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L’irruzione delle nuove tecnologie, specialmente di quelle elettroniche, ha suscitato diffusi e molteplici interessi verso le ripercussioni che esse hanno provocato sui bambini e sui ragazzi. Anche per effetto della facilità con cui possono essere avvicinate e per il fascino che esse esercitano, l’attenzione si è fatta particolarmente spasmodica. Tutto ciò è giusto e fondato, anche perchè la scuola non sempre è attenta a tali fenomeni. Se si pensa, poi, che l’ingresso nel mondo delle nuove tecnologie non costituisce un evento passeggero, ma un cambiamento epocale così come è avvenuto per la rivoluzione industriale, allora diventa ancora più necessario farne oggetto di attenzione.
Tuttavia, occorre dare al termine tecnologia una definizione più ampia di quella comunemente accettata e farne, a nostro avviso, un uso più largo e complessivo di quanto non avvenga quando lo riserviamo solo (o quasi esclusivamente) al computer o al cinema o alla televisione...C’è, in tutti questi, un invito esplicito a trattare dei linguaggi che essi utilizzano: a ritrovare delle sintassi e delle grammatiche, delle modalità di funzionamento interno, delle connessioni che vanno al di là del puro significante per andare al cuore del problema: la costruzione e la trasmissione delle conoscenze rimanda sempre alla costruzione del significato. Si tratta, infatti, di attività complesse che rifuggono (o, almeno, dovrebbero farlo) da semplificazioni addestrative e che esigono una presenza attiva e protagonista dell’allievo: è lui che si accorge di chi è, di che cosa fa, di che cosa gli sta intorno, di come funziona il mondo in cui si trova e di come la tecnologia che usa, di come funziona lui stesso. Ma tutto ciò, questo accorgersi, è reso possibile, ricco, acuto, generalizzabile se nel suo svolgersi può entrare fino in fondo dentro e usare i linguaggi che l’uomo ha inventato e sviluppato, senza prevenzione alcuna.
Sintetizzando possiamo dire che l’intera avventura scolastica – dalla materna al momento della professionalizzazione più sofisticata – corrisponda ad un grande viaggio all’interno dei linguaggi per impossessarsi della tecnologia che li sorregge e per esprimerne fino in fondo le possibilità. E, sempre sintetizzando, si tratta di un viaggio che si svolge lungo la traiettoria, affascinante e difficile, che va dall’emergere quasi spontaneo dell’oralità fino alla conquista dei complicati meccanismi che segnano tutti i sistemi di codificazione scritta. La scuola, d’altra parte, giustifica la propria esistenza soltanto assumendo la piena responsabilità nella conduzione di tale viaggio, proprio perchè non è possibile percorrerlo senza un aiuto competente.
E se la tecnologia è un insieme di operazioni e di materiali che consentono all’uomo di intervenire efficacemente sul mondo in cui vive, è evidente che i linguaggi costituiscono delle formidabili tecnologie: sono, come vedremo, vere e proprie protesi dell’uomo, ne amplificano formidabilmente i poteri sensoriali e mentali. Certo può capitare (sta capitando) che alcune tecnologie più avanzate finiscano addirittura per impossessarsi di competenze e operazioni che un tempo appartenevano all’uomo; tuttavia, anche questi “trasferimenti” di competenze rimangono sempre nella sfera dell’economicità e dell’efficienza: sono invenzioni che l’uomo continua a dominare e utilizzare per arricchire la propria capacità di intervenire per migliorare la propria sopravvivenza.
La scuola è interessata a tutto ciò, specie se si pone nell’ottica di garantire il pieno possesso sia dei linguaggi che meglio sono stati implicati nella tecnologia (i linguaggi spaziali, quelli matematici, quelli verbali, ecc...) sia di quelli che solo apparentemente sono considerati estetici, pur sapendo che anch’essi hanno grande parte nello sviluppo delle moderne tecnologie. C’è infatti tra il fare e il pensare, tra le cose e la loro rappresentazione, tra il corpo e la mente, un legame così stretto e indisgiungibile che può essere considerato l’elemento più importante da cui muovere per avviare il lungo processo di scolarizzazione del bambino. Per questo è possibile cominciare ad individuare una linea di continuità tra i diversi gradi scolastici se accettiamo di parlare di tecnologia dei linguaggi pensandoli come gli utensili più sofisticati, potenti e creativi che l’uomo abbia mai inventato e di cui disponga. E se pensassimo anche le tecnologie come grandi e formidabili utensili?
