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IL SETTECENTO E L’ILLUMINISMO
Il Settecento viene definito l' epoca della ragione perché il protagonista del secolo è l' Illuminismo, un movimento culturale che ha le sue radici filosofiche e politiche in Inghilterra e acquista il suo volto combattivo e militante in Francia. La diffusione dell' Illuminismo è agevolata dai generali progressi dell' economia. Tra il 1750 e il 1790, inizia la collaborazione tra i sovrani illuminati e gli intellettuali, che, però, negli ultimi decenni del secolo entra in crisi. Con la rivoluzione americana e francese cambia la situazione politica in Europa: si sperimentano nuove forme politiche democratiche e si profila una nuova idea di popolo.
Le vicende drammatiche della rivoluzione mettono in discussione i principi fondamentali dell' Illuminismo. Negli stessi anni in Inghilterra muove i primi passi la rivoluzione industriale che cambierà i modi di vivere e di pensare in Europa e nel mondo.
La parola ragione nel '700 si trova in tutti i discorsi intellettuali e letterati, infatti già nel finire del '600 un poeta francese aveva scritto " amate la ragione ". La parola "ragione" accompagna tutto il '700 e a lei sono dovute tutte le rivoluzioni del '700. Le radici filosofiche di questa svolta culturale vanno ricercate nella rivoluzione scientifica di Galileo e di Newton,nel razionalismo di Cartesio ma il pensiero settecentesco va oltre le conquiste intellettuali del secolo precedente.
Il metodo sperimentale e l’analisi razionale propri delle scienze naturali vengono applicati al campo della politica,della morale,della religione, uscendo dagli ambiti riservati agli specialisti per toccare i problemi che riguardano la vita di ogni uomo e investire ogni campo della cultura, compresi quei principi trascendenti(Dio) che nel Seicento erano stati salvaguardati da rigide condanne e autocontolli.
Il principale centro dove si sviluppa il movimento di pensiero fu l'Inghilterra , ma poi divenne la Francia. A partire dagli anni Cinquanta Parigi diventa la capitale culturale d’Europa, gli intellettuali di tutte le nazioni parlano,leggono e scrivono in francese.
Nel periodo conosciuto come Età dell'Illuminismo, l’Europa fu testimone di notevoli cambiamenti culturali, caratterizzati da una perdita della fede nelle tradizionali sorgenti religiose e dalla rivalutazione dei diritti umani, della scienza, del pensiero razionale e dalla nascita della repubblica democratica. Le ribellioni dell'Età dei Lumi portarono direttamente alla Rivoluzione Americana prima e alla Rivoluzione Francese dopo,influenzando significativamente anche la Rivoluzione Industriale.
Le idee dell'Illuminismo furono fortemente influenti nella stesura della Costituzione degli Stati Uniti e di quelle che seguirono, soprattutto negli stati europei.
Sebbene la Chiesa fosse vista come la principale responsabile della limitazione della ragione umana nel passato e la religione fosse individuata come causa della superstizione e del fanatismo, molti pensatori illuministi non rinunciarono totalmente alla religione, optando per una forma di deismo che rifiutava la teologia cristiana. Altri filosofi illuministi, soprattutto in Francia, si volsero a forme di pensiero materialistico e furono espressamente atei.
Più che un pensiero sistematico, l'Illuminismo contrassegnò uno stile intellettuale e un metodo d'indagine, nacque il desiderio di porre in discussione concetti e valori acquisiti, di indagare in direzioni molteplici. Molti illuministi non furono filosofi, bensì divulgatori impegnati nel consapevole tentativo di battaglia culturale e di diffusione delle nuove idee. Pur nella varietà degli indirizzi, alcuni temi furono comuni a tutti i pensatori illuministi: un atteggiamento antitradizionalista, nutrito dalla convinzione che il passato, soprattutto medievale , fosse l'età dell'ingiustizia, del sopruso, della superstizione e dell'ignoranza; l'avversione nei confronti della metafisica ; l’adozione del metodo sperimentale, che privilegia l'analisi dei fenomeni; la convinzione che tutto ciò che è conoscibile è relativo ai fenomeni e all'esperienza sensibile; la fiducia nel progresso, poi ereditata dal positivismo ottocentesco.
