Manoscritto

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Significato dei termini utilizzati nei libri

 

Manoscritto

Manoscritto [dal lat. Manu scriptum, «scritto a mano»]. Qualsiasi tipo di documento su qualunque supporto scrito a mano. In paleografia, codicologia, bibliologia e filologia, ogni documento scritto a mano, con penna o strumento affine, su carta o pergamena, in particolare il libro quale era preparato prima dell’invenzione della stampa, nella forma di codice. Petrucci (2001, 9) lo definisce «un complesso di materiale scrittorio generalmente composto in forma di libro e più o meno parzialmente ricoperto di scrittura a mano, di solito conservato, integralmente o in frammenti, in un’istituzione pubblica o privata a ciò addetta». Comunemente questo termine si applica di preferenza ai manoscritti fino al xv secolo, indipendentemente dalla forma (rotolo, codice, ecc.) E dal supporto utilizzato (papiro, pergamena, carta, ecc.) Ma è anche applicato sia ai documenti antichi sia a quelli moderni, e il termine è oggi esteso anche alle scritture realizzate a mano con mezzi scrittori moderni (dattiloscritti, scritti al computer, ecc.). Con la nascita della stampa a caratteri mobili, non si esaurì immediatamente la scrittura manuale, ma questa continuò per secoli a costituire un importante mezzo di comunicazione. L’utilizzo del manoscritto anche dopo la nascita della stampa, rispondeva principalmente a esigenze pratiche per evitare la censura, che determinò, in ampi settori della comunicazione, la sua sopravvivenza, almeno fino al xviii secolo inoltrato. Più agile e veloce, meno soggetto a controlli di quanto lo fosse la stampa, la diffusione del manoscritto era essenzialmente privata, non richiedeva investimenti di capitale e manodopera, poteva essere sommersa perché esercitata discretamente da individui che, non essendo professionisti del settore librario, non subivano controlli diretti dovuti alla loro attività. Il sistema rispondeva quindi perfettamente all’esigenza di mettere in circolazione un testo che non era opportuno sottoporre all’attenzione di un revisore ufficiale, con il rischio di un intervento censorio. Scritti con tali caratteristiche furono riprodotti lungo tutta l’età moderna in botteghe di amanuensi e smerciati sia attraverso propri canali sia valendosi di quelli ufficiali, come le librerie. La copiatura si integrava inoltre con il prestito, in tal modo chi si trovava tra le mani un libro proibito poteva produrne una copia per sé autonomamente oppure rivolgersi a uno scrittore professionista o a un individuo sufficientemente fidato e abile. A tal fine era pratica usuale per i librai esercitare l’affitto del libro, che era lasciato al lettore fino a che l’avesse duplicato, secondo una tariffa stabilita su base giornaliera o settimanale. Il numero di copie era ovviamente minore rispetto a quella garantita dall’impressione tipografica, ma il mercato tendeva ad autoalimentarsi e a generare una quantità di manoscritti considerevole. Queste ragioni fecero della produzione manoscritta un mezzo ideale per sfuggire ai rigori censori. Un esempio di tale vitalità fu la straordinaria fortuna della traduzione italiana del de rerum natura di lucrezio, eseguita da alessandro marchetti dagli anni ’60 del xvii secolo. Fino al 1717 quando fu stampata a londra da john pickard dopo uno sfortunato tentativo napoletano, l’opera circolò manoscritta e così abbondantemente che l’inquisitore veneziano la scambiava per una vera e propria edizione, e il letterato apostolo zeno notava che infinite sono le copie che ne vanno attorno. (V. Anche codicologia, papirologia). Bibliografia: barbierato 2002, s.V.

 

Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151

Sito web da visitare: http://www.cricd.it/

Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.

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