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Significato dei termini utilizzati nei libri
Epigrafe, tecnica di scrittura sulle tecniche di incisione della pietra, le maggiori informazioni ci provengono dal mondo latino, e in particolare da una lapide conservata presso il museo archeologico di palermo (cil x 7296), il cui testo latino recita: «tituli - haec - ordinatur et - sculpuntur - aidibus sacreis - cum operum - publicorum». Il testo può essere tradotto: «in questa bottega (heic = hic = qui) si procede all’ordinatio e all’incisione di epigrafi per edifici sacri e opere pubbliche». Alcuni studiosi ritengono che il redattore di questa epigrafe fosse un esponente della cultura punica, data l’approssimazione dell’espressione sia in latino che in greco. I verbi ordinare e sculpere, testimoniano le due diverse fasi necessarie per la compiuta realizzazione formale di un’iscrizione in uno specchio epigrafico, destinato alla scrittura, già levigato e opportunamente riquadrato (titŭlus). Alla preliminare ordinatio seguiva l’incisione vera e propria, indicata nell’epigrafe citata con il verbo sculpere. I momenti dell’incisione di una epigrafe erano: 1. Studio e elaborazione della minuta epigrafica, cioè del modello del testi da incidere, che il committente dava all’officina. 2. Preparazione della lapide e della superficie da incidere, con il colore o con un’iscrizione graffita. Nel mondo latino, l’incisione era generalmente preceduta dall’intervento dell’ordinator. Il suo intervento consisteva nel riportare in forma provvisoria sulla pietra la minuta del testo da incidere, dando a essa la forma epigrafica. Questa operazione si svolgeva in due fasi: a) mediante la sottile incisione del reticolato delle linee guida entro cui inscrivere, successivamente, le singole lettere, procedimento detto rigatura, b) mediante il disegno sulla pietra delle lettere da incidere, che disegnava sulla pietra il testo esatto che doveva poi essere inciso. In alternativa, era eseguita l’incisione del testo senza nessun tratteggio fatto in precedenza. 3. Incisione delle lettere, eseguita subito dopo l’ordinatio. Questa risultava un procedimento più meccanico, perfezionatosi nei secoli. Nell’epigrafia latina, il solco dell’incisione a cordone, un solco canaliforme e grossolano, è proprio delle iscrizioni arcaiche, mentre un solco triangolare, regolare e pulito, capace di produrre un effetto chiaroscurale, è proprio delle iscrizioni dei primi secoli dell’impero, fino all’epoca severiana. Per l’età ellenistica si deve citare invece la presenza anche di lettere a rilievo. 4. Coloritura delle lettere, operazione detta rubricatura, (rosso, o meno frequentemente azzurro, di rado verde, giallo o nero, eccezionalmente oro). Era possibile la coloritura a righe alterne o con parti evidenziate. Particolare pure la coloritura a encausto, una tecnica pittorica antica consistente nell'uso di colori diluiti con cera fusa e applicata a caldo. Oltre che riga e compasso si potevano anche impiegare delle sagome e delle aste di lunghezza variabile, in legno o altro materiale, che adeguatamente posizionate, potevano essere usate per tracciare più lettere come la v, la a e la m, oppure la c, la d, la o e la q. In alcuni casi il medesimo testo era impaginato e poi inciso sulle due facce opposte del supporto, specie quando si trattava di monumenti, come la base di una statua o di un altare, che spesso erano destinati a essere esposti in spazi aperti e a essere visibili da ogni lato. In tal caso il monumento è definito opistografo. Le correzioni erano eseguite scalpellando il testo, con cancellazione completa del testo già steso o con interventi parziali del testo stesso, per mutarlo o ampliarlo. Diffuse ugualmente le correzioni di colore. Frequente l’uso di reimpiego di epigrafi, considerate non più necessarie.
Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151
Sito web da visitare: http://www.cricd.it/
Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.
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