I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
CENNI STORICI
Si può affermare che la storia della chinesiterapia abbia inizio contemporaneamente alla storia della medicina e se è pur vero che l'atto di nascita di questa parola risale a poco più di un secolo fa, ad opera dello svedese Georgi nel 1847, la chinesiterapia rappresenta tuttavia uno dei più antichi metodi di cura che si conoscano.
In un'opera cinese che risale a oltre 2000 anni a C. è esposta la dottrina di Tao Cheu (una corporazione religiosa esistente in Cina circa 2600 anni a C.), basata sull'impiego di atteggiamenti e movimenti diversi e di alcuni esercizi respiratori, allo scopo di ottenere la guarigione di vari stati morbosi. Il complesso di queste pratiche terapeutiche forma il kong - Fou, che si potrebbe definire il primo testo che tratta di chinesiterapia.
Gli storici testimoniano che anche gli Egiziani erano appassionati cultori dell' arte chinesiterapica, ma il primo periodo di splendore coincide con l'era greco - romana, in Grecia la medicina sportiva ebbe la massima diffusione. Ippocrate diede una base scientifica al massaggio, che venne consigliato nel trattamento di alcune malattie e di cui venne dimostrata l'utilità nel favorire il circolo venoso verso l'alto. Dalla Grecia le pratiche sportive e fisioterapiche si diffusero a Roma ove trovarono ardenti sostenitori in medici famosi quali Asclepiade, Galeno, Celso,. In particolare Galeno applicò la ginnastica medica alla cura di numerose deformità dello scheletro quali la scoliosi, la cifosi, il ginocchio valgo e varo.
Dopo una certa decadenza per gli esercizi fisici nel periodo medioevale, vi fu un rifiorire nel 1500, 1600,. Nel 1569 Gerolamo Mercuriale pubblicò il "De Arte Gymnastica" , che può essere considerato il primo moderno trattato di chinesiterapia. Al principio del 1800, ad opera dei tedeschi e degli svedesi soprattutto, primo tra molti P. F. Ling di Stoccolma, vengono poste le basi moderne della chinesiterapia, sottraendola all’empirismo da cui era sempre stata dominata, e sorgono le prime grandi scuole di ginnastica.
Alla fine del 1800, G. Zander crea una serie di apparecchi per la meccanoterapia con il fine di ovviare agli inconvenienti rappresentati dalla fatica e dall'orario troppo gravoso imposto al terapista dal lavoro individuale, affinchè il paziente stesso potesse regolare l'intensità di un trattamento mobilizzante.
Da ricordare il francese Lucas Championnìere, il quale fu uno strenuo fautore della mobilizzazione precoce nelle affezioni osto - articolari traumatiche ed il cui metodo, perfezionato è ancora seguito da alcuni autori.
Nel 1900, mentre farmaci nuovi e tecniche chirurgiche nuove hanno contribuito a prolungare la vita umana, anche la Medicina Fisica ha segnato notevolissimi progressi mediante lo sfruttamento a scopo terapeutico dell'aria, dell'acqua, della luce, del calore, dell'elettricità, del massaggio e dell'esercizio fisico. La chinesiterapia ha avuto un particolare sviluppo negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Svezia, dopo la prima guerra mondiale e soprattutto durante la seconda. Il numero enorme di lesioni degli organi di movimento ha fatto sorgere numerosi Centri per un più rapido e più completo recupero dei feriti di guerra.
Dopo la guerra in molte nazioni, e tra queste l'Italia, si è avuto un notevole sviluppo delle Sezioni di Fisioterapia in molti ospedali. di pari passo con l'incremento di questi reparti si è verificato lo sviluppo delle scuole di riabilitazione
Prima di iniziare la chinesiterapia sotto qualunque forma, e più in generale prima di iniziare la riabilitazione, è determinante per il fisioterapista formulare attraverso la "scheda riabilitativa" un insieme di quesiti riguardanti il paziente, che risulteranno utili per l'applicazione chinesiterapica e per gli eventuali successivi cicli di cura.
La scheda riabilitativa permette al fisioterapista di annotare elementi importanti concernenti per esempio: - l'osservazione del paziente, la valutazione articolare, muscolare, funzionale e altri parametri che risultassero utili al fine di elaborare un programma di intervento terapeutico.
Osservazione chinesiologica
L’osservazione del paziente dal punto di vista chinesiologico è molto importante per tre fondamentali motivi:
L'osservazione chinesiologica,va eseguita a paziente denudato, osservato di faccia, di profilo e dal dorso, essa permette al fisioterapista di raccogliere tutti gli elementi per poter fare una valutazione complessiva del paziente. I fattori che devono essere considerati sono:- statura, peso, colorito della cute, presenza di cicatrici presenza di edemi, cellulite, zone eczematose, retrazioni e tumefazioni del tessuto connettivo ecc...
Inoltre è importante osservare il grado di simmetria tra gli arti e il tronco e fra le due parti del corpo, destra e sinistra.
Per facilitare l'osservazione del paziente è importante la ricerca dei cosi detti "punti di repere cutanei e ossei". I punti di repere cutanei sono: i capezzoli, l'ombelico, le pieghe delle cosce, le pieghe flessorie delle ginocchia. I punti di repere ossei sono: le clavicole, l'apofisi xifoide dello sterno, il punto più declive della decima costa anteriormente, le spine iliache anteriori superiori, i due grandi trocanteri, le rotule, i malleoli tibiali e peroneali, i due punti acromiali, le spine delle scapole e il loro angolo inferiore, le creste iliache, la linea delle apofisi spinose vertebrali, i talloni.
Per quanto riguarda l'osservazione del torace, bisogna osservare: malformazioni della gabbia toracica, la regolare espansione della stessa, il tipo di respiro, - se viene praticato dal paziente a bocca chiusa o a bocca aperta; anche l'addome può fornire utili elementi di giudizio osservando se i muscoli addominali sono ipertonici o ipotonici.
Un'importanza particolare va data, all'esame delle articolazioni e all'esame dei muscoli.
L'esame articolare è l'esame della motilità passiva articolare eseguito nella posizione che risulti più vantaggiosa per il paziente. Esso va sempre eseguito, quando è possibile comparativamente ai due lati e va condotto sia in modo analitico, esaminando una per una le articolazioni, che con procedimento sintetico esaminando nel suo insieme la motilità di un intero atro.
Qualora il paziente accusi una limitazione del movimento, nella scheda emergeranno anche le cause limitanti l' articolazione stessa,esempio: cause intrarticolari, - esiti di frattura, aderenze intrarticolari e cause extrarticolari, - cicatrici cutanee, rotture o aderenze dei muscoli, lesioni tendinee o legamentose.
La valutazione della mobilità articolare si fa in gradi e si misura con un apposito goniometro partendo dalla cosiddetta "posizione zero"
L'esame muscolare è parte integrante dell'esame clinico del paziente. offre dei dati utili per la diagnosi, la prognosi, e il trattamento di numerosi disordini neuromuscolari, e muscoloscheletrici.
L'esecuzione della prova e la valutazione della forzasono le due componenti fondamentali dell'esame muscolare.
Per eseguire correttamente questa tecnica è indispensabile conoscere i movimenti articolari e l'inserzione dei vari muscoli e la loro azione come agonisti, antagonisti e fissatori e le possibilità di compensazione ad essi attribuite.
E' richiesta inoltre la capacità di apprezzare con la palpazione i singoli muscoli o i relativi tendini, di distinguere visivamente il profilo di un muscolo paralizzato da quello di un muscolo normale e di rilevare eventuali difetti posturali o di movimento.
Sono molti i fattori che concorrono a determinare sia la perdita che il recupero muscolare. Il deficit può conseguire ad una lesione nervosa, ad una atrofia da non uso, da stiramento prolungato, da dolore o fatica.
La tecnica di valutazione proposta è indirizzata all'esame di ciascun muscolo isolatamente, ogni volta che ciò sia praticamente possibile.
La possibilità di valutare i singoli muscoli anzichè i gruppi muscolari riveste un'importanza centrale per la diagnosi delle patologie neuromuscolari.
La valutazione accurata del deficit porta ad individuare il livello della lesione nervosa. ad esempio: la paralisi associata del bicipite brachiale, del deltoide e del brachioradiale depone per l'interessamento delle radici C. 5 - C.6.
La descrizione di ogni esame muscolare si articola nei seguenti punti:
Paziente: questo termine indica la posizione in cui va messo il paziente per la corretta esecuzione dell'esame richiesto. La posizione del paziente riveste particolare importanza in considerazione di due fatti:
1 - compatibilmente con le sue condizioni il paziente dovrebbe mantenere una posizione che consenta al muscolo esaminato di lavorare contro gravità.
2 - è necessario fissare più stabilmente possibile i segmenti corporei di cui non si richiede il movimento
Fissazione: si riferisce, in generale, all'immobilizzazione o alla stabilizzazione del corpo necessaria per garantire l'accuratezza dell'esame di un singolo muscolo o di un gruppo muscolare.
a livello degli arti si deve fissare il segmento prossimale a quello esaminato. "Fissazione" indica l'atto di tenere fermo.
Prova: è la descrizione della posizione e del movimento dell'esame.
La posizione dell'esame è quella in cui il segmento viene posto dell'esaminatore e che, se possibile, viene mantenuta dal paziente.
Il movimento dell'esame è lo spostamento del segmento in una specifica direzione e per un determinato arco di movimento.
Opposizione: è la forza esterna applicata dall'esaminatore per determinare l'intensità della forza di verso contrario sviluppata dal muscolo in esame.
Con un punteggio di 100% non si indica la massima forza di un muscolo, ma piuttosto quella che si potrebbe chiamare la sua "piena" forza. Per acquisire la capacità di rilevare correttamente tale "piena" forza ogni esaminatore dovrebbe valutare un certo numero di soggetti normali di età diversa.
Ulteriore terminologia riguardante l'esame muscolare:
Compensazione: Quando un muscolo o un gruppo di muscoli entrano in azione nel tentativo di sostituirsi a un muscolo deficitario o paralizzato ne risulta un movimento di compensazione.
Possono attivare una compensazione tutti i muscoli che cooperano alla normale attivazione di un dato movimento, vale a dire i fissatori, gli agonisti e gli antagonisti.
Valutazione: La valutazione della forza o del deficit dei muscoli compiuta dall'esaminatore viene espressa assegnando a questi dei punteggi.
La stima dell'intensità di contrazione è in larga misura soggettiva, ma la scelta della "gravità" come resistenza convenzionale si rileva di aiuto per una valutazione obiettiva.
Fu il medico Robert Lovett a introdurre una metodica d'esame che adottava come resistenza il peso del segmento interessato, la scala dei valori basata sul sistema di Lovett, pubblicata nel 1932 era composta dei seguenti punteggi:
0 Assente: non si apprezzano contrazioni.
1 Tracce: il muscolo si contrae ma non realizza nessun movimento
2 Scarso: Il muscolo muove il segmento su cui si inserisce da scarico ma non
contro gravità.
3 Discreto: il muscolo solleva il segmento su cui si inserisce contro gravità
4 Buono: Il muscolo solleva il segmento su cui si inserisce contro gravità e
resistenza esterna.
quella a cui può far fronte un muscolo valutato buono.
Anche se i termini possono cambiare, i principi elencati da Lovett rappresentano tutt'ora il fondamento della maggior parte delle scale di valutazione finora usate.
La resistenza offerta dalla gravità è il punto centrale della valutazione della forza muscolare. Questo principio vale solo per circa il 60% degli esami dei muscoli delle estremità, in quanto non si applica agli esami della muscolatura delle dita delle mani e dei piedi ne dei rotatori dell'avambraccio, che costituiscono insieme approssimativamente il 40% degli esami dei muscoli degli arti.
LA CHINESITERAPIA
è una delle branche più importanti dell'area riabilitativa e senz' altro quella su cui, per il continuo perfezionarsi delle metodiche è imperniata la moderna riabilitazione.
Classicamente per chinesiterapia si intende l'esecuzione di tecniche terapeutiche basate sul movimento, destinate a riportare alla normalità, o quanto più possibile vicino al normale un movimento alterato.
Tuttavia questa definizione è stata oggetto di molte discussioni è di critiche e ripensamenti in gran parte dovuti al fatto che non pochi esercizi sono in realtà di natura statica.
Tra le varie possibilità di classificazione delle tecniche chinesiterapiche, quella più seguita nella letteratura italiana e che maggiormente si presta per scopi didattici per la sua chiarezza e semplicità è quella proposta da Boccardi che distingue innanzitutto la chinesiterapia in PASSIVA e ATTIVA
CLASSIFICAZIONE DELLE METODICHE DI CHINESITERAPIA
La chinesiterapia viene classificata in due vasti raggruppamenti e in ulteriori altre suddivisioni.
1 - CHINESITERAPIA PASSIVAviene ulteriormente suddivisa in:
a - ALLINEAMENTO POSTURALE ( segmentario e globale).
b - MOBILIZZAZIONE PASSIVA ( in rilasciamento e forzata ),
2 - CHINESITERAPIA ATTIVAviene ulteriormente suddivisa in:
a - ESERCIZI ATTIVI
b - RIEDUCAZIONE NEUROMOTORIA
c - ESERCIZIO TERAPEUTICO CONOSCITIVO,
d - RIEDUCAZIONE FUNZIONALE.
La classificazione delle metodiche di chinesiterapia su esposte è tutt'altro che esauriente e inattaccabile dalla critica. Già la distinzione - chinesiterapia passiva e chinesiterapia attiva è discutibile: infatti, nella prima non è richiesto un intervento muscolare attivo volontario da parte del soggetto; è anzi previsto il massimo rilasciamento volontario, il che, naturalmente, non può essere ottenuto senza una partecipazione attiva del soggetto stesso. cosi come sarà praticamente impossibile impedire che le posizioni indotte dall' esercizio passivo determinino risposte muscolari non volontarie.
Ribadito quindi che non esiste la possibilità di eseguire esercizi passivi in assoluto, tranne che nei cadaveri o su soggetti completamente denervati in posizione stabile, si procede ad analizzare nel dettaglio le metodiche chinesiterapiche" passive"
Il fisioterapista prima di effettuare il trattamento chinesiterapico deve compilare delle schede su cui annotare vari elementi, alcuni dei quali espressi in parametri.
Osservazione della cute, del sottocute, chinesiologica e funzionale.
Palpazione cutanea-sottocutanea, muscolare.
Valutazione articolare, muscolare e funzionale).
Applicazione terapeutica delle tecniche chinesiterapiche più opportune.
Verificadurante e dopo il trattamento chinesiterapico.
1 CHINESITERAPIA PASSIVA
a - Allineamento posturale
E' costituito da una serie di manovre che vengono compiute dagli operatori dell'area sanitaria, ma che non devono essere subite passivamente dal paziente. E' necessario infatti ottenere sempre la collaborazione dell'ammalato quando questi è in grado di darla. si dovrà informare il paziente del programma che si intende seguire. Egli assisterà quindi attivamente a tali manovre, rendendosi conto delle posizioni che di volta in volta viene ad assumere.
Più tardi, se sarà in grado di farlo, potrà prenderne l'iniziativa e assumersene il controllo.
L'allineamento posturale può essere utilizzato anche come fonte di importanti informazioni propriocettive, che, secondo le premesse di alcune metodiche coadiuvano la riorganizzazione di movimenti posturali alterati.
Le informazioni chinestesiche derivanti da un corretto allineamento posturale possono servire di base alla ricostruzione di schemi posturali corretti e alla preparazione di schemi motori validi.
Oggetti di uso comune utilizzati per l'allineamento posturale.
I dispositivi destinati al mantenimento delle posizioni corrette sono: Il letto con il piano rigido, le sponde regolabili, i materassi di lattice, i materassi a pressione d'aria, i piani rigidi rivestiti di gommapiuma per l'appoggio plantare, i cuscini di varia forma, le fasce di tela, i sacchetti di sabbia, gli archetti metallici, i reggibraccio per l'emiplegico, i tutori per evitare il recurvato del ginocchio, le ortesi per l'articolazione tibio - tarsica che garantiscono la posizione corretta del piede a 90 gradi, gli splint per l'avambraccio e la mano per evitare la caduta della mano in flessione nel caso in cui si verifichi la paralisi del nervo radiale, gli apparecchi gessati, i corsetti, le scarpe ortopediche.
