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Significato dei termini utilizzati nei libri
Tavoletta di legno [dim. Di tavola, dal lat. Tăbula, «asse di legno» legno, dal lat. Lĭgnum, «legno»]. La scrittura su tavolette di legno non nasce in un luogo specifico, ma essa è sicuramente diffusa tanto in cina, quanto nell’antica mesopotamia nel periodo sumero-accadico, in egitto come in india numerose testimonianze di testi scritti su tavolette di legno si trovano in grecia e a roma, e in tutto il mondo antico e moderno, come presso alcune popolazioni africane, dove questo supporto scrittorio è ancora oggi largamente utilizzato. Lo scriba delle tavolette di legno in sumero era chiamato gišdub-dim, in accadico dubdimmu, e in ittita lúdub.Sar.Gish. In egitto, durante l’antico regno (3150-2160 a.C.), Gli atti concernenti la misurazione dei latifondi erano tutti scritti su tavolette di legno e per indicare questa operazione era usata l’espressione mettere su legno. Questo modo di dire, secondo alcuni studiosi, indicherebbe invece l’uso che tali documenti, scritti su papiro, fossero uniti uno all’altro e poi arrotolati intorno a un legno. Appare in ogni modo abbastanza certo che gli estremi identificativi degli atti erano trascritti su apposite tavolette, in modo da formare un indice. Sempre in egitto, per identificare le mummie era attaccata una etichetta di legno recante il nome, la paternità, la maternità, il luogo di provenienza del defunto e il suo mestiere alcune di queste erano più lunghe, e oltre alla data di nascita recavano una formula dedicatoria o religiosa. Le tavolette di legno, erano chiamate in greco pínax o déltos, e in latino tabula (la singola tavoletta), pugillar, codicillus, codex (se polittici). Le tavolette potevano presentarsi sotto forma di singola tavoletta, o di due (dittico) tre (trittico) o più tavolette (polittico) unite insieme, forma che secondo molti, avrebbe dato origine al liber quadratus o codex, di papiro o pergamena. A vindolanda, sono stati rinvenuti polittici lignei, in cui le tavolette sono unite a forma di libro a soffietto (sirat 2005, 166-167). Per il periodo greco arcaico l’unica fonte indiretta è l’episodio contenuto nel vi libro dell’iliade (vv. 167-170), Relativo all’ordine impartito per lettera al re di licia di uccidere bellorofonte. Per quanto riguarda l’aspetto formale, la lettera di bellorofonte, come suggerisce il significato dell’aggettivo verbale ptyktós, (=piegato), doveva presentarsi come una sottile tavoletta piegata a metà (pínax ptyktós). Le dimensioni dovevano essere limitate, secondo quanto possiamo apprendere da plinio il vecchio (nat. Ii, 3, 4), che assimila l’espressione pínax ptyktós ai termini pugillar e codicillus, usati per indicare polittici di dimensioni limitate. Una distanza di due secoli separa la testimonianza omerica da quella successiva, che si pone alla fine del periodo arcaico e in un diverso contesto culturale. Essa si riferisce infatti alla pubblicazione a opera di anassimandro di una pínax geographikós, ossia della prima carta geografica di cui si abbia notizia. Nel periodo classico greco, il supporto ligneo, a differenza dell’epoca arcaica, è chiamato déltos. In questo periodo le epistole erano redatte su dittici di legno, recanti all’interno il messaggio scritto e chiuse con legaccio e un sigillo su cui era impresso il monogramma o il simbolo del mittente. Infatti questo supporto risultava molto più economico del papiro, che aveva un utilizzo più limitato. Le tavolette lignee, cerate e non, erano comunque largamente utilizzate nei tre ambiti di scrittura, privata, pubblica e letteraria. Nel periodo ellenistico, il termine pínax, fu utilizzato anche come definizione di un genere letterario. Questa accezione è documentata nei pínakes di callimaco, termine tramandato come titolo di un catalogo generale bio-bibliografico delle opere conservate nella biblioteca di alessandria e di due liste comprendenti una i poeti drammatici, l’altra le glosse di democrito. Nel mondo romano durante il periodo regio, la trascrizione e l’esposizione dei commentarii di numa pompilio, promossa da anco marcio, sarebbero state realizzate, secondo livio, su una tavola imbiancata o album, o nella testimonianza di dionisio d’alicarnasso, su déltoi. Ancora secondo livio su tavole lignee o cerate (tabulae ceraue) sarebbe stato scritto il trattato tra roma e alba nella seconda metà del vii secolo a.C. Nell’uso quotidiano le tavolette erano chiamate soprattutto pugillares, parola che appare assente nella terminologia indicante i documenti privati e pubblici. Tale fenomeno è spiegato con il fatto che i pugillares dovevano essere di dimensioni molto più ridotte dei documenti, tanto piccole da poter essere tenute in una mano. Esse potevano essere raccolte in taccuini e utilizzate per annotazioni di qualsiasi tipo che richiedessero una fissazione immediata. Se per i documenti la tendenza era comunque verso una circolazione e conservazione su supporto papiraceo, alla tipologia del codice ligneo, generalmente nella forma del dittico, rimane legata la produzione delle lettere attraverso le quali l’imperatore attribuiva le cariche maggiori. Chiamate anch’esse codicilli, in quanto delle epistole dovevano evidentemente riprodurre la tipologia formale e testuale, questo genere di lettere risulta attestato fino al iv secolo d.C. Particolarmente abbondanti e generose di dati sono invece le testimonianze relative all’uso delle tavolette lignee come brogliaccio. Tale impiego, strettamente connesso alla fase creativa del testo poetico, risulta particolarmente idoneo all’attività dei notarii, cui era riservata, dal iii secolo d.C., La trattazione degli affari del principe, e dal iv secolo d.C. In poi la redazione dei processi verbali del sacrum concistotum. Tabulae o codices trovano inoltre ampie possibilità d’impiego soprattutto nel corso dei dibattiti processuali. Contro il pericolo di falsificazioni, una soluzione fu trovata in età neroniana con il senatum consultum adverso falsarios, che prevedeva norme particolari per la chiusura dei documenti. Esse consistevano nell’obbligo dell’uso dei sigilli cerei con cui saldare le tre fettucce di lino che legavano le tabulae, passando attraverso i fori praticati sul margine superiore. Un esempio dell’applicazione di questa legge, di poco posteriore alla sua emanazione, è il testamento di antonio silvano, proveniente dall’egitto. Nel mondo latino, come nel mondo greco, spesso le tavolette sono chiamate con il nome dei legni di cui erano composte. Quelle greche potevano essere principalmente di bosso. Nel mondo romano sappiamo invece che queste erano ricavate dal legno di abete, quercia, acero, cedro, tiglio, e soprattutto bosso. Di pugillarres citrei fa menzione una sola volta marziale (14,3), considerandoli oggetto di un dono di grande effetto. Si sa infatti che il legno di cedro era molto pregiato. Secondo le testimonianze di plinio il vecchio (nat. 16,68) I pugillares erano inoltre realizzati, anche se raramente, con legno di brusco e mollusco, mentre per i codicilli si ricorreva allo smilace. (V. Anche strumenti scrittori). Bibliografia: degni 1998 lalou 1992 pastena 2009c sirat 1989a, 2005.
Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151
Sito web da visitare: http://www.cricd.it/
Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.
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