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Il rachide, o colonna vertebrale, è quel complesso funzionale responsabile nell’uomo del mantenimento del suo equilibrio. La possibilità di orientare la testa nello spazio, di piegare il corpo in avanti, praticamente fino a dimezzarne l’altezza, di estenderlo all’indietro, di fletterlo lateralmente e infine di ruotarlo, permettendo alla testa, grazie alla somma di tutte le rotazioni nei diversi segmenti, di completare quasi il giro dell’orizzonte, è legata all’articolarità del rachide.
In effetti la colonna vertebrale porta in se la maggiore contraddizione funzionale del corpo umano del quale è si il pilastro centrale di sostegno ma è anche lo strumento dotato della massima mobilità. La disposizione segmentaria dello scheletro è la premessa della sua mobilità; la robustezza dei legamenti e la distribuzione dei muscoli sono la garanzia della sua forza e della sua selettività di movimento. Ciò significa che i legamenti per quanto potentissimi concedono per la loro forma e disposizione anatomica una grande mobilità alla colonna, mobilità che viene per così dire utilizzata, realizzata, dal giuoco muscolare che nella colonna normale è un vero mirabile equilibrio di sottili rapporti di forza.
Il rachide è una struttura meccanica di elevata complessità, dal punto di vista scheletrico essa è costituita da un insieme di 33 o 34 segmenti ossei sovrapposti, le vertebre.
Le principali funzioni del rachide sono: supportare il peso corporeo;
trasferire le forze in gioco fra la testa, il tronco e le pelvi; consentire la flessibilità del tronco;
consentire la flessione e la torsione del tronco; proteggere il midollo spinale.
Il rachide umano è formato da una serie di unità funzionali: ciascuna di queste risulta composta da due vertebre (ossa corte) sovrapposte e contigue con relativi tessuti interposti. Sul piano funzionale si può affermare che la parte anteriore dell’unità funzionale (formate dai corpi vertebrali con relative formazioni discali), è la parte portante, quella parte cioè che presiede alla statica e all’assorbimento degli urti; la parte posteriore, invece, formata dagli archi e dalle apofisi, è quella cinetica, dinamica, quella cioè che predetermina il movimento. Le vertebre, di forma fondamentalmente analoga tra loro hanno caratteristiche particolari, differenti a seconda del tratto a cui appartengono (il corpo e l’arco insieme delimitano un foro).
La colonna può essere suddivisa in quattro segmenti principali:
tratto cervicale: formato da 7 vertebre di cui la prima, atlante, si articola con l’osso occipitale della testa e l’ultima si articola con la prima vertebra toracica o dorsale; tratto toracico o dorsale: costituito da 12 vertebre toraciche con le quali si articolano le coste e delimitano posteriormente la gabbia toracica;
tratto lombare: consta di 5 vertebre lombari, l’ultima delle quali si mette in giunzione con il sacro. Esse sono più robuste e massicce delle precedenti e formano il fondo della schiena; tratto pelvico: costituito da due ossa, il sacro e il coccige, che derivano dalla fusione rispettivamente di 5 ossa sacrali e 4 o 5 ossa coccigee.
Le vertebre cervicali sono formate da piccoli corpi, le lombari e sacrali sono molto più grandi, questo perché il peso del corpo diventa più gravoso nelle vertebre inferiori.
I segmenti più sollecitati e mobili sono il tratto cervicale e quello lombare.
Sul piano frontale, in condizioni non patologiche, la colonna è simmetrica. Sul piano laterale invece si possono identificare quattro curvature caratteristiche E’ indispensabile ricordare che è proprio l’esistenza di queste curve cifolordotiche a far si che i carichi cui la colonna è sottoposta vengano ripartiti tra legamenti e muscoli, se la colonna fosse diritta il carico verrebbe sottoposto solo ed esclusivamente a livello discale.