Principi generali delle posture corrette:
La corretta postura viene studiata caso per caso, esistono infatti diversi tipi di allineamento posturale in rapporto alla natura dell'affezione che ha costretto il paziente all'immobilizzazione o che lo ha portato al deficit motorio.
In linea di massima, tuttavia, si deve soprattutto tenere conto di alcuni principi basilari validi per tutte le situazioni e tra questi, in particolare, la necessità di cambiare frequentemente il decubito del paziente, al fine di evitargli l'insorgenza di piaghe e per mantenerlo in buone condizioni di igiene personale, facendo si che di volta in volta vengano conservate tutte le posizioni funzionali dei vari segmenti corporei. Tali posizioni funzionali possono essere così riassunte:
Arti superiori: il braccio deve essere mantenuto abdotto di 30 - 40 gradi, il gomito deve essere leggermente flesso, l'avambraccio deve essere posto in atteggiamento intermedio di prono - supinazione, il polso esteso, le dita della mano in leggera flessione, il pollice in opposizione.
Arti inferiori: le anche saranno abdotte, le ginocchia in lieve flessione, mentre i piedi verranno posizionati ad angolo retto con la pianta poggiata ad un cuscino o ad una tavoletta, per permettere al paziente di puntare i piedi e di non scivolare verso il fondo del letto.
E' poco confortevole e perciò non sempre bene accettato dal paziente, è importante comunque che questa posizione venga assunta quando è possibile, anche per brevi periodi di tempo.
Arti superiori: posti in atteggiamento di estensione e modica abduzione.
Arti inferiori: le anche sono mantenute estese, mentre le ginocchia sono in lieve flessione, facilitate in ciò dall'applicazione di un cuscino al di sotto delle gambe, che al tempo stesso evita l'atteggiamento in equinismo dei piedi.
Il paziente può essere messo indifferentemente sul fianco destro o sinistro, a meno che non vi siano particolari controindicazioni.
Arti superiori: flessi di circa 90 gradi e, se necessario mantenuti in tale posizione da un cuscino.
Arti inferiori: L'arto che appoggia sul piano del letto può essere mantenuto flesso, mentre l'altro sarà esteso, sostenuto da un cuscino opportunamente interposto e sistemato tra le gambe, oppure al contrario: l'arto inferiore che appoggia sul piano del letto viene posto in estensione l'altro arto in flessione, sempre con l'interposizione di un cuscino tra le gambe.
Tecnica del pontaggio.
Qualora si rendesse necessario ridurre la compressione di una prominenza ossea può rendersi utile la "tecnica del pontaggio". Esempio: se è presente un'ulcerazione da decubito o un'area arrossata sulla caviglia, appoggiare la caviglia tra due cuscini,posti in modo che l'area ulcerata e/o arrossata non sia a contatto con gli stessi.
Le prominenze ossee resteranno sullo spazio tra i due cuscini.
Complicanze dovute ad allettamento prolungato:
b - mobilizzazione passiva
E’ il movimento che viene fatto eseguire ad una parte del corpo o ad un segmento di esso, senza alcuna partecipazione dei muscoli volontari.
La mobilizzazione passiva è eseguita dal fisioterapista, anche per mezzo di appositi strumenti, sempre sotto il controllo del fisioterapista.
Durante la mobilizzazione passiva non deve mai essere superata la soglia del dolore del paziente e soprattutto l'ampiezza fisiologica del movimento, concessa dalle varie articolazioni in trattamento, allo scopo di evitare danni, ( distorsioni, lussazioni, ecc...), in situazioni di iperlassità legamentosa o di grave ipotonia e ipotrofia muscolare.
La mobilizzazione passiva è il miglior mezzo per prevenire le limitazioni articolari, essa viene distinta in mobilizzazione passiva in rilasciamento e mobilizzazione passiva forzata.
La mobilizzazione passiva in rilasciamento
Effetti e scopi
Il movimento passivo eseguito in rilasciamento ha per compito principale quello di conservare libero il movimento articolare per l’ampiezza fisiologica nei diversi piani, prevenendo la formazione di aderenze e di retrazioni capsulari, legamentose, muscolari, tendinee, cutanee, conservando l’elasticità delle parti molli periarticolari e la normalità dei piani di scorrimento tendinei e aponeurotici, favorendo la produzione di liquido sinoviale e conseguentemente il trofismo delle superfici articolari.
L’esercizio passivo ha un’azione importante nel circolo locale: l’alternarsi di stiramenti e rilasciamenti muscolari ha un’azione di pompa assai utile nel favorire il ritorno venoso e linfatico al cuore destro.
Il movimento passivo infine ha una parte importante nel conservare o ricostruire l’immagine del movimento segmentarlo: la stimolazione estero e propriocettiva legata alle pressioni e alle trazioni sulla cute, sui muscoli, sui tendini, sulle formazioni periarticolari dà origine all’invio di messaggi afferenti di grande utilità per l’elaborazione degli schemi centrali che sono alla base della motilità fisiologica.
L’indicazione principale della mobilizzazione passiva in rilasciamento risulta evidente dalla descrizione dei suoi effetti: il movimento passivo va sistematicamente praticato a livello di tutte quelle articolazioni, di per sé indenni, nelle quali il movimento attivo sia, per qualsiasi ragione, impedito o limitato. Situazione questa che si presenta frequentemente in molteplici patologie: dalle paralisi periferiche a quelle centrali, dalle miopatie primitive alle gravi sindromi asteniche, dalla fase acuta di malattie invalidanti agli stati prolungati di incoscienza. In tutti questi casi la mobilizzazione passiva ha lo scopo di impedire l’instaurarsi di deformazioni articolari e di conservare e migliorare i meccanismi di informazione propriocettiva.
La mobilizzazione passiva in rilasciamentoha un effetto soprattutto preventivo perché, tende a conservare l'estensibilità e l'elasticità delle parti molli, la normalità dei piani di scorrimento, la lubrificazione delle superfici articolari.
Serve anche a incrementare il circolo locale: in questo caso può sostituirsi almeno in parte all'azione della contrazione muscolare attiva in caso di paralisi, specie per quanto riguarda il ritorno venoso.Inoltre favorisce in certe condizioni patologiche l'ideazione motoria mediante la ripetuta stimolazione dei propriocettori ed esterocettori periferici, muscolari, articolari, tendinei, cutanei.
Le tecniche di mobilizzazione passiva in rilasciamento richiedono una perfetta conoscenza delle caratteristiche delle articolazioni da mobilizzare.
Nella maggior parte dei casi la mobilizzazione passiva è strettamente analitica. Ogni articolazione cioè viene esercitata singolarmente .
Soltanto in pazienti cooperanti e in una fase avanzata del trattamento la mobilizzazione passiva può essere eseguita in schemi più complessi. In questo caso, l’effetto ricercato è piuttosto quello di rendere cosciente il paziente della corretta esecuzione di movimenti di significato funzionale.
Ia mobilizzazione passiva non è di facile esecuzione, richiede anzitutto il rilasciamento muscolare del soggetto e del segmento da trattare.Per ottenere questo risultato è indispensabile scegliere una posizione comoda: si ricorre di solito al decubito supino o alla posizione seduta.
Il lettino deve essere sufficientemente largo per evitare la tensione dovuta alla paura di cadere.
Occorre spiegare al paziente con chiarezza l’obiettivo dell’esercizio, assicurandoli che non proverà dolore, e renderlo cosciente della sensazione determinata dal rilasciamento muscolare.Occorre infine chiedere di concentrare la sua attenzione sulle sensazioni suscitate dal movimento articolare passivo.
Naturalmente questi problemi non si pongono nel caso, frequente nella prima fase di molte malattie, in cui il paziente da mobilizzare sia incosciente.
Il fisioterapista deve conoscere esattamente le possibilità funzionali dell’articolazione da mobilizzare, nei riguardi della direzione e dell’ampiezza dei singoli movimenti.
Deve offrire al segmento da muovere un sostegno efficace e deve saper localizzare esattamente il movimento grazie ad una solida fissazione del segmento prossimale, che impedisca l’intervento compensatore di articolazioni a monte.
Il movimento va compiuto con ritmo piuttosto lento ed uniforme, evitando con cura l’insorgenza del dolore e della contrazione muscolare, per tutta l’ampiezza fisiologica.
E’ opportuno sottolineare l’aggettivo fisiologica, in quanto in alcuni casi, l’atonia muscolare concede all’articolazione una motilità superiore a quella normale: l’esercitazione per tutta l’ampiezza libera, in questi casi, non potrebbe non portare ad un adattamento della morfologia articolare alla nuova situazione, con grave pericolo di ulteriore instabilità articolare e, in casi estremi, di sublussazioni o lussazioni.
In molti casi infine, una trazione esercitata nel senso dell’allontanamento dei capi ossei può rendere più agevole e più ampia l’esecuzione del movimento.
La mobilizzazione deve essere accuratamente analitica, ma non deve trascurare quei movimenti interessanti contemporaneamente più segmenti richiesti dallo stiramento di un muscolo poliarticolare, come la flessione dell'anca a ginocchio esteso per lo stiramento dei muscoli ischio - crurali, l'estensione del ginocchio a piede flesso dorsalmente per lo stiramento del gastrocnemio, la flessione contemporanea delle tre falangi e del
polso per lo stiramento dell'estensore comune delle dita.
La presa del fisioterapista deve essere tale da garantire un movimento sicuro dell'articolazione mobilizzata.
In linea teorica, pochi movimenti completi in ogni direzione e per ogni articolazione assicurano l'effetto preventivo desiderato, a patto che la mobilizzazione venga praticata con frequenza almeno quotidiana, con continuità per tutto il tempo necessario.
La mobilizzazione passiva in rilasciamento trova indicazione nelle paralisi e paresi periferiche e centrali, con la dovuta cautela nelle rigidità articolari post - traumatiche e su base reumatica, ed in genere in tutte le condizioni che comportano una immobilizzazione prolungata.
Si riuniscono in questo capitolo tutte quelle tecniche che per mezzo dell’applicazione di forze esterne di una certa entità tendono a vincere le resistenze offerte da aderenze, contratture e retrazioni cutanee, muscolari, tendinee, aponeurotiche, capsulo - legamentose, per riportare quanto più possibile vicino alla norma la motilità di articolazioni patologicamente limitate.
Si distinguono a questo proposito le manovre basate su uno stiramento energico e prolungato delle strutture retratte che limitano funzionalmente l’articolazione (trazioni) da quelle praticate con una pressione brusca e forte applicata in un sol colpo al segmento osseo distale nella direzione nella quale il movimento è limitato (manipolazioni).
La mobilizzazione passiva forzata tende a recuperare l'ampiezza articolare limitata a seguito di un evento morboso: è un'eventualità che si presenta frequentemente soprattutto in traumatologia e dopo prolungata immobilizzazione, ma anche nella gran parte della patologia nurologica. va subito precisato che le possibilità di recupero dell'ampiezza articolare hanno dei limiti molto precisi, e che è controproducente sottoporre a trattamenti spesso assai dolorosi e non scevri di rischio retrazioni non passibili di correzione.
Particolarmente importante è la collaborazione del paziente che, quando è possibile, deve assistere la mobilizzazione forzata con un intervento muscolare attivo nella direzione del movimento.
Una corretta mobilizzazione passiva forzata deve osservare comunque alcune regole:
Tecniche diverse di mobilizzazione passiva forzata:
trazione manuale continua
trazione manuale discontinua
trazione strumentale continua
trazione strumentale discontinua
E’ opportuna un’ulteriore distinzione tra la mobilizzazione forzata discontinua, praticata direttamente dal fisioterapista o mediante appositi apparecchi, e la trazione continua, più o meno prolungata
La mobilizzazione forzata discontinua consiste nell’esecuzione di un certo numero di movimenti passivi, nella direzione della limitazione, prolungati fino al limite della motilità articolare: a questo punto viene esercitata una pressione più o meno energica, ma in ogni caso progressiva e mai brusca, spesso sotto forma di serie di pressioni ritmiche, in un movimento di va e vieni , (molleggio) destinato a favorire il rilasciamento della muscolatura antagonista.
Le trazioni richiedono gli stessi accorgimenti che vengono messi in atto nella mobilizzazione passiva in rilasciamento , purchè si tenga nel debito conto la differente intensità delle forze in giuoco.
Le trazioni non devono provocare dolore, la casistica derivante dalla moltitudine di casi trattati evidenzia però che in molte situazioni patologiche sia praticamente impossibile ottenere un minimo di miglioramento della motilità articolare compromessa senza provocare dolore.
Tutto quello che si può fare è di ridurre al minimo la quota di questa stimolazione dolorosa , precisando accuratamente il tempo dell’intervento chinesiterapico, riducendo con l’associazione di altre terapie, fisiche e medicamentose, la soglia di eccitabilità dei tessuti trattati, combattendone le eventuali reazioni infiammatorie, dosando con attenzione la progressività delle manovre, esercitando anche, se nel caso, un’opportuna preparazione psicoterapica del paziente.
In ogni caso sarà sempre presente, anche se in diverso grado, una risposta al dolore rappresentata dallo spasmo riflesso di difesa, che viene ad aggiungersi alla resistenza da vincere nella mobilizzazione. Per questa ragione, è bene cercare di ottenere quanto prima la collaborazione attiva del paziente, sottoforma di contrazione volontaria dei muscoli per cercare di provocare il rilasciamento della muscolatura antagonista contratta (Scherrington), o l’allungamento della stessa muscolatura dopo averla sottoposta a contrazione.
La presa del fisioterapista deve essere portata quanto più possibile lontano dal fulcro, ma comunque sempre sul segmento immediatamente distale all’articolazione da trattare, per evitare che la forza impiegata agisca su articolazioni intermedie.
Anche la contropresa sul segmento prossimale deve essere quanto più energica quanto maggiore è l’entità della forza utilizzata.
La trazione ha come scopo l'allungamento passivo dei muscoli, è una tecnica che consente al fisioterapista una valutazione diretta delle retrazioni del paziente, garantendolo cosi da un danno che non infrequentemente una trazione mal condotta può portare; l'aumento piccolo o grande di ampiezza articolare, ottenuto grazie alla trazione va poi, se necessario, mantenuto anche con mezzi di contenzione regolabili come docce, splint, palmari, ecc..
La trazione forzata continua viene realizzata mediante dispositivi che non si limitano a mantenere il grado di stiramento raggiunto con la mobilizzazione, ma esercitano una vera forza traente continua, che non si esaurisce con il cedimento parziale delle strutture retratte.
Può venire realizzata attraverso un gran numero di procedimenti, Ricordiamo qui soltanto alcuni dei mezzi più semplici che il fisioterapista utilizza a questo scopo.
La gravità. Il peso del segmento distale all’articolazione da mobilizzare può venire utilizzato con vantaggio, con una metodica che non richiede attrezzature complicate, né particolare impegno. Nei casi di rigidità in estensione del ginocchio, ad esempio, il paziente viene posto seduto sul bordo del letto o di un tavolo, con un cuscinetto imbottito sotto la regione posteriore della coscia e con la gamba estesa. Se il paziente tollera la posizione senza dolore, né contrazioni di difesa, può restare in questa posizione per tempi progressivamente crescenti, più volte nella giornata, tentando a più riprese di aiutare attivamente la gravità a flettere la gamba, l’efficacia della posizione può essere ulteriormente incrementata applicando dei pesi, di valore crescente, all’estremo della gamba.Per estendere un gomito flesso si preferisce applicare due pesi ai due estremi dei segmenti ossei (braccio e avambraccio) mentre il gomito appoggia su un piano duro imbottito ad evitare pressioni dolorose. In tutti questi casi, in cui la gravità viene impiegata direttamente come fattore attivo di trazione, è necessario fare attenzione che l’asse di rotazione articolare interessato dalla mobilizzazione sia disposto su di un piano perfettamente orizzontale., affinché la gravità agisca nella direzione voluta.
Le molle e gli elastici. Anche le molle e le materie elastiche trovano indicazione nel trattamento delle rigidità articolari.
Il primo scopo che ci si propone con la trazione vertebrale è quello di allontanare i corpi vertebrali gli uni dagli altri in modo da ridurre i fenomeni compressivi sulle formazioni vascolari e nervose poste a più o meno diretto contatto con le articolazioni vertebro – vertebrali (dischi intervertebrali, legamenti) e con le eventuali salienze ossee neoformate (osteofiti), che sono espressione di uno stato distrofico dismetabolico o post – traumatico.
