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VETRO
L'origine dal termine latino, vitrum, lascia intuire come la scoperta del vetro sia molto antica. Secondo gli scritti di Plinio , si racconta che, in Fenicia, alcuni mercanti notarono che i pani di salnitro, da loro usati per accedere il fuoco, uniti alle sabbie ricche di silicio, formavano, grazie al fuoco, una sostanza fluida e trasparente, dopo raffreddamento.
In tal senso, si può affermare che il vetro è stato il primo materiale artificiale inventato e utilizzato dall'uomo. I primi oggetti, sicuramente di un certo valore, erano costituiti da polvere di vetro, spesso non omogeneo e non completamente fuso, opaco o colorato, pressato e sinterizzato a caldo. Successivamente, sempre prendendo a prestito la tecnologia della ceramica e riuscendo, in qualche modo, ad ottenere temperature superiori a 1000 °C, si cominciarono a modellare oggetti concavi che, a causa del loro costo, venivano destinati a contenere preziosi prodotti, liquidi o in polvere, quali i profumi o gli unguenti.
La tecnologia vetraria progredì lentamente nel tempo, finché si giunse all'invenzione della tecnica del soffiaggio, anche questa sviluppatesi, probabilmente, in Mesopotamia. Questa tecnica consentì di avviare una produzione di massa, specialmente quando venne introdotta nel territorio dell'Impero Romano . Grazie alla praticità e all'empirismo dei Romani, la produzione del vetro si diffuse, a costi relativamente contenuti, in tutto l'Impero e si raggiunsero livelli di produzione importanti e di grande qualità artistica, come dimostrano le testimonianze delle epoche passate (Fig. 1 e Fig. 2) giunte sino ai nostri giorni
Nel medioevo, all'epoca delle grandi cattedrali, il vetro assunse un ruolo architettonico ed estetico da essere considerato quasi un materiale magico perché lasciava passare la luce ma non l'aria, un materiale che avvicinava a Dio.
Nel 1914, il poeta Paul Scheerbart scriveva: "Per innalzare la nostra cultura ad un livello superiore siamo obbligati, che ci piaccia a no, a trasformare la nostra architettura. E ciò sarà possibile soltanto se libereremo i locali nei quali viviamo dal loro carattere di spazio chiuso. Tuttavia, possiamo fare ciò soltanto introducendo una architettura di vetro, che lasci entrare la luce del sole, della luna e delle stelle nelle stanze, non solo attraverso scarse finestre, ma attraverso il maggior numero possibile di pareti, costituite interamente di vetro, di vetro colorato".
L’ampia versatilità di questo materiale è tale da renderlo idoneo a qualsiasi applicazione: trasparente o opaco, colorato in tutti i colori e le tonalità immaginabili, solubile anche in acqua oppure resistentissimo agli attacchi di sostanze chimiche, conduttore elettrico o isolante, flessibile o estremamente rigido, che può essere tagliato, lavorato, foggiato in varie forme piccole, in pezzi enormi, in fibre, in lastre, in polvere ecc.
I costumi e le usanze nella storia antica e in quella medievale assegnano al vetro l'immagine di un materiale che accompagna l'evoluzione delle società. Ed ancora ai giorni nostri il vetro (il cristallo ne rappresenta una variante) riveste un ruolo di primissimo piano in vari settori per la sua modellabilità allo stato fuso, dalla oggettistica al settore degli imballaggi di riconosciuto pregio eco-ambientale e di totale inerzia nei confronti di vari agenti aggressivi.
Il vetro può essere definito come una sostanza minerale artificiale, amorfa . Dal punto di vista fisico, lo si può considerare come un liquido ad elevata viscosità, costituito da una miscela di silicati di metalli alcalini, alcalino-terrosi e di altri metalli, nella quale può, a volte, essere presente l’anidride borica, raramente quella fosforica:
Me2O . CaO.. 6.SiO2 ↔ (Na2SiO3 + CaSiO3)
dove Me è un metallo alcalino (sodio, Na, o potassio, K).
Strutturalmente, il vetro ha una costituzione polimerica in quanto è formato da catene, ramificate e intrecciate tra loro, di atomi di non metalli (generalmente silicio ma anche boro o fosforo) legati gli uni agli altri attraverso atomi di ossigeno, ad alcuni dei quali si uniscono, tramite legami ionici, atomi di metalli alcalini.
