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Mario Fierli – SSIS – Università di Roma Tre
Domandiamoci se una cultura della tecnologia possa e debba essere un obiettivo della formazione. E, se si, in che modo. Il discorso che segue ha una validità per tutte le tecnologie, ma si interessa in particolare a quelle dell’informazione e della comunicazione.
La domanda preliminare è se una cultura della tecnologia sia definibile. Con questo termine cerchiamo di identificare un ambito più ampio della competenza tecnica e del sapere tecnologico (altrimenti parleremmo di cultura tecnologica) che però li include.2
Consideriamo una qualsiasi categoria di oggetti tecnici: ad esempio i sistemi telematici che offrono servizi a distanza. Diciamo servizi turistici, tanto per fissare le idee. Intorno a questo oggetto si possono muovere una quantità di persone, esercitando una serie molto disparata di attività:
Naturalmente si potrebbe continuare ancora a lungo. Alcune delle attività elencate si riferiscono direttamente ed esclusivamente all'oggetto, altre lo mettono in relazione a variabili diverse (sociali, storiche ecc.) e lo considerano quindi in un quadro più generale.
L’elenco di attività che abbiamo proposto ci offre un modo empirico per identificare una cultura della tecnologia: si tratta di tutte le pratiche, i giudizi, le idee di coloro che in qualche modo hanno a che fare con essa.
Una prima conclusione può essere quella illustrata con lo schema di fig 1, molto simile a quello proposto dal tecnologo Pacey (Pacey, 1992):
1 Questo articolo è stato pubblicato nella rivista Tecnologie Didattiche, n°1, 2005 pp.11-20 dedicata al tema “Quale cultura nella società della conoscenza”. La rivista è l’organo ufficiale dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche del CNR di Genova.
2 Da sempre è aperto un dibattito, anzi una disputa sul significato dei termini tecnica e tecnologia. Abbastanza
facile è definire la tecnica come un insieme di mezzi e processi rivolti a fini pratici. Fra questi fini c’è la produzione di oggetti, ma anche la modifica di sistemi naturali e la creazione di sistemi organizzativi. Il termine tecnologia è invece usato con significati diversi, ma soprattutto due: a) sapere (concetti, regole, metodi, teorie, modelli) che serve per condurre attività tecniche e quindi “teoria” della tecnica, b) categoria di oggetti e di soluzioni pratiche che si basano sugli stessi concetti e metodi. La disputa terminologica non è molto utile, anzi spesso crea confusione. Pertanto in questo testo si è deciso di usare soprattutto “tecnologia”, proprio perché polisenso.
L’analisi di un qualsiasi campo del sapere, e quindi anche delle tecnologie, può essere condotta attraverso l’esame di due aspetti. Da una parte i concetti, le teorie, le regole, dall’altra i procedimenti e i linguaggi. Le prime costituiscono la struttura concettuale e i secondi quella che possiamo metaforicamente chiamare la struttura sintattica. Le due sono evidentemente connesse.
Si può dire, in un certo senso, che la struttura concettuale di una tecnologia si può conoscere anche solo studiando i trattati, i saggi scientifici. Si tratta sostanzialmente del “terzo mondo” di Popper, al quale però vanno aggiunti anche gli oggetti costruiti, che in qualche modo sono conoscenze materializzate. Vicina al “secondo mondo” è invece la struttura sintattica, per conoscere la quale occorre osservare i modi in cui operano e comunicano coloro che hanno a che fare con la tecnologia.
Esistono alcuni nuclei di concetti generali, per così dire immanenti, che sono sempre presenti e che costituiscono la struttura profonda di tutte o di gran parte delle tecnologie.
Sicuramente la tecnologia ha come obiettivo ineliminabile quello di realizzare qualcosa che funziona bene e di farlo con il minimo dispendio di risorse. Ed ecco allora i concetti di efficienza, di rendimento, di ottimizzazione, di affidabilità, di sicurezza: vere e proprie costanti intellettuali di chi ha a che fare con la tecnica in qualsiasi veste.
Con la rivoluzione industriale avanzata si è cominciato a produrre oggetti sempre più complessi. E’ sempre più difficile descrivere, di tali oggetti, come sono fatti e come funzionano. Da una parte questo ha portato all’adozione di linguaggi tecnologici sempre più sofisticati (vedi oltre) e
dall’altra, ad adottare un armamentario concettuale necessario per descrivere e progettare gli oggetti tecnici.