Questa particolare geometria permette di aumentare la capacità di assorbimento degli impatti, nonché la flessibilità, mantenendo comunque una buona stabilità articolare. Queste quattro curve fisiologiche sono dall’alto in basso: lordosi cervicale a convessità anteriore, la cifosi dorsale a convessità posteriore, la lordosi lombare e la cifosi sacrococcigea. Sul piano frontale si riscontra una lieve curvatura laterale a livello toracico- lombare, con convessità destra nei destrimani e convessità sinistra nei mancini, la scoliosi fisiologica.
Una vertebra generica presenta, anteriormente, un corpo di forma pressoché cilindrica, costituito da tessuto osseo spugnoso, posteriormente si descrivono invece gli archi vertebrali che circoscrivono il canale vertebrale al cui interno si trova il midollo spinale. Sull’arco posteriore sono fissate dall’avanti all’indietro: due peduncoli ds e sn a forma di lamina che uniscono il corpo all’arco vertebrale i processi articolari superiori e inferiori che si articolano con gli omonimi delle vertebre sopra e sottostanti. Questi processi trasversi nel tratto lombare sono particolarmente pronunciati e prendono il nome di processi costi formi. Infine troviamo le lamine ds e sn che si uniscono a formare il processo mediano che si porta posteriormente denominato apofisi spinosa. Fra corpo e arco viene quindi a delinearsi uno spazio detto foro vertebrale che permette il passaggio del midollo spinale.
Nella colonna lombare il corpo vertebrale è più esteso in larghezza ed è più alto, l’apofisi spinosa è molto grande e si porta direttamente indietro. La quarta e quinta vertebra lombare a causa delle forti connessioni con l’iliaca (legamenti ileo lombari possono essere considerate come il tetto del bacino formando un collegamento statico fra rachide e bacino. Mentre la terza lombare, che si trova all’apice della lordosi lombare, è la prima vertebra veramente mobile della colonna vertebrale e funziona come un relais muscolare tra i fasci muscolari e provenienza iliaca.
A seguito delle vertebre lombari si trova l’osso sacro che deriva dalla fusione di cinque segmenti primitivi delle vertebre sacrali. Insieme alle due ossa dell’anca ed al coccige forma il bacino.
Nell’insieme ha una forma a piramide quadrangolare con la base in alto. Tale base forma con la 5° lombare un angolo a convessità anteriore detto promontorio. Tale forma dovuta alla rapida diminuzione della dimensione delle vertebre sacrali e coccigee dipende dal fatto che questo tratto di colonna non deve sostenere alcun peso. Il sacro è percorso dal canale sacrale, l’ultima parte del canale vertebrale. Nella faccia anteriore e posteriore il sacro presenta i fori sacrali anteriori e posteriori che permettono il passaggio dei nervi spinali sacrali.
La base del sacro si articola ocn la quinta lombare, posteriormente presenta l’orifizio superiore del canale sacrale. Lateralmente presenta due superfici triangolari le ali del sacro. Il sacro, per la sua conformaizone, può essere considerato un cuneo che s’incastra tra le due ali iliache sul piano frontale e sul piano trasversale. Si tratta di un sistema auto-
bloccante: maggiore è la risultante delle forze discendenti tanto più il sacro è bloccato tra le ali iliache. La stabilità del sacro è inoltre garantita dalla presenza di molti legamenti.
I punti articolari fra le vertebre sono essenzialmente tre: anteriormente – fra un corpo e l’altro – si interpone un disco biconvesso (disco intervertebrale – fig. 5) costituito da fibrocartilagine in periferia (anulus fibroso) e dal nucleo polposo nella parte centrale. Il nucleo polposo è costituito principalmente da una sostanza con un elevato contenuto di acqua, tale regione presenta quindi la possibilità di gonfiarsi richiamando acqua, generando una pressione idrostatica fondamentale per sostenere i carichi. Il nucleo agisce come un distributore di pressione in senso orizzontale sull’anello e sopporta circa il 75% del carico mentre l’anello solamente il 25%. Tale meccanismo si riduce se diminuisce la pressione intranucleare per esposizione prolungata al carico, che causa fuoriuscita di acqua dal nucleo o per altri meccanismi.
