Turismo e territorio
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Turismo e territorio
Capitolo 2: Turismo e Territorio (Teresa Amodio)
Il capitolo ha lo scopo di introdurre il lettore allo studio delle relazioni che legano il fenomeno turistico, nelle sue più complesse manifestazioni, al territorio che ne rappresenta la risorsa di base e l’ambito di destinazione delle attività.
Per meglio chiarire la centralità del territorio rispetto allo sviluppo del turismo il testo fa riferimento ai modelli teorici elaborati dai geografi al fine di tracciare assiomi generalizzanti relativi alle modalità con cui il fenomeno stesso si localizza a si distribuisce alle diverse scale. Seguono alcune riflessioni che intendono sottolineare i cambiamenti funzionali ed organizzativi avvenuti più recentemente, nella gestione del turismo, con conseguenti ripercussioni, evidentemente, anche sull’assetto spaziale che ne deriva, determinando una nuova e più articolata dimensione geografica dello sviluppo turistico. L fenomeno, nelle sue espressioni più recenti, ha generato una variegata gamma di fruizioni turistiche e, quindi, una differenziazione dell’utilizzo del territorio e la identificazione di nuovi spazi turistici. Con l’evolversi degli assetti organizzativi devono confrontarsi quindi i nuovi modelli interpretativi. Infine il rapporto turismo-territorio è affrontato sottolineando l’esigenza di una forte sensibilità verso i principi della sostenibilità che oltre ad essere valori imprescindibili per le più varie attività umane, sono anche sanciti in molti “documenti” ufficiali europei e internazionali.
2.1 Gli spazi del turismo: modelli organizzativo-territoriali
Lo sviluppo del settore turistico su scala globale e la rilevanza delle implicazioni di carattere territoriale che, tra le altre, ne derivano hanno reso il turismo una tematica di studio ormai consolidata nelle ricerche e nella letteratura geografica.
Tuttavia, guardando alla produzione scientifica bisogna attendere gli anni ’60 per trovare nella pubblicistica geografica una presenza significativa di contributi su temi turistici. Il carattere frammentario e quasi episodico sull’argomento ha portato, per il passato, al prevalere di impostazioni descrittive nonché ideografiche che hanno prodotto numerose monografie, approfondimenti tipologici, studi su destinazioni o regioni particolari, sui movimenti turistici. Solo più tardi si è assistito ad un allargamento delle attenzioni alle ricadute territoriali del fenomeno con lavori sull’impatto ambientale e socio-culturale.
Per alcuni anni, gli studi geografici sul turismo sono stati fortemente influenzati dalle differenti scuole di pensiero della geografia tradizionale. Durante il periodo del determinismo ambientale (XVIII secolo), era più difficile parlare di geografia del turismo perché la concezione di un uomo fortemente condizionato dall’ambiente non lasciava spazio ad analisi geografiche sull’attività umana. Mentre con il possibilismo geografico (XIX secolo) si apre qualche riflessione sul tema anche se, nonostante l’uomo abbia acquisito capacità di reazione rispetto all’ambiente, e le attività umane incominciano ad interessare i geografi del tempo, il fenomeno è analizzato prevalentemente come circolazione delle merci (geografia commerciale), e quindi come rapporto tra luoghi di origine dei prodotti e mercati di consumo. Ma è a partire gli anni ’30 grazie al contributo del Toschi che si determina in Italia, la nascita di una Geografia del Turismo.
Dagli anni ’60, inoltre, i geografi promuovono la diffusione di un certo numero di modelli spaziali del turismo, la maggior parte dei quali basati sulla sequenza origine-destinazione (origin-linkage-destination system).
In Italia, si deve, sempre al Toschi (1948), uno dei primi a proporre uno schema interpretativo del fenomeno turistico, un modello sulla configurazione spaziale del turismo che opera un distinguo tra regioni di partenza (attive), di arrivo (passive) e di transito (fig1).
Secondo Spinelli (2001), il Toschi ricondusse il turismo ad una articolata fenomenologia della circolazione di persone, beni, capitali ed informazioni che coinvolgono la “stazione” turistica (fig.1). Preferì quindi, nella sua elaborazione nomotetica , far riferimento al luogo anziché alla regione, ma questa scelta appare irrilevante rispetto ai risultati ottenuti nella sua sistematizzazione. La costruzione teorica elaborata, condotta per una necessaria generalizzazione della miriade di singoli casi indagati dai geografi, aveva il proprio retroterra in una stratificazione di conoscenze e riflessioni pregresse che lo avevano condotto a proporre una regionalizzazione turistica dell’Italia, già in occasione del XVII Congresso Geografico Italiano (Toschi, 1957).
Fig.1 - Schema dei movimenti di un centro turistico
Fonte: U. Toschi, 1959, p. 373
Qualche anno più tardi si arriva ad una produzione di modelli, soprattutto di matrice anglosassone, che tentano una lettura formalizzata di alcuni aspetti della spazialità turistica.
Nel 1967, Campbell propone un modello (fig.2) che si riferisce ai viaggi per ricreazione e vacanze e distingue gli spostamenti di chi abita in città in 3 tipi:
1. quelli per motivi di ricreazione, per cui intorno alla città si identificano varie località ricreative disperse;
2. quelli per motivi di vacanza/ricreazione, per cui la meta dei cittadini è rappresentata da un centro di ricreazione dal quale essi possono recarsi in luoghi di ricreazioni minori situati nell’intorno e fra loro integrati tanto formare un complesso regionale di ricreazione-vacanza;
3. quelli per motivo di vacanza, che interessano vari tipi di mete, fra cui centri isolati o allineati, talvolta ubicati su strade veloci (in questo caso, parliamo di regioni con servizi per le vacanze).
Fig.2 – Modello di Campbell
Fonte: C.K. Campbell, 1967
Il modello di Lundgren, degli anni’80, indica 4 tipi di mete raggiungibili dai turisti e distinte in base alla loro posizione geografica e politico-economica (fig.3):
1. le aree metropolitane, integrate nelle reti di trasporto internazionali, che si scambiano considerevoli flussi di turisti;
2. le periferie delle aree metropolitane (suburbi), che pure sono interessate da scambi di turisti (in parte provenienti dalle stesse aree metropolitane) e che, per la loro limitata popolosità, vedono prevalere gli afflussi sui deflussi;
3. le aree rurali, visitate dai turisti dopo aver visitato le aree metropolitane ed i suburbi, oppure direttamente;
4. gli ambienti naturali, lontani rispetto ai centri di irradiazione del turismo. Ne costituiscono un esempio i parchi naturali raggiungibili mediante trasporti di superficie, ma anche le regioni esotiche accessibili per via aerea.
Fig.3 - Modelo di Lundgren
Fonte: J.O.J Lundgren, 1984
Il modello di Thurot, 1973, descrive i rapporti tra domanda e offerta turistica e fra turismo interno e turismo internazionale. La maggior parte della domanda generata dal Paese A è soddisfatta in parte al suo interno e in parte dai Paesi B e C (quest’ultimo è un PVS). Allo stesso modo, la parte della domanda generata dal Paese B e non soddisfatta internamente, si rivolge agli altri due Paesi. Solo il Paese C, per il modesto livello della sua economia, soddisfa tutta la sua domanda internamente (fig.4).
Fig.4 - Rappresentazione schematica dell’offerta e della domanda per turismo interno (nastro nero) e turismo internazionale (nastro bianco e nastro tratteggiato)
Fonte: J.NI Thurot, 1980
Ma i modelli che forse hanno conosciuto in questi ultimi decenni un maggiore riconoscimento dalla letteratura turistica, nel senso che sono stati i più utilizzati come riferimento teorico anche da altri autori sono quelli di Plug, Miossec e Butler.
Il modello psicografico di Plog del 1974 (Cfr. Minca, 1996), basato sull’analisi dei parametri della tipologia dei turisti che popolano una destinazione in una determinata epoca, analizza la personalità del turista, individuandone tre maggiori tipologie. Secondo Plog, infatti, la popolazione turistica si può distribuire statisticamente lungo una curva gaussiana a seconda delle aree di destinazione. Ad un estremo si situano i turisti “psicocentrici” (inibiti, privi di senso dell’avventura, che prediligono luoghi vicini e familiari, amanti delle guide e dei pacchetti turistici); all’estremo opposto gli “allocentrici” (amanti delle destinazioni poco turistiche, viaggi indipendenti e avventurosi). La maggior parte dei turisti si colloca nel mezzo: i “mediocentrici”, che si spostano gradatamente verso le zone già esplorate dagli allocentrici, ma non danno mai inizio per primi a viaggi inusuali (fig.5).
Secondo questa interpretazione, dunque, lo sviluppo e la maturità di una destinazione sono valutabili sulla base della popolazione turistica che ospita. La presenza di allocentrici, è sintomo di scarso sviluppo e corrisponde approssimativamente alla fase della scoperta o al più del coinvolgimento. Man mano che aumenta la quota dei mediocentrici si assiste invece all’apertura e all’invasione del turismo di massa, mentre la comparsa dei primi psicocentrici potrebbe segnalare una certa stanchezza in termini di immagine e il consolidamento dell’offerta di una destinazione sul mercato turistico. Infine, quando i mediocentrici sostituiscono quote fortemente psicocentriche, è prevedibile un prossimo declino o, come si assiste nella realtà, una caduta in termini qualitativi con il relativo declassamento della destinazione.
Fig.5 – Modello psicografico
Fonte: S.C Plog., 1973
Il modello dinamico di Miossec (1977) spiega l’evoluzione strutturale di una regione turistica attraverso il tempo e lo spazio, includendovi l’analisi dell’impatto sul territorio.
In particolare, il contributo di Miossec propone una regionalizzazione turistica, per stadi di sviluppo , avvalendosi di una eccellente sintesi corografica. Il processo di regionalizzazione turistica, per stadi sviluppo, è orientato dall’interazione dei comportamenti dei turisti e dei residenti, nelle loro proiezioni territoriali, cui sottendono i gestori dell’offerta turistica e gli enti pubblici o privati preposti (Comuni, Province, Regioni, Consorzi, Associazioni di categoria ecc.) in un classico intreccio tra marketing privato e marketing pubblico.
Il suo ragionamento analizza i meccanismi di progressiva conquista del territorio da parte del turismo e la strutturazione che ne deriva, nonché l’evoluzione delle percezioni che se ne ha.
In particolare, le stazioni turistiche, in base alla provenienza dei turisti, sono divise in stazioni internazionali e stazioni locali. Ciascuna attraversa diverse fasi (fig.6):
- nella fase 0, preturistica, non si rivela la presenza di alcuna stazione turistica: la domanda turistica non conosce questo territorio e non se ne interessa;
- nella fase 1, tipica della stazione pioniera, il territorio esce lentamente dall’isolamento grazie alla formazione di una prima stazione;
- nella fase 2, in cui le iniziative si moltiplicano, i collegamenti tra le stazioni sorte si intensificano e la popolazione e le amministrazioni locali cominciano a rendersi conto dell’importanza del turismo;
- nella fase3, caratterizzata dalla organizzazione degli spazi, cominciano a delinearsi fenomeni di gerarchizzazione e specializzazione degli spazi;
- nella fase 4, di specializzazione, le stazioni si specializzano e tendono al turismo totale, controllato in alcuni casi dagli aménagement (piani di tutela ecologica).