Un concetto-chiave è quello di sistema. L’adozione di questo concetto si è portato dietro un insieme di paradigmi:
Le considerazioni di questo contributo sono di tipo generale e quindi si parla di tecnologia senza ulteriori distinzione. In realtà appena si voglia scendere nel concreto di qualsiasi operazione formatica è necessario parlare di tecnologie o aree tecnologiche La classificazione in aree tecnologiche è arbitraria e dipende dal contesto e dai fini per cui si adotta. In particolare può cambiare molto il livello di specificazione e quindi la vastità delle aree considerate. L’elenco delle discipline di un istituto tecnico oppure i corsi di laurea delle facoltà tecniche sono esempi di classificazioni, anche se, per la verità, determinate non solo da assunzioni epistemologiche, ma anche da considerazioni pratiche.
Una classificazione molto semplice è quella che individua tre grandi concetti di base:
Questo schema è assai suggestivo perché lascia grande spazio ad aggregazioni tematiche varie e non rigide all’interno delle tre aree e perché identifica anche le ere dell’evoluzione tecnica.
Concentrando un attimo l’attenzione sull’area dell’informazione e della comunicazione vale la pena di osservare che non sempre i due termini sono co-presenti nelle scelte curricolari ai diversi livelli. Sembra, cioè, che le distinte storie delle telecomunicazioni e dell’informatica siano ancora barriere così forti da rendere difficile accettare l’intrinseca unità concettuale, a dispetto di una fusione di fatto, a livello degli oggetti tecnici, dei due campi.
Si discute frequentemente se la tecnologia è anche una scienza. Certamente essa ha un rapporto con le altre scienze. Basta pensare al rapporto fra informatica e matematica e fra telecomunicazioni e fisica. Da questo molti deducono che la tecnologia è solo scienza applicata. E’ un punto che non si può esaurire in poche righe, ma occorre costatare, almeno, che questa tesi non regge sia sul piano epistemologico sia su quello storico. Certo si tratta di definire cosa è una scienza. Alcuni filosofi della scienza hanno illustrato a fondo il concetto di scienza tecnologica. Va poi ricordata la suggestiva definizione di Simon (Simon, 1969) che introduce il concetto di Scienze dell’Artificiale.
Abbiamo osservato che non è possibile ridurre il comportamento tecnologico ad un solo tipo di procedimento, perché vi è una grande varietà di attività molto diverse tra di loro che si possono legittimamente definire tecnologiche. Vediamone alcune.
Progettare e costruire
Progettare è una normale attività della mente umana, che occupa una buona percentuale del
tempo di vita di qualsiasi persona ragionevole. La progettazione tecnica ha come specifico la creazione di oggetti artificiali, è diretta a uno scopo ben definito e accetta il vincolo della verifica del risultato. Inoltre si avvale di un apparato di mezzi e metodi caratteristico delle diverse tecnologie.
La divisione progetto-realizzazione è una divisione logica, caratteristica del modo di operare dell'uomo che proprio in questa capacità di separare le due fasi trova uno dei suoi caratteri distintivi. Naturalmente la separazione logica fra progetto e realizzazione non va confusa con la separazione sociale, che consiste nell’assegnare le due fasi a soggetti diversi.
Il fatto che progettare e realizzare siano attività naturali non ha impedito che, a causa della loro importanza nel condurre in porto imprese di successo, esse siano diventate una vera e propria disciplina oggetto di studio e di manuali. La versione più popolare è probabilmente il così detto approccio sistematico, generalmente adottato per la creazione di sistemi di una certa entità. In sintesi esso prevede una successione di passi canonici. Ve ne sono varie versioni. Ad esempio:
La fiducia nell’approccio sistematico tende a dare una visione piuttosto deterministica della progettazione: le fasi non possono stare che in quell’ordine e ciò che si fa in una fase dipende in modo più o meno certo dai risultati della fase precedente. In pratica le cose sono spesso assai più complicate e questa visione non regge di fronte a un esame della parte «focale» del progetto, che è la formulazione di una soluzione fattibile ottenuta attraverso successive ipotesi di soluzione e di loro critica, modifica o rifiuto. Si può trattare di soluzioni innovative oppure di una semplice scelta fra opzioni già disponibili nell’ambito di una data tecnologia, ma la ricerca di una soluzione è un caratteristico processo di sintesi, in genere di tipo euristico, cioè fatto di tentativi ed errori, di approssimazioni successive e di bilanciamenti fra esigenze contrapposte
Il discorso diventa anche più complesso se si considera in modo più realistico il rapporto fra mezzi e fini che entra in gioco in ogni azione umana diretta a uno scopo (se ne riparlerà più oltre) e che in realtà conduce a un processo non lineare, ma circolare.