Dal punto di vista chimico, il componente presente in maggiore quantità è la silice SiO2, unita a sali od ossidi di sodio (Na2O) o potassio (K2O), soda (in qualità di fondenti che servono per far fondere la silice ad una minore temperatura) e ad ossidi di calcio (CaO), magnesio (MgO), bario (BaO) ed allumina (Al2O3), i quali impediscono la devetrificazione. La soda, la cui purezza viene garantita dal metodo Solvay, ha anche il vantaggio di allungare i tempi di solidificazione della massa vetrosa. Una maggiore percentuale di soda determina una solidificazione più lenta del vetro. Viceversa, il vetro, con il passare del tempo, porterà in superficie il fondente, opacizzando l'oggetto.
Nei vetri si ritrovano anche sostanze opacizzanti o coloranti, stabilizzanti (ossidi di piombo per l'ottenimento di vetri ad alto indice di rifrazione, detti cristalli) o da carbonato di calcio. Alcuni fondenti possono essere costituiti da anidride fosforica o borica al fine di ottenere vetri di diverso indice di rifrazione (flint e crown). Nella Tab. 1 è data una sintesi delle caratteristiche dei vetri.
Tab. 1: Le caratteristiche del vetro
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Non esiste quindi un solo vetro, bensì innumerevoli vetri, che, a seconda della loro specifica composizione, presentano proprietà molto diverse.
Indubbiamente la definizione di vetro è strettamente legata alla sua struttura e, di conseguenza, alle proprietà che questa particolare struttura genera. Si definisce vetro un materiale che non presenta picchi quando sottoposto a diffrazione a raggi X su polveri e che presenta una particolare temperatura di trasformazione, chiamata temperatura di transizione vetrosa (Tg). Questa si evidenzia sottoponendo il vetro a riscaldamento o raffreddamento e misurando corrispondentemente la variazione di alcune proprietà termodinamiche come la densità, il coefficiente di dilatazione lineare, il volume specifico, l'entalpia.
Senza scendere in dettaglio, è sufficiente mostrare uno spettro di diffrazione di raggi X di un vetro (Fig. 4), e quello di una polvere cristallina avente la stessa composizione del vetro ma sottoposta a trattamento termico (Fig. 5). Se si confrontano i due spettri di diffrazione dei raggi X, si nota la presenza di picchi in corrispondenza di particolari componenti del vetro.
L’esistenza di una temperatura di transizione vetrosa è mostrata nella Fig. 6, che riporta la variazione del volume specifico, cioè il reciproco della massa volumica, al variare della temperatura allorquando si raffredda rapidamente un liquido che dà origine ad un vetro (percorso a b e f) e allorquando lo stesso liquido, a causa di un raffreddamento lento, dà origine ad un prodotto cristallino (percorso. a b c d).
Quando un materiale rispetta solamente la prima parte della definizione, cioè non presenta picchi nella diffrazione dei raggi X ma una Tg (Fig. 6), è un materiale amorfo, quando le rispetta tutte e due è un vetro. E' quindi errato, anche se spesso usato, definire il vetro come un materiale amorfo, in quanto i materiali amorfi non presentano la Tg . Un esempio di materiale amorfo è il nerofumo.
Qual è, allora la struttura di un vetro e in cosa si differenzia dai materiali amorfi e dai cristalli? Una sostanza cristallina ha gli atomi disposti nello spazio in modo rigorosamente ordinato: per descrivere la sua struttura è sufficiente conoscere la posizione degli atomi in una porzione di spazio limitata, la cella elementare, e quindi traslare la cella in tre direzioni per ottenere il cristallo macroscopico.
Per contro nei materiali amorfi, gli atomi o i gruppi atomici sono disposti in modo assolutamente casuale e disordinato: non esiste alcun tipo di ordine.
La struttura atomica dei vetri potrebbe essere descritta come intermedia tra le due situazioni estreme, quella dei materiali amorfi e quella dei cristalli: sostanzialmente per il vetro si ipotizza la presenza di zone in con un certo grado di ordine, combinate a zone più disordinate (Fig. 7).
Provando a immaginare la struttura su due dimensioni anziché nello spazio, si pensi per semplicità ad una superficie piastrellata in cui ogni elemento sia un insieme costituito al suo interno da elementi ordinati. Mettendo vicino le piastrelle seguendo una qualunque regola di simmetria, si compone la "struttura cristallina"; viceversa disponendo le piastrelle senza alcuna regola si ottiene "la struttura vetrosa" .
Sulla base di questa ipotesi micro-strutturale, per quanto riguarda i vetri formati da ossidi, che sono decisamente le più comuni sostanze rinvenibili in natura, si suole distinguere gli ossidi che da soli sono in grado di dare origine a vetri, cioè gli ossidi formatori di reticolo, da quelli che invece, da soli, non sono in grado di vetrificare, ma possono far parte dei vetri entrando nel reticolo vetroso, distruggendo o rompendo alcuni legami chimici forti, esistenti tra gli atomi formatori.