Al culmine dell’evoluzione della regione turistica segue, anche secondo Miossec, una saturazione: la congestione delle comunicazioni e delle infrastrutture portano al preludio di una crisi con fenomeni di rigetto da parte della comunità locale e di alcune categorie di turisti destinati ad emigrare verso nuovi spazi. È prevista anche una fase in cui una destinazione, di fronte ai primi sintomi di una crisi, decida di intraprendere una politica volta al recupero della regione attraverso una riqualificazione ambientale o con altri interventi di geografia volontaria che introducano modelli sostitutivi, cioè la creazione di nuove forme di turismo. Spicca un certo parallelismo con le politiche di ringiovanimento menzionate da Butler anche se nel Miossec si evidenzia una specificità di conversione che comprende le risorse tradizionali, quali il mare, la spiaggia, lo sport, al recupero dei valori culturali e autentici del territorio.
Fondamentale in questo modello è la componente percettiva che finisce per giocare un ruolo sempre maggiore nel destino di una stazione o di un’area turistica.
In questo periodo, infatti, si affermano le ipotesi dei geografi della percezione secondo i quali rispetto al concetto di regione come realtà tangibile, oggettivamente riscontrabile nella realtà geografica, si afferma l’idea di regione come “entità geografica percepita”, che dipende dalla percezione che gli individui hanno della stessa.
Nel lungo periodo, la percezione del territorio e la relativa immagine (Miossec 1977), finiscono, quindi, per influenzare l’organizzazione spaziale della regione e la sua delimitazione territoriale, nel senso che gli interventi di pianificazione degli spazi regionali devono necessariamente collegarsi all’immagine collettiva del contesto stesso.
Fig.6 - La regionalizzazione turistica secondo un modello dinamico dello spazio turistico
Fonte: J.M Miossec., 1977, p. 47, traduz. Muscarà, 1983, p. 29
Il modello de ciclo di vita di una destinazione turistica (“life cycle model”) di Butler(1980) prevede diverse fasi evolutive, ciascuna caratterizzata da un diverso andamento della domanda, specifiche configurazioni dell’offerta, diversi assetti territoriali e specifiche problematiche di sviluppo (fig.7). Le fasi riguardano:
1) l’esplorazione (della futura località turistica, caratterizzata dalla presenza di pochi turisti a causa della difficile accessibilità e della scarsa ricettività), caratterizzata dall’arrivo di un modesto numero di turisti, definibili “pionieri” che entrano in contatto con la comunità locale; non si può ancora parlare di turismo per via della mancanza di ogni forma di organizzazione dell’offerta;
2) il coinvolgimento (inizio dell’insediamento, durante il quale comincia a delinearsi un’area di mercato e gli enti pubblici iniziano a realizzare infrastrutture), in cui la popolazione autoctona inizia a intravedere le potenzialità economiche del turismo e sviluppa così le prime forme di organizzazione dell’offerta, seppure rudimentali;
3) lo sviluppo in cui allo sfruttamento massimo delle risorse originarie si affianca il sempre più pesante impatto territoriale: inizia il turismo di massa. In questa fase il paesaggio storico-naturale viene sostituito dal moderno paesaggio urbano e diventa notevole anche l’afflusso di capitali stranieri;
4) il consolidamento (caratterizzato dall’entrata nella zona critica per la carrying capacity), fase durante la quale il numero degli arrivi continua ad aumentare ma ad un tasso inferiore rispetto al passato e il turismo tende ad affermarsi come attività economica principale della destinazione, se non addirittura esclusiva. È frequente il divorzio tra il turismo, la sua organizzazione e l’ambiente circostante, soprattutto nelle sue manifestazioni pre-turistiche. Compaiono i primi sintomi degenerativi e l’eccessiva pressione sull’ambiente viene sempre più avvertita, mentre la riduzione del tasso di crescita stimola l’adozione di incentivi per il prolungamento della stagione turistica. Si manifestano così le prime forme di opposizione nei confronti del turismo e delle sue ricadute da parte della popolazione locale e, al contempo la congestione e il degrado ambientale tendono ad allontanare i segmenti più pregiati della domanda. Si crea una gerarchizzazione degli spazi turistici con dei veri e propri distretti turistici (recreational business district).
Fig.7 - Il ciclo di vita di una destinazione turistica
Fonte: riadattato da R.W. Butler, 1980
A questo punto si può assistere a diverse evoluzioni.
Con la fase della stagnazione il numero degli arrivi tocca il suo massimo e comincia una lenta diminuzione; la composizione della domanda registra una diminuzione qualitativa a fronte di un progressivo incremento del turismo di massa organizzato. È il momento in cui l’eccessiva pressione turistica conduce al superamento delle varie soglie imposte dalla capacità di carico di una località turistica.
S’insinua così la fase del declino che sancisce la perdita di competitività della destinazione rispetto alle nuove aree di attrazione turistica; il numero degli arrivi decresce continuamente e il tenore qualitativo dell’offerta si abbassa drasticamente. Questo declino potrebbe proseguire fino all’uscita definitiva della destinazione dal mercato turistico, anche se è probabile che le autorità locali in vista di questo grigio panorama cerchino di rivitalizzare l’offerta e l’immagine della destinazione con una serie di interventi volti al ringiovanimento. Può verificarsi un eventuale recupero, a carattere temporaneo o permanente, generalmente perseguito attraverso la creazione di attrattive complementari di natura artificiale come casinò, parchi acquatici, strutture sportive, oppure con la valorizzazione di risorse fino al quel momento trascurate.
Qualche anno più tardi, Lozato Giotard (1988) propone una classificazione tipologica delle forme spaziali, sulla base di due criteri di fondo:
1. la distribuzione territoriale delle risorse turistiche (caratterizzata da due estremi che coincidono, da un lato, con la forte polarizzazione con funzioni concentrate in una località centrale e, dall’altro, con la elevata diffusione in cui le funzioni turistiche risultano disperse);
2. l’orientamento strategico del sistema dell’offerta in cui vi è una classificazione delle regioni turistiche in funzione della caratterizzazione tipologica dell’offerta, del livello di specializzazione dello spazio locale (forte specializzazione o diversificazione dei fattori di attrazione). Inoltre, lo schema individua diverse tipologie di spazi turistici partendo proprio da alcuni criteri di natura squisitamente geografica come l’intensità dei flussi turistici, la localizzazione delle attività turistiche e la condivisione dello spazio con le altre attività economiche, le forme spaziali dei diversi insediamenti turistici e il loro impatto sull'ambiente locale .
Valutando i diversi elementi si possono distinguere almeno tre diversi tipi di spazi turistici:
1. specializzati o polivalenti, in base al numero delle attività che si svolgono e quindi all'importanza del turismo nella realtà locale;
2. mononucleari o polinucleari, in base al numero degli insediamenti o delle localizzazioni turistiche;
3. polarizzati o multipolari se nella località esistono una o più attrazioni di tipo diverso (fig.8).
Se negli spazi polivalenti si ritrovano varie attività, turistiche e non turistiche, ciò avviene molto raramente negli spazi turistici specializzati, dove tutto è strutturato e organizzato da e per il turismo. Quando in una località turistica mancano altre attività complementari, si parla di monocultura.
La consistenza dell'attività turistica con altre funzioni per gli effetti indotti che ne derivano torna a vantaggio sia del settore turistico che dell'intera economia locale.
Località del tipo specializzato mononucleari e unipolari sono molte delle piccole stazioni balneari che si incontrano lungo le coste del Mediterraneo. Tra i centri specializzati con una struttura polinucleare e multipolare troviamo alcune delle più famose stazioni balneari e le stesse stazioni termali, dove il turismo da unipolare è diventato multipolare per via della diversificazione conseguente all'evoluzione del settore non più basato solo sulle cure e circoscritto allo stabilimento termale, ma anche sullo sport e i divertimenti distribuiti in luoghi diversi. Alla luce dei principi indicati le regioni turistiche possono assumere possibili configurazioni, classificabili secondo due criteri (Lozato-Giodart, 1990).
Fig.8 – Schizzi tipologici degli spazi turistici regionali (elaborazione J.P.Lozato Giotard)
Fonte: J.P. Lozato Giotard, 1993, pp. 164
2.2 La dimensione geografica dello sviluppo turistico
Gli strumenti tradizionali dell’analisi territoriale messi a disposizione dalla geografia rivelano un’indiscutibile efficacia interpretativa, come dimostrano le formalizzazioni di Butler (1980), Miossec (1977), di Lozato-Giotart (1988) e le altre precedentemente menzionate.
Tuttavia, le profonde trasformazioni intervenute nelle logiche organizzative delle attività turistiche hanno determinato, con il tempo, l’esigenza di rivedere i primi modelli teorici posti a riferimento delle analisi al fine di adeguarli alla complessità che caratterizza il settore.
A molti di essi, infatti, «manca, rispetto alla complessità della realtà, il riferimento ai fattori di interazione sistemica /livello di relazionalità» (Pollice 2002, p. 115).
Considerare gli aspetti geografici del turismo, oggi, significa, invece, inquadrare il comparto nel territorio come un complesso di dinamiche tipicamente localizzate e collegate, proprio per effetto della loro spazialità, a tutti gli altri elementi dell’ambiente naturale, sociale ed economico.
Il turismo, manifestazione culturale di consumo, risente da qualche tempo di una pluralizzazione profonda che porta alla moltiplicazione-differenziazione delle fruizioni turistiche. Si è passati dal turismo di massa ai turismi di nicchia (per luoghi e tipologie di turisti e tempi e modalità di consumo), parallelamente al grande passaggio dalla massificazione fordista alla personalizzazione spinta del prodotto e del servizio .
Anche il turismo, come forma moderna di consumo, ha percorso lo stesso sentiero, diversificandosi nella fruizione a partire dagli anni Ottanta: come dire che, nel “turismo postfordista”, l’homo turisticus amplia la propria esperienzialità, passando appunto alla galassia dei mille turismi possibili. Operando una scomposizione del“sistema turistico”nelle sue principali componenti (domanda, all’offerta e all’interfaccia fra queste due) e valutandole anche attraverso i livelli spazio temporali, appaiono evidenti sia il dinamismo del comparto sia la complessità che sempre più lo caratterizza.
Cambiano continuamente le connotazioni della domanda, con riferimento a variabili sia qualitative (analisi dei comportamenti turistici che si esplicano, fra l’altro, nella diversificazione delle esigenze, dei modelli di fruizione turistica, delle modalità di aggregazione, di utilizzo delle strutture e dei servizi - identikit, organizzazione, comportamenti, aspettative) che quantitative (diversi segmenti turistici ad ognuno dei quali deve corrispondere una specifica articolazione dell’offerta; differenziazione dei mercati turistici, sia nazionali che esteri, sia attuali che potenziali, con conseguenze nella determinazione dell’immagine delle località nel vissuto dei turisti).
In quest’ambito, il carattere geografico del turismo si esprime anzitutto, in relazione allo spazio propriamente detto, sotto forma di punti, di aree, di linee: punti come quelli, ad esempio, da cui le correnti turistiche prendono origine o verso i quali si dirigono; aree caratterizzate da un insieme di punti variamente raggruppati; linee lungo le quali le correnti turistiche si muovono per superare la distanza, che divide una punto dall’altro.