Ciò che accomuna tutti I FILOSOFI ILLUMINISTI è una concezione laica della morale centrata sulla condizione terrena dell’uomo e finalizzata alla realizzazione della sua felicità in questo mondo. Cadono tutte le antiche barriere politiche e culturali: gli illuministi si dichiarano cosmopoliti(cittadini del mondo) e affermano la fratellanza tra tutti gli intellettuali per migliorare la qualità della vita di tutti,annullano i confini tra filosofia e sapere pratico,l’impegno degli intellettuali consiste nella diffusione della cultura.
Coerentemente con l’intenzione di costruire un “ sapere utile “ che miri alla felicità dell’uomo, i metodi d’indagine basati sulla ragione e sull’esperienza presi in prestito dalla scienze naturali vengono applicati allo studio del funzionamento della società.
Nei saggi di Montesquieu e Voltaire abbandonano gli schemi provvidenziali della storiografia tradizionale per cercare leggi che consentono di interpretare razionalmente lo svolgersi degli eventi: da un lato giudicano le istituzioni e le epoche sulla base del concetto di “progresso” dall’altro si ampliano i confini tradizionali della storia per analizzare i rapporti tra l’uomo, l’ambiente, i costumi, le situazioni economiche e sociali.
Gli interessi e i temi dell’Illuminismo sono racchiusi nell’opera monumentale di 28 volumi, l’Enciclopedia, alla quale collaborarono illuministi come Voltaire, Rousseau, Montesquie, Diderot e che fu tradotta in inglese e in russo e circolò per tutto il mondo. Essa mira alla raccolta di tutto il sapere, per darlo in eredità ai futuri uomini per la loro felicità. In essa vi sono esclusivamente le reali e precise conoscenze basate sulla matematica e sull’esperienza. L’Enciclopedia,nonostante le avversità,unì tutto il popolo,sia ricco che povero ed ebbe un’elevata diffusione in tutta Europa.
Le proposte politiche avanzate dagli illuministi sono molto diverse:Voltaire propende per l’assolutismo illuminato,Montesquieu per una monarchia costituzionale basata sulla divisione dei poteri, Rousseau immagina un’ organizzazione statale fondata sulla democrazia diretta.
Nei fatti la massima espansione del pensiero illuminista viene assecondata dalla politica dell’assolutismo illuminato e raggiunge il suo culmine intorno agli anni Ottanta
Il centro più importante della reazione antilluminista è in Germania dove fin dal 1770 grazie a Wolfgang Goethe e Johann Gottfried Herder nasce il movimento dello “Sturm und Drang”riallanciandosi direttamente o indirettamente al pensiero di Rousseau,oppongono all’aridità e alla freddezza della ragione illuminista l’esaltazione dell’istinto,del sentimento,della passione. Quel Medioevo che gli illuministi consideravano l’epoca più buia della storia viene rivalutato come età della fede,dell’entusiasmo, dell’eroismo contrapposta al freddo grigiore del secolo della ragione. Sempre in Germania,negli stessi anni in cui si sviluppa lo “Sturm und Drang”, Immanuel Kant scrive una serie di opere fondamentali che si possono considerare una sintesi e insieme il superamento del pensiero filosofico settecentesco. Cosi dimostra che la validità e l’universalità della conoscenza scientifica non dipendono dalla sua aderenza alle cose,come sono realmente. ma dalle forme della sensibilità e dalle leggi logiche del pensiero, che sono uguali in tutti gli uomini.
