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Testi
Riccardo Zandonini – presentazione
Per la prima volta, la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Trento si accinge ad accogliere tra i suoi laureati un dottore honoris causa: Rory Byrne sarà, tra breve, accolto nella comunità degli ingegneri laureati da questo Ateneo.
Questo avviene a vent’anni dalla sua fondazione avvenuta nel 1985, in un momento quindi particolare di riflessione sul cammino percorso e sugli obbiettivi da perseguire negli anni a venire. In questo periodo particolarmente travagliato per la formazione universitaria, parlare di riflessione evoca subito il confronto con la recente riforma degli studi e con la riforma della riforma che allieterà i nostri mesi avvenire. Confinarsi in siffatti orizzonti sarebbe tuttavia grave limitazione e premessa di efficacia operativa ma di sterilità di sostanza. La riflessione, non facile, non può esimersi dal porsi di fronte alla complessità degli sviluppi in corso del contesto socio-economico e politico a livello mondiale e, soprattutto, alla velocità con la quale questa trasformazione radicale si sta compiendo.
In questo contesto, appare evidente che il ruolo della scienza e della tecnologia, e quindi il ruolo degli scienziati e degli ingegneri, è in continua evoluzione e che questo non può non interrogare nel profondo il mondo della ricerca e della ‘scuola’.
Questo mondo si impone come il luogo dove si elaborano le idee e le si immettono nella società. Credo tuttavia che alla ‘scuola’ nella sua accezione più completa sia dato un compito molto più impegnativo.
In una conferenza su Scuola e Tecnica tenuta lo scorso anno agli studenti di ingegneria e architettura dell’Università di Parma, il filosofo Emanuele Severino diceva: “Un popolo sopravvive soltanto se è sveglio. E la veglia di un popolo si apre e si forma in un luogo specifico, ben determinato – cioè nella scuola.” Proseguendo il discorso sul terreno della civiltà dell’homo technicus Severino poteva aggiungere: “Inevitabile che la scuola ponga come contenuto fondamentale la tensione, lo scontro tra la grande tradizione umanistica dell’Occidente e ciò che ormai chiamiamo civiltà della scienza e della tecnica. La quale non è soltanto il farsi avanti della razionalità scientifico tecnologica, ma è il radicarsi di questa razionalità nel terreno del pensiero filosofico del nostro tempo”.
La portata di un compito come quello appena delineato è tale che potrebbe scoraggiarci, ma non credo sia pensabile sottrarcisi. Anzi deve essere sprone alla coscienza e riferimento alto nel dibattito che percorre l’Università ed in particolare le Facoltà tecnico-scientifiche. A questo impegno non sfugge, pur nei limiti ovvi imposti dalle dimensioni, la riflessione in atto nella Facoltà di Ingegneria di Trento in occasione del suo ventesimo anno di età.
La consapevolezza del proprio ruolo e delle potenzialità non ancora espresse pienamente sono il filo conduttore dei diversi momenti nei quali la Facoltà intende, durante il corrente anno, portare ‘alla società’ i risultati di questa riflessione.
Coerentemente con la vocazione all’innovazione nella formazione che caratterizza l’Ateneo di Trento, il primo di questi momenti riguarda l’ingegneria dei materiali.
La conoscenza dei materiali, la padronanza delle relative tecnologie, l’utilizzo in nuove ‘forme’ e applicazioni ha da sempre aperto orizzonti nuovi all’umanità. Ne siamo così consci che interi periodi storici, o meglio civiltà, hanno preso nome da un materiale: l’età della pietra, del bronzo, del ferro, del silicio (ieri) e dei nano-materiali (oggi). Tuttavia, questa importanza dei materiali, sostanziale e indiscussa, non aveva trovato, almeno nel nostro Paese, una giusta collocazione nella formazione accademica, almeno fino al 1985 quando nasceva a Trento il primo corso di laurea di ingegneria dedicato ai materiali. L’ingegneria dei materiali si pone quindi, naturalmente, come punto di partenza per fare bilanci e progettare il futuro. Essa è inoltre elemento di grande rilievo in una riflessione sulla civiltà della tecnica, fatta nell’ottica indicata da Severino.
Riflettere non deve e non può significare rinchiudersi in se stessi, proprio per quel significato alto di scuola prima menzionato. Si impone anche un riconoscimento del necessario legame con la società, che è anche pieno coinvolgimento sul piano concreto del fare. Ecco quindi il motivo che ha spinto la Facoltà a dare la sua prima laurea honoris causa, a darla nell’ingegneria dei materiali e a darla a Rory Byrne. Byrne ha infatti vissuto la sua lunga esperienza nel mondo dell’automobilismo sportivo interpretando in modo originale, completo, innovativo la figura dell’ingegnere e specificatamente dell’ingegnere dei materiali.
Un’analisi, anche non particolarmente attenta, di questo mondo mette in luce caratteristiche che ne fanno quasi un ‘modello’ della realtà industriale di oggi. In particolare, la richiesta di una evoluzione continua del prodotto, legata sia agli standard di sicurezza sia alla competitività, alla quale è possibile far fronte solo mediante una innovazione spinta e con tempi di risposta (dalla concezione, alle verifiche, alla realizzazione) estremamente brevi.
Garantire la sicurezza dei piloti e degli spettatori, garantire il valore delle competizioni sia come spettacolo, sia come veicolo promozionale, usare le competizioni come prova di capacità tecnologica e qualità porta, con cadenza spesso annuale, ad una revisione delle regole alle quali deve sottostare il costruttore. Questo impone dei vincoli stretti alla progettazione, che si pone quindi come complesso problema di ottimizzazione vincolata, nel quale il tempo a disposizione per la risoluzione del problema è parte integrante del problema stesso.