C’è grande differenza fra i processi di progettazione-realizzazione in situazioni «primitive» ed in situazioni ad alto sviluppo industriale. Nel primo caso i mezzi sono forniti direttamente dalla natura, con le sue materie, i suoi esseri viventi e la sua energia. Il progettista deve dunque sapere come funziona la natura per poterne ricavare i mezzi. E nella sua cultura debbono avere grande spazio, ad esempio, le scienze fisiche e naturali. Se costruisce una barca e gli serve un albero per le vele, deve sapere quali piante sono sufficientemente lunghe, diritte, flessibili. resistenti alla flessione ed alla salsedine. La società industriale, al contrario, è talmente ricca di prodotti finiti e semilavorati, che il progettista non deve in genere ragionare in termini di risorse naturali, ma in termini di componenti. Nel patrimonio culturale del progettista il ruolo delle scienze fisiche e naturali diventa minore: gli basta conoscere le caratteristiche di prestazione dei componenti. La progettazione diventa più astratta e raggiunge il massimo della distanza dalla natura quando, ed è proprio il caso delle TIC, l'industria mette a disposizione un numero limitato di pezzi tipo o moduli e la costruzione diventa un assemblaggio. La logica e i linguaggi simbolici sostituiscono l’applicazione di leggi fisiche.
Inventare e creare
L’invenzione è un altro emblema della tecnologia. E non c’è dubbio che una storia delle invenzioni è uno dei fili con cui è tessuta la storia dell’umanità. Dell’invenzione si ha l’idea come
di un evento raro ed eccezionale. Certo non viene naturale pensare alla maggior parte dei tecnici come inventori. Eppure l’invenzione esiste ed è anche molto diffusa nella forma di ricerca tecnologica: se ne vedono gli effetti nel continuo annuncio di nuovi oggetti tecnici e di nuove soluzioni. Per la verità esiste anche in un altro contesto: quello del lavoro artigianale. Basta pensare agli artigiani classici, ma soprattutto a quegli “artigiani intellettuali” che operano non solo, come viene subito in mente, nel design industriale, ma anche nel campo delle nuove tecnologie.
Gestire e mantenere
La gestione di un sistema tecnico e la sua manutenzione sono considerate spesso come attività “umili”. E’ vero che per alcune tecnologie i processi di gestione e manutenzione sono molto standardizzati , in un certo senso, rutinari e banali. Ma questo avviene soprattutto in contesti industriali e per i grandi sistemi tecnici. In molti altri casi gestire e mantenere sono attività tutt’altro che semplici. Pensiamo, ad esempio, alla ricerca dei guasti quando non siano disponibili sistemi di diagnosi automatica. Si tratta di una attività assai “nobile” dal punto di vista cognitivo.
Una apparecchiatura, nella mente di un operatore, è un sistema materiale che rappresenta concretamente un insieme più o meno complesso di relazioni causa-effetto: se egli conosce bene il funzionamento dell'apparecchiatura sa che un evento si può verificare solo se si verificano altri eventi. Estendendo a catena questo ragionamento un sistema è rappresentabile con la mappa delle relazioni causa-effetto. Il mancato verificarsi di un effetto atteso, cioè un guasto, mette in moto nell'operatore un meccanismo mentale molto simile a quello della scoperta, che include necessariamente la formulazione di ipotesi, la loro verifica e l’attivazione di catene inferenziali. Non a caso il progetto PISA (Program for International Student Assessment) dell’OCSE, nell’ambito di una recente indagine internazionale sulle abilità di base, ha adottato proprio problemi di ricerca dei guasti per testare la capacità di problem solving (OECD, 2004).
