Latte

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Latte

Il latte

 

Il latte è il prodotto della ghiandola mammaria di femmine di mammiferi. Esso deriva dalla mungitura regolare ed ininterrotta di animali in buono stato di salute, di alimentazione e in corretta lattazione. La produzione di latte comincia dopo il parto e, nella bovina, si protrae per un periodo di circa dieci mesi.

Composizione chimica del latte
Acqua 87%
glucidi, principalmente lattosio (ca. 5%)
lipidi (ca. 3,6%), princialmente trigliceridi
proteine (ca. 3,2%): 75% caseine, 25% lattoalbumine e lattoglobuline
sali minerali
vitamine, enzimi e oligoelementi

Il latte è un liquido eterogeneo nel quale coesistono tre fasi distinte: la fase di soluzione, costituita dalle sostanze solubili in soluzione acquosa (lattosio, sali minerali, proteine solubili, sostanze azotate non proteiche, enzimi); la fase di sospensione colloidale, costituita dalle micelle caseiniche disperse nella soluzione acquosa; la fase di emulsione, costituita dai globuli di grasso in fase acquosa. Queste diverse fasi sono in equilibrio instabile. Infatti la conservazione del latte a temperatura ambiente comporta, entro le prime 12-24 ore, la separazione e la risalita in superficie della fase grassa in emulsione (affioramento) e, successivamente, in seguito all’azione biologica dei microrganismi, la separazione della sospensione caseinica con formazione del coagulo.

1. I glucidi
I glucidi del latte sono rappresentati in massima parte da lattosio che è lo zucchero specifico del latte: il latte rappresenta quasi l’unica fonte naturale di lattosio. Gli altri glucidi che si ritrovano nel latte sono principalmente glucosio, galattosio e alcuni oligosaccaridi che, nel latte bovino, sono presenti in piccolissime quantità (0,1% sul tal quale). Il tenore di glucidi del latte è piuttosto costante nell’ambito di ogni specie; tra specie diverse invece si riconoscono importanti differenze. In generale sembra esserci una relazione inversa tra tenore proteico del latte e tenore in glucidi. Poiché, come si vedrà, il tenore proteico del latte tende ad essere più elevato in quelle specie che sono caratterizzate da rapida crescita dei giovani soggetti dopo la nascita, il tenore glucidico, al contrario, è più alto nel latte di specie a crescita lenta (come l’uomo, ad esempio)

Inoltre le specie che hanno un elevato tenore in lattosio nel latte tendono a produrre un latte povero di altri glucidi (in particolare oligosaccaridi) mentre le specie che hanno basso tenore in lattosio sintetizzano molti oligosaccaridi; fa eccezione la donna il cui latte è ricco sia di lattosio che di oligosaccaridi.

Il lattosio
Il lattosio è un disaccaride formato da una molecola di glucosio e una di galattosio legate tramite un legame beta1-4; esso viene sintetizzato nelle cellule secernenti a partire da glucosio ematico. Nei ruminanti il principale precursore del glucosio ematico è l’acido propionico, uno degli acidi grassi volatili che si formano in sede ruminale. Il lattosio viene sintetizzato grazie a due proteine, la galattosiltransferasi e l’alfalattoalbumina. Il tenore in lattosio del latte di ciascuna specie è un dato piuttosto costante; nel latte di vacca la percentuale di lattosio è del 5% circa. Solo la fase colostrale si distingue per un basso tenore in lattosio del secreto.
La costanza del tenore in lattosio dipende dal fatto che esso è il più importante componente osmoticamente attivo presente nel latte. Poiché la secrezione di latte è isotonica rispetto al sangue, in caso di variazione della quantità di lattosio sintetizzata nella mammella, si ha una variazione della capacità di richiamo di acqua dal sangue alla mammella ma la percentuale di lattosio sul totale dell’acqua richiamata (e quindi del latte prodotto) non cambia. La quantità di lattosio sintetizzata è quindi direttamente proporzionale alla quantità di latte prodotta.
A parte il periodo colostrale, l’unico caso in cui si possono verificare sensibili variazioni della percentuale di lattosio del latte è quello della presenza di una mastite, ossia di una infiammazione del tessuto mammario. In questo caso infatti cala vistosamente la presenza nel latte di tutti i componenti che vengono sintetizzati nella mammella (lattosio compreso) in conseguenza dell’alterata funzionalità delle cellule secernenti e, contemporaneamente, aumenta la presenza nel latte dei componenti di origine ematica (acqua compresa) in conseguenza dell’alterata permeabilità delle membrane.
Diverse ipotesi sono state avanzate per spiegare la presenza nel latte di lattosio al posto di altri zuccheri. Secondo una di queste ipotesi il lattosio sarebbe utile in quanto fonte di galattosio per il neonato: il galattosio infatti è impiegato nella sintesi dei galattolipidi e in particolare dei galattocerebrosidi del sistema nervoso. Nei casi di esclusione totale del lattosio dalla dieta, per intolleranza congenita, si sono infatti riscontrate anomalie della sintesi dei galattocerebrosidi. Il lattosio, possedendo una funzione aldeidica, tende a reagire con le sostanze azotate (ammine e aminoacidi) per formare dei composti secondo una reazione irreversibile chiamata reazione di Maillard. Tale reazione rende indisponibili le sostanze azotate, riducendo fortemente il valore biologico del latte, e conferisce al prodotto un colore tipicamente brunito e un gusto di caramello. La reazione di Maillard è favorita dai trattamenti termici ad alte temperature e dal contatto con metalli; avviene sempre nel caso di sterilizzazione e di trattamenti tipo U.H.T. del latte ma può avvenire, anche se meno intensamente, durante la pastorizzazione e l’essiccazione. Il lattosio ingerito con il latte viene digerito nel digiuno ad opera della betagalattosidasi, un enzima secreto dall’intestino, che libera glucosio e galattosio. Il momento di massima attività della beta-galattosidasi nei mammiferi coincide con la nascita; successivamente si assiste ad un declino della sua attività che si assesta, dopo lo svezzamento, intorno al 10% dell’attività iniziale. Questa diminuzione si verifica in tutte le specie di mammiferi anche se con modalità e secondo meccanismi differenti. Le popolazioni umane di ceppo europeo rappresentano un’eccezione in quanto gran parte degli individui sono in grado di mantenere anche da adulti un’attività lattasica intestinale elevata.
Tuttavia alcuni soggetti presentano una produzione di beta-galattosidasi insufficiente e questa carenza può determinare un quadro sintomatico che prende il nome di intolleranza al lattosio. A causa della carenza di lattasi una parte di lattosio passa indigerita nell’intestino crasso dove determina il richiamo di acqua nel lume intestinale, a causa del suo potere osmotico, e la formazione di gas, in seguito all’instaurarsi di fermentazioni batteriche. I sintomi sono rappresentati da coliche addominali, diarrea, meteorismo intestinale. L’intolleranza al lattosio è di natura ereditaria e questo spiega come mai vi siano differenze sensibili nella sua frequenza tra popolazioni diverse.
Da alcuni anni sono stati posti in commercio tipi di latte ad alta digeribilità nei quali le molecole di lattosio sono già scomposte in glucosio e galattosio, immediatamente assimilabili.
L’intolleranza al lattosio è dovuta ad una carenza enzimatica e non va confusa con l’allergia al latte bovino che è invece una vera e propria reazione del sistema immunitario nei confronti di alcune frazioni della componente proteica del latte (soprattutto caseine, beta-lattoglobulina e sieroalbumina). L’allergia al latte si distingue dall’intolleranza al lattosio perché tende a dare sintomi clinici di tipo sistemico e non limitati al solo tratto intestinale (vomito, orticaria, asma, shock anafilattico).
Il lattosio svolge un ruolo importante ai fini della trasformazione del latte in quanto è il substrato su cui crescono i batteri lattici (lattobacilli e lattococchi). A partire dal lattosio essi producono acido lattico che conduce al progressivo abbassamento del pH (acidificazione lattica) necessario per la produzione di yogurt, di latti fermentati e di molti formaggi.

Gli oligosaccaridi
Gli oligosaccaridi sono glucidi di dimensione superiore a quella del lattosio. Essi sono formati da cinque molecole di base (glucosio, galattosio, N-acetilglucosamina, fucosio, acido sialico) in varia combinazione. Nel latte della maggior parte dei mammiferi domestici gli oligosaccaridi sono presenti in piccolissime quantità mentre, in altre specie, la loro concentrazione è addirittura superiore a quella del lattosio (come avviene nel caso degli orsi, dei marsupiali e nei pinnipedi). Nel latte umano sono ben rappresentati raggiungendo i 12 g/l.
Il significato funzionale degli oligosaccaridi non è ancora ben chiarito. Gran parte degli oligosaccaridi sfugge alla digestione e si ritrova nell’intestino crasso dove sembra avere un ruolo di modulazione dell’ecosistema batterico, favorendo lo sviluppo di flora bifida (Bifidobacterium bifidum) che, a sua volta, contribuisce ad acidificare il contenuto intestinale e ad ostacolare la proliferazione di eventuali patogeni. La ricchezza degli oligosaccaridi in acido sialico suggerisce poi un loro possibile ruolo nello sviluppo cerebrale del neonato come precursori dei gangliosidi e delle glicoproteine sialiche.