All’interno del nucleo non ci sono vasi sanguigni, la nutrizione avviene per processi di diffusione e osmosi attraverso le cartilagini limitanti vertebrali e grazie ad un meccanismo di pompa per il quale la diminuzione della pressione facilita l’ingresso di sostanze nutritizie e rallenta l’espulsione di cataboliti mentre l’incremento causa la condizione inversa.
La condizione ottimale è quindi determinata dal continuo alternarsi di posture di carico e scarico attorno ad un valore soglia di 80 kg, di pressione intradiscale. Al contrario situazioni di sovraccarico o sottocarico che si verificano ad esempio nel mantenimento delle posizioni fisse ostacolano il ricambio nutritizio e possono favorire fenomeni di degenerazione discale.
Il nucleo non si trova al centro del disco, è collocato in avanti nel segmento cervicale e posteriormente nei segmenti toracico e lombare. Esso è paragonabile a una sfera, si trova quindi fra due piani imprigionato nell’alloggio inestensibile formato dalle forti fibre dell’anulus. Permette movimenti di scivolamento anteroposteriore e laterale di un piano sull’altro e di rotazione ds e sn su un piano orizzontale di inclinazione ds e sn su un piano frontale e di flesso-estensione (inclinazione antero/posteriore) su un piano saggitale. In tutto permette movimenti di piccola ampiezza ma in sei direzioni che sommati insieme spiegano la grande mobilità della colonna.
Posteriormente alla radice dei due processi trasversi si descrivono due faccette articolari superiori e due inferiori (fig. 3) che si articolano con le faccette delle vertebre superiori e inferiori. Le faccette sono piccole articolazioni che si trovano nella parte posteriore delle vertebre a consentire flessione, estensione e rotazione laterale della colonna vertebrale. Questi giunti sono coperti di cartilagine, hanno una capsula articolare e contengono liquido sinoviale ovvero un fluido lubrificante che riduce l’attrito tra due superfici delle ossa, si muove e nutre la cartilagine.
Come accennato in precedenza, la colonna vertebrale è formata da due pilastri: uno anteriore passivo dato dal corpo e dal disco vertebrale e uno posteriore, attivo, dato dai processi trasversi, quelli spinosi e dalle faccette articolari. Quando i muscoli sono in tensione e si attivano, sgravano parte del carico dalla parte anteriore a quella posteriore e ridistribuiscono in modo uniforme il carico su tutta la vertebra. Per questo la lordosi finché è fisiologica è funzionale al sollevamento pesi.
Le faccette articolari mettono in contatto tra loro due vertebre contigue e determinano in gran parte il movimento del rachide, per esempio a livello lombare sono messe in modo tale da impedire la rotazione dell’ultimo segmento vertebrale, pertanto ad esempio le torsioni del busto a livello fisiologico da seduti con il bastone anatomicamente non hanno senso.
Importante è lo spazio che esiste tra i peduncoli delle varie vertebre, denominato incisura vertebrale, che, unendosi con l’incisura vertebrale della vertebra adiacente, determina il foro intervertebrale da cui emergono i nervi spinali.
Abbiamo quindi appurato che le vertebre sono articolate fra loro attraverso i dischi intravertebrali, le faccette articolari e diversi legamenti. La colonna vertebrale è inoltre sede di molte inserzioni muscolari. La stabilità spinale è quindi garantita non solo attraverso strutture passive, ma anche grazie ai muscoli antagonisti ed ai sistemi di controllo neuromuscolare.
I dischi intervertebrali, insieme alle faccette articolari, sono responsabili del trasferimento dei carichi compressivi agenti in verticale sulla regione superiore del corpo. I dischi sono quindi soggetti a carichi notevoli che possono comunque generare componenti anche in altre direzioni. Durante le attività quotidiane si possono infatti avere momenti flettenti tali da indurre una trazione del disco. Bisogna inoltre considerare le componenti torsionali indotte dalla rotazione assiale.