Utilizzare oggetti tecnici
Il rapporto più comune con la tecnologia è l’uso di oggetti tecnici. Si tratta della pratica più pervasiva della vita di ciascuno, che include una gamma enorme di processi cognitivi per lo più inconsapevoli. Quando si sviluppa una nuova tecnologia si verifica un fenomeno antropologico di addestramento. In un primo momento il rapporto con i nuovo oggetti richiede un alto livello di consapevolezza e di “studio” perché le regole di questo rapporto debbono essere apprese, in genere da adulti, tutte insieme in un tempo breve. Per giunta, in questa fase, non si consolida la rete di assistenza e manutenzione per i nuovi prodotti e l’utilizzatore deve essere anche un po’ capace di fare qualche operazione di manutenzione. Scorrendo i titoli di cento anni fa di qualche editore si può trovare, ad esempio, un “manuale dell’automobilista” destinato ai proprietari di automobili. Ad addestramento avvenuto le regole vengono introiettate e le tecnologie diventano, come si suole dire, trasparenti. Quando la nuova tecnologia diventa stabile nel tempo, le regole del rapporto vengono acquisite progressivamente fin da piccoli e la necessità di un addestramento formale tende a scomparire quasi del tutto. Questa è la ragione per cui l’investimento nel semplice addestramento all’uso di una certa generazione di tecnologie di uso comune è una operazione di breve respiro: è il caso, ad esempio, della Patente Informatica. Ed è anche la ragione per cui quasi più nessuno acquista il manuale di un sistema di scrittura. Naturalmente l’arrivo di tecnologie realmente nuove, con un cambio di paradigma, riporta al punto di partenza e inizia un nuovo ciclo.
Andando un po’ più a fondo bisogna almeno distinguere fra l’uso di oggetti che, come le macchine, hanno una funzione determinata e definita, per la quale ci alleggeriscono il lavoro, e l’uso di utensili che sono generalmente multiuso, amplificano le nostre capacità e ci aiutano in una vasta gamma di compiti. Buona parte di quello che le TIC offrono a tutti, ad esempio i così detti strumenti di produttività, è costituito da utensili. Nasce dunque il problema, non a caso assai studiato, di come si configurano le abilità umane in un contesto ricco di utensili: in particolare le abilità cognitive nel contesto delle TIC (Fierli, 2003). E’ chiaro, comunque, che nell’uso di
utensili il livello di consapevolezza rimane più alto, anche nella fase di tecnologia stabile.
Scoprire il mondo fatto dall’uomo
Per tradizione si tende a pensare che il compito del conoscere e della scoperta si debba rivolgere alla natura. E’ abbastanza scontato osservare che l’ambiente in cui viviamo non è “la natura”, ma un mondo i cui naturale e artificiale si mescolano. Il “mondo fatto dall’uomo” ha l’estensione di una seconda natura che esiste e con la quale, come con la natura originaria, non abbiamo necessariamente un rapporto di uso o di produzione. E allora perché non pensare che anche per questo mondo si pone un problema di comprensione e di scoperta?
Sul piano cognitivo questo richiede l’attivazione di un processo di analisi dei prodotti tecnici. Questa, che è il contrario del progettare-costruire, cerca di ricavare dal già costruito il suo principio di funzionamento, la sua architettura e le sue funzioni. Si tratta di un processo della stessa complessità, forse addirittura superiore, di quella della progettazione.
Ricercare, teorizzare, insegnare
La tecnologia, come ogni altra cultura, ha le sue avanguardie. Una vasta comunità di persone è impegnata professionalmente o con funzioni di ricerca e di innovazione o con funzioni di diffusione (come l’insegnamento). Anche l’esercizio professionale di una funzione tecnica richiede in una misura maggior o minore, un certo bagaglio di scienza tecnologica. Il problema più interessante è se questa debba anche far parte della cultura dei non-produttori. E questa domanda si sdoppia in due: se l’uso degli oggetti tecnici richieda o sia favorito da una conoscenza dei principi tecnologici e se, comunque, essi debbano fra parte del bagaglio culturale di tutti i cittadini. Di questo discuteremo più avanti.
La tecnologia, per sua natura eclettica, fa uso di un gran numero di linguaggi presi in prestito dalle diverse scienze. Esistono però alcuni linguaggi specificamente tecnologici che, pur accettando regole generali di altre discipline, ad esempio della geometria, posseggono una sintassi del tutto autonoma.