Lipidi
Le sostanze lipidiche del latte sono costituite principalmente da trigliceridi (96%) e secondariamente da digliceridi, fosfolipidi, glicosfingolipidi e steroli, rappresentati in quasi solo da colesterolo. Nel latte di bovina la percentuale di grasso si aggira mediamente intorno al 3,5% con un ampio intervallo di variazione (2-5%)

I trigliceridi
La composizione in acidi grassi dei trigliceridi del latte vede una prevalenza di acidi grassi saturi (circa il 70%), a numero pari di atomi di carbonio (figura 8). Da segnalare la proporzione elevata di acidi grassi a corta catena che sono da considerarsi tipici del grasso del latte in quanto non presenti in altri grassi animali e vegetali. Inoltre il grasso del latte contiene naturalmente piccole quantità di acidi grassi ramificati, di acidi grassi trans e di acidi grassi coniugati che derivano dall’attività della microflora ruminale.
Gli acidi grassi più rappresentati sono l’acido palmitico (C 16, pari al 25-30% degli acidi grassi totali), l’acido oleico (C 18:1, 23%), l’acido stearico (C18, pari al 12%) e l’acido miristico (C14, pari all’11% circa).
La presenza di significative quantità di acidi grassi a corta e media catena spiega l’elevata digeribilità del grasso del latte.
Gli acidi grassi coniugati dell’acido linoleico (CLA) sono una miscela di isomeri geometrici e di posizione dell’acido linoleico che possiedono due doppi legami coniugati. I CLA possiedono una provata attività anticancerogena e antiaterogena. Inoltre sono dotati di proprietà immunostimolanti e sembrano svolgere attività anabolizzante. Nel latte il principale rappresentante del gruppo è l’acido rumenico (C18:2-9c, 11t). Esso deriva dalla bioidrogenazione dell’acido linoleico ad opera della microflora ruminale. Il tenore totale di CLA nel latte è mediamente compreso tra 2 e 30mg/g di lipidi e dipende da molti fattori tra cui principalmente la ricchezza della dieta dell’animale in acidi grassi polinsaturi.
Il punto di fusione del grasso del latte è compreso tra 30 e 34°C, quello di solidificazione tra 20 e 24°C. La variabilità dei punti di fusione e di solidificazione dipende dal fatto che il grasso del latte è una miscela di trigliceridi a diverso peso molecolare e a diverso grado di in saturazione, le cui proporzioni possono variare notevolmente in funzione di diversi fattori tra cui l’alimentazione delle vacche. Ad esempio la somministrazione alle bovine di alimenti ricchi di grassi insaturi determina un abbassamento del punto di fusione del burro.
Gli acidi grassi presenti nel grasso del latte hanno differente origine: · circa la metà degli acidi grassi (quelli con catena da C4 a C16 con numero pari di atomi di carbonio) è sintetizzata nel citoplasma delle cellule secernenti della mammella a partire dagli acidi grassi volatili (acido acetico e acido butirrico) prodotti dalla flora ruminale per fermentazione della cellulosa, delle emicellulose e degli zuccheri ingeriti con la razione. Gli acidi grassi volatili giungono alla mammella per via ematica dopo essere passati attraverso la parete ruminale; in questo passaggio l’acido butirrico viene convertito in b-idrossibutirrato; · la rimanente parte (acidi grassi saturi a lunga catena e acidi grassi insaturi) deriva direttamente dal circolo ematico dove giunge per assorbimento intestinale degli acidi grassi alimentari (40% circa) o in seguito alla lipolisi dei grassi corporei di riserva (10% circa variabile in funzione dello stadio fisiologico, dell’entità delle riserve adipose e del bilancio energetico dell’animale). I grassi presenti nelle razioni per ruminanti sono composti in gran parte da acidi grassi insaturi in considerazione della loro prevalente origine vegetale; tuttavia poiché in sede ruminale essi vengono sottoposti ad una parziale saturazione, gli acidi grassi assorbiti a livello intestinale sono rappresentati da una miscela di acidi grassi saturi e insaturi.

I globuli di grasso
Il grasso del latte si presenta sotto forma di globuli in emulsione nella fase acquosa del latte. Un’emulsione è una dispersione di piccole gocce di una sostanza liquida in un altro liquido: il latte è una dispersione di grasso in acqua mentre il burro è una dispersione di acqua di materia grassa. La stabilità dell’emulsione è consentita dalla presenza di una membrana lipoproteica che avvolge i globuli caricata negativamente. Il diametro dei globuli di grasso è variabile da 0,1 a 20 mm; nel latte di vacca il diametro medio dei globuli di grasso è compreso tra 2 e 6 mm. Tale diametro varia con lo stadio di lattazione (è maggiore a fine lattazione) e con la razza. Le due fasi, acquosa e grassa, tendono a separarsi a temperatura ambiente: il fenomeno prende il nome di affioramento e consiste nella risalita in superficie dei globuli di grasso. L’affioramento è accelerato dalla presenza sulla membrana dei globuli di particolari proteine (agglutinine, termolabili) che determinano l’agglutinamento tra i globuli di grasso e ne favoriscono la risalita.
L’omogeneizzazione del latte determina la formazione di globuli di grasso più piccoli favorendo la stabilità dell’emulsione nel tempo. Il trattamento di omogeneizzazione però modifica la membrana del globulo rendendo il globulo più facilmente attaccabile dagli enzimi contenuti nel latte. Il risultato è che il latte omogeneizzato è più stabile ma si conserva meno.
La struttura dei globuli di grasso non è omogenea ma lamellare concentrica. Procedendo dal centro alla periferia si incontrano una zona centrale caratterizzata da gliceridi a basso punto di fusione, liquidi a temperatura ambiente, una zona intermedia caratterizzata da gliceridi ad alto punto di fusione e una zona corticale che costituisce la membrana che avvolge il globulo di grasso. I gliceridi che costituiscono la parte interna del globulo sono rappresentati in massima parte da trigliceridi.
La membrana del globulo ha uno spessore di circa 10nm e rappresenta circa il 2% del globulo. Essa è costituita da fosfolipidi, trigliceridi e lipoproteine e deriva in parte dalla membrana che avvolge i vacuoli dentro le cellule secernenti della ghiandola mammaria. La membrana è idrofila e caricata negativamente e perciò dona stabilità all’emulsione. Inoltre la presenza della membrana protegge il globulo di grasso dall’attacco degli enzimi (lipasi) presenti nel latte crudo. Sulla membrana sono inoltre presenti colesterolo e vitamine liposolubili.
Il colesterolo rappresenta il più importante composto liposolubile insaponificabile. Il suo contenuto nel latte è piuttosto costante e pari a 300 mg/l. Esso si trova in massima parte a livello della membrana del globulo.
Le vitamine liposolubili presenti sono la vitamina E (3 mg/100 g SS), la vitamina A (1,6 mg/100 g SS), la vitamina D (0,06 mg/100 g SS) e la vitamina k (0,14 mg/100 g SS).
Il grasso del latte di capra si presenta più digeribile rispetto a quello bovino perchè i globuli di grasso sono più piccoli e vi è una significativa presenza di acidi grassi a corta e media catena, più facilmente aggredibili dagli enzimi lipolitici.

Sostanze azotate del latte
Le sostanze azotate del latte sono costituite in massima parte (circa il 95%) da proteine vere ad elevato peso molecolare (caseine e sieroproteine) e in piccola percentuale (circa il 5%) da sostanze azotate non proteiche (urea, nucleotidi, aminoacidi liberi, ecc.).
Se la determinazione del contenuto azotato del latte viene effettuata mediante il metodo Kjeldahl, il valore di azoto totale ottenuto per via analitica viene moltiplicato per il fattore 6,38, che si ottiene assumendo il tenore azotato medio delle proteine del latte pari al 15,67% (quindi 100:15,67=6,38). In questo modo si ottiene il contenuto in “proteine grezze” del latte che comprende sia l’azoto proteico che quello non proteico.

Sostanze azotate non proteiche
L’urea è il principale composto azotato non proteico presente nel latte: essa è in equilibrio con l’urea ematica e la sua concentrazione si aggira normalmente intorno ai 25-30 mg/dl di latte. Valori anomali di urea del latte sono generalmente conseguenza di errori di razionamento. In particolare un elevato contenuto di urea nel latte (superiore a 35 mg/dl) è indice di ridotta captazione dell’azoto ammoniacale da parte della microflora ruminale a causa di eccesso di proteine degradabili e/o carenza di energia fermentescibile nella razione. Concentrazioni elevate di urea nel latte hanno un effetto negativo sulle caratteristiche di caseificabilità del latte e si accompagnano generalmente a patologie tipiche dell’iperammoniemia (alcalosi metabolica, riduzione della fertilità, zoppie, etc.).
Per contro bassi livelli di urea nel latte (inferiori a 20 mg/dl) sono generalmente il risultato di insufficiente apporto proteico della dieta.

Sostanze proteiche
Le proteine del latte rappresentano una parte assai importante della dieta dell’uomo. E’ stato calcolato che nei paesi industrializzati il latte e i derivati coprono dal 20 al 30% dell’apporto proteico totale della dieta.
Le proteine del latte hanno un elevato valore nutritivo in ragione della loro elevata digeribilità e dell’ottima composizione in aminoacidi essenziali. Gli aminoacidi essenziali sono quelli che non possono essere sintetizzati dall’organismo e che quindi devono essere forniti con l’alimentazione. Per l’uomo essi sono: istidina, lisina, isoleucina, leucina, valina, treonina, gli aminoacidi solforati (metionina e cisteina) e gli aminoacidi aromatici (fenilalanina, tirosina e triptofano).
Le proteine del latte non hanno solo un significato nutrizionale ma hanno un ruolo importante di protezione dell’organismo contro le aggressioni grazie alla presenza delle immunoglobuline, della lattoferrina e di alcuni enzimi come il lisozima, la lattoperossidasi, etc. Le proteine del latte sono perciò da considerarsi alimenti funzionali nel senso che, oltre all’apporto nutritivo, forniscono un contributo positivo al miglioramento dello stato di salute.
Il tasso proteico del latte di vacca si aggira intorno al 3,2%; esso è variabile in funzione di molti fattori tra i quali la razza, il corredo genetico individuale, lo stadio di lattazione, il numero di lattazione, le caratteristiche della razione, lo stato sanitario della mammella, la stagione. Inoltre tra le diverse specie di mammiferi esistono importanti differenze per quanto attiene al tenore proteico del latte. Generalmente il tenore proteico del latte di una specie è in relazione con la velocità di crescita dei neonati: più la velocità di crescita è elevata più il tenore proteico del latte è alto. I valori più bassi si trovano nella specie umana (1% circa) mentre i valori più elevati si trovano nel latte dei mammiferi marini (11%) La figura 3 mostra la composizione media delle proteine del latte di vacca. Il latte bovino, così come quello degli altri ruminanti, presenta un’elevata proporzione di caseine rispetto alle sieroproteine, al contrario di quanto si riscontra nel latte di mammiferi monogastrici (uomo, maiale, cavallo).

