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Gli Europei avevano proceduto alla “conquista” dell’America convinti della superiorità dell’Europa sul resto del mondo (eurocentrismo). Questa convinzione aveva fatto sì che i Conquistadores ritenessero giusto e naturale impadronirsi delle terre d’oltreoceano e di tutte le loro risorse. Le popolazioni indigene erano state depredate delle ricchezze e in gran parte sterminate. I sopravvissuti, impiegati come schiavi nei campi e nelle miniere di metalli preziosi, morivano per la fatica o per le nuove malattie portate dagli Europei, contro cui non avevano sufficienti difese immunitarie.
Il colonialismo (lo sfruttamento di stati extraeuropei da parte di alcuni stati europei) portò con sé un fenomeno che nel Seicento e nel Settecento assunse dimensioni impressionanti: la tratta degli schiavi.
Il bisogno di schiavi era nato sin dalla metà del ‘500, quando Spagnoli e Portoghesi si erano accorti che gli Indios americani, decimati, come si è detto, dagli stenti e dalle malattie, non fornivano manodopera sufficiente per il lavoro nelle miniere e nelle piantagioni. Con il permesso dei rispettivi governi essi si rivolsero ai “negrieri”, uomini che per mestiere rapivano i neri d’Africa e li trasportavano sulle proprie navi in America come schiavi.
Verso la fine del Settecento la domanda di schiavi si estese anche alle piantagioni dell’America del Nord, dove gli Inglesi avevano scoperto la possibilità di coltivare il tabacco. Il flusso degli schiavi si diresse quindi verso l’America settentrionale e fu ancora più massiccio. Nel 1865, quando la schiavitù fu abolita, l’America ospitava ormai quattro milioni e mezzo di schiavi.
Sebbene la presenza di colonie europee in America, Africa e Asia risalga agli ultimi anni del Quattrocento, il fenomeno del colonialismo esplose nella seconda metà del Settecento. Dopo la Guerra dei Sette anni, infatti, l'Inghilterra acquistò un primato sui mari di tutto il mondo che le consentì di organizzare le sue basi commerciali fondando un vero e proprio sistema coloniale. Nonostante ciò, la sua storia coloniale registrò un grave scacco a causa della perdita delle sue tredici colonie americane. Gravemente ostacolate nel loro sviluppo economico (potevano commerciare solo con l'Inghilterra), esse si mantennero fedeli alla madrepatria finché tale svantaggio fu compensato dal vantaggio di essere sottoposte a tasse molto basse. L'aumento delle tasse, imposto dal Parlamento di Londra per coprire i costi della Guerra dei Sette anni e non compensato da altre concessioni, vi scatenò quindi proteste come quella del 1770, nota col nome di “massacro di Boston'', o come quella del 1773, causata dall'afflusso di tè indiano sottoposto a tassazione. La protesta sfociò nella Guerra d'indipendenza (1775-1783), le cui operazioni militari furono affidate al comando di George Washington. Mentre l'esercito dei volontari americani si organizzava faticosamente e Benjamin Franklin (l’inventore del parafulmine) si recava in Francia a sostenere la causa americana, le tredici colonie della costa orientale accettavano come nuova Costituzione della futura repubblica la Dichiarazione d'indipendenza, redatta in gran parte da Thomas Jefferson (il documento, ispirato ai principi dell’Illuminismo, sosteneva tra l’altro che “tutti gli uomini sono creati liberi e uguali”). L’intervento a fianco delle colonie prima della Francia e poi della Spagna, rivali dell’Inghilterra, portò alla sconfitta inglese e alla concessione nel 1783 dell’indipendenza alle colonie.
Fonte: http://rossanaweb.altervista.org/blog/mater_studenti/storsunt.pdf
Sito web da visitare: http://rossanaweb.altervista.org/
Autore del testo: R.Cannavacciuolo
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