Un esame sommario della storia della tecnologia, attraverso i manuali e le altre tracce disseminate nei racconti, nei reperti archeologici e anche nei dipinti, mette in evidenza una evoluzione dei linguaggi attraverso fasi successive, con una progressione dal “pressappoco alla precisione”, per seguire Koirè, ma anche, contemporaneamente, dal figurativo all’astratto, dall’iconico al simbolico. La progressione è all’incirca la seguente: il disegno rudimentale (lo schizzo), ad esempio delle macchine rinascimentali, il disegno geometrico antropocentrico ad esempio le tavole dell’Enciclopedie di Diderot e D’Alembert, il disegno geometrico oggetto- centrico, vero strumento di anatomia delle macchine, il disegno schematico-topologico e i grafi che mettono in evidenza solo le relazioni funzionali; i grafi che mettono in evidenza solo relazioni funzionali, i linguaggi simbolico-formali. Le ragioni di questa evoluzione sono varie, ma la fondamentale è l’aumento della complessità degli oggetti tecnico, con il processo di astrazione di cui si è già detto.
Un punto di svolta è costituito dalle tecnologie dell’informazione ed esso ha origini più lontane di quanto si pensi. E’ Babbage, l’anticipatore dell’idea di calcolatore, ad affermare che, di fronte alla complessità dei suoi congegni, il problema non era più quello di rappresentarne la forma, ma la logica del funzionamento. Ed è per questo che inventa quel vero e proprio prototipo di linguaggio informatico che è la “notazione meccanica”.
Una breve rassegna degli alti e bassi della stima verso la tecnica nel tempo si riferisce necessariamente all’immagine che di essa hanno avuto gli intellettuali, che per ovvie ragioni sono gli unici di cui abbiamo conservato le opinioni. Sono anche quelli che influiscono sulle politiche culturali e, ciò che ci interessa di più, sui principi educativi e sui sistemi scolastici.
Dice Socrate nel Gorgia: “Ma tu Callicle disprezzi lui e la sua arte, e oltraggiosamente lo chiameresti “un costruttore di macchine”, né daresti una tua figliola in moglie a suo figlio, né vorresti che tuo figlio sposasse una sua figliola”. Socrate non d’accordo con Callicle, ma l’opinione di quest’ultimo predomina fra i ceti intellettuali della Grecia antica e persino la filosofia di Aristotele le fornisce una base teorica destinata a durare nel tempo: le persone dedite al soddisfacimento dei bisogni degli altri non hanno diritto alla cittadinanza.
Facciamo un bel salto di tempo e di genere: dall’antichità all’’800 e dalla filosofia alla narrativa popolare. Rileggiamo l’immagine e le gesta dell’ingegnere-scienziato Ciro Smith nell’Isola Misteriosa di Verne (1875). Costui impersona il moderno archetipo dell’ingegno positivo: “..prontezza di mente e di corpo, impetuosità di sentimento, forza di volontà”. La sua dote intellettuale è “la scienza pratica” e “lo spirito inventivo”. Infatti trasforma una pattugli di naufraghi in una comunità di piccoli industriali, capaci di ricavare dalla natura qualsiasi cosa. Per giunta con un certo gusto del sorprendere con le magie della tecnica. Naturalmente la stima e la fiducia dei suoi compagni è massima: “Per essi l’ingegnere era un microcosmo, era la quintessenza di tutta la scienza e di tutta l’intelligenza umana. Trovarsi con Ciro in un’isola deserta o senza Ciro nella più industriale città degli Stati Uniti era proprio la stessa cosa. Con lui non poteva mancare proprio nulla”. Qualche anno dopo il Ballo Excelsior doveva portare in scena il trionfo dell’emblema della tecnologia-ragione di quell’epoca, la luce elettrica, contro le tenebre dell’oscurantismo e dell’ignoranza.
Nel mezzo si ha la nascita dell’idea di progresso e la sua sostanziale identificazione con lo sviluppo tecnico-scientifico, la nascita della “scienza tecnologica” galileiana, la rivalutazione illuministica delle arti meccaniche dell’illuminismo, la rivoluzione industriale. E più tardi il passaggio dal positivistico ingegnere Smith all’ingegnere cibernetico e sistemico dei sistemi complessi, con il progetto della grande Scienza dell’Artificiale. Come ben si sa non tutti gli intellettuali, durante questo lungo periodo e neanche nell’epoca del trionfo, hanno accettato la tecnologia come valore positivo. Anzi ne hanno messo in evidenza i veleni morali e culturali e il loro potere di corruzione nei confronti dell’uomo. E spesso hanno sostenuto non solo la superiorità della cultura umanistica, ma anche la sua funzione di antidoto contro quei veleni.