Caseine
Le caseine sono le proteine specifiche del latte e sono sintetizzate nella ghiandola mammaria. Esse rappresentano il 78% circa delle sostanze azotate presenti nel latte di vacca. Si distinguono in diverse “frazioni” aventi peso molecolare differente e diversa affinità per l’acqua: alfas1, alfas2, beta, k e gamma.
Le caseine sono un complesso eteroproteico fosforato che precipita a pH 4,6. Esse si presentano nel latte sotto forma di un complesso organico e minerale, la micella, a sua volta costituito da particelle sferiche dette sottomicelle.
Le micelle hanno un diametro variabile tra 20 e 600 nm; quelle del latte bovino, in particolare hanno un diametro che si aggira intorno ai 200 nm. Nel latte umano le micelle hanno un diametro inferiore e questo rende la caseina umana più digeribile. All’interno della micella caseinica, le submicelle sono tenute insieme e stabilizzate da legami ionici con Ca e P. All’interno della submicella le diverse frazioni caseiniche sono legate con legami organici di varia natura.
Le submicelle contengono le diverse molecole di caseine in proporzioni variabili ma presentano sempre le molecole di caseina k (idrofila) rivolte verso l’esterno. A loro volta le submicelle più ricche di caseina k si dispongono sulla superficie della micella, stabilizzandola. Verso l’interno delle micelle si trovano invece le molecole di caseina alfa e beta che sono idrofobe.
Le caseine hanno la caratteristica di presentare, soprattutto nelle specie bovina e caprina, uno spiccato polimorfismo. Esistono cioè molte forme genetiche di una stessa proteina che si distinguono tra loro per la sostituzione o la delezione di alcuni aminoacidi all’interno della catena polipeptidica. Il fatto che esistano più varianti genetiche determina l’esistenza di individui omozigoti che producono la proteina in questione in una sola variante, e individui eterozigoti che invece producono una miscela delle due varianti della proteina. La frequenza delle varianti genetiche di ogni proteina varia con la specie e con la razza.
Il polimorfismo delle proteine del latte determina differenze della struttura molecolare delle proteine che a loro volta si traducono in differenze delle proprietà fisico-chimiche e biologiche delle proteine in questione e delle caratteristiche tecnologiche del latte.
Dal punto di vista della composizione aminoacidica le caseine si presentano ricche di prolina e di aminoacidi fosforilati mentre risultano relativamente povere di aminoacidi solforati (soprattutto cisteina). Tuttavia, considerando le proteine del latte nel loro complesso, questa carenza viene compensata dalla ricchezza in aminoacidi solforati delle sieroproteine.
Caseina alfa - La caseina alfas1 è la variante dell’alfa-caseina tipica del latte vaccino dove rappresenta circa il 35% della massa delle micelle caseiniche (figura 6). Si presenta in 5 varianti genetiche (A, B, C, D, E) tra le quali la variante B è la più frequente nella specie bovina. In presenza di calcio tende a flocculare. Nel latte di capra la frazione alfa s1 è spesso completamente assente.
La caseina alfas2 è presente nel latte vaccino in ragione del 10% circa delle caseine totali. Esiste in 4 varianti genetiche (A, B, C, D) di cui solo due (A e D) sono presenti nella specie bovina.
Caseina beta - Nel latte bovino rappresenta circa il 30-35% delle caseine totali. Esiste in 9 varianti genetiche (A1, A2, A3, B, C, D, E, F, G). Le più frequenti sono le varianti A1 e A2. E’ fortemente idrofoba. Nel latte di capra, in conseguenza dell’assenza della frazione alfa s1, la frazione beta è la più rappresentata.
Caseina gamma - Rappresenta solo il 2,5% delle caseine totali.
Caseina k - Nel latte bovino rappresenta il 12% circa delle caseine totali e si trova in cinque varianti genetiche (A, B, B2, C ed E) tra le quali le più diffuse sono la A e la B. La variante B è la più favorevole per il latte destinato alla trasformazione casearia in quanto determina la formazione di micelle caseiniche più piccole che coagulano più velocemente e formano un coagulo più consistente. Alcune razze (la Bruna ad esempio) hanno inserito la variante B della k caseina tra gli obiettivi di selezione.
Come si è detto la frazione k è idrofila in quanto contiene zuccheri; essa si trova sulla superficie della micella dove svolge un ruolo importante nella stabilità della struttura micellare.
Proprio per questo suo ruolo la k caseina è la frazione che entra in gioco nei processi di coagulazione delle micelle caseiniche. La coagulazione delle caseine si può avere per acidificazione o per via enzimatica ossia tramite l’aggiunta di caglio. Il caglio (o presame) è un estratto di stomaco di vitello contenete l’enzima chimosina, specifico per la caseina del latte.
La coagulazione enzimatica del latte consiste sostanzialmente in un’azione proteolitica sulla caseina k che viene scissa in paracaseina k, idrofoba a pH 7, e caseinoglicopeptide, contenente gli zuccheri, idrofilo. Le micelle caseiniche, private della parte zuccherina della k caseina, si destabilizzano e coagulano. Nella cagliata si ritrovano le caseine alfas1, alfas2, beta, gamma e la paracaseina k mentre il caseinoglicopeptide si ritrova nel siero di latte.
La coagulazione per acidificazione invece si ottiene abbassando il pH del latte fino al punto isoelettrico delle caseine (pH 4,6); in queste condizioni la caseina si demineralizza (perde cioè gli ioni Ca e P che passano in soluzione) e le micelle si disgregano in submicelle, perdono il loro stato di idratazione e finiscono per interagire tra loro precipitando.
Il coagulo ottenuto per via enzimatica è più idratato di quello che si ottiene per acidificazione e quindi più adatto per la produzione di formaggi molli che contengono più acqua al loro interno.
Il processo di coagulazione dipende strettamente dalla percentuale di caseine totali (e quindi dal numero di micelle caseiniche che si trovano in sospensione colloidale) e dalla dimensione delle micelle: quanto maggiore è la percentuale di caseine e minore il diametro delle micelle tanto minore sarà il tempo di coagulazione e maggiore la consistenza del coagulo.
Rispetto al latte bovino il latte di capra è caratterizzato da un minore titolo di caseina: questo si riflette in una minore velocità di formazione del coagulo e in una minore consistenza dello stesso.

Sieroproteine
Costituiscono il 17% circa delle sostanze azotate totali del latte di vacca e hanno un peso molecolare inferiore alle caseine. Dopo la coagulazione della caseina si ritrovano nel siero di latte. Sono ricche in aminoacidi essenziali, e in particolare in aminoacidi solforati, e perciò vantano un elevato valore biologico che le rende particolarmente interessanti per la formulazione di integratori ad uso umano. Avendo basso peso molecolare (rispetto alle caseine) non precipitano al loro punto isoelettrico (pH 6) ma sono sensibili al calore: il riscaldamento, soprattutto in ambiente acido, ne determina la denaturazione e la precipitazione. La ricotta è il prodotto ottenuto per coagulazione termica del siero acidificato. Beta-lattoglobulina - E’ la principale sieroproteina del latte bovino mentre nel latte di altre specie può non essere presente (ad esempio è assente nel latte umano). Si presenta in 9 varianti genetiche, tra le quali le più frequenti, nel latte di vacca, sono la A e la B. Essa è sintetizzata dalle cellule secernenti della mammella. Il suo ruolo non è ancora ben conosciuto, tuttavia si ritiene che sia implicata nella fissazione degli acidi grassi. E’ considerata il più potente allergene del latte bovino.
Alfa-lattoalbumina - E’ una proteina sintetizzata anch’essa a livello del tessuto mammario. Si trova in 3 varianti genetiche. Essa gioca un ruolo fondamentale nella sintesi del lattosio in quanto costituente della lattosio-sintetasi. Sieroalbumina - La sieroalbumina del latte è identica a quella del sangue in quanto ha origine ematica.