La trazione del tratto cervicale
può essere praticata manualmente o per mezzo di apparecchiature. Viene scelta la posizione per il paziente più idonea. La trazione manuale (che è pure una manovra usata nella manipolazione), viene praticata dal fisioterapista che esercita una trazione in senso eccentrico sul capo del paziente, che viene posto in posizione supina, applicando le mani alla nuca e al mento del paziente, con un’azione dolce e progressivamente più forte per pochi secondi, mentre il rilasciamento è altrettanto lento.
La trazione del tratto lombare (elettrica)
L’ostacolo principale da superare nell’effettuare la trazione lombare consiste nel fissare adeguatamente il tronco del paziente senza provocare troppo disagio.
Può essere adottato con vantaggio un corsetto diviso in due parti, uno per il torace e l’altro per il bacino.
La trazione viene praticata con le seguenti modalità: (trazione continua e trazione intermittente.
I cicli di trattamento variano da 10 a 15 sedute, se dopo una decina di sedute la sintomatologia non regredisce si può ritenere fallita la cura.
Le manipolazioni
E’ una particolarità della mobilizzazione passiva che viene applicata in condizioni di limitazione articolare, e consiste nel combinare trazione e torsione allo scopo di provocare modificazioni strutturali o modificazioni nell’ambito del sistema nervoso vegetativo.
Esempio: la manipolazione del rachide (chiroprassi), la manipolazione forzata delle articolazioni degli arti sotto anestesia,
L’ortopedico si serve dell’anestesia generale per appurare quale sia la parte assunta nella limitazione del movimento dallo spasmo riflesso e dai fattori psichici, e per esercitare con la dovuta prudenza, ma con la dovuta energia, una mobilizzazione forzata che deve spingersi fino alla rottura di piccole aderenze tra i vari piani dei tessuti molli e tra questi e il piano osseo, che sono spesso alla base della limitazione. I risultati immediati di queste manovre sono spesso spettacolari. Non cosi purtroppo quelli a distanza, perché la reazione al trauma, con la sequenza infiammazione – versamento (spesso ematico) - organizzazione dell’essudato, cicatrizzazione delle lacerazioni porta spesso ad alterazioni della motilità, talora ancora più gravi e tenaci di quelle che hanno richiesto la manipolazione. Che deve pertanto essere considerata un rimedio estremo, la cui applicazione deve essere lasciata al giudizio e all’esecuzione di chirurghi particolarmente esperti.
Per manipolazione vertebrale intendiamo un complesso di movimenti passivi atti a ristabilire i normali rapporti articolari fra le vertebre.; una tecnica particolare di manipolazione è la “chiroprassi”,
Metodiche:
Ie metodiche impiegate nel trattamento manipolativo del rachide sono molto varie e complesse: tuttavia gli elementi fondamentali della manipolazione sono costituiti da:
Diversi sono gli indirizzi seguiti in questa fase preparatoria: sono condivisibili i concetti espressi da Robert Maigne e da altri manipolatori francesi: “la manipolazione non deve mai essere dolorosa ed il senso del movimento deve essere diretto verso il lato indolore.
resistenza che può essere vinta da una dolce pressione (se il paziente è rilassato) così si possono ottenere ancora pochi gradi di spostamento articolare.
5) Manipolazione propriamente detta: questo movimento deve essere compiuto con fermezza
Ricordiamo come sia importante che le mani del manipolatore abbiano un appoggio solido e confortevole per il paziente sui segmenti corporei da trattare.
lo stretching
E una forma particolare di esercizio passivo forzato, già da tempo utilizzato dagli atleti sottoforma di autostiramento, in preparazione dello sforzo, o in presenza di crampi muscolari.
E' di recente acquisizione la certezza che lo stretching può essere molto utile anche in condizioni patologiche, soprattutto nel trattamento di dolori generati nelle parti molli. molte lombalgie ad esempio ne traggono reale beneficio.
Come tutte le terapie, anche lo stretching ha le sue regole di applicazione e i suoi dosaggi precisi nell'intensità, nella durata, nelle ripetizioni per seduta.
E' facile rendersi conto che anche in condizioni normali, dopo resistenza per qualche tempo in posizione accorciata, i complessi muscolari modificano in qualche modo la loro resistenza all'allungamento, che può essere riportata ai valori normali con lo stiramento.
Nella chinesiterapia attiva sono compresi tutti gli esercizi terapeutici che utilizzano le contrazioni muscolari del paziente.
E’ chiaro che quest’unico carattere distintivo è comune ad un numero grandissimo di esercizi di diversa intensità e complessità, che vanno dalla flessione attiva della terza falange di un dito ai più impegnativi esercizi segmentari e globali.
Il primo effetto fisiologico della contrazione muscolare si esplica sul muscolo stesso .
E’ noto che il muscolo a lungo inattivo va incontro ad un processo di tipo degenerativo per cui si riduce di volume e perde di efficienza dinamica. E’ quanto avviene nei muscoli immobilizzati per un certo tempo in occasione di lesioni muscolo – scheletriche o per paralisi centrali.
La contrazione muscolare è indispensabile per conservare al muscolo il patrimonio di sostanze plastiche ed energetiche necessarie a garantirne il trofismo e l’efficienza.
Gli esercizi attivi hanno quindi come primo scopo quello della prevenzione dell’atrofia da non uso.
Ma è anche di osservazione comune che un muscolo fatto lavorare in condizioni di particolare impegno si ipertrofizza e aumenta di forza: si spiegano così le ipertrofie localizzate caratteristiche di determinate attività lavorative o sportive.
L’ipertrofia è legata all’aumento di volume delle singole fibrocellule e non alla loro moltiplicazione.Perché si abbia questo aumento di volume e di forza è indispensabile, il massimo impegno del muscolo esercitato: il grado di ipertrofia realizzato è proporzionale alla tensione sviluppata dal muscolo nell’esercizio (Baer). Solo in questo modo si può ottenere l’azione prolungata di tutte le unità motorie. Che compongono il muscolo.
E’ questo il principio fondamentale , di cui non si può non tener conto quando scopo dell’esercizio è lo sviluppo della forza muscolare.
Quanto alle modalità cui si ricorre per ottenere questo impegno vedremo che in genere si tratta di opporre al muscolo la massima possibile resistenza: altre tecniche utilizzano variazioni del ritmo o della velocità di contrazione muscolare
L’esercizio muscolare attivo influisce, oltre che sulla forza, anche sulla resistenza del muscolo: ossia sul numero di contrazioni consecutive che il muscolo può compiere isotonicamente o sulla durata della contrazione isometrica prima che insorgano i segni della fatica. La resistenza del muscolo è entro ampi limiti proporzionale alla sua forza: gli esercizi che sviluppano la forza sono pertanto utili anche per migliorare la resistenza. Ciononostante, anche in considerazione dell’importanza che nel determinare la resistenza del muscolo hanno le condizioni del circolo generale e locale, molti Autori affermano che mentre per sviluppare la forza è opportuno esercitare i muscoli contro carichi massimi per poche ripetizioni, la resistenza viene influenzata da numerose ripetizioni di movimenti contro carichi modesti.
Un secondo ordine di effetti della chinesiterapia attiva riguarda la circolazione ematica .
Particolare significato assumono in questo senso le modificazioni circolatorie locali.
Il muscolo in contrazione isometrica lavora in ischemia, per la compressione dei vasi di cui è dotato, ma contrae un credito che viene pagato nella successiva fase di rilasciamento.
Nelle contrazioni isotoniche ripetute è stato ben documentato questo aumento periodico del flusso sanguigno (Stillwell), che si risolve in un’iperemia complessiva legata all’apertura di un gran numero di capillari che si prolunga per un certo tempo dopo la cessazione dell’esercizio . l’aumento complessivo del circolo locale è praticamente identico nelle due forme di esercizio, se lo sforzo è massimo nei due casi.
Queste modificazioni circolatorie sono indipendenti dal controllo nervoso, e sono invece in stretto rapporto con le variazioni del ricambio locale e con la produzione di cataboliti.
L’aumento della circolazione locale si accompagna ad un netto aumento della temperatura, aumento che facilita lo svolgimento della funzione muscolare: la temperatura ottimale per lo svolgimento delle reazioni chimiche metaboliche è infatti intorno ai 39°C. Il lavoro muscolare è in realtà l’unico mezzo veramente efficace per riscaldare il muscolo.
All’aumento del circolo e della temperatura locale va inoltre riferita l’indubbia efficacia dell’esercizio attivo nella prevenzione e nel miglioramento delle alterazioni locali del trofismo dell’osso (osteoporosi) e dei tessuti molli.
Per quanto riguarda le modificazioni permanenti della circolazione intramuscolare in seguito all’allenamento, è stato dimostrato che l’esercizio, se anche non determina la nuova formazione di capillari, è indubbiamente in grado di incrementare l’attività di quelli già esistenti.. Per cui durante il lavoro il numero di capillari aperti nel muscolo allenato è superiore a quello del muscolo non allenato.
Infine, le modificazioni circolatorie nell’esercizio intenso localizzato possono farsi sentire anche a distanza, sull’arto omonimo controlaterale e anche sugli altri due (Wakim).
Quando l’esercizio interessa la muscolatura di più segmenti o l’intero corpo, le modificazioni circolatorie diventano imponenti, si associano a modificazione della respirazione, all’aumento della gettata cardiaca, all’aumento dei battiti cardiaci e della pressione arteriosa.
Altre importanti modificazioni indotte dalla chinesiterapia attiva riguardano il controllo nervoso del movimento. Sembra che la ripetizione del movimento sia un meccanismo di facilitazione efficace per l’apprendimento di nuovi schemi motori.
Possiamo concludere questa breve esposizione degli effetti fisiologici della chinesiterapia attiva ricordando che gli scopi per cui esso viene prescritto sono fondamentalmente tre:
Accanto a questi tre obiettivi la cinesiterapia attiva trova indicazione come mezzo per migliorare la circolazione e il trofismo, locali e generali; come mezzo per aumentare il consumo (obesità); come mezzo per influenzare in senso benefico la psiche del paziente.
In rapporto all'effetto motore che ci si propone di ottenere, la chinesiterapia attiva utilizza contrazioni isometriche o statiche, contrazioni isotoniche concentriche ed eccentriche.
Sono di grande interesse perché permettono il trattamento preventivo o rieducativo di muscoli che non possono agire in contrazione isotonica: nei segmenti immobilizzati in apparecchio gessato o in trazione, intorno ad articolazioni infiammate, e dolenti, e così via. La tecnica di esecuzione è molto semplice.
L’esercizio risulterà necessariamente statico.
la gravità non possa rimuovere il segmento dalla sua posizione.
Secondo Baer è indispensabile prolungare ogni contrazione fino al limite della fatica; secondo Liberson anche le contrazioni isometriche di breve durata (6 secondi) possono portare a risultati di grande evidenza: fino a raddoppiare la forza del muscolo.
Un esempio tipico di esercitazione in contrazione isometrica è quella che si ottiene sfruttando l’azione di fissazione dei muscoli. I muscoli del tronco, la cui funzione è prevalentemente statica, vengono spesso esercitati mediante movimenti controresistenza del capo o degli arti.
Le contrazioni isometriche non portano a modificazioni di lunghezza del muscolo e non attivano il movimento articolare. Sono utili in tutti i casi di ipotonia e ipotrofia muscolare e possono essere eseguite anche in apparecchio gessato a scopo preventivo, (ad esempio contrazioni in isometria del muscolo quadricipite quando tutto l'arto inferiore è bloccato da apparecchio gessato. Sono tanto più efficaci quanto più ripetute, soprattutto se in diverse sedute giornaliere.
Sono le più utilizzate in rieducazione muscolare. E’ buona norma , fare eseguire sempre il movimento attivo per tutta l’ampiezza possibile, onde permettere al muscolo di lavorare contro la massima resistenza in ogni grado di accorciamento, e fornire al sistema nervoso centrale un’immagine completa dell’escursione articolare
La resistenza che il muscolo incontra nell’esercizio è costituita dalla somma di diversi fattori:
Le contrazioni isotoniche concentriche avvengono con accorciamento del muscolo agonista ed attivano il movimento articolare.
Sono maggiormente applicate nella chinesiterapia , particolarmente le tecniche controresistenza - la contrazione del muscolo agonista determina il rilasciamento dell'antagonista (Scherrington).
Ossia l’opposizione del muscolo in trattamento allo spostamento passivo dell’articolazione,
avvengono quando il muscolo in posizione di accorciamento si lascia allungare da una forza superiore alla forza del muscolo stesso.
Gli esercizi attivi generali e gli esercizi segmentari si distinguono poi in: liberi, assistiti, controresistenza
numerosi esperimenti condotti per constatare se esiste tra esercizi isometrici e esercizi isotonici una differenza di effetti sullo sviluppo della forza muscolare non hanno finora portato a risultati definitivi. In ogni caso è assodato che l’efficacia, in entrambe i casi, è legata allo sforzo compiuto nell’esercizio: e cioè proporzionale al lavoro (Prodotto della forza impiegata per lo spostamento) nel movimento concentrico e alla tensione sviluppata per la durata della contrazione nell’esercizio isometrico.
nei movimenti attivi:
nelle contrazioni statiche:
gli attriti interni.
Sono gli unici fattori di resistenza che non si possono in alcun modo eliminare: sono dovuti allo scorrimento dei fasci muscolari e dei tendini tra di loro e sui piani adiacenti nochè alla pressione esercitata dall’aumento di volume del ventre muscolare.
Questi attriti sono naturalmente di minore entità nelle contrazioni isometriche. Gli esercizi isometrici in assenza di gravità sono effettivamente quelli che richiedono il minimo impegno muscolare: ai fini della rieducazione muscolare sono pertanto utili – e talora gli unici realizzabili – per i muscoli che sono in grado di sviluppare soltanto tracce di contrazione, forza 1.
La gravità
La partecipazione o meno della gravità alla resistenza totale dipende dalla scelta della posizione di partenza del paziente, e quindi dalla direzione di trazione del muscolo esercitato. La gravità si opporrà con la massima intensità alla contrazione muscolare.
Poiché la forza efficace del muscolo varia a seconda della posizione articolare, è importante tener conto , nella scelta della posizione di partenza, anche di questo fattore. Cosi la flessione
del braccio in posizione seduta (braccio orizzontale alla fine del movimento a muscolatura accorciata) richiede per la sua esecuzione una forza muscolare assoluta maggiore di quanto non basti per la flessione del braccio in decubito supino (braccio all’orizzontale all’inizio del movimento, a muscolatura allungata).
gli attriti esterni
interferiscono soltanto negli esercizi che danno luogo a spostamenti di segmenti corporei . la resistenza del mezzo nel quale il movimento avviene è solitamente trascurabile ma può divenire un fattore importante quando il movimento avviene in un mezzo diverso dall’aria.
Così in idrochinesiterapia il movimento nell’acqua può essere utilizzato come mezzo di rieducazione muscolare Significato analogo hanno gli esercizi, per lo più riservati alla mano e alle dita, fatti nel fango o nella sabbia, che uniscono all’efficacia di un’intensa termoterapia l’esercitazione controresistenza dei muscoli agonisti
Gli attriti veri e propri sono invece determinati dalla frizione del segmento con il piano di appoggio sul quale si sposta.
le resistenze esterne
quando gli attriti e la gravità non sono sufficienti ad impegnare il muscolo al massimo della sua forza, si fa ricorso ad ulteriori resistenze esterne, atte a porre il muscolo nel grado di tensione necessario al suo sviluppo.
Elenchiamo brevemente i tipi di resistenze più frequentemente utilizzati.
il fisioterapista
applica direttamente la resistenza, per lo più per mezzo della sua mano,facendo forza sullo stesso piano ma con verso opposto a quello di trazione del muscolo.
il paziente
può contrastare da solo la esecuzione del movimento in due modi:
- opponendovi l’arto sano
- contraendo contemporaneamente gli antagonisti
i pesi
che vengono applicati sul paziente direttamente o indirettamente.
Le metodiche chinesiterapiche
possono essere classificate in rapporto a diverse caratteristiche.