Una moderna monoposto è un sistema sinergico, nel quale si combinano armonicamente diversi fattori: telaio, dinamica, aerodinamica, sospensioni, pneumatici, motore, trasmissioni, elettronica e controllo. L’uso sapiente di materiali innovativi consente in ciascuno di questi campi innovazioni, di prestazioni, di forme, di funzioni che non si esauriscono nel componente specifico ma si riflettono anche in una possibilità di migliorare l’armonia delle parti. Dominare quindi la progettazione di una monoposto vuol dire, per ognuno di questi fattori, dominare il materiale e la relativa tecnologia. Così, i vantaggi della applicazione di materiali aerospaziali nel telaio consentono maggiore leggerezza, rigidezza, sicurezza per il pilota, ma permettono anche forme nuove per l’aerodinamica, maggiori spazi e libertà di scelta per gli altri componenti, facilità di intervento, manutenzione, regolazione e messa a punto. Dominare i materiali per creare un sistema vincente: questi sono i risultati di grande rilievo che Rory Byrne ha raggiunto come capo progettista fin dalla fine degli anni 70, quando ha lavorato per il Toleman Group,
Guardando in retrospettiva possiamo anche azzardarci ad affermare che Rory Byrne, attraverso i materiali, ha contribuito a creare una nuova era della F1. Rory Byrne si è imposto, de facto, come ingegnere dei materiali e si può senz’altro affermare che le sue conoscenze e capacità in questo settore sono uno degli elementi chiave del suo lavoro e del successo della Ferrari in questi ultimi anni. Questo la Facoltà di Ingegneria intende riconoscere conferendogli la laurea honoris causa.
Vorrei concludere affermando che, nel contesto che ho brevemente delineato, l’accogliere Rory Byrne nel novero dei nostri laureati, ha anche, in qualche modo, il significato di accettazione di una sfida nel campo della formazione e della ricerca: la figura di Byrne è infatti sicuro riferimento professionale del quale tener conto nell’ambito di quella più ampia riflessione sulla figura dell’ingegnere oggi dalla quale ero partito.
Claudio Migliaresi – laudatio
Nel presentarvi la laudatio di Mr. Byrne utilizzerò immagini che mi permetteranno di illustrare meglio la sua figura, le sue competenze, ed i motivi che giustificano l’attribuzione da parte dell’università di Trento di una laurea ad honorem in Ingegneria dei materiali. E d’altra parte, come sarebbe possibile descrivere Mr. Byrne senza mostrare le auto che egli ha progettato nel corso di venticinque anni di attività in formula uno ? La prima di questi immagini è una fotografia della Witwaterstrand (vit-vater-strand) University, l’università di Johannesburg nella quale Byrne studia Chimica Industriale e gli viene conferito il Baccalaureato in Scienze (baccalaureato, parola che deriva dalla corona di alloro che viene offerta ai vincitori, e, nella tradizione dell’accademia, ai laureati).
La Witwaterstrand University è la più antica università del Sud Africa, istituita nel 1906, l’università nella quale ha studiato Nelson Mandela ed hanno studiato altri tre premi Nobel. Dopo il conseguimento della laurea in chimica industriale, Byrne comincia a lavorare in un’industria chimica che produce materie plastiche, la Kolchem. Ma dopo pochi anni, Mr. Byrne lascia la Kolchem e fonda con due amici ad Albertson, in Sud Africa, una società, la “Auto Drag and Speed Den”, che importava e vendeva componenti per migliorare le prestazioni di auto da strada e da corsa e curava la messa a punto di motori. La Auto Drag and Speed Den è ancora attiva nello stesso settore.
Durante gli studi universitari Byrne aveva provato a pilotare auto, scoprendo di essere un “buon pilota per un giro”, come egli stesso dichiara, e trovandosi invece attratto dai loro aspetti tecnici e progettuali. Byrne non è un ingegnere, è un chimico industriale e lavora in una azienda chimica che produce polimeri, ma ha un’ottima preparazione in matematica ed un’istintiva propensione all’innovazione attraverso la messa a punto di metodi sperimentali.
Byrne cominciò a trasferire alla progettazione il suo interesse per i materiali leggeri e per l’aerodinamica, che aveva coltivato come hobby da ragazzo progettando e costruendo modelli di aliante. E tra un aliante o un aereo ed un auto da competizione ci possono essere molti punti di contatto, nei materiali, nella forma, nei metodi di progettazione.
La capacità di Byrne di sfruttare al meglio i materiali e le possibilità da essi offerte per ottenere strutture rigide e resistenti, ma al contempo leggere e ottimizzate nella forma perché posseggano la migliore aerodinamicità, motiva l’attribuzione a Mr. Byrne di un riconoscimento impegnativo quale la laurea ad honorem in Ingegneria dei Materiali. L’immagine che mostra Byrne che regge un aeroplanino davanti alla galleria del vento della Ferrari, la galleria nella quale viene verificata la rispondenza tra materiali, forme e resistenza aerodinamica, raccoglie forse più di trent’anni della vita e degli interessi di Byrne.
Con la Auto Drag and Speed Den, Byrne comincia a lavorare su una macchina per gareggiare nella Formula Ford. La sua Fulmen Formula Ford pilotata da Roy Klomfass nel 1971 arriva seconda nel campionato sudafricano di Formula Ford.
