a loro volta si dividono in versetti (detti āyāt), talvolta il capitolo ha un titolo che si riferisce a qualche argomento significativo contenuto nella sura stessa. Il contenuto del libro è assai vario, comprendendo parti giuridiche e normative, esortazioni ai fedeli, leggende, parti di tono lirico e immaginoso, e anche commenti alla cronaca spicciola quotidiana. Esiste una lunga tradizione di manoscritti con il testo del qur’ān (corano), ma la prima edizione a stampa conosciuta, anche se estratti di una versione latina del corano erano già stati pubblicati, o comunque curati da j.A. Widmanstetter, è la traduzione latina fatta da theodor buchmann, denominato classicamente bibiander, nel 1542, con il tipografo basileese oporinus (johann herbster) (de frede, 1967, 1-11). La stampa di quest’opera trovò a lungo numerose opposizioni, finché m. Lutero diede il suo appoggio all’iniziativa editoriale, purché il libro non rivelasse note tipografiche nel frontespizio e che esso non fosse venduto in basilea. Questa era comunque una versione curata quattro secoli prima dall’inglese roberto di chester per l’abate di cluny, pietro il venerabile, opera meritoria per i tempi in cui fu fatta, ma non certo esauriente ai fini di una più rigorosa diligenza critica e per giunta incompleta: onde è stato giustamente osservato che essa, più che una traduzione, dovrebbe definirsi un compendio della scrittura musulmana. Per avere una prima critica versione latina bisognerà aspettare la stampa nel 1691 del marracci (gabrieli 1931). Si deve invece al tipografo andrea arrivabene la prima traduzione italiana, pubblicata a venezia nel 1547, di cui si conoscono tre esemplari, uno alla biblioteca apostolica vaticana, uno a londra e uno a washington (ascarelli e menato 1989, 367 e fig. 42, De frede, 1967). Si deve invece a paganino paganini (ascarelli e menato 1989, 342) nel 1537-1538, il primo corano in arabo a stampa. La sua esistenza è stata a lungo messa in dubbio, fino a quando nel 1987 fu ritrovata una copia a venezia. Secondo una tradizione tramandata da erpenio, celebre orientalista olandese del xvi-xvii secolo, tutte le copie del qur’ān erano state bruciate, incolpando per questo rogo il papa. Non sappiamo chi disegnò i caratteri arabi per questa stampa, i quali non furono mai riusati. A una attenta lettura del testo, appaiono alcuni errori che portano a ritenere che l’autore parlasse un dialetto arabo. Bibliografia: ascarelli e menato 1989, de frede 1967, gabrieli 1931.
Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151
Sito web da visitare: http://www.cricd.it/
Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.
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