Classici esempi di ossidi formatori di reticolo sono la silice SiO2 e l'ossido di boro (B2O3) mentre tra gli ossidi modificatori di reticolo (o forse distruttori) vi è l’ossido di sodio Na2O e di potassio K2O. Altri ossidi, come l'ossido di alluminio Al2O3 o l'ossido di piombo PbO, presentano un comportamento intermedio. Nel gergo tecnico, si suole chiamare vetrificanti gli ossidi formatori, fondenti gli ossidi modificatori e altri, come CaO o BaO, stabilizzanti e questi nomi danno chiaramente l'idea della loro funzione nei vetri ossidi. La funzione dei diversi ossidi sulle proprietà dei vetri normalmente utilizzati è evidenziata dal diagramma a ragno della Fig. 8.
A differenza dei cristalli, i vetri non hanno una stechiometria da rispettare: questo sta a significare che, nell'ambito di una miscela vetrificabile, è possibile differenziare con continuità le proprietà chimico-fisiche, agendo sulla sua composizione anche in termini di piccole quantità (basti pensare alle infinite intensità e tonalità di un vetro colorato). E' possibile, allora, progettare opportunamente il materiale vetro che si vuole preparare in modo che abbia proprietà definite e “ad hoc” per specifiche utilizzazioni.
Ad eccezione di alcuni vetri particolari, come i vetri borosilicati ad alta resistenza chimica, le fibre di vetro per isolamento, i vetri al piombo, detti anche "cristalli", i vetri cosiddetti sodico-calcici, in genere quelli più comuni, hanno all'incirca in tutto il mondo la stessa composizione (tab. 2).
Tabella 2 - Composizione media di alcuni vetri commerciali.
Sebbene il vetro a temperatura ordinaria sia chimicamente inerte, non si può parlare di resistenza assoluta agli agenti chimici; infatti soluzioni basiche a lungo andare intaccano il vetro portandolo in soluzione; il migliore reattivo che intacca la silice è l'acido fluoridrico:
SiO2 + 4 HF SiF4 + 2 H2O
Su questa reazione si basa la tecnica di incisione su vetro
Le materie prime fondamentali per la produzione di vetri abbandonano naturalmente nella superficie terrestre, le rocce silicatiche, con prevalenza di silicio. Per la fabbricazione dei vetri è importante la presenza di:
Altri ossidi sempre presenti, ma in quantità inferiori, sono l'ossido di alluminio, che ne migliora la resistenza chimica e l'indesiderato ossido di ferro che è presente come impurezza nelle sabbie e rappresenta la bestia nera dei vetrai che vogliono ottenere un vetro bianco. Minore è la sua percentuale, più incolore ("bianco") è il vetro. Poiché il ferro è sempre presente nelle sabbie, per eliminare il colore che conferisce al prodotto, si ricorre all’aggiunta di sostanze colorate in piccolissime quantità come l'ossido di cobalto oppure elementi come il selenio o piccole quantità di biossido di manganese, MnO2, che ossidando il ferro impartisce al vetro una colorazione rosso-azzurra, colore complementare al giallo, impartito dal ferro. In tal modo, si ottiene il mascheramento della colorazione ed il vetro appare incolore.
In genere, nella fabbricazione dei vetri, prima della fusione, alla miscela complessiva, i cui componenti hanno una granulometria fine compresa tra 0,1 e 0,6 mm, sono aggiunti rottami di vetro nella misura del 25-40% (ridotti in pezzatura di 0,2-0,5 mm), per facilitare la fusione stessa, per ragioni economiche e per un razionale riciclaggio.
Tutte queste materie prime devono essere pure, per ottenere con relativa certezza i risultati della composizione finale progettata. I vetri decolorati, come detto, appaiono incolori ma hanno un assorbimento per la luce, dovuto alla presenza di sostanze coloranti. L'effetto di questi additivi, definiti "decoloranti", non è quello di togliere colore al vetro, ma di aggiungere un colore complementare.
Per rendere la massa fusa più fluida e meno viscosa, al fine di facilitare l’allontanamento di gas che possono rimanervi occlusi (CO2, CO, SO2 etc.) e affinché le parti non disciolte possano più facilmente risalire in superficie e affinché, infine, tutta la massa sia più omogenea, si aggiungono piccole quantità di affinanti. Il migliore affinante è l'anidride arseniosa (As2O3), ma, per ovvie ragioni di sicurezza per gli operatori e per l’ambiente, è stata sostituita da decenni, almeno nei paesi avanzati, da miscele di solfati e nitrati, oppure solo da solfati, oppure ancora, da altri ossidi come quello di antimonio (Sb2O3), non pericoloso.