Attratto dal mondo delle corse, ma forse anche spinto dalla crisi del petrolio che nel 1973 depresse l’economia mondiale ed anche quella del Sud Africa, Rory Byrne decise di cedere l’attività e di andare con l’amico pilota in Inghilterra, per partecipare alla Formula Ford inglese più impegnativa ed importante di quella sud africana, cominciando a gareggiare con una Ford Anglia.
Con l’amico comprò poi una Royale Rp16, cominciando a lavorare alla sua messa a punto per renderla competitiva. La cosa si mostrò più difficile del previsto, per la maggiore competitività del campionato inglese ed anche perché, citando Byrne, in Inghilterra pioveva sempre. Ma evidentemente il lavoro di Byrne cominciava ad essere notato, ed è per questo che l’anno dopo il nuovo proprietario della scuderia Royale, avendo bisogno di riprogettare l’auto, decise di assumerlo come progettista.
Comincia forse in quest’anno, nel 1973, la carriera di Byrne che lo porta nel giro di pochi anni ad una serie di successi che lo qualificano come uno dei migliori “giovani” progettisti. Ed è per questo che nel 1977 Ted Toleman, proprietario della Toleman, gli affida il ruolo di direttore tecnico. Il risultato del lavoro di tre anni, nei quali la Toleman corre in Formula 2 utilizzando auto prodotte da altri, è la Toleman TG280 che nel 1980 conquista il primo ed il secondo posto nel campionato di Formula 2.
Fino a quel momento le auto da corsa erano costruite utilizzando metalli. Lo chassis era fatto di laminato di alluminio e nido d’ape. La competitività di un auto era affidata al motore, al suo disegno, ed a piccoli ma importanti accorgimenti, uno dei quali citato in un’intervista che Byrne rilascia nel 1995 “ho trovato una scappatoia nel regolamento, scoprendo che l’altezza da terra dell’auto è legata all’altezza del piano del sedile del pilota. Così ho abbassato il piano del sedile affondandolo nel monoscocca riuscendo a diminuire l’altezza da terra della macchina di 15-20 mm”. Il successo del 1980 in Formula 2 apre alle Toleman ad a Byrne l’ingresso nella Formula Uno.Occorrono tre anni perché la Toleman riesca a conquistare punti nel campionato, riuscendo però quasi nel 1984 con la Toleman Hart guidata da Ayrton Senna a vincere il Gran Premio di Monaco.
La McLaren aveva per prima nel 1981 impiegato per realizzare lo chassis i materiali compositi, in particolare fibre di carbonio in resina epossidica (quello che viene comunemente chiamato carboresina). Nel 1982 Byrne aveva introdotto i compositi nella Toleman, impiegando fibre di carbonio T300 –oggi la Ferrari utilizza fibre diverse con proprietà migliori- e prevalentemente resina bismaleimidica, e la possibilità di utilizzare al meglio questi nuovi materiali adattandone le proprietà e le peculiarità progettuali al fine di ottenere strutture rigide, resistenti ed aerodinamiche viene sfruttata al meglio da Byrne.
In realtà i materiali compositi, i materiali con i quali sono oggi costruite le auto da competizione e tante cose che circondano la nostra vita quotidiana, erano già noti ed impiegati in altri settori, venivano già usati per realizzare imbarcazioni ed anche parti di aerei, ma non ancora nel settore automobilistico. La Toleman viene acquistata nel 1985 dalla Benetton.
La Benetton, alla quale arriveranno poi Ross Brawn con il ruolo di Direttore tecnico e Schumacher, vince gare e campionati del mondo. Byrne (tranne che nel periodo 1989-91 nel quale è progettista alla Reynard) è responsabile nella Benetton della ricerca e sviluppo di materiali e soluzioni tecnologico-progettuali che vengono poi adottate nella realizzazione delle vetture.
Una dichiarazione riportata nella stessa intervista rilasciata da Byrne nel 1995: “Io forse oggi non sento l’auto come fosse mia come accadeva prima, ma questo non mi manca in quanto è avvenuto così lentamente che mi sono adattato. C’e’ tanto da fare perchè siamo cresciuti; la tecnologia avanza ed offre continue nuove possibilità per cui io devo impiegare tutto il mio tempo a pensare quale dovrà essere il passo successivo….” E la tecnologia che avanza tra le altre è quella dei materiali, sempre più leggeri e performanti. Ed ancora, sempre citando Byrne: “La Formula Uno sta cambiando in modo tale da ridurre l’importanza del singolo. Per l’aerodinamica, ad esempio ci sono diversi ingegneri che ci lavorano, io non sono più il solo che porta nuove idee… il mio ruolo è cambiato, ma è ancora una sfida, soltanto un po’ diversa…. CAD e CAE hanno portato grossi cambi…. Personalmente io non sono un esperto di computer, li uso. Mi piace vincere, ma è più importante ancora restare competitivi. Non essere competitivo è qualcosa che non potrei accettare…perdere una gara per pochi decimi non è tragico, arrivare secondi ma ad un giro è terribile.”
Questa intervista in quel momento chiude l’attività di progettista di Byrne, che lascia la Benetton e la Formula Uno è va a vivere in Tailandia, appassionato di immersioni subacquee. Ma il ritiro di Byrne dura poco, perchè soltanto un anno dopo, nel 1996, viene chiamato a dirigere il team di progettazione della Ferrari. I successi della Ferrari, e con questi di Byrne, sono storia recente e comunque più nota a tutti noi.
L’uso di materiali leggeri ma rigidi e resistenti è importante per molte applicazioni, e tra quelle che possono trarre maggior vantaggio dal loro uso ci sono applicazioni in alcuni settori dello sport, nel settore dell’automobilismo, nei settori aeronautico ed aerospaziale, nella motonautica e nella nautica a vela, per ottenere migliori prestazioni con un più basso consumo energetico, ma anche per avere un campo più ampio di possibilità progettuali.