Dalla seconda metà del ‘900, a causa della produzione di veleni materiali (le armi di distruzione di massa, l’inquinamento) la critica della tecnologia si diffonde, esce dai ceti intellettuali per diventare quasi ideologia maggioritaria. E l’identificazione tecnica-progresso entra in crisi.
Naturalmente, secondo queste visioni negative, ogni pretesa della tecnologia di fornire modelli di etica e di razionalità è vana e, conseguentemente, va contenuto il suo spazio nella cultura ( e nella scuola).
Alla radice di molte critiche della tecnologia si trova quello che possiamo chiamare un pregiudizio deterministico, molto popolare e diffuso. Storicamente, per la verità, coltivato dagli stessi tecnologi.
Da una parte c’è l’immagine della pratica tecnologica come un processo lineare, quasi algoritmico, basato su passi certi e non discutibili. Quindi non flessibile, limitato, e decisamente improponibile come modello di razionalità. Si è già osservato, parlando di progettazione, che questa immagine non regge. In realtà il lavoro del tecnico non è mai stato veramente deterministico
neanche quando era largamente basato sul calcolo. Ma i sistemi complessi e le nuove tecnologie hanno fatto emergere la natura intrinsecamente euristica di questo lavoro. Ed è oramai chiaro che esso richiede dialettica, confronto, interpretazione e si avvale non solo di definizioni e procedimenti, ma anche di registri come la narrazione e il dialogo.
Dall’altra parte c’è l’idea, anch’essa discutibile, del determinismo nel rapporto tecnologia- società, di cui parleremo nel par. 4.
Se si va oltre le posizioni di principio e si esamina quello che avviene realmente non solo nelle ideologie, ma anche nelle pratiche di chi ha a che fare con la tecnologia, inclusi i professionisti, si scopre la nascita di una nuova intellettualità.
Vengono intanto abbandonati alcuni capisaldi dell’immagine positivistica della tecnologia: la fiducia nella risolubilità di qualsiasi problema, la indiscutibilità delle soluzioni, il diritto-dovere di ignorare qualsiasi fattore non interno alla scienza tecnologica assunto quasi come imperativo etico: è nota la diffidenza verso ogni considerazione “al contorno” di una certa ingegneria tradizionale qualificata spregiativamente come “sociologica”.
Vediamo, ad esempio, quali sono le idee sulla tecnologia che, secondo il Progetto 2061 della American Association for the Advancement of Sciences (AAAS, 1990) dovrebbero essere acquisite nella scuola:
Si può forse dire che la razionalità tecnologica ha incorporato cospicue dosi di ”pensiero debole”.
L’analisi della forte interazione fra tecnica e sistemi sociali è, come si è già detto, spesso impregnata da una visione deterministica. Per altro con due posizioni opposte: quella dello sviluppo tecnologico determinato dal contesto sociale e quella dello sviluppo sociale determinato da quello tecnologico. Una versione di questa seconda posizione, oggi molto diffusa, è quella secondo cui il progresso tecnologico è diventato autonomo e indipendente rispetto alle scelte umane, anche perché
la tecnologia ha carattere globale e i poli decisionali sono al massimo nazionali. La tecnologia procede in modo inarrestabile e ha perso la sua natura di mezzo subordinato ai fini dell’uomo. Siccome essa è intrinsecamente priva di fini, ne nasce una società priva di senso. Gli uomini diventano solo “funzionari della tecnologia”. E’ quello che pensa, ad esempio, il filosofo Galimberti (Galimberti, 1999).
Una analisi diversa, come quella di Flichy (Flichy, 1996) mette in evidenza il carattere circolare, dialettico, tutt’altro che deterministico, del rapporto tecnologia-società. Vediamo solo alcuni punti:
Un capitolo quasi inesauribile, che è impossibile anche solo aprire qui, è quello dell’influenza della tecnologia sulla cultura e sui comportamenti sociali.
Fra sviluppo tecnologico e organizzazione del lavoro c’è, da sempre, un intreccio molto forte. Non ci avventuriamo in un excursus storico. Ci basta ricordare due grandi cambiamenti per molto versi ancora in atto:
Nelle professioni la competenza tecnico.scientifica, pur continuando ad essere una componente essenziale, non è più una componente esclusiva e talvolta neanche prevalente; tendono ad avere sempre maggiore importanza componenti come:
La tesi che vogliamo sostenere è piuttosto forte: tutti, anche le persone più distanti dalla produzione e dall’utilizzazione di oggetti tecnici, dovrebbero possedere, in qualche misura, una cultura della tecnologia con tutte e tre le sue dimensioni.
