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La rivoluzione russa del 1917
Sotto la cappa della secolare autarchia zarista, la Russia, al momento dello scoppio delle rivoluzioni del 1917, nascondeva nodi conflittuali che la confermavano totalmente anacronistica rispetto al resto dell’Europa. Retaggi feudali convivevano con la spinta alla modernizzazione sociale ed economica: le realtà neolitiche della Siberia, l’agricoltura delle comuni di villaggio (le obscina rette dalle mir) convivevano accanto le moderne industrie di San Pietroburgo e di Mosca. Accanto ad un regime autoritario ed ottuso convivevano fermenti ideologici e politici diversi tra loro ma tutti improntati al rinnovamento.
I nodi Conflittuali
I motivi che favorirono le due rivoluzioni del 1917 furono gli stessi che causarono la “prima rivoluzione” nel 1905, tutti ascrivibili all’anacronismo del sistema zarista, incapace accogliere le istanze di modernizzazione che gli venivano da più parti:
Dopo la Rivoluzione del 1905, una sorta di prova generale per quella del 1917, questi problemi, lungi dall’essere stati risolti, si ripresentarono con forza con alcune aggravanti, emerse proprio in seguito alla rivoluzione del 1905, quali:
D. Lo scoppio della prima guerra mondiale. La rovinosa partecipazione della Russia alla I Guerra Mondiale contribuì a determinare il successo della rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917. La guerra, accelerando il processo di sfaldamento della compagine economico-politica-militare, favorì la catastrofe del regime autocratico e aprì la via alla rivoluzione socialista. Le prime sconfitte e il protrarsi del conflitto, infatti, misero a nudo le incapacità organizzative, di armamento e di approvvigionamento del vecchio impero. Il controllo tedesco sul Mar Baltico e quello ottomano sul Mar Nero privarono la Russia della maggior parte dei rifornimenti esteri e dei potenziali mercati del prodotto interno. Sotto i colpi delle sconfitte militari e della enorme crisi economica la “grande madre Russia” iniziò a scricchiolare. La produzione agricola, in seguito all’invio massiccio di contadini al fronte (12 milioni di uomini), subì una riduzione drastica e tutte le risorse vennero dirottate verso la produzione industriale. Questo determinò, soprattutto nelle città dove i salari diminuivano ed il prezzo dei generi di prima necessità aumentava, una situazione di grave penuria alimentare. Nelle città e al fronte il malcontento esplodeva, soprattutto nei territori non russi; sommosse e scioperi furono fronteggiati dallo zar con spietate repressioni. Nella stessa corte, nelle gerarchie militari e nella chiesa si crearono sacche di opposizione allo zar, il quale (sotto l’influenza della moglie, Alessandra, a sua volta plagiata da uno strano monaco- guaritore, Grigorij Rasputin) si opponeva os-ti-na-ta-men-te alle richieste costituzionali avanzate dall’opposizione liberale, il cosiddetto “blocco progressista”.
►In questo clima di fortissima tensione s’inserì la protesta operaia iniziata nel Febbraio del 1917 a Pietrogrado (come era stata ribattezzata San Pietroburgo, dopo lo scoppio della guerra mondiale) in seguito alla serrata delle industrie belliche Putilov, rimaste prive di materie prime. In pochi giorni fu proclamato, nella capitale, uno sciopero generale al quale si erano uniti tutti quelli (soprattutto le donne) che manifestavano contro il caro-vita e la mancanza di pane. Spaventato dalle imponenti dimensioni della protesta, lo zar impartì l’ordine di disperdere i manifestanti con la forza, com’era successo nel 1905, ma, in questo caso e a sorpresa, l’esercito si rifiutò.
Completamente isolato, tradito dal suo stesso esercito, Nicola II abdicò in favore del fratello Michele, il quale rifiutò la corona. La famiglia reale al completo fu arrestata. Il secolare regime autocratico russo era finito per sempre con la dinastia dei Romanov. La repubblica sarà dichiarata solo a Settembre.
Spontanea, rapida e incontrastata. Così fu la rivoluzione di Febbraio che non era stata organizzata dai partiti, in quanto i capi socialisti erano tutti in esilio.
Tirando le somme: i fattori decisivi della rivoluzione del Febbraio 1917 furono: la mobilitazione politica della classe operaia, la defezione dell’esercito e il protrarsi della grande guerra.
Le forze politiche rivoluzionarie si trovavano di fronte a molti problemi.
I. I centri di potere furono due:
1) Il Governo Provvisorio, che prendeva il posto della Duma (espressione della borghesia liberale).
2) I Soviet di Pietrogrado e delle alte città industriali, i consigli degli operai, dei soldati(i soldati sono il fattore nuovo rispetto ai soviet del 1905) e delle obscina (in mano ai social rivoluzionari).
Questa situazione di doppio potere nascondeva un vuoto di potere o meglio un frazionamento del potere in una miriade di piccoli nuclei di potere locali, soviet, comitati locali, di fabbrica, di quartiere, di villaggio, organizzazioni etniche e “guardie Rosse” (= milizie spontanee di giovani operai nei centri industrializzati). I diversi centri di potere esprimevano, in pratica, interessi disgiunti e programmi contrastanti.