La colonna è sostenuta da formazioni muscolo-tendinee e legamentose che cercano di equilibrare le varie forze alle quali è sottoposta.
Come accennato all’inizio, la colonna nel suo complesso ha molteplici funzioni:
Sostegno: è il vero pilastro centrale del tronco, nella zona cervicale e lombare occupa quasi una posizione centrale nel tronco per sostenere testa e visceri, mentre nella zona toracica è spostata leggermente indietro dagli organi mediastinici.
Movimento: alla colonna sono ancorati testa e cingoli nonché moltissimi muscoli che permettono i movimenti nello spazio.
Contenimento: e protezione del midollo spinale che decorre nel suo astuccio osseo inestensibile assialmente. La gravità ed il peso degli organi tenderebbe ad accentuare le sue curve naturali se non intervenissero le strutture muscolari, prevertebrali, addominali,
paravertebrali, a mantenere tale conformazione. Tale particolare conformazione anatomica è fondamentale poiché aumenta la resistenza alla compressione assiale della colonna, visto che è dimostrato che la sua resistenza è proporzionale al quadrato del numero delle sue curve più uno. Quindi va da se che una colonna con due raddrizzamenti avrà una resistenza alla compressione assiale di circa la metà di una colonna normale.
L’unità funzionale della colonna è costituita da due vertebre adiacenti dal disco intervertebrale e dai tessuti molli interposti.
Da un punto di vista anatomico la cerniere lombosacrale
Le vertebre cervicali
Nel tratto cervicale, toracico e lombare, le vertebre sono formate d a un corpo e 7 processi. In ognuno di questi gruppi la forma e le dimensioni delle ossa sono diverse dalle altre.
Una vertebra tipica cervicale è piccola e ha un foro centrale molto ampio.
I processi trasversi sono nella parte laterale, ognuno di essi ha un foro che si chiama foro trasversario, di qui passano l’arteria e la vena vertebrale.
La 7° vertebra cervicale è detta prominente, non ha il foro per l’arteria cervicale e ha il processo spinoso molto lungo e non bifido, questa vertebra sporge molto all’esterno.
Le vertebre cervicali hanno caratteristiche peculiari, la prima si chiama Atlante e la seconda Epistrofeo. L’atlante non ha il corpo, ma possiede due archi, un normale e l’altro dove di solito si trova il corpo, si chiamano arco anteriore e posteriore.
In questa vertebra manca il processo spinoso.
Nell’atlante c’è un grande foro vertebrale riempito in parte dall’articolazione con la seconda vertebra.
La seconda vertebra si chiama epistrofeo, sopra al corpo ha una protuberanza detta Dente dell’Epistrofeo.
Essa possiede l’inizio di un processo spinoso bifido. Il dente dell’epistrofeo è molto lungo, sovrasta l’atlante e arriva a livello del grande foro occipitale, nei colpi di frusta violenti se si frattura può colpire il midollo e può portare fino al decesso.
La morte per impiccagione è causata dalla rottura del Dente dell’Epistrofeo.
E’ importante nei grandi fratturati non muovere il collo perché il dente dell’epistrofeo emerge nel grande foro occipitale e può comprimere il tronco celebrale e il midollo allungato in cui giacciono i centri respiratori. La distruzione di questa parte del cervello porta alla morte perché qui ci sono centri vitali.
La colonna vertebrale si collega alla base del cranio tramite l’atlante, in corrispondenza delle faccette articolari, ai lati del grande foro dell’osso occipitale.
L’articolazione si chiama Atlo-Occipitale e permette solo movimenti di flesso-estensione.
Il movimento di rotaizone della testa invece avviene a livello dell’articolazione tra Atlante ed Epistrofeo.
Le vertebre toraciche
Le vertebre toraciche hanno il corpo più grande rispetto alle cervicali, ma queste ultime hanno un diametro trasverso maggiore.