Durante le guerre europee della prima metà del Settecento l’Italia non è più il principale campo di battaglia per gli scontri tra le grandi potenze. Nei paesi socialmente e culturalmente più avanzati, come l’Inghilterra e la Francia, l’Italia è vista come simbolo di decadenza intellettuale e morale. Con la caduta della dominazione spagnola gli intellettuali italiani incominciarono a rilanciare contatti con l’Europa. I primi giornali letterari di dimensione nazionale e internazionale come il “Giornale de’letterari d’Italia” di Venezia e le “Novelle letterarie” di Firenze, li rendono coscienti della loro arretratezza. Nei primi decenni del secolo non si instaurano ancora rapporti diretti con i massimi esponenti del pensiero inglese e francese. Gli innovatori italiani non osano mettere in discussione i fondamenti dell’autorità dei sovrani. Si polemizza contro il malgusto del Barocco in favore di un’arte basata sulla “pulitezza di stile”. Si diffonde un bisogno di rigore e di competenze, che si traduce nell’affinamento degli studi, nel gusto dell’erudizione e della ricostruzione minuziosa del passato
In questo quadro si colloca la polemica di Ludovico Antonio Muratori. La sua proposta è di “un unione, una repubblica, una lega, di tutti i più ragguardevoli letterati d’Italia”, di qualunque condizione e grado sociale. Muratori era un prete, di modeste origini nato a Vignola, che fa per tutta la vita il bibliotecario, prima nella biblioteca Ambrosiana e poi di Modena. Dopo una prima fase in cui coltiva interessi letterari si dedica agli studi storici, centrati principalmente sul Medioevo, si pone alla guida di dotti sparsi in tutta Italia, e compone i 28 volumi della raccolta dei Rerum italicarum scriptores, ancora oggi uno strumento prezioso per gli storici. Le sue opere storiografiche ci danno l’idea di una nuova concezione del lavoro intellettuale, basata sulla serietà, sullo scrupoloso e paziente controllo delle fonti, nel tentativo di conciliare, sulle orme di Galilei, una ferma religiosità col rigore della ricerca scientifica. Un anno prima di morire pubblica il trattato “Della pubblica felicità oggetto de’ buoni principi” che si configura come una sorta di manuale per il principe “illuminato” e riprende il tema della funzione sociale della cultura.
Molto più conflittuale e drammatica è la vicenda Pietro Giannone. Figlio del modesto speziale, nasce a Ischitella in provincia di Foggia, si laurea a Napoli, città tra le più aperte alla filosofia europea dove era viva l’antica tradizione di studi giuridici. La sua “Istoria civile del Regno di Napoli” non vuole intrattenere il lettore, ma intende farlo ragionare sui complessi intrecci tra costume e le istituzioni politiche e giuridiche, dimostrando come la Chiesa romana strumentalizza e deforma il cristianesimo originario per scopi terreni e politici. L’accanita denuncia suscita grande interesse in Europa ed è subito tradotta in francese, inglese e tedesco, ma la reazione della Chiesa è violenta: Giannone viene scomunicato ed è costretto ad andare in esilio a Vienna e poi a Ginevra dove entra in contatto con ambienti protestanti. Si sposta poi in Piemonte, dove viene arrestato nel 1736: passa gli ultimi dodici anni della sua vita in carcere, dove scrive una “Vita scritta da lui medesimo”, in cui è rappresentata la sua figura tragica di intellettuale sconfitto da un mondo governato dalla malvagità.
Altro protagonista di questo periodo fu Giambattista Vico. Napoletano, figlio di un libraio, si laurea in giurisprudenza, ma i suoi studi variano tra letteratura, filologia e filosofia; nel 1697 ottiene la cattedra di eloquenza all’Università di Napoli, il cui modesto stipendio gli consente appena di mantenere la sua numerosa famiglia. L’opera della sua vita, “La scienza nuova”, viene pubblicata in tre diverse edizioni nel 1725, nel 1730 e nel 1744, poco dopo la morte dell’autore. I principali punti di polemica di Vico furono il cartesianesimo e lo scientismo di Galilei, per via della loro potenzialità di ricondurre tutta la realtà alle regole della geometria e della matematica, senza lasciare spazio alle facoltà dell’animo umano. Secondo Vico, infatti, si può conoscere solo ciò che si è prodotto: la matematica essendo una costruzione astratta dell’intelligenza umana non può essere utilizzata per spiegare il funzionamento della natura, che è noto solo a Dio che l’ha creata. L’uomo invece può conoscere la storia perché è lui che la fa. Così nella “Scienza nuova” Vico illustra come la vita del genere umano attraversi tre diversi stadi: età “divina”, “eroica”, “umana”. Dapprima gli uomini sono stupidi ed insensati, poi iniziano ad avvertire un qualcosa che risveglia in essi la capacità di immaginare; infine giunti ad un’età avanzata della civiltà caratterizzata dalla scienza e dalla filosofia, riflettono e ragionano. Ma allo stesso tempo quest’ultima fase avverte l’inizio di una nuova decadenza dell’umanità. Il ciclo poi riprende, in una serie continua di “corsi” e “ricorsi”. L’aspetto più affascinante del libro sta nello stile oscuro, divagante, immaginoso e potente, per molti aspetti ancora barocco.