1) Il governo provvisorio esprimeva l’interesse del Partito Cadetto (il partito della borghesia liberale) a ricondurre la rivoluzione in ambito parlamentare costituzionale, senza esiti socialisti. Libertà di parola, di stampa, di associazione politica, abolizione della pena di morte, autonomia per le minoranze nazionali e convocazione di un’assemblea costituente, furono i provvedimenti presi in questo senso (quelli di una normale democrazia liberale).
Nei vari soviet e comitati, gli operai parlavano di aumenti di salario e chiedevano la giornata di otto ore, i soldati la fine della guerra, i contadini la distribuzione delle terre lasciate incolte dallo stato o dai grandi proprietari.
II. Sulla questione della guerra, entrambi i gruppi auspicavano la continuazione di una guerra in senso difensivo, per evitare che una sconfitta desse spazio alle forze contro-rivoluzionarie.
III. Rimaneva da risolvere il problema agrario che era un nodo difficile da sciogliere.
Lenin.
In questo quadro emerge la figura di un membro del partito bolscevico, un matematico di nome Vladimir Il’ic Ul’janov detto Lenin. In esilio in Svizzera fino all’aprile del 1917, egli riteneva che la rivoluzione socialista in Russia fosse il prologo di una rivoluzione mondiale, ossia che la Russia fosse soltanto il primo passo di un processo rivoluzionario totale e questo, non solo in contrasto con l’opinione diffusa presso i dirigenti russi (compresi gli stessi bolscevichi), che pensavano che la rivoluzione attuata in Russia fosse ormai inevitabilmente borghese e non certo socialista, ma anche in contrasto con le più diffuse interpretazioni della dottrina marxista, che vedevano nel socialismo l’esito necessario del collasso del capitalismo industriale sviluppato. Al contrario, Lenin pensava che la guerra, scoppiata nel 1914 tra le potenze imperialistiche, costituisse l’inizio di una crisi del sistema capitalistico e di una trasformazione rivoluzionaria dell’Europa, proprio a partire dall’anello debole della catena, la Russia.
Entrando in guerra, Nicola II aveva fatto un regalo alla Rivoluzione Socialista!!!!
“Trasformare la guerra imperialistica in guerra civile” fu l’appello di Lenin ai dirigenti socialisti di tutti i paesi belligeranti. Nelle famose “10 Tesi di Aprile” presentate al congresso del Partito bolscevico, come in un decalogo (Libro, pag. 71) Lenin propose
Grazie alle parole d’ordine: “riforma agraria” e “fine della guerra” la popolarità dei bolscevichi crebbe, essi divennero la maggioranza nei due soviet più importanti, Pietrogrado e Mosca ed al fronte ricevevano sempre più consensi presso i soldati.
Intanto, la situazione in Russia nel corso dell’estate del 1917, era caotica. I soldati al fronte si ammutinavano, disertavano per tornare nelle loro campagne dove i social-rivoluzionari non riuscivano più a controllare il movimento dei contadini, che, in attesa della tanto promessa riforma agraria, iniziarono ad assalire le terre dei nobili ed anche di piccoli proprietari agiati, i Kulaki, con espropriazioni violente. Nelle città sull’orlo della fame e nelle fabbriche cresceva la protesta operaia che rivendicava non più solo aumenti salariali ma il controllo sulla produzione. Nella periferia dell’ex impero, i movimenti nazionalisti rivendicavano assemblee costituenti nazionali. Il governo provvisorio ritenendo i bolscevichi direttamente responsabili di questa situazione caotica reagì repressivamente nei loro confronti e Lenin dovette riparare in Finlandia e, per fronteggiare la situazione, la presidenza del governo fu assegnata ad un social-rivoluzionario moderato, il ministro della guerra, il principe Aleksandr Kerenskij.
►Ritenendo che i tempi fossero maturi per un’insurrezione armata del partito bolscevico, Lenin decise di ritornare clandestinamente a Pietrogrado per realizzare il passaggio del potere dal governo provvisorio, nato dalle giornate di febbraio ed emanazione della proprietà terriera e della borghesia industriale, ai Soviet, rappresentanti le masse operaie e contadine. Con due fedeli importanti leader, il compagno Lev Davidovi’c Bronstein (detto Trockij), presidente del soviet di Pietrogrado e Josif Visarionovi’c Dzugasvili (detto Stalin), allora direttore della “Pravda” (La Verità), il giornale del partito Bolscevico, Lenin formò un comitato militare che, nella notte tra il 24 e il 25 ottobre, conquistò, senza incontrare resistenza, il “Palazzo d’Inverno”, sede del Governo Provvisorio. Menscevichi e Social-rivoluzionari, a parte un ristretto numero, non aderirono al così chiamato Governo Rivoluzionario Bolscevico.
Memorizza: Con l’espressione Rivoluzione d’ottobre si intende la sollevazione rivoluzionaria per opera dei bolscevichi contro il governo provvisorio della Repubblica Russa (guidato dal principe ed erede al trono dello zar e poi diventato menscevico, Aleksandr Kerenskij).
“The Day After”
All’indomani della rivoluzione d’ottobre, il Governo Rivoluzionario Bolscevico prese una serie di provvedimenti economici e politici immediati che più tardi sarebbero entrati a far parte del cosiddetto “comunismo di guerra”.
I provvedimenti economici
I provvedimenti politici.