Scendendo verso le vertebre lombari il processo spinoso è sempre più inclinato e non è bifido.
I processi trasversi presentano una faccetta articolare.
La prima vertebra toracica presenta una sola faccetta costale sul corpo, dalla seconda alla decima ci sono due emi-faccette, perché le coste si articolano con la vertebra corrispondente e con quella precedente.
Il foro vertebrale è minore rispetto alle vertebre cervicali e ha una forma simile ad un pentagono.
Il processo trasverso delle vertebre toraciche permette alle coste di alzarsi, con la contrazione dei muscoli intercostali.
La testa della costa si articola con due vertebre tranne la prima, l’undicesima e la dodicesima. Le altre si articolano con la costa di numero corrispondente.
Le vertebre lombari
Le vertebre lombari sono cinque, hanno corpo grande e foro vertebrale molto piccolo rispetto al corpo, hanno un processo spinoso grande a forma quadrilatera.
Il foro vertebrale è più largo delle vertebre toraciche ma meno di quelle cervicali ed ha forma simile ad un triangolo. Le faccette articolari superiori hanno superficie concava, mentre le inferiori convessa.
I processi articolari superiori guardano avanti e gli inferiori indietro, nelle toraciche è il contrario.
La quinta vertebra lombare ha alcune differenze rispetto alle altre quattro, sul piano sagittale ha forma simile ad un trapezio rettangolare con il lato minore verso il processo spinoso, inoltre i processi trasversi e le faccette articolari inferiori sono in una posizione più laterale rispetto alle altre vertebre.
Si trova tra il tratto lombare e quello coccigeo ed ha la forma simile ad una piramide rovesciata. E’ formato dai corpi di 5 vertebre uniti senza interposizione di dischi intervertebrali.
Lateralmente i processi trasversi si sono fusi tra loro formando delle sporgenze chiamate ali. I fori intervertebrali sono detti fori sacrali, sono presenti quattro fori anteriori e quattro posteriori per lato, da questi escono i nervi spinali.
L’osso sacro ai due lati presenta una superficie articolare chiamata faccetta auricolare perché ha una forma che ricorda l’orecchio.
Questa si articola con la faccetta abbastanza sottile che sta nell’osso dell’anca formando
l’articolazione sacro-iliaca.
L’osso sacro si articola inferiormente con il coccige.
I LEGAMENTI VERTEBRALI
La stabilità della colonna vertebrale è assicurata da molti robusti legamenti. Il legamento longitudinale anteriore riveste i corpi vertebrali come una calza, da cima a fondo.
Anche il legamento longitudinale posteriore percorre la colonna vertebrale in tutta la sua lunghezza. Fra gli archi vertebrali, i processi spinosi e le apofisi trasverse sono tesi anche altri legamenti elastici. I legamenti hanno dunque la funzione di mantenere la colonna vertebrale “in forma”. Ora questi legamenti non riescono da soli a limitare le curbature della colonna quando esse sono troppo ampie o mantenute per troppo tempo. Il compito verrà quindi assolto dall’intervento della muscolatura vertebrale profonda. Quando i legamenti vengono sottoposti a stiramenti troppo prolungati possono andare incontro a fatica e alla perdita di sensibilità. Questo stato di cose può comportare dolore diffuso e costante (lombalgia) oppure blocchi lombari derivanti dalla messa in tensione del legamento vertebrale posteriore e dalla conseguente infiammazione.
Il compito dei legamenti è quello di limitare la mobilità del rachide sviluppando tensione passiva in grado di opporsi, insieme all’azione muscolare, ai momenti esterni prodotti da forze come la gravità o l’inerzia.
I legamenti come altri tessuti biologici quando sono sottoposti a carichi di trazione manifestano un comportamento meccanico di tipo visco-elastico.
Se lo stiramento è rapido, determinato ad esempio da un movimento veloce, si comportano come molle sviluppando una tensione direttamente proporzionale all’allungamento subito. Se lo stiramento è lento si verificano fenomeni legati alla viscosità n cui si viene a perdere la proporzionalità fra allungamento e tensione sviluppata.
