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In questo progresso scorsoio
Non so se vengo ingoiato
o se ingoio
Andrea Zanzotto ‘epigrammini’
Vi propongo una riflessione sulla tecnologia seguendo il pensiero di Donald Norman.
Ho letto un suo libro anni fa, mi sono divertita e interessata, in occasione del seminario ho provato la curiosità di rileggerlo e ho scoperto che nel frattempo erano usciti altri libri dello stesso autore.
Donald Norman è uno scienziato cognitivo che si occupa di tecnologia, è professore di Computer Science, psicologia e scienze cognitive alla Northwestern University. Ha fondato con Jakob Nielsen una società di consulenza sui temi della usabilità della tecnologia .
Provo a raccontarvi una storia delle sue idee in un periodo che copre gli ultimi 30 anni.
L’uomo ha creato manufatti ‘cognitivi’ che hanno , a loro volta, cambiato le possibilità e i vincoli della nostra natura biologica. Sono artefatti di natura fisica come la carta, la matita, i computer e di natura mentale come la lettura, l’aritmetica, la logica e il linguaggio, questi ultimi si occupano della struttura dell’informazione.
La tecnologia ci aiuta a pensare meglio, ad essere logici, a quantificare le cose. E’ difficile pensare senza scrivere, la scrittura su carta aiuta a condividere le conoscenze, ad avere una memoria esterna, una memoria storica, ci ha permesso di aggirare la barriera di Veissmann e di tramandare possibilità da noi create, permettendo così alle innovazioni di essere irreversibile.
La tecnologia, secondo Norman, può renderci intelligenti. Ma, nello stesso tempo, può renderci anche stupidi.
Oggi abbiamo oggetti elettronici molto potenti, possiamo comunicare a distanza, creare realtà virtuali…
Ma…spettacoli e film prodotti con tecnologie intelligenti e sofisticate sono anch’essi.
Avvincenti? Alle volte, Edificanti? Illuminanti? Informativi? Spesso no.
Scrive Norman nel 1993 “Più riflettevo sui progetti per i quali era stata richiesta la mia consulenza, più li consideravo sbagliati. Anzi, non solo sbagliati, anche pericolosi: un altro mezzo per ridurre il livello di intelligenza dello spettatore. Un altro modo per fare delle persone le vittime volontarie di una marea crescente di annunci pubblicitari…ad alta tecnologia, di spot interattivi nei quali lo spettatore impegnava se stesso e la propria carta di credito non appena accendeva il video. In realtà probabilmente non sarebbe neppure necessario dare al sistema il numero della carta di credito perché ne sarebbe già a conoscenza: sarebbe in possesso di un bagaglio di informazioni sulle vostre simpatie e antipatie, sulle vostre attività personali e il vostro conto in banca, di gran lunga superiore a quanto immaginate, forse persino più di quanto ne sapete voi stessi. Era dunque questa la terra promessa della nuova tecnologia?”
Una tecnologia fondata sulla macchina, non sull’uomo, secondo il motto della fiera Mondiale di Chicago del 1933
La scienza scopre, l’industria applica, l’uomo si adegua.
Un esempio di tecnologia centrata sulla macchina, o meglio sull’uomo come una macchina, è stato il fordismo.
Insieme a aumento della produttività ci fu anche, come effetto non voluto, un peggioramento della qualità del prodotto e, ancora più importante, della vita dei lavoratori.
Scrive Norman “Noi umani siamo creature pensanti, capaci di interpretazione: la nostra mente tende a cercare delle spiegazioni, a interpretare, a fare ipotesi. Siamo esseri sociali attivi e creativi; cerchiamo l’interazione con gli altri. A differenza delle macchine modifichiamo il nostro comportamento nel tentativo di comprendere ciò che gli altri si aspettano da noi”
L’esecuzione efficace di operazioni di routine è congeniale alla macchina, non all’essere umano.
L’essere umano in operazioni di routine mostra la sindrome da stress ripetitivo, perde la capacità di creare, di compiere innovazioni, questa capacità, secondo Norman, è propria della cognizione riflessiva.