Le idee illuministiche, giunte d'oltralpe, contribuirono alla nascita di un Illuminismo italiano e a formare anche in Italia un nuovo tipo di intellettuale che non considerava più la cultura come evasione, bensì come impegno e contributo alla vita pubblica.
L’Illuminismo italiano si sviluppò in gran parte nel quadro della politica illuminata delle nuove dinastie al potere in Lombardia e nel regno di Napoli.
Questa prospettiva conferì al movimento un carattere moderato, centrato sui progetti e sulle proposte operative piuttosto che sulla elaborazione ideologica e filosofica.
Il viaggio d’istruzione che tocca le grandi capitali europee, diventò una consuetudine per i giovani letterati, e non era infrequente per gli scrittori italiani avere l’occasione di conoscere personalmente i philosophes più in vista per approfondire a viva voce quelle tematiche filosofiche.
Tra gli anni 30 e 40, la figura intellettuale più tipica era quella del viaggiatore divulgatore di cultura, che si differenziava dai sapienti dei primi decenni del secolo per il cosmopolitismo, l’eclettismo, il tono vivace e un po’ superficiale delle sue opere.
A partire dalla metà del 700 specie a Milano e a Napoli si formarono gruppi d’intellettuali più impegnati, che concepivano il lavoro culturale come strumento per agire sulla realtà storica e sociale in cui vivevano.
A Milano Pietro Verri (1728-1797) che aveva pubblicato saggi d'argomento scientifico ed economico fu chiamato dal governo imperiale di Maria Teresa a partecipare al rinnovamento amministrativo. Partecipe nel 1761 alla Società dei Pugni, Pietro Verri fu, con il fratello Alessandro tra gli animatori del Caffè, un giornale polemico che fra il 1764 e il 1766 propose ai lettori una vivace problematica di rinnovamento civile e culturale. Il titolo prendeva ad esempio i periodici inglesi come "The Spectator" ("Lo spettatore") o "The Tatler" ("Il chiacchierone") e serviva a presentare la rivista come punto di raccolta di dibattiti che si tenevano in un caffè, gestito dal greco Demetrio, che era divenuto un luogo d'incontro per discutere di argomenti politici e sociali.
Uno dei massimi esponenti dell'Illuminismo milanese fu Cesare Beccaria (1738-1794), che nel 1764 pubblicò l'opera "Dei delitti e delle pene" . Beccaria criticò i metodi di procedura giudiziaria e propose l'abolizione della tortura e della pena di morte.
Milano era la città che intratteneva i rapporti più vivi con la cultura europea, il centro nel quale la collaborazione tra intellettuali e potere si realizzava in modo più articolato ed efficace.
Per circa un decennio l’amministrazione austriaca chiamò i principali esponenti dell’Illuminismo lombardo a collaborare alla sua politica di modernizzazione legislativa ed economica; anche un letterato puro come Parini accettò di reggere la sopraintendenza delle scuole pubbliche. Ma non mancarono i conflitti e le incomprensioni.
Il regno di Napoli, passato ai Borboni, fu il primo centro di irradiazione dell’Illuminismo. Gli studi più praticati dagli illuministi napoletani riguardarono l’economia e il diritto. La politica riformatrice dei Borboni ottenne il risultato di ridurre i privilegi del clero e della Chiesa. Negli anni 90 l’insoddisfazione degli intellettuali sfociò in prese di posizione radicali e giacobine.
Negli altri stati italiani le iniziative riformistiche non ebbero un vigore culturale paragonabile a quelle di Milano e di Napoli.
In Toscana la politica di razionalizzazione economica e giuridica promossa dal gran duca Leopoldo si collocò in una prospettiva prudente e pragmatica.
Più conflittuale fu la situazione del Piemonte, dove i Savoia attuarono, importanti riforme amministrative a cui fece però riscontro una politica culturale chiusa e repressiva: furono molti gli scrittori da Alfieri a Baretti che si sottrassero al clima intellettuale oppressivo e stagnante vivendo a lungo fuori dello stato.
Tra gli estranei alla politica delle riforme c’era la repubblica di Venezia. Più statica era la situazione della Chiesa dove si assisteva al declino del potere politico papale.