Dispositivi protesici
Vale la pena di rileggere una celebre pagina di Leroi-Gourhan: “La mano, in origine, era una pinza per tenere sassi; il trionfo dell’uomo è stato di trasformarla nell’esecutrice sempre più abile delle sue idee di fabbricatore. Dal Paleolitico superiore al secolo XIX, essa ha attraversato un interminabile apogeo. Nell’industria svolge ancora una funzione essenziale, grazie a pochi artigiani che fabbricano pezzi utensili delle macchine davanti alle quali la massa operaia avrà solo una pinza a cinque dita per distribuire la materia o un indice per schiacciare un bottone. Si tratta però di uno stadio di transizione, perchè è chiaro che le fasi non meccaniche della fabbricazione delle macchine verranno eliminate a poco a poco. Poca importanza avrebbe che diminuisse la funzione di questo organo di fortuna che è la mano, se tutto non stesse a dimostrare che la sua attività è in stretto rapporto con l’equilibrio delle zone cerebrali che l’interessano. Non saper fare nulla con le proprie dita non è una cosa
preoccupante a livello della specie perchè passeranno molti millenni prima che regredisca un sistema neuromotorio così antico, ma sul piano individuale è ben diverso: non avere da pensare con le proprie dita equivale a fare a meno di una parte del pensiero normalemtne, filogeneticamente umano. Esiste quindi fin da ora, a livello degli individui se non della specie, il problema della regressione della mano.”
Il significato ed il valore degli utensili, per i loro primi costruttori e utenti, è racchiuso nel loro stesso nome, che ripete immutabilmente il vecchio nome latino (eco, a sua volta, di nomi ancora più antichi): utensilia, cioè oggetti da usare per i bisogni della vita. Ciò che li caratterizzava e li caratterizza è il fatto di essere un prolungamento del corpo e delle sue potenzialità, rese effettive dall’intervento intenzionale e finalizzato della mente. Stringendo e operando con un cacciavite o un martello o un coltello, la mano dell’uomo diventa straordinariamente e infinitamente più potente, audace ed efficace, riuscendo a intervenire sul mondo in maniera del tutto nuova e insospettata. Ma l’operatività della mano va di pari passo, in un rapporto sinergico del tutto insestricabile, con l’evolversi dei poteri progettuali e creativi della mente.
Accanto agli utensili litici, ossei, ignei, metallici si sono presto sviluppati, ancora in u nrapporto sinergico del tutto inestricabile, anche gli “utensili simbolici”. I linguaggi, la cultura. “La cosa straordinaria della nostra specie – chiarisce Bruner – è che essa non ha bisogno di reinventare il mondo ad ogni generazione. Si può ricorrere al mondo della cultura e trovarvi dei dispositivi protesici. Per dispositivo protesico si intende di solito una gruccia o un tipo speciale di scarpa che allunga una gamba troppo corta; ma si può pensare ad un dispositivo protesico anche per aiutare la mente. La cultura è ricca di tali dispositivi, che aiutano a penetrare i problemi.”
L’incontro con la cultura
Quando si opera, sul piano educativo, con bambini piccoli ci si trova, di fatto, nella condizione di osservare e di dover intervenire sul modo in cui ogni individuo della specie umana si impossessa degli utensili e delle “protesi culturali” che gli consentono un processo di completa “ominizzazione”; l’assunzione nel gruppo, la capacità di vivere pienamente e totalmente al livello della realtà storica in cui si trova e di essere quindi totalmente adatto al proprio mondo e alla propria cultura secondo le caratteristiche della propria personalità.