Nei vetri per l'ottica, inoltre, la purezza dei componenti iniziali della miscela pre-fusione raggiunge valori molto alti (99,7% e con tenori di ferro inferiori all'1%), nei vetri comuni e colorati i valori di purezza dei componenti originari si attestano al 95%.
I coloranti più impiegati variano a seconda del colore finale che si vuole ottenere: FeO per avere una tonalità verde-azzurra, Fe2O3 per verde bottiglia, Cu2O per il rosso, CuO per blu-verde, Cr2O3 per verde-giallo, CoO per blu scuro, AuCl3 per il rosso rubino.
Gli opacizzanti sono formati da fosfati o fluoruri di Na o Ca, o da talco o da ossido di stagno o da solfuri di Cd che persistono nella massa vetrosa sotto forma cristallina diminuendone la trasparenza, in quanto la riflessione della luce avviene all'interno del vetro stesso, a causa del diverso indice di rifrazione delle sostanze opacizzanti cristallizzate (vetro opaline).
Nella fabbricazione del vetro si lavora in un range di temperatura in cui la miscela è allo stato plastico. I limiti di tale intervallo oscillano tra picchi massimi detti "punti di aggregazione", in cui la temperatura è di 1100 °C circa, e livelli minimi, detti "punti di trasformazione", in cui la temperatura si aggira intorno a 800 °C. La fabbricazione e la lavorazione del vetro si articolano in quattro fasi: fusione, formatura, ricottura e finitura.
Fusione: è la fase iniziale, durante la quale, la carica, formata da componenti diversi tra loro, viene polverizzata e mescolata a rottami di vetro che agiscono da fondente e portata a temperature comprese tra 1200-1400°C, secondo la qualità del vetro che si vuole ottenere, in forni a crogiolo (per piccole quantità) o continui. Durante questa prima fase della fusione, si possono verificano l'eliminazione dell'acqua presente nei componenti di partenza, la dissociazione dei carbonati e dei solfati con sviluppo di anidride carbonica o solforosa, la formazione di una massa fusa il più possibile omogenea.
A 600 °C la silice comincia a reagire col carbonato si sodio:
Na2CO3 + SiO2 CO2 + Na2SiO3 (metasilicato di sodio)
Contemporaneamente il carbonato di Ca si decompone secondo la reazione:
CaCO3 CaO + CO2
Superati gli 800°C la silice si combina con l'ossido di Ca, formando metasilicato di Ca:
CaO + SiO2 CaSiO3 (metasilicato di calcio)
A 1000-1200°C queste reazioni sono complete: a temperature superiori i silicati fondono e la silice si scioglie nella massa. Il vetro comune si può quindi considerare una miscela ternaria di silice, metasilicato di sodio e metasilicato di calcio. Non essendo la massa fusa mai perfettamente omogenea, si aggiungono gli affinanti che conglobano e trascinano in superficie le bollicine gassose e le impurezze solide ( affinazione). Si lascia quindi diminuire la temperatura ( riposo) per consentire alla massa di aumentare la sua viscosità fino a raggiungere la consistenza idonea alla lavorazione. La temperatura ottimale per avere una pasta facilmente lavorabile varia da 1000°C a 1250°C. I forni usati per la fusione sono di due tipi; i più moderni sono alimentati a metano e controllati elettronicamente. I più diffusi sono quelli "a canale" che permettono una lavorazione continua (fig. 1).
Affinaggio o affinazione (2° momento della fusione): è l'operazione con cui la massa fusa viene privata di tutte le bollicine di gas presente, che potrebbero dare origine a difetti (soffiature) nei manufatti preparati. In questa fase, condotta a temperature di 100-150 °C più elevata della precedente, si assiste alla omogeneizzazione della massa fusa e alla deposizione sul fondo del forno delle parti non fuse e all'arrivo in superficie delle bolle di gas formatesi durante la fusione (fiele del vetro). Tali bolle sono originate dalla decomposizione dei carbonati e dei solfati iniziali in ossidi e anidride carbonica o solforica. L'affinazione viene realizzata aggiungendo alla massa fusa piccole percentuali di agenti affinanti. Questi facilitano notevolmente l'operazione, in quanto fanno aumentare il volume delle bolle e ne provocano l'espulsione, oppure permettono la diminuzione della solubilità dei gas nel vetro. Conclusa questa fase, il vetro fuso è una massa avente in tutti i punti uguale composizione chimica e, conseguentemente, le medesime proprietà fisiche. E' possibile, a questo punto, operare una decolorazione del vetro, tramite l'ossidazione di sali di ferro.