Le auto di formula uno sono capolavori di progettazione meccanica e di magia tecnologica. Le scocche sono fatte di compositi polimerici con fibre di carbonio e nido d’ape in alluminio, componenti di titanio e leghe leggere utilizzate nell’aerospazio, e sono tappezzate di sistemi elettronici e sensori che controllano e trasmettono segnali, le sospensioni sono anch’esse di compositi a matrice polimerica, ed altri componenti sono fatti con compositi a matrice metallica rinforzati da fibre di carburo di silicio, o, nella trasmissione, di materiali ceramici di nitruro di silicio, utilizzati, ad esempio, per realizzare cuscinetti a sfera negli aerei della Boeing……
L’Alfa Romeo che Giuseppe Farina impiegò nel 1950 per vincere il primo campionato mondiale piloti (ma le gare automobilistiche erano cominciate ben prima) era certamente molto diversa dalla Ferrari che Schumacher ha utilizzato nel 2004, e la diversa tecnologia è evidente nella diversa complessità e nella diversa organizzazione della sosta ai box durante una gara del 1950 e del campionato del 2004.
Il 60% circa del peso di una vettura di Formula uno è oggi fatta di materiali compositi, la maggior parte di compositi con fibre di carbonio e resina epossidica o bismaleimidica. Essi sono impiegati per costruire la monoscocca, il musetto, parti delle sospensioni e ancora la frizione ed i dischi dei freni. E l’uso di compositi garantisce alla struttura rigidezza, resistenza e leggerezza, e, soprattutto, ampie possibilità di scelta di soluzioni progettuali, perché utilizzando compositi si può variare una forma senza variare le proprietà meccaniche della struttura, semplicemente orientando le fibre in direzioni diverse, quelle che meglio rispondono alle sollecitazioni in quelle direzioni.
Inoltre, realizzare una struttura in composito richiede poco tempo, e questo è un ulteriore vantaggio per modifiche che spesso vengono improvvisamente decise sulla base dei risultati delle prove o di gara, e devono essere attuate da un giorno all’altro. Materiali metallici leggeri trovano anche ampio uso, e tra questi leghe di titanio o di alluminio per il motore, titanio per parte delle sospensioni e della trasmissione, o magnesio, che pesa un terzo circa dell’alluminio per i cerchi delle ruote. O ancora l’alluminio per la struttura a nido d’ape che inserita all’interno di lamine di composito de aumenta la rigidezza flessionale e torsionale.
I maggiori requisiti richiesti ai materiali usati per la realizzazione di auto da competizione sono leggerezza, resistenza e rigidezza. Dopo l’introduzione da parte della McLaren, nel 1981, e della Toleman di Byrne, nel 1982, l’uso di materiali compositi nella realizzazione di auto di formula uno crebbe rapidamente tanto che già nel 1985 tutte le auto avevano lo chassis fatto di materiali compositi. Il motivo dell’uso di compositi può essere facilmente spiegato guardando ai valori di rigidezza specifica e resistenza specifica che tali materiali presentano rispetto a materiali più tradizionali. A parità di peso, i materiali compositi hanno rigidezze e resistenze paragonabili se non superiori a quelle di materiali tradizionalmente considerati “forti”.
Se si considera che il peso di un auto di formula uno, secondo il regolamento attuale, deve essere di almeno 600 Kg, e che minore è il peso minore è il consumo di carburante e migliori, entro limiti, le prestazioni, è evidente che in Formula Uno è importante utilizzare al massimo materiali leggeri se essi sono in grado di rispondere alle sollecitazioni richieste. Una vettura di Formula Uno pesa 600 kg, peso del pilota incluso. L’uso di materiali leggeri (non solo compositi, ma anche titanio, alluminio e leghe metalliche) fa si che per raggiungere i 600 kg. minimi richiesti si debbano aggiungere 80 Kg di zavorra, attaccata al fondo della vettura, il che consente di tenere il più basso possibile il baricentro, che è a circa 20 centimetri da terra, incrementandone pertanto la stabilità. La stabilità dalla vettura è fortemente aiutata dall’uso di alettoni anteriori e posteriori, che schiacciano la vettura al suolo come se pesasse più di due tonnellate. La zavorra è l’unico componente realizzato con materiali pesanti, una lega di tungsteno con un peso specifico di circa 19 Kg/dm3 (un cubetto di 10 centimetri di spigolo pesa circa 19 chilogrammi). E il metallo ad alto peso specifico consente di realizzare elementi di zavorra piccoli, posizionabili pertanto dove è ritenuto più vantaggioso per la singola auto. Lo chassis pesa circa 50 chili, 10 chili circa è il peso di una gomma, 40 chili gli organi di trasmissione, 90 chili il motore. Realizzare una forma (ad esempio un’auto che abbia la forma della Ferrari) è piuttosto semplice, realizzarla anche con i materiali compositi o i metalli, gli stessi che usa la Ferrari, è ancora semplice, ma realizzare una vettura che possa percorrere i circa 5,8 Km del circuito di Monza in circa 80 secondi e farlo per 335 km è certamente tutt’altra cosa!
Ottenere le migliori prestazioni significa scegliere per i vari componenti i materiali opportuni, disegnati nella forma e progettati in modo tale da rispondere adeguatamente alle sollecitazioni meccaniche e sfruttare al meglio l’energia di propulsione. Nel 1981 la McLaren per prima utilizzò materiali compositi per realizzare lo chassis della vettura, e Bryne nell’anno successivo utilizzò questa tecnologia e questi materiali per la Toleman.