Immunoglobuline
Sono glicoproteine di elevato peso molecolare dotate di proprietà immunitarie: sono infatti anticorpi capaci di legarsi a batteri e spore. Esse rappresentano le principali sostanze ad azione antibatterica presenti nel latte crudo. Si distinguono in IgA, IgM, e IgG (IgG1 e IgG2). Esse sono sintetizzate dai linfociti B e arrivano alla mammella per via ematica.
Il colostro risulta particolarmente ricco di immunoglobuline allo scopo di trasferire l’immunità passiva al neonato. Infatti i neonati di molte specie di animali domestici (come il vitello e il suinetto) nascono completamente privi di difese immunitarie a causa della non permeabilità della placenta alle immunoglobuline; l’immunità passiva trasferita attraverso il colostro permette quindi al giovane animale di godere di una certa difesa immunitaria fino al momento in cui avrà sviluppato un proprio sistema immunitario.
Proteoso-peptoni
Sono un gruppo eterogeneo di sostanze azotate derivanti dalla proteolisi della caseina B ad opera della plasmina.
Enzimi
Circa 60 enzimi sono stati ritrovati nel latte 20 dei quali sono da considerarsi costituenti originali. Molti enzimi si trovano sulle membrane dei globuli di grasso mentre altri sono elaborati dalle cellule che si trovano nel latte (batteri, leucociti). Alcuni di essi hanno una importante funzione antibatterica (lattoferrina, lattoperossidasi, lisozima), altri attaccano i costituenti del latte e possono determinare perciò variazioni delle caratteristiche tecnologiche dello stesso (lipasi, proteasi). Inoltre essi possono costituire dei validi indicatori delle caratteristiche igieniche del latte (enzimi prodotti da batteri e leucociti come la catalasi), dell’intensità dei trattamenti termici a cui il latte è stato sottoposto (enzimi termolabili come perossidasi, fosfatasi alcalina) e anche della specie animale da cui deriva il latte.
Il lisozima è una proteina avente una conformazione molto simile all’alfalattoalbumina. E’ responsabile della degradazione dei polisaccaridi che costituiscono le pareti dei batteri Gram+ e perciò ha funzione batteriostatica e battericida. La lattoferrina è una glicoproteina appartenente alla famiglia delle tranferrine. Essa è in grado di fissare Fe ferrico ma anche altri metalli come rame, manganese e alluminio. La concentrazione di lattoferrina nel latte bovino è dell’ordine di 0,1-0,3 g/l mentre è più elevata nel colostro (2-5 g/l). Il latte umano è più ricco di lattoferrina rispetto al latte bovino.
Il ruolo nutrizionale e funzionale della lattoferrina non è ancora totalmente chiarito, tuttavia si sa che possiede attività antibatterica, antifungina, antivirale e antinfiammatoria.
Proprietà biologiche delle proteine del latte Alcuni peptici che derivano dall’idrolisi delle caseine (e in particolare della caseina beta) sono dotati di diverse proprietà biologiche.
In particolare alcuni peptidi (casomorfine) presentano un’attività oppiacea fisiologicamente simile a quella delle endorfine: agiscono infatti sul tratto gastroenterico, sulla motilità intestinale (con azione di rallentamento della peristalsi e antidiarroica), sul sistema respiratorio e cardiovascolare e anche sul sistema nervoso centrale e periferico.
Le caseine (e in particolare la caseina beta) possiedono delle regione fosforilate che sono in grado di fissare calcio. Peptidi contenenti queste regioni sono perciò in grado di aumentare l’assorbimento del calcio a livello ileale. Questi stessi frammenti peptidici oltre a favorire la biodisponibilità del calcio aumenterebbero l’assorbimento del ferro.
La k caseina ha la proprietà particolare di svolgere attività antiaggregante e antitrombotica.
Come si è già accennato la lattoferrina ha un importante ruolo di difesa dell’organismo dalle infezioni batteriche e fungine. Quest’attività sarebbe dovuta alla capacità della lattoferrina di legare il ferro che è necessario alla crescita microbica. Allergia alle proteine del latte di vacca E’ la terza allergia alimentare in ordine di importanza, dopo l’allergia all’uovo e quella alle arachidi. L’incidenza si aggira mediamente tra il 2 e il 5% e l’età in cui si manifesta è molto precoce, in genere sotto l’anno di età.
Il quadro clinico prevalente è quello di un’enterocolite allergica con vomito, diarrea e, spesso, sangue nelle feci. In molti casi si presentano inoltre orticaria generalizzata, dermatite atopica, asma, shock anafilattico. I pazienti molto sensibili possono reagire a quantità di latte molto piccole, a volte addirittura alla sola inalazione di polvere di latte. L’allattamento al seno fino almeno ai tre mesi di vita riduce di molto la possibilità di sviluppo di un’allergia al latte bovino. Va sottolineato tuttavia che alcuni bambini sono in grado di sviluppare i sintomi dell’allergia al latte vaccino anche quando assumono ancora solo latte materno. Questo fenomeno dipende dal passaggio nel latte materno di proteine bovine e generalmente regredisce se la madre sospende il consumo di prodotti lattiero-caseari.
Gli allergeni più importanti del latte di vacca sono le caseine, la beta-lattoglobulina e la sieroalbumina bovina.
In alcuni casi di allergia il latte di vacca può essere utilmente sostituito con latte di altre specie (capra, pecora, etc.); da alcuni dati sembra che circa il 40% dei pazienti che risultano allergici al latte bovino tollerino il latte di capra. Tuttavia queste misure non sempre costituiscono un’alternativa sicura in considerazione della notevole omologia che comunque esiste tra le proteine del latte di vacca e quelle delle altre specie. Il latte con proteine di soia può rappresentare un’alternativa ma anch’esso può dar luogo a forme allergiche. Molte forme di allergia al latte di vacca tuttavia regrediscono spontaneamente dopo il secondo anno di vita.

Minerali
La quota minerale e salina del latte rappresenta circa lo 0,9% dello stesso. Il latte contiene tutti gli elementi minerali indispensabili all’organismo e in particolare calcio e fosforo. Tuttavia va sottolineato che i contenuti di ferro e rame non sono elevati tanto che soggetti alimentati a lungo con solo latte (come avviene per i vitelli a carne bianca) possono sviluppare un quadro clinico di anemia.
I minerali si trovano nel latte non solo sotto forma salina ma anche nella fase colloidale legati all’interno delle micelle caseiniche. La composizione minerale del latte varia in funzione della specie, della razza, dello stadio di lattazione e di una serie di fattori ambientali e alimentari.

Macroelementi
Il calcio e il fosforo si trovano in buona parte in forma legata alla caseina. La frazione solubile del calcio (25% del totale) si trova sotto forma di fosfato e citrato monocalcico e di ioni calcio. Anche il magnesio è presente per circa un terzo nelle micelle caseiniche mentre la rimanente parte è in soluzione come fosfato e citrato di magnesio.
Il calcio del latte ha un’elevata biodisponibilità anche perché, al contrario di molti alimenti vegetali, il latte non contiene sostanze che sequestrano il calcio. Inoltre il lattosio presente nel latte favorisce l’assorbimento del calcio probabilmente attraverso un’azione sulla mucosa intestinale.
Potassio, sodio e cloro sono oltre al lattosio i componenti osmoticamente attivi del latte.
L’acido citrico è un triacido carbossilico con calcio chelato caratteristico del latte. Esso viene sintetizzato dalla mammella ed è il sale più importante presente nel latte.

Composizione minerale e salina del latte di vacca in g/l Ca totale 1,2
P 0,9
Mg 0,12
citrato 1,6
solfato tracce
K 1,5
Na 0,45
Cl 1,15
bicarbonato 0,25

Oligoelementi

Tenore in oligoelementi del latte di vacca (in m g/l) Zinco 3800
Ferro 460
Rame 150
Fluoro 120
Iodio 80
Molibdeno 50

 

Vitamine
Le vitamine idrosolubili (vitamine del complesso B e vitamina C) si trovano disciolte nella fase acquosa del latte mentre le vitamine liposolubili (A, D, E e K) si trovano associate al grasso del latte, in parte a livello della membrana del globulo, in parte all’interno del globulo stesso.
Le vitamine liposolubili del latte sono di origine alimentare e perciò il loto contenuto nel latte può variare con l’alimentazione. Le vitamine idrosolubili hanno un tenore più costante in quanto sintetizzate nel tratto digerente dell’animale; in particolare la vitamina C è sintetizzata a livello dell’epitelio intestinale mentre le vitamine del gruppo B sono sintetizzate dalla flora ruminale e intestinale.

Composizione vitaminica media del latte crudo di vacca (in m g/l) Idrosolubili Liposolubili
B1 - tiamina 388
A - retinolo 500
B2 - riboflavina 914
caroteni 30
B6 554
D 0,4 B12 4
E - tocoferolo 400 PP - niacina 1300
K 3 acido folico 60
acido pantotenico 3251
biotina 47
C 30000

 

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Appunti   Industria lattiero casearia


IL LATTE
- DEFINIZIONE E GENERALITA'
- CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE
- LATTI PATOLOGICI
- COMPOSIZIONE DEL LATTE
- VALORE ALIMENTARE DEL LATTE
- FILTRAZIONE E REFRIGERAZIONE

CONSERVAZIONE DEL LATTE
- SCREMATURA E TITOLAZIONE
- PASTORIZZAZIONE
- STERILIZZAZIONE
- CLASSIFICAZIONE DEL LATTE
- OMOGENEIZZAZIONE
- LATTE CONCENTRATO E LATTE IN POLVERE
- LATTI FERMENTATI (YOGURT)

CREMA E BURRO
- CREMA (affioramento naturale e centrifugazione)
- BURRIFICAZIONE DISCONTINUA (zangolatura) E CONTINUA
- COMPOSIZIONE DEL BURRO
- DIFETTI E ALTERAZIONI DEL BURRO
- MARGARINA

FORMAGGIO
- CARATTERISTICHE DEL LATTE IDONEO ALLA CASEIFICAZIONE
- COAGULAZIONE DEL LATTE E CAGLIO
- LAVORAZIONE DELLA CAGLIATA
- SALATURA
- MATURAZIONE E STAGIONATURA DEL FORMAGGIO
- LAVORAZIONI PARTICOLARI

INDUSTRIA LATTIERO-CASEARIA
L’industria lattiero-casearia prepara il latte per il consumo diretto oppure lo trasforma in burro o formaggio. Dalla lavorazione del latte si ricavano una serie di sottoprodotti, quali il latticello e il siero, utilizzati per l’alimentazione animale. I prodotti lattiero-caseari sono ancora eccedentari all’interno della Comunità Economica Europea, soprattutto per quanto riguarda il latte e il burro, nonostante le misure restrittive di politica comunitaria (es. quote di produzione massima garantita, premio all’abbattimento delle vacche da latte). In Italia la produzione di latte è deficitaria ed elevate sono le importazioni (per il consumo alimentare e per la trasformazione in burro e formaggio). Nel nostro Paese il consumo di latte è notevolmente inferiore a quello di tutti gli altri Stati europei e quello di burro risente della concorrenza dell’olio di oliva e di altri grassi vegetali. La produzione italiana di formaggio non è sufficiente a coprire il fabbisogno interno per cui, se si escludono alcuni formaggi tipici, quali il Grana, il Pecorino e il Provolone, che vengono anche esportati, bisogna ricorrere ogni anno all’importazione di forti quantitativi di questo prodotto dalla Francia e dall’Inghilterra. I consumi pro capite di formaggio sono tra i più alti in Europa e in continua crescita.

IL LATTE: definizione e generalità
Secondo la legge il latte è il prodotto della mungitura regolare, completa e ininterrotta della mammella di bovine che si trovino in buono stato di salute e di nutrizione e non siano affaticata dal lavoro. Il latte non proveniente da bovina deve essere evidenziato con il nome della specie da cui proviene, es. latte di pecora.
Il latte che ha subito almeno un trattamento termico o altro trattamento equivalente può essere classificato come segue:

  • latte intero, contenente almeno il 3,2% di grasso;
  • latte parzialmente scremato, contenente tra l’1 e l’1,8% di grasso;
  • latte scremato, contenente meno dello 0,5% di grasso;
  • latte concentrato, è quello in cui viene fatta evaporare acqua per cui rimane arricchito di tutti i costituenti;
  • latte in polvere, è il prodotto ottenuto dalla disidratazione quasi completa del latte;
  • latte industriale, è quello utilizzato per la fabbricazione di burro e formaggio.

Dal punto di vista biologico il latte è un secreto della ghiandola mammaria prodotto in parte a spese del sangue (es. globuline) ed in parte elaborato dalla mammella stessa (es. caseina).
Il colostro è il primo liquido secreto dalla mammella subito dopo il parto. è denso, di colore giallognolo che in circa 3 giorni modifica le sue caratteristiche fisiche e chimiche, assumendo quelle specifiche del latte. è indispensabile al vitello appena nato esplicando funzioni immunitarie a livello intestinale, e nutritive (molto ricco di vitamine).