I fatti seguenti.
► Nel novembre del 1917 si tennero, in ogni modo, le elezioni per l’Assemblea Costituente, a suffragio universale e a scrutinio segreto. Il partito bolscevico, nonostante la crescita di popolarità, fu messo in minoranza da quello social-rivoluzionario, al quale andavano le preferenze dei contadini, la stragrande maggioranza degli elettori. Quando la Costituente si rifiutò di riconoscere la legittimità del Governo Bolscevico, fu fatta sciogliere con la forza il giorno successivo al suo insediamento, da Lenin il 19 gennaio 1918,. Con tale atto si concretizzava, secondo Lenin, la dittatura del proletariato, prevista dallo stesso Marx, come necessaria fase di transizione alla società comunista.
►Anche la guerra costituiva un pericolo per il fragile stato rivoluzionario. Vinte le resistenze interne allo stesso partito bolscevico, che assunse il nome definitivo di Partito Comunista Russo, Lenin riuscì ad ottenere il 3 marzo del 1918 la pace separata, con il trattato di Brest-Litovsk. Con esso, la Russia si impegnava al ritiro delle truppe e a rinunciare ai territori polacchi, alla Lettonia, all’Estonia, alla Finlandia e all’Ucraina (i territori maggiormente industrializzati e ricchi di giacimenti minerari).
► La pace umiliante di Brest.Litovsk e lo scioglimento della costituente, alimentarono, però, la reazione antibolscevica da parte di alcuni gruppi della rivoluzione del Febbraio 1917, menscevichi e socialrivoluzionari, ma soprattutto da parte delle armate controrivoluzionarie “bianche” (dal colore delle casacche dei cosacchi), organizzate da ex ufficiali dello zar. Insurrezioni e sommosse sconvolsero ancora una volta il paese.
► Si ebbe così un periodo di sanguinosa guerra civile, combattuta (tra il 1917 e il 1919) soprattutto nella zona del Don, in Ucraina e lungo la linea Transiberiana, grazie all’appoggio delle Potenze Occidentali (Gran Bretagna, Francia, USA e Giappone) che, preoccupate dell’orientamento comunista assunto dalla rivoluzione russa, fornirono aiuti economici e militari alle armate bianche controrivoluzionarie. Furono due anni sanguinosi, funestati da eccidi e brutalità da entrambe le parti, a spese soprattutto della popolazione contadina, senza battaglie campali ma con uno stillicidio di scontri locali. In questa frenesia di sangue si colloca anche l’eccidio da parte bolscevica dell’intera famiglia Romanov, la famiglia reale, detenuta a Ekaterinburg, nel luglio del 1918.
Per quanto i Cosacchi fossero preparati militarmente, l’ordine fu ristabilito dai bolscevichi che potevano contare su una potente ala militare, l’Armata rossa, organizzata da Trockij ed improntata ad alti livelli di disciplina e fedeltà alla causa rivoluzionaria. Del resto i “bianchi” non erano riusciti a fidelizzare le popolazioni “liberate” dai “rossi”, dato che non seppero regalare loro altro che dittature spietate e la prospettiva di un ritorno al passato.
Il “comunismo di guerra”.
Dopo aver pacificato la Russia all’interno e vinto la guerra con la Polonia (pace di Riga 1921), il cui esercito invase l’Ucraina nell’aprile del 1920, il governo comunista bolscevico (leggi Lenin) si trovò a fare i conti con un’economia distrutta ed un paese sanguinante.
I provvedimenti adottati presero il nome di comunismo di guerra.
► Sul piano economico, persi i territori più ricchi, le Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania), la Finlandia, la zona del Volga (circa 800.000 km quadrati di territorio e il 75 per 100 dei giacimenti carboniferi e di ferro), il Governo Bolscevico cercò di accelerare il processo di abolizione della proprietà privata e del libero mercato, al fine di assicurare i rifornimenti all’esercito e di arginare la situazione di grave penuria alimentare in cui versava il paese che era in piena guerra civile. Le parole d’ordine furono: Nazionalizzazione delle imprese, anche delle più piccole. Statalizzazione del commercio interno. Requisizione forzata di tutto il grano eccedente le pure necessità di sopravvivenza.
► Sul piano politico, fu instaurata di fatto la dittatura del Partito Comunista e amplificati i suoi poteri: messe fuori legge le altre organizzazioni politiche, proibiti i giornali non bolscevichi e reintrodotta la pena di morte. Attraverso la CEKA, “arma suprema per la realizzazione della volontà del proletariato”, venne instaurato un vero e proprio terrore. Il partito assunse un potere assoluto, svuotando di contenuto il ruolo dei soviet; le decisioni assunte dai vertici del partito dovevano essere accettate da tutti.
L’insieme dei provvedimenti era visto come la necessaria risposta alla critica situazione in cui versava il paese, dilaniato dalla guerra civile e minacciato dall’intervento straniero, con un’economia disastrata dalla Grande guerra e dalla recente rivoluzione. Con questi interventi il governo di Lenin riuscì ad avere ragione dei propri avversari a quale prezzo.