“Di Socrate fu detto che portò la filosofia dal cielo a vivere tra gli uomini; ed io avrò l'ambizione che si dica di me che ho tratto la filosofia dagli studi e dalle biblioteche, dalle scuole e dai collegi, ad abitare nei circoli e nelle riunioni e nei caffè.” Così scriveva nel 1711 il giornalista Joseph Addison sulla sua rivista "The Spectator". Questa idea si diffuse fin dai primi decenni del secolo in Inghilterra , dove gli sviluppi dell'economia e della crescita dell'alfabetizzazione ampliarono il pubblico dei lettori per cui i libri e i giornali da un lato garantirono la cultura dei ceti cittadini e dei borghesi e dall’altro diventarono un affare dal punto di vista economico. Nacque, infatti, un industria editoriale di tipo moderno, si svilupparono nuovi generi letterari e comparvero i primi scrittori economicamente indipendenti.
Daniel Defoe l’autore di Robinson Crusoe, scrisse i suoi romanzi per guadagni, concordandone per contratto la trama e il numero di pagine con l’editore; il poeta Alexander Pope riuscì a garantirsi una vita agiata grazie al ricavato delle sue traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea. Anche in Francia, e più tardi in Italia, nacquero giornali e riviste che si rivolsero ad un pubblico sempre più ampio e un po’ in tutta Europa gli intellettuali si emanciparono dai prìncipi e dalla chiesa, e iniziarono a considerarsi un ceto dotato di risorse specifiche, capace di offrire un proprio autonomo contributo alla società.
Nell’Italia del primo 700 la volontà di costituire, secondo l’espressione di Muratori, una repubblica delle lettere che metteva in contatto gli intellettuali più prestigiosi sembrò attuarsi nell’Arcadia dove giunse il processo di auto-organizzazione dei letterati attraverso l’Accademia di tipo secentesca. La più radicale messa in discussione dalla figura tradizionale del letterato di corte si ebbe, però, nella metà del secolo quando si diffuse anche in Italia il modello illuministico del philosophe, l’intellettuale politico che doveva guidare l’azione dei governi: lo scrittore, insomma non era più rinchiuso nel culto della parola fine a se stesso ma doveva partecipare alla vita politica.
Un caso particolare di scrittore che riuscì a vivere con i proventi della sua attività letteraria fu quello di Goldoni, regolarmente stipendiato da un impresario teatrale per scrivere le sue commedie. Parallelamente al declino delle corti e delle accademie come luoghi di aggregazioni degli intellettuali, si crearono nuove occasioni di incontro e di dibattito fuori dalle istituzioni ufficiali. Ci fu uno scambio di idee grazie a giornali e libri tascabili e i nuovi centri di cultura furono i salotti cittadini, il club ed i caffè. Qualcosa avvenne nel campo delle arti figurative con l’apertura da parte dei sovrani dei primi musei pubblici in risposta all’interesse crescente di un pubblico sempre più ampio intorno agli anni 70 a Parigi. Mostre organizzate dall’accademia reale di Francia attirarono, infatti, una folla tanto vasta e eterogenea da far inorridire gli aristocratici.
Il “Caffè”,uno dei giornali più importanti nell’epoca dell’illuminismo,ebbe un ruolo fondamentale nella divulgazione e circolazione delle idee. Precedentemente vi erano gazzette di informazione,repertori di notizie politiche,militari,diplomatiche ma rigide e controllate dai governi a cui si affiancarono nella seconda metà del seicento periodici per letterati,per collegare gli intellettuali alle realtà europe.
Il giornalismo settecentesco fa riferimento all’inglese “The Spectator”(1711-12) di Joseph Addison e Richard Steele,che grazie al tono ironico con cui parla al nuovo pubblico borghese,fornendogli recensioni,aneddoti,riflessioni morali di immaginari membri di un club,origina un’immagine della cultura più disinvolta,più a scopo intrattenitivo e molto aperta agli argomenti più disparati. Analogamente il gruppo milanese del “Caffè” pone i propri articoli su uno sfondo di un’immaginaria bottega di caffè frequentata da vari ospiti che dibattono:così facendo i lettori possono apprezzare uno stile sciolto e una varietà di temi che fanno sviluppare questo genere ampliamente in Italia. Altri giornali ispirati dal modello inglese sono veneziani,grazie allo sviluppo dell’attività tipografica e della grande vita intellettuale.