Principali differenze costitutive tra colostro e latte.

 

Colostro 1a mungitura

Latte

Peso specifico

1,056

1,032

pH

6,32

6,5

Residuo secco %

23,9

12,9

Grasso

4,7

4,0

Proteine totali %

14,0

3,1

Lattosio %

2,7

4,9

Ceneri %

1,1

0,74

Dal punto di vista chimico-fisico il latte è una miscela di acqua che tiene in soluzione zuccheri, sostanze azotate, vitamine, sali, e tiene in sospensione grassi, alcune vitamine, proteine e alcuni sali.. La percentuale dei diversi componenti varia a seconda delle specie che lo hanno prodotto e, per gli animali della stessa specie, a seconda della razza, dell’età. della fase di lattazione, dello stato di salute e delle tecniche di alimentazione e di allevamento.

Caratteristiche chimico-fisiche del latte
La densità del latte a 15° C varia da 1,029 a 1,034 circa. Il valore della densità costituisce la somma delle densità del grasso, che è inferiore ad 1 e del plasma latteo maggiore di 1. è evidente che il valore della densità può aumentare se il latte è scremato e diminuire se annacquato.
Il pH del latte si aggira attorno a 6,5-6,7 (supera questi valori in caso di mastite). Il sistema impiegato in Italia per esprimere l’acidità è quello °SH (gradi Soxhlet-Henkel); si determina su 100 ml di latte ed indica i ml di NaOH N/4 occorrenti per neutralizzare l’acidità, indicatore la fenoftaleina. Nel latte fresco l’acidità corrisponde a circa 7°SH.
Il punto crioscopico o di congelamento è situato tra -0,55 e 0,56°C, mentre il punto di ebollizione tra 100,15 e 100,17°C.

Latti patologici
Le affezioni microbiche della mammella, note col nome generico di mastiti, causano modificazioni di composizione e di caratteristiche tecnologiche del latte; tali latti sono noti come latti mastitici. molti germi sono causa di mastiti, ma l’agente specifico, responsabile della malattia contagioso, è lo Streptococcus agalactiae. In questo caso il latte assume odore sgradevole e colore giallastro fino al rossastro, per elevato contenuto di emazie (globuli rossi). Per il riconoscimento del latte mastitico si fa ricorso al test di Schalm o test CMT (California Mastitis Test).
Le mastiti sono curate facilmente con antibiotici, ma tale impiego è causa di seri inconvenienti per l’industria casearia; infatti, bastano poche decine di unità di antibiotico per litro perché il latte risulti inidoneo ad essere caseificato; ciò perché la presenza di antibiotici nel latte ne modifica la flora microbica.

Composizione del latte
Il latte (di vacca) è un liquido di color bianco-crema costituito per l’87-88% di acqua in cui sono disciolte o disperse le altre sostanze.

Composizione media del latte di vacca.


Componenti

(%)

Acqua

87,5

Zuccheri (lattosio)

4,9

Grassi (trigliceridi)

3,6

Sostanze azotate (caseina e proteine del siero)

3,4

Ceneri

0,8

Costituenti minori (vitamine, gas, enzimi)

 

ZUCCHERI
Sono costituiti principalmente da lattosio e da piccole quantità di zuccheri semplici per lo più legati alle proteine. Il lattosio è un disaccaride formato da una molecola di glucosio e una di galattosio e conferisce al latte un sapore leggermente dolce (il lattosio è dolce circa 1/6 del saccarosio). è facilmente attaccato da numerosi microrganismi che provocano le principali fermentazioni del latte e del formaggio. La più importante è la fermentazione lattica, che avviene spontaneamente nel latte lasciato a riposo. I batteri lattici idrolizzano il lattosio in una molecola di glucosio e una di galattosio, trasformano quindi il galattosio in glucosio e infine fermentano le due molecole di glucosio producendo 4 molecole di acido lattico. La reazione chimica è la seguente:

                                         idrolisi                        ferm. lattica
C12H22O11 + H2O    =     2C6H12O6     =   CH3CHOHCOOH
  lattosio                         glucosio + galattosio    acido lattico

La fermentazione porta all’acidificazione del latte ed è dannosa in quello destinato all’alimentazione diretta perché porta alla coagulazione della caseina, ma è necessaria nella preparazione del formaggio e dello yogurt.

LIPIDI
Si trovano nel latte non disciolti, ma sotto forma di globuli, di diametro variabile dai 2 ai 10 m m (m =micro 10-6), rivestiti da una membrana lipo-proteica. La sostanza grassa del latte è formata per il 97-98% da trigliceridi e per il resto da di-, monogliceridi, acidi grassi, fosfolipidi, steroli. Nei trigligeridi prevalgono alcuni acidi grassi saturi ( palmitico circa 30%; stearico 13%; butirrico 4%; laurico 3,5%) e insaturi (oleico 25%; linoleico 3%; linolenico 1,5%).
I globuli del grasso, avendo un peso specifico minore del latte magro (0,931 a 15°C), tendono ad aggregarsi e ad affiorare spontaneamente nel latte lasciato a riposo, formando uno strato superficiale di crema. Il latte destinato al consumo diretto viene quindi sottoposto ad un trattamento di stabilizzazione (omoegenizzazione) prima di essere posto in vendita. Il grasso del latte e dei prodotti derivati può andare soggetto a numerose alterazioni che portano all’irrancidimento.

SOSTANZE AZOTATE
Sono costituite da diverse proteine ed in minima parte (5%) da sostanze non proteiche (urea, aminoacidi). Le proteine del latte sono la caseina, che rappresenta l’85% del totale, e le sieroproteine. La caseina (sintetizzata dalla mammella) è una fosfoproteina formata da diverse frazioni (a ,b ,g ,k) presenti in sospensione colloidale. Le micelle caseiniche disperse nel latte, per azione enzimatica, per acidificazione o per riscaldamento, si aggregano tra loro coagulando. Questo processo porta alla formazione della cagliata e rappresenta la prima fase della preparazione del formaggio. Le sieroproteine hanno un minor peso molecolare della casina e non coagulano per via enzimatica ma solo per riscaldamento. Le principali sono le lattoglobuline e le lattoalbumine che, sintetizzate dalla mammella, conferiscono al latte un alto valore biologico, essendo ricche di aminoacidi essenziali. Altre sieroproteine (gammaglobuline) derivano direttamente dal plasma sanguigno e svolgono un’importante funzione immunitaria nei riguardi del vitello lattante.

SALI MINERALI
Nel latte sono presenti numerosi cationi ed anioni parzialmente e totalmente complessati con la caseina (quantitativo medio 0,8%). Dei vari cationi che entrano a formare i sali i più rappresentati sono il potassio, il calcio, il sodio e il magnesio. Degli anioni i più rappresentati sono il fosfato, i cloruri e i solfati.
Il calcio determina la coagulazione della caseina, legandosi con essa sotto l’azione enzimatica del caglio.

COSTITUENTI MINORI
Si trovano nel latte i seguenti costituenti:
- vitamine: sono tutte presenti (abbondante è la A);
- gas: anidride carbonica, azoto, ossigeno;
- enzimi: proteasi, lipasi, catalasi, perossidasi, fosfatasi alcalina.
Il grasso del latte assorbe molto facilmente le sostanze aromatiche, anche sgradevoli, quali l’ammoniaca, l’acido solfidrico, ecc.

ELEMENTI BIOLOGICI. Il latte, pur se ottenuto asetticamente da individui sani, contiene vari microrganismi, cellule del sangue e della mammella. I microrganismi presenti nel latte sono : i lieviti, le muffe e occasionalmente i virus (quantitativamente scarsi per cui non hanno una rilevanza pratica); di grande importanza pratica sono invece i batteri (lattici, enterici, propionici, butirrici, proteolitici).
La carica microbica del latte è strettamente dipendente dalle condizioni igieniche dell’ambiente in cui avviene la mungitura e, per alcuni germi patogeni, dallo stato di salute degli animali. Il latte, alla mungitura, ha attività battericida, per la presenza di 3 lattenine, che alla distanza di qualche ora si esaurisce. Successivamente, la moltiplicazione della flora lattica avviene in progressione logaritmica, se non conservato a bassa temperatura (4°C).

Incremento dei germi per ml di latte refrigerato o meno (munto igienicamente)


T °C

Fresco

a 24 h

a 48 h

a 72 h

4

4.300

4.600

4.600

8.400

10

4.300

14.000

128.000

5.700.000

16

4.300

1.600.000

33.000.000

326.000.000

Per evitare una proliferazione eccessiva della flora nel latte, in ogni caso dannosa, il latte è sottoposto nella stessa azienda zootecnica a filtrazione ed a refrigerazione.
La filtrazione, eseguita facendo passare il latte attraverso uno strato di ovatta, ha il solo scopo di allontanare il materiale grossolano arrivato accidentalmente nel latte, quali peli, frammenti di escrementi, residui alimentari.
La refrigerazione a 4°C per il periodo intercorrente tra la mungitura serale e la successiva, costituisce un reale progresso tecnologico, perché consente di far giungere allo stabilimento caseario latte batteriologicamente migliore e senza rilevante incremento di acidità.

Valore alimentare del latte
Il latte è un alimento completo per il neonato mentre per l’adulto risulta carente di ferro; è armonico ed economico. Un litro di latte intero fornisce circa 400 calorie. Alcuni individui non digeriscono il lattosio e per tale motivo vi è in commercio un latte speciale che contiene il 75% di questo disaccaride già scomposto in glucosio e galattosio. Le proteine del latte hanno un elevato valore biologico grazie all’elevato contenuto in aminoacidi indispensabili che nobilitano l’azione plastica. Tra i sali sono ottimamente rappresentati il calcio e il fosforo nel rapporto (1,4) considerato l’ottimale per il neonato.

CONSERVAZIONE DEL LATTE
Il latte, prima di essere avviato alla sua destinazione (consumo diretto e spesso anche quello utilizzato per la preparazione del formaggio), deve subire un risanamento (o bonifica) che di norma viene praticato mediante calore.
La legge n. 306 del 8.7.75, che ha recepito un Regolamento CEE, prevede l’obbligo del pagamento del latte in base alla qualità secondo lo standard analitico. Questo prevede le seguenti analisi: contenuto di batteri coliformi, contenuto batterico totale, spore di batteri butirrici, acidità titolabile, attitudine alla coagulazione, percentuale di grasso e di caseina, conteggio dei leucociti, eventuale presenza di antibiotici.