E’ un processo, per così dire, inevitabile: il cucciolo della specie umana non può non entrare nella cultura in cui gli è stato dato di nascere e di assumere tutti gli elementi che la
caratterizzano e la qualificano. La nostra, poi, è una cultura straordinariamente complessa, fondamentalmente segnata dalla presenza onnivora dei linguaggi: di sistemi simbolici variamente codificati che hanno dato luogo ad una seconda “natura”, una realtà addirittura più ricca, sofisticata e complicata di quanto non sia quella originaria. “Ciò che chiamiamo vita – è stato detto – è in un certo senso informazione, cioè memoria accumulata geneticamente in miliardi di anni e mentalmente nel corso di ogni esistenza individuale”.
In fondo ciò che è davvero profondamente modificato nella vita dell’uomo non è tanto costituito dai materiali di cui dispone, quanto dalla tecnologia che egli ha messo a punto per operare sui materiali e trasformarli secondo i suoi bisogni, materiali e immateriali: una piccola pietra di silicio, volendo esemplificare con un’immagine sintetica, è servita migliaia di anni fa all’uomo primitivo per rendere più efficace la punta della freccia e serve oggi per fornirci il chip del computer. E’ evidente che ciò che è veramente cambiato e che agisce come elemento propulsore e trasformatore, intelligente, è la mente umana, la sua capacità di agire, progettare, pensare, produrre cultura come insieme delle tecnologie – materiali e simboliche – con cui realizza se stesso . “Dopo che ho lavorato molto sulla percezione, sul pensiero e sulla deduzione – aggiunge Bruner nella conversazione citata – ho pensato che sarebbe stato straordinariamente interessante scoprire l’inizio della mente. Ora, questa è un’idea insensata, perchè la mente c’è sempre. Comunque ho cominciato a lavorare con i bambini, considerandoli come l’inizio. Proprio nello stesso modo in cui Lévi-Strauss, come mi ha detto, si era recato da giovane nel Mato Grosso per osservare una società molto semplice pre-alfabeta, e raggiungere l’inizio della cultura; ma la cultura, come la mente, c’è sempre. In qualsiasi persona si osservi c’è la mente che opera al massimo delle sue possibilità. La mente cambia mentre si sviluppa, ma non è che per questo diventi migliore o di qualità più potente. Osservando lo sviluppo del pensiero, ho capito sempre meglio il punto di vista rappresentato da Vigotsky, che è essenzialmente la domanda su come si può aiutare la mente nel suo sviluppo. Lo sviluppo della mente è critico; allora quali dispositivi, quali suggerimenti, quali strutture, quali teorie si possono fornire al bambino perchè ne faccia uso?”.
Quando si arriva a queste domande ci si rende conto che l’insegnare ai bambini è un fatto profondamente umano. La nostra specie vive in un ambiente essenzialmente artificiale creato da essa stessa: l’uomo è la prima specie animale che crea il proprio ambiente, anche se con tutti i limiti imposti dalla propria struttura biologica. Ora tale ambiente è essenzialemtne caratterizzato dall’organizzazione che l’uomo ha saputo dare all’informazione da lui stesso prodotta, la cultura: “quando – conclude Bruner – si viene per così dire catturati dall’immagine della cultura umana come ingegnosa creazione dell’artificiale, allora, per la persona che è interessata allo
sviluppo della mente, l’insegnamento diventa centrale. Così ci si trova sempre alle prese, non con il modo più naturale, poichè non c’è un modo che sia più naturale di un altro, ma con il modo in cui la cultura stessa prepara il bambino all’incontro con la cultura.”. Quale coraggio avrà, quali aspettative, quali convinzioni, quali tecnologie avrà messo in campo per dominare i sistemi simbolici che appartengono alla cultura in cui vive ... tutto questo fa parte del processo educativo.