Ne ricordiamo le più significative :
1 – a seconda delle parti corporee impegnate:
2 – a seconda delle resistenze da vincere:
3 – a seconda dell’effetto motorio:
4 – a seconda della partecipazione volontaria al movimento:
5 – a seconda delle modalità di esecuzione:
I vari esercizi utilizzati in chinesiterapia possiedono le caratteristiche sopraelencate nelle più svariate combinazioni, per cui una descrizione accurata di tutte le tecniche, condotta seguendo una classificazione cosi estesa, è praticamente irrealizzabile.
Tratteremo quindi gli esercizi di chinesiterapia attiva più significativi.
a esercizi attivi
Esercizi segmentari
sono limitati ad alcuni distretti corporei e risultano di notevole efficacia nel provocare quelle modificazioni fisiologiche locali e generali che abbiamo già ricordato.
L’esercizio attivo localizzato ad un singolo segmento corporeo o a pochi segmenti adiacenti è il mezzo più efficace per ottenere le modificazioni locali che abbiamo descritto a proposito degli effetti fisiologici dell’esercizio attivo. Le riepiloghiamo:
muscolatura corrispondente
La localizzazione: è il primo indispensabile elemento di un esercizio segmentarlo corretto e richiede:
E’ indispensabile, per ottenere l’effetto desiderato dall’esercizio attivo, che il muscolo da esercitare sia realmente impegnato nella sua esecuzione nelle condizioni richieste dalla sua efficienza. Così, un quadricipite valutato a 3 deve essere esercitato con l’estensione del ginocchio contro gravità. Verrà scelta la posizione di partenza supina o seduta, (a seconda che si voglia far lavorare o meno il retto femorale) a gamba pendente dal tavolo, e il paziente verrà invitato a sollevare la gamba fino all’orizzontale.
Altrettanto importante è la stabilizzazione degli altri segmenti corporei. è buona norma non lasciare tale compito al controllo del paziente e ai suoi muscoli fissatori. Infatti, a parte il caso molto frequente, in cui anche tali muscoli sono in condizione di deficit e quindi non in grado di assicurare la fissazione, è opportuno tentare di concentrare lo sforzo del paziente sulla contrazione del solo muscolo – o del solo gruppo muscolare – in esercitazione, nelle migliori condizioni di rendimento. Particolarmente importante a questo effetto è la stabilizzazione del segmento o dei segmenti immediatamente prossimali a quello su cui il muscolo si inserisce.
Tale segmento potrebbe infatti spostarsi, modificando il risultato dell’esercizio, in due direzioni: per insufficiente fissazione nella direzione del muscolo esercitato, alterando così l’effetto della resistenza opposta al segmento distale; per sostituzione, nella direzione del movimento , riducendo l’impegno del muscolo esercitato, che può spostare la sua inserzione distale per tutto il movimento richiesto
Esercizi liberi
Si intende con questo termine l’esercizio che impiega come resistenze solo gli attriti e la gravità. Naturalmente, questa limitazione va intesa con una certa larghezza: non può ad esempio non essere considerato esercizio libero, in questo senso,l’esercitazione alla deambulazione, anche se il paziente indossa un paio di scarpe che rappresentano indubbiamente, una resistenza esterna. Così interpretato, il movimento libero è la forma di chinesiterapia utilizzata più frequentemente in ginnastica generale (i cosiddetti esercizi a corpo libero).
Per quanto concerne la rieducazione di singoli muscoli di forza 2, che sono in grado di eseguire il movimento completo a gravità eliminata, e per i muscoli di forza 3, capaci di spostare il segmento su cui si inseriscono per tutta l’ampiezza contro gravità.
Solo in questi due casi infatti sono rispettate le norme fondamentali della rieducazione muscolare: la massima resistenza e la massima ampiezza.
Nell’esercizio attivo possono essere utilizzati tutti e tre i tipi di contrazione: isometrica, isotonica concentrica, isotonica eccentrica
Gli esercizi liberi sono gli esercizi che incontrano durante la loro esecuzione delle resistenze dovute solo dagli attriti interni ed esterni, ad esempio.: dallo scorrimento dei fasci muscolari e alla gravità.
Gli esercizi assistiti vengono impiegati nei casi di muscoli che non siano in grado di compiere i movimenti per tutta la loro ampiezza neppure a gravità eliminata.
Si tratta pertanto di muscoli valutabili con una quotazione di forza inferiore a 2: in questi casi l’esercizio si risolverebbe in una contrazione isometrica o in un movimento parziale. Poiché proprio in questi casi per il pericolo dello stiramento del muscolo debole e per la scarsità di informazioni propriocettive è particolarmente utile che il movimento sia a pieno raggio, occorre offrire l’assistenza indispensabile al completamento del movimento. Tale assistenza può essere fornita da uno qualsiasi dei mezzi descritti a proposito delle resistenze, naturalmente utilizzati nella direzione del movimento: ma è solo il fisioterapista che può dosare l’aiuto in modo da lasciare all’esercizio tutta la sua efficacia nei confronti della rieducazione muscolare. Infatti un aiuto eccessivo determina praticamente la messa in riposo di un numero più o meno grande di unità motorie del muscolo, e neutralizza così il vantaggio dell’esercitazione. Naturalmente, premessa all’esercizio assistito è la riduzione al minimo delle resistenze, riduzione che talora può garantire da sola la riuscita del movimento completo. Tale riduzione si ottiene di solito, con l’utilizzazione di tavole levigate cosparse di talco e dell’acqua, oppure con la sospensione del segmento da mobilizzare.
Riassumendo: gli esercizi liberi sono compiuti dal paziente con l'aiuto del fisioterapista o con l'ausilio di apparecchi, essi sono indicati quando i muscoli non sono in grado di compiere movimenti sufficientemente ampi ed efficaci, neppure eliminando la resistenza determinata dalla gravità e sono particolarmente indicati nella rieducazione di fasci muscolari assai ipotonici e ipotrofici.
Esercizi controresistenza
Gli esercizi controresistenza vengono impiegati per i muscoli al cui massimo impegno non basta la resistenza offerta dalla gravità e dagli attriti. La resistenza opposta al muscolo in contrazione deve essere sempre la massima che il muscolo può vincere (negli esercizi concentrici), e deve pertanto essere modificata per seguire i progressi del muscolo esercitato.
Diversi procedimenti risultano utili per raggiungere nel modo migliore questo obiettivo. Tra i più interessanti vi è il metodo degli esercizi “contro resistenza progressiva” messo a punto da De Lorme e Watkins. Il metodo si basa sulla ricerca della cosiddetta “resistenza massima per 10 ripetizioni 10 RM, ten repetition maximum)”, ossia della resistenza che il muscolo è in grado di sollevare per 10 volte consecutive e non di più. Stabilito con esattezza questo valore, il paziente viene invitato ad eseguire tre serie di movimenti, costituite ognuna da 10 elevazioni per la massima ampiezza: la prima con una resistenza pari a metà delle 10 RM, la seconda con tre quarti della 10 RM, e infine la terza con l’intera 10 RM.
Per evitare che la fatica impedisca l’esecuzione corretta della sequenza proposta da De Lorme e Watkins, Zinovieff ha suggerito di iniziare l’esercizio con la resistenza massima, per poi ridurla progressivamente nella serie successive, fino a 100 contrazioni per seduta.
Queste tecniche, la cui efficacia nel realizzare un rapido aumento della forza è indubbio, presentano un inconveniente di non piccola importanza pratica: mentre la durata dell’esercizio vero e proprio è modesta, la valutazione vera e propria della resistenza da utilizzare, che va frequentemente messa a punto con il progredire dell’allenamento, è assai laboriosa e richiede molto tempo.
Per evitare questo inconveniente, la Hellebrandt propone 10 o 20 riprese di 25 30 contrazioni contro una resistenza che definisce genericamente “forte”, con intervalli di un minuto tra ogni serie.
Russel afferma che i risultati migliori si ottengono con brevi periodi di esercizio contro resistenze forti, ripetuti frequentemente; ad esempio, cinque minuti ad ogni ora per 10 ore al giorno.
Per quanto riguarda la realizzazione pratica del progressivo aumento della resistenza, quale che sia il mezzo prescelto per la sua applicazione, ricordiamo che il fisioterapista ha a sua disposizione, oltre che l’aumento del valore assoluto della resistenza, la possibilità di prolungare il braccio di leva, inserendola più lontana dal fulcro, o di migliorarne l’angolo di trazione.
Anche la pausa tra una contrazione e la successiva ha importanza non trascurabile: è in questa fase che si ottiene il massimo riempimento nei capillari del muscolo e si ripristinano le sostanze energetiche necessarie alla successiva contrazione.
Ma nel determinare la “dose”dell’esercizio, oltre che del valore della resistenza efficace, è giusto tener conto di altri fattori: la durata dell’esercizio, il numero e la frequenza delle sedute.
Gli esercizi controresistenza favoriscono il reclutamento di un numero maggiore di unità motorie: nei primi giorni dell'allenamento muscolare e la forza isometrica del muscolo aumenta proprio per una migliore utilizzazione delle unità motorie, solo in un secondo tempo si verificheranno tutte le modificazioni trofiche permanenti della fibra muscolare.
Gli esercizi controresistenza vengono praticati nel trattamento di quei muscoli nei quali non è stato possibile raggiungere il massimo dell'efficienza e della potenza impiegando come resistenze solo quelle offerte dagli attriti e dalla gravità ma che necessitano della utilizzazione di resistenze supplementari di natura meccanica (pesi, molle, ecc...) in opposizione al movimento. E' necessario che la resistenza applicata dal fisioterapista sia graduale e ben dosata, per ottenere il massimo rendimento dei muscoli così esercitati
b Rieducazione neuromotoria
Sono le metodiche a dividere i fisioterapisti in parrocchie avverse: non le tecniche, che sono al contrario molto spesso comuni a metodiche diverse, anche se nascoste sotto terminologie diverse.
Una rapida rassegna delle tecniche chinesiterapiche applicate in rieducazione motoria può essere compiuta seguendo un itinerario in salita, che tenga conto dei diversi livelli di integrazione delle afferenze messe in moto dalla stimolazione utilizzata (tecnica utilizzata).
Da premettere che il fisioterapista si pone come fornitore di informazioni, nella presunzione che queste intervengano a livello del sistema nervoso centrale, per determinare delle uscite, delle risposte che siano funzionali al progetto riabilitativo scelto per quel singolo caso.
Le tecniche di rieducazione motoria sono basate su precise conoscenze di neurofisiologia, la chinesiterapia pur sempre valida ha ceduto il passo alla più scientifica rieducazione neuromotoria che mediante l'utilizzazione di schemi motori finalizzati, ha rivoluzionato l'impostazione del trattamento, ottenendo brillanti e significativi risultati nella rieducazione di svariate condizioni morbose.
Le tecniche di facilitazione e inibizione neuromuscolare risultano utili per riattivare muscoli paretici, muscoli plegici, muscoli ipotonici attraverso la stimolazione diretta e ripetuta dei recettori periferici - esterocettori e propriocettori, ottenuta con l'esecuzione di opportune manovre che in via riflessa modificano temporaneamente o permanentemente lo stato di eccitabilità di un neurone o di interi circuiti sinaptici, facilitando o inibendo la contrazione di determinati gruppi muscolari.
Numerose sono oggi le tecniche di rieducazione neuromuscolari che vengono proposte, per uno studio dettagliato delle quali rimandiamo ai trattati specializzati.
Precisiamo tuttavia che per la loro scelta ed attenzione pratica in terapia sono necessarie specifiche conoscenze ed esperienze che solo il fisioterapista può garantire.
In linea di massima nelle varie metodiche che impiegano tecniche e posture imperniate sulla utilizzazione di riflessi integrati ai diversi livelli del sistema nervoso, sia di quelli che intervengono nel controllo di una normale attività motoria, sia di quelli che si evidenziano solo in condizioni patologiche, quando viene a mancare il controllo da parte di centri o circuiti superiori.
Le tecniche di rieducazione neuromotoria sono quasi sempre scaturite da studi sulla biomeccanica e sulla neurofisiologia, esse costituiscono le metodiche riabilitative,che di solito vengono distinte con il nome del medico o del fisioterapista che le ha proposte: Perfetti, Bobath, kabat, Brunnstrom, Voita, Doman/Delacato, Castillo/Morales, ecc…
Per dare maggior sicurezza al paziente nell’esecuzione degli esercizi può rendersi utile l'uso del tappeto: si tratta di una pedana grande almeno il doppio di un letto, rivestita nella parte superiore di gommapiuma che viene utilizzata per rieducare il paziente con maggiore libertà di manovra.
Inoltre la riabilitazione sul tappeto risulta particolarmente efficace nei disturbi dell'equilibrio, della coordinazione e per facilitare il passaggio del paziente da una posizione ad un'altra della sequenza ontogenetica.
Una rapida rassegna delle tecniche usate in rieducazione neuromotoria può essere compiuta seguendo un itinerario in salita, che tenga conto dei diversi livelli di integrazione delle afferente messe in moto dalla stimolazione utilizzata.
Si collocano quelle tecniche che utilizzano risposte rapide, spesso rinforzate in condizioni patologiche, riconducibili ai riflessi studiati per primo da Sherrington.
- lo stiramento veloce del muscolo, che mira ad attivare unità motorie altrimenti non attivabili.
- la resistenza massimale opposta alla contrazione muscolare.
Livello di integrazione nel tronco encefalico
Viene evocato per spiegare l'efficacia dell'utilizzazione delle posizioni del capo e dei suoi movimenti attivi e passivi che richiamano i riflessi tonici del collo, simmetrici e asimmetrici e labirintici, con effetti facilitanti o inibenti sui diversi gruppi di motoneuroni.
Livelli di integrazione spinali, troncoencefalici, cerebellari.
Una serie molto ricca di tecniche che ritroviamo nelle metodiche di Temple Fay, di Vojta, di Doman - Delacato, si basa sull'ipotesi che il sistema nervoso centrale dell'uomo conservi iscritti alcuni schemi di locomozione propri della specie che l'hanno preceduto nella scala zoologica (ontogenesi che ricapitola la filogenesi): lo strisciamento, il cammino omolaterale, il cammino crociato.
Questi movimenti potrebbero essere evocati attraverso: movimenti passivi - Doman, movimenti attivi assistiti - Temple Fay, trazioni e pressioni - Vojta e Castillo Morales.
Alcune tecniche si servono dei comandi di uscita dalla corteccia, che determinano la facilitazione del reclutamento di determinate unità motorie.
Appartengono a questo gruppo le tecniche basate sull'evocazione di sinergie globali e di coordinazione particolarmente facili da evidenziare dopo una lesione delle vie piramidali.
Queste sinergie potrebbero essere evocate attraverso tecniche dei metodi h. Kabat, S. Brunnstrom.Molto più numerose sono le tecniche che si rivolgono a una scelta più o meno accurata dell’ informazione in ingresso.
Tra le più usate spesso inconsapevolmente, l'ordine verbale da parte del fisioterapista, che costituisce il feedback naturale del paziente Negli ultimi anni si sono sviluppate tecniche di biofeedback , - esempio: - un segnale acustico può avvertire il paziente dell'avvenuto superamento di una posizione articolare limite, si potrà cosi controllare l'iperestensione del ginocchio presente nella fase di appoggio del cammino di molti emiplegici, - un segnale luminoso può essere utile per indicare quando il carico è distribuito uniformemente sui due piedi.
Facilitazioni Neuromuscolari Propriocettive (P.N.F.)
Questa tecnica sviluppata da H. kabat negli anni tra il 1946 ad il 1951 è stata completata ed arricchita in seguito all’esperienza di due fisioterapiste: Margaret Knott e Doroty Voss.
Ha avuto origine dall’osservazione dei movimenti compiuti nello sport e nella danza.. infatti la prerogativa affinché un movimento possa dare, nell’ambito di queste attività, un risultato qualitativo sono soprattutto l’armonia, la coordinazione, la forza, la velocità e la precisione; Kabat osservò che per esprimere queste qualità nel modo migliore, i movimenti venivano compiuti nella maggior parte seguendo delle linee diagonali rispetto all’asse sagittale del corpo e che, in questi movimenti diagonali, avveniva una rotazione.