A fronte di una complessificazione della domanda, aumentano le implicazioni per l’organizzazione dell’offerta, nelle sue diverse articolazioni che è costretta a garantire livelli di efficienza molto alti a fronte di una concorrenzialità sempre più elevata. Sono in continua evoluzione la struttura dell’offerta regionale, le risorse locali messe in gioco (le risorse naturali e culturali, la storia e le tradizioni della comunità locale, le tradizioni, l’enogastronomia, le produzioni tipiche; le strutture dell’offerta - ricettive, commerciali, complementari; il territorio, con riferimento agli aspetti di accesso (viabilità e trasporti), alla necessaria dotazione di infrastrutture tecnologiche e di servizio, senza dimenticare la componente urbanistica che determina l’impatto visivo del turista con le località; organizzazione turistica sia di competenza regionale (uffici di informazione e di accoglienza turistica), sia promossa dall’ente locale (pro-loco), si a di natura privatistica (associazioni di gruppi specifici di operatori). In tale aspetto rientrano anche aspetti inerenti alle professionalità turistiche e, più in generale, all’insieme delle risorse umane.
Altro ambito in continua evoluzione è quello dell’interfaccia tra domanda ed offerta condizionato dalla necessità di monitorare la coincidenza tra la localizzazione della domanda e la localizzazione dell’offerta. Questo ambito concerne l’intermediazione, con riferimento ai principali tour operator operanti nelle località di destinazione e nei Paesi generatori di domanda turistica, oltre che alle agenzie di viaggio; l’organizzazione, sia pure limitatamente ai principali “centri” di promozione e di organizzazione di eventi turistici, quasi sempre emanazione di gruppi e/o associazioni; i vettori, qualunque sia il mezzo di trasporto utilizzato (aereo, fluviale, ferroviario o stradale).
In questo caso, il carattere geografico del turismo si esprime nell’influsso esercitato dal contenuto dello spazio geografico, ossia dagli elementi del paesaggio materiale e dell’ambiente umano, di cui il passaggio è al tempo stesso, il quadro e la manifestazione sensibile. Il turismo esercita un significativo influsso proprio sul contenuto dello spazio geografico, agendo sia sul paesaggio (e ciò si evince dalla nascita e sviluppo di nuovi centri abitati e della rete stradale), sia sulla struttura sociale ed economica della popolazione corrispondente (i cosiddetti effetti indotti degli economisti).
A seguito dei cambiamenti nelle abitudini e negli stili di vita, vi è un anche cambiamento nel livello temporale, avvertibile su due versanti, formalmente distinti anche se caratterizzati da strette interconnessioni: il versante interno alla fruizione del prodotto turistico (la durata), che consente di segmentare la domanda turistica in turismo escursionistico, in turismo di fine settimana, in turismo delle vacanze; il versante esterno o di collocazione nell’arco temporale dell’anno (stagionalità). I fattori quali il timing delle rilevazioni, il periodo di riferimento (ovvero i momenti di maggiore o minore intensità dei flussi turistici durante l’anno) e l’arco temporale in cui vengono considerati i dati (mensili, semestrali, annuali, pluriennali) giocano un ruolo rilevante per la comprensione dei fenomeni turistici e, quindi nell’analisi geografica del turismo.
Anche il livello spaziale assume valore nella dimensione geografica del turismo in riferimento al ruolo che il “turismo” riveste nell’economia locale in termini di produzione di reddito e di occupazione (considerati in valori assoluti e di incidenza percentuale), di scelte precise nella politica di governo del turismo, con immediate ripercussioni anche nei contenuti dell’attività di promozione. In questo senso, il carattere geografico del turismo deriva dal fatto che questa attività economica viene esercitata concretamente dentro un territorio, nel quale esistono anche altre attività economiche; ora, tutte queste attività hanno bisogno di un determinato spazio vitale in cui esprimersi e spesso si determina un contrasto alle volte molto acuto, cui si cerca di ovviare mediante interventi tecnici e legislativi come i piani regolatori e urbanistici; parliamo di un fenomeno di portata generale, e non di una peculiarità del turismo.
Alla luce dei cambiamenti nelle modalità organizzative del turismo, assumono attualità nuovi processi di territorializzazione, quale azione modellatrice del territorio, intesa come processo attraverso il quale l’azione sociale trasforma, codifica, gestisce, domina e struttura un determinato spazio (Minca C., 1996, p. 43).
E’ alla luce dei processi descritti e ai cambiamenti avuti nel turismo degli ultimi anni che si è portati a ripensare al concetto di centro turistico come realtà spazialmente contenuta, rispetto all’affermarsi di forme regionali aperte caratterizzati da: reciprocità delle risorse turistiche, effetti diffusivi dell’aumento della mobilità turistica, evoluzione dello scenario competitivo e intensa competizione tra le regioni turistiche, saturazione località turistiche tradizionali e vincoli ambientali.
Queste condizioni rendono solo parzialmente esaustivi i modelli teorici del passato e reclamano soluzioni metodologiche di sintesi capaci di interpretate e sistematizzare la complessità che governa attualmente il fenomeno turistico. E’ evidente, la necessità di formulare modelli che riconoscano il territorio come nuovo ambito organizzativo; il territorio che diventa spazio di interazione sistemica, ossia un’area in cui l’organizzazione dello spazio è funzionale al soddisfacimento delle esigenze turistiche determinate dai flussi, e gli elementi di attrazione risultano integrati in quadro organico di sviluppo che possa essere veicolato attraverso una immagine unitaria dotata di sufficiente capacità evocativa.
Si afferma il concetto di regione turistica, intesa come spazio geografico in cui il turismo è un dei principali fattori dell’organizzazione territoriale; anche se la descrizione dei sistemi locali turistici non può che avvenire in termini relazionali.
Della regione turistica sono state date diverse definizioni. Alcune di queste individuano ancora la regione sulla base dei caratteri di omogeneità che tendono a caratterizzarla, considerandola «un’area idealmente delimitabile che, in virtù delle proprie caratteristiche, riesce ad attrarre, o è potenzialmente in grado di farlo, flussi costanti e periodici di persone che vi trascorrono parte del loro tempo libero dal lavoro e spendono in loco i redditi percepiti altrove» (Corna-Pellegrini, 1973), o «un’area geografica in cui si manifesta una determinata forma di turismo o dove sussistono le medesime condizioni di attrattività» per Cazes (1992).
Nell’ evoluzione del pensiero geografico e dell’adozione di diversi paradigmi «le categorie concettuali utilizzate per identificare le regioni sono passate dall’analisi delle forme fisiche e del paesaggio a quella delle finzioni e delle relazioni» (Minca, 1996, p. 37).
Alcuni autori si avvicinano maggiormente a questa impostazione e individuano la regione sulla base delle relazioni funzionali che si instaurano tra i diversi elementi, definendola come «territorio in cui il “turismo passivo” si manifesta in forme omogenee e l’organizzazione spaziale risulta fortemente influenzata da questo modello di utilizzo delle risorse» (Toschi, 1959), oppure «area in cui siano presenti diversi centri di attrazione legati da rapporti di interazione e reciprocità» (Nice, 1999). Inoltre, se la regione è un sistema territoriale aperto occorre distinguere tra: regione turistica, quale porzione di territorio la cui struttura è orientata da meccanismi di trasformazione turisticamente rilevante che si esprimono in maniera sistemica; e area turistica, in quanto porzione di territorio in cui si presentano i presupposti per uno sviluppo integrato e che si configurano, quindi, come regioni turistiche potenziali (Vallega 1984).
Di più recente formulazione è la proposta interpretativa che propone un tentativo di mediazione tra le diverse definizioni, attribuendo alla regione turistica un carattere di area geografica in cui si manifestano processi di interazione sistemica tra le diverse componenti dell’offerta turistica ed entro la quale tende ad esaurirsi la mobilità del flusso di visitatori (domanda) che a questa offerta si indirizza. Ne deriva la possibilità di classificare le regioni turistiche (Pollice 2002 pp. 119) sulla base di cinque distinti criteri di valutazione:
1. la configurazione spaziale dell’area turistica;
2. l’orientamento turistico-ricettivo del sistema di offerta;
3. il livello di relazionalità esistente tra gli elementi del sistema di offerta;
4. la relazione tra turismo e territorio;
5. lo stadio evolutivo del sistema locale.
Considerando i fenomeni di integrazione che si manifestano in tali contesti territoriali è possibile distinguere tra configurazioni sistemiche , in cui l’integrazione è il risultato di un processo socio-culturale che non coinvolge solo lo spazio turistico ma l’intero sistema territoriale di riferimento; e configurazioni reticolari, dove l’integrazione nasce come risposta strategica dell’offerta turistica locale all’evoluzione del contesto competitivo (Pollice 2002).
Le configurazioni sistemiche prevedono l’interazione tra gli operatori turistici, l’effetto diretto ed indiretto dell’interazione sociale, economica e culturale, relazioni di tipo collaborativo e competitivo, un ruolo determinante del settore pubblico soprattutto nel destination management ed una precisa individuazione territoriale.
Nelle configurazioni reticolari l’integrazione può essere espressione degli operatori locali o esterni (reti eterodirette); vi è una certa prevalenza di accordi di co-marketing con ruolo strategico di un leader, le relazioni sono stabili e formalizzate e coinvolgono un numero limitato di soggetti, inoltre esse stesse sono tanto più forti quanto più sono territorializzate, si registra una certa marginalità della presenza del settore pubblico.
2.3 I nuovi spazi del turismo
La globalizzazione, che tutto congiunge ed all’apparenza tutto appiattisce, sviluppa nel contempo una infinita molteplicità di possibili percorsi di turismo individuale o per gruppi differenziati. A fronte di una continua evoluzione e volubilità della domanda, sempre più “imprevedibile” ed “imponderabile”, sembra emergere così un nuovo soggetto di offerta, il territorio, che riscopre la sua complessità e mette in moto una infinita molteplicità di luoghi, di situazioni, di aspetti non classificati, non coordinati in nessun circuito. Il senso del locale, del genuino si riproduce e sconfigge dal di dentro la globalizzazione; talora se ne serve per i propri fini e le proprie strategie. Il turismo diventa così preda di nicchie di mercato che si riproducono e si riciclano con imprevedibile creatività.
Nella società contemporanea, processi convergenti (la globalizzazione, la complessità) tendono a restituire enfasi al "luogo", in quanto espressione di scelte poste in essere da una pluralità di attori "locali" che ritrovano nelle proprie mani nuove opportunità di scelta e di azione autonoma, nel quadro di relazioni territoriali de-gerarchizzate. Gli stessi processi stimolano la ricerca e la costruzione di spazi e di tempi interstiziali, quali ambiti privilegiati per la ricerca dell'identità soggettiva, da parte di un vasto "pubblico" di consumatori e di attori, interni ed esterni al luogo stesso. Questi interpretano sempre più il territorio e le sue risorse "locali" come una gamma inesauribile di possibilità a loro disposizione, per sfuggire all'assorbimento esercitato dai diversi sottosistemi che frammentano le relazioni sociali e si contendono il controllo dei soggetti.