Fin dalla scuola materna
E’ chiaro che i fatti educativi appartengono a tutte le culture, almeno sotto forma di trasmissione di conoscenze, abilità, ruoli, valori. Ma è del tutto rilevante per noi una distinzione apparentemente elementare: mentre in una società pre-alfabeta la trasmissione culturale avviene come “saggezza ricevuta” nei confronti della quale non sono previste domande ma solo accettazione, nella nostra cultura la trasmissione avviene con l’impegno che non solo uno deve riceverla, ma anche aiutare a reinventarla, renderla propria. Questa è un’idea piena di forza e responsabilità, davvero pregnante per la pedagogia. E se si aggiunge che ciò vale, almeno dal Rinascimento e dalla Riforma protestante in poi, per tutti gli individui indistintamente (qui sta il significato più civile e umano dell’istruzione obbligatoria) si capisce che alla scuola viene appunto assegnato il compito di pianificare – con intenzionalità, sistematicità, professionalità, universalità – il lungo cammino che sembra separare il bambino dal pieno possesso della cultura adulta, cioè da quell’insieme di scienza, letteratura, arte, conoscenze, simboli, riti, abitudini, sentimenti che troppo spesso si presentano in ambiti separati e chiusi il luoghi privilegiati, per di più rappresentati in forme simboliche obbedienti a regole, formule, codici, strutture sintattiche, morfologiche, grammaticali che ne fanno vere e proprie tecnologie.
La prima scolarizzazione (è chiaro che anche il bambino di scuola materna si presenta, fin dai tre anni, in possesso di una sua “preistoria” fatta di conoscenze, valutazioni, atteggiamenti, aspirazioni: cioè di tutto quanto il bambino già sa sui problemi che si affrontano a scuola e che costituisce la “lente” attraverso cui “legge” la realtà e che media l’acquisizione di nuove conoscenze) si pone, dunque, all’inizio intenzionale, progressivamente sistematico e gradualmente organico, di un lungo cammino che lo condurrà (o dovrebbe condurlo, pena il suo ritrovarsi in posizioni di svantaggio rispetto alle esigenze della vita personale, sociale e professionale che lo attende) al pieno possesso di sistemi simbolici di conoscenza, comunicazione, espressione, organizzazione del pensiero e delle azioni. Ora le situazioni della nostra realtà, anche quando ne facciamo terreno di apprendimento, per quanto possano sembrare
semplici, si presentano e si caratterizzano per la complessità e la pluralità delle variabili (contenuti, metodi, contesti, differenze individuali, forme) che il bambino deve imparare a dominare, combinare, aggregare per dare luogo ad un effettivo progresso, quale è sotteso ad una concezione aperta e dinamica che appartiene alla nostra società.
Il percorso scolastico si presenta dunque caratterizzato, già alla scuola materna, da un binomio – apprendimento/insegnamento – dal cui rapporto sinergico dipende in buona parte il successo dell’operazione:
Fasi di competenze nell’uso dei simboli
Per gli scopi di questo scritto è di particolare utilità la suddivisione della competenza nell’uso dei simboli proposta da H. Gardner;
Dalla scuola materna alla scuola elementare
Come si è detto, si verifica durante questo periodo una progressione formidabile nello sviluppo dei diversi sistemi simbolici che avrà un suo primo importante punto di riferimento nel momento in cui questi stessi sistemi troveranno una compiuta sistemazione almeno sul piano della notazione e della codificazione scritta.
Siamo in presenza, è facile constatarlo, di un fenomeno di grande evoluzione della famiglia delle competenze simboliche del bambino. All’interno di tale insieme, è possibile constatare ‘correnti’ che si muovono con relativa autonomia. Lo sviluppo del linguaggio verbale, per esempio, segna una grande progressione delle capacità sintattiche: dall’abilità di concatenare un paio di parole (all’età di un anno e mezzo) a quella di parlare per frasi complesse, nel porre domande ben introdotte dal ‘perchè’, di usare costruzioni passive, dal cogliere le variazioni di intonazione e di costruzione in connessione col variare degli interlocutori alla capacità di produrre taluni effetti (paura, timore, per esempio) attraverso la costruzione di una determinata trama sorretta da una corretta intonazione. Se ci spostiamo nel campo musicale, possiamo constatare che gran parte dell’attività implica lo sviluppo dei rapporti di tonalità basilari che valgono all’interno di una scala. Pare legittimo, osserva Gardner, vedere in questo sviluppo, simile a una corrente, l’espressione di una particolare intelligenza una volta che la capacità
intellettuale sia diventata suscettibile di coinvolgimento in sistemi simbolici appropriati della cultura (o di appropriazione di tali sistemi). Così gli aspetti centrali dell’intelligenza musicale (melodia e ritmo) sono soggetti a controllo da parte degli aspetti simbolici della musica, come l’espressione (‘questo è un pezzo allegro’) e il riferimento ‘questa parte allude a una sezione precedente della canzone’). Nel disegno, lo sviluppo di relazioni spaziali bi- e tridimensionali entra nella raffigurazione di oggetti e insiemi di oggetti nel mondo, compresi quelli che sono più lontani, quelli che si sovrappongono o quelli che sono più piccoli rispetto ad un altro oggetto.