Riposo: La fusione si conclude con la fase di riposo o di condizionamento, durante la quale la massa fusa viene raffreddata gradualmente fino alla temperatura di foggiatura o di formatura, compresa nell’intervallo di lavorabilità. L’aumento della viscosità del vetro non segue linearmente l’abbassamento della temperatura: la viscosità cresce bruscamente verso i 1000 °C.
4. Forni
I forni, utilizzati in funzione della quantità di vetro da preparare, sono di diversi tipi.
Di seguito si riportano sinteticamente gli schemi dei principali forni.
Per la produzione industriale, in generale sono dotati di camera lunga 50 m, larga 8 m e profonda 1,5 m, separata all'interno da un muro raffreddato portante dei fori, attraverso i quali il vetro a 1500 °C fluisce e si riversa nel bacino di riposo, dove si raffredda a 1300 °C. Le pareti del forno sono rivestite di materiali refrattari elettrofusi (silicei nelle volte e basici nei recuperatori), quali prodotti a base di allumina, silice e zirconio. Dalla camera di riposo, il vetro passa alle macchine, dove avviene la formatura.
La fase successiva è la formatura, eseguita in diverse modalità, quando il vetro è ancora fluido e si trova in un campo di temperatura nel quale assume viscosità tale da poter essere lavorato e da conservare la forma impartita, senza alterazioni. Questo intervallo di temperatura rappresenta l’intervallo di lavorabilità e varia in funzione della composizione del vetro. I sistemi di formatura possono essere manuali (l’antico metodo della soffiatura) e meccanici (stampaggio per soffiatura, formatura per pressatura, centrifugazione, laminazione, stiratura etc.). Per la lavorazione a macchina, si preferiscono vetri lunghi (ampio intervallo di lavorabilità): gli altri, vetri brevi, per essere lavorati a mano sono sottoposti eventualmente a ripetuti rammollimenti alla fiamma.
Le tecniche che riguardano la produzione di vetro cavo e, in particolar modo, di bicchieri e di bottiglie sono: colata e stampaggio, soffiatura.
Per la produzione di vetro piano si effettua:
a) Tiraggio meccanico ad elevata velocità: secondo questo metodo, il fuso viene fatto passare in una filiera di platino, in modo da ottenere il raggruppamento in un pluri-filamento. I filamenti ottenuti sono trattati successivamente con un appretto (amido o acetato di polivinile) e quindi sono avvolti su un tamburo rotante a 5000-7000 giri/min che ne determina il diametro. Essi sono impiegati come rinforzanti di poliesteri (scafi delle barche).
b) Soffiatura con aria e vapore: consiste nell'utilizzo di getti di vapore o di aria compressa sui filamenti uscenti dalla filiera, in modo da determinarne la trasformazione in fibre discontinue sottili. Queste sono usate come materiale isolante termico o acustico.
Fig 2: Fabbricazione di lastra di vetro mediante processo di stiratura "Fourcault"
La lavorazione a cilindro è tipica della Lorena: una quantità di pasta tra 9 kg e 19 kg viene soffiata e fatta roteare a formare un cilindro di 50 cm di diametro e 1,25-2 m di lunghezza. Le estremità vengono tagliate e il cilindro viene inciso nella sua lunghezza con una punta di diamante. Il cilindro viene posto nel forno di annealing e aperto a formare
Le composizioni dei vetri piani e per contenitori, le due produzioni più significative dal punto di vista quantitativo, sono sostanzialmente simili. Le tecnologie di produzione di questi due comparti negli ultimi anni si sono, comunque, nettamente differenziate: per il vetro piano si usa ormai quasi dappertutto la tecnologia "float", per il vetro da contenitori si utilizzano ancora tecniche di soffiaggio e pressaggio, da sole o in abbinamento. Per quanto concerne la produzione di vetro piano, a partire dalla fine degli anni Cinquanta è stato introdotto il processo float (Pilkington) in sostituzione dei precedenti metodi di tiratura. Il prodotto che si ottiene (float glass) ha sostituito il cristallo ottenuto da molatura di vetro greggio tirato. Nel processo denominato float glass, la pasta vitrea, proveniente dal crogiolo alla temperatura di 1100 °C, assume forma perfettamente piana in un forno a tunnel la cui base è formata da un letto di 7cm di stagno fuso. Questo è posto in atmosfera condizionata debolmente riducente, contenente azoto e idrogeno, in modo da non essere ossidato. Lo stagno leviga la superficie inferiore del vetro per diretto contatto, mentre la parte superiore si appiattisce per gravità essendo ancora allo stato semifuso. Nella produzione del vetro piano, il processo float glass sta sostituendo le tradizionali tecniche di laminatura e tiratura. Lo spessore del nastro di vetro float è dato dalla velocità di rotazione dei rulli, detti top, situati ai bordi della vasca. Un rallentamento dei top determina una stesura del vetro liquido a minore velocità e la formazione di un nastro di vetro di maggiore consistenza. Si ha la situazione inversa se si verifica un'accelerazione dei rulli ed un aumento della pressione delle saracinesche poste all'inizio del bagno. Alla fine di quest'ultima fase, il vetro ha raggiunto la temperatura di 600 °C ed è ormai allo stato solido: viene quindi sollevato e posto in un tunnel di raffreddamento. Segue la fase di taglio trasversale del vetro in lastre (in genere di 6m di lunghezza) e un ulteriore taglio longitudinale per rimuovere le tracce dei rull
Con il vetro float è divenuta superflua la fase di lucidatura, generalmente effettuata con abrasivi sottili, quali ossido di cerio o Fe, al fine di eliminare ogni distorsione ottica superficiale, dovuta a un non perfetto parallelismo delle lastre.