Il mercato turistico oggi emergente reca in sé i presupposti per una competizione totale fra tutte le aree, tutte le risorse, tutte le modalità di pratica turistica; e ciò si manifesta sia a livello macro-territoriale, con la cosiddetta globalizzazione, sia a livello micro-territoriale, per il venir meno della separatezza tra gli spazi e tra i sottosistemi di relazione compresenti nella stessa regione: vita quotidiana ed esperienza straordinaria, produzione e consumo, lavoro e divertimento. Con la globalizzazione riemerge un conflitto che prima era latente, quello tra il sistema turistico che si andava istituzionalizzando e autonomizzando intorno a codici propri, che prescindevano da specifiche località, culture, tradizioni e sensibilità, e la comunità locale in quanto tale, depositaria delle risorse culturali e ambientali di un determinato territorio, che sono frutto di una specifica evoluzione. Nell'esperienza turistica, diversi tipi di attività e di servizi vengono sempre più interconnessi con quelli turistici e possono utilmente trovare spazio in un'immagine più complessa del territorio, più suscettibile di interpretazioni soggettive e di percorsi di accesso differenziati e continuamente rinnovati
Nelle dinamiche globali in atto i sistemi locali possono fondare la propria competitività territoriale sull’insieme vario e complesso delle internalità che definiscono l’originalità e l‘identità dei luoghi. In tal prospettiva il background culturale di un ambito locale non è considerato come semplice stratificazione di strutture il cui ruolo è compreso e compresso tra precisi limiti temporali, ma come insieme di forme in grado di riacquisire funzionalità e arricchirsi di significati al di là degli scopi ben precisi che ne determinarono l’origine.
La capacità degli insiders di comprendere e ridefinire i ruoli di un patrimonio diffuso e variegato rappresenta di per sé un vantaggio competitivo.
Ne deriva che ogni spazio geografico è potenzialmente uno spazio turistico in quanto portatore di risorse “date”. Non esistono, però, luoghi turistici a priori, luoghi cioè che abbiano delle caratteristiche innate tali da poter essere considerati luoghi turistici e basta. L’attivazione di processi di sviluppo autocentrato deriva dalla valorizzazione della territorialità dei contesti locali e dalla produzione di forme di “innovazione territoriale”. Lo spazio turistico è una “costruzione” culturale prima ancora che una realtà geografica. Un luogo turistico esiste in quanto prodotto dell’immaginario di una società, dei suoi modelli culturali e dei suoi bisogni.
L’obiettivo di promuovere uno sviluppo turistico eco-compatibile e del territorio spinge ad agire processi di valorizzazione di tutte le risorse, a implementare processi di sviluppo a partire dall’ambito locale. Si ripropone, anche per questo comparto, la centralità del concetto di potenziale di sviluppo endogeno, facente affidamento sulle proprie forze (self-reliance), definito in opposizione alla crescita imitativa e dipendente. Questa esigenza richiede di pensare ai processi di valorizzazione delle risorse, ai processi di sviluppo come problemi complessi che riguardano insieme l’economia, l’ambiente, il territorio, la cultura, l’identità, l’uomo e i suoi bisogni, la capacità di essere soggetti attivi di governo.
Ma, se anche lo sviluppo turistico è produzione di nuova territorialità e questa si alimenta della estensione delle relazioni, si rende necessario intervenire nel ridare senso e competenza ai diversi soggetti sociali per ricostituire il tessuto relazionale (le reti che nella loro articolazione rappresentano, poi, l’organizzazione del territorio rispetto agli obiettivi di un gruppo), le interazioni sociali e i sistemi di comunicazione, cooperazione e scambio all’interno di concreti ambiti di identificazione culturale. É implicito il riferimento allo sviluppo della “comunità locale” ambito della esperienze vitali e realtà del gruppo sociale in cui l’omogeneità culturale (esperenziale) permette l’adozione di una progettualità autoriferita.
Il rapporto tra territorio e processi di sviluppo locale non va inteso, quindi, esclusivamente come proiezione spaziale di dinamiche socio - economiche o come rapporto con supporti fisici, ma come rapporto tra un insieme complesso di elementi le cui specificità territoriali sono espresse fondamentalmente dallo sviluppo di interazioni sociali e sistemi di comunicazione, cooperazione e scambio all’interno di concreti ambiti di identificazione culturale.
Lo stesso concetto di “fare sviluppo” viene fatto coincidere con la “produzione di nuova territorialità” e viene inteso come sviluppo delle risorse viste non come date ma come prodotto (emergenza) delle dinamiche relazionali. La territorialità è, allora, come una sorta di humus che ricopre il suolo e costituisce il fondamentale elemento fertilizzante per occasioni di sviluppo.
La costruzione di nuova territorialità comporta:
l’individuazione di ambiti attuali di intervento, non secondo criteri funzionali ma in base a criteri di identità territoriale, di condivisione;
l’individuazione e valorizzazione di risorse territoriali di tipo materiale (natura, terra, identificazione, popolazione...), simbolico (appartenenza, identificazione, stili di produzione...), immateriale (reti relazionali, cultura, valori sociali...);
l’individuazione di obiettivi e livelli di autonomia organizzata (auto-organizzazione) orientati allo scopo (gruppi di lavoro, agenzie, coordinamenti, centri di servizio, ...).
Il concetto di «sviluppo locale» viene usato per sottolineare non solo la crescita del benessere in una determinata area territoriale, ma anche il fatto che essa sia autonoma e capace di autosostenersi in un’economia di mercato. Identità locale, capitale sociale, reti, governance vengono quindi assunti come strumenti cognitivi e operativi innovativi che permettono agli attori locali di prendere coscienza del mutamento e di governarlo con specifici progetti anziché subirlo passivamente. Analizzare le potenzialità di un sistema territoriale in relazione alle matrici identitarie significa promuovere una progettualità in grado di dirigere ed orientare il cambiamento, di porsi quale esperienza trainante che permetta al proprio ambito di inserirsi in modo consapevole e originale nella rete delle relazioni globali
Dalla capacità di innescare percorsi di sviluppo turistico dipende anche la diffusione spaziale delle risorse che consente una reciproca integrazione e possono più facilmente essere avviati processi di concentrazione dell’offerta. La messa in valore delle risorse locali consente anche il conseguimento di economie di scala connessa ad una appropriata divisione e specializzazione delle attività produttive, nonché di economie di costo nella gestione comune di determinati servizi (pubblicità, marketing, informazione. Si determina un processo di specializzazione e sviluppo turistico dell’area, con espansione di attività a vario titolo indotte, e connessa crescita cumulativa del reddito e dell’occupazione nell’economia locale; parallelamente si intensifica l’esigenza, al crescere della concentrazione dell’offerta, di adeguati interventi dei poteri pubblici per garantire la necessaria dotazione di infrastrutture e servizi: oltre che dei servizi pubblici tradizionali (servizi sanitari, nettezza urbana, ordine pubblico) può trattarsi di servizi direttamente funzionali alla gestione delle imprese (servizi di informazione, promozione e coordinamento delle attività turistiche).
Trovano forme espressive progettualità territoriali incentrate, ad esempio sul turismo culturale, che può derivare, in alcuni casi dall’interesse per il patrimonio culturale del passato o per eventi di particolare interesse culturale, quali spettacoli e mostre. In alternativa si costruisce come proposte orientate a soddisfare la ricerca di identità culturali differenti, del desiderio di conoscere la vita quotidiana delle comunità ospitanti, per il fascino esercitato da ciò che è esotico o comunque diverso. Proprio quest’ultima forma di turismo è quella che, nel lungo periodo, può rivelarsi più devastante del turismo tradizionale, del turismo di evasione, del turismo balneare. Ciò che caratterizza la cultura locale è la diversità rispetto a contesti più vasti; la sua presenza in un territorio limitato, definito con precisione. La diversità può farle subire processi di riproduzione, di museificazione, di espropriazione; la stessa privacy della popolazione locale può venire minacciata e invasa dai turisti. Una via verso un turismo che sia rispettoso delle culture delle comunità ospitanti deve essere ricercata, più che sul versante del turismo, su quello delle culture locali. Si tratta cioè di valorizzare le culture e le risorse del territorio in quanto tali, a prescindere dalla loro fruizione turistica, ritrovando così la dignità in ciò che si è, nelle proprie tradizioni e nei propri saperi.
Il turismo diventa fattore di sviluppo locale anche nelle aree rurali. Si tratta di aree che, pur essendo caratterizzate da differenti livelli di sviluppo locale e di presenza del turismo rurale, sono accomunate dal ruolo che, nello sviluppo turistico rurale, viene a svolgere il landmark costituito da vino, paesaggio rurale e cultura contadina. L’attenzione viene infine focalizzata su due temi di cruciale importanza nel predisporre, gestire e valutare interventi volti ad utilizzare il turismo quale fattore di sviluppo delle aree rurali: lo sviluppo integrato ed il marketing turistico.
Al fianco di queste tendenze, si assiste, da anni anche alla destrutturazione degli spazi turistici, attraversala costruzione di luoghi del loisire, senza territorio. Si tratta di attrattive artificiali che tendono ad esaltare una certa natura effimera degli spazi turistici Augé(1993), ossia una natura a-territoriale di luoghi creati appositamente in contrapposizione ai luoghi antropologici o geografici propriamente detti.
BOX - Turismo solidale sull'isola di Anjouan ai Comores
"Le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à avoir de nouveaux yeux " (Marcel Proust)
L' Unione delle Comore (fino al 2002, Repubblica Federale Islamica delle Comore) è uno Stato dell'Africa Orientale posto all'estremità settentrionale del Canale del Mozambico, nell'Oceano Indiano, tra il Madagascar e il Mozambico. La nazione è composta da tre isole vulcaniche: Grande Comore, Moheli e Anjouan, mentre la vicina isola di Mayotte è reclamata dalle Comore ma ha rifiutato l'indipendenza dalla Francia. La Capitale è Moroni, situata, sulla Grande Comore.
La bellezza dei paesaggi tropicali e dei fondi marini ha determinato il successo turistico di molte isole vicine (Mayotte, la Riunione, le Seychelles…) mentre le Comores non compaiono ancora tra le destinazioni turistiche più apprezzate. In realtà, caratterizzate da vegetazione lussureggiante, radicata ad un rilievo frastagliato, le Comores sono le isole del contrasto e della diversità dove prevalgono i colori e le forme della vita locale. Tuttavia il territorio è caratterizzato da problemi diffusi relativi ad esempio alla gestione dell’acqua, della scolarizzazione e della malnutrizione. Per questo, il progetto mira a sviluppare un'attività turistica responsabile e solidale in seno ad uno dei villaggi situati sull'isola di Anjouan ai Comores. Si tratta di realizzare soggiorni di una durata di due a tre settimane, un piccolo gruppo di viaggiatori che parteciperanno alla vita di un villaggio comorien. Saranno condivise le attività quotidiane per permettere loro di scoprire gli stili di vita
locali (laboratori di iniziazione musicale, artigianale e culinaria). I membri
della popolazione locale implicata in questo progetto rioccuperanno dell’accoglienza, dell’alloggio e dell'animazione di laboratori. Diverse gite saranno organizzate con le guide locali che consentiranno ai turisti di scoprire la fauna, la flora ed i paesaggi comoriens.
I viaggiatori saranno sensibilizzati ai bisogni della popolazione ed in discuteranno col comitato di gestione del villaggio. I redditi provenienti da questa attività serviranno a finanziare un progetto di sviluppo locale finalizzato ad azioni inerenti questioni,prevalentemente, di tipo sociali e sanitarie.