Si possono continuare gli esempi anche per altri casi. Quel che importa notare è che una competenza conoscitiva ‘naturale’, il primo momento di organizzazione e selezione percettiva non ancora esplicitamente mediato da un veicolo simbolico, viene – soprattutto in questo periodo della crescita – colto e reinventato dal sistema simbolico della cultura di crescita così che si possa attuare la piena realizzazione del potenziale simbolico di quella particolare competenza: una intelligenza che si sviluppi in modo appropriato – conclude Gardner – si intreccia necessariamente sempre più, dopo il primo anno di vita, con varie funzioni e sistemi simbolici.
Ma tali correnti di crescita e di competenza simbolica specifica si mescolano rapidamente e costantemente con le altre correnti simboliche, per cui taluni processi diffusi all’interno di un particolare ambito simbolico si diffondono rapidamente (ed a volte anche in modo improprio) in altri ambiti simbolici. Emerge con chiarezza quella flessibilità nell’organizzazione mentale umana che caratterizza la nostra specie: si pensi a tutti i giochi del far finta e di strutturazione di ruoli ed eventi, alle rappresentazioni analogiche e topologiche, all’inizio delle rappresentazioni quantitative.
Fino ad ora gran parte della padronanza della simbolizzazione è stata acquisita in maniera informale, quasi impercettibilmente. Ma ben presto il bambino viene a contatto con altre modalità di simbolizzazione: quelle notazionali. Si tratta di una capacità di secondo livello che ha grande importanza nella nostra cultura, la quale addirittura fissa un’età ottimale (dai 5-6 agli
In fondo, mentre le acquisizioni simboliche precedenti seguono una corrente prevalentemente endogena e possono essere osservate in forme grosso modo comparabili in tutte (o quasi) le culture del mondo, le notazioni derivano chiaramente in gran parte dalla cultura circostante: sono mezzi per codificare l’informazione che si somno evoluti all’interno di una cultura e che vengono ora forniti direttamente al bambino impegnato ad imparare.
Quanto questo processo debba avvenire in forme rigide o meno è del tutto in discussione; se davvero col passare dalle forme di simbolizzazione orale a quelle scritte il bambino veda terminare il ‘divertimento’ per diventare pignolo, selettivo e puntuale tanto, a volte, da rinunciarvi è tutto da giocare, se il passaggio dall’una forma di simbolizzazione all’altra debba avvenire in tempi rapidi e non come lungo percorso che s’intreccia a lungo continuando ad alimentare il linguaggio figurato, le giustapposizioni insolite ed altri allontanamenti dal convenzionale in nome dei divieti propri delle notazioni scritte è di nuovo oggetto di attenzione. Di certo non è possibile aggirare o sovvertire tale frase ‘letterale’: la scommessa aperta è quanto di più avvincente e provocatorio: come è possibile conciliare la necessità di una acquisizione di una perfetta padronanza del sistema simbolico e il mantenimento del gusto e della voglia di trasgredire, di sovrapporre, di inventare, di produrre soluzioni originali?
Fonte: http://istruzione.comune.modena.it/memo/allegati/associazione%20sergio%20neri/antologia%20degli%20scritti%20inediti/a%20i%20linguaggi%20della%20tecnologia.pdf
Sito web da visitare: http://istruzione.comune.modena.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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