Zoppicante o meno, nel dicembre del 1922, sulle ceneri del vecchio impero, nasceva l’URSS (CCCP) Sojuz Sovietskich Socialističeskich Respublik, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Uno stato federale che univa la Repubblica Socialista Sovietica Russa con le tre repubbliche “autonome” di Ucraina, Bielorussia e Transcaucasia. Col passare del tempo le autonomie dei governi locali diverranno solo formali.
Il nuovo stato era nato fortemente segnato da:
Alla luce di tale consapevolezza e, soprattutto, della grave frattura apertasi tra governo comunista e popolazione, Lenin decise di dare avvio alla Nuova Politica Economica (NEP), che prevedeva l’abbandono del “Comunismo di Guerra” e la reintroduzione, nella vita economica, di elementi di libertà e Profitto individuale. Una fase di economia mista (iniziativa privata e gestione pubblica) che permettesse la transizione graduale verso un sistema socialista.
Risultati positivi della NEP:
Insuccessi della NEP:
Il “circolo economico” previsto dalla NEP, ossia l’Alleanza tra agricoltura e industria, tra il grano e l’acciaio, che avrebbe dovuto consentire gradualmente all’industria di produrre strumenti per l’agricoltura, così da accrescerne la produttività e liberare beni e risorse umane per la produzione industriale, stentava ad avviarsi. L’agricoltura era ancora poco più che medievale e l’industri produceva beni di pessima qualità ad alti prezzi.
5. Come industrializzare la Russia?
Negli anni venti si accese un dibattito su un tema cruciale: come industrializzare la Russia.
I sostenitori della NEP, come Nicolaj Bucharin, il presidente del Comintern, ritenevano che la NEP fosse l’unica via e promuovevano l’idea di una trasformazione graduale, “a passo di tartaruga”, del sistema economico, basato sull’aumento della produttività agricola. Questo avrebbe anche favorito il consenso della classe dei contadini (= la maggioranza della popolazione) consentendo loro di arricchirsi senza costrizioni.
I critici della NEP, come Trockij, fondatore del Politburo (l’ufficio politico del partito comunista) e capo dell’Armata Rossa, ritenevano indispensabile forzare l’industrializzazione, diminuendo i costi di produzione (= costo dei salari e prezzi delle materie prime) e aumentando la produttività industriale (= lavorare di più), trasferendo risorse dal settore agricolo a quello industriale con prelievi fiscali, sfruttando le grandi risorse di materie prime (giacimenti minerari) e la forza-lavoro che l’Urss possedeva.
Questo dibattito economico s’intrecciò con quello politico, quando Lenin si ammalò gravemente nel 1922. Occorreva pensare al “successore” di Lenin a capo del Partito. Bucharin, Trockij o Stalin? Occorre ricordare che alle aperture economiche degli anni della NEP non corrispondevano altrettali aperture di tipo politico. Al contrario, al fine di evitare correnti “deviazioniste” in senso anticomunista, all’interno del partito si era intensificato il regime antifrazionistico che mirava ad espellere elementi “di non provata lealtà alla causa”. Questo permise a Stalin, dal 1922 Segretario generale organizzativo del partito, il pretesto per sbarazzarsi d’ogni avversario ed in particolare del più carismatico ed idealista, Trockij. Quest’ultimo, sosteneva la teoria della “Rivoluzione Permanente”, un’insurrezione a livello Internazionale, guidata dall’Unione Sovietica e consentita soltanto da un’industrializzazione accelerata di quest’ultima. Alleandosi con Bucharin ed abbracciando le teorie moderate di costui, Stalin elaborò e riuscì a far prevalere la tesi opposta del “socialismo in un solo paese”. Questa prevedeva un accantonamento del processo rivoluzionario europeo, dato il fallimento della prospettiva rivoluzionaria europea (dopo la distruzione della lega spartachista avvenuta in Germania nel 1919, ad opera dei Freikorps) ed evidenziava la necessità impellente del consolidamento della “Patria del Socialismo” attraverso la normalizzazione dei rapporti con gli altri Paesi capitalisti e il convogliamento di tutte le risorse economiche dei Partiti comunisti occidentali in questa impresa. Questa teoria affermava insomma che la rivoluzione non aveva più bisogno di essere incoraggiata nei paesi capitalisti, poiché la Russia poteva e doveva conquistare il socialismo da sola. Ideata in realtà da Bucharin, questa tesi sarebbe diventata un marchio di fabbrica dello stalinismo.
Inizia così un periodo di opposizione ideologica che scatena, nel 1924, la “lotta contro il Trotskismo”, un feroce scontro in cui, senza risparmio di colpi bassi, viene portata avanti da Stalin l’emarginazione dell’ala trotskista, fino alla espulsione di Trockij dal partito, nel 1929, ed al suo esilio, insieme ai suoi alleati, Zamenev e Zinov’ev.
Gli anni a partire dal 1924, anno della morte di Lenin, furono, dunque, contrassegnati da due emergenze: la lotta per la successione a Lenin e la necessità di modernizzazione del paese. Le due cose non erano disgiunte. Stalin riuscì ad imporsi sull’ala destra di Nicolaj Bucharin e la sinistra di Lev Trockij (ricordiamo che la prima sosteneva la necessità di una industrializzazione lenta del paese, per non inasprire la forza contadina che doveva essere lasciata libera di coltivare della terra in proprio, tralasciando l’ipotesi di una “rivoluzione mondiale”, la seconda riteneva indispensabile, per il consolidamento dell’Unione Sovietica, l’avvio di un’industrializzazione forzata e soprattutto l’esportazione in tutta Europa della rivoluzione bolscevica).