Scrematura e titolazione
Arrivato allo stabilimento, dopo il controllo delle caratteristiche chimiche (spesso vengono effettuati prelievi di campioni di latte ed alcune analisi direttamente nelle aziende zootecniche), è scaricato in un deposito in acciaio inossidabile subendo nel contempo una filtrazione ordinaria per allontanare il materiale grossolano. Quindi viene sottoposto ad una scrematura: se si vuole ottenere latte magro si utilizzano scrematrici; mentre per la produzione di latte alimentare con un determinato titolo di grasso, è necessario disporre di scrematrici-titolatrici per standardizzare il titolo di grasso.

Pastorizzazione
Ha lo scopo di eliminare tutti i germi patogeni e di ridurre di oltre il 99% il numero di quelli banali affinché il latte si conservi per un tempo che ne consenta la distribuzione come alimento o la sua trasformazione nei vari prodotti derivati.
La pastorizzazione consiste nel riscaldare il latte ad una temperatura inferiore al suo punto di ebollizione può essere di due tipi: bassa e lenta oppure alta e veloce. Nel primo processo, ormai in disuso, il latte veniva portato alla temperatura di 63 °C per circa trenta minuti, nel secondo si raggiungono temperature di 72-78 °C per 10-20 s. In quest’ultimo caso si usano principalmente scambiatori di calore a piastre, costituiti da una serie di piastre contigue, a strato sottile, entro cui scorrono rispettivamente il latte e l’acqua calda in direzione opposta. Per aumentare la superficie di contatto tra il latte e l’acqua calda le piastre sono ondulate. Tutto il processo è continuo e consente pertanto elevate capacità di lavoro.
Il latte pastorizzato, detto a "breve conservazione", si conserva per 3-4 giorni a temperatura di 4-6 °C.

Sterilizzazione
è un processo che, distruggendo qualsiasi forma microbica vitale o vegetativa (spore), mira a conservare il latte più a lungo. Di fatto non si raggiunge mai la sterilità assoluta, bensì una sterilità commerciale che assicura la conservazione del latte per almeno 3 mesi oppure 6 mesi (a temperatura ambiente) a seconda del tipo di trattamento, dopo di che si riattivano gli enzimi.
Attualmente, abbandonata la sterilizzazione discontinua tramite riscaldamento in autoclave, avviene in continuo secondo due sistemi principali: sterilizzazione indiretta del latte nei contenitori e sterilizzazione diretta (sistema UHT: ultra high temperature). Il primo era utilizzato quando non si disponeva di impianti in grado di confezionare asetticamente il latte e il riscaldamento avveniva sul prodotto già confezionato in contenitori d vetro e polietilene. Il sistema UHT è ormai prevalente e può essere realizzato mediante scambiatori termici simili a quelli utilizzati per la pastorizzazione o impianti nei quali la sterilizzazione del latte avviene per contatto diretto con il vapore (uperizzazione). La sterilizzazione con scambiatori termici, che si realizza utilizzando scambiatori a piastre o tubolari, si presta ad un maggior recupero di calore, con conseguente risparmio energetico, e favorisce una più prolungata conservabilità del prodotto, ma determina maggiori alterazioni dei componenti del latte. Nel processo di uperizzazione , il latte viene preventivamente pastorizzato con un normale scambiatore di calore a piastre e successivamente inviato in una camera dove viene nebulizzato e investito dal basso da una corrente di vapore ad elevata temperatura che lo riscalda a 140-150 °C per 2-3 s. Per poter conservare a lungo il latte sterilizzato ("a lunga conservazione"), occorre realizzare in maniera asettica anche le successive operazioni di riempimento e confezionamento (i contenitori di tetrapak, oggi i più usati, vengono sterilizzati ante confezione e chiusi in condizioni di sterilità).

Classificazione del latte destinato all’alimentazione umana
Il latte destinato all’alimentazione umana è classificato in base alla legge 3/5/89 n. 169 e ai successivi decreti ministeriali attuativi. Si distinguono:

  • latte pastorizzato, prodotto con pastorizzazione bassa e lenta (scarsamente commercializzato);
  • latte fresco pastorizzato, prodotto con pastorizzazione alta e rapida;
  • latte fresco pastorizzato di alta qualità, proveniente da stalle nazionali controllate, caratterizzato da elevati contenuti di grasso (> 3,5%) e proteine (> 3,2%);
  • latte sterilizzato a lunga conservazione, risanato con sterilizzazione indiretta (in contenitore) e scadenza a 180 giorni;
  • latte UHT a lunga conservazione, risanato con sterilizzazione diretta e scadenza a 90 giorni.

Il latte fresco pastorizzato di alta qualità deve essere commercializzato solo intero, mentre gli altri tipi di latte possono essere commercializzati come latte intero, parzialmente scremato e magro.
Le elevate temperature di sterilizzazione del latte possono provocare l’alterazione di alcuni suoi componenti. Ad esempio
la reazione tra lattosio e proteine porta alla formazione di melanine che comportano un ingiallimento del prodotto; le proteine del siero liberano gruppi -SH che conferiscono gusto di cotto; si denaturano alcuni aminoacidi (lisina, metionina, alanina,, valina, cisteina) delle proteine del siero; la distruzione delle vitamine più termosensibili (A, C e alcune del gruppo B).

Omogeneizzazione
Non è una tecnica di risanamento, ma è un trattamento di stabilizzazione del latte inserito nella tecnologia della sterilizzazione. Con questo processo vengono frantumati i globuli di grasso in modo che la ridotta dimensione ne impedisce l’affioramento spontaneo durante la conservazione e rende il latte più digeribile. L’omogeneizzazione si effettua sempre prima della sterilizzazione in quanto consente un più regolare e uniforme risanamento del latte.
L’operazione consiste nel proiettare il latte, che fuoriesce da un ugello sotto altissima pressione, contro matasse di acciaio inossidabile.

Latte concentrato e latte in polvere
La concentrazione del latte è un mezzo di conservazione che si ottiene mediante parziale evaporazione dell’acqua sotto vuoto alla temperatura di 40-50 °C (latte concentrato - circa 70% di H2O). Per la produzione di latte condensato (o latte concentrato zuccherato - circa 25% di H2O), la materia prima è concentrata ed addizionata di saccarosio per assicurarne la conservabilità senza ricorrere alla sterilizzazione.
Con l’essiccazione totale, più frequente, si ricava il latte in polvere, che presenta una percentuale di acqua residua variabile dal 2 al 7%. Questo prodotto si prepara generalmente secondo due metodi: il sistema Roller e il sistema Spray. Nel primo caso il latte cade su due cilindri rotanti in senso contrario e riscaldati internamente con vapore a temperatura elevata (135-140 °C). Sui due cilindri si forma una sottile pellicola di latte essiccato che viene raschiato da due lamine e raccolto sul fondo. Negli impianti di essiccazione Spray (per nebulizzazione) il latte viene fatto cadere entro torri alte parecchi metri e, incontrando una corrente ascensionale di aria a temperatura di 130-140 °C, si essicca istantaneamente. Entrambi i sistemi determinano alterazioni dei grassi e del lattosio e vengono prevalentemente utilizzati per ottenere latte in polvere da destinare all’alimentazione animale.
Il latte in polvere per uso alimentare si ottiene attraverso altri sistemi (es. essiccazione a schiuma) che non provocano alterazioni del grasso e danno un prodotto che si rigenera perfettamente con l’aggiunta d’acqua.

Latti fermentati
Sono prodotti ottenuti per coagulazione del latte ad opera di microrganismi della fermentazione acida o acido-alcolica.
Il latte viene omogeneizzato, pastorizzato, concentrato fino al 14% di residuo secco (per conferire al prodotto una certa consistenza) e inoculato con batteri lattici lasciati incubare per alcune ore, finché si ha pH 4,0. Il prodotto così ottenuto può essere addizionato di frutta fresca o surgelata (con aggiunta di saccarosio).
I latti fermentati sono raggruppati in due grandi categorie:
- latti acidi, detti anche yogurt
- latti acido-alcolici, detti anche kefir.
Per ottenere lo yogurt vengono innestati batteri quali lo Streptococcus thermophilus e il Lactobacillus bulgaricus, che trasformano il lattosio in acido lattico.
Il kefir è ottenuto dall’azione fermentante dei batteri lattici (Streptococcus caucasicus) e di lieviti alcolici (varie specie di Torulopsis). Questo prodotto si presenta fluido e spumoso, con sapore acidulo e debolmente alcolico (1-1,5 gradi alcolici).

Consumi pro capite di latte, burro e formaggi, in Italia ( 1970-1993)


Prodotti

Anno 1970

Anno 1993

Latte

65,3

82,9

Burro

2,0

2,1

Formaggi

10,2

17,3

CREMA E BURRO
Secondo la legge italiana il burro è la sostanza grassa del latte di vacca, ricavato con separazione del latticello mediante varie operazioni meccaniche. Il "burro di qualità" è ottenuto solo dalla crema di latte.

