Cromolitografia litografia a color

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Significato dei termini utilizzati nei libri

 

Cromolitografia litografia a color

Cromolitografia o litografia a colori [comp. Di cromo-, dal fr. Chrome (1797), e questo dal gr. Chrõma, «colore» e litografia, comp. Del gr. Líthos, «pietra», e -graphía, der. Di gráphō, «scrivere»]. Procedimento di stampa litografica a colori. Agli inizi del xviii secolo, pochi anni dopo la divulgazione della teoria dei colori di newton, l’incisore jacob christoph le blon applicava alla stampa calcografica i tre colori blu, giallo e rosso che, sovrapposti, producevano i complementari verde, arancio e viola (lo russo 2006, 13-14). Tra le tavole litografiche illustrative del manuale di senefelder (1818), una riguardava una stampa con circa undici colori, compreso l’argento, ottenuti con una tecnica che fu denominata dall’autore farbendruck (stampa a colori). Proprio in quegli anni la nascente industria chimica tentava con successo di sostituire i tradizionali colori organici e minerali con una varietà più ampia di colori artificiali derivati dalla ricerca chimica. Questi nuovi ritrovati favorirono la ricca gamma cromatica degli artisti del xix secolo, e soprattutto diedero alla litografia il primato della produzione di immagini a colori, molto richiesto dal mercato. Procedimento sopra l’originale a colori da riprodurre si sovrappone un foglio di carta trasparente (lucido) e si disegnano i contorni delle figure e i dettagli delle aree colorate. Sui margini del foglio, in alto e in basso, si disegnano le crocette di riferimento del registro, in modo che i colori si sovrappongano perfettamente. In basso si traccia una rettangolo per il campione di riferimento del colore stampato. Il lucido è ricalcato su carta autografica e con questa trasportato su una pietra, dalla quale si stampano, sempre con il sistema autografico, gli altri calchi per tutte le pietre impiegate. In questa fase allo stampatore e al disegnatore si affianca la figura del cromista il quale, tenendo presente l’originale, dirige i disegnatori nell’esecuzione del lavoro sulle matrici dei singoli colori, iniziando dai colori più tenui. Le pietre sono prima granite, quelle dalle tinte più delicate sono inchiostrate con la tecnica dell’acquerello di engelmann in modo che le aree le quali non debbono essere colorate, sono ricoperte con gomma arabica, quelle colorate invece sono inchiostrate con un tampone di pelle con inchiostro litografico diluito, in gradazioni chiaroscurali. Le pietre con i colori più scuri sono quelle più impegnative: i disegnatori devono riempire le aree colorate con tanti piccoli punti ravvicinati per evitare, nella sovrapposizione delle tinte, la perdita di quelle più chiare. In seguito fu ideato un prodotto che permise di ridurre il lavoro manuale. Si trattava di una carta simile a quelle autografica, detta benday (dal nome dell’inventore benjamin day), che invece di avere la gelatina liscia, l’aveva granita con punti in rilievo. Questa era inchiostrata con inchiostro autografico e ricalcata sulle aree che avrebbero dovuto essere puntinate manualmente, imitandone gli effetti. Fu possibile in questo modo ottenere notevoli risparmi che permisero alla tecnica litografica di espandersi nella produzione commerciale di figurine, etichette, oleografie, ecc., La stampa delle quali era fatta su carta liscia e semilucida detta glaçe, prodotta con sostanze che ne riempivano i pori (patinata) e sottoposta a forte pressione (calandrata). (V. Anche litografia). Bibliografia: lo russo 2006.

 

Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151

Sito web da visitare: http://www.cricd.it/

Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.

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