I compositi sono un esempio di quanto ampia sia la progettabilità di una struttura in funzione del materiale impiegato. Un composito è un materiale ottenuto combinando materiali diversi, scelti in maniera opportuna. I compositi utilizzati per applicazioni strutturali sono compositi con fibre, in cui fibre diverse vengono inglobate in matrici, nella maggior parte ma non soltanto di polimeri. Il vantaggio è quello di sfruttare da un lato le migliori caratteristiche meccaniche che le fibre in generale posseggono, (una fibra di carbonio infatti può sostenere un carico fino a 3 volte maggiore del migliore acciaio e può essere fino a 4-5 volte più rigida) dall’altro, cosa estremamente importante, quello di poter realizzare una struttura orientando le fibre in direzioni preferenziali ed anche alternando nel materiale fibre diverse. Tutto questo, perché sia vincente, chiede però scelte sui materiali, su come essi vengano prodotti, su come essi vengano utilizzati.
Un esempio certamente esaltante dell’uso appropriato dei materiali è una vettura di formula uno. Le zone della carrozzeria soggette ad impatto sono costruite con resina bismalemidica rinforzata da fibre di Zylon, utilizzate nel settore balistico, quelle in cui bisogna garantire ottime proprietà alla compressione sono fatte da resina rinforzata da fibre di boro, quelle strutturali soggette prevalentemente ma non solo a trazione sono fatte usando fibre di carbonio, ancora impiegate per realizzare scafi da competizione o parti di aerei. E le fibre sono disposte in direzioni diverse in modo da poter meglio rispondere al campo di sforzi. E ancora titanio, alluminio, compositi a matrice metallica,…etc., materiali che ritroviamo nella realizzazione di veicoli e stazioni spaziali.
Un’auto di Formula Uno è un laboratorio di esercitazione estremamente complesso, in cui bisogna identificare l’obiettivo, immaginare l’esperimento, scegliere i materiali, progettare e realizzare la struttura, verificare i risultati. E tutto con una serie di condizioni imposte, quali rigidezza, resistenza, forma, peso, aerodinamicità…
È evidente la scelta progettuale nelle immagini del musetto della Benetton e della Ferrari di qualche anno fa, una scelta progettuale che è comunque legata ed è resa possibile dall’uso appropriato di materiali conformabili e comunque in grado di produrre rigidezza e resistenza richieste.
Anche gli elementi apparentemente secondari, quali il volante, sono un’invenzione di ingegneria, realizzata con molti diversi materiali leggeri, quali compositi con fibre di carbonio, titanio, gomma e plastica. E i dischi dei freni, che possono raggiungere in una frenata che riduce la velocità da 350 km/ora a 70 km/ora anche temperature di picco di 7-800 °C sono fatti in carbonio. Ma i compositi sono soltanto una delle possibilità offerte oggi dalla scienza e tecnologia dei materiali, anche se è quella che offre maggiori ampiezza di scelta probabilmente. Leghe metalliche, ceramici resistenti ad alta temperatura e con proprietà termiche isolanti per parti del motore, metodi diversi di produzione, introducono rapidamente soluzioni innovative raccolte dalla Formula Uno e da Byrne.
Se da un lato la maggiore disponibilità di materiali cosiddetti avanzati offerta dalle moderne tecnologie consente di ottimizzare la selezione di un materiale per una determinata applicazione, d’altra parte in un settore di elevata competizione quale quello della Formula Uno difficilmente le scelte possono essere conservative. Ma di scelte e di strategie parlerà Mr. Byrne nella sua lectio.
I computer ed i programmi CAD (Computer Aided Design) possono e sono oggi indispensabili per indirizzare verso scelte operative, ma le decisioni sono nell’intelligenza della persona che di tali programmi si avvantaggia. E se da un lato l’uso di un computer e di un programma di calcolo può essere appreso, anche se con risultati che dipendono comunque dalla capacità della persona, e se è vero che le informazioni che riguardano i materiali possono essere anch’esse apprese, è anche vero che dietro ogni metodo deve esserci intuito, capacità di inventare, ed è questa per molte applicazioni un’arma vincente. Questa è apparsa a me in particolare, che ho dovuto leggere di Rory Byrne per andare aldilà di una cronaca, una della sue più rilevanti caratteristiche, un’intuizione che supporta ed è supportata dalla conoscenza.
Mr. Byrne dovrebbe lasciare la Ferrari nel 2006, per ritornare a praticare il suo sport forse preferito, che forse non è l’automobilismo ma sono le immersioni subacquee, in Tailandia, nell’isola di Phucket, nella splendida Nai Harn Beach, dove vive la sua famiglia. C’è certamente poco del mondo dei materiali avanzati e del mondo dell’automobilismo in queste immagini, ma la loro bellezza ci fa certamente immaginare quanto sia stato difficile per Byrne abbandonarli nel 1996, quando, mentre era sulla spiaggia, fu chiamato dalla Ferrari. E vorrei accompagnare quest’incantevole immagine con una che la Ferrari pubblica nel volume che celebra la vittoria del Mondiale del 2004, una delle poche immagini pubblicate in cui ho visto Mr. Byrne, che per abitudine non assiste ai gran premi ma resta in sede ad elaborare le informazioni che gli arrivano dalla corsa pensando a come utilizzarle per lavorare poi alla macchina.
