Ròtolo

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Significato dei termini utilizzati nei libri

 

Ròtolo

Ròtolo [lat. Tardo rŏtŭlus, dim. Di rōta, «ruota»]. Insieme di fogli rettangolari di materiale flessibile (papiro, pergamena, seta, carta), incollati o cuciti fra loro lungo i bordi e arrotolati su se stessi intorno a un asse, in latino chiamato volumen. Per indicare il rotolo non scritto, in greco si usava il termine chártēs (da cui l’italiano carta), mentre con il termine greco bíblos o biblíon - nome della città fenicia di biblo nell’odierno libano che era la maggiore esportatrice di papiro egiziano nel mediterraneo – s’indicava il rotolo scritto. Con chartídion era definito un piccolo rotolo, e con biblídion s’indicava un libello o un documento. Con il passaggio dal rotolo al codice, cambiò la maniera di indicare il rotolo, che fu chiamato eilētón, eilētárion, da eiléō, «arrotolare». L’operazione dell’incollatura dei vari fogli per dare vita al rotolo era designata in latino con il verbo glutinare, cui corrispondevano in greco, il verbo kollãn e il sostantivo kóllēsis quest’ultimo significava incollatura, assemblaggio dei fogli. Un ruolo particolare era svolto dalla figura romana del glutinatores. Secondo alcuni studiosi sarebbe stato uno schiavo addetto a sistemare adeguatamente i fogli di papiro, incollando al margine destro di ciascun foglio il margine sinistro del seguente, così da formare una lunga striscia che arrotolata costituiva il volumen. Secondo altri autori però, la sua funzione era anche quella di restauratore dei rotoli. Doveva infatti occuparsi anche dell’irrobustimento dei rotoli lacerati, per mezzo di toppe applicate al dorso dei manufatti, della sostituzione dei kóllēma danneggiati e del reintegro delle parti del testo mancanti, secondo gli standard grafici del periodo. Molti studiosi ritengono che non sia pensabile infatti che esistesse la figura del restauratore, che si preoccupava di restaurare il rotolo, per fare intervenire poi una seconda persona, che si occupava di reintegrare il testo. Se kóllēma era il singolo foglio di un rotolo che, per inciso, non era sempre delle stesse dimensioni, sélis pl. Selídes (lat. Pagina) era la colonna di scrittura, mentre con omphalós (latino umbilicus = centro, punto centrale) si indicava il bastoncino incollato all’inizio. Un rotolo, per così dire fittizio, era il tómos synkollḗsimos, un volumen ottenuto dall’assemblaggio di un determinato numero di fogli generalmente di papiro, contenenti documenti omogenei, riuniti e incollati insieme in modo da potere essere agevolmente archiviati e conservati sia negli uffici amministrativi sia in privato: la consultazione era facilitata dal fatto che ogni foglio conteneva un solo documento, era numerato in alto ed era citato con due numeri, quello del tómos (volume) di cui faceva parte e quello del kóllēma (pagina). A questo proposito non si può fare a meno di ricordare l’uso, anche moderno, di citare il tomo (o volume) nel caso di un’opera in più volumi e la pagina (kóllēma). La facciata di un rotolo papiraceo con le fibre correnti in senso orizzontale e quindi parallela alla lunghezza del rotolo stesso e perpendicolari alle linee di giuntura dei vari kollemata, è chiamata convenzionalmente recto, mentre la facciata opposta, nella quale le fibre, correnti in senso verticale, sono perpendicolari alla lunghezza del rotolo e parallele alle linee di giuntura, è detto verso. In genere i rotoli di papiro erano stipati in magazzini capaci di raccoglierne migliaia, disposti in nicche o nidi, secondo un sistema sperimentato con successo nelle biblioteche di tavolette del vicino oriente. La sovrapposizione di rotoli comportava tuttavia uno svantaggio ai fini della loro reperibilità. Accatastandoli, la voluta esterna, ovvero il dorso del volumen con il titolo, tendeva a sporcarsi, a gualcirsi e a contaminarsi con le muffe e i vermi carticoli presenti sugli esemplari contigui. È noto che, per ovviare a questo inconveniente, si iniziò a far uso, forse solo per i libri più pregiati, di un foglio di papiro o pergamena, la così detta paenula, che avvolta intorno al rotolo, lo preservava dalla polvere, schermando tuttavia anche il titolo eventualmente tracciato sul verso. Almeno in questi casi, una soluzione possibile, per identificare i rotoli dall’esterno, dovette apparire quella di un titolo, sporgente materialmente oltre lo scaffale o nicchia in cui era posto, tracciato su strisce di papiro o pergamena fissata al