Si può intanto considerare il problema dal punto di vista strettamente funzionale. Se distinguiamo le persone, in base al rapporto che hanno con le tecnologie, in esperti e i fruitori, ci si può domandare quale tipo di cultura tecnologica è necessaria per tale rapporto.
E’ scontato per i primi, che essi debbono avere una competenza tecnica e possedere un sapere tecnologico adeguato al loro ruolo: gestori, manutentori, costruttori/realizzatori, progettisti, tecnologi ecc. E’ oramai ricorrente la richiesta di arricchire la professionalità con una forte consapevolezza del contesto sociale, ma questa spesso si limita allo specifico dell’organizzazione. Una visione matura del valore della tecnologia è considerata per lo più un optional, salvo alcuni principi essenziali di etica professionale. Eppure appare evidente che un alto livello di intellettualità dei tecnici non è solo un elemento di civiltà, ma la condizione per agire in modo più efficace e, probabilmente, più innovativo. I fruitori hanno bisogno, come è ovvio, di buone competenze d’uso, specialmente se sono utilizzatori di utensili sofisticati. In qualche misura debbono conoscere anche i paradigmi di base della scienza tecnologica. Ma hanno soprattutto bisogno di dare un senso all’uso degli oggetti tecnici, e questo richiede una forte consapevolezza del contesto e del valore della tecnologia, almeno in relazione al proprio raggio di azione.
C’è però anche un secondo, e più importante, modo di rispondere alla domanda. Quale che sia il rapporto dei singoli con le tecnologie, essi sono cittadini, che debbono partecipare nel modo più attivo e consapevole possibile alle scelte della loro comunità, e persone che hanno bisogno, per sviluppare le proprie potenzialità culturali, di comprendere tutti gli aspetti rilevanti del mondo che li circonda. Questa è la ragione per cui, oltre a una forte consapevolezza del contesto e dei valori, tutti dovrebbero conoscere i principi di base delle tecnologie e sviluppare almeno la voglia di scoprire come funzionano gli oggetti tecnici.
La valenza professionale della tecnologia è abbastanza ovvia, ma occorre osservare che non c’è un rapporto esclusivo fra tecnologia e professionalità. Sono possibili, e di fatto esistono, attività con: forte finalizzazione professionale e forte componente tecnologica (i tecnici), forte finalizzazione professionale e con debole (difficilmente nessuna) componente tecnologica (es: gli avvocati), debole o nessuna finalizzazione professionale e forte componente tecnologica (bricolage tecnico, giochi tecnologici), debole o nessuna finalizzazione professionale e debole o nessuna componente tecnologica (varie attività sociali e culturali).
In sostanza occorre rendersi conto che l’equivalenza tecnologia=professionalità data quasi per scontata, non è solo limitativa per le ragioni sostenute nel punto precedente, ma non rispetta neanche la realtà dei fatti.
Nei sistemi educativi vi sono in genere due fasi. La formazione di base senza fini di formazione professionale o al massimo con qualche obiettivo di pre-professionalità, la formazione secondaria superiore per la quale esistono due modelli. Nei sistemi duali alcune istituzioni hanno prevalentemente una finalità di formazione professionale e altre una finalità di formazione generale e accademica. Un sistema è propriamente duale se i due percorsi sono anche istituzionalmente separati (ad esempio in Italia, secondo la legge di riforma in atto, licei definiti dallo stato e istruzione-formazione professionale definita dalle regioni). Ma un certo grado di dualità (potremmo parlare di bimodalità) si può anche avere nell’ambito di percorsi istituzionalmente eguali. Ad esempio il liceo e l’istituto tecnico nel sistema ancora in atto in Italia, i licei “accademici” e il licei “tecnologici” nell’impostazione data dal decreto attuativo della suddetta legge, oggi allo stato di
bozza. I sistemi unitari, tipicamente le scuole comprehensive, cercano di integrare i due tipi di obiettivi in un unico percorso comune a tutti
In tutti i paesi avanzati una cultura della tecnologia è in genere in qualche modo raccomandata negli obiettivi della formazione di base; l’introduzione fra le finalità formative di una cultura della tecnologia si basa su alcune assunzioni:
In linea di principio la cultura della tecnologia a livello secondario superiore può essere presente sia nei sistemi unitari sia in quelli duali; in questi ultimi si verificano però in genere alcuni condizionamenti che lo rendono difficile:
Vale la pena citare le considerazioni di un gruppo di lavoro che fu istituito in occasione della riforma promossa, e poi abbandonata, nella precedente legislatura.