Scrive “Fra tutti i prodotti collaterali accidentali della tecnologia che contribuiscono a fare della mente una terra desolata, mi sto interessando sempre più a quello derivante dalle tecnologie dell’intrattenimento, soprattutto per gli effetti che, attraverso i media, rivestono per l’educazione e gli aspetti intellettuali della vita. Mi preoccupa che i nuovi strumenti ci abbiano inaspettatamente portato ad accettare l’esperienza come sostituto del pensiero…
Esistono numerose modalità di cognizione, modi diversi di pensare. Due modalità particolarmente rilevanti ai fini della mia analisi sono la cognizione esperenziale e la cognizione riflessiva . La modalità esperenziale porta ad uno stato nel quale percepiamo gli eventi che accadono intorno a noi e reagiamo ad essi, il tutto in modo efficiente e senza sforzo apprezzabile. Questa è la modalità del comportamento esperto, ed è una componente chiave della prestazione efficace.
La modalità riflessiva è invece quella del confronto e del contrasto, del pensiero e del processo decisorio. Questa è la modalità che ci porta a nuove idee e a nuove risposte.”
La modalità esperenziale spesso ci seduce mettendoci in situazioni rischiose, possiamo però anche viverla in modo vicario, con la lettura, l’osservazione, muovendoci in realtà virtuali.
Il rischio è di confondere l’azione con il pensiero... per quanto possano essere divertenti le esperienze vicarie non possono sostituire una partecipazione attiva. Le esperienze non sempre ci suggeriscono nuove idee e ancora più difficilmente cambiano le nostre abitudini di pensiero, per queste cose è necessario lo sforzo della riflessione e la disponibilità a metterci in discussione.
La modalità riflessiva è quella dei concetti, della pianificazione e della riconsiderazione in un ambiente, possibilmente, essenziale e tranquillo.
Un rischio che oggi si corre è quello di sperimentare quando si dovrebbe riflettere.
In televisione spesso i programmi di informazione, documentari e discussioni, sono inquadrati nella modalità esperenziale, senza mai lasciare spazio al pensiero.
“La televisione, tuttavia, può essere uno strumento al servizio del pensiero riflessivo. Si veda per esempio lo Shakespeare Project dove sono state combinate diverse rappresentazioni teatrali su videodisco, controllando il tutto con un computer che può mostrare il copione e consente di scegliere le scene alle quali assistere. Una sezione del programma chiede di usare la tastiera del computer per scrivere le personali interpretazioni dei pensieri dei vari personaggi e di confrontarle con quelle di registri e attori. Un impiego interattivo e riflessivo del mezzo dove il mezzo televisivo viene combinato alla lettura con un proprio ritmo, alla scrittura, cogliendo il meglio di entrambi i mondi”
Per Norman i problemi difficili sono quelli sociali, non quelli tecnologici.
“ Io sono alla ricerca di una concezione della tecnologia che metta in primo piano le esigenze dell’utente, diversa da quella centrata sulla macchina che abbiamo adesso. Non mi interessa che l’uso del computer si diffonda in ufficio, nelle case e nelle scuole se ciò deve andare esclusivamente a vantaggio della tecnologia, o peggio ancora, se deve essere un modo per attirare l’attenzione servendosi del fascino invece che del contenuto.
Troppo spesso la tecnologia è impiegata per ottenere un effetto teatrale, senza preoccuparsi del contenuto: lasciamo che l’industria dell’intrattenimento orienti i contenuti dei libri che leggiamo, dei film che vediamo e adesso anche dei media informatici usati nelle scuole. L’industria dell’intrattenimento esalta la modalità esperenziale. Risultato: corriamo il pericolo di usare la tecnologia per divertirci a morte invece di farne un mezzo per informarci e arricchire le nostre vite.”
Proviamo a mettere in ordine diverso le parole del motto della fiera mondiale.
L’uomo propone, la scienza studia, la tecnologia si adegua
La tecnologia richiede accuratezza e precisione, mentre la memoria dell’uomo crea contesti, si serve della ridondanza. Significato ed esperienza sono concetti importanti nella nostra vita. La domanda Cosa fa la tecnologia per aiutarci? È quasi sempre la domanda sbagliata. Quello che bisogna cambiare sono le premesse alla base dei problemi da risolvere.
L’intelligenza umana è distribuita in un processo di cooperazione con gli altri, distruggere i canali di comunicazione non verbale può, per esempio, comportare un sovraccarico di informazioni.