Rory Byrne – lectio
Innanzitutto, vorrei esprimervi quanto sono onorato e orgoglioso di ricevere questa Laurea ad Honorem. Vorrei ringraziare tutte le persone che qui all’Università di Trento hanno riconosciuto il mio contributo dato alla Ferrari e alla Formula Uno, designandomi a ricevere questo riconoscimento. Vorrei anche ringraziare tutti i miei colleghi alla Ferrari, in particolare Jean Todt, per il loro supporto negli ultimi otto anni. Questo è il mio 25° (venticinquesimo) anno in Formula Uno, e vorrei illustrarvi una visione d’insieme di:
L’evoluzione della progettazione delle vetture di Formula 1 negli ultimi 25 anni
I fattori principali che influenzano la progettazione di una monoposto di Formula 1 sono i seguenti:
Ecco un breve riassunto dei cambiamenti che hanno caratterizzato questi fattori
Regolamenti
Nel corso degli anni la FIA, l’autorità sportiva che governa la Formula 1, ha cambiato i regolamenti con il primario obiettivo di migliorare la sicurezza dei piloti e degli spettatori. Ciò è stato ottenuto attraverso queste modifiche:
Aspetti commerciali
Come tanti sport professionistici, anche la Formula 1 ha goduto di un grande aumento delle entrate negli ultimi 25 anni. Per darvi un esempio, il budget della Scuderia oggi è circa cento volte maggiore di quello che aveva la Toleman nel 1981, l’anno del mio debutto in F1. Conseguentemente, le squadre hanno incrementato il loro potenziale in termini di forza lavoro per individuare nuove tecnologie e sviluppare quelle esistenti al fine di migliorare le prestazioni della macchina. Tanto per darvi un’altra cifra esemplificativa, l’organico attuale della Scuderia è venti volte più grande di quello della Toleman nel 1981.
Sviluppo di materiali e tecnologie
In questo ambito ci sono stati enormi passi avanti: entrerò nei dettagli in seguito.
Circuiti
Al fine di ridurre le velocità massime, soprattutto al termine dei rettilinei e nelle curve veloci, che stavano diventando pericolosamente elevate, molti tracciati sono stati modificati con l’aggiunta di chicane in determinati punti del circuito in modo da accorciare significativamente i rettilinei e restringere il raggio delle curve veloci. Oggi tutti i nuovi circuiti di F1 sono stati progettati tenendo in mente le prestazioni di una moderna monoposto.
Su quei pochi circuiti che non hanno subito cambiamenti drastici – ad esempio, Monza e Monte Carlo – la velocità media è aumentata di circa il 20%. La velocità massima, inoltre, è passata da 320 km/h nel 1981 a 370 km/h lo scorso anno. Un tale aumento delle velocità, nonostante i numerosi cambiamenti regolamentari introdotti nel corso degli anni, dà una certa percezione di quale sia il reale potenziale che è stato progressivamente sviluppato.
Prendendo in considerazione una monoposto, i fattori che più contribuiscono alla prestazione sono, in ordine di importanza, i seguenti:
Ora cercherò di riassumervi i principali sviluppi intervenuti in ognuno di questi ambiti negli ultimi 25 anni.
Gomme
In questo periodo ci sono state in Formula 1 fino a quattro diverse case costruttrici di pneumatici – Bridgestone, Michelin, Goodyear e Pirelli – che, naturalmente, hanno fornito un supporto tecnico alle rispettive squadre al fine di massimizzare la prestazione delle macchine che usavano le loro gomme. Ci sono stati altresì degli anni in cui esisteva un unico fornitore, il che rendeva relativamente più lento lo sviluppo degli pneumatici ma in presenza di un regime di concorrenza c’è sempre stata un’accelerazione dello sviluppo e, conseguentemente, della velocità delle monoposto.
Intorno agli anni ’80 c’è stato la transizione dalle gomme a tele incrociate a quelle radiali. Da allora gli pneumatici radiali sono stati continuamente sviluppati, usando polimeri della gomma sempre più sofisticati per massimizzare il grip e resistere alle alte temperature (ben oltre i 100°) e impiegando materiali compositi avanzati per la realizzazione delle carcasse. Questi avanzamenti sono stati possibili grazie all’introduzione e poi all’uso sempre più estensivo delle analisi degli elementi finiti per aiutare gli ingegneri nella progettazione delle strutte degli pneumatici nonché da altri modelli e metodologie di lavoro che hanno accresciuto la comprensione - e la conseguente ottimizzazione - della complessa interazione fra la macchina e le gomme e, elemento ancora più importante, l’influenza del tipo, della temperatura e della ruvidezza dell’asfalto della pista sull’impronta dello pneumatico al fine di migliorare l’aderenza nelle diverse condizioni.
Aerodinamica
Negli anni ’80 le monoposto erano dotate di un fondo specificamente disegnato e sigillato alla pista ai lati per mezzo di appendici mobili denominate minigonne per ottenere il massimo carico aerodinamico, pari a circa 2000 kg alla velocità massima della vettura. Nel 1983, il bando delle minigonne e l’introduzione di una regola che imponeva l’uso di un fondo piatto ridusse il carico aerodinamico. Le velocità in curva diminuirono considerevolmente ma, nonostante i cambiamenti regolamentari volti a limitare le dimensioni delle parti aerodinamiche, il carico tornò ad aumentare progressivamente fino al maggio 1994, quando furono raggiunti i livelli del 1980 pur in presenza di una maggiore resistenza all’avanzamento. Peraltro, le velocità massime non diminuirono, in quanto la maggior resistenza fu più che compensata dall’aumento della potenza dei motori.