La “Gazzetta veneta” fu proprio un’idea del veneziano Gaspare Gozzi,che dovendo risanare la sua situazione economica,dopo una forte decadenza,decise di occuparsi di giornali e di ampliare la cerchia dei propri lettori,proponendogli avvisi economici,fatti della cronaca locale e di costume riassunti ironicamente da Gozzi. Altro,ma meno quotidiano,è l’”Osservatore veneto” in cui gli insegnamenti morali conservatori si trasformano in sogni,novelle,favole. Nel 1700 della letteratura italiana entra a far parte la figura del critico militante,poco interessato alla riflessione metodica sui problemi estetici,che affida i suoi giudizi,spesso polemici,a brevi interventi saggistici centrati su opere o temi specifici. I più rappresentativi sono: Giuseppe Baretti,con “La frusta letteraria”, dove si finge un soldato in pensione polemico e irruento nei confronti dei libri prestatogli dal curato del luogo. Polemizza contro i letterati italiani per il loro mal gusto,il perfido costume e la vigliaccheria per due motivi:da un lato si attiene alle posizioni conservatrici,dall’altro definisce l’arte come libertà espressiva,attinente alla realtà e non ingegnosa. La novità della sua critica sta nel carattere umorale e irruento nel prendere posizioni,più soggettive,contraddistinte da una prosa aggressiva e sarcastica in pieno contrasto con i salotti dei letterati.
Per tutto il 700 in Italia si continuarono a parlare diversi dialetti, l’italiano però restò una lingua scritta.
L’italiano iniziò ad essere usato non solo in letteratura, ma anche nei giornali, nelle gazzette e negli opuscoli. Gli intellettuali più intelligenti cercarono di ridurre la distanza tra lingua scritta e la lingua parlata.
Un ruolo fondamentale del nuovo rinnovamento linguistico ci fu con la cultura europea. Dalla Francia arrivarono nuove discipline scientifiche e parole francesi che diventarono d’uso comune della nostra lingua. Questo rinnovamento investì quasi esclusivamente la prosa saggistica, in particolare si aprì così una nuova fase della secolare “questione della lingua”.
Sul versante della conversazione si collocò l’accademia della Crusca, che formò la difesa del modello fiorentino trecentesco. Il nome faceva riferimento alla necessità di separare la crusca dalla farina, ovvero la buona lingua dalla cattiva: l'insegna era infatti quella del frullone, o buratto, il cassone di legno entro il quale il mugnaio separava la crusca.
Più arieggiato e agguerrito è il campo degli innovatori. Già nel primo Settecento, Muratori e Gravina avevano preso le distanze dal conservatorismo della Crusca in nome di un moderato rinnovamento, basato sulla naturalezza e sul “buon gusto” più che sulle regole. Le posizioni più radicale sono prese degli illuministi del “Caffè”, che propugnano una concezione dinamica della lingua come strumento di comunicazione pratica e veicolo di idee, basata sull’uso e aperta agli influssi stranieri. Le posizioni degli innovatori trovano la sistemazione nel Saggio della filosofia delle lingue di Melchiorre Cesarotti. L’idea centrale è che la lingua è un organismo vivo, che si evolve col mutare delle situazioni storiche e sociali.
Il 700 fu il secolo in cui nacque l’estetica moderna, come disciplina autonoma che si occupava del bello e dell’arte, mettendo a fuoco un insieme di concetti nuovi: gusto, genio, sentimento. In un’epoca in cui l’interscambio dei diversi linguaggi artistici si faceva particolarmente frequente, se ne studiavano le analogie e le specificità, e per la prima volta si delineò una concezione unitaria delle “belle arti”.
Nel secondo 700, il tema dell’ efficacia comunicativa e del valore educativo dell’arte è ripreso dagli illuministi: si reclama un’arte fatta di “cose e parole”, che non abbia una funzione morale ma di utilità sociale. Ma le novità più radicali sul piano teorico provengono dalle teorie sensistiche, che vogliono spiegare ala specificità della comunicazione artistica a partire dai suoi affetti percettivi e psicologici.
In un trattato Cesare Beccaria sosteneva che un’opera letteraria era tanto più riuscita quanto più numerose erano le sensazioni che riusciva a trasmettere. Anche Pietro Verri partiva da premesse rigorosamente sintetiche: le vere molle dell’azione umana sono la fuga dal dolore e la ricerca del piacere.
Fonte: http://classe4ba.altervista.org/3__L_ILLUMINISMO.doc
Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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