ARTICOLAZIONI INTERVERTEBRALI
Numerosi muscoli e legamenti tengono ben salda la colonna. Mobilità delle articolazioni:
le articolazioni vertebrali si possono dividere in due tipi:
tra i corpi ci sono delle sinfisi (tipo di articolazione semimobile in cui le ossa sono collegate mediante cartilagine o tessuto fibroso ) e hanno una mobilità limitata in ogni direzione; tra i processi inferiori e superiori di vertebre adiacenti si chiamano artrodie (tipo di articolazione tra due capi ossei in cui questi si affrontano mediante superfici pianeggianti) e sono responsabili della mobilità della colonna.
I movimenti possibili sono la flesso-estensione, l’inclinazione laterale e la rotazione. L’escursione articolare massima del tronco è:
nella flessione 75/80° nell’estensione di 25/30° nell’inclinazione laterale 30/35° nella rotazione 40/45°
A livello cervicale la mobilità è maggiore rispetto agli altri tratti, infatti qui i movimenti possono arrivare a:
flessione 50°
estensione 45°
inclinazione laterale 45°
rotazione 65°
La flesso-estensione è un movimento che si esegue sul piano saggitale e sull’asse trasverso: Durante l’estensione lo spazio del foro intervertebrale si riduce, viceversa nella flessione. Questo movimento è svolto quasi interamente dalla parte cervicale e lombare, mentre il tratto toracico è impossibilitato a compierlo soprattutto a causa delle articolazione con le coste e in misura minore per lo spessore ridotto del disco rispetto ai corpi vertebrali.
Sul tratto lombare l’escursione articolare lombare è di 60° in flessione e 45° in estensione. Inclinazione laterale.
Il movimento avviene sul piano frontale e sull’asse sagittale del corpo, è limitato in caso di scoliosi.
Rotazione
La rotazione si svolge sul piano trasverso e sull’asse longitudinale.
Tra le strutture articolari tra vertebra e vertebra l’articolazione lombosacrale è particolarmente importante sia da un punto di vista biomeccanico che patologico. Tra le differenti articolazioni abbiamo:
Articolazioni intervertebrali: sono delle articolazioni non sinoviali, cartilaginee del tipo delle sinfisi. Si instaurano fra la faccia superiore di una vertebra coperta di cartilagine e il disco intervertebrale.
Articolazioni interapofisarie: son articolazioni sinoviali, si effettuano fra faccette articolari piane. I movimenti sono sempre di scorrimento tra superfici, ma se il disco permette la mobilità vertebrale, queste articolazioni ne condizionano la direzione. Il loro orientamento varia nei diversi piani del rachide. A livello lombare sono rivolte all’interno. La loro inclinazione orizzontale è di 90°. Una considerazione particolare va data alla vertebra D12 che si presenta con una conformazione dorsale per le sue articolazioni superiori, mentre è lombare con quelle inferiori. Le superfici articolari sono rivestite da cartilagine e hanno una capsula articolare densa ed elastica che le ricopre come una cuffia.
FORAMI INTERVERTEBRALI (O DI CONIUGAZIONE)
Sono gli spazi attraverso i quali fuoriescono i nervi spinali. Ciascun forame è delimitato anteriormente dal disco intervertebrale e dalla parte posteriore del corpo vertebrale, posteriormente dalle articolazioni inter-apofisarie e dal bordo esterno del legamento giallo (i legamenti gialli costituiscono, assieme ai legamenti interspinosi, sopraspinosi e intertrasversari, i legamenti a distanza dell’articolazione intrinseca della colonna vertebrale, la quale ha la funzione generale di unire le vertebre tra loro, contribuendo alla stabilizzazione e alla mobilità fra osso e osso). superiormente ed inferiormente dai peduncoli delle vertebre sopra-sottostanti. Il forame vertebrale è costituito per 1/5 dal nervo spinale e per 4/5 da altri tessuti molli (vasi, tessuto adiposo) che possono andare incontro a fenomeni infiammatori e ridurre lo spazio del forame. Ovviamente anche altri fenomeni quali artrosi delle faccette articolari protrusione del disco spondilosi ipertrofia dei legamenti gialli ecc. possono ridurre tale spazio ed entrare in conflitto con le radici nervose scatenando la sintomatologia dolorosa.