Dopo i tragici avvenimenti del Gran Premio di San Marino del 1994, che causarono la morte di Ayrton Senna e Roland Ratzenberger, fu decisa una nuova, drastica limitazione nella dimensione e nella posizione delle superfici aerodinamiche. Nonostante quei cambiamenti e quelli che seguirono il carico prodotto dalle monoposto continuò ad aumentare tanto che nel 2004 è stato superato il livello di dieci anni prima. E’ legittimo chiedersi come ciò sia potuto avvenire. La risposta sta da una parte nello sviluppo degli strumenti di ricerca e nel loro utilizzo da parte di un numero più elevato di ingegneri e, dall’altra, nello sviluppo e nell’impiego di materiali compositi avanzati per ottimizzare il comportamento delle superfici aerodinamiche sotto carico.
Nel 1980 lo sviluppo aerodinamico era realizzato utilizzando un modello in scala 1:4 in una galleria del vento dotata di un tappeto rotante alla velocità di 90 km/h, con un aggiustamento manuale dell’altezza da terra e nessuna possibilità di verificare il rollio e l’imbardata del modello o di fare sterzare le ruote anteriori per simulare il comportamento della vettura in curva.
Nel corso degli anni la maggior parte delle squadre ha investito nella realizzazione di proprie gallerie del vento, che sono diventate sempre più grandi fino al punto che oggi possono essere utilizzati sia modelli in scala 1:1 che le vetture reali, ad altezze da terra variabili e con una simulazione degli angoli di rollio ed imbardata nonché del movimento delle ruote anteriori, tanto da riprodurre le reali condizioni che la macchina dovrà affrontare in pista.
Lo sviluppo della fluidodinamica computazionale e l’incremento della potenza di calcolo hanno permesso agli ingegneri di simulare il comportamento delle macchine in pista. Queste simulazioni, insieme ad avanzate tecniche di visualizzazione dei flussi e a più potenti mezzi per la raccolta dei dati dei test nella galleria del vento, hanno consentito una migliore comprensione della complessa natura del flusso dell’aria sopra e intorno ad una moderna vettura di Formula 1. Questa è la chiave per capire il perché si sia tanto progredito in quest’area.
Motori
Nel 1981 molte squadre utilizzavano il motore Cosworth tre litri aspirato, che aveva una potenza di circa 530 HP mentre Ferrari, Renault e Toleman avevano un motore da 1,5 litri dotato di turbocompressori. Sebbene si dovette attendere fino al 1982 per vedere una macchina con il turbo – la Ferrari - vincere il Campionato Costruttori e l’anno successivo per vedere un pilota campione del mondo con una vettura turbocompressa (Piquet con la Brabham-BMW), era ovvio che questo tipo di propulsore avesse un grande potenziale, senza limiti fondamentali alla potenza massima ottenibile. Infatti, la potenza era limitata dalla tecnologia dei turbocompressori e dallo stress termico e meccanico dovuto alla combustione su pistoni, valvole, teste e scarichi.
Pertanto, la ricerca si indirizzò sullo sviluppo dei materiali utilizzati per queste componenti nonché di benzine “esotiche” al fine di migliorare la velocità della combustione. La necessità per queste componenti di affrontare temperature molto elevate comportò l’uso di leghe speciali a base di nichel nella produzione delle valvole di scarico, nei tubi di scarico e nei turbocompressori. Infatti, rivestimenti ceramici erano utilizzati nei condotti di scarico nella testa e nei tubi di scarico mentre la ceramica era impiegata per alcune parti dei turbocompressori.
Nel 1986, alcuni di questi motori arrivarono a produrre una potenza superiore ai 1200 HP nelle specifiche da qualifica. L’affidabilità non era un problema, in quanto questi propulsori dovevano durare soltanto pochi giri prima di essere sostituiti con una nuova unità per la gara. Al tempo era in vigore una regola che limitava il quantitativo massimo di benzina che poteva essere imbarcato e i rifornimenti in gara non erano consentiti: la potenza massima si aggirava quindi sui 950 HP in corsa ma i piloti avevano la possibilità di aumentare la spinta del compressore e, di conseguenza, la potenza per brevi periodi al fine di effettuare dei sorpassi.
Dopo alcuni tentativi di ridurre la potenza dei motori limitando la spinta della turbina e abbassando ulteriormente la capacità massima del serbatoio benzina, i motori turbo vennero alla fine vietati e sostituiti con motori aspirati da 3,5 litri a partire dal 1989. Questi motori erano in grado di produrre una potenza intorno ai 630 HP a 11.800 giri.
La potenza e il numero dei giri erano limitati dall’efficienza fluidodinamica del sistema di aspirazione e di scarico così come dall’elevato stress meccanico cui erano sottoposti componenti a molto alterno come bielle, pistoni e valvole. Infatti, lo sviluppo dei materiali è stato un fattore fondamentale nel risolvere la maggior parte dei problemi relativi allo sforzo cui venivano sottoposte le parti sollecitate. Sono state sviluppate leghe di titanio e di alluminio, poi utilizzate insieme all’acciaio rinforzato in modo da ottenere, anche grazie Acciaio rinforzato, leghe titanio e di alluminio sono state sviluppate e poi utilizzate insieme all’impiego dell’analisi degli elementi finiti per ottimizzare il progetto dei componenti: si è ottenuta così una riduzione del peso. ciò ha permesso di aumentare il numero dei giri del motore mantenendo l’affidabilità. Un'altra innovazione importante è stata la sostituzione delle molle meccaniche con quelle pneumatiche per la chiusura delle valvole.