2.4 Il paradigma della sostenibilità nell’organizzazione degli spazi turistici
Dalle precedenti considerazioni si deduce che il turismo è un settore che, in misura maggiore rispetto ad altri, utilizza le risorse ambientali come principale materia prima per la propria funzione produttiva; nella grande maggioranza dei casi si tratta di risorse non riproducibili che giocano un ruolo fondamentale nel determinare il grado di attrazione di una nazione o di una località verso i turisti.
E’ particolarmente rilevante, per questo, che l’organizzazione del territorio per la gestione di attività turistiche sia subordinata, per motivi etici oltre che normativi, al rispetto criteri di sostenibilità e al rispetto, nel lungo periodo, dell’ambiente. La trasformazione turistica nel senso della sostenibilità ambientale, va intesa come invito a pianificare lo sviluppo del settore, in modo da minimizzare gli effetti negativi sull’ambiente e rendere lo sviluppo stesso duraturo.
Tuttavia, l’analisi del rapporto tra turismo ed ambiente è piuttosto complessa in quanto i due fattori si influenzano a vicenda secondo una dinamica collegata anche ad aspetti di natura sociale, storica e culturale, così come complesse relazioni si innescano attraverso i rapporti tra la popolazione locale, i turisti ed il paesaggio.
Le attività connesse al turismo comportano importanti ricadute sul sistema economico e socio-ambientale di una destinazione. Da un lato il turismo può divenire un incentivo al recupero dei beni storici e culturali e alla difesa delle risorse naturali, contribuendo a generare i mezzi economici per raggiungere tali obiettivi. In questa prospettiva, le esternalità positive dipendono dall’area in esame e possono esprimersi nel recupero e nella valorizzazione economica e sociale (moltiplicatore di reddito ed occupazione) di aree altrimenti degradate; dall’altro, è altresì noto come il turismo possa ampliare problematiche specifiche legate alla sostenibilità dei luoghi. Dall’altro, il turismo impatta sull’ambiente in tutti i suoi momenti distintivi: le aree di destinazione (turismo passivo) subiscono gli effetti negativi del sovraffollamento, la possibile diminuzione della identità sociale e culturale dell’area ospitante (capacità di carico), della speculazione edilizia (fenomeno delle seconde case), dell’inquinamento (rifiuti, inquinamento acustico, emissioni gas di scarico); i rischi ambientali riguardano anche le aree di transito (turismo circolatorio) (emissioni di scarico, consumo di spazio e alterazione del paesaggio per la costruzione delle infrastrutture di trasporto…); gli effetti sui luoghi d’origine (turismo attivo) appaiono meno visibili, ma sono conseguenza dello spostamento dei flussi escursionistici verso le zone periurbane e verso le zone a forte attrazione turistica.
Più dettagliatamente, per quanto concerne i possibili impatti ambientali, è evidente che il turismo può avere un impatto positivo sull’ambiente contribuendo alla protezione e alla conservazione del patrimonio naturale attraverso un processo di valorizzazione delle risorse come specifici fattori di attrattività e, quindi, di competitività del settore. I principali impatti negativi sono da ricondursi, invece, al consumo energetico ed idrico, al possibile inquinamento o d impatti fisici in particolare rispetto all’uso del suolo. I flussi turistici possono generare un impatto significativo sul sistema locale di gestione dei rifiuti, in particolare dei rifiuti urbani. A questi aspetti, rilevanti a livello locale, bisogna aggiungere il contributo del turismo ai problemi ambientali a scala globale come la perdita di biodiversità, la diminuzione dello strato di ozono e il cambiamento climatico, in parte derivanti dalle esigenze di trasporto e mobilità che la circolazione turistica determina.
Anche in termini di impatti socio-culturali, è evidente che il turismo tende a non lasciare inalterate le comunità con cui entra in contatto e spesso provoca, direttamente o indirettamente, cambiamenti nella scala di valori, nei comportamenti,nella struttura delle comunità, nelle relazioni interpersonali e, in generale, nel tradizionale modo di vivere delle popolazioni influenzate dal fenomeno turistico. Come nel caso degli impatti ambientali, anche a livello socio-economico il turismo può avere un impatto positivo, contribuendo allo sviluppo delle comunità locali, così come può determinare impatti negativi che si riferiscono, principalmente, alle interferenze rispetto all’identità culturale e ai valori delle comunità residenti, alle pressioni legate ai possibili conflitti nell’uso delle risorse fino (in casi estremi) ad aspetti legati all’etica e alla moralità.
I cambiamenti e, nei casi, più gravi, la perdita di identità di valori e di identità locale attraverso processi indotti dalla fruizione turistica del territorio possono verificarsi per commodification, ossia la trasformazione di rituali religiosi, cerimonie, festival e riti etnici in “prodotti turistici” che rispondono alle aspettative dei visitatori; la standardizzazione in quanto nella domanda turistica è insita una ricerca del nuovo e del diverso, ma spesso il turista è impreparato ad affrontare situazioni completamente diverse da quelle a cui è abituato per cui cerca ( e spesso trova) elementi riconoscibili come catene di ristoranti o alberghi; la perdita di autenticità e spontaneità quando a beneficio dei turisti si registra la tendenza a riprodurre scene di vita reale creando il fenomeno dell’autenticità da palcoscenico; l’adattamento per soddisfare la domanda di souvenir e prodotti artigianali da parte dei turisti.
Il possibile conflitto tra culture diverse (quelle dei locali e quelle dei turisti) ha come principali cause di scontro le differenze nei livelli di benessere, le forme di disagio provocate presso le comunità residenti dai comportamenti dei turisti, che non rispettino gli usi e i valori locali. Spesso, infine, la situazione è aggravata, soprattutto in alcuni Paesi invia di sviluppo,dalla circostanza che i componenti della popolazione locale sono occupati solo nelle fasi meno qualificate delle attività turistiche, creando una ulteriore fonte di disagio.
Va anche considerato, però che il turismo può avere anche impatti positivi dal momento che permette lo sviluppo sociale attraverso la creazione di posti di lavoro e di reddito per la popolazione. In senso più ampio, assolve un’importante funzione sociale ed educativa dal momento che permette a popoli e culture diverse di entrare in contatto e di conoscersi. Le attività turistiche possono contribuire ad innalzare il livello di vita delle popolazioni locali attraverso un miglioramento delle infrastrutture o della tutela sanitaria. Attraverso il turismo, inoltre, si innalza la consapevolezza del valore del patrimonio naturale, artistico e culturale locale.
Le attività turistiche generano sostanziali benefici economici per le comunità locali attraverso i flussi di valuta straniera in ingresso nei Paesi di destinazione; il contributo al turismo alle entrate fiscali dirette e indirette; la creazione di posti di lavoro e di opportunità imprenditoriali; lo stimolo alla costruzione e al miglioramento della dotazione infrastrutturale; la valorizzazione delle risorse naturali, artistiche e culturali che prospetta la possibilità di utilizzare le rendite turistiche come una valutazione indiretta del valore economico dei beni non di mercato. Al contempo lo stesso turismo può determinare anche impatti negativi sotto forma di costi nascosti. Uno dei principali effetti negativi riguarda la non coincidenza tra luogo in cui si generano le rendite economiche e il luogo di fruizione. Occorre considerare il leakage, ossia la quota di reddito generato da attività turistiche di una specifica località che, una volta remunerati i fattori produttivi, pagate le imposte e saldate le importazioni, resta a disposizione della comunità locale. A esempio, nella maggior parte dei pacchetti turistici al inclusive circa l’80% del costo del viaggiatore viene speso per acquistare servizi turistici, come voli o pernottamenti, che non beneficiano il Paese di destinazione. Occorre poi considerare il possibile effetto di aumento di prezzi di beni e servizi e del valore dei terreni indotto dalla concorrenza tra domanda turistica e domanda locale. Un ultimo impatto negativo può aversi quando le economie locali dipendono in modo troppo esclusivo dalle attività turistiche, dando luogo alle cosiddette “monocolture turistiche”. Questa situazione, se unita con problemi di stagionalità nell’occupazione e nei flussi di reddito, può destabilizzare l’intera economia della destinazione che viene a dipendere da fattori esogeni anche molto variabili come le preferenze dei turisti che vanno spesso ad aggiungersi a variabili meteo-climatiche imprevedibili.
Per risolvere all'origine l’apparente contraddizione tra protezione ambientale e fruizione turistica, sovente si tende a definire una soglia limite oltre la quale non spingere la crescita dell’attività.
Il turismo, cioè, è sostenibile quando «non eccede la propria capacità di carico, quando, quindi, le attività turistiche si sviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un’area per tempo illimitato, senza alterare l’ambiente (naturale, sociale e culturale) e senza ostacolare lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche» (TCI, 2005, pp. 42).
Promuovere la sostenibilità del turismo significa realizzare l’equilibrio tra uno sviluppo del settore rispettoso dei limiti delle risorse naturali attento alla loro effettiva capacità di rigenerazione e un adeguato ritorno commerciale. Infatti, il settore turistico, essendo basato sulla qualità ambientale, culturale e sociale dei contesti in cui si sviluppa il proprio sistema di offerta, rischia, se non correttamente gestito in termini di salvaguardia di tale qualità, di deteriorare la propria base di risorse fino a diventare economicamente e socialmente insostenibile.
Per quanto riguarda i modelli di consumo, gli aspetti di maggiore criticità riguardano:
la stagionalità, in quanto esistono località che da città fantasma nei periodi di bassa stagione, si trasformano in congestionati poli turistici in alta stagione. La stagionalità porta con sè problemi legati all’adeguatezza delle infrastrutture e dei servizi, in primo luogo dei servizi ambientali (es. produzione di rifiuti, trasporti, collettamento e depurazione delle acque,...);
l’impatto dei trasporti a fini turistici, e più in generale, la mobilità turistica;
l’atteggiamento dei turisti-viaggiatori che sembrano sempre più sensibili a considerazioni di tutela, protezione e conservazione dei luoghi e dei valori ambientali e culturali delle destinazioni turistiche. Di fondamentale importanza sono anche le possibili azioni di educazione mirate a determinare comportamenti di fruizione rispettosi dei luoghi e dei beni che alimentano l’esperienza turistica.
In riferimento ai modelli di produzione turistica, gli aspetti da considerare possono essere:
la creazione di una catena di offerta che permetta agli operatori di conseguire vantaggi economici ma che, attraverso l’internalizzazione dei costi socio-economici e ambientali delle attività svolte, riesca a dare il giusto valore a prodotti turistici caratterizzati da una specifica qualità ambientale e dall’adesione a principi di responsabilità sociale;
promozione di una sviluppo sostenibile delle destinazioni turistiche attraverso politiche di valorizzazione dei fattori di attrattività presenti sul territorio in un’ottica di medio e lungo periodo.
Migliorare la sostenibilità del turismo vuol dire, quindi, intervenire su alcune tematiche prioritarie legate ai suoi modelli di consumo, ai modelli di produzione, all’atteggiamenti dei turisti e a una buona governance a livello pubblico e provato. Una volta identificato il quadro di riferimento per un possibile percorso di sviluppo sostenibile nel settore turistico, è indispensabile cercare di prospettare gli strumenti e le soluzioni che possono essere adottati per tradurre gli obiettivi generali in risultati concreati.