Stalin, assunto il controllo del partito (attraverso l’epurazione dai suoi quadri degli elementi “corrotti” e la formazione politica dei nuovi dirigenti con una dottrina, da lui stesso elaborata e derivata da un’interpretazione del pensiero di Lenin, il “leninismo”) riuscì ad armonizzare queste due posizioni nella teoria che prevedeva il “socialismo in un solo paese” (di Bucharin) arricchito dall’incremento dell’industrializzazione (di Trockij). Una linea politica realistica e mediatrice che gli procurò il consenso della maggioranza del partito.
Stalin mutò la linea d’appoggio alla Nep dopo che nel 1927 si ebbe una grave crisi nel raccolto del grano e decise per l’industrializzazione coatta, a costo di innescare uno scontro con i contadini. Al diavolo anche loro, pensò, qui occorre forzare la mano all’industria per recuperare i 100 anni che ci separano dal resto dell’Europa… O lo facciamo subito o ci schiacceranno. La priorità per il partito, con Stalin a capo, era, dunque, l’industrializzazione. Tale prospettiva, però, prevedeva la difesa dei confini. In un paese neo-nato, “alternativo” e poco gradito alle sovranità europee, occorreva costruire una grande potenza militare in grado di difenderlo.
►Al fine di ottenere il consenso alla dittatura che intendeva imporre al popolo russo, Stalin propagandò in ogni modo l’idea di una congiura “occidentale” ai danni dell’URSS: “se pavento un pericolo, rendo più digeribile l’idea di misure eccezionali (= dittatoriali) per arginarlo!” La necessità di difendersi da un pericolo, fu uno dei temi ricorrenti dell’ideologia staliniana. Tutte le forze furono quindi concentrate al fine di potenziare l’industria pesante e la corsa agli armamenti. Per colmare il divario di secoli che separava l’Urss dai paesi più progrediti dell’Europa fu necessario adottare misure estreme.
►La Pianificazione Integrale dell’Economia fu lo strumento usato da Stalin per dare il via all’industrializzazione del paese.
Tale strumento prevedeva un organismo direttivo, il Gosplan(commissione per la pianificazione generale di stato) ed una modalità di gestione interamente Statale. Lo Stato stabiliva cosa produrre, in quanto tempo, con quali investimenti. Questo presupponeva la proprietà pubblica dei mezzi di produzione: ogni industria o azienda agricola doveva obbedire ad un piano in cui erano indicati gli obiettivi della produzione e i mezzi per raggiungerli. Funzionari statali controllavano che le direttive fossero rispettate e gli obiettivi raggiunti.
Furono imposti Piani Quinquennali (il primo tra il 28 e il 32, il secondo tra il 33 e il 37. Il terzo fu interrotto dalla seconda guerra mondiale). Lo sforzo fu immane e il prezzo pagato, umano e sociale, fu altissimo, ma l’Unione Sovietica nel 1940 era diventata una grande potenza industriale, seconda solo agli Stati uniti e alla Germania.
►Per avviare il piano economico occorreva accumulare un enorme capitale. A tal fine furono percorse due strade (che costituivano l’idea di Trockij).
1. Il basso regime dei salari fu accompagnato da un intenso lavoro di propaganda ideologica che aiutò ad accettare quella che, di fatto, era una militarizzazione del lavoro operaio (= i sacrifici erano grandi, ad es: una legge del 1932 imponeva una disciplina ferrea sul luogo di lavoro e nel 1940 fu introdotto il divieto di cambiare lavoro senza il consenso dell’amministrazione di fabbrica).
2. Il trasferimento di ricchezza dall’agricoltura all’industria fu raggiunto attraverso la collettivizzazione forzata delle terre. Milioni di aziende furono unificate in fattorie cooperative, i Kolchoz (con obbligo di consegna dei prodotti al prezzo, bassissimo, fissato dallo stato) o divennero proprietà dello stato, i Sovchoz, in cui i contadini erano stipendiati (poco) dallo stato. Tutto ciò portò ad un nuovo duro scontro sociale. I contadini, soprattutto i Kulaki (che come sappiamo erano quelli relativamente più agiati, quindi quelli che avevano più da perdere in quest’operazione), da sempre meno malleabili degli operai, reagirono alla collettivizzazione forzata con le armi oppure imboscando le derrate alimentari o macellando il bestiame per sottrarlo alle confische. Contro di loro Stalin mobilitò una campagna di Terrore e Sterminio: oltre che come “classe sociale”, i Kulaki dovevano sparire anche fisicamente. Dal 1930 furono “schedati” ed i più pericolosi per il regime furono deportati in Siberia, dopo essere stati privati dei loro beni (e in caso di resistenza fucilati). Di fatto, data la difficoltà di stabilire chi fosse un kulak i provvedimenti colpirono tutti i contadini che osavano ribellarsi alle collettivizzazioni. La differenza tra Bucharin e Stalin era che il primo riteneva questi metodi un ostacolo per lo sviluppo economico; il secondo invece riteneva un errore lasciare nelle mani della classe dei contadini agiati gli strumenti di produzione con relativo diritto di libero godimento della terra e lo sfruttamento del lavoro salariato nella campagna. No, i Kulaki per Stalin andavano eliminati come classe e non con semplici misure fiscali o limitazioni generiche ma con una politica di totale privazione delle loro fonti economiche (come il diritto ad utilizzare la loro terra, il diritto a possedere mezzi di produzione e mano d’opera salariata).