Crema (affioramento naturale e centrifugazione)
La crema è costituita da latte arricchito di grasso. Si distinguono creme a basso contenuto lipidico, come la panna da cucina (minimo 21%) o da montare (minimo 30%) e quelle a medio o alto contenuto (40-70%), utilizzate nel processo di burrificazione. Le panne da cucina e da montare vengono sottoposte a pastorizzazione, dando origine alla panna fresca conservabile per 6-7 giorni in frigorifero, o a sterilizzazione UHT, dando origine alla panna a lunga conservazione (4 mesi).
Può essere ottenuta mediante due metodi: per affioramento o per centrifugazione. L’affioramento della crema avviene lasciando a riposo per 12 ore a 15°C il latte in bacinelle di acciaio inox della capacità di 1,5-2 quintali, alte 15 cm e larghe 2 m. Lo strato che affiora è detto crema e contiene 20-30% di grasso. Il processo di affioramento naturale non è oggi più seguito per la preparazione industriale del burro, poiché richiede tempi lunghi e non separa tutto il grasso dal latte, ma viene oggi ancora praticato nella preparazione di alcuni formaggi semigrassi, come ad esempio il Grana. La crema ottenuta per affioramento è parzialmente acida per lo sviluppo e la riproduzione dei batteri, il che favorisce la burrificazione, e da essa si ricava un burro più aromatico ma di difficile conservazione.
Nei processi industriali di burrificazione la crema si ottiene sottoponendo il latte a centrifugazione. Le scrematrici a centrifuga sono costituite da una serie di piatti tronco-conici, montati su un tamburo rotante, e distanziati di alcuni millimetri. I piatti presentano una serie di fori che consentono il movimento ascensionale del latte. Quando il latte ha raggiunto l’ultimo disco la separazione è completata: la crema esce da un condotto centrale e il latte scremato da uno laterale. Variando il numero dei piatti e la velocità di rotazione si ottiene un diverso grado di scrematura. La panna ottenuta con la centrifugazione risulta dolce in quanto non si sono ancora sviluppati i fermenti lattici.
Poiché il processo di burrificazione avviene in modo migliore se la crema presenta un certo grado di acidità, quella ottenuta per centrifugazione viene preventivamente pastorizzata, successivamente inoculata con fermenti acidificanti selezionati e lasciata a riposo per circa 18-20 ore in apposite vasche mantenute a temperatura di 12-15°C. Durante questo processo di maturazione la crema acidifica, si aromatizza e diventa più consistente.

Burrificazione discontinua (zangolatura) e continua
Per ottenere il burro, la crema deve essere violentemente sbattuta, il che consente di rompere i globuli di grasso e di amalgamarli, facendo fuoriuscire la parte residua di acqua. Questo processo viene chiamato zangolatura ed è favorito da condizioni di acidità e da temperature inferiori ai 15 °C che rendono il globulo di grasso più fragile. Le zangole, un tempo in legno, sono oggi costituite da recipienti in acciaio inox che ruotano sul proprio asse. Internamente possono presentare dei rulli che impastano il burro e lo amalgamano. Il liquido che si elimina con la zangolatura viene chiamato latticello e contiene una minima parte di grasso (0,3-0,4%) e di proteine, derivanti dagli involucri esterni del globulo di grasso.
Prima di essere impastato il burro viene lavato con acqua due-tre volte, al fine di favorire uno spurgo completo del latticello. Può essere poi sottoposto a leggera salatura o all’aggiunta di coloranti naturali, come lo zafferano, e successivamente confezionato.
Si vanno diffondendo anche sistemi di burrificazione continua che, a partire da creme ad alto contenuto in grasso, realizzano il processo senza interruzioni. Il burro che si ottiene non sempre è di buona qualità e di giusta consistenza.
L’ultima operazione cui è sottoposto il burro prima di immetterlo al consumo diretto è la formatura: da un etto ad un kg, con relativo confezionamento.

Composizione del burro; difetti e alterazioni del burro
Il rendimento del latte in burro è estremamente variabile a seconda del contenuto in grasso del latte e dei sistemi di burrificazione; per ottenere un chilogrammo di burro occorrono mediamente 23-25 kg di latte.
Il burro ha mediamente la seguente composizione: umidità massima 17%, grasso minimo 82%, proteine, zuccheri e sali 1-2% in totale.
Commercialmente, un carattere importante del burro è la struttura, che è conseguenza del processo di burrificazione, più precisamente della percentuale di grasso globulare contenuto nel burro, e della velocità di raffreddamento, che influisce sulla maggiore e minore omogeneità della cristallizzazione del grasso. Un burro sottoposto all’azione di basse temperature ed a limitato trattamento meccanico, perde la capacità di indurire. I difetti biochimici, molto più gravi dei precedenti, sono: l’irrancidimento idrolitico conseguenza dell’attività della lipasi che libera acidi grassi volatili tutti con odore sgradevole; l’irrancidimento chetonico dovuto ad attacchi di muffe; il sapore acido indotto da un lavaggio insufficiente del prodotto. I difetti chimici derivano tutti da ossidazione, che va distinta in autossidazione e fotossidazione. L’autossidazione o irrancidimento ossidativo è un processo cui soggiacciono spontaneamente tutte le sostanze grasse in presenza di ossigeno ed è catalizzato da metalli pesanti. La fotossidazione è un deterioramento determinato dalla luce.

Margarina
Gli oli di vari semi (soia, mais, girasole, arachide, palma, ecc.) possono essere sottoposti ad un processo industriale di idrogenazione: con questa operazione vengono saturati acidi grassi degli oli che quindi assumono consistenza solida trasformandosi in grassi. La margarina può essere colorata con annatto, aromatizzata con aromi vegetali e addizionata di acido sorbico (come conservante).

IL FORMAGGIO

Secondo la legislazione italiana " il formaggio o cacio è il prodotto che si ricava dal latte intero o parzialmente scremato o scremato, oppure dalla crema in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di fermenti e di sale da cucina".
In base al tipo di latte, i formaggi si distinguono in "vaccini, pecorini, caprini e bufalini". Il latte destinato alla produzione del formaggio deve essere esente da odori sgradevoli e da antibiotici (che ostacolano la coagulazione) e non deve provenire da animali affetti da mastite.

Caseificazione

1. CORREZIONE DEL GRASSO. Alcuni latti vengono scremati (per affioramento) per ottenere formaggi semigrassi (es. Parmigiano Reggiano), altri vengono addizionati di crema (a volte Provolone e Gorgonzola) per ottenere formaggi grassi.
2. PASTORIZZAZIONE. Per la fabbricazione di formaggi freschi e, a volte, per abbassare la carica microbica di determinati latti, si effettua la pastorizzazione.
3. INNESTO DI FERMENTI LATTICI. Le moderne tecnologie per la produzione di molti formaggi impiegano ormai abitualmente fermenti lattici selezionati. L’aggiunta di innesto apporta al latte una flora batterica che assicura una decisa prevalenza dei batteri caseofili che conferiscono elevata acidità, favoriscono la coagulazione e contrastano i batteri butirrici (agenti del gonfiore tardivo).
Questo insemenzamento può essere effettuato in vari modi:
- mediante innesto naturale, che consiste in colture di batteri già presenti naturalmente nel latte il cui sviluppo viene favorito col riscaldamento del latte (latteinnesto) o del siero (sieroinnesto),
- mediante innesto selezionato, che consiste in colture di batteri appositamente selezionati per conferire al formaggio caratteristiche organolettiche omogenee e costanti (lattofermento e sierofermento).

4. COAGULAZIONE DEL LATTE. La maggioranza dei formaggi si ottiene in Italia prevalentemente per coagulazione presamica, che avviene aggiungendo il caglio (o presame) al latte.
La coagulazione acida si realizza in conseguenza alla demineralizzazione delle micelle caseiniche, ottenendo così coagulo dotato di consistenza ed elasticità molto limitate. Impiegando tale coagulazione si hanno formaggi acidi o bianchi. In Italia si producono due formaggi bianchi: il mascarpone, ottenuto da crema coagulata mediante acido acetico o citrico, ed in Campania il cacio-ricotta ottenuto per coagulazione a 90°C con latte intero acidificato spontaneamente.
La coagulazione presamica si ha invece a seguito del distacco dalla k-caseina di un glicopeptide o proteosi operato dall’enzima chimasi, con contemporanea perdita delle sue proprietà stabilizzanti nei confronti delle altre caseine che, per intervento del calcio ionico, passano dallo stato disperso a quello di coagulo (il paracaseinato di calcio coagula formando la cagliata). In genere la coagulazione è mista nel senso che avviene sia per apporto di caglio, sia per acidificazione del latte (ottenibile in caldaia ad opera dei batteri lattici), con prevalenza del primo per ottenere formaggi a pasta dura e prevalenza dell’azione acida per i formaggi molli.
Il caglio o presame è un complesso enzimatico ricavato dalla mucosa superficiale dell’abomaso del vitello lattante. Esso è costituito da due enzimi: la chimosina (dotata di forte azione coagulante) e la pepsina (dotata di forte azione proteolitica).
Il titolo o forza di un caglio è espresso dai ml di latte coagulati da 1 ml o da 1 g di presame, alla temperatura di 35°C in 40’; per esempio 1 g di caglio in pasta dal titolo 1:8.000 coagula 8 l di latte alle suddette condizioni di tempo e di temperatura. In commercio si trova in pasta, in liquido ed in polvere ( con diverso titolo).
In Sardegna si utilizza anche l’estratto del fiore di cardo selvatico, mentre all’estero si utilizza anche lattice di fichi ed estratto di batteri e muffe. La coagulazione del latte consiste nel passaggio della caseina dallo stato di sol allo stato di gel. La ricotta deriva invece dalla coagulazione delle sieroproteine e quindi non è un formaggio, ma genericamente un latticino. Il latte che coagula rapidamente è detto "forte", mentre se la coagulazione è lenta è detto "fiacco" o "pigro".

5. SINERESI E SPURGO. Al termine della coagulazione, la cagliata si contrae (sineresi) espellendo il siero (acqua, lattosio e sieroproteine). L’espulsione del siero (che è detto spurgo quando è provocato dall’uomo per rottura o compressione) provoca la rottura della pasta e l’inizio della granulatura; il formaggio risulta essere un conglomerato di granuli.