Una volta formato, la ricottura che consiste in un riscaldamento del vetro fino alla temperatura superiore di ricottura mira ad eliminare le tensioni che si generano durante la formatura e che rendono difficile le operazioni di finitura come, ad esempio, il taglio o la smerigliatura con polveri abrasive, molatura, piegatura e tempra. E' una fase essenziale per eliminare le tensioni interne formatesi per irregolarità di riscaldamento o raffreddamento.
La scelta della temperatura e della velocità di raffreddamento sono in funzione del tipo di vetro e del suo spessore. Dopo aver raggiunto la temperatura dovuta, l'oggetto viene mantenuto in tale stato per un periodo sufficiente ad assicurare il raggiungimento dell'uniformità termica in ogni suo punto; quindi viene raffreddato lentamente fino a una temperatura inferiore di 50 °C a quella di ricottura, ed infine viene portato rapidamente a temperatura ambiente.
Trattamenti speciali sono la siliconatura e la solforazione. La prima, utilizzata soprattutto per i contenitori, avviene nel forno di ricottura. La seconda necessita di una ricottura del vetro in ambiente SO2. Quest'ultimo determina la formazione di silicati alcalini solubili e quindi un depauperamento superficiale di alcali, con conseguente maggiore resistenza chimica.
I tipi di finitura possono distinguersi, in funzione del principio che sottende al metodo, in:
La tempra è una fase in cui l'impasto vitreo, in seguito al riscaldamento fino a circa 700 °C, viene bruscamente raffreddato con getti di aria fredda, acquisendo un'alta resistenza meccanica superficiale. La tecnica determina la creazione di tensioni permanenti di compressione sulla superficie del vetro, bilanciate all'interno da equivalenti tensioni di trazione. La tempra è effettuata in impianti costituiti da un forno nel quale si ha una variazione di temperatura da +3 °C a -3° C, così che la resistenza meccanica del vetro alla trazione, all'urto ed allo sbalzo termico, viene aumentata da 3 a 5 volte. La tempra chimica, utilizzando lo scambio ionico, consente la produzione di vetri con proprietà di resistenza alla flessione fino a 7000 kgp /cm2. Ad esempio, un vetro con ossido di litio, immerso in cloruro sodico fuso, provoca: uno scambio ionico superficiale con sostituzione fra gli ioni di sodio e quelli di litio, la creazione di uno strato superficiale in compressione e un miglioramento del grado di resistenza meccanica del vetro. Altra variante consiste nel formare in superficie uno strato devetrificato a coefficiente di dilatazione inferiore al vetro, con un guadagno in compressione due o tre volte maggiore rispetto alla tempra ter
I difetti del vetro possono essere originati da varie cause: insufficiente omogeneizzazione delle materie prime, temperatura di fusione troppo bassa, presenza di impurezze o insufficiente permanenza della massa nelle fasi di fusione e di omogeneizzazione. Tali difetti possono essere distinti in tre gruppi.
Con riferimento a vetri ottenuti con sostanze particolarmente pure e speciali metodi di lavorazione, e quindi dotati di particolari proprietà di leggerezza, trasparenza ed elasticità, si usa comunemente il termine cristallo, che è invece da attribuirsi a un vetro contenente ossido di piombo; col nome di cristalli sono inoltre indicate lastre di vetro di buona qualità contenenti anche alluminio e ferro, le cui superfici sono state sottoposte a levigatura.