Egli dimostrò clinicamente, e ciò, fu confermato in via sperimentale, da Gellohrn e collaboratori, che i muscoli delle estremità e del tronco sono raggruppati insieme funzionalmente in schemi specifici composti da movimenti diagonali-spirali che combinano tra loro flesso-estensioni, abduzione- adduzione e rotazioni. Un singolo muscolo o un movimento isolato non è praticamente mai usato nel compimento dell’attività volontaria. Inoltre si può facilitare la risposta volontaria di un muscolo deficitario per mezzo di patterns globali di tutto un arto posto sotto resistenza. Provocare molteplici eccitazioni in un muscolo paralizzato attraverso un pattern globale provoca una risposta simile a quella dell’irradiazione dei riflessi.
La facilitazione di un pattern globale può avvenire non soltanto provocando eccitazioni dai muscoli prossimali validi a quelli distali deficitari ma anche viceversa. Esempio: i flessori dell’anca e del ginocchio possono facilitare la flessione dorsale del piede e viceversa una flessione dorsale del piede combinata con una flessione del ginocchio può facilitare una risposta in flessione dell’anca.
Schemi complessi vengono continuamente usati nelle attività quotidiane in cui occorra un certo sforzo. Una analisi accurata di questi movimenti rivela che la direzione del movimento non è in linea diretta ma diagonale-spirale. E’ stato inoltre sperimentato che i movimenti globali in diagonalità e spiralità ottengono una migliore facilitazione che non i movimenti diritti; ad esempio è maggiormente facilitata la risposta dei muscoli peronieri sollecitando a livello dell’anca un movimento diagonale di flessione, abduzione ed intrarotazione e non solamente con una abduzione sul piano frontale.
Imman, Saunders e Abbott furono colpiti dall’importanza di tale pattern nella rieducazione motoria. Essi affermano. “non esiste un primo movimento, ci sono soltanto patterns di azione”; questo concetto estende e amplifica l’assioma di Beevor che disse a riguardo il cervello: “non conosce assolutamente l’azione di un singolo muscolo ma solo il movimento. Gellhorn ci porta la prova conclusiva che i patterns globali sono eccitati dalla stimolazione elettrica di un singolo punto della corteccia motoria. Egli afferma: “La situazione della corteccia motoria nella scimmia anestetizzata (macacus rhesus), a livello di soglia, mostra che non vengono attivati singoli muscoli o parti di questi, ma gruppi muscolari che sono correlati funzionalmente . In altre parole la risposta ad una debolissima stimolazione elettrica di una determinata zona della corteccia motoria, è di un pattern di muscoli sinergici più che di una articolazione o di un singolo muscolo o di un singolo movimento.
In un’altra pubblicazione Gellhorn dimostrò che gli impulsi propriocettivi indotti dalla resistenza e dallo stiramento muscolare facilitano la risposta, alla stimolazione corticale, non soltanto dei muscoli stirati o sottoposti a resistenza, ma di tutto il pattern muscolare.
Sia gli esperimenti di Gellhorn che quelli di kabat confermano il fatto che i patters globali sono ugualmente efficaci sia in direzione disto-prossimale che prossimo-distale.
Quindi, dalla grande quantità di combinazioni osservate nei movimenti, Kabat ne estrapolò un certo numero configurandoli in schemi diagonali-spirali che perfezionò ad uso terapeutico. Questi schemi, che formano secondo Kabat “l’alfabeto del movimento”, hanno anche il pregio di porre tutti i gruppi muscolari che vi agiscono, nella fase iniziale, in uno stato di massimo allungamento e quindi di farli contrarre secondo le loro linee di forza migliori, esprimendo così la loro potenza ed armonia, per farli arrivare al massimo accorciamento.
Nell’esercizio terapeutico infatti i fattori determinanti della risposta muscolare risiedono in meccanismi centrali e non nel muscolo stesso.
Lo scopo del trattamento è quello di ottenere e rinforzare, mediante l’attività delle unità motorie, l’azione muscolare facilitando inoltre la trasmissione degli impulsi nel meccanismo nervoso; quindi, in ciascun movimento volontario dovranno essere attivate il maggior numero di unità motorie.
Lo scopo del programma terapeutico dovrebbe essere la massima eccitazione delle cellule delle corna anteriori mediante meccanismi motori centrali.
Come si può ottenere la massima eccitazione delle unità motorie di un muscolo in ogni sforzo volontario? Dato che la funzione di ciascuna unità motoria, in condizioni normali, è automatica e involontariamente dà la massima risposta, il numero delle unità motorie eccitate in un muscolo dipende dalla quantità di impulsi che arrivano alle cellule delle corna anteriori del midollo spinale. Nel movimento volontario la prima scarica è data dalla corteccia motoria attraverso il tratto cortico-spinale ed i neuroni internuciali alle cellule delle corna anteriori. La risposta è anche influenzata dall’estensione e dal livello di eccitazione alle sinapsi sui motoneuroni, dai riflessi propriocettivi e dalle scariche efferenti del cervelletto, nuclei della base ed encefalo.
E’ stabilita ormai l’importanza della sommazione, temporale e spaziale, della soglia degli stimoli e della facilitazione del Sistema Nervoso Centrale, nel determinare la forza della risposta riflessa. Dopo il passaggio di uno stimolo a livello sinaptico viene facilitato il passaggio dello stimolo successivo (sommazione temporale) e se ad una sinapsi arrivano più stimoli contemporaneamente viene ulteriormente facilitato il passaggio (sommazione spaziale).
Il metodo Bobath è noto in tutto il mondo, soprattutto nell’ambito della riabilitazione neurologica concernente le paralisi cerebrali infantili e l’emiplegia dell’adulto.
Durante la crescita e la maturazione di un bambino si verificano grandi cambiamenti, sia quando lo sviluppo motorio è normale sia quando è anormale. Lo sviluppo motorio normale consiste nel manifestarsi graduale delle capacità latenti del bambino: i primi movimenti, abbastanza semplici, cambiano per diventare più vari e complessi. Ad ogni stadio di sviluppo, le precedenti conquiste vengono modificate, elaborate ed adattate allo scopo di adeguarle a schemi di movimento più raffinati e selettivi. Questo processo dura molti anni, ma i cambiamenti più rilevanti e rapidi si verificano nei primi 18 mesi, nel corso dei quali vengono raggiunte le tappe più importanti e fondamentali.
A questa età, il bambino è in grado di sollevarsi contro gravità, di camminare con un certo equilibrio e di usare le mani per manipolare, anche se conserva ancora una certa goffaggine Ci sono però molte cose che non sa ancora fare, che imparerà in seguito e che cambieranno ulteriormente il suo comportamento. Fino ai tre anni l’equilibrio e l’abilità manuale continuano a migliorare a ritmo piuttosto elevato. Il bambino impara a camminare più spedito e su una base di appoggio più ristretta; impara a correre, a mangiare da solo, a collaborare quando lo vestono e lo spogliano, a giocare con i balocchi e a parlare.
Attorno ai cinque anni è pronto per la scuola. Ha ora un buon controllo dell’equilibrio
, sa saltare, partecipare ai giochi, sa coordinare movimenti selettivi precisi delle mani per le attività manuali. E’ pronto per imparare a scrivere. Da adesso in poi lo sviluppo rallenta e non si verifica nessun cambiamento rapido o drastico, anche se la coordinazione e la destrezza continuano a migliorare durante il resto della sua vita scolastica.
Anche il bambino affetto da paralisi cerebrale si sviluppa, ma più lentamente. Il suo sviluppo, non solo è ritardato, ma segue un corso anormale. Nei casi gravi, quando tutto il corpo è colpito, per molto tempo può verificarsi solo un cambiamento molto limitato, oppure lo sviluppo può addirittura fermarsi ad uno stadio molto iniziale. Inoltre, mentre le modificazioni nello sviluppo degli schemi motori di un bambino normale sono più rapide e significative prima dei cinque anni, i mutamenti nelle attività di un bambino affetto da paralisi cerebrale sono più lenti ma possono continuare nell’adolescenza e perfino nell’età adulta.
I Principi e le tecniche di trattamento sono basate sull’ipotesi che la spasticità è provocata dalla liberazione di un meccanismo posturale riflesso anormale che porta ad una funzione statica esagerata a spese del controllo posturale dinamico. Scopo di Questo trattamento è aiutare il paziente ad acquisire un controllo sugli schemi della spasticità inibendo gli schemi riflessi anormali. Questo processo di inibizione viene combinato con speciali tecniche di “manipolazione” del paziente, tali da facilitare gli schemi di movimento e le reazioni di raddrizzamento e di equilibrio integrate ad alto livello, in altre parole gli schemi di movimento statico-cinetici del meccanismo posturale riflesso normale che è alla base dell’attività normale
Il lavorare con varie modalità di input sensitivo, ossia stimolazioni specifiche come il raffreddamento, lo spazzolamento, la vibrazione o il rilasciamento, come gli esponenti di altre metodiche raccomandano, a nostro parere non risolve il problema. Il deficit sensitivo non è sempre la causa principale dei problemi motori del paziente: in molti casi le ricerche cliniche anche più approfondite non rivelano alcun interessamento sensoriale o percettivo. Il paziente vede e sente, localizza il tocco, la sua propriocezione è normale e avverte i movimenti e le modificazioni posturali. Nonostante questa normalità dell’apporto sensitivo, il paziente può reagire solo con posture e movimenti anormali, questo perché la lesione, in effetti, “taglia fuori” le attività integrate a livello superiore e produce una sorta di corto-circuito negli schemi anormali di spasticità così liberati. Bisogna perciò fare un tentativo per cambiare “l’uscita” motoria offrendoli sensazioni più normali del tono e del movimento e insegnandogli a controllarli senza aiuto. Per fare questo, il paziente deve essere aiutato progressivamente a controllare la sua attività posturale riflessa anormale e a eludere il corto-circuito in schemi anormali e consentire così che si stabiliscano di nuovo schemi più fisiologici.
L’esperienza mostra che in ogni paziente c’è un qualche potenziale inesplorato per un’attività più compiutamente organizzata. La questione, duplice, è come raggiungere questo potenziale e, una volta raggiuntolo, quale spiegazione razionale se ne può dare.
La regola dello “shunt” di Magnus e la sua applicazione al trattamento.
La regola dello “shunt” di Magnus (1924, 1926) spiega almeno in parte come funziona il trattamento.
E’ stato Scherrington, sperimentando con una rana spinale, che ha trovato che un unico stimolo applicato nel campo recettivo di un particolare riflesso può produrre risultati direttamente opposti. Per esempio, pizzicando le dita della zampa estesa di una rana spinale provocava un movimento totale di flessione dell’arto con flessione e abduzione. I flessori si contraevano mentre gli antagonisti estensori si rilasciavano per l’inibizione reciproca centrale.
Tuttavia se la zampa era originalmente flessa, pizzicando le dita, ossia con lo stesso stimolo applicato nello stesso campo recettivo, otteneva il risultato opposto, cioè un’estensione con adduzione della zampa. Egli ha chiamato questo “inversione di riflessi”.
Magnus informato dell’osservazione di Scherrington, ha fatto altre osservazioni di “inversione di riflessi” .
Sulla base di questi esperimenti, Magnus ha formulato la sua regola “dello shunt” che è andata molto al di là e può essere applicata alle risposte motorie di organismi più sviluppati. Afferma che in ogni momento, durante un movimento o una modificazione posturale, il snc rispecchia fedelmente lo stato della muscolatura corporea. Detto in un altro modo, questo significa che durante il movimento lo stato sempre diverso della muscolatura è riflesso costantemente nella distribuzione dei fenomeni eccitatori e inibitori all’interno del snc. E’ la muscolatura corporea, ossia il sistema propriocettivo, che determina”l’uscita” motoria, le risposte del sistema nervoso centrale.
Se accettiamo l’effetto di questa regola, è chiaro che abbiamo un mezzo per influenzare e modificare le risposte motorie dalla periferia, cioè servendoci delle afferenze.
Quando trattiamo un emiplegico, cambiando le posizioni relative di parti del corpo e degli arti possiamo cambiare gli schemi posturali e sperare di fermare l’eccesso di eccitazione nei circuiti che si sono stabiliti, cioè nelle catene sinaptiche degli schemi spastici. Nello stesso tempo possiamo ridirigerli nei canali degli schemi integrati a più alto livello e più complessi di una più normale coordinazione. Riduciamo la spasticità combattendo i suoi schemi.
Le tecniche di rieducazione per gli emiplegici nascono in parte dalle osservazioni cliniche, in parte dalle informazioni ottenute dalla letteratura medica. Sono state annotate con cura le condizioni nelle quali comparivano movimenti volontari spontanei ed è stato fatto un tentativo di replicare queste condizioni per un uso più ampio. In più delle osservazioni spontanee dei pazienti sulle sensazioni che accompagnano i movimenti volontari riusciti hanno offerto tracce utili per la comprensione delle reazioni osservate. Un po’ per volta si è raggiunta una certa profondità di visione dei problemi motori del paziente, visione che si è mostrata assai valida nel trattamento dei singoli soggetti.
La natura di molti meccanismi senso motori nell’animale sperimentale, è stata chiarita da Scherrington (1898, 1947). Questi meccanismi sono presenti anche negli animali intatti, anche se si studiano meglio quando vengono eliminati gli impulsi volontari. Ci sono molte prove che confermano l’ipotesi che i meccanismi afferenti-efferenti che si sono sviluppati durante le fasi più precoci della filogenesi siano ancora presenti nell’uomo, anche se sono stati depressi durante il periodo dello sviluppo. Questi processi sono serviti come base del processo evolutivo che ha portato a movimenti più volontari e meno automatici di quelli che caratterizzano le specie inferiori.
Altri autori hanno studiato i processi neurofisiologici connessi al sistema nervoso.
Questi e altri studi permettono di affermare che le sinergie primitive degli arti degli emiplegici sono schemi primitivi spinali che si sono conservati durante il processo dell’evoluzione. Nell’uomo normale questi schemi primitivi sono modificati in tanti modi diversi e i loro componenti ricomposti sotto l’influenza dei centri superiori: durante la fase spastica dell’emiplegia invece conservano il loro carattere primitivo stereotipato.
Quando l’interferenza dei centri superiori viene a mancare temporaneamente o definitivamente i riflessi normali si esagerano e compaiono i cosiddetti “riflessi patologici”. Questi riflessi tuttavia erano presenti durante un certo periodo della filogenesi e, perciò, possono essere considerati “normali” nell’emiplegia spastica, quando quella parte del sistema nervoso centrale che regola le risposte motorie è regredita a uno stadio precedente dello sviluppo (Jackson 1884, Fay 1946, 1955).Nell’emiplegia spastica sono numerosi i tipi di impulsi afferenti, inclusi quelli che hanno origine nel collo, nella regione lombare e nei labirinti, che esercitano una netta influenza sulle risposte motorie. Alcuni autori interessati all’argomento respingono l’opportunità di usare deliberatamente questi impulsi afferenti per iniziare i movimenti che altrimenti il paziente è incapace di produrre volontariamente o per inibire risposte muscolari non desiderate.
Si afferma che nella rieducazione non bisogna utilizzare risposte patologiche per paura che in seguito all’uso ripetuto, le vie differenti utilizzate da questi riflessi divengono troppo facilmente disponibili a spese delle vie normali. Secondo questo punto di vista il paziente non deve usare le sinergie primitive di flessione e di estensione e bisogna evitare di utilizzare gli effetti dei riflessi tonici del collo e di altri riflessi posturali per facilitare o inibire movimenti; bisogna invece fin dal principio sviluppare risposte motorie normali.
L’autore è giunto alla conclusione opposta; durante le prime fasi di recupero il paziente emiplegico va aiutato e incoraggiato a controllare le sinergie di base e a questo scopo è giustificato e vantaggioso servirsi di stimoli propriocettivi ed esterocettivi selezionati.
Quando le sinergie di base sono padroneggiate – non necessariamente per l’intera ampiezza a tutte le articolazioni - successive modificazioni delle sinergie cominciano a produrre combinazioni di movimenti che deviano dalle sinergie stesse. Anziché costituire un impedimento per ulteriori progressi le sinergie sembrano costituirne una fase intermedia indispensabile.
I dati raccolti da Twwitchell e collaboratori (1952) confermano l’ipotesi che nell’emiplegia dell’uomo le sinergie globali di flessione e di estensione precedono sempre il recupero di funzioni motorie più avanzate.
Hagbarth ha studiato in modo approfondito gli effetti dei vari tipi di stimoli cutanei. Per esempio i suoi studi hanno dimostrato che gli effetti riflessi erano più evidenti se ottenuti da recettori nocicettivi, tattili e di pressione che dalle terminazioni termiche.