BOX - Carrying Capacity
In riferimento al carico turistico e agli impatti di vario genere che dalla fruizione del territorio ne derivano, negli ultimi anni si è sviluppato un intenso dibattito su concetti e strumenti per valutare quantitativamente l’impatto ambientale del turismo e per determinare il livello di cambiamento tollerabile a livello locale (Carrying Capacity ) o globale (Ecological Footprint ,) da esso generato.
Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo (WTO, 1999) la Capacità di Carico di una località turistica, intesa come la capacità di un ambiente di sopportare un determinato cambiamento o una determinata pressione, ed è costituita dal numero massimo di persone che visita, nello stesso periodo, una determinata località senza compromettere le sue caratteristiche ambientali, fisiche, economiche e socioculturali e senza ridurre la soddisfazione dei turisti.
Di fatto, la CCT è definita da un insieme di capacità, tra cui:
la capacità dell’ecosistema, cioè la disponibilità delle risorse naturali presenti nella destinazione in relazione alla fruizione antropica (relazione ambientale) ;
la capacità estetica ed esperienziale, che rappresenta la misura del soddisfacimento estetico-culturale e delle aspettative dei turisti che frequentano la destinazione;
la capacità socio-economica, che rappresenta la soddisfazione sociale ed economica della popolazione abitante la destinazione rispetto al fenomeno turistico (Satta, 2003).
Detto altrimenti, le tre capacità suddette, sebbene tutte interpretabili in termini economici, definiscono tre limiti: fisico, economico e sociale (Costa e Manente, 2000).
Il primo corrisponde al livello oltre il quale l’utilizzo della risorsa provoca danni irreversibili ed il costo percepito (o di recupero) tende ad infinito. In questa circostanza, si determina il limite (esprimibile concretamente con un numero di visitatori) oltre il quale le risorse ambientali o culturali della destinazione risultano danneggiati (degrado di un ecosistema o di un monumento.
Il secondo rappresenta il livello di utilizzo oltre il quale la qualità dell’esperienza turistica percepita si riduce tanto da determinare una riduzione nel valore totale dei benefici derivanti dal turismo (riduzione della disponibilità a pagare). Rappresenta, altresì, il limite oltre il quale la qualità della visita si riduce drasticamente, al punto da determinare una contrazione della domanda (e di conseguenza delle attività nate per soddisfarla). Tali specificazioni esprimono il numero di visitatori oltre il quale l’impatto fisico (prevalentemente negativo) diventa inaccettabile e l'impatto economico (in partenza positivo) crolla.
Il terzo individua il punto oltre il quale i costi sociali percepiti dalla comunità dei residenti tende a superare i benefici, con un conseguente peggioramento della qualità della vita. Rappresenta, in tal senso, il limite oltre il quale le altre funzioni (non-turistiche) dell’area risultano danneggiate o ostacolate, con conseguente degrado nella qualità della vita della popolazione ospitante o danno sulle altre attività produttive. In questo caso il turismo tende a sostituire in una destinazione, tutte le attività concorrenti, arrivando a forme di specializzazione spinta o, all’estremo, di monocolture.
Anche a questo livello, però, fanno spesso riscontro difficoltà pratiche a trasformare i principi teorici in principi applicativi. E’ evidente che nella valutazione complessiva della CCT si fondono variabili oggettive, che attengono alla determinazione di dati fisici (esternalità fisiche o potenzialmente rilevante), e soggettive, che attengono al processo di trasformazione dei dati fisici in variazione di benessere (esternalità economica o rilevante). Tra queste ultime si genera una intensa relazione con processi di feedback da cui discende una difficoltà pratica a determinare un indice, o un vettore di indici, stabile (Iorio e Sistu, 2002 e Bimonte, 2003b). Ogni territorio turistico, perciò, si caratterizza per una propria specifica “capacità di carico” che, se da un lato parte da indici di tipo ambientale, dall’altro ha stretti legami con gli aspetti socioeconomici locali (aspettative, vocazioni, ecc.). La CC, quindi, più che un valore è definita da un intervallo all’interno del quale si determina il processo di sviluppo turistico locale.
Secondo Barton, infatti,«la capacità di carico di un area (in relazione alla possibilità di ospitare vite umane) dipende notevolmente dai criteri con cui la stessa area è gestita, o dal rapporto fra priorità ambientali ed altri obiettivi sociali ed economici. Un ambito territoriale di valenza paesaggistica caratterizzato da elevata vulnerabilità , ad esempio, può essere danneggiato da un numero eccessivo di visitatori, ma la sua capacità può essere effettivamente incrementata mediante adeguate politiche di gestione degli eccessi di fruizione pubblica»» (Burton, Bruder, 1995, p.121).
BOX - La pianificazione sostenibile nelle Isole Galapagos
Le isole Galápagos sono un arcipelago circa 50 isole di cui 14 principali isole vulcaniche (8 grandi e 6 minori) situate nell'Oceano Pacifico, a 1000 chilometri dalla costa occidentale dell'America del Sud. Politicamente l'arcipelago appartiene all'Ecuador.
Le isole sono distribuite a nord ed a sud dell'Equatore, che attraversa la parte settentrionale dell'isola più grande, Isabela. Le più vecchie datano circa 4 milioni di anni, mentre le più giovani sono ancora in via di formazione. L'arcipelago è infatti considerato una delle zone vulcanicamente più attive del pianeta.
Il relativo isolamento dovuto alla distanza dal continente e l'ampia varietà di climi e di habitat dovuta alle correnti della zona hanno portato all'evoluzione di numerose specie di animali e vegetali, dalla cui osservazione Charles Darwin ha tratto ispirazione per la formulazione della teoria dell'evoluzione della specie che contiene numerosissimi riferimenti agli studi sulle specie endemiche delle Galápagos.
Le isole dei Galapagos, infatti, sono molto conosciute come laboratorio vivente dell'evoluzione in quanto ospitano numerose specie endemiche tra cui l'iguana terrestre; l'iguana marina, l'unica iguana al mondo a cibarsi in mare; la tartaruga gigante, dal cui nome spagnolo, galapago, prende il nome l'arcipelago; la tartaruga verde, che si pensa essere una sottospecie della tartaruga verde oceanica, la sula dai piedi azzurri, 13 specie di fringuelli, detti colloquialmente fringuelli di Darwin, fra cui il fringuello picchio, il cormorano, l'unico cormorano incapace di volare, il falco e diverse specie di otaria, che giungono alle Galápagos da mari più freddi seguendo la corrente di Humboldt.
Sebbene il tema della protezione dell'ambiente delle Galápagos fosse già oggetto di indicazioni legislative nel 1934 e nel 1936, soltanto dalla fine degli anni '50 furono intraprese le prime azioni significative in questo senso. Nel 1955, l'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura organizzò una missione di osservazione alla Galápagos, per rilevare la presenza di eventuali attività dannose o pericolose per l'ecosistema dell'arcipelago.
Nel 1959 (in occasione tra l'altro del centenario della pubblicazione de L'origine delle specie di Charles Darwin), il governo ecuadoregno dichiarò parco nazionale il 97.5% dell'area emersa delle Galápagos, escludendo solo le zone colonizzate. Nello stesso anno venne creata a Bruxelles la Charles Darwin Foundation, il cui obiettivo primario era proprio la conservazione delle Galápagos. Fino agli anni '80, la zona protetta della Galápagos includeva solo la terra emersa. Nel 1986 anche le acque circostanti furono dichiarate riserva marina. L'intero arcipelago fu dichiarato Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO nel 1978.
Quando venne creato il parco, sull'isola abitavano fra le 1.000 e le 2.000 persone. Negli anni 1980 questo numero era cresciuto fino a superare 15.000; le stime per il 2006 sono nell'ordine di 30.000 abitanti. L'esistenza di una popolazione locale in crescita, evidentemente, pone problemi significativi, almeno a lungo termine, circa le politiche da adottare per la conservazione del parco.
Le attività turistiche sulle isole Galapagos nacquero negli anni 60, ma all’epoca era ancora molto marginale. A partire dagli anni ’70 il numero di visitatori nel parco nazionale non ha cessato di aumentare, arrivando a circa 70000 per anno alla fine del 1990. L'arcipelago è diventato, a partire da questa data, una destinazione turistica di prestigio. L'ecoturismo rappresenta la prima risorsa economica dell'arcipelago, ma questa condizione, che rende l’area particolarmente vulnerabile alle interazioni umane derivanti dallo sviluppo del turismo di massa, ha costretto le autorità del parco a riconsiderare la gestione degli spazi naturali collocati sotto la loro giurisdizione. Ne sono derivate diverse misure da protezione tra le più impegnative, almeno sulla carta, adottate nel Mondo nel campo della protezione degli spazi sensibili. Queste iniziative sono il risultato di concertazioni tra le autorità del parco, il governo ecuadoriano e degli organismi non governativi di protezione dell'ambiente naturale, come il Charles Darwin Foundation")
Il parco nazionale è stato diviso in cinque zone. I turisti non scientifici sono ammessi solamente in due di esse (Intensiv and estensive visitor zone). La prima designazione autorizza un massimo di 90 visitatori sulla riva ad un dato momento mentre il secondo abbassa la quota a 12 visitatori. L'accesso dei turisti è vietato sulle isole che non riparano nessuna specie esotica.
Dall'inizio degli anni 1970 gli spazi naturali delle Galapagos sono, inoltre , soggetti al rispetto di “quote”, ossia un tetto annuo di visitatori che nel 1973era stato stabilito pari a 12000, poi portato a 25000 nel 1981, successivamente, dagli anni 1990, è stata imposta una nuova quota di 50000 visitatori.
Nel 1975 è stato anche adottato un programma di formazione delle guide, che devono praticare correntemente l’inglese oltre ad aver svolto tre anni di studi universitari in Scienze naturali. Ne deriva che nessuno turista può entrare nel parco nazionale senza essere affiancato da una guida debitamente accreditata che ha il compito di assicurare che ogni turista aderisca ad un protocollo di comportamento appropriato ad un ambiente naturale sensibile (restrizione delle attività di gita ai campi tragitti su delle piste di 1m50 di larghezza di cui è vietato uscire, limitazione del tempo passato su ogni punto di visita, restrizione portata al rumore, eccetera…)
2.5 La sostenibilità del turismo nelle dichiarazioni ufficiali
Gli anni ’80 segnano l’inizio della denuncia dei danni provocati dal turismo all’ambiente. Istituzioni intergovernative e singoli Stati, per contrastare le tendenze negative del turismo di massa, iniziano ad elaborare documenti, sottoscrivere Carte e ad adottare iniziative volte a dare attuazione ai principi di sviluppo sostenibile.
La Prima definizione si sostenibilità associata alle attività turistiche è stata quella enunciata dalla WCED nel rapporto Our Common Future del 1987, conosciuto anche come "relazione Brundtland" . Il documento afferma che le attività turistiche sono sostenibili quando si sviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un’area turistica per un tempo illimitato, non alterano l’ambiente (naturale, sociale ed artistico) e non ostacolano o inibiscono lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche.
Nel 1992, a Rio de Janeiro , nell'ambito della UNECED il concetto di sostenibilità si traduce in un insieme organico di indicazioni di carattere applicativo diretto a guidare l’agire politico ai diversi livelli.