L’uso della fluidodinamica computazionale ha inoltre aiutato gli ingegneri ad ottimizzare l’efficienza del sistema di aspirazione e scarico. Tutto questo, in aggiunta ai nuovi materiali e allo sviluppo di un rivestimento che riducesse gli attriti, ha permesso che negli ultimi quindici anni il picco dei giri motore sia passato da 11.500 fino a oltre 19.000 e la potenza sia salita dai 630 ad oltre 900 HP nonostante la riduzione della cilindrata da 3,5 a 3 litri entrata in vigore nel 1995.
A velocità inferiori a 160 km/h i motori producono più coppia di quella che può essere trasmessa dagli pneumatici alla pista. Con il passare degli anni, sono stati sviluppati sofisticati sistemi elettronici di controllo del motore che possono rilevare quando le ruote posteriori cominciano leggermente a slittare e, conseguentemente, modulano automaticamente la farfalla motore e l’iniezione in modo che il propulsore possa fornire la coppia ideale che le gomme possono trasferire in quel particolare momento.
Telaio, trasmissione e sospensioni
C’è stata una rivoluzione nella progettazione e nella produzione di molti componenti in queste specifiche aree della monoposto, dovute soprattutto allo sviluppo di nuovi materiali e di nuovi processi costruttivi.
Nel 1980 tutti i telai delle vetture erano costruiti utilizzando pannelli prodotti in fogli di alluminio e nido d’ape. Successivamente, l’suo di materiali compositi per la costruzione del telaio è aumentato. Le tecniche produttive sono state migliorate e raffinate tanto che i telai attuali hanno forme particolarmente complesse grazie a stampi prodotti in materiali come carbonio ad alta resistenza e alto modulo, kevlar, vetro, zylon e fibre di boro, che sono utilizzate in varie aree del telaio a seconda delle loro particolari proprietà. Il risultato è che i telai moderni sono molto più resistenti, rigidi e leggeri di quelli di 25 anni fa.
Nel 1980 la maggior parte dei team usavano trasmissioni manuali a cinque marce. Anche se esistevano vari tipi di differenziali, erano tutti essenzialmente meccanici con caratteristiche fisse. Le scatole della trasmissione erano realizzate in magnesio utilizzando una tecnica di fusione in sabbia . Le moderne trasmissioni hanno sette marce, il massimo permesso dal regolamento, con meccanismo di selezione delle marce e di controllo della frizione operato elettroidraulicamente, con la cambiata, che richiede circa 25 millisecondi. Molte squadre stanno sviluppando sistemi di cambiata senza perdita di energia, senza quindi perdita di potenza del motore nel passaggio di marcia. Oggi anche i differenziali sono controllati elettroidraulicamente e il loro settaggio è controllato continuamente e automaticamente per stabilizzare la vettura in frenata e per modificarne l’equilibrio, ove richiesto nelle differenti curve e per tutti le fasi di percorrenza di ciascuna curva.
La struttura delle scatole del cambio è stata sviluppata in modo da ottenere maggiore leggerezza, maggiore rigidità e minori dimensioni grazie all’uso di nuovi materiali e di nuove tecniche di fusione. Le scatole di molte vetture sono oggi realizzate interamente in fusioni di titanio o in fibra di carbonio stampata.
Venticinque anni fa, i portamozzi e il triangolo delle sospensioni erano realizzati in acciaio o titanio, le pinze dei freni erano in alluminio e dischi freni in ghisa. Con un sforzo notevole per cercare di ridurre le masse non sospese, di aumentare la rigidità delle sospensioni e migliorare le prestazioni dei freni si è assistito ad un grande cambiamento nei materiali utilizzati. I portamozzi sono ora in un materiale composito in matrice metallica di alluminio, silicio e carburo mentre i bracci delle sospensioni sono in fibra di carbonio per avere una forma che ne esalti l’efficienza aerodinamica. L’uso del carbonio per i dischi e le pastiglie ha aumentato in maniera significativa l’efficienza della frenata mentre le pinze sono ora in lega di alluminio e litio per massimizzare la rigidità e ridurre il peso, restando nei limiti regolamentari.
Fino a pochi anni fa materiali con elevato rapporto rigidezza/peso come l’alluminio, il berillio e l’alluminide gamma titanio erano impiegati in Formula 1 ma il loro uso è stato poi proibito per cercare di calmierare i costi. Circa 18 anni fa, le squadre hanno cominciato a sviluppare sistemi di ammortizzatori computerizzati e controllati elettronicamente, meglio noti come sospensioni attive. Il vantaggio principale di questi sistemi era che la posizione delle molle e degli ammortizzatori e la loro rigidità potevano essere controllate automaticamente e settate in maniera differente per ciascuna parte della pista, in modo da ottimizzare la prestazione aerodinamica e anche la maneggevolezza della vettura. Per mantenere sotto controllo la velocità in curva l’uso di questi sistemi è stato proibito dal 1994 in poi.
Sulle moderne vetture, i sistemi di molle e ammortizzatori passivi sono stati migliorati al fine di ridurre il peso e fornire un controllo indipendente della molla e dell’ammortizzamento nei salti e nel rollio della macchina. Come abbiamo potuto vedere da questa sommaria analisi, la ricerca e lo sviluppo volti a migliorare i materiali esistenti, a studiare l’impiego di nuovi materiali e nuovi processi produttivi hanno giocato un ruolo fondamentale nel miglioramento delle prestazioni delle vetture e dei motori.
La collaborazione fra squadre, istituti di ricerca ed università è di vitale importanza per la continuazione di questo processo.
Negli ultimi mesi, la Ferrari e l’Università di Trento hanno cominciato una piccola collaborazione. Credo che dovremmo espandere questa collaborazione perché ne trarremmo entrambi beneficio.
Fonte: http://web.unitn.it/archive/comunicati/download/testi.doc
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