L’esito di questa campagna di collettivizzazione forzata? Disastroso! La produzione agraria subì una recessione rispetto agli anni della Nep, per la resistenza o la disaffezione al lavoro dei contadini obbligati al lavoro nei Kolchoz. La gran parte del raccolto era prelevata d’autorità ad un prezzo irrisorio e destinata all’esportazione, solo una minima parte era destinata all’autoconsumo o alla libera vendita: conseguenza, nell’inverno del 1932 una grave carestia decimò la popolazione di alcune regioni, come l’Ucraina. Per fronteggiare questo disastro, il governo decise di ancorare maggiormente i contadini ai Kolchoz, imponendo l’uso di passaporti interni per circolare nel paese, e di destinare una piccola parte della terra delle fattorie collettive alla coltivazione in proprio. Risultato: nel 1938 questi piccoli appezzamenti “privati” (il 3,9% della superficie coltivata del paese) fornirono il 45% della produzione agricola totale!!! Un successo senza precedenti in Russia.
►L’obiettivo finale dell’industrializzazione rapida comportava il necessario sacrificio degli agricoltori, quindi l’accumulazione coatta a favore degli investimenti si rivelò un male necessario. Tutte le risorse disponibili furono allocate nell’industria pesante e negli armamenti. Niente industrie di beni di consumo; del resto i salari erano tenuti talmente bassi che nessuno avrebbe potuto acquistare alcunché.
►Inoltre, all’utilizzo di quadri tecnici e amministrativi qualificati ma di estrazione “borghese” venne preferito quello di lavoratori di provenienza popolare, di sicura e provata fedeltà politica ma sicuramente meno specializzati e preparati velocemente “all’uso” attraverso un’istruzione tecnica accelerata. Questo fu un fattore critico per la produttività e l’efficienza delle imprese. Sprechi, inefficienze e corruzione costituirono da allora in poi il maggiore problema dell’economia sovietica.
►l’industrializzazione accelerata comportò inoltre uno spostamento sociale e territoriale dalla campagna alla città, creando gravi problemi di urbanizzazione di grandi masse di lavoratori (circa 20 milioni passarono dall’agricoltura all’industria).
Il bassissimo tenore di vita, sia nelle città sovraffollate che nelle campagne spopolate, fu compensato dalla cura nei servizi sociali. Un merito indubbio del regime sovietico fu ad esempio l’alfabetizzazione di un enorme paese quasi completamente analfabeta.
1. La Burocrazia e il partito.
Parallelamente alle misure economiche venne consolidata la dittatura del partito all’interno della società e quella di Stalin all’interno del partito.
Il partito si era venuto ad identificare con lo Stato. In questo senso possiamo parlare di Totalitarismo. Verso la fine degli anni ’30, il partito raggiunse i 4 milioni di iscritti e condensava in sé tutti gli strumenti del potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Si occupava dell’educazione politica della gioventù e controllava l’opera del sindacato, ormai privo di ogni autonomia. Svolgeva una capillare funzione di gestione e di controllo delle attività ricreative e sociali dei lavoratori, della cui assunzione e del cui impiego si occupava. Dal partito dipendevano le nomine dei dirigenti che facevano parte della cosiddetta nomenklatura, l’importante ceto dei politici e degli amministratori. La burocrazia, necessaria alla pianificazione ed indispensabile per un controllo statale così capillare, nell’economia come nella vita quotidiana, si dilatò enormemente fino a divenire il maggior problema dell’Unione Sovietica dell’età di Stalin. Ogni attività era controllata dalla macchina dello Stato-partito che si serviva di funzionari spesso poco preparati, disonesti e gelosi dei loro piccoli privilegi.
2. Il Terrore.
Il processo di burocratizzazione dello stato si completò nel 1935, quando ogni possibilità di dissenso e di dibattito, anche all’interno dello stesso Partito, fu preclusa. La dittatura si trasformò in autocraziaquando il rapporto tra Stalin e la polizia politica segreta (Gpu fino al 1934 e Nkvd in seguito, “Commissariato del popolo per gli affari interni”) aprì una fase di vero e proprio terrore. Il biennio delle grandi purghe, tra il ‘ 36 e il ’38, fu l’epoca più buia del regime staliniano. Dirigenti politici, quadri dirigenziali, funzionari, ufficiali dell’esercito e semplici cittadini in odore di sospetto furono giustiziati, indotti al suicidio o deportati nei Gulag (sigla che identifica i “campi di lavoro correttivi”, utilizzati a fini economici per realizzare le grandi opere civili, ferrovie, canali, aeroporti, previste dai piani quinquennali). Con l’accusa di “deviazionismo” o “cospirazione” vennero condannati dirigenti “storici” della rivoluzione, come Zinov’ev e Bucharin (che sarà fucilato nel 1938). L’intero gruppo dirigente bolscevico fu eliminato e decimato lo stato maggiore dell’Armata Rossa. Un clima di sospetto e l’abitudine alla delazione si diffusero in tutto il paese. I tribunali lavoravano a pieno ritmo ed emettevano condanne sulla base di semplici sospetti o di confessioni estorte con la forza dall’onnipresente polizia segreta.