A giudicare da questi studi sembra che la stimolazione della cute sarebbe particolarmente utile per rinforzare localmente i muscoli flessori o estensori. Questa tecnica differisce pertanto dal rinforzo tramite resistenza (stimolazione propriocettiva) che di solito porta ad una diffusione di impulsi motori a tutti i muscoli correlati in uno schema motorio.
L’esperienza clinica mostra che la stimolazione cutanea sopra le articolazioni , ad esempio sopra le articolazioni interfalangee delle dita è efficace nell’eccitare i muscoli estensori che agiscono sulle articolazioni , inibendo nello stesso tempo i muscoli antagonisti flessori.
Metodo Peto’ - Educazione conduttiva per l’emiplegia dell’adulto
I fisioterapisti ormai conoscono approcci più specifici per il trattamento dell’emiplegico adulto, soprattutto grazie al lavoro dei Bobath, di Kabat, della Rood, di Twitchell, della Brunnstrom, di Temple Fay. Tutti questi pionieri hanno suggerito delle premesse neurofisiologiche ai tentativi messi in atto dai fisioterapisti per risolvere i problemi dei deficit neurologici.
Nel metodo del dott. Petò ci sono elementi comuni ai vari metodi:
- ridurre la spasticità
- migliorare l’input sensitivo e il feedback propriocettivo
- ridurre l’attività riflessa (oppure servirsene)
- rompere gli schemi motori stereotipati
- facilitare il movimento normale
Anche il professor Petò come gli altri autori, voleva rompere gli schemi stereotipati, ridurre la spasticità e sviluppare movimenti più selettivi: a differenza dei suoi contemporanei ha deciso di affidarsi più alla partecipazione o all’iniziativa del paziente che all’abilità manipolativa del fisioterapista. Con questa idea è entrato nel campo della pedagogia e della neurofisiologia, dove ha trovato i lavori di Lurja, Vjgostki, Bernstein e altri. E’ questa immersione nel mondo della pedagogia che ha condotto il Prof. Petò a sviluppare il suo modo nuovo e originale di affrontare la riabilitazione delle lesioni neurologiche.
I fisioterapisti che vogliono interessarsi di educazione conduttiva debbono non soltanto acquisirne le tecniche, ma anche allargare la loro conoscenza e comprendere teoria e dati sul movimento volontario e l’apprendimento motorio.
Il fisiologo russo Pavlov nei suoi esperimenti ha mostrato che i cani possono essere condizionati ad associare stimoli diversi sfruttando il “premio”. E’ una forma semplice di apprendimento nota come condizionamento classico o apprendimento per associazione.
Di norma i cani producevano saliva in abbondanza alla vista del cibo; questa risposta involontaria è stata chiamata da Pavlov Risposta Incondizionata (RI) e lo stimolo Stimolo Incondizionato (SI).
Cibo = (SI) Salivazione = (RI)
Pavlov ha notato che un altro stimolo (ad esempio una luce e un suono) che accompagni o preceda il cibo è in grado di evocare la risposta: Quest,altro stimolo è lo stimolo condizionato (SC), che è in grado di evocare la risposta da solo, ma lo è se associato allo stimolo incondizionato, ad esempio il cibo:
Estendendo le sue ricerche, Pavlov ha sviluppato catene molto elaborate di SC Stimoli Condizionati. Ha notato che nei cani più complesse sono le catene , meno probabile è il loro successo, mentre questo non è vero nell’uomo. Ne ha dedotto che responsabile di questo è il fatto che il linguaggio usato come SC agisce da efficace rinforzo. Ha chiamato perciò il linguaggio “il secondo sistema di segnalazione, peculiare dell’uomo; il segnale dei segnali che ci ha reso umani.
Gli emiplegici debbono imparare di nuovo i movimenti volontari. La genesi del movimento volontario , studiata fin dai tempi di Cartesio, è ancora in gran parte misteriosa. Si scontrano due scuole di pensiero: la idealista e la meccanicista.
Bernstein afferma che l’atto motorio umano è così ricco e vario che l’ipotesi meccanicista non è in grado di spiegarlo del tutto. Vjgotskj aggiunge a questo l’affermazione che la comparsa del movimento volontario nell’infanzia è di origine sociale e scaturisce dalla comunicazione tra l’adulto e il bambino. Nei primi anni il comportamento del bambino è regolato dal linguaggio dell’adulto: “dammi”, “prendilo”, e così via. Più tardi, quando ha imparato a parlare e può darsi da solo istruzioni verbali, il bambino comincerà ad influenzare il proprio sviluppo e il proprio comportamento. L’acquisizione delle abilità motorie è sequenziale e dipende dall’età e dalle capacità individuali. Nei primi stadi della sua maturazione il bambino impara per prove ed errori; i suoi sforzi sono assecondati dalla madre che guiderà e migliorerà le sue prestazioni sia con la mano che con la parola. Durante questo periodo l’acquisizione delle abilità motorie dipende dal progredire dello sviluppo. Il bambino di sei mesi riesce a togliersi le calze perché può stabilizzare il tronco, flettere le anche e afferrare i piedi, grazie alla coordinazione occhio mano. Come già detto, anche questa abilità è raggiunta per prove ed errori. In seguito, la madre userà una quantità sempre maggiore di linguaggio, il che consentirà al bambino un apprendimento cognitivo. Così nel compito “mettiti il vestito” la madre darà istruzioni passo per passo; quanto più complicato il compito, tanto più preciso dovrà essere il linguaggio. Un’analogia utile, riferita all’adulto, è quella dell’apprendimento della guida dell’automobile: l’istruttore guida l’allievo solo attraverso istruzioni verbali, e gradatamente il “ linguaggio interno” diventa il regolatore del gesto.
Lurja ha esplorato l’influenza del linguaggio sul comportamento dell’uomo. Una volta appreso, un movimento può essere eseguito senza accompagnamento del linguaggio o ripetendo le parole senza pronunciarle (linguaggio interno).
L’intenzione è costante e rappresentata da un bisogno futuro; anche l’obiettivo è costante.
Il percorso verso l’obiettivo passa attraverso diversi stadi che Connelly ha chiamato subobiettivi o parti del compito.
Un movimento attivo comincia con un’intenzione e finisce con il conseguimento di un obiettivo: nella corteccia motoria è rappresentato l’obiettivo non il movimento.
Lurya ha ipotizzato inoltre che il soggetto con lesione cerebrale i cui processi di selezione sono danneggiati può essere ancora in grado di selezionare le informazioni necessarie per i compiti della vita quotidiana. E’ bene ricordare che ogni atto motorio richiede un monitoraggio costante tra l’azione (o le azioni ) compiute e l’intenzione originale. Queste analisi e questo confronto sono assolutamente vitali perchè l’intenzione originale possa essere realizzata con successo.
Nell’educazione conduttiva il paziente impara un compito che lo porterà all’acquisizione di un’abilità. Dapprima cercherà di svolgere l’intero compito mostratogli dal conduttore. Il compito viene poi spezzato in tanti appropriati frammenti: una volta acquisiti questi, vengono introdotti passi intermedi e aggiunti nuovi frammenti: e così il paziente allarga il proprio repertorio di movimenti. Fino a quando non avrà imparato le varie combinazioni, il paziente non riuscirà ad eseguire il suo compito in modo controllato. Si insegna inoltre al paziente a guidare i suoi movimenti nei singoli frammenti del compito motorio con l’ausilio del proprio linguaggio (intenzione ritmica).
Per comprendere meglio cosa differenzia l’approccio al trattamento del Prof. Petò da quello dei suoi contemporanei è necessario conoscere il suo concetto di “disfunzione”. Petò rifiuta il punto di vista riduttivo che vede nella disfunzione una disabilità puramente motoria e afferma che le disfunzioni sono manifestazioni parziali di un disturbo neurologico che nasce dalla rottura dello sviluppo adattivo generale e che interessa l’intera personalità.
La funzione si realizza con l’esecuzione efficace di compiti che scaturiscono dal sistema biologico e sociale di domande proprio di un determinato stadio della vita. Bisogna ricordare che con il passare degli anni si riducono le possibilità di adattamento spontaneo: è questa la ragione per la quale il recupero richiede l’intervento di una guida esperta (conduzione).
La disfunzione cerebrale porta a modificazioni della personalità e della capacità di adattamento che governano la capacità di apprendere del paziente. La parola “apprendimento” va presa nel suo senso più lato e include ogni aspetto della personalità del paziente.
Educazione e adattamento si inseriscono nei problemi dell’apprendimento: la riabilitazione del paziente con disfunzioni è perciò un problema pedagogico.
In conclusione, il sistema dell’educazione conduttiva mira ad insegnare a soggetti disfunzionali a diventare funzionali, sviluppando le loro capacità di adattamento e di apprendimento. L’educazione conduttiva è un sistema globalmente integrato: l’operatore del sistema è il conduttore.
Metodo Perfetti - Controllo Sequenziale Progressivo
Il controllo sequenziale progressivo nasce su basi teoriche completamente diverse da quelle utilizzate dalle classiche tecniche neuromotorie, dando pochissima importanza alla evocazione di contrazioni muscolari più o meno corrette, ma proponendo al soggetto l’apprendimento di condotte motorie attraverso l’utilizzo non di fenomeni esclusivamente neuromuscolari, ma attraverso la proposta di ipotesi percettive da verificare, verifica che in caso di emiplegia, ad esempio, si può ottenere solo con un atto motorio eseguito con un minimo reclutamento di unità motorie.
Il controllo del movimento, d’altro canto, è dipendente dalla regolazione dei parametri: intensità, spazialità e temporalità. Il movimento controllato è un movimento che è corretto nella sua spazialità (cioè non devia da una traiettoria prefissata); ed è adeguato rispetto all’intensità della contrazione muscolare ed è adeguato al compito da svolgere per quel che riguarda la sua temporalità che non è rappresentata solo dalla velocità della contrazione muscolare, ma anche dalla capacità di legare , in modo temporalmente corretto, i diversi elementi che fanno parte della catena cinetica. A questo punto, solo una conoscenza piuttosto particolareggiata dei processi di apprendimento, consentirà al fisioterapista, un’analisi più specifica, successivamente, della patologia da trattare e l’elaborazione di interventi più significativi per il recupero della funzione.
Tralasciando in questa sede, la trattazione particolareggiata dei processi neurobiologici e neurofisiologici connessi al lavoro riabilitativo rivolgiamo la nostra attenzione invece su uno dei tanti comportamenti abnormi attuati dai pazienti emiplegici dopo la lesione del sistema nervoso centrale. Un emiplegico, alla richiesta di un compito motorio risponde in maniera automatica, ripropone sequenze comportamentali globali già apprese, senza però rendersi conto degli ostacoli che impediscono l’esecuzione di tali sequenze. E’ anche per questo che il paziente emiplegico rafforza questi schemi di risposta, favorendo così l’instaurarsi delle componenti patologiche, e la naturale scelta compensatoria, pur di assolvere al compito proposto, e creando accettori d’azione errati.
Anochin sostiene che “l’accettore d’azione può assumere diverse forme, variabili a seconda delle situazioni esterne. Queste varianti dell’accettore d’azione, pur conservando il fondamentale obiettivo della previsione del risultato possono variare per quel che riguarda i meccanismi di dettaglio”.
Si tratta allora, secondo Perfetti, di modificare questo tipo di procedimento favorendo la scelta di procedimenti di “controllo” invece di Quelli “automatici”.
A tal proposito, Schiffrin e Scheneider sottolineano come i “procedimenti controllati” siano quelli che richiedono l’utilizzo dei processi a capacità limitata (attenzione e memoria), necessitano cioè di segnali di attenzione e sono legati alla memoria a breve termine, si attuano rapidamente senza lungo allenamento e sono utilizzati per l’apprendimento. I “procedimenti automatici”, invece, sono quelli che non richiedono attenzione, sono legati alla memoria a lungo termine, richiedono molto allenamento, si modificano difficilmente e non vengono utilizzati per l’apprendimento. In effetti i processi automatici non dipendono dai procedimenti a capacità limitata (attenzione e memoria) né consentono una migliore utilizzazione. In sostanza si vuole sottolineare qui come un progetto riabilitativo soddisfacente debba essere connesso con la possibilità di intervento su quei comportamenti guidati dalla memoria a breve termine e sull’attenzione derivati cioè da una decisione e da una strategia neuropsicologica. Il controllo del movimento, d’altro canto, è dipendente da questi processi a capacità limitata (Forster) come soprattutto è dipendente dalla regolazione dei parametri caratteristici del movimento e cioè: intensità, spazialità e temporalità.
Secondo Perfetti è necessario analizzare più attentamente la sintomatologia dell’emiplegico nell’intento di ricercare le componenti più elementari di tale patologia e dopo averle individuate, è necessario studiare la possibilità di realizzare un trattamento specifico per ognuna di esse allo scopo di insegnare al paziente il controllo per l’apprendimento di condotte motorie più evolute.
Dall’analisi dei problemi specifici della patologia dell’emiplegico si possono evidenziare quattro principali componenti che vanno a costituire lo “Specifico Motorio”. Esse pur non rappresentando una scoperta vengono a rappresentare una sistematizzazione più significativa per il fisioterapista. Egli, infatti, ha bisogno di conoscere tutti gli elementi che sottendono al termine “spasticità”, quali siano i substrati neurofisiologici di ciascuno degli aspetti per mirare all’elaborazione di esercizi più specifici possibile, in maniera differenziata sui singoli elementi patologici.
Le componenti lo specifico motorio possono essere così descritte:
Lo specifico motorio pur rappresentando le componenti patologiche dal punto di vista motorio, non rappresenta il solo problema per l’emiplegico (ad esempio deficit percettivi), ma sicuramente costituisce l’ostacolo maggiore al superamento delle condizioni patologiche.
Una precisazione, però, va fatta circa la componente dello specifico motorio definita “schemi elementari”, in quanto non va confusa con gli schemi sinergici.
Le sinergie patologiche rappresentano l’insieme di tutte le componenti lo S.M. disponibili dopo che sono state lese le vie lunghe discendenti. Ci si vuole riferire, in particolare, a quegli schemi motori coordinati a livello midollare, con funzioni globali di “allontanamento-avvicinamento”. Gli schemi elementari combinati con le altre componenti lo specifico motorio costituiranno, successivamente, gli shemi sinergici patologici.
Abbiamo fatto cenno schematicamente agli ostacoli di cui, il fisioterapista deve tenere conto per insegnare al paziente come porli sotto il controllo.
Vediamo ora quali saranno le strategie a nostra disposizione per affrontare questi problemi. Esse possono essere identificate in:
Ogni esercizio proposto al paziente deve contenere un’ipotesi percettiva da verificare che in effetti viene a rappresentare la mediazione tra il compito richiesto e l’esecuzione dell’esercizio.
Però non è sufficiente la sola ipotesi percettiva, ma è determinante che essa sia adeguata allo specifico motorio del paziente. Infatti se venissero proposte ipotesi percettive errate come ad esempio, richieste di movimenti grossolani per fini funzionali, non faremo altro che evocare quelle componenti patologiche che il paziente deve imparare, invece, a porre sotto controllo.
La scelta di ipotesi percettive non deve cadere su ipotesi troppo difficili, altrimenti il paziente non ce la farà a verificarle del resto, non dovranno essere troppo facili, altrimenti il paziente non apprenderà nulla. L’ipotesi percettiva adeguata guida il paziente all’elaborazione delle informazioni (afferenze) che verranno privilegiate. Attraverso questo compito di tipo conoscitivo, ci si garantisce di fornire al paziente, il livello di analisi entro cui le afferenze devono essere elaborate.
Una strategia successiva potrà essere identificata, quindi, nella scelta di “afferenze da privilegiare”ovvero stabilire quale tipo di informazione può essere utile al paziente e la sua relativa provenienza.
La maggior parte degli interventi riabilitativi viene fatta agendo direttamente sul muscolo provocando stimoli di vario genere (stiramento veloce, induzione successiva, ecc…) e determinando in via riflessa una contrazione muscolare.
L’informazione visiva è un’informazione estremamente economica perché fornisce nel tempo minore un numero maggiore di informazioni. Essa viene a rappresentare come anche quella propriocettiva un canale afferenziale globale.