- Vetro comune o bianco o semibianco viene invece detto il vetro calcico-alcalino, incolore o poco colorato, utilizzato per oggetti di uso corrente, lastre di finestra, ecc.: da esso, per aggiunta di particolari sostanze (cloruro di cadmio per il rosso, biossido di manganese per il rosa, ecc.), si ottengono i vetri. colorati, con lavorazioni meccaniche i vetri stampati, che diffondono la luce ma non sono trasparenti, mediante trattamenti in superficie con sostanze corrosive o getti di sostanze abrasive i vetri smerigliati. Per vetro di bottiglia si intende il vetro comune contenente ferro, che gli conferisce colore verde.
- Il vetro di Boemia è un vetro calcico-potassico fabbricato con materie molto pure, particolarmente duro, rifrangente, elastico, usato per cristalleria e oggetti di laboratorio.
- Il vetro di Murano è un vetro sodico-calcico adoperato appunto nelle vetrerie di Murano per oggetti artistici e vetreria di laboratorio (per quest'ultimo scopo vengono anche usati il vetro neutro, a base di borosilicati di alluminio, bario, sodio e zinco, il vetro nitrurato, contenente azoto, e il vetro di Jena, boro-alluminico).
Tra le denominazioni più comuni di altri vari tipi di vetri, distinti in base alla composizione, lavorazione, proprietà, usi, viene detto:
Vengono poi detti vetri d'ottica quelli destinati alla produzione di lenti e componenti di sistemi ottici, in diversi tipi (crown, flint);
Vi sono infine vetri speciali destinati a usi particolari, come:
Vetro tessile, detto anche fibra, o lana di vetro, ottenuto sottoponendo a rapida trazione una pasta molto omogenea e agendo sopra di essa con getti d'aria o di vapore ;
Biovetri: si tratta di una composizione di ossidi formante un vetro usato per protesi chirurgica che è compatibile col tessuto osseo. Ha la seguente composizione: 24% Na2O, 24% CaO, 6% P2O5, 46% SiO2.
Vetro inattinico, impropriamente detto attinico, vetro molto colorato usato per proteggere dall'azione della luce materiali fotolabili;
Vetro solubile, prodotto solido, trasparente, di aspetto vetroso, costituito da silicato di sodio, preparato con sabbia di quarzo molto pura e carbonato o solfato di sodio, che si scioglie facilmente nell'acqua bollente o sotto pressione: viene generalmente posto in commercio in soluzione e usato come ignifugo per il legno, come collante nell'industria della carta, come carica in quella dei saponi, per preparare mastici, smalti, come antipolvere stradale, ecc.
Vetro al piombo: è caratterizzato da brillantezza, elevato indice di rifrazione per la luce e bassa temperatura di rammollimento. A questa classe appartengono i cristalli, la cui suddivisione è stata modificata dalle direttive CEE del 1973. Prima di tale data, la classificazione dei vetri al piombo si articolava come segue:
Dopo la normativa CEE, ecco come si presenta l'attuale classificazione:
Vetri di borosilicati: sono caratterizzati da alta temperatura di rammollimento, buona resistenza agli sbalzi termici e buona lavorabilità. Questi tipi di vetro rappresentano il mezzo più sicuro di smaltimento dei rifiuti radioattivi, grazie alla capacità di resistenza alla corrosione ed al valore particolarmente basso del coefficiente di diffusione degli ioni radioattivi. I vetri microporosi, usati in biotecnologia ed in cromatografia, sono ricavati da alcuni tipi di vetri sodio-borosilicati.
Vetri di quarzo: formati quasi esclusivamente da silice, possono sopportare bruschi sbalzi di temperatura, grazie al loro basso coefficiente di dilatazione; sono permeabili alle radiazioni ultraviolette e rammolliscono poco a temperatura elevata. Date queste caratteristiche, i vetri al quarzo sono di difficile lavorazione e si usano principalmente per manufatti da laboratorio chimico.