NERVI SPINALI
Il complesso meccanismo di organizzazione e controllo del sistema nervoso prevede un doppio canale di trasmissione che è difficile far inceppare, a meno che non si tratti di gravi patologie nervose.
Questo sistema sviluppa due vie, quella piramidale e quella extrapiramidale.
Sistema piramidale
E’ il sistema della motilità volontaria.
Il sistema piramidale è un sistema di vie nervose che provvedono ai movimenti volontari dei muscoli, permettendo lo svolgimento del movimento attraverso un circuito neuronale costituito da due neuroni. La pianificazione del gesto motorio avviene nelle aree corticali. Il sistema extrapiramidale
E’ un sistema di vie e di centri nervosi che agiscono direttamente o indirettamente sulla corretta azione motoria, controllando le reazioni istintive orientate e adattandole al movimento volontario, coordinato dal sistema piramidale.
Esso interviene nella regolazione del tono muscolare, di cui modifica la distribuzione nei singoli distretti, in rapporto al continuo variare dei reciproci rapporti dei vari segmenti corporei.
Altre sue funzioni sono rappresentate dalla regolazione dei movimenti automatici (movimenti della deglutizione, movimenti associati, pendolari, degli arti superiori nella deambulazione ecc) e da quella dei movimenti espressivi, mimici.
Il sistema nervoso periferico è costituito da una fitta rete di “cavi” (i nervi) che collegano il sistema nervoso centrale con tutte le altre zone del corpo, sia quelle interne sia quelle superficiali: in questo modo anche le informazioni provenienti dall’ambiente esterno vengono captate e trasmesse attraverso i nervi al sistema nervoso centrale.
I nervi avvolti in un tessuto connettivo detto epinevro, sono formati da fibre nervose che in base alla loro caratteristica di conduzione si distinguono:
sono collegate con i neuroni dei centri motori e si chiamano così perchè trasmettono gli stimoli dal centro alla periferia;
sono collegate alle cellule degli organi di senso e sono così chiamate perchè trasmettono gli stimoli dalla periferia al centro.
I nervi, perciò, in base al loro compito si distinguono in:
Plesso nervoso
I nervi spinali, inoltre, si uniscono in un intreccio più o meno complicato, chiamato plesso.
I plessi più importanti sono:
il cervicale, il brachiale, il lombare, il sacrale, il pubendo ed il coccigeo.
I nervi spinali più importanti sono:
il nervo sciatico (il più lungo e voluminoso dell’organismo che innerva la maggior parte dei muscoli dell’arto inferiore);
il nervo ulnare, il radiale ed il mediano che innervano l’arto superiore il nervo frenico che innerva il diaframma
il nervo femorale, l’otturatorio ecc.
Il Sistema nervoso periferico anatomicamente è diviso in due gruppi di nervi:
nervi encefalici
sono 12 paia sia motori che sensitivi e misti
sono in rapporto con l’encefalo, tra cui il nervo trigemino, l’ottico, l’olfattivo, l’acustico, il vago ecc.
nervi spinali
sono 31 paia tutti misti
sono collegati al midollo spinale, si suddividono in tre ramificazioni, delle quali le prime due vanno ad innervare i muscoli e gli organi del corpo, mentre la terza permette il collegamento con il sistema simpatico.
BIOMECCANICA DEL RACHIDE
Quando nasciamo abbiamo un’unica curva, una grossa cifosi, in quanto il feto è rannicchiato su se stesso con gli arti superiori e inferiori in flessione, successivamente il riflesso di estensione porterà alla creazione della prima lordosi (avvallamento verso l’interno), quella cervicale.