Scrive Norman “La necessità di comunicazione e sincronizzazione tra i membri di una squadra è un fenomeno molto sottile. Il fatto, per esempio, di sentire gli errori e le correzioni degli altri, e questo era possibile nelle vecchie cabine di pilotaggio degli aerei e delle navi, nelle grandi sale di controllo, costituisce una forma di addestramento naturale. La ridondanza delle informazioni, grazie alla condivisione del processo di addestramento e di correzione degli errori, mantiene i membri della squadra ad un alto livello di competenza.” Nel 2004 Norman pubblica Emotional design
Nella copertina compare uno strano oggetto, si chiama Juicy Salif, è uno spremiagrumi realizzato in alluminio lucido. Un oggetto seducente concepito, più che per essere usato, per essere raccontato e ammirato, per avviare conversazioni e raccontare storie.
Norman in questo libro affronta il tema delle emozioni e abbandona una concezione puramente cognitivista dell’uomo. Scrive "Negli anni ’80 quando scrissi La caffettiera del masochista
non presi in considerazione le emozioni.
Mi occupai di utilità e usabilità, forma e funzione, il tutto in maniera logica, senza passione – anche se gli oggetti progettati con poca cura mi fanno infuriare. Ma oggi ho cambiato idea. Perché? In parte per via dei nuovi sviluppi scientifici nella comprensione del cervello e del modo in cui l’emozione e il processo cognitivo siano intimamente interconnessi tra loro”.
Nella cultura occidentale la relazione forma/processo, mente/corpo si è costruita all’ombra di un pensiero metafisico, sempre più in alto nella trascendenza.
Scrive Longo ”Si comincia a capire che la metafora (inadeguata) del cervello come elaboratore di informazione deve essere allargata a dismisura: è il corpo (anzi il corpo immerso nel più ampio contesto, anzi è l’universo stesso) a essere un elaboratore di informazione. Non solo,ma è anche produttore di senso, un senso primordiale, radicato nelle particelle e negli atomi della fisica, nelle pietre, nei pianeti, nelle molecole e negli organi della biologia; un senso che precedette di molto la coscienza, un senso che attendeva fin dall’inizio di essere salutato dall’intelligenza del mondo quando fosse diventata consapevole, attraverso l’evoluzione, nell’uomo. Con l’uomo, il mondo estroflette un occhio e si guarda.”
Una poesia di un altro scienziato ci racconta una storia simile, la storia dell’osservatore.
Atomi nell’universo
C’è lo slancio delle onde
montagne di molecole
-ognuna,stupida, per i fatti suoi-
distanti milioni di miliardi
eppure spumeggiano all’unisono.
Ere su ere
prima che occhi potessero vedere,
anno dopo anno, tonanti e martellanti la riva come ora.
Per chi? Per cosa?
Su un pianeta morto
senza vita da rallegrare.
Mai quiete,
torturate dall’energia
prodigiosamente sprecata dal Sole
e riversata nello spazio.
Ne basta un niente a far ruggire il mare.
Tutte le molecole ripetono
le configurazioni delle altre
finché se ne formano di più complicate.
Fanno le altre a propria immagine
e ha inizio una nuova danza.
Crescono più grandi e complesse,
cose vive, masse di atomi,
DNA, proteine
e i passi della danza diventano più intricati.
Fuori dalla culla,
sulla terra asciutta,
ecco che si alza:
atomi dotati di coscienza
materia dotata di curiosità.
In piedi davanti al mare
meravigliato delle proprie domande:
Io,
un universo di atomi,
un atomo nell’universo.
(Richard P. Feynman)
Per progettare tecnologia a misura d’uomo non è sufficiente conoscere i limiti e le caratteristiche cognitive dell’uomo. Nella sua battaglia per una progettazione ‘a misura d’uomo’ Norman, negli anni ‘90 sembrava opporre all’uomo astratto di molto design che lui criticava un uomo concreto a metà, solo cognitivo. Poco spazio era lasciato al gusto, al desiderio del bello e del piacere, al dolore, all’odio e all’amore, allo svago e al puro ozio.
Una conseguenza della fallacia metafisica della nostra cultura.