6. LAVORAZIONE DELLA CAGLIATA. La rottura è il primo intervento che si ottiene mediante apposito attrezzo (spino, lira), sulla cagliata quando ha raggiunto la consistenza desiderata. per ottenere formaggi molli la cagliata è sminuzzata in pezzi della dimensione di un’arancia o una noce, per formaggi a pasta semidura i pezzi hanno la dimensione di un fagiolo e per i formaggi duri la dimensione di granelli di riso. Più fine è lo sminuzzamento, maggiore sarà lo spurgo e più asciutto e duro diventerà il formaggio. Durante la rottura occorre agitare la cagliata e osservare brevi periodi di riposo per favorire lo spurgo. Più anticipata è la rottura più rapido è lo spurgo; per i formaggi molli questa operazione avviene in 15-20 minuti dopo la coagulazione, per quelli a pasta dura 2-4 minuti. Segue la giacenza che consiste nel lasciare la cagliata a riposo nel proprio siero per 20-30 minuti a 36-38°C ove continua lo spurgo. A questo punto si estrae la cagliata, la si fraziona secondo il peso desiderato e la si mette in forma entro appositi recipienti ove la forma viene ogni tanto rivoltata. In questa fase il formaggio si acidifica continuando a spurgare.
La linea di lavorazione fin qui descritta riguarda i formaggi a pasta molle; per ottenere formaggi a pasta dura (ad. es. Parmigiano Reggiano), occorre effettuare la cottura della pasta prima della giacenza. Durante lo sminuzzamento la temperatura viene aumentata da 32 a 42°C e, dopo una breve sosta, a 56°C nel giro di 15-20 minuti agitando la cagliata. Per i formaggi a pasta semicotta si arriva a 45°C (per l’Asiago), a 48°C (per la Fontina). L’elevata temperatura disidrata il coagulo, favorisce la coesione dei granuli e seleziona i microrganismi termofili utili per la maturazione del formaggio. Dopo la giacenza e l’estrazione la cagliata è posta in fascera o stampo (formatura) e sottoposta a compressione con appositi pesi per 18-24 ore.
7. STUFATURA e FILATURA. Alcuni formaggi (ad es. Gorgonzola) sono sottoposti alla stufatura in ambiente molto umido e caldo (22-23°C), per 6-48 ore ove si verifica una rapida acidificazione e notevole spurgo.
Nel caso di produzione di formaggi a pasta filata, la cagliata, dopo rottura grossolana, è avvolta in un telo e posta su un tavolo, dove soggiace a maturazione (acidificazione) per un tempo variabile da 30’ a 2-3 ore (a seconda se più o meno acida).A questo punto, la pasta è affettata grossolanamente e trattata con acqua a 85-90°C (filatura). Infine, terminata la filatura, la pasta è sottoposta alla pezzatura ed alla formatura volute.

8. SALATURA. Tutti i formaggi sono sottoposti a questa operazione di durata variabile a seconda del tipo di formaggio (meno di un’ora per la Mozzarella, 20-25 giorni per il Grana) per i seguenti scopi: conferire sapidità al prodotto migliorandone il gusto; favorire la formazione della crosta; regolare il tenore di acqua e lattosio della pasta caseosa; selezionare la flora microbica, ostacolando alcuni agenti nocivi e favorire quelli utili. Può essere fatta a secco cospargendo il sale da cucina grossolanamente macinato sulla superficie delle forme e per via umida ponendo le forme, per prestabiliti periodi di tempo, in una soluzione di sale alla voluta concentrazione.

9. FORMAZIONE DELLA CROSTA. La crosta svolge essenzialmente il compito di proteggere la massa dall’ambiente esterno, sostenere la pasta, limitare le perdite per evaporazione e favorire la maturazione. Questo strato protettivo si forma per indurimento dello strato esterno della caseina in seguito alla notevole liberazione di siero delle parte esterna della forma, grazie anche alla salatura.

10. STAGIONATURA o MATURAZIONE. è un processo per cui la cagliata diviene formaggio. è decisamente complessa e si realizza in appositi locali chiamati casere per un periodo variabile a seconda del formaggio: da qualche giorno (Crescenza) fino a 12-18 mesi (Grana). L’atmosfera delle casere è controllata: infatti la temperatura varia da 5-10°C per i formaggi a pasta molle, a 12-20°C per quelli a pasta cotta.; l’umidità relativa è in ogni caso elevata, intorno al 90%.

Nella maturazione del formaggio si verificano:
- diminuzione del tenore di acqua;
- aumento dell’estratto secco;
- diminuzione delle proteine;
- aumento del cloruro di sodio;
- aumento del pH;
- aumento degli acidi grassi liberi;
- parziale demolizione delle frazioni caseiniche;
- aumento dell’azoto solubile.

LAVORAZIONI PARTICOLARI
I formaggi fusi (formaggi a fette e formaggini) si ottengono da forme difettose di formaggio più o meno stagionato, a pasta più o meno dura. Eventuali altri componenti sono crema, burro, latte, ricotta e siero in polvere. La preparazione dei formaggi fusi esige la perfetta fusione a caldo della materia prima, cosa che è favorita dall’impiego di fondente, cioè polifosfati e citrato sodico o potassico.
Il Gorgonzola, dopo 15 giorni di maturazione è forato per consentire l’entrata di aria che permette lo sviluppo delle muffe aggiunte come spore prima del caglio.
Il Mascarpone si prepara con crema, al 25-50% di grasso, riscaldata a 90°C e coagulata per aggiunta di acido tartarico o acido acetico o acido citrico.

Strutture per la lavorazione del latte
Il latte destinato al consumo diretto viene lavorato prevalentemente in grossi centri di raccolta, chiamati "centrali del latte". Il latte raccolto con autocisterne o bidoni presso le aziende produttrici arriva agli impianti dove viene filtrato, sterilizzato e confezionato per la vendita.
Il caseificio è il fabbricato in cui il latte viene trasformato in burro e formaggio. Il latte viene ricevuto in un vestibolo dive viene pesato, controllato e filtrato. Successivamente passa in una sala dove sono situate le scrematrici a centrifuga o le bacinelle per l’affioramento naturale Molto spesso, prima della caseificazione, il latte viene pastorizzato. Il latte viene lavorato in un’ampia sala in cui sono sistemate le caldaie e ripiani per la messa in forma dei formaggi (ambiente ben aerato, illuminato e mantenuto ad una temperatura di 25-30°C). Il formaggio, prima di passare al magazzino di stagionatura, viene portato nel salatoio (con vasche per la salatura in salamoia o scaffali a castello per quella a secco). Indispensabile nel caseificio è le presenza del magazzino di stagionatura. Nei grossi impianti il burro viene preparato in una sala a parte dove si trovano le zangole, le impastatrici e le confezionatrici.
Il caseificio è completato da altri locali in cui si trovano le celle frigorifere per la conservazione del burro e dei formaggi molli, i generatori di vapore e di calore, i laboratori, ecc.

Resa, composizione e classificazione dei formaggi
La resa del latte in formaggio varia in misura notevole da tipo a tipo di formaggio, per il diverso contenuto in acqua, conseguenza soprattutto della diversa tecnologia impiegata a produrli.

Resa e contenuto di acqua di alcuni formaggi italiani

Tipo di formaggio

Resa (%)

% di acqua

Asiago

9-10

35

Parmigiano Reggiano

6-7

32

Gorgonzola

11-12

40

Taleggio

12,5

50

Fior di latte

12-13

> 50

Crescenza

14-16

> 50

Oltre all’acqua, nel formaggio è contenuto grasso, proteine, acidi lattico (0,5-1%), lattosio (presente solo nei formaggi a pasta molle e freschi) e ceneri (quelle del latte sommate al cloruro di sodio assorbito nella salatura).

Composizione media di alcuni formaggi


Tipo di formaggio

Grasso (%)

Proteine (%)

Sali (%)

Acqua (%)

Crescenza

23

17

4

56

Gorgonzola

30

24

6

40

Parmigiano Reggiano

27

35

6

32

Pecorino romano

30

27

10

32

Mascarpone

45

6

2

47

I numerosi tipi di formaggio vengono classificati in base alla consistenza della pasta (molli, semiduri, duri), alla temperatura di lavorazione in fase di preparazione della cagliata (crudi, semicotti, cotti), al contenuto di grasso (magri, semigrassi, grassi) e al tempo di stagionatura (freschi, semistagionati, stagionati).
La legislazione italiana, al fine di valorizzare la produzione nazionale, stabilisce la denominazione di formaggio tipico per i prodotti ottenuti nel territorio italiano con particolari tecniche e con latte prodotto esclusivamente in Italia, e di formaggio D.O.C. (a denominazione di origine controllata) la cui produzione avviene in zone del territorio nazionale ben delimitate (es. Asiago, Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano).

Grana Parmigiano-Reggiano
è il formaggio italiano più noto ed importante. è semigrasso, a pasta dura e cotta, a maturazione lenta. è fabbricato da latte della mungitura serale scremato per affioramento unito a quello della mattina.
La stagionatura dura circa 12-18 mesi; è utilizzato da tavola e da grattugia. Ha forma cilindrica a scalzo lievemente convesso; diametro da 35 a 45 cm, altezza da 18 a 24 cm, peso minimo kg 24, crosta spessa 5-6 mm. Pasta di colore paglierino più o meno intenso, aroma fragrante, sapore delicato saporito, ma non piccante; minutamente granulosa, con frattura a scaglia e occhiatura appena visibile.
Zona di produzione: il territorio dell’Emilia centrale, comprendente le province di Parma, Reggio Emilia, Modena e la parte della provincia di Bologna, situata alla sinistra del Reno; inoltre la parte meridionale della provincia di Mantova a destra del Po.

Grana Padano
è realizzato secondo una tecnologia analoga a quella del Parmigiano-Reggiano; altrettanto può dirsi delle caratteristiche esterne e delle dimensioni della forma.
Zona di produzione: Piemonte, Lombardia ad esclusione del territorio della provincia di Mantova situato alla destra del Po, la restante parte della Emilia non inclusa nella zona di produzione del Parmigiano-Reggiano, il Veneto, esclusa la provincia di Belluno, e la provincia di Trento.
In Italia viene prodotto un numero notevole di formaggi, alcuni dei quali noti ed apprezzati in tutto il territorio nazionale ed all’estero; altri invece sono legati a particolari zone di produzione.
Rassegna dei principali formaggi italiani


Freschi: di pronto consumo (senza maturazione)

Caciotte
Mascarpone
Formaggi cremosi
(Ricotta)

A pasta molle, e a maturazione rapida (10-30 giorni)

Robiole
Stracchino
Crescenza

A pasta molle, e a maturazione media (1-6 mesi)

Gorgonzola
Taleggio
Italico
Caciofiore
Pecorino toscano

A pasta filata

Mozzarella
Mozzarella di bufala
Provolone
Caciocavallo
Scamorza

A pasta dura:

  • a maturazione media
  • a maturazione lunga (12-18 mesi)

Fontina
Asiago
Montasio
Grana Parmigiano Reggiano; Grana Padano
Pecorino romano

 

 

Fonte:http://xoomer.virgilio.it/espraf/CHIMICA%20ALIMENTARE/Il%20latte/Latte.doc

Sito web da visitare: http://xoomer.virgilio.it/espraf/

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