Si ribadisce che il concetto di "sviluppo sostenibile" si impernia sulle idee di tutela e di salvaguardia, adottando il punto di vista delle generazioni future.
Vengono definiti su queste basi alcuni principi fondamentali del "turismo sostenibile" quali :
la preservazione delle risorse per le generazioni future
la creazione di possibilità di sviluppo per le generazioni future
la protezione da ogni tipo di sfruttamento turistico delle zone "vulnerabili"
la definizione dei limiti di carico: pianificazione di preventivi che necessitano di un lavoro preliminare di inventario delle risorse naturali e culturali della regione presa in esame, volti a determinarne i limiti biofisici, economici e ambientali e che stabiliscono le priorità di uso del territorio, identificando le aree di sviluppo e quelle da salvaguardare.
Il documento Agenda 21, approvato tra gli altri in occasione della Conferenza, rappresenta un ampio ed articolato “Programma di Azione” per l’ONU , i Governi , le ONG ed i settori privati, che tratta gli aspetti economici e sociali dello sviluppo, i problemi della conservazione e gestione delle risorse, il ruolo delle principali categorie sociali e i metodi da utilizzare per lo Sviluppo Sostenibile, ma, nell’indicare le “cose da fare” nel 21° secolo, include, più specificatamente, anche il ruolo del turismo nella salvaguardia delle risorse naturali e ambientali.
Gli strumenti inerenti Agenda 21 vengono utilizzati per guidare e applicare lo sviluppo sostenibile a tutti i gradi di responsabilità, sino a comprendere le imprese e le realtà locali. Questo processo coinvolge i diversi soggetti che operano sul territorio: le autorità pubbliche, gli imprenditori, i turisti e le altre componenti della società civile. Il documento propone alcune “azioni per i Governi” quali strategie nazionali, proibizione in aree ecologicamente o culturalmente sensibili, gestione integrata delle aree costiere, applicazione del principio “chi inquina paga”, considerazione di opzioni di finanziamento, energia, acqua, il trasferimento dei benefici alle comunità locali, monitoraggio della performance di settore, attenzione al lavoro minorile e al turismo sessuale. Propone altresì come “azioni per il privato” i codici di condotta, gli accordi volontari, gli audit ambientali e sociali.
La problematicità del rapporto tra attività turistica e contesto locale è presente anche nelle “Linee guida per lo sviluppo sostenibile e la gestione del turismo nei parchi nazionali e nelle aree protette", elaborate dall’UNEP nel 1992.
Uno dei documenti fondamentali rimane, comunque, la Carta del Turismo Sostenibile redatta, congiuntamente da UNEP, UNESCO , e UE nel 1995, in occasione prima Conferenza Mondiale sul Turismo Sostenibile di Lanzarote .
L’intenzione sottesa all’iniziativa era quella di promuovere ai diversi livelli di governo e in tutti i soggetti coinvolti nella filiera turistica, l’adozione di un modello di sviluppo “ecologicamente sopportabile a lungo termine. La Carta raccoglie 18 principi che delineano in maniera abbastanza generale il modo in cui il turismo possa essere pianificato e implementato in modo tale da salvaguardare il patrimonio ambientale e culturale a favore delle generazioni future; vi si afferma che “lo sviluppo del turismo deve essere basato sul criterio della sostenibilità, ciò significa che deve essere ecologicamente sostenibile nel lungo periodo, economicamente conveniente, eticamente e socialmente equo nei riguardi delle comunità locali.
La caratteristica di una corretta gestione del turismo prevede che sia garantita la sostenibilità delle risorse dalle quali esso dipende”. In questo senso, la Carta suggerisce di valutare il contributo del turismo alla sostenibilità globale, pianificare il turismo, avendo come parametro la sostenibilità, rafforzare il ruolo dei principali protagonisti del turismo, promuovere il turismo a livello locale, sviluppare misure di sostegno quali programmi di sensibilizzazione e di educazione al turismo sostenibile reti per lo scambio di informazioni,la creazione di database sul turismo sostenibile che comprendano gli aspetti ambientali e culturali o la promozione di marchi distintivi per progetti turistici rispettosi dell'ambiente e delle culture e di premi annuali per i progetti migliori.
Nel 1996 il WTTC , la WTO e l'Earth Council hanno redatto insieme un documento denominato "Agenda 21 per l'industria dei viaggi e del turismo” all’interno del quale è presente il documento dal titolo "Turismo: Principi base per uno sviluppo sostenibile ”.
Nel marzo del 1997 si tiene a Berlino la Conferenza internazionale dal titolo "Diversità biologica e turismo" nel corso della quale si firma la “Carta sullo sviluppo turistico durevole” altrimenti conosciuta con il nome di “Dichiarazione di Berlino” . Il documento, che evidenzia la responsabilità a livello locale dello sviluppo durevole del turismo e la necessità di un controllo e di una gestione accorta dello stesso, enuncia alcuni principi fondamentali per la gestione del territorio:
il turismo durevole è accompagnato da uno sfruttamento ragionevole della diversità biologica e può contribuire alla sua preservazione;
lo sviluppo turistico deve essere controllato e gestito in modo accorto, per rispondere in permanenza alle esigenze dello sviluppo sostenibile e durevole;
è necessario essere particolarmente prudenti nelle regioni sensibili dal punto di vista ecologico e culturale dove il turismo di massa deve essere evitato;
del turismo durevole è responsabile l’insieme degli operatori turistici, in particolare del settore privato; le iniziative spontanee (codici di condotta, marchi ecologici, ecc. ) vanno incoraggiate;
una grande importanza sarà conferita al livello locale, che assume la responsabilità di un sviluppo durevole del turismo e deve essere il primo a trarre vantaggio da questa attività.
In occasione della Conferenza internazionale “turismo e sviluppo sostenibile nel Bacino del Mediterraneo”, nel 1997, si approva anche la Carta di Calvià in cui si suggeriscono alcune misure per la riduzione del consumo delle risorse idriche ed energetiche, per la produzione, la gestione dei rifiuti e per il rispetto delle tradizioni culturali e artistiche delle comunità che ospitano le attività turistiche.
Nel 1997 i rappresentanti europei delle aree protette avevano già elaborato una Carta europea del turismo sostenibile nelle aree protette, che manifesta la volontà delle istituzioni che gestiscono le aree protette e dei professionisti del turismo di favorire un turismo conforme ai principi dello sviluppo sostenibile. La Carta rientra nelle priorità mondiali ed europee espresse dalle raccomandazioni dell’Agenda 21, adottate durante il Summit della Terra a Rio nel 1992 e dal 5° Programma comunitario di azioni per lo sviluppo durevole. Questa Carta è stata elaborata da un gruppo formato da rappresentanti europei delle aree protette, del settore turistico e dei loro partner. È il risultato di una prima riflessione, avviata nel 1991 dalla Federazione Europarc, che ha portato alla pubblicazione del rapporto “Loving them to death?”. Fa parte delle priorità del programma di azioni “Parks for life” dell’Unione Mondiale per la Natura (UICN). Si conforma ai principi enunciati dalla Carta mondiale del turismo durevole, elaborata a Lanzarote nel 1995.
Nel 1999, la Commissione Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite sottolinea l'urgente definizione di strategie nazionali riguardanti il turismo sostenibile, coerenti con gli obiettivi di Agenda 21; il WTO esprime la volontà di promuovere un sistema turistico globale che sia equo, responsabile e sostenibile, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti in sede internazionale. L’atto istituzionale in cui tale volontà risulta manifesta è rappresentato dal Codice Etico Mondiale per il Turismo .
Nello stesso anno, particolarmente interessante per il taglio innovativo che la ispira è la pubblicazione curata dalla DGXI della Commissione "Linee guida e manuale per l'adozione dell'A21L e la certificazione della qualità ambientale (ISO14000-EMAS) delle imprese e dei comuni nelle località turistiche" cui hanno fatto riferimento molte delle iniziative pubbliche e private sviluppatesi in questi ultimi anni sul tema della qualificazione delle destinazioni. Uno dei possibili percorsi verso il turismo sostenibile passa, quindi, attraverso la diffusione delle certificazioni ambientali, di processo (EMAS/ISO14001) e di prodotto (ECOLABEL).
Nel 2001, è proposta della Commissione Europea un’Agenda 21 per il turismo" poi presentata ed approvata in occasione della Conferenza internazionale sul turismo sostenibile di Rimini . La Carta di Rimini è il documento che racchiude i principi e le strategie su cui deve fondarsi il turismo sostenibile, con un particolare riferimento alla relazione tra industria turistica e sviluppo sostenibile, in cui si considerano le destinazioni del turismo di massa e le priorità su cui indirizzare e promuovere gli sforzi e gli impegni nei prossimi anni. Si sottolinea, inoltre, l’urgenza di un’azione concertata, in grado di agire efficacemente sulla crescente domanda e offerta turistica. Essa riconosce la necessità urgente da parte delle istituzioni di dover "assumere la responsabilità di ripensare i propri modelli e strategie di sviluppo territoriale e turistico, rinnovare il proprio prodotto turistico, affermando la propria identità e diversità culturale e valorizzando i prodotti e le risorse umane ed economiche locali, nella direzione chiara della sostenibilità sociale, economica ed ambientale del turismo e di una riqualificazione ambientale del territorio capace di considerare anche la dimensione globale dei problemi."
Nel 2002, il Vertice sull'Ambiente di Johannesburg del 2002 ha avuto il compito di sollecitare un maggiore impegno da parte di tutti i membri della comunità internazionale per mettere in atto i principi di risanamento ambientale dell'Agenda 21, adottata nel 1992 al summit di Rio de Janeiro; mentre la Commissione Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, nel Quebec in Canada, ha proposto l’indicazione del 2002 come Anno Mondiale dell’Ecoturismo .
In ambito comunitario, l’estensione dell’intervento dell’UE in materia di turismo è un fenomeno che, seppur relativamente recente, ha decretato di fatto la consapevolezza della necessità di una politica turistica comunitaria. La Comunità Europea, nel quadro globale della strategia per uno sviluppo sostenibile, ha approvato numerosi documenti per la “promozione di uno sviluppo sostenibile delle attività turistiche in Europa”.
Ma, a seguito alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo di Rio de Janeiro tenutasi nel 1992 e sulla base della risposta data dall’Unione Europea all’Agenda 21 globale adottata in quella occasione, le attenzioni di natura politica da parte delle istituzioni comunitarie sul comparto turistico si sono maggiormente ispirate ad una filosofia di azione omnicomprensiva finalizzata alla sostenibilità dei processi di sviluppo del settore.
Nel novembre 2001, a seguito del rapporto finale del Gruppo D “Promuovere la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile in materia di turismo”, la Commissione pubblica la Comunicazione “Un approccio di cooperazione per il futuro del turismo europeo”, con cui si promuove lo sviluppo e l’attuazione di un’Agenda 21 per il settore del turismo europeo. Ci si riferisce in particolare alle raccomandazioni in merito alla necessità di:
prevenire e minimizzare l’impatto del turismo sull’ambiente e il territorio delle destinazioni;
gestire la crescita dei trasporti;
promuovere una industria sensibile a livello locale e un turismo responsabile quale fattore di sviluppo socioculturale;
considerare le azioni di coordinamento ed il partenariato a tutti i livelli, la condivisione delle informazioni ed un approccio volontario nonché l’adozione di misure volte ad aumentare la competitività delle imprese europee come preliminari essenziali.