Nel Controllo Sequenziale Progressivo (C.S.P.) si preferisce privilegiare le afferenze “tattili e chinestesiche”, dovendo tra l’altro innescare procedimenti “controllati” e non “automatici”.
In definitiva C.S.P. significa per prima cosa insegnare al paziente a regolare le componenti fondamentali del movimento (intensità, temporalità, spazialità), ai fini di una verifica di una determinata ipotesi percettiva.
Non potendo un soggetto emiplegico esercitare un controllo simultaneo di tutti i gradi di libertà (ad esempio del sistema funzionale manipolazione prensione), sarà indispensabile insegnargli, attraverso informazioni prese sequenzialmente e quindi più facili da elaborare, a controllare una componente alla volta e poi successivamente ad attivare l’altra e così via; insegnare, infine, a controllare le componenti patologiche in maniera progressiva e cioè per gradi, assicurandosi, in pratica, che il paziente acquisisca alcuni compiti di base prima di procedere in compiti più complessi. Si insegnerà progressivamente al paziente prima a controllare la reazione abnorme allo stiramento, poi a controllare l’irradiazione abnorme, , e quindi gli schemi elementari, agendo sempre sul deficit di reclutamento.
Riassumendo quindi si può dire che con il C.S.P. si propongono i seguenti obiettivi (Perfetti 1982):
d - Rieducazione funzionale
La rieducazione funzionale si avvale di tutte le tecniche chinesiterapiche destinate a mettere il paziente disabille in grado di svolgere le attività essenziali per la propria autonomia (stazione eretta, cammino, assunzione di cibi, cura della propria persona, ecc...).
La rieducazone funzionale può essere inserita come sottocapitolo della chinesiterapia, infatti molte tecniche sicuramente chinesiterapiche sono nello stesso tempo anche tecniche di rieducazione funzionale e viceversa: far salire le scale a un paziente emiparetico è nello stesso tempo un passo verso l'autonomia funzionale e un ottimo esercizio per i flessori dell'anca.
Cosi concepita la rieducazione funzionale ha campi di applicazione, e quindi tecniche applicative quasi infinite. Ma certamente qualitativamente e quantitativamente prevalgono gli impieghi tendenti a riattivare le funzioni essenziali per la vita quotidiana.
Il raggiungimento di un minimo di autosufficienza da parte del paziente in questo settore è spesso una premessa critica per la conservazione di un ruolo sia pur piccolo nell'organizzazione sociale, anche a livello familiare.
Le singole tecniche e le loro associazioni debbono essere scelte con stretta aderenza alle caratteristiche del segno patologico causa della disabilità e dei meccanismi che l'hanno generato.
Ci occuperemo di tre obiettivi fondamentali della rieducazione funzionale:
Stazione eretta
La rieducazione alla stazione eretta è un problema che si presenta frequentemente dopo malattie che richiedono una prolungata immobilità a letto. Le modalità della rieducazione variano naturalmente, a seconda della causa morbosa e della sintomatologia presentata dal paziente.
La preparazione alla stazione eretta può iniziare abbastanza presto, anche in caso di estese paralisi , o di condizioni generali scadute, mediante l’utilizzazione del tavolo da statica, si tratta di un piano fornito di appoggio per i piedi e di altri ausili utili per mantenere la stazione eretta. È possibile in questo modo condurre con perfetta gradualità la messa sotto carico del paziente, con una variazione progressiva delle modificazioni circolatorie e di consumo energetico, di pressione arteriosa e scheletrica nonché di informazione estero – e propriocettiva che ad essa si accompagnano, mentre l’allineamento posturale viene mantenuto senza difficoltà.
In molti casi in questa fase è necessario esercitare i muscoli anteriori dell’addome e gli erettori del tronco.
Durante l’operazione di verticalizzazione graduale devono essere controllati i parametri vitali ( frequenza cardiaca, atti respiratori, pressione arteriosa, ecc…).
controllo del tronco in posizione seduta
Inizialmente il paziente può mantenere la posizione seduta sul letto con le gambe penzoloni e con i piedi poggiati ad angolo retto sul pavimento o su un piano rigido. In posizione seduta il paziente sarà sottoposto ad esercizi di equilibrio, consistenti nella progressiva eliminazione di ogni appoggio e in spostamenti sempre più ampi degli arti superiori e del capo. Questi esercizi assumono particolare importanza in caso di compromissione dei circuiti vestibolari e cerebellari.
La tappa successiva della rieducazione consiste nel passaggio dalla posizione seduta a quella eretta. Per questo occorre che il carico su entrambi gli arti inferiori sia possibile e sicuro.
Passaggio dalla posizione seduta alla posizione eretta
Quando il carico sugli arti inferiori non è possibile e sicuro; in alcuni casi possono rendersi necessari i tutori , per lo più in questa fase provvisori: costruiti cioè con cartoni, docce di posizione e ben fissati agli arti inferiori. Si offre quindi al paziente un appoggio sicuro: Le parallele, la testata del letto e una sedia solida.
Non sempre è di facile apprendimento il passaggio da una posizione all'altra, all'inizio il paziente è assistito dal fisioterapista, in una fase successiva può essere utile anche la progressiva riduzione dell'altezza del sedile E’ importante la scelta dell'appoggio (esempio. il bastone insieme alla mano del fisioterapista ); da ricordare che le parallele sono l'appoggio che da la maggiore sicurezza nei confronti della stabilità in posizione eretta, oppure due bastoni a piccozza, o due bastoni con appoggio antibrachiale (bastoni canadesi).
Posizione eretta
E’ necessaria l’equilibrata distribuzione del carico del corpo sugli arti inferiori,( magari con l'ausilio di due bilance di pari altezza) e un corretto allineamento del bacino e del tronco. Quest’ultimo obiettivo sarà raggiunto più facilmente se il paziente potrà controllare il suo atteggiamento in uno specchio quadrettato, supplendo così con la vista all’eventuale insufficienza del suo senso cinestesico permettendogli di autocorreggere la propria postura.
La rieducazione del cammino richiede una accurata osservazione del segno patologico e quindi la perfetta conoscenza del cammino normale. E' sul segno patologico che il fisioterapista è chiamato a lavorare, il che moltiplica a dismisura le varianti di un corretto intervento riabilitativo.
Prima di deambulare su un'area libera da ostacoli, il paziente, inizierà a camminare tra le parallele, dove imparerà a variare con continuità e in sicurezza la distribuzione del carico sugli arti inferiori, inoltre, se il paziente dovrà successivamente usare i bastoni, le parallele saranno utilizzate dallo stesso paziente per imparare le modalità di deambulazione
Il cammino deve essere sicuro, efficiente ed estetico: è evidente che non sempre le tre esigenze possono essere soddisfatte da un unico cammino acquisito attraverso la rieducazione.
Età, sesso, condizioni sociali, eventuale attività lavorativa, interessi culturali e di svago devono pertanto essere presi in considerazione nella scelta del tipo di cammino come obiettivo, e quindi la scelta delle tecniche di rieducazione più adeguate.
La rieducazione alla deambulazione deve, tutte le volte che sia possibile, essere completata dalla rieducazione al superamento di ostacoli e al salire o allo scendere le scale. le soluzioni da adottare per ottimizzare il superamento di ostacoli o per salire e scendere le scale saranno diverse a seconda della natura del danno, della sua localizzazione, della presenza o meno di ausili. ad esempio nel caso di un emiplegico, o di un paziente con tutore rigido a un arto inferiore il gradino viene affrontato in salita con l'arto sano, in discesa con l'arto paretico.
Il tipo di deambulazione viene scelto a seconda dell’entità del deficit, della forza muscolare, degli arti superiori e del tronco, delle capacità di equilibrio, delle doti di coordinazione, della volontà di collaborazione del paziente.
I bastoni, di forma e struttura diverse , possono essere assai utili in caso di deficit di uno o di entrambi gli arti inferiori, in seguito a perdite anatomiche compensate da protesi, a paresi centrali o periferiche, a dolori articolari. In molti casi può essere sufficiente un solo bastone, che in genere va tenuto con la mano controlaterale all’arto inferiore affetto, contemporaneamente al quale viene portato in avanti nello schema normale di associazione tra gli arti superiori e inferiori, assicurando così una più larga base d’appoggio durante l’avanzamento dell’arto sano.
In alcuni casi però (incapacità del paziente a servirsi della mano non dominante, per dolori o paresi dell’arto superiore controlaterale, grave insufficienza o instabilità dell’anca) può essere indispensabile insegnare al paziente a tenere il bastone con la mano omolaterale all’arto inferiore colpito e a portarlo in avanti contemporaneamente a questo rompendo così lo chema fisiologico.
In molti casi infine sono di particolare utilità i bastoni a base allargata (a tre o quattro punti ) che assicurano una grande stabilità d’appoggio.
Il cammino in piano è di scarsa utilità al paziente se egli non è in grado di superare i dislivelli che necessariamente incontrerà nella vita quotidiana: i gradini delle scale, il bordo dei marciapiedi, i piani inclinati.
Il modo di fare il gradino sarà scelto a seconda delle condizioni motorie del paziente.
In generale gli si insegnerà a servirsi nel modo più efficace dell’appoggio degli arti superiori e, quando vi sia, dell’arto inferiore sano o meno colpito.
E’ nota ad esempio l’utilità di salire il gradino avanzando l’arto inferiore migliore, e scenderlo portando avanti per primo il più colpito: in entrambe i casi, la parte maggiore dello sforzo di elevazione nella salita e del controllo della discesa viene così affidata alla muscolatura più efficiente.
Molti espedienti possono essere escogitati in altre situazioni: l’iperestensione del ginocchio in salita con spiccata flessione del tronco nell’insufficienza del quadricipite; la salita a ritroso con appoggio sui due bastoni nelle paraplegie flaccide con tutore bilaterale e buona muscolatura estensoria del tronco;
deambulazione con bastoni canadesi.
E il cammino che si avvicina più degli altri al cammino fisiologico, consiste nell'avanzare l'arto superiore e l'arto inferiore controlaterale simultaneamente e poi avanzare gli altri due arti sempre simultaneamente, oppure avanzare simultaneamente l’arto superiore e l’arto inferiore dello stesso lato e poi avanzare gli altri due simultaneamente.
E’ il cammino adottato più frequentemente, soprattutto dalle persone anziane, in quanto risulta sicuro e di facile comprensione, consiste nell'avanzare i due bastoni simultaneamente per poi avanzare un arto inferiore seguito subito dall'altro arto fino alla linea ideale passante da un bastone all'altro.
E il cammino più sicuro ma il più lento e dispendioso sotto il profilo bioenergetico, consiste nell'avanzare un bastone, seguito dall'avanzamento dell'arto inferiore controlaterale e poi dall’ avanzamento dell'altro bastone e dal successivo avanzamento dell'altro arto inferiore. Richiede la presenza di buoni muscoli elevatori del bacino.
E’una modalità di avanzamento molto veloce , tipica di individui giovani, consiste nell'avanzare simultaneamente i due bastoni, e poi saltare, sempre simultaneamente, a piedi pari, fino alla linea ideale passante tra i due bastoni.
E’ la modalità di avanzamento più veloce, tipica di individui giovani e bene allenati,il cammino è simile al cammino a canguro, con la variante consistente nel superamento, con i piedi, della linea ideale passante tra i due bastoni.
quando il paziente non è in grado di recuperare un cammino efficiente attraverso il trattamento riabilitativo l'ampiezza articolare, la forza muscolare, la coordinazione e l'equilibrio, può rendersi necessario ricorrere ai compensi, non necessariamente in ogni caso definitivi.
I compensi possono essere di due tipi:
1- compensi cinematici
da adottare quando è sufficiente una modificazione della cinematica - per esempio nel caso di pazienti con paralisi del quadricipite che possono mantenere la stazione eretta estendendo il ginocchio.oppure dei pazienti che "compensano" il deficit dei flessori dell'anca con un aumento della lordosi lombare; infine dei pazienti che nella fase di sospensione del cammino "compensano" l'insufficiente flessione del ginocchio con l'elevazione omolaterale dell'anca.
Quando i compensi cinematici non sono sufficienti, è necessario ricorrere ad aiuti esterni.
2- "compensi esterni",si distinguono in protesi, ortesi, ausili.
Le protesi- sono vere e proprie sostituzioni di parti mancanti. nel campo della rieducazione motoria prevalgono le protesi sostitutive di segmenti di arti inferiori o, in qualche caso dell'intero arto inferiore,meno frequenti sono le protesi di arto superiore, che possono essere molto sofisticate, come le mani mioelettriche, e richiedere perciò un'accurata e prolungata opera di educazione all'uso.
Le ortesi- sono tutori che vengono applicati direttamente sui diversi segmenti corporei, con scopi diversi: prevenire complicanze, come le limitazioni articolari o le deformità e consentire al paziente funzioni altrimenti impossibili.
Rientrano tra le ortesi la scarpe ortopediche, i tutori degli arti inferiori,(brevi o lunghi), i corsetti ortopedici, gli splint per la mano.
E' un settore al quale i progressi della tecnologia porta continue innovazioni e che richiede al fisioterapista un impegno particolare.
Gli ausili- è un campo senza limite se consideriamo ausilio ogni dispositivo o accorgimento o anche semplicemente idea che consenta al paziente e a chi lo assiste il superamento di una disabilità e la riacquisizione di una capacità funzionale perduta.
Sono ausili le modificazioni degli oggetti di uso comune, come l'imbottitura dei manici delle posate, i supporti a ventosa per fissare gli oggetti che vengono manipolati con una mano sola, gli anelli da infilare nelle dita delle mani per consentire la presa di utensili.
Come sono aiuti le apparecchiature che consentono alla persona disabile, costretta all'immobilità di controllare l'ambiente con la voce.
Tra gli ausili più importanti e determinanti per l'autosufficienza ci sono i mezzi per la locomozione, e in particolare la carrozzina, che rappresenta davvero "le gambe" di molti disabili gravi, dai mielolesi, agli sclerotici multipli, ai distrofici muscolari, ai biamputati di arto inferiore.
I trasferimenti del paziente risultano utili nelle situazioni più disparate: in riabilitazione vengono adottati soprattutto per i soggetti con scarse capacità motorie residue - esempio: il paziente emiplegico che dal letto viene trasferito su una sedia, il paraplegico che si trasferisce dal letto alla carrozzina e viceversa, ecc...
Sono trasferimenti anche gli spostamenti del paziente sul letto: le variazioni dalla postura supina alla postura laterale destra, ecc…, gli spostamenti del paziente dal centro al bordo del letto e il trasferimento dal bordo del letto alla posizione seduta con le gambe penzoloni.
La rieducazione alle attività della vita quotidiana non deve essere abbandonata al recupero spontaneo o allo spirito di intraprendenza del paziente o dei suoi familiari. E’ necessario considerare l’importanza che riveste l’autosufficienza del paziente di fronte alle esigenze della vita di tutti i giorni. Rappresentata dalla riammissione nella vita sociale al massimo delle sue possibilità.
Sulla scorta dei risultati derivanti dalla scheda fisioterapica concernente soprattutto l’esame funzionale del paziente, viene impostato un programma di rieducazione. E’ importante sottolineare alcuni concetti chiave.
Anzitutto, ogni attività va scomposta nei suoi elementi base e ogni gesto analizzato in rapporto alle diverse esigenze (forza muscolare, ampiezza articolare, equilibrio, coordinazione).
Il confronto di queste esigenze con le possibilità del malato permetterà di stabilire quali siano gli esercizi utili alla eliminazione delle difficoltà che si frappongono all’esecuzione dell’attività in questione. In molti casi permetterà anche di prevedere se tali difficoltà potranno essere superate con l’esercizio o se invece l’irreversibilità di determinati sintomi non imponga una diversa soluzione del problema. In questi casi, l’obiettivo può spesso venire ugualmente raggiunto, sia attraverso una radicale trasformazione del gesto che consenta l’utilizzazione di movimenti compensatori, sia mediante accorgimenti talora assai semplici: modificazioni degli oggetti utilizzati nello svolgimento dell’attività (prolungamento di manici, imbottitura di manopole, sostituzione di bottoni ed asole con chiusure lampo); variazioni nella disposizione degli oggetti nell’ambiente di vita del paziente (sistemazione delle stoviglie in armadi bassi, nelle case di chi è costretto a vivere in carrozzina).