Vetri di silice: caratterizzati da una percentuale di silice più bassa rispetto ai vetri di quarzo, si ottengono dal vetro borosilicato. Durante la lavorazione, il manufatto è sottoposto ad un trattamento termico che favorisce la formazione di due fasi vetrose: l'una ricca di silice, l'altra ad alto tenore di alcali e anidride borica. Quest'ultima si scioglie in acido minerale concentrato a caldo. Il prodotto residuo è poroso e, dopo essere stato portato ad alta temperatura, dà origine a un preparato trasparente, adatto a svariati impieghi, dai bulbi delle lampade per radiazioni ultraviolette agli oggetti da laboratorio. I vetri in pura silice presentano le seguenti caratteristiche: struttura tridimensionale altamente legata con conseguente elevata resistenza alla temperatura, resistività elettrica e chimica, basso coefficiente di dilatazione termica. Vengono impiegati per particolari produzioni chimiche e ottiche, a causa delle difficoltà di lavorazione e di formatura della silice che presenta elevati valori di viscosità e di temperatura di fusione (1710 °C).La viscosità può essere ridotta con l'impiego di un flussante (es: Na2O) che determina la rottura di alcuni legami Si-O e l'ottenimento di vetri siliceo-alcalini. I vetri in silice pura sono prodotti per vaporizzazione di SiCl4, successivamente idrolizzato a SiO2, o iniziando da borosilicati e separando con acido una fase costituita da borati alcalini: lo scheletro siliceo risultante assume per riscaldamento la compattezza voluta.
Vetri non silicei: composti da miscele di ossidi vari e limitati al campo dell'ottica come assorbenti di calore e trasmissione raggi infrarossi.
Le Lastre commerciali: prodotte in spessori unificati, si distinguono nelle seguenti categorie:
I prodotti che si ottengono dalla lavorazione del vetro sono numerosi: alcuni sono usati dall'uomo da molto tempo (come gli specchi), altri sono di produzione recente ( per esempio le vetroresine) e alcuni appartengono alla categoria dei compositi, cioè prodotti che sfruttano le caratteristiche di più materiali.
Nel corso degli ultimi anni si è fatta strada prepotentemente una tendenza che vede la bottiglia da profumo trasformarsi in un oggetto di design: per questo motivo le vetrerie lavorano a stretto contatto con i loro committenti per realizzare flaconi dalle forme più diverse, affusolati ed ergonomici, altamente tecnologici, sfacciati e ingegnosi, che acquistano peso crescente all'interno del panorama del packaging design.
E' noto, infatti, che l'aspetto della confezione di per sé non può garantire il successo di un prodotto, ma può rivestire un ruolo chiave nel rafforzare l'immagine del marchio ed i suoi messaggi fondamentali. Senza la confezione giusta, insomma, qualsiasi cosmetico o prodotto per l'igiene personale partirebbe con un notevole svantaggio.
Il vetro rimane pertanto il più nobile ed il più sicuro degli imballaggi perché, da un lato, conferisce purezza e prestigio ai cibi ed alle bevande, ai medicinali ed ai cosmetici, e, dall'altro, garantisce ai consumatori la totale qualità del suo contenuto. L'industria cosmetica, per le caratteristiche dei suoi prodotti e dei loro problemi di compatibilità con il contenitore, ha molti punti in comune con quella farmaceutica.
La preferenza accordata all'imballaggio in vetro deriva in primo luogo da esigenze di carattere tecnico che ben si sposano con esigenze di tipo estetico e relative all'immagine. Per gran parte dei prodotti cosmetici - dalle creme alla profumeria alcolica - il vetro è la soluzione ottimale, non solo perché è il materiale che più si adatta a un prodotto raffinato, ma perché si presta ad essere utilizzato senza precauzioni, senza cioè ricorrere a laboriose e difficili analisi preventive.
Il vetro è neutro, assolutamente impermeabile e non presenta problemi di compatibilità con le materie prime usate nella cosmesi: offre quindi l'immediata sicurezza che la qualità del prodotto rimarrà invariata nel tempo e nell'ambiente. Infatti, i cosmetici, per essere efficaci, devono poter esprimere le loro proprietà a distanza di tempo e nelle più diverse condizioni ambientali: il vetro garantisce freschezza, inalterabilità ed efficacia costante del contenuto.
Le prime produzioni di oggetti in vetro si ebbero comunque in Egitto intorno al 1500 a.C.; si trattava di decorazioni e successivamente di vasi. L'arte della lavorazione del vetro la si ritrova più tardi in Fenicia e in Etruria. La Grecia, Roma e la Siria furono le culle della lavorazione del vetro soffiato e ad Alessandria dove il vetro assunse le forme dei cammei e delle gemme.
Il termine amorfo è riferito a sostanze che non presentano strutture cristalline ben definite.
I metalli alcalini appartengono al I gruppo della tavola periodica degli elementi.
Da ciò discende quella che è la teoria strutturale più diffusa, ipotizzata dal norvegese Zachariasen, che va sotto il nome di "random network" o reticolo casuale.
E’ usato per filati e tessuti e per imbottiture, a scopo di isolamento termico.
Fonte: http://www.associazioneprofeta.it/documenti/allegati/lezione-n.-4---il-vetro.doc
Sito web da visitare: http://www.associazioneprofeta.it/
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