Il bilancio positivo della politica industriale, valse a Stalin i titoli di “capo delle classi operaie del mondo intero”, di “incomparabile genio della nostra era” e di “più grande uomo di tutti i tempi”, attribuitigli in seguito ai successi del primo piano quinquennale. Era l’era del suo trionfo, che si trasformò in un vero e proprio culto della sua persona. Questo culto gli era tributato non solo dai funzionari del partito ma da gran parte della popolazione. Il motivo di tale venerazione affonda le radici senza dubbio nella tradizione popolare di conferire un ruolo quasi divino allo zar, il “piccolo padre della Russia”, ma va soprattutto ricercato nel progetto di Stalin, peraltro riuscito, di trasformare l’Urss da paese arretrato quale era in una grande potenza. Questo aveva risollevato l’orgoglio nazionale. Il culto del capo fu un elemento indispensabile per corroborare lo sforzo immane richiesto alle masse sovietiche in vista del progetto di industrializzazione. Lo scopo, in ultima analisi non era esclusivamente economico ma sociale. Era la trasformazione violenta e veloce della società che implicava la guerra repressiva contro i contadini (simbolo della “vecchia Russia”) e la creazione e l’esaltazione di un nuovo tipo di lavoratore (l’operaio fedele alla rivoluzione ed al partito). Strumento di ciò il Terrore. La propaganda del regime seppe farlo tollerare attraverso la colossale e paterna figura di Stalin che, dall’alto degli enormi manifesti, appariva circondata da un’aura di benevola onnipotenza. Tale culto personale fu il nucleo centrale di quest’ortodossia laica. “Sermoni, giuramenti, adulazioni e panegirici diedero alla neo-autocrazia un sapore spiccatamente bizantino” La frenetica costruzione di un super-stato, dotato di una nuova organizzazione sociale, impose la necessità di un ritorno esteriore ai modelli del passato, risalente ai fasti dei grandi despoti edificatori, come Pietro il Grande o Ivan il Terribile. Un certo ritorno al passato si ritrova nello stile del cerimoniale del regime, processioni con icone raffiguranti i dirigenti vivi e morti, cerimoniali pubblici ritualizzati, fasti e pomposità tipiche della liturgia ortodossa. Le frontiere del paese erano definite “sacre”, i decreti governativi “comandamenti”, passi tesi a marciare decisi nel senso di una santificazione dello stato secolare. Tutto ciò che poteva servire all’integrazione dei contadini, alla costruzione di un’industria e di uno stato potenti fu messo in gioco, dagli strumenti parareligiosi agli inni glorificanti la grandezza della patria, al fine di costruire un nazionalismo di grande incisività.
Come già evidenziato, il mezzo con cui Stalin presentava se stesso come l’unico “legittimo”erede di Lenin ed interprete dell’unica interpretazione possibile della dottrina marxista, il leninismo, fu la propaganda. Il concetto di “emulazione socialista” (lo stimolo alla competitività tra lavoratori all’interno di una stessa impresa e tra le diverse imprese), necessaria al regime per raggiungere in minor tempo gli obiettivi della pianificazione e la crescente demonizzazione dei “nemici” della rivoluzione (che serviva a giustificare le crudeli misure repressive), furono gli oggetti principali della propaganda staliniana. Repressione e propaganda andavano di pari passo. Alle misure ferree della disciplina, all’interno delle fabbriche comuniste si affiancava l’esaltazione del modello dell’operaio instancabile come “eroe del lavoro socialista”, un’onorificenza ambitissima, istituita nel 1938 con un decreto del Soviet Supremo. A questo proposito valga l’esempio del minatore Alekseji Stachanov, il quale lavorò nelle miniere di carbone della regione del bacino del Donec (in territorio ucraino) . Egli divenne celebre, per aver ideato un metodo estrattivo in grado di aumentare la produttività della squadra di lavoro fino a quattordici volte, battendo ripetutamente il record del numero di tonnellate di carbone estratte in un turno di lavoro. La prima occasione in cui tale record fu battuto, il 31 agosto 1935, Stachanov raccolse 102 tonnellate di carbone in 5 ore e 45 minuti. Il governo sovietico adottò in altre miniere tale metodo estrattivo, conferendo a Stachanov numerose medaglie ed il titolo di “lavoratore modello”. Secondo alcune fonti statunitensi, la storia di Stachanov sarebbe stata ampiamente manipolata dalla propaganda sovietica.
L’uomo a cui Stalin affidò il compito di trasformare la cultura russa in “ideologia” di regime fu Andrej Ždanov. A lui Stalin affidò il compito di sottoporre la scienza e l’arte ai principi della dottrina marxista-leninista e di trasformare la cultura russa in ideologia di regime (una specie di Göbbels sovietico). Al primo congresso degli scrittori sovietici, tenutosi a Mosca nell’estate del 1937, Ždanov enunciò ufficialmente la teoria del realismo socialista, formulata da Maksim Gor’kij. La corrente, che si sarebbe allargata in seguito a tutti i paesi socialisti del centro ed est Europa, intendeva esaltare la realtà rivoluzionaria. Ottimista, entusiastica, progressiva, forte in quanto al servizio di una causa nuova, così è descritta da Zdanov la letteratura sovietica, nel discorso tenuto al congresso del 1934 e “ingegneri delle anime umane” sono detti gli scrittori, che si devono adoperare per diffondere per educare i lavoratori nello spirito del socialismo.