Come si vede, siamo ancora una volta ai limiti tra terapia rieducativa in senso stretto e riabilitazione, intesa come adattamento definitivo e quanto più possibile efficace del paziente all’ambiente e dell’ ambiente al paziente, a riprova della stretta connessione che esiste tra i due settori.
Tra le attività della vita quotidiana meritano particolare rilievo quelle che si riferiscono alla locomozione. Abbiamo già detto attraverso quali tappe si arrivi, nella maggior parte dei casi, alla ripresa della deambulazione, con o senza tutori od appoggi, e all’esercitazione del cammino e della scala. Ma perché questa ripresa sia funzionalmente valida è necessario che il paziente si eserciti a spostarsi nelle diverse condizioni in cui si troverà nella vita di tutti i giorni: su terreni irregolari, di diversa natura (asfalto, prato, sabbia, ghiaia, tappeti) e di diversa pendenza.
Nei casi in cui la deambulazione è impossibile o troppo gravosa per essere utilizzata con continuità è necessario insegnare al paziente a servirsi della carrozzina in modo adeguato e a trasferirsi dalla carrozzina al letto, alla sedia, al tappeto, alla toilette, al sedile di guida dell’automobile e viceversa.
Infine il paziente deve essere messo in grado di mettersi e togliersi da solo i corsetti, le protesi, i tutori di cui necessita: solo se potrà fare a meno di assistenza per queste funzioni la sua rieducazione avrà avuto significato.
La rieducazione respiratoria è una branca della fisioterapia generale, che la differenzia profondamente da quest’ultima per scopi e metodiche.
Scopo preminente della rieducazione respiratoria è la prevenzione, la cura e la riabilitazione della affezioni dell’apparato respiratorio, che ben raramente sono legate ad alterazioni primitive dell’apparato muscolo – scheletrico del torace.
La rieducazione respiratoria utilizza l’apparato muscolo – scheletrico al solo scopo di renderlo più efficiente, ai fini di correggere le deficienze della funzione respiratoria secondarie ad affezioni pleuro – polmonari.
Le tecniche di fisiochinesiterapia respiratoria hanno origine empirica: con ogni probabilità esse traggono la loro derivazione dalle pratiche millenarie dello Yoga, secondo quei singolari concetti filosofici il conseguimento della salute del corpo e della serenità dello spirito sarebbero conseguenza di modalità particolari di respirazione e di postura.
Tali origini hanno forse costituito un ostacolo alla diffusione delle pratiche fisiochinesiterapiche quando esse sono state adottate dalla medicina occidentale, non meno che le concezioni allora dominanti della necessità del riposo assoluto del polmone tubercolotico e del paziente operato al torace.
La fisiochinesiterapia nel trattamento delle affezioni dell’apparato respiratorio è un problema che ha sollevato interesse specie in Inghilterra e in Svezia, solo e di pari passo con i progressi della chirurgia toracica e con l’evoluzione delle conoscenze della fisiopatologia respiratoria.
Il problema ha interessato prevalentemente il pneumologo e il chirurgo del torace, per i quali la fisioterapia ha cominciato a costituire un presidio terapeutico di capitale importanza.
Le prime osservazioni sui risultati positivi della ginnastica respiratoria risalgono alle esperienze del Brompton Hospital di Londra (1934 – Linton e Roberts) e da qui successivamente si diffusero, seppure con notevole lentezza.
Fu solo quando il chirurgo si trovò di fronte al brutale squilibrio della meccanica polmonare, determinato dagli interventi demolitivi di chirurgia e alle complicazioni di notevole gravità che sorgono dopo tali interventi, minacciando seriamente la funzione cardiorespiratoria, che fu sentito il bisogno di usufruire di tutti quegli ausili terapeutici che permettono una ripresa dei meccanismi fisiologici della respirazione quanto più rapida e completa.
La necessità d’altra parte di una mobilizzazione funzionale della gabbia toracica per aiutare l’espansione del polmone in corso e negli esiti di pleurite, di detergere cavità e vie bronchiali da secrezioni, restituendo al sistema bronchiale la sua dinamica e riattivando la ventilazione regionale, di ripristinare inoltre l’equilibrio dinamico costo – diaframmatico profondamente alterato da malformazioni e processi degenerativi, hanno spinto i pneumologi a seguire la via indicata dalla chinesiterapia respiratoria, ottenendo da quest’ultima successi lusinghieri, laddove dominava solo senso di impotenza.
Le possibilità terapeutiche della rieducazione respiratoria nel periodo pre e post operatorio e nel trattamento medico delle varie affezioni dell’apparato respiratorio sono legate alle acquisizioni della fisiopatologia respiratoria e alla conoscenza esatta dei disturbi della funzione respiratoria ai vari livelli.
La conoscenza di questi ultimi è indispensabile per poter stabilire le indicazioni e le controindicazioni della chinesiterapia respiratoria.
A questo scopo è opportuna, come guida per il trattamento chinesiterapico ,(non solo per poter seguire un razionale indirizzo terapeutico, ma anche per potere valutare i risultati raggiunti col trattamento), una esatta determinazione del danno funzionale respiratorio prima di iniziare la rieducazione funzionale del paziente.
Questi dati vanno completati e corredati con lo studio radioscopico della cinematica diaframmatica e costale e delle condizioni del mediastino.
Le finalità della chinesiterapia respiratoria sono la profilassi e la cura delle affezioni primitive del torace e dell’apparato respiratorio.
A tale fine sono stati utilizzati, oltre ai mezzi che fanno parte della chinesiterapia generale (ginnastica e massaggio) altri che sono specifici di questa branca (desostruzione delle vie aeree, ventilazione meccanica).
Con il massaggio e la ginnastica ci si propone di ottenere il massimo rendimento dell’apparato muscolo – scheletrico, ai fini di migliorare la ventilazione e la distribuzione dei gas respiratori, la postura e il complesso di manovre e di atteggiamenti che la completano hanno lo scopo di detergere le vie bronchiali, di drenare le cavità secernenti con le stesse modalità funzionali.
La ventilazione meccanica si renderà indispensabile solo laddove le strutture periferiche della ventilazione risulteranno incapaci, anche con i mezzi succitati, a mantenere una ventilazione sufficiente.
L’allenamento allo sforzo rappresenta infine il momento culminante del trattamento riabilitativo respiratorio, contribuendo a realizzare lo scopo ultimo della riabilitazione, che si prefigge il recupero del disabile respiratorio nella sua capacità fisica, sociale e spesso economica e lavorativa.
Nel quadro della realizzazione pratica di questi obiettivi, la chinesiterapia si avvale di varie tecniche che sono rappresentate essenzialmente da:
E’ molto importante nel trattamento chinesiterapico la partecipazione attiva e la collaborazione del paziente all’opera della sua rieducazione respiratoria e alla necessità perciò della sua preparazione psicologica, necessaria a prevenire o estinguere lo stato d’ansia, così frequente nell’insufficiente respiratorio e nel malato che deve essere sottoposto ad interventi chirurgici sul polmone e sul cuore.
Le indicazioni mediche si estendono ad una vasta patologia broncopolmonare e pleurica:
.Le indicazioni chirurgiche interessano:
La chinesiterapia respiratoria inoltre, trova indicazione anche nei politraumatizzati e nel paziente in trattamento di terapia intensiva.
Le controindicazioni
Indicazioni della chinesiterapia
I quadri sintomatici in cui le tecniche chinesiterapiche vengono indicate sono quelli che interessano l’apparato locomotore, inteso nel suo senso più ampio, e in particolare:
In un gran numero di quadri morbosi questi fattori sono naturalmente implicati contemporaneamente nelle diverse combinazioni.
Li esaminiamo ora partitamente.
E’ di grande importanza in un gran numero di condizioni morbose e va perseguita con ogni cura.
All’insorgenza di retrazioni della cute e del sottocute ci si può opporre con un accurato allineamento posturale, eventualmente associato alla termoterapia e al massaggio.
L’articolazione che non può venire esercitata attivamente per una paralisi periferica sarà, appena possibile mobilizzata passivamente.
L’ipotonia muscolare va combattuta con gli esercizi attivi.
In caso di squilibri di forza muscolare tra gruppi muscolari antagonisti è necessario riequilibrare i gruppi sempre con esercizi attivi appropriati.
In tutti i casi in cui sia possibile, la mobilizzazione deve essere affidata alla contrazione attiva muscolare: in questo modo il recupero della mobilità si realizza contemporaneamente a quello del controllo dell’articolazione, indispensabile ad evitare traumi e instabilità.
L’esercizio attivo usato per ovviare a una limitazione articolare può essere:
assistito;
libero;
controresistenza.
Il miglior modo per impedire la perdita della forza muscolare è l’esercizio attivo, ottenuto con le metodiche più adatte all’evento morboso invalidante e alle condizioni obiettive del paziente. Ma tale esercitazione, specie nel caso di muscoli parzialmente lesi, e perciò più deboli, deve essere completata da provvedimenti altrettanto importanti: il muscolo debole deve essere protetto da eccessivi stiramenti, dai quali non è in grado di difendersi con una adeguata contrazione attiva. Vanno perciò eliminate con cura tutte quelle cause (forza di gravità, peso di indumenti o coperte, retrazioni di muscoli antagonisti) che tendono a provocare tale stiramento. Anche la mobilizzazione passiva esercitata per tutta l’ampiezza del movimento può risultare utile
Consiste nella ricerca dello sviluppo della forza e della resistenza nel muscolo parzialmente intaccato nelle sue capacità dinamiche. Base di tutto il trattamento è il principio per cui il muscolo deve essere fatto lavorare sempre al massimo delle sue capacità, onde ottenere l’esercitazione di tutte le unità motorie disponibili. Ne consegue che ogni programma di esercitazione deve partire dalla valutazione accurata dei singoli muscoli, ottenuta con la valutazione muscolare.
Il controllo nervoso.
Non sono rari i casi clinici in cui l’immobilizzazione prolungata porta, in condizioni di assoluta integrità anatomica del sistema nervoso centrale e delle vie di conduzione ad arrivare fino a una vera e propria “perdita della memoria” del movimento. Nella fase di recupero delle paralisi, inoltre, l’influenza di percezioni scorrette, legate a posture viziate o a modificazioni del tono muscolare, e l’impossibilità di utilizzare fin dall’inizio in sinergie normali i segmenti paretici determina spesso lo stabilirsi di schemi motori alterati, che di per sé possono costituire un grave intralcio alla realizzazione di una motilità funzionalmente efficace.
L’allineamento posturale, la mobilizzazione passiva, il rilasciamento generale, i movimenti attivi controllati dal fisioterapista e tante altre tecniche possono essere di volta in volta, nelle diverse fasi, assai preziosi nella prevenzione di queste sinergie viziate, attraverso la ricostruzione di schemi sensitivo – motori corretti.
Quando la lesione interessa direttamente i meccanismi centrali preposti al controllo della motilità , la chinesiterapia assume una notevole importanza.
L’indicazione chinesiterapica in questo settore trova conforto nella dimostrata unità funzionale del sistema nervoso centrale e nella ricchezza di connessioni tra i circuiti neuronici, fattori che rendono possibili ampi compensi a funzioni danneggiate da lesioni localizzate. Tra questi meccanismi di compenso, ampiamente dimostrati specialmente dal decorso dopo i gravi interventi demolitori della neurochirurgia, vengono particolarmente sfruttati dalla rieducazione così come dal recupero spontaneo la funzione vicariante delle aree extrapiramidali, l’utilizzazione di nuove afferenze in sostituzione di altre andate perdute, il recupero funzionale di livelli di integrazione sottocorticali e di schemi motori.
A seconda dell’entità dei disturbi e delle obiettive possibilità di lavoro del paziente, possono venire utilizzati per modificare situazioni circolatorie alterate movimenti passivi o esercizi attivi. I movimenti passivi esercitano una certa azione favorevole sul deflusso venoso e linfatico, mentre l’esercizio attivo segmentarlo è il mezzo più efficace per aumentare l’afflusso di sangue arterioso in un distretto corporeo. Se l’esercizio attivo supera per estensione e intensità una determinata soglia, le modificazioni interessano tutto il sistema cardiocircolatorio.
Un dosaggio attento e graduale degli esercizi può renderli efficaci nel trattamento di alcune malattie cardiocircolatorie, rappresentando un vero allenamento del circolo allo sforzo (mobilizzazione negli infarti del miocardio). L’esercizio attivo viene infine utilizzato anche nella prevenzione delle tromboflebiti da prolungata immobilizzazione.
L’esercizio attivo è utile anche nelle affezioni dell’apparato respiratorio, sotto forma di esercizi destinati a migliorare i singoli aspetti della meccanica respiratoria. O anche come esercizi generali.
L’esercizio attivo intenso risulta molto efficace nel determinare un aumento del consumo energetico con conseguente riduzione delle riserve nell’obesità, nei cui programmi terapeutici la chinesiterapia trova precisa indicazione accanto alla dieta e ai farmaci stimolanti il metabolismo
Il rilasciamento, gli esercizi attivi della muscolatura addominale e perineale hanno grande parte nelle metodiche di preparazione al parto naturale.
L’esercizio viene utilizzato nelle malattia mentali allo scopo di migliorare l’attenzione del paziente, portarlo ad attività costruttive, farlo partecipare alle attività di gruppo e sul piano sociale: per i suoi effetti psicologici, più che per quelli fisiologici.
Sono quindi soprattutto indicate le attività di tipo ricreativo, i giuochi, gli esercizi collettivi.
Controindicazioni alla chinesiterapia
Le tecniche chinesiterapiche che implicano il movimento , se applicate nella fase acuta della malattia possono essere causa di gravi complicanze per il paziente.
Le tecniche chinesiterapiche (escluso l'allineamento posturale) sono controindicate in tutte le forme acute che interessano l'apparato locomotore, ( lombalgie, lombosciatalgie, cervicalgie, cervicobrachialgie, dorsalgie, mialgie, distorsioni, lussazioni, fratture, artriti reumatiche, artrosi, ecc...), il sistema nervoso centrale, (ictus, para e tetraplegie , ecc...), sistema nervoso periferico ( nevriti, polinevriti, lesioni nervose traumatiche, ecc...), e il sistema neurovegetativo.
Le tecniche chinesiterapiche sono inoltre controindicate nelle forme di carattere generale; ( cardiopatie gravi, forme tumorali aperte, nefriti gravi, pazienti gravemente defedati, negli stati febbrili, ecc...).
Le tecniche chinesiterapiche non vengono inoltre praticate in presenza di flebiti, nelle tromboflebiti, ecc..
BILIOGRAFIA
Andrè Albert – La rieducazione Neuromuscolare dell’emiplegico adulto - “Il Pensiero Scientifico” Editore 1975. |
Berta Bobath – Emiplegia dell’adulto: valutazione e trattamento – Libreria Scientifica già Ghedini s.r.l. 1978. |
Berta Bobath e Karel Bobath – Lo sviluppo motorio nei diversi tipi di paralisi cerebrali – Libreria Scientifica già Ghedini s.r.l. 1976. |
Dorothy E. Voss, Marijorie K.Ionta, Beverly J. Myers – Facilitazione neuromuscolare propriocettiva terza edizione – Piccin Nuova Libraria S.P.A. – Padova 1991 |
E. R. Kandel, J. H. Schwartz, T.M. Jessell - Principi di neuroscienze seconda edizione - Casa Editrice Ambrosiana 1994. |
Ester Cotton Rowena Kinsman – Educazione conduttiva per l’emiplegia dell’adulto – Ghedini Editore Milano 1985. |
Farneti P. - Terapia Fisica e riabilitazione Vol. 1 - A. Wassermann s.p.a. 1972. |
Farneti P. - Terapia Fisica e riabilitazione Vol. 2 A. - Wassermann s.p.a. 1972. |
Lucio Antonio Rinaldi – La proposta di controllo sequenziale progressivo secondo C. Perfetti |
Monari G. – Facilitazioni Neuromuscolari Propriocettive (P.N.F.). Schemi, tecniche e applicazione pratica - ibs sud Roma. 1987. |
Signe Brunnstrom – Cinesiterapia dell’emiplegico – Libreria Scientifica già Ghedini s.r.l. 1978. |
Fonte: http://fisiopadova.altervista.org/Kinesiterapia%20Faggin.doc
Sito web da visitare: http://fisiopadova.altervista.org
Autore del testo: FAGGIN AMPELIO
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve