Turismo di massa

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Turismo di massa

 

Dal turismo di élite al turismo di massa

La complessità del turismo, sia come oggetto di studio nelle teorizzazioni scientifiche, sia come campo di applicazione nella pratica, è dovuta al suo essere un settore trasversale e, quindi, fattore di spinta e d’impatto di una molteplicità di effetti prodotti da settori differenti. Da tale complessità, discende una letteratura, improntata su metodologie e logiche diverse, in cui sociologi, antropologi, geografi, letterati, economisti, hanno descritto il ruolo del turismo nell’evoluzione della società contemporanea, ponendo anche le basi per la conoscenza del relativo settore economico.
Secondo l’UNWTO (United Nations Word Tourism Organization), per turismo si intende «il movimento di persone che si spostano dal luogo di residenza ad un altro luogo, dove si fermano per tempo libero o per affari per almeno una notte».
Si tratta di una definizione che, sebbene attiene al turismo moderno, ben contempla gli elementi propri del fenomeno turistico fin dalle sue origini (lo spostamento, la durata, la motivazione…), e che lascia intuire la difficoltà, non solo di definire che cosa sia il «turismo» - molteplici sono le definizioni che i diversi autori ne hanno dato negli anni -, bensì di quantificare tale fenomeno: la mobilità del collettivo statistico (turisti) sul territorio, il regime di libera circolazione delle persone alle frontiere, nonché le nuove “modalità di fare turismo” (il turismo residenziale, il caravanning, ecc.), rendono sempre più complessa la rilevazione statistica dei flussi turistici.
Nonostante queste difficoltà, i dati raccolti confermano il costante trend di crescita che ha caratterizzato il turismo a partire, in particolare, dagli anni Novanta con un aumento medio degli arrivi internazionali di circa il 5% ed il coinvolgimento di nuove aree.
Secondo stime internazionali, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, il movimento interessava all’incirca 25 milioni di persone, divenute 70 milioni già nel 1960. Nel 1995, il movimento turistico internazionale ha superato i 500 milioni di arrivi per un fatturato di oltre 300 miliardi di dollari. Interrotto temporaneamente in seguito alla crisi provocata dai tragici fatti dell’11 settembre 2001, esso è ripreso gradualmente nel corso del 2002, fino a determinare, alla fine dello stesso anno, secondo i dati dell’OMT (Organizzazione Mondiale del Turismo), un nuovo aumento del 3,3% dei flussi turistici, che ha permesso di superare per la prima volta la quota di 700 milioni di arrivi.
Una vera e propria esplosione si è avuta nel 2004 con un aumento degli arrivi a livello internazionale di oltre il 10%. Le stime dell’OMT prevedono che, entro il 2010, gli arrivi di turisti dall’estero saliranno ad oltre un miliardo, per superare il miliardo e mezzo nel 2020, con una ridistribuzione dei flussi che tende a privilegiare l’area Pacifico-Asia Orientale (dal 14,4% attuale al 25,4%) a discapito dell’Europa, la cui quota di mercato si prevede ridursi dal 59,8% al 45,9% (vedi fig. 1).

                      Fig. 1 - Previsioni di lungo termine dell’andamento dei flussi turistici internazionali

Fonte:  World Tourism Organization (UNWTO), 2006
L’importanza del comparto turistico trova conferma nell’analisi dei principali dati macroeconomici: il 10,7% del PIL mondiale è prodotto dal settore turistico; quasi il 40% dei servizi all’esportazione e circa il 12% delle esportazioni mondiali di beni e servizi sono imputabili al turismo; esso rappresenta uno dei principali settori export-oriented per l’83% dei Paesi, costituendo la principale fonte di moneta estera per almeno il 38% di essi; circa il 7% dei lavoratori nel mondo è impiegato nell’industria turistica. Nello specifico, nell’UE a 25, in cui si sviluppa il 55% del turismo mondiale, il settore turistico rappresenta il 4% del PIL, percentuale che sale all’11% se si considera l’indotto, e garantisce oltre 24 milioni di posti di lavoro.
Anche per l’Italia, il 2004 ha rappresentato un anno di ripresa sia con riferimento all’incoming che all’outgoing turistico. In termini di arrivi internazionali si è avuta, infatti, una crescita del 3,8% che si traduce in un’entrata pari al 2,1% del PIL; l’incidenza dell’occupazione turistica diretta ed indiretta sul totale nazionale è pari al 9,4%. L’Italia si conferma, inoltre, tra i primi Paesi per spesa globale per i viaggi all’estero.
Di particolare interesse è quanto emerge dal Rapporto SVIMEZ (2006) “L’Industria turistica nel Mezzogiorno” in merito alla ripartizione regionale dei flussi turistici internazionali: il Mezzogiorno, secondo dati 2004, attira il 19,3% degli arrivi turistici ed accoglie il 20,6% delle presenze, contro le percentuali ben più significative, rispettivamente dell’80,7% e del 79,4%, del Centro-Nord.
Questi dati confermano come, nonostante il Mezzogiorno si trovi in un’area strategica dal punto di vista geografico e culturale e sia detentore di un capitale turistico ricco di attrazioni naturali ed artificiali, scarsa sia la sua capacità attrattiva nei confronti del mercato turistico internazionale. Nello specifico, solo il 12,5% del totale degli arrivi ed il 14,1% del totale delle presenze straniere in Italia sceglie il Sud quale destinazione turistica; dei circa 240 milioni di turisti internazionali che hanno visitato il Mediterraneo nel 2003, solo il 2,6% si è recato nel Mezzogiorno (vedi fig. 2).
Lo scarso peso del Mezzogiorno nel panorama turistico internazionale, così come confermato anche da un’indagine del 2004 condotta dalla Doxa, Mercury e Touring Club sull’attrattività delle regioni dell’Italia meridionale rispetto alla domanda turistica straniera, non dipende dalla scarsa notorietà di questi luoghi, bensì dalla debolezza strutturale dell’industria turistica (sia in termini di strutture che di addetti) e del sistema di infrastrutturazione in genere, e dalla stagionalità dei flussi turistici (ben il 69,9% delle presenze nel Mezzogiorno si concentrano nel periodo giugno-settembre).
Tali fattori di debolezza, che si traducono in una scarsa competitività soprattutto rispetto alle altre aree del Mediterraneo, sono il risultato dell’assenza di una vera e propria strategia per la promozione turistica del «Prodotto Sud». Le singole Regioni, i diversi Enti locali, hanno seguito per anni un “percorso individuale” sia nell’organizzazione del sistema turistico, che nell’attività di promozione della propria immagine turistica; in fase decisionale, si è operato senza alcuna forma di coordinamento ed integrazione tra i vari segmenti dell’offerta turistica, nella realizzazione degli interventi, si è proceduto senza far riferimento ad un comune progetto di sviluppo territoriale.
Tutto ciò ha fatto sì che il Mezzogiorno, situato nel cuore del Mediterraneo e con un potenziale altissimo di capitale turistico naturale, presenti valori inferiori alla media nazionale in termini di arrivi e presenze, in particolare nella componente straniera, di valore aggiunto per abitante del comparto turistico (pari nel 2004 a 785 euro rispetto ai 1.387 euro del centro-Nord), di spesa  turistica (il sud raccoglie il 24,1% del valore nazionale), nonché di indici di attrattività turistica.

Nonostante l’importanza, destinata ad aumentare ulteriormente se si tiene conto delle stime dell’OMT, che la dimensione turistica ha, da sempre, occupato nello scenario economico dei singoli Paesi e, soprattutto, dell’Europa, ancora oggi manca uno specifico riferimento legislativo che attribuisca all’Unione piena competenza in materia di turismo, al pari di quanto avvenga in relazione agli altri settori economici oggetto d’intervento comunitario.

 

 

              Fig. 2 – Distribuzione regionale delle stazioni turistiche e dei flussi turistici in Italia
 




            Fonte: Atlante Geografico Metodico DeAgostini, 2004-2005

 

Il turismo, infatti, attualmente non rientra nei 34 settori di attività di intervento dell’Unione e lo stesso operato dell’organo competente in materia, la DG (Direzione Generale) Impresa nata in seguito alla riorganizzazione dell’esecutivo della comunità e all’abolizione della Unità Turismo sorta nel 1989 in seno alla DG XXIII, non ha carattere esclusivamente turistico; esso è chiamato ad intervenire  in più ambiti di azione (15 aree di policy: industria, innovazione, ambiente e sviluppo sostenibile, finanza, commercio,ecc…), tra cui appunto il turismo. 
D’altronde, in tema di fondamento giuridico dell’azione comunitaria in materia di turismo, per molti anni non è stato possibile configurare nell’ordinamento comunitario una vera e propria «politica comunitaria del turismo»; lo stesso Trattato istitutivo della Comunità Europea del 1957 non prevedeva alcun riferimento esplicito al turismo.
In effetti, dal punto di vista del diritto comunitario, la “questione turistica” è un problema proposto ed affrontato solo diversi anni dopo l’istituzione della Comunità Europea, allorquando le istituzioni comunitarie, a partire dai primi anni Ottanta, hanno dettato i “Primi orientamenti per una politica del turismo” facendo riferimento, da un lato ai principi fondamentali contenuti nel Trattato e agli ulteriori strumenti previsti nell’ambito di altre politiche comunitarie (trasporti, ambiente, ecc.), e dall’altro adottando l’articolo 308/Ce che amplia, sulla base di determinate condizioni, le competenze della Comunità (cosiddetti «poteri sussidiari»).
Tale carenza legislativa trova conferma, anche, nella residuale collocazione del turismo nell’art. 3 del Trattato Ce, dove alla lettera u) sono specificate le azioni (misure) che la Comunità può adottare, nel quadro di altri interventi in tema di energia e protezione civile, al fine di produrre sviluppo in tale settore.
Nonostante il Consiglio Europeo abbia recentemente affermato che il turismo è uno dei principali settori dell’economia europea, contribuendo ampiamente al conseguimento degli obiettivi di Lisbona e Cardiff (risoluzione 2002/C 135/01), la gestione della politica turistica rimane saldamente nella sfera di azione degli Stati membri. Secondo, infatti, quanto siglato il 29 ottobre 2004 nell’elaborazione del Trattato Costituzionale Europeo, le competenze dell’Unione in materia di turismo sono circoscritte ad azioni di sostegno finanziario ed amministrativo, coordinamento e complemento delle politiche nazionali.
In gran parte degli ordinamenti istituzionali, l’importanza del turismo in questi ultimi decenni è andata progressivamente aumentando, non solo per il maggior peso economico ed occupazionale delle attività produttive legate a tale settore, ma anche perché il turismo riveste oggi un ruolo centrale nella valorizzazione delle risorse ambientali e culturali, nonché nel rafforzamento delle identità territoriali da cui le stesse istituzioni traggono fondamento. In tal senso, quanto ufficialmente riconosciuto nel corso della riunione plenaria, tenutasi a Katowice nell’aprile 2005, per l’approfondimento della “Politica turistica nell’Unione allargata”: «il turismo è fonte di ricchezza economica e culturale, sprone alla convivenza e contributo all’Europa dei cittadini e, dunque, alla costruzione europea», lascia ben sperare nella nascita di una specifica «politica comunitaria del turismo».
Alla luce di quanto esposto, è evidente che il turismo sia un fenomeno che non può essere lasciato all’improvvisazione, ma deve essere gestito in maniera professionale, con competenze sempre più specifiche e nello stesso tempo trasversali, che investono il mondo della cultura ed i settori più diversificati, dalla gestione aziendale alla difesa dell’ambiente, dall’organizzazione territoriale alla promozione dei luoghi, con un approccio sistemico di relazioni complesse che coinvolgono interessi diversi e richiedono investimenti di natura pubblico-privata.
Per le implicazioni di ordine territoriale che il movimento turistico comporta, sia nei luoghi di origine che nei luoghi di destinazione, i geografi sono stati tra i primi a studiare il fenomeno.
Il turismo è, infatti, innanzitutto un fenomeno geografico, che implica movimento di persone, di beni e di denaro, modifica lo stato dei luoghi e produce effetti economici ridistributivi tra aree di produzione della ricchezza e aree di consumo e, quindi, effetti spaziali, economici, sociali e culturali di vasta portata. Essi si sviluppano sia a livello del singolo individuo, che di comunità, di paese, con riflessi anche sul piano della bilancia commerciale nazionale.
Già negli anni Cinquanta e Sessanta, U. Toschi, B. Nice, C. Della Valle, V. Langella, mettono in chiara evidenza la geograficità del “fatto turistico”, ed è proprio a partire da quegli anni che, anche nel nostro Paese, le ricerche geografiche sul turismo hanno cominciato ad offrire un contributo conoscitivo ed esplicativo sempre più significativo.
Si tratta, comunque, ancora, di lavori frammentari: gli studi riguardano singole località, specifici aspetti o problematiche di un dato evento; il paesaggio turistico viene studiato senza cogliere la complessità del fenomeno, i diversi elementi considerati indipendentemente l’uno dall’altro in relazione ad un approccio fortemente settoriale. Bisognerà attendere gli anni Settanta-Ottanta perché, insieme all’evoluzione dell’approccio sistemico nelle Scienze sociali, la ricerca geografica del fatto turistico approdi verso un’indagine esplicativa di impostazione d’insieme.
Nello stesso periodo, in relazione all’intensificarsi dei flussi turistici e al crescente peso del turismo nell’economia dei Paesi sviluppati, si è avuta una maggiore attenzione da parte delle politiche pubbliche verso tale comparto, suscitando l’interesse del mondo scientifico ed accademico, oltre che di quello economico. Autori come E. Massi, G. Merlini, C. Muscarà, G. Corna-Pellegrini, S. Monti, aprono nuovi filoni di ricerca che stimolano successive riflessioni. Rinnovata attenzione viene data al ricettivo e alle trasformazioni territoriali che i servizi turistici determinano, al rapporto tra morfologia e funzioni, alle implicazioni di carattere sociale ed economico. Il turismo comincia ad essere visto come settore strategico nelle politiche regionali, come fattore di sviluppo locale, come parte integrante degli studi economici.
Per molti anni, infatti, il turismo e l’economia del turismo non sono stati oggetto dell’insegnamento universitario e, comunque, posti ai margini di una ricerca accademica che, stimolata prevalente-mente da indagini “commissionate” da associazioni d’imprese e da organizzazioni politiche, è stata acriticamente descrittiva e ha impiegato strumenti e tecniche d’analisi non adeguate.
I primi studi universitari del turismo si devono al genio ed alla lungimiranza del giurista Umberto Fragola che, in qualità di presidente dell’Azienda del turismo di Positano negli anni Cinquanta, riuscì nel corso del decennio successivo a concretizzare il desiderio di dare «dignità scientifica» agli studi sul turismo con l’apertura di una Università privata del turismo nella località di Faicchio (Benevento). Una sua prima pubblicazione sulla “Teoria generale del turismo” risale al 1963 (Napoli, Ed. Iovene).
Bisognerà attendere, però, l’inizio degli anni Novanta affinché l’intero mondo accademico italiano compia i primi passi per ridurre il ritardo accademico negli studi in materia turistica con la nascita, su iniziativa dell’allora Ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica Antonio Ruberti, dei primi diplomi universitari (triennali) e delle prime lauree in “Economia del Turismo” negli Atenei di Bologna (Rimini), Venezia (Oriago di Mira) e Perugia (Assisi).
Tale ritardo può considerarsi, ormai, completamente azzerato: con la recente riforma universitaria delle lauree triennali e delle lauree specialistiche, in forza di un principio di autonomia, si è avuta una vera e propria esplosione dei Corsi di laurea in Economia del turismo ed in Economia e gestione dei servizi turistici. In base a quanto emerge dall’ultimo aggiornamento della Mappa della formazione turistica in Italia, redatta dalla Direzione Studi e Ricerche del Touring Club Italiano,  dopo la costante crescita degli ultimi anni del numero di Corsi di laurea in ambito turistico, l’offerta formativa sembra essersi stabilizzata. In continuità con quanto avvenuto nell’anno accademico 2005/2006, per quello 2006/2007 nelle Università italiane sono previsti 105 Corsi di laurea in turismo, di cui 76 di primo livello e 29 di secondo livello, con una stima di circa 20.000 studenti iscritti ai Corsi di laurea di primo livello.
L’attenzione dei geografi italiani ed, in generale degli accademici, degli anni ’70-’80 per gli studi sul turismo è da inserirsi in un più ampio quadro evolutivo di carattere internazionale. Nel Simposio di Cracovia del 1974 viene, infatti, costituito un Working Group di Geografia del Turismo articolato in cinque sezioni, una di carattere generale, le altre quattro dedicate a problematiche specifiche quali le risorse, le unità spaziali, le infrastrutture, la capacità di carico. Manca, tuttavia, una ben articolata definizione concettuale del turismo, che solo successivamente verrà proposta.
In Francia e negli Stati Uniti, i primi studi sul turismo si sviluppano a partire dagli anni Trenta del secolo scorso. Risalgono, infatti, a quel periodo le prime ricerche applicate sulla redditività dell’investimento prima e successivamente sulla pianificazione degli spazi turistici da parte di singoli studiosi (K.C. Mac Hurry), enti di pianificazione (Datar) o gruppi di studio di cui fanno parte anche i geografi. Nel corso dei decenni successivi, gli studi sul turismo subiscono un forte rilancio acquisendo nuova dinamicità: essi riguardano tematiche geo-economiche e socio-culturali ed affrontano problematiche connesse alle influenze del turismo nelle trasformazioni territoriali e alle relazioni fra le diverse componenti del turismo con approcci sempre più di carattere teorico e metodologico. Nello specifico, negli anni Settanta, l’attenzione viene rivolta alle modellizzazioni; negli anni Ottanta nuove tematiche, come la conservazione dell’ambiente e le dinamiche di consumo dello spazio connesso allo sviluppo del turismo di massa, si inseriscono nel filone di studi dedicati al turismo.
In particolare, negli USA ed in Canada la «nuova geografia» e la teoria dei sistemi viene applicata anche alle ricerche sul turismo, inteso come un sistema complesso in cui le aree di turismo attivo, di turismo passivo, le infrastrutture e le vie di comunicazione favoriscono lo sviluppo di sistemi territoriali interdipendenti, legati da relazioni e scambi che contribuiscono alla nascita di una vera e propria industria del turismo.
Gli approcci allo studio del fenomeno turistico appaiono differenti a seconda se ci riferiamo al mondo anglosassone oppure al mondo latino: negli Stati Uniti ed in Canada, all’analisi teorica segue quella empirica, con studi che pongono in risalto le problematiche dello sviluppo, la regionalizzazione degli spazi turistici, il rapporto turismo-ambiente, le capacità di carico e l’utilizzazione del suolo; in Gran Bretagna, l’attenzione viene prevalentemente rivolta ai modelli di sviluppo, alle risorse potenziali, ai rapporti tra turismo, sviluppo economico e conservazione dell’ambiente; in Germania ed in Austria, si sviluppano in particolare gli studi sulla pianificazione territoriale; in Francia, accanto ad approcci di natura teorica, si diffondono indagini rivolte agli aspetti culturali, sociali e al paesaggio.  
Così come anticipato, in Italia i progressi sono stati molto più lenti, sia per gli studi applicativi, sia per le teorizzazioni; soprattutto, scarsa è stata l’attenzione verso le problematiche connesse alla pianificazione territoriale, un approccio che ha determinato processi “spontanei” di sviluppo, ovvero non organizzati e gestiti, con gravi conseguenze sia sul piano ambientale, sia su quello economico. Lo spontaneismo ha favorito, infatti, una logica all’investimento modesto, spesso a carattere familiare, con il conseguente configurarsi di sistemi territoriali deboli, incapaci di reggere la competizione rappresentata dalle aree dei paesi emergenti. Gli enti locali e gli organi di pianificazione hanno dato scarsa attenzione alle potenzialità turistiche dei territori e non hanno incentivato studi a carattere applicativo; la stessa Cassa per il Mezzogiorno ha puntato sull’industrializzazione pesante trascurando completamente le potenzialità turistiche del territorio.
Lo studio del turismo appare, oggi, profondamente mutato dal punto di vista geografico, poiché secondo il paradigma della post-modernità sono cambiate le scelte politiche e l’interpretazione di alcuni aspetti delle disciplina. E’ nato un nuovo modo di fare geografia del turismo: essa non osserva più il fenomeno esclusivamente dal punto di vista quantitativo, ma studia i soggetti coinvolti (come l’UE, lo Stato, le Regioni, i Consorzi, i Gruppi di Azione Locale, le Fondazioni, ecc.), le politiche e gli strumenti di sviluppo del turismo (Linee guida, Patti Territoriali, Contratti d’Area, Intese istituzionali di programma, Accordi di programma, Conferenze di servizi, ecc.). Questa evoluzione concettuale ha introdotto nel vocabolario turistico termini come “industria turistica”, “prodotto turistico”, “immagine turistica” e “turismo duraturo”, espressione quest’ultima che rimanda a problematiche importanti come la qualità e la sostenibilità. Occorre identificare una capacità di carico del sistema turistico, il limite cioè oltre il quale l’attività diventa dannosa dal punto di vista ambientale e corrosiva dell’identità dei luoghi; anche ai geografi spetta la definizione di metodologie di valutazione di tale soglia di sostenibilità per ottenere parametri il più possibile oggettivi.

Queste brevi considerazioni pongono in evidenza come il turismo, quale fenomeno complesso ed in continua evoluzione, sia ancora inesplorato e spesso lasciato in balia delle forze di mercato e delle iniziative dei singoli; esse aprono, quindi, la strada ad una riflessione di più ampio respiro.
Sebbene il termine «turistico» sia relativamente “moderno” - è apparso nella nostra lingua solo nel XIX secolo - il turismo inteso come movimento di persone mosse dalla conoscenza di luoghi lontani, da motivi legati agli “affari” (scambi commerciali, ambascerie), da motivi sportivi (le antiche Olimpiadi), o per svago (importanti in proposito le descrizioni di Strabone), è sempre esistito ed ha origini antiche.
L’esperienza del viaggio nasce con l’uomo e lo accompagna per tutta la vita quale metafora di quel singolare e straordinario rapporto che si va ad istituire tra l’uomo ed il territorio. Volendo usare un’espressione ricca di significati di Zore Neal Hurston: “il viaggio è l’anima della civiltà”. Per C. Magris, autore del bel saggio dal titolo “L’infinito viaggiare”, il viaggio rappresenta la metafora della vita, il  cammino sulla Terra alla ricerca di una meta. Nella sua splendida Prefazione,l’Autore descrive il viaggio come  “un continuo preambolo, un preludio a qualcosa che deve sempre ancora venire e sta sempre ancora dietro l’angolo; partire, fermarsi. Tornare indietro, fare  e disfare le valigie, annotare sul taccuino il paesaggio che, mentre lo si attraversa fugge, si sfalda e si ricompone come una sequenza cinematografica, con le sue dissolvenze e riassestamenti, o come un volto che muta nel tempo”. “Il viaggio sempre ricomincia,….(e) solo con la morte …. essa lo status  viatoris dell’uomo”, così che il viaggiare è anche un modo di differire la morte. Il viaggio. dunque, come persuasione,, ossia “ il possesso presente della propria vita. La capacità di vivere l’attimo. Ogni attimo e son solo quelli privilegiati ed eccezionali, senza sacrificarlo al futuro, senza annientarlo nei progetti e nei programmi, senza considerarlo semplicemente un momento da far passare presto per raggiungere qualcosa d’altro”.
Il riferimento all’«esperienza del viaggio» è un classico nelle opere dell’antichità. Le visite al Santuario di Delfi ed Epidauro, le Olimpiadi del VII sec. a.C. tenutesi nel Peloponneso, sono una chiara testimonianza della diffusione, già all’epoca dell’antica Grecia, di viaggi per motivi culturali, religiosi e sportivi. Lo scrittore greco Pausania, vissuto nel II secolo d.C., ci ha lasciato una Periegesi della Grecia, che rappresenta una sorte di “guida turistica” della Grecia antica; opere letterarie che descrivono i viaggi nel Mediterraneo antico sono dei veri e propri portolani.
Nel ripercorrere l’evoluzione del turismo è possibile individuare quattro fasi diverse: il «prototurismo», che va dall’antichità alla Rivoluzione industriale; il «turismo moderno», fenomeno di élite riservato agli aristocratici che va dalla Rivoluzione industriale alla Seconda Guerra Mondiale; il «turismo di massa», che prende avvio dal dopoguerra ai primi anni dell’epoca neo-industriale, ed, infine, il «turismo contemporaneo», che ha avuto inizio dai primi anni ‘90 ai giorni nostri.
Le prime forme di turismo stanziale e di impiego del tempo libero risalgono al tempo dei romani. Si trattava di un turismo riservato agli imperatori, all’aristocrazia, ai religiosi, ovvero a coloro che appartenendo alle classi agiate avevano la possibilità di viaggiare per motivi d’affari, militari, religiosi, in occasione di eventi sportivi o, ancora, per soggiorni curativi e di benessere. Tali spostamenti, favoriti dall’unità linguistica dell’Impero, dallo sviluppo della rete viaria e dalla sicurezza della navigazione - il Mediterraneo divenne uno spazio sicuro per i naviganti, un’unica entità dal punto di vista politico e culturale -, diedero vita alle prime forme di strutture ricettive come locande e taverne per l’accoglienza di viaggiatori occasionali.
Molto diffusi, soprattutto tra i giovani, erano anche i viaggi culturali. Quando nel II secolo a.C. i romani si impossessarono della Grecia, considerata la patria della grande cultura, la visita ai centri  culturali più importanti divenne una consuetudine a completamento del percorso formativo, anticipando di fatto la tradizione del Grand Tour. Lo storico Tito Livio, ad esempio, descrive il viaggio compiuto nel 167 a.C. da Lucio Emilio Paolo, il conquistatore della Grecia, all’indomani della vittoria, con lo scopo di narrare delle località più famose di quella splendida terra. Significative in tal senso, le considerazioni di Seneca, per il quale il «viaggio» era occasione   di conoscenza di altre genti e di altre terre e che, pertanto, non doveva essere effettuato «a volo di uccello».
Sia per i Greci che per i Romani il viaggio era anche un momento terapeutico a cui ricorreva l’uomo politico per sfuggire allo stress della vita pubblica, rifugiandosi nelle ville della campagna romana, nelle località marittime o nelle isole, in particolare, dell’attuale Campania (Baia, Pozzuoli, Misero, Bacoli, Capri). La cura del corpo, l’attenzione per la salute - che induceva i romani ad allontanarsi dalla città inquinata dall’aria pesante, dalle polveri, dai vapori pestiferi, nonché il tentativo di sfuggire alla noia e alla depressione, fece diffondere il viaggio terapeutico e la passione per le terme e per i bagni pubblici, che diedero luogo a forme di turismo organizzato, con la nascita di strutture specializzate integrate, come luoghi di ritrovo, giardini, impianti sportivi, musei, biblioteche.
Fra la caduta dell’Impero Romano e l’età di Carlo Magno, le invasioni barbariche ed il succedersi di guerre sanguinose, resero i viaggi molto pericolosi e ardui, anche per la rovina in cui era caduto il grande sistema viario imperiale, tanto da divenire rari e quasi eccezionali; le stesse ville di campagna, una volta destinate alla villeggiatura, si trasformarono in luoghi fortificati per la difesa.
Nel Medioevo, con il ritorno ad una situazione di pace apparente, i viaggi riacquistarono il loro valore di esperienza fondante nella vita dell’uomo; in particolare si ebbe una forte ripresa del pellegrinaggio verso i luoghi di culto (Tour, Canterbury, Padova, Roma, Santiago de Compostela, Gerusalemme, La Mecca. Medina, ecc.), grazie sia alla presenza di importanti vie di comunicazione (per es. la via Francigena) che all’ospitalità ed all’assistenza fornita dai vari ordini religiosi lungo il cammino.
Tali spostamenti furono forieri di una ricca letteratura sull’«esperienza del viaggio»; gli autori si limitavano, però, a fornire informazioni sul viaggio, sulle condizioni climatiche dei luoghi, sulle difficoltà e sui rischi del viaggio, trascurando del tutto la descrizione dei luoghi attraversati, dei paesaggi, dei popoli e della loro cultura. Gli stessi monumenti, simbolo della potenza di Roma,  venivano descritti in modo superficiale.
Solo con l’organizzazione dei primi viaggi strutturati nei grandi centri - la cui motivazione non era più la sola visita del luogo di culto, bensì la conoscenza di terre lontane e culture differenti -, le produzioni letterarie contempleranno i molteplici aspetti delle città, dandone descrizioni completamente nuove; la «Mirabilia Urbis Romae», realizzata probabilmente dal canonico Benedetto a Roma negli anni 1140-43, per tutto il XIII e XIV secolo simboleggerà e verrà utilizzata per narrare la grandezza di Roma in tutto il mondo. In quegli anni, inoltre, si intensificarono gli spostamenti di giovani discenti ed educatori grazie al fiorire di numerose Università, luogo di contatto e di scambi culturali tra studiosi provenienti dai vari centri di sapere; scambi che rappresentano una forma ante litteram degli odierni programmi Socrates-Erasmus.
La grande stagione dei pellegrinaggi si avviava alla conclusione nel corso del XIV secolo: il viaggio penitenziale divenne viaggio culturale e di piacere; i pellegrini, perso l’appoggio delle istituzioni religiose e pubbliche, indossarono la veste di viaggiatori in una Europa sempre più secolarizzata, in cui il pellegrinaggio era considerato dai protestanti tempo prezioso sottratto al lavoro. I viaggi, sempre meno sicuri, erano riservati a quanti potevano permettersi una adeguata scorta. Bisognerà attendere il periodo della Controriforma tra il XVI ed il XVII secolo, per assistere alla rifioritura dei cosiddetti «voyages de dévotion», quando il papa Nicola V trasformò il Giubileo, introdotto da Bonifacio VIII nel 1300 quale anno sacro di remissione dei peccati e di riconciliazione da indire ogni cento anni, in un evento religioso con cadenza venticinquennale.
Il Rinascimento segnò un momento di  risveglio culturale e di cambiamento nella tipologia del viaggio. Esso interessava una platea di persone sempre più vasta, di età e di condizione sociale diversificata, che viaggiano per un lungo periodo, anche diversi anni, lasciando alla fine un diario della loro esperienza, una descrizione del viaggio, semplici appunti contenenti riflessioni personali, narrazioni, esercitazioni letterarie o, anche, solo un vademecum utile per i successivi spostamenti.
Eravamo ai primordi del Grand Tour, un prodotto della cultura umanistica rinascimentale e del rinnovato ruolo che la cultura e la scienza acquistarono nella vita dell’aristocrazia europea.
Tale espressione fu usata per la prima volta nel 1636 per descrivere il viaggio in Francia del Cardinale Grauborne. In seguito, fu riferita ai viaggi di formazione che giovani aristocratici, innanzitutto inglesi ma poi provenienti da tutta l’Europa occidentale, compivano a completamento della propria formazione umana e culturale. Il viaggio, della durata di tre-quattro anni - il tempo necessario affinché i giovani potessero diventare «cittadini del mondo» -, era spesso circolare: dalla Gran Bretagna si passava alla Francia, all’Italia per poi far ritorno in Inghilterra attraverso la Germania e l’Olanda, toccando centri come Parigi, Amsterdam, Vienna, Praga, Roma, Milano, Firenze, Venezia, Napoli. I giovani, accompagnati da precettori, soggiornavano presso collegi di educazione riservati ai nobili o presso centri di studi, su iniziativa delle stesse Università, che aprirono all’estero delle proprie sedi; ad esempio, nel 1666 nacque a Roma l’Accademia di Francia, finalizzata allo studio della cultura italiana.
Il viaggio nel Cinquecento, come ben illustra Montagne, non era più un semplice strumento pedagogico ma, anche, espressione di un’esigenza interiore dell’uomo rinascimentale, che si apriva al diverso e alle altre culture, dettata dalla voglia di conoscenza o dal semplice piacere di viaggiare. Era un viaggio che non aveva bisogno di trovare giustificazioni esterne; esso divenne un’esperienza personale contenente una dimensione esistenziale intima, di riflessione, a cui partecipavano gli studenti, come iniziazione alle difficoltà della vita, per l’apprendimento delle lingue o delle buone maniere ma, anche, uomini di cultura, pensatori, artisti, nonché funzionari pubblici, nobili, dignitari ecclesiastici, militari e mercanti, a cui servivano non più opere letterarie, ma guide pratiche, maneggevoli, in grado di sintetizzare il maggior numero di informazioni disponibili ed utili per questo nuovo tipo di viaggiatore.
Tutto ciò determinò un aumento dei flussi, nonostante viaggiare rappresentasse, ancora, un forte rischio per la presenza di predoni o di contadini in rivolta, ed un’impresa ardua a causa della “semplicità” dei mezzi di trasporto - si viaggiava in carrozza o addirittura a piedi -, della mancanza di vie di comunicazione agevoli, di documentazione valida come delle carte aggiornate; le fonti erano, infatti, ancora rappresentate da “vecchie guide” che si rifacevano all’eruditismo locale, tramandando vecchi luoghi comuni che tardavano a scomparire. Un loro aggiornamento si avrà solo nell’Ottocento ad opera del viaggiatore-intellettuale, italiano e straniero, che offre una nuova immagine della realtà.
Tra la fine del XVIII secolo ed i primi decenni del XIX, il Gran Tour cominciò a diffondersi fra la borghesia agiata, desiderosa di assumere i canoni della vita aristocratica, e più tardi fra artisti e letterati dalle sostanze decisamente più modeste. A spostarsi non erano più i giovani ma, in prevalenza, uomini di età compresa tra i 30 e i 40 anni che rivolgevano la loro attenzione alle bellezze naturali e paesaggistiche di cui, l’Italia in particolare, poteva vantarsi. La durata del viaggio si ridusse a tre-quattro mesi grazie, anche, allo sviluppo dei mezzi di trasporto ed alla progressiva costruzione delle reti ferroviarie. Numerose erano le rappresentazioni, i disegni ed i dipinti, le gouache, frutto di ispirazioni avutesi durante i viaggi, che arricchirono e rinnovarono il mondo letterario e quello dell’arte; così come altrettanto significative erano le molte opere in cui artisti stranieri “raccontavano” il nostro Paese, veri e propri documenti dell’evoluzione della nostra civiltà e fonti preziose per l’interpretazione del paesaggio rurale, urbano e costiero. Si narra, per esempio, che il primo artista a sbarcare a Capri fosse stato nel 1792 Philipp Haeckert, pittore raffinato che ritrasse l’isola nei suoi tratti più suggestivi ripresi dal Monte Solaro (De Seta, Haeckert, 2006).
Le stesse guide, espressione di un rinnovato approccio che dal culturale si orientava al pratico, sintetizzavano una serie di notizie utili per il viaggiatore, così come non mancavano consigli e suggerimenti relativi a luoghi da visitare e strutture da preferire. Esse cominciavano ad avere al loro interno non solo testi ma anche immagini; la fotografia divenne parte integrante del discorso arricchendolo e completandolo; la guida rappresentava uno strumento indispensabile nelle mani del viaggiatore.
Questa tendenza si rafforzò nel secolo successivo con la nascita nel 1900 del Touring Club Italiano (TCI), evoluzione del Touring Club Ciclistico Italiano nato a Milano nel 1894 sul modello del Cyclist’s Touring Club inglese. Le guide, e le pubblicazioni in genere, del TCI seguirono l’evoluzione della tipologia del viaggio e dei mezzi di trasporto, e presto da guide per ciclisti diventarono guide per automobilisti, costituendo una notevole fonte anche per le guide straniere.
Il rinnovato contenuto contribuì a dare una nuova immagine dell’Italia, in particolare del Sud, allora ancora del tutto sconosciuto, coinvolgendo e stimolando la voglia del viaggio in una platea di soggetti sempre più vasta. Si tratta di una pubblicistica che, ancora oggi, non si limita alle guide ma che comprende una letteratura sul viaggio assai diversificata che ben illustra il patrimonio storico-artistico-paesaggistico e ambientale del nostro paese, mettendo in chiara evidenza le trasformazioni territoriali intervenute nel tempo, grazie alle edizioni, sempre aggiornate che il Sodalizio mette a disposizione del viaggiatore.
Il Gran Tour spostò così l’asse del turismo culturale verso l’Europa mediterranea; nel corso dell’800, l’ulteriore miglioramento delle vie di comunicazione, soprattutto lo sviluppo del trasporto marittimo, spinse il viaggio ad assumere nuove forme investendo anche territori esterni all’Europa: era l’inizio del viaggio esotico (India, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda) che si affermerà soprattutto sul finire del XX secolo, e con l’arrivo in Europa degli americani.
Il turismo moderno, fermo restando forme di anticipazione come il pellegrinaggio e l’importanza delle città termali tra trecento e quattrocento, nacque in Inghilterra nel secolo XVII come «turismo termale»; si ebbe l’inizio di una vera e propria economia del turismo. Il turismo termale si svolgeva non più nelle città, come nel periodo romano, ma in aree esterne laddove sgorgavano acque con riconosciute proprietà terapeutiche; tutto ciò favorì, anche, la costruzione di strutture dedicate alla cura del corpo. Sorsero delle vere e proprie città del loisir, in Inghilterra (Buxton, Bath, Bristol) e nell’Europa continentale (Baden in Germania, Plonbiéres in Francia, Spa in Belgio), in cui accanto all’assistenza terapeutica, venivano offerti una serie di servizi e di attività di svago.
Nel giro di pochi anni, la «contaminazione» della località termali di successo da parte di ceti sociali meno elitari, desiderosi di imitarne per quanto possibile gli stili di vita, orientò l’upper class verso mete e forme di turismo più esclusive e più costose, in un processo che porta al successo delle località marine che, a loro volta, si attrezzarono per un turismo estivo con bagni nei mari freddi, decretati come salutari e curativi dalla medicina coeva. Ancora una volta, la tradizione dei bagni a mare e della villeggiatura in campagna, affonda le sue radici in Inghilterra dove in località come Kursal, Scarborough, Brighton sorgevano sulla spiaggia centri attrezzati espressione di una villeggiatura come status symbol.
Nel corso dell’Ottocento, la moda dei bagni e del turismo balneare si diffuse, anche, grazie a Carolina di Borbone, frequentatrice di un noto stabilimento balneare sorto a Dieppe, in Normandia, nel 1824. Il primo stabilimento italiano sorse a Rimini nel 1843, altri poi nacquero a Venezia nel 1857 ed a Viareggio nel 1928. Bisognerà, però, attendere la diffusione della nuova moda fra la borghesia e successivamente fra i ceti operai, affinché il turismo diventi un «fattore economico rilevante». E’ solo, infatti, a partire dai primi decenni del Novecento che la vacanza cominciò ad essere non solo più appannaggio della classe aristocratica ma, anche, della borghesia, delle classi medie e via via dei ceti popolari e lavoratori e che si svilupparono le prime strutture specifiche, inizialmente quelle di lusso come il Grand Hotel di Rimini (1906) e l’Excelsior di Venezia (1909), e poi le strutture più modeste destinate ai ceti popolari.
Parallelamente, si ebbe lo sviluppo delle località montane in grado di attrarre due differenti tipologie di flussi turistici: quello estivo e quello, ancora molto elitario, legato agli sport invernali. Sul finire dell’Ottocento nacquero le prime associazioni (i Club alpini in Inghilterra, Austria, Italia e Germania) che segneranno il futuro dell’alpinismo, e località svizzere come Grindedlwald, Interlaken, Lauterbrunner, Lucerna, Zerman, St. Moritz, si avviavano a divenire importanti centri per il turismo invernale che vivrà un nuovo sviluppo nel dopoguerra.
Questi erano, anche, gli anni in cui gli Stati Uniti, attratti dalla moda europea del turismo, la importarono, indirizzandola verso un «turismo naturalistico» attraverso la creazione di parchi nazionali, quali luoghi di conservazione del patrimonio naturale minacciato dai grandi cambiamenti che la rivoluzione industriale stava producendo, e spazi incontaminati ideali per una vacanza naturalistica e salutare. Nel 1832 il Congresso di Washington aveva messo sotto tutela una prima area di dodici km2, la Hot Spring Reservation; successivamente furono create altre riserve come Yosemite Valley, Yellowston, le Cascate del Niagara, ecc.. Nel 1916 venne varata la legge sui parchi nazionali per la protezione della natura.
L’istituzione dei primi parchi naturali in Europa risale agli inizi del Novecento, dapprima in  Svezia, Svizzera e Spagna e successivamente in Germania, Italia, Norvegia, Polonia ed Unione Sovietica; solo nel dopoguerra verranno avviate vere e proprie politiche di valorizzazione di queste aree anche per fini turistici.
Con la Prima Guerra Mondiale lo sviluppo del turismo conobbe un periodo di stasi; esso riprenderà a crescere solo negli anni venti-trenta caratterizzati dalla cosiddetta «democratizzazione del turismo»: le vacanze venivano modellate in base alle esigenze della classe media - nuova protagonista del turismo europeo ed avanguardia del turismo di massa del secondo dopoguerra - che, grazie alle maggiori opportunità occupazionali e reddituali (in primis la retribuzione delle ferie) offerte dalla rivoluzione industriale, entrava a far parte del mercato turistico, costituendone un segmento importante. Sono anni in cui ci si rese conto che il turismo non era solo un fatto economico di rilievo, ma «un’attività economica da promuovere».
Nel 1919 venne istituito l’ENIT (oggi Agenzia Nazionale per il Turismo) con il compito di provvedere alla promozione turistica dell’Italia all’estero; nel 1926 nacquero le Aziende autonome di cura e soggiorno per la promozione dell’offerta turistica locale.
Negli anni Trenta, il Fascismo si servì del turismo come veicolo di consenso politico. Con la creazione delle colonie, il turismo giovanile e le vacanze collettive, prime forme del turismo sociale, divennero forme di indirizzo politico e controllo sociale; le stesse guide turistiche rappresentavano una celebrazione delle opere realizzate dal Regime.
Dal secondo dopoguerra in Europa, come era già avvenuto negli USA a partire dagli anni Venti, prese avvio la terza fase evolutiva del turismo, ovvero del «turismo di massa».
La stabilizzazione politica, lo sviluppo economico e dei trasporti, la nuova organizzazione del lavoro, l’avanzare del processo d’industrializzazione, il riconoscimento delle ferie pagate, portò nuovi strati sociali alla conquista del tempo libero e alle vacanze diffuse, facendo sì che il turismo coinvolgesse un numero sempre crescente di individui fino ad assumere, appunto, connotati di massa.
Il turismo si caratterizzava per una spinta standardizzazione della domanda e dell’offerta e per la concentrazione dei flussi in determinate destinazioni turistiche: l’industria turistica, alla continua ricerca di economie di scala, tendeva a migliorare ed incrementare la tipologia delle strutture ricettive/ristorative e dei servizi offerti, a sviluppare nuove attrattive - si ebbe l’esplosione degli stabilimenti balneari e dei parchi del divertimento - organizzando pacchetti turistici che, però, tenevano conto delle esigenze sempre più differenziate dei vari segmenti del mercato; tra gli anni ’50 e ’60, l’Italia insieme ad altre aree d’Europa e del Mediterraneo (ad es. Spagna e Grecia), divenne la meta turistica prescelta, in particolare dagli americani, attraendo più del 74% degli arrivi mondiali.
Le guide turistiche prodotte in questi anni si trasformarono in mero strumento promozionale del territorio. Esse, infatti, non costituivano più una rappresentazione delle diverse realtà, non vi era alcuna attenzione per la cultura dei luoghi, per lo spazio vissuto, in quanto si limitavano alla presentazione, in maniera veloce e superficiale, di possibili itinerari di viaggio, dando un’immagine stereotipata e, a volte, obsoleta del paesaggio descritto.
A questa tendenza si reagisce, però, negli anni Sessanta, soprattutto grazie alle neonate associazioni ambientaliste (per es. Italia Nostra, fondata nel 1954) e al rifiorito apporto di intellettuali e storici locali. La guida tornò ad essere strumento di conoscenza e di formazione, inventario dei beni da conservare e da valorizzare, strumento di promozione di turismo inteso come arricchimento culturale e nello stesso tempo come occasione di sviluppo economico che può favorire la stessa conservazione del patrimonio. Il turista trovava nelle guide il materiale utile alla organizzazione  del “suo” viaggio e non un itinerario da seguire pedissequamente.
Nel corso degli anni ’70 e ’80, la ricerca da parte delle élites di mete lontane ed esclusive, portò gli operatori turistici ad investire in nuovi paesi in grado di attrarre ulteriori flussi di domanda; si ebbe una vera e propria “internazionalizzazione del turismo”. Paesi emergenti come Asia, Africa, Australia, sotto il controllo di imprenditori europei, nel giro di pochi anni operarono quali nuovi competitor che invasero il mercato turistico, minando la leadership incontrastata che l’Europa deteneva da tempo; sul finire degli anni Novanta gli arrivi superarono di poco il 60%.
Il turismo dei paesi emergenti era essenzialmente opera di tour operator occidentali che riproducevano in tali aree modelli di vita occidentali, dettando uno sviluppo esogeno di matrice industriale che spesso, ad eccezione di località come le Seychelles in cui si è avuta l’integrazione tra turisti e popolazione locale, non favoriva la crescita delle economie locali e la nascita di un’imprenditoria autoctona, bensì dava luogo a vere e proprie enclave.
Nel giro di qualche decennio, il turismo di massa, quindi, da «turismo interno ai singoli Paesi» si evolve, dapprima, in «turismo europeo di massa», per poi assumere la veste di «turismo internazionale» con la concentrazioni dei flussi nell’Area del Mediterraneo ed, infine, di «turismo globale» con il coinvolgimento di territori ed attori appartenenti a tutte le aree del globo.
L’Italia in chiave turistica, ha ricoperto e, nonostante le difficoltà, ancora oggi ricopre un ruolo di primaria importanza a livello internazionale. La ricchezza del nostro patrimonio naturale, paesaggistico, culturale e artistico, la rendono ogni anno meta di vacanza di milioni di individui; nel 2004 gli arrivi complessivi sono cresciuti del 3,8%, con un’incidenza maggiore dei flussi turistici stranieri a conferma del gradimento che il nostro Paese suscita oltre confine.
Nonostante ciò, gli squilibri sia nella domanda che nell’offerta, la presenza di politiche e modelli di sviluppo assai diversificati sul territorio nazionale, la debolezza strutturale dei sistemi turistici basati sulla piccola e media impresa, la scarsa capacità di creare sistemi di offerta locali integrati e di promozione turistica attraverso la conquista dei canali di vendita dei grandi Tour operator internazionali, rende l’Italia una di quelle destinazioni turistiche “mature” che, più di altre, soffre la concorrenza dei nuovi players.
Sebbene il peso rilevante che nuove forme di turismo come quello enogastronomico (+ 3,9%) ed ambientale e dei parchi (+ 2,8%) hanno assunto nell’economia turistica del nostro paese, il turismo balneare - concentrato in alcuni periodi dell’anno - resta la tipologia prevalente.
Il suo sviluppo, inizialmente, ha interessato solo alcune regioni come la Liguria, l’Emilia Romagna, le Marche, il Veneto ed alcune località, quali Venezia e Taormina; successivamente e con un più elevato tasso di crescita si è esteso ad altre regioni, interessate sia da modelli di sviluppo endogeno (Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Umbria), sia da modelli di sviluppo esogeno (Sardegna); mentre più lenta, recente e non pianificata è stata la crescita turistica delle aree a ritardo di sviluppo, dove tra l’altro si è diffuso il fenomeno delle “seconde case” e sono state realizzate strutture senza adeguati servizi, che spesso hanno portato al degrado delle risorse locali. Lo sviluppo del settore del turismo ha replicato il percorso di crescita industriale del nostro paese negli ultimi decenni, riproducendo modelli culturali e crisi dell’imprenditorialità che hanno penalizzato soprattutto il Mezzogiorno.
A seconda delle aree di riferimento e alle modalità di sviluppo del turismo in Italia, secondo P. Battilani (2001, pp. 250-252), è possibile individuare tre modelli prevalenti:

  • un turismo di rendita, tipico di regioni tradizionalmente vocate al turismo come quelle meridionali e la Liguria, in cui il patrimonio di risorse territoriali rappresenta, ancora, un bacino potenzialmente attraente dei moderni flussi turistici alla ricerca di luoghi autentici in cui entrare a contatto con le identità locali; in questo caso la propensione alla realizzazione di nuovi investimenti e processi di  modernizzazione è scarsa.
  • un turismo di induzione, presente in aree come le Marche, il Veneto, l’Emilia Romagna, caratterizzate da un sistema d’offerta articolato, servizi efficienti ed investimenti consistenti espressione di uno stretto connubio turismo-industria a bilanciamento, in molti casi, delle scarse risorse esistenti  sul territorio;
  • un turismo come motore di sviluppo, presente in aree quali il Trentino, l’Abruzzo, la Sardegna dove l’attività turistica ha preceduto lo sviluppo industriale.

In altre aree, pur in presenza di risorse naturali considerevoli, lo sviluppo turistico non è stato in grado di produrre effetti economici consistenti e duraturi, a conferma che immaterialità come la capacità di integrazione tra tutti gli attori locali, uno spirito imprenditoriale aperto e dinamico, nonché adeguate politiche di sviluppo, sono un presupposto necessario per la pianificazione turistica. In tale aree, il turismo ha comportato una serie di costi sociali ed ambientali che superano di gran lunga i benefici economici.
A partire dagli anni Novanta, il turismo ha assunto una «dimensione globale» in cui ogni località è, potenzialmente, una destinazione turistica. Nel corso del tempo il consumo turistico è cresciuto enormemente, coinvolgendo fasce sempre più ampie e differenziate della popolazione mondiale. Parallelamente all’espansione quantitativa della domanda si è assistito al moltiplicarsi della varietà e variabilità dei comportamenti di consumo dei turisti. Risulta sempre più difficile, pertanto, identificare un «turista tipo», essendo egli un soggetto che assume modelli di comportamento sempre nuovi e mutevoli; protagonista di un processo evolutivo che da turista eterodiretto, massificato, che si adegua ai meccanismi di mercato e svolge passivamente le funzioni affidatogli dall’offerta, lo porta a divenire un turista autodiretto, che tenta di sfuggire ai condizionamenti dell’industria turistica, ritagliandosi e programmandosi spazi originali di scoperta ed avventura, che “vive” il turismo come un’esperienza autentica.
Le nuove sfide competitive imposte dai processi di globalizzazione, l’evoluzione della domanda, la richiesta di nuove forme di turismo, hanno portato alla luce un bisogno urgente di definire e adottare modelli organizzativi dell’offerta turistica di tipo sistemico, che si contrappongono alle piccole strutture, per lo più a carattere familiare, ed alle località isolate, e che siano in grado di valorizzare il patrimonio di risorse locali attraverso, in primis, un maggior coordinamento fra gli operatori pubblici e privati dell’offerta turistica; di innescare, laddove si hanno potenzialità non ancora sfruttate, un processo di destination building e di attivare un meccanismo dicreazione di nuove capacità e competenze gestionali-manageriali per l’emersione delle destinazioni turistiche già affermatesi.
La gestione del turismo diviene sempre più complessa e necessita di investimenti consistenti che, però, non devono soccombere dinanzi ad interessi puramente economici, ma tener conto delle specificità e dell’ambiente locale. Il turismo, infatti, quale fenomeno complesso e difficile da governare per la sua continua evoluzione e che investe ormai ambiti e settori diversi, contribuisce allo sviluppo economico e sociale delle zone interessate, solo se ridefinito e riqualificato  attraverso una pianificazione flessibile che lo armonizzi e lo integri con le varie componenti territoriali, nel rispetto delle specificità dei singoli luoghi.
Nell’evoluzione dello spazio turistico contemporaneo possiamo, così, individuare a grandi linee due tendenze principali: «modernità» e «post-modernità» (Minca, 1996). Da un lato, si ha la continua espansione del «turismo moderno» che scopre e valorizza luoghi lontani, che li trasforma, che ne distilla l’essenza identitaria per trasformarla spesso in icona, in immagine a uso e consumo dei bacini di domanda. Il turista moderno muove alla ricerca dell’altrove, del diverso da sé ed è animato da uno straordinario interesse per l’autentico, per il contatto con l’originale, per la conoscenza dei luoghi che ha l’opportunità di visitare. È tipicamente moderno il suo desiderio di trovare un angolo di mondo ancora intatto, un frammento che si sia salvato dalla modernizzazione, un fazzoletto di territorio che non porti i segni del suo passaggio. Dall’altro lato, abbiamo quello che è stato definito «turismo post-moderno» che, sebbene chiara emanazione di quello moderno, segue un’altra direzione di sviluppo. Lo spazio turistico postmoderno, infatti, tende a configurasi come mondo esaustivo, ambito ideale all’interno del quale vivere un concentrato di immagini e di icone turistiche, e per questa ragione separato dal contesto, anche fisicamente. Il riciclaggio delle forme e dei linguaggi del passato dà vita così a molteplici paesaggi originali nel loro genere, tutti riconoscibili dal pubblico turistico, perché fatti essenzialmente di superficie, di segni, di riferimenti al racconto del luogo più che al luogo stesso; i villaggi turistici, i parchi tematici, gli shopping mall di stampo americano, gli universi Disney, sono tutti archetipi dello spazio turistico post-moderno.
In conclusione, se in chiave antropologica, il turismo moderno tende a svilupparsi a partire dalla presenza di luoghi, e quello postmoderno vive di non luoghi, nell’accezione che di questo termine da Augé (1993), dal punto di vista geografico, nel primo caso assistiamo ad una sorta di esplosione dello spazio turistico, con l’acquisizione di territori sempre nuovi e sempre più vasti, nel secondo, invece, ad una vera e propria implosione dello spazio turistico, con la concentrazione all’interno di ambiti chiusi o semichiusi di una serie di immagini e di paesaggi turistici puri, stilizzati che muovono i mercati della vacanza internazionale.

 

 

 

 

 

 

 

 

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