Nel 2001, la Commissione, inoltre, ha adottato il pacchetto “Legiferare meglio”, il “Libro bianco sui trasporti”, “e-Europe 2005”, la “Comunicazione sulla responsabilità sociale delle imprese” e la “Comunicazione sulla politica integrata dei prodotti”, che, seppur non specifiche, hanno ricadute sul settore del turismo.
Sempre nel 2001, il VI Programma Comunitario di Azione in materia di Ambiente (sottotitolato "Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta) promuove l’integrazione delle tematiche ambientali in tutte le politiche comunitarie contribuendo in maniera decisiva alla realizzazione di un comune percorso di sviluppo sostenibile. Il programma prevede una serie di obiettivi tra cui:
contribuire a migliorare la qualità della vita e di benessere sociale per i cittadini anche attraverso uno sviluppo urbano sostenibile;
garantire una migliore efficienza e gestione delle risorse, anche rinnovabili;
promuovere l’Agenda 21 a livello locale.
La Comunicazione segna in questo senso il primo passo verso la definizione coerente delle politiche e delle azioni possibili in campo turistico a livello comunitario.
A ciò fa seguito la presentazione di un Documento di consultazione in occasione del Forum Europeo del Turismo del 2002, rivolto ai principali stakeholders europei. Oltre a registrare la carenza di strategie di natura politica su questioni che restano basilari, il documento evidenzia le misure e le iniziative adottate in sede comunitaria per contribuire ad indirizzare il turismo europeo verso modelli sostenibili per la catena dell’offerta ed i suoi attori, le destinazioni turistiche ed il miglioramento del quadro istituzionale.
Tra i temi chiave affrontati si sottolineano gli aspetti di governance, le prospettive circa lo sviluppo del territorio europeo, modelli di consumo e produzioni eco-compatibili, trasporti ed energia sostenibili, zone protette e patrimonio naturale e culturale.
Il documento ha rappresentato la base concettuale per la realizzazione della successiva Comunicazione dal titolo “Orientamenti di base per un turismo sostenibile europeo” del novembre 2003, in cui vengono esplicitate alcune linee di azione a carattere generale a cui ispirare le future e specifiche iniziative intraprese dalla Commissione: “…la Commissione favorisce in modo particolare la promozione dei principi della governance e delle prassi riferiti alla responsabilità sociale delle imprese (RSI) come iniziativa specifica nel quadro del forum multilaterale europeo sulla RSI. Allo stesso modo, le iniziative devono specificatamente rivolgersi alle destinazioni turistiche, promuovendo lo sviluppo e gestione sostenibili e una migliore capacità dei soggetti locali di considerare in maniera più approfondita la dimensione dello sfruttamento spaziale e del territorio da parte del turismo”.
Del 2003, è anche la Dichiarazione sul ruolo del turismo nei cambiamenti climatici, svoltasi a Djerba.
A livello nazionale, attualmente, i riferimenti normativi nazionali attualmente vigenti sono la Legge n. 135 del 29 marzo 2001 in merito alla “riforma sulla legislazione nazionale del turismo” e il DPCM del 13 settembre 2002 sul “recepimento dell’accordo tra Stato, Regioni e Province Autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico” che hanno ridefinito i contenuti della legge quadro preesistente (n. 217/83).
In particolare, la legge quadro definisce i principi fondamentali e gli strumenti della politica del turismo. L’art. 1 della legge richiama, tra i principi, la “tutela e la valorizzazione delle risorse ambientali, dei beni culturali e delle tradizioni locali anche ai fini di uno sviluppo turistico sostenibile”. L’art. 5 ne promuove i principi di fondo attraverso la previsione di misure di sostegno per la riqualificazione delle imprese turistiche, con priorità per gli adeguamenti dovuti alla normativa di sicurezza; alla classificazione e standardizzazione dei servizi turistici; allo sviluppo di marchi di qualità; alla certificazione ecologica; alla certificazione di sistemi di qualità; e, infine, alla tutela dell'immagine del prodotto turistico locale.
La legge, inoltre, istituisce la Conferenza Nazionale del Turismo allo scopo di “esprimere gli orientamenti per la definizione e gli aggiornamenti del documento contenente le linee guida; di verificare l’attuazione delle linee guida, con particolare riferimento alle politiche turistiche e a quelle intersettoriali riferite al turismo; di favorire il confronto tra le istituzioni e le rappresentanze del settore”.
Scopo della normativa è quello di sottolineare che il turismo è un fenomeno che può e deve essere gestito e controllato al fine di massimizzare i suoi possibili benefici economici ed occupazionali, evitando negative ricadute ambientali o sociali e garantendo allo stesso tempo la conservazione delle risorse turistiche per una continua fruizione nel tempo.
Viene auspicato, in tal senso, che le attività di pianificazione, programmazione e regolazione, rappresentano il più valido strumento per ampliare i benefici connessi e minimizzare gli impatti negativi. Attraverso la programmazione è possibile infatti prevedere, misurare l'impatto ambientale sulle risorse territoriali, sul sistema delle infrastrutture e dei servizi, verificare le capacità di carico e attivare azioni di delocalizzazione dei flussi verso aree sotto minor pressione, contribuendo allo sviluppo di zone arretrate economicamente.
E’ evidente che nelle Carte e nei Documenti internazionali sono individuati esclusivamente i criteri e le strategie di sostenibilità "forte" che preservino il capitale naturale con attività strettamente compatibili con l'ecoturismo per le aree pregiate e criteri di sostenibilità "debole" in grado di tenere conto di equilibri da ridefinire sul medio e lungo periodo per le aree a cosiddetto turismo maturo. E' chiaro, tuttavia, che per queste ultime ciò dovrà tradursi in un impegno maggiore per gli Amministratori Locali, i quali dovranno adottare politiche di governo e strategie che vadano ad integrare l'organizzazione urbana, dei servizi territoriali, dei trasporti, delle modalità di uso e di rapporto con le risorse naturali. Tra le possibili opzioni si può ipotizzare , ad esempio, di:
destagionalizzare l'offerta distribuendo le presenze turistiche nell'arco dei 12 mesi, smussando i picchi stagionali: questo sarà possibile incentivando il mercato degli alberghi che offrono il servizio su un più ampio periodo, puntando sul turismo sociale, sui parchi tematici, sulla ricchezza di zone non valorizzate.
sostenere le azioni volontarie dei produttori e fornitori di servizi nell'ambito dei marchi di qualità ambientale. L'Ecolabel europeo, ad esempio, rappresenta uno strumento di controllo dei propri impatti ambientali e fornisce un incremento della competività sul mercato. Ma anche le Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (EPD) che, ad oggi, rappresentano strumento di diffusione di informazioni oggettive, confrontabili e credibili sui prodotti e, in futuro, potrebbero essere applicabili anche al contesto dei servizi.
sostenere ed incentivare i Sistemi di Gestione Ambientale e gli strumenti di certificazione ambientale nel settore della ricettività turistica (il nuovo regolamento EMAS può essere applicato anche al settore alberghiero ed in generale a tutte le organizzazioni produttrici di beni o servizi)
esaltare l'identità di un territorio, le tipicità che ad esso appartengono, le radici culturali delle comunità che vi risiedono: gastronomia, prodotti agricoli DOP, prodotti tipici di qualità, risorse storiche e paesaggistiche ecc.
avviare e coordinare azioni locali di sostenibilità turistica, all'interno dei Piani di Azione di Agenda21 locale, nelle realtà comunali da valorizzare.
BOX - Appennino Parco d’Europa (A.P.E.)
è un Progetto di "sviluppo sostenibile" che coinvolge le regioni dell'arco appenninico suddivise per aree geografiche: nord, centro sud. Il Progetto nasce come idea promossa dalla regione Abruzzo e da Legambiente, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, anche considerando le numerose aree protette istituite sulla catena appenninica dalla L.Q. n.394/91. E' uno strumento di aggregazione territoriale che interviene nelle 14 Regioni dell'arco appenninico promosso per il quale, per funzionalità ed operatività, sono state individuate tre aree dell’Appennino interessate dal progetto APE: - area settentrionale, ente capofila Regione Toscana, - area centrale, ente capofila Regione Abruzzo, - area meridionale, ente capofila Regione Calabria.
L'ambito territoriale di riferimento è costituito da 9 parchi nazionali, 65 riserve naturali statali (di cui 23 ricomprese nei parchi nazionali), 28 parchi regionali, 32 riserve regionali e altre 12 aree protette, per un totale di 1.193.423 ettari, pari 56,60% delle aree protette inserite nell'elenco ufficiale.
Il Progetto legge ed interpreta il sistema appenninico come un vero e proprio "sistema infrastrutturale ambientale" ad altissima densità di diversità naturale e culturale, di tipicità manifatturiera e agroalimentare, di identità locali, di presidi territoriali e di specifiche modalità insediative in grado di competere, condizionare, integrare i sistemi infrastrutturali tradizionali. Esso mira a raccordare le politiche ambientali con le altre politiche di sviluppo mettendo in rete i parchi e le aree protette dell’arco appenninico e promuovendo azioni coordinate tra il sistema dei parchi che si viene a creare, gli Enti Locali, le Regioni e le Amministrazioni centrali dello Stato che orientino l’intero complesso appenninico, e non solo le aree protette, all'uso sostenibile delle risorse naturali.
L’intento è dunque quello di costituire un tavolo di concertazione che ponga in relazione le aree protette con il resto del territorio appenninico, di disegnare un itinerario di pianificazione territoriale che non punti alla musealizzazione della montagna e di individuare le potenzialità di sviluppo espresse (o inespresse) da questa area complessa per avviare un vero e proprio processo di marketing territoriale. Gli obiettive perseguiti sono: la conservazione della natura come metodo in grado di coniugare le esigenze della tutela con quelle dello sviluppo e della crescita occupazionale; · la conservazione delle specificità del sistema insediativo, mediante la tutela, il recupero e la valorizzazione del patrimonio edilizio, culturale e religioso diffuso sul territorio; · il turismo sostenibile; · la conservazione e allo sviluppo della ruralità; · la promozione delle produzioni di qualità nel settore agroalimentare; · la conservazione e lo sviluppo della PMI artigianale e agroalimentare;· l’adeguamento della rete dei servizi.
Il Programma di azione del Progetto prevede due fasi: 1) la prima fase è incentrata sulla realizzazione di progetti pilota di grande rappresentatività ed attuabili in tempi contenuti, in grado di affrontare alcuni temi quali “Servizi territoriali”, “Agricoltura e Biodiversità”, “Corridoi ecologici”, “La rete dei sentieri naturalistici ed escursionistici”, “I grandi itinerari storico-culturali”; 2) nella seconda fase, si passa invece alla redazione di Progetti Integrati d'Area, progetti che interessano più ambiti territoriali o che, comunque, prevedono azioni in grado di avviare una serie di attività articolate secondo vari settori di interesse.
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Fonte: http://www.didatticademm.it/old2/didattica/appunti_dispense/A_A_06_07/cresta/cap_2_rev02.doc
Sito web da visitare: http://www.didatticademm.it/
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