Le opere non ritenute conformi agli ideali del partito furono accusate di “formalismo” e censurate e gli autori ammoniti pubblicamente. Il triennio detto Ždanovščina (“Era di Ždanov” 1946-48) segna il culmine di questa situazione di controllo e repressione.
Burocrazia, Culto del capo, Terrore e Propaganda, questi gli elementi del sistema sovietico degli anni dal 1924 al 1953, anno della morte di Stalin, che costituiscono il quadro totalitarista e dittatoriale in cui collocare il regime staliniano. Un nesso indissolubile legava le scelte economiche, l’uso del terrore e della propaganda mirata. La collettivizzazione e l’industrializzazione forzata, battaglie condotte mediante l’uso congiunto della coercizione e della propaganda, non avevano significato ed obiettivi esclusivamente economici, ma furono strumenti per la creazione di una società “nuova”, che intendeva liquidare l’arcaico sistema rurale e volti a smantellare ogni forma di opposizione e a creare una nuova figura di lavoratore, contadino o operaio, assolutamente fedele al partito e direttamente inserito nello Stato. Indispensabile fu anche l’eliminazione della “vecchia Guardia”, i vecchi quadri della burocrazia e dell’esercito, che remavano contro la modernizzazione del paese, inserendo al loro posto nuovi dirigenti, fedeli a Stalin. Al centro di tutto, l’onnipotente figura di Stalin, temuto, rispettato e odiato. L’aver riportato i contadini al ruolo di servi della gleba, l’aver utilizzato i prigionieri dei Gulag come mano d’opera a basso costo per realizzare grandi opere fruttò al sistema un notevole consenso, anche se non tra i contadini, ed a Stalin il tributo di un culto che ricevette nel corso della sua lunga carriera di leader.
Queste sono solo alcune tra le domande che animano la discussione storiografica sulla Stalinismo, fortemente influenzata, al pari di quella sulla rivoluzione sovietica, dalle posizioni ideologiche personali. La lettura dei brani a pag. 194-199 (Letture 1-2-3-4) potrebbe essere utile per chiarire almeno uno dei punti in questione, quello riguardante la pianificazione l’industrializzazione e la collettivizzazione forzata.
Si laureò in matematica con Nicolaj Lobacevskij, uno dei fondatori delle geometrie non euclidee.
Per essere designato “Kulako”era sufficiente possedere quattro mucche, due cavalli, un aratro e un operaio agricolo; con due sole vacchette ed un cavallo si era contadino medio.
Egli arrestò un tentativo controrivoluzionario attribuito al generale cazako Lavr Kornilov.
Per approfondire: John Reed I dieci giorni che sconvolsero il mondo, 1919.
Trockij morirà in Messico, dove era riparato dal 1940, ucciso in un attentato organizzato dalla polizia segreta sovietica, cui partecipò anche il pittore e attivista David Alfaro Siqueiros.
In seguito ad un decreto, i Kulaki furono divisi in tre categorie: i simpatizzanti con le attività controrivoluzionarie; i neutrali ma supersfruttatori; i favorevoli al regime.
Circa 5 milioni di persone, secondo le stime più recenti, furono deportate e buona parte morì in Siberia.
Con questo termine, si indica l’intero sistema di concentramento sovietico, diviso in due tipologie: il campo di rieducazione attraverso il lavoro, situato in regioni poco popolate e lontane, come la Siberia, dedicato ai soggetti ritenuti più pericolosi o la colonia rieducativa, per soggetti di scarsa pericolosità sociale e pene detentive inferiori ai tre anni. Con le purghe staliniane, il numero dei campi aumentò, fino ad arrivare nel 1953, anno della sua morte a 175 con circa 3.000.000 di detenuti.
Si stimano in oltre 700.000 le vittime del terrore, delle quali quasi 500.000 erano funzionari e ufficiali
Marx Lewin, Storia sociale dello Stalinismo, Einaudi, Torino 1988, in Studiare Storia 3. p 198-199.
Da qui deriva il termine stacanovismo, per indicare la politica sovietica finalizzata ad aumentare il rendimento dei lavoratori.
Nel 1985, sul New York Times, un articolo sosteneva che il Partito Comunista Sovietico avesse chiesto a numerosi minatori di aiutare Stachanov in segreto affinché egli potesse superare i suoi record.
Solo dopo anni, con Nikita Khruščёv, si venne a sapere della tragica fine riservata a scrittori ed artisti che intesero difendere posizioni personali non gradite al regime.
Specifico del totalistarismo di Stalin fu il nesso che egli seppe istituire tra il culto della sua persona e la mobilitazione di massa, tra il Terrore e l’obiettivo dell’industrializzazione.
Fonte: http://keynes.scuole.bo.it/~miglioli/2011_12/La%20rivoluzione%20russa%20del%201917%20SOSTITUZIO.doc
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