Il vivente, ci ricorda un grande zoologo del 900 Jacob von Uexküll “ non è una macchina dotata di arnesi da lavoro e strumenti di percezione, riuniti in un tutto organico, mediante un apparato che li dirige… Per amore di questa inverosimile combinazione di uno strumento di percezione e di lavoro, non solo gli organi di senso e di moto degli animali furono interpretati come parti di macchine, senza tener conto che essi agiscono e percepiscono, ma si giunse persino meccanizzare l’uomo. Dal punto di vista dei behaviorismi, la nostra sensibilità e la nostra volontà non sono altro che apparenze; e, nella migliore delle ipotesi debbono valutarsi come elementi secondari perturbatori.”
Norman scopre che l’emozione ci rende più intelligenti. “Questa è la lezione delle mie attuali ricerche. In assenza di emozioni, la nostra capacità di prendere decisioni risulterebbe compromessa. L’emozione ci trasmette continuamente dei giudizi, offrendoci informazioni immediate sul mondo: qui potrebbe esserci un pericolo, lì un possibile benessere; questo è bello, quello brutto. Una delle modalità con cui operano le emozioni è tramite i mediatori chimici, che toccano alcuni specifici centri del cervello e che modificano la percezione, la capacità di prendere decisioni e il comportamento. Questi mediatori chimici modificano i parametri del pensiero…
Parte del comportamento umano avviene nel subconscio, al di sotto del livello di coscienza…molti giudizi sono stati già formulati prima ancora di raggiungere la coscienza.“
Per poter prendere decisioni autonome anche i robot dovranno provare emozioni, anche se non necessariamente le stesse degli esseri umani.
Ecco Kismet, un robot progettato per l’interazione sociale .
Lo spazio emotivo di Kismet è piuttosto ricco: può muovere testa, occhi, orecchie e bocca per esprimere le emozioni. Facciamolo rattristare, e le orecchie si afflosciano. Rendiamolo eccitato, e solleva vivacemente il capo. Quando è scontento, la testa si abbassa, le orecchie si incurvano, la bocca si piega all'ingiù. Scrive Norman “Interagire con Kismet è un'esperienza ricca, stimolante. È difficile credere che sia tutto emozione, incapace di comprendere. Ma se gli andiamo vicino, gli parliamo con eccitazione, gli facciamo vedere l'orologio nuovo di zecca, Kismet risponde nel modo appropriato: ci guarda in faccia, poi osserva l'orologio, poi ci guarda di nuovo in faccia, ogni volta mostrando interesse, mentre solleva palpebre e orecchie, e manifestando un comportamento attento, vivace. Esattamente le reazioni interessate che ci si aspetta dal partner di una conversazione, anche se Kismet non ha assolutamente alcuna comprensione del linguaggio o, per quel che vale, del nostro orologio. Come fa a sapere che lo sta osservando? Non lo sa, ma reagisce al movimento e perciò guarda la nostra mano che si solleva. Quando il movimento si ferma, si annoia, e torna a guardarci negli occhi. Si mostra eccitato perché ha intuito qualcosa nel tono della nostra voce. Come possiamo notare…Kismet pur essendo un sistema complesso, con un corpo (beh, una testa e un collo), vari motori che fungono da muscoli, e un complicato modello sottostante per l'attenzione e l'emozione, è ancora privo di una reale capacità di comprensione. Perciò l'interesse e la noia che dimostra verso le persone sono semplicemente reazioni programmate ai cambiamenti dell'ambiente -o alla loro mancanza -e reazioni al movimento e alle componenti fisiche del discorso. Anche se talvolta Kismet riesce a conquistare l'attenzione degli umani per un certo tempo… gran parte della raffinatezza sta nelle interpretazioni dell'osservatore…
Aibo, il cane robot della Sony, ha un repertorio emotivo e un'intelligenza infinitamente inferiori rispetto a Kismet. Eppure Aibo ha dimostrato di essere incredibilmente stimolante per coloro che lo possiedono. Molti di loro si riuniscono e formano dei club: alcuni collezionano parecchi robot. Si scambiano racconti su come hanno insegnato ad Aibo a fare vari trucchi. Condividono idee e tecniche. Alcuni sono fermamente convinti che il loro Aibo sia capace di riconoscerli e obbedisca ai comandi pur non essendo in grado di farlo.