bordo superiore del volumen. In questo modo, l’etichetta non avrebbe risentito né della sovrapposizione dei rotoli, né dell’eventuale paenula la quale, come ha dimostrato capasso, lasciava libere le due frontes, cioè i due lati superiore e inferiore del rotolo, permettendo al titolo di sporgere liberamente verso l’esterno. Questa etichetta, chiamata in greco síllybos o síttubon o pittakíon (lat. Index, titŭlus), recava il nome dell’autore e il titolo. Informazioni su questa etichetta ci provengono da varie fonti, come a esempio un passo di ovidio, dove il poeta lamenta l’infelice oscurità cui sono condannati i libri dell’ars amatoria. Colpiti dalla collera di augusto, essi saranno costretti a nascondersi «mentre gli altri libri porteranno il titolo in evidenza, mostrando il nome sulla fronte scoperta». Sorgeva comunque la necessità di potere facilmente identificare l’esatta collocazione del rotolo di un autore specifico, in sale dove erano conservati a volte migliaia di rotoli di papiro o pergamena. Il titolo dell’opera contenuta nel rotolo poteva però essere anche scritto sul lato esterno, per una rapida identificazione dell’opera, come dimostrano i ritrovamenti di alcuni rotoli ercolanesi, ma in questo caso la registrazione del titolo è posteriore alla trascrizione del testo ed è dovuta probabilmente al libraio o proprietario, che intesero in questo modo rendere riconoscibile dall’esterno il contenuto dei volumi (capasso 1995a 1995b1999, 145-146). Per meglio conservare i rotoli, si legavano insieme in fasci, dopo essere stati avvolti in un foglio di pergamena o di carta di papiro emporetica frequentemente i rotoli erano riposti in scatole cilindriche dette in latino pandectae (gr. Pandékomai, raccolgo, riunisco) o bibliotheca (gr. Bibliothḗkē, scatola libraria) che contenevano più volumina. Nel mondo latino si utilizzavano due termini per indicare il deposito e la custodia dei libri, intendendo con questo termine sia il rotolo sia il codice: armarium e bibliotheca. La struttura del rotolo di papiro passò quasi immutata nel rotolo di pergamena, sopravvivendo anche alla nascita del liber quadratus o codex nel mondo occidentale in particolare, la forma del rotolo sopravvisse nell’italia meridionale fino al x-xii secolo nella composizione degli exultet, rotoli liturgici così chiamati dal nome della prima parola del preconio pasquale. Riccamente illustrati, recavano le immagini capovolte rispetto al testo, in modo da consentirne l’osservazione da parte dei fedeli, quando erano svolti e fatti pendere i rotoli dal pulpito. Nel vicino oriente il rotolo fu usato normalmente nella redazione dei testi, anche se in seguito si preferì la forma del codex, specie per i testi letterari e scientifici per una maggiore praticità nella consultazione. Il rotolo era molto diffuso anche presso i cinesi e i giapponesi, dove ne esistevano sia di seta, per il testo definitivo e più pregiato, sia di carta. Sul rotolo di carta e di seta si scriveva con il pennello, utilizzando prevalentemente inchiostro ottenuto con il nerofumo. I rotoli cinesi, per una loro migliore conservazione, recavano attaccato all’estremità, un prolungamento di garza di seta, broccato o carta, che serviva per proteggere il testo, come avveniva con l apaenula nel rotolo greco-romano. All’estremità di questo prolungamento, vi era un nastro di seta per chiudere il rolotolo stesso. Il suo colore a volte identificava il contenuto del rotolo e lo stesso colore era utilizzato per l’etichetta la quale era appesa al rotolo per identificare l’opera che conteneva. Il rotolo era poi protetto da una coperta (cinese: shu i o chih), fatta di seta o di una stuoia di bambù la quale aveva i bordi bianchi o di seta colorata. Un drappo copriva una decina di rotoli posti uno sopra l’altro, con le etichette identificative alla fine di ognuno (tsien 2004, 228-229). Presso gli ebrei ancora oggi è usato il rotolo di pergamena per la trascrizione del séfer ha-tōrāh (il pentateuco dei cristiani), e nella scrittura delle ḥāmesh megillôt (cinque rotoli dei libri biblici: cantico dei cantici, rut, lamentazioni, qoèlet, ester), secondo prescrizioni rituali molto dettagliate. (V. Anche papiro). Bibliografia: capasso 1995a 1995b 2005 caroli 2007 parsons 2014 puglia 1997 tsien 2004 turner 1968.

 

Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151

Sito web da visitare: http://www.cricd.it/

Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.

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