“Ogni professionalità ha una componente di operatività, finalizzazione al risultato, padronanza di tecniche, capacità di rapportarsi al contesto in cui si esercitano le attività produttive e ai valori in esso stabiliti. Ma è anche importante, per la stessa professionalità, saper correlare il proprio ambito operativo ai valori più generali della società e saper riflettere sulle questioni tecniche anche in modo speculativo, adottando punti di vista esterni, culturalmente più ampi, rispetto all'area di specializzazione. D'altra parte, simmetricamente, la cultura non può fare a meno di riflessione teorica ed esercizio disinteressato di abilità. Ma anche la dimensione operativa, la padronanza di tecniche, la finalizzazione al risultato e la contestualizzazione sociale del proprio lavoro debbono essere, indipendentemente dal loro impiego professionale, una componente essenziale della cultura di tutti i cittadini. In sintesi, si può dire che la dicotomia tra cultura-professione può trovare un superamento soltanto nella consapevolezza della impossibilità di definirla una volta per tutte, e, di conseguenza, nella costruzione di scelte curricolari e didattiche coerenti ma flessibili.
Vale inoltre la pena affrontare preliminarmente la questione della cosiddetta capacità critica, che è uno dei risultati più alti a cui tende la formazione. Viene spesso, implicitamente o esplicitamente, assunto lo schema per cui la maggior parte delle discipline scientifiche e in particolare quelle più legate alle competenze tecnico-professionali sono refrattarie all'esercizio critico e quindi occorre compensare il loro studio con altre discipline che ne sono portatrici, se non addirittura depositarie. Non solo quanto si è detto sul rapporto cultura-professione, ma la stessa struttura concettuale e metodologica delle scienze e delle moderne tecnologie, tutt'altro che relegate nel dominio del determinismo, inducono a superare tale schema e ad affermare che la capacità critica ha un primo campo di esercizio all'interno di tutti i saperi specifici, inclusi quelli tecnico-scientifici, ma che il suo sviluppo completo richiede necessariamente una contaminazione fra di essi.” (Fierli, Tognon, 2001)
In conclusione, se non si rimette in discussione il rapporto cultura/professione e, in subordine, scienza/tecnologia si va inevitabilmente incontro alla difficoltà di fare una riforma che dia una risposta effettiva al problema del rapporto cultura-tecnologia. La vicenda del Liceo
Tecnologico nella riforma in atto è emblematica. Da una parte ci sono i difensori della purezza del modello duale e della sua sostanziale coincidenza con l’alternativa stato/regione. Questi hanno provato a proporre un liceo tecnologico senza indirizzi che però, per essere vero liceo secondo il loro punto di vista doveva contenere quegli elementi che solo lo possono rendere tale, cioè la cultura classica, mentre paradossalmente la tecnologia doveva comparire solo come simulacro. Dall’altra parte i difensori dell’istruzione tecnica e anche, in parte, di quella professionale, chiedono semplicemente di sussumere più o meno tutto l’attuale impianto fra i licei. Attraverso una progressiva operazione di “salvataggio” si può arrivare a imbarcare praticamente tutto. La dualità istituzionale viene evitata, ma permane una evidente bimodalità culturale: cultura e professione continuano a marciare su binari separati.
AAAS, Science for All Americans. Project 2061, Oxford University Press, 1990 Fierli M., Tecnologie per l’Educazione, Laterza, 2003
Fierli M., Tognon G., Introduzione al gruppo di lavoro “Valenza culturale e professionaledell’area delle discipline di indirizzo e delle opzionalità dei futuri indirizzi”, non pubblicato, 2001
Flichy P., L’innovazione tecnologica, Feltrinelli, 1996
Galimberti U., Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, 1999
OECD, Problem Solving for Tomorrow’ Word. First Measures of Cross-Curricular Competencies from PISA 2003, OECD 2004, http://www.pisa.oecd.org/
Pacey A., The Culture of Technology, MIT Press, 1992 Simon. H.A., The Sciences of the Artificial, MIT Press, 1969
Fonte: http://archivio.istruzioneer.it/storage.aicod.it/ftp/usr2/Articolo_Fierli.pdf
Sito web da visitare: http://archivio.istruzioneer.it
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