Quando le macchine mostrano emozioni, offrono un'interazione ricca e soddisfacente con noi umani, anche se gran parte della ricchezza e della soddisfazione, gran parte dell'interpretazione e della comprensione, provengono dalla nostra testa, non dal sistema artificiale. Sherry Turkle, professoressa al MIT e psicanalista, ha sintetizzato queste interazioni sottolineando: tutto questo la dice più lunga su noi esseri umani che sui robot. Di nuovo l'antropomorfismo: leggiamo emozioni e intenzioni in ogni tipo di oggetti. Questi oggetti entrano in sintonia con noi, che siano dotati o meno di coscienza o di intelligenza, sostiene Turkle. Toccano la nostra sensibilità al tal punto che attribuiamo loro la capacità di farlo. Siamo programmati per reagire in modo affettuoso a questo nuovo tipo di creature. Il segreto sta nel fatto che questi oggetti vogliono essere accuditi da noi e stanno bene quando prestiamo loro attenzione".
Siamo noi, guidati da vincoli e possibilità, ad inventare l’ambiente che percepiamo. Siamo creatori di significato e di contesti e questo ci rende responsabili del mondo che pensiamo.
Scrive Hanna Arendt “Quanto al mondo delle apparenze, che coinvolge la nostra anima e il senso comune non meno dei sensi, sono giuste le parole di Eraclito, ancora libere dal fardello della terminologia:La mente è separata da tutte le cose e in ragione di questa separatezza totale che Kant poteva credere così fermamente all’esistenza di altri esseri intelligibili in qualche recesso dell’universo, creature capaci dello stesso tipo di pensiero razionale benché prive del nostro apparato sensoriale e della nostra capacità celebrale e intellettuale: esseri, cioè, privi dei nostri criteri di verità ed errore e delle nostre condizioni di esperienza e di sapere scientifico.”
Ma esseri diversi capaci di creare e quindi di pensare e vivere ambienti diversi ragioneranno diversamente.
Scrive Alberto Biuso “ postulare che l’intelligenza debba somigliare in ogni caso a quella umana, pena di non essere intelligenza, è probabilmente un residuo di quel atteggiamento antropomorfico che già Senofonte aveva colto e che si esprime, ad esempio, nella pretesa di trovare nell’universo forme aliene di vita che non siano però troppo aliene da ciò che l’umanità a inteso come vita a partire dalla vita del suo stesso corpo:”
All'inizio del 2006 è stato insignito con la "Benjamin Franklin Medal in computer and cognitive science
La barriera di Weissmann tra il cambiamento somatico e quello genetico impedisce che le modifiche somatiche di adattamento diventino irreversibili
Donald A. Norman, Le cose che ci fanno intelligenti, Feltrinelli 1995 p.19
Ibidem p. 28
Ibidem p.29
Ibidem 252
Ibidem 256
Ibidem 151
E’ uno dei primi progetti di Philippe Starck per Alessi, concepito nella seconda metà degli anni ’80, vincitore di importanti riconoscimenti quali il Grand Prix National de la Création industrielle e l’Honor Award dell’American Institute of Architects. http://www.apogeonline.com/libri/88-503-2235-6/scheda
Donald A. Norman, Emotional design, Apogeo 2004 p.6
La caffettiera in copertina è elaborata da una figura della serie Catalogue d’objet introuvable del disegnatore francese Jaques Carelman – 1969
Giuseppe O. Longo, Faccia e interfaccia in Aut Aut 289-290 gennaio-aprile 1999 p.27
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/oche_di_lorenz/archivio_2002/eventi/2002_04_29_poeti/index.htm#feynman
Donald A. Norman, Emotional design, Apogeo 2004 p. 8
http://www.ai.mit.edu/projects/humanoid-robotics-group/kismet/kismet.html
Ibidem p. 193
Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino 1978 p.152
Alberto Biuso, Cyborgsofia, Il pozzo di Giacobbe 2004 p.63
O la cultura occidentale
Fonte: http://www.circolobateson.it/archiviobat/2007/seminario%20giugno/Donald%20Normansito.doc
Sito web da visitare: http://www.circolobateson.it/
Autore del testo: Lucilla Ruffilli , intervento al Seminario circolo Bateson 9-10 giugno 2007 Villa Ada. Sede di legambiente
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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