Soltanto con l’attivazione dei flessori dell’anca avremo, successivamente, la creazione della seconda lordosi, quella lombare.
Anatomicamente, lordosi e cifosi si susseguono; a livello funzionale però non finiscono con la colonna vertebrale ma le lordosi e le cifosi proseguono a livello dell’occipite in cui abbiamo una cifosi (coppetta), a livello sacrale dove ne abbiamo un’altra e se scendiamo dietro il ginocchio a livello popliteo abbiamo una lordosi e a livello del tallone abbiamo un’ultima cifosi.
Si ritiene che tra la lordosi e la cifosi quest’ultima sia la più importante in quanto essa protegge le parti vitali: a livello toracico protegge polmone e cuore, a livello delle pelvi gli organi riproduttivi e a livello del tallone la deambulazione.
Le curvature fisiologiche del rachide hanno origine dal passaggio dalla posizione quadrupede a quella bipede. Con la stazione eretta, infatti, si ha una riduzione della base di appoggio e la progressiva formazione delle curve fisiologiche migliora la distribuzione del peso, assicurando l’equilibrio che è regolato dal tono posturale e dalle sinergie dei muscoli agonisti e antagonisti; oltre a questo ruolo le curve fisiologiche servono anche per aumentare la resistenza della colonna alle sollecitazioni di compressione assiale. Infatti la
resistenza di una colonna che presenta delle curve è proporzionale al quadrato del numero delle curve più uno e di conseguenza il rachide umano, con tre curve mobili, ha una resistenza dieci volte maggiore di quella di una colonna rettilinea sprovvista di curve.
Inoltre la presenza delle lordosi, in particolare quella lombare, permette agli arti superiori ed inferiori di eseguire movimenti di grande ampiezza.
Considerato nel suo insieme, il rachide rappresenta l’equivalente di un’articolazione con tre gradi di libertà: flesso-estensione, inclinazione laterale destra e sinistra, rotazione assiale. L’ampiezza di questi movimenti elementari, pur essendo molto piccola ad ogni singolo livello, diviene ampia nella sua totalità dato l’elevato numero delle articolazioni vertebrali.
I punti di passaggio tra una regione e l’altra sono detti “cerniera di rotazione” e coincidono con i punti di inversione delle curve fisiologiche del rachide. La vertebra a livello della cerniere viene detta di “transizione” e reca in sé le caratteristiche delle vertebre del gruppo superiore e inferiore.
Le cernieredirotazionedellacolonnavertebralesono:
Cerniera lombo-sacrale L5-S1 (V vertebra lombare I sacrale). Le rotazioni minime caratteristiche della colonna lombare (5°), che presenta invece movimenti di flesso- estensione (50°-35°) e inclinazione (flessione laterale 20°) analoghi agli altri livelli rachidei, sono principalmente a carico della cerniera lombo-sacrale, e sono di importanza fondamentale per bilanciamento corporeo durante la deambulazione.
Cerniera dorso-lombare, D12-L1 (XII vertebra dorsale e I lombare) e D8-D7 (VIII e VII vertebra dorsale). La complessa attività della cerniera D12 -L1 consente la variazione della posizione del tronco nello spazio.
La dodicesima vertebra dorsale (D12) rappresenta il fulcro immobile della cerniera dorso- lombare, paragonata da Delmas a una vera rotula dell'asse rachideo (presenta un voluminoso corpo vertebrale, con articolazioni posteriori di tipo toracico e quelle posteriori di tipo lombare, i principali muscoli spinali passano a ponte dietro il suo arco vertebrale), a questo livello vi è un cambio di capacità di rotazione e della curva fisiologica della colonna vertebrale (cifosi dorsale, lordosi lombare). Durante la deambulazione, le vertebre al di sopra di D12 e fino alla D7 permettono la rotazione del tronco sufficiente a seguire l'arto inferiore che avanza. Le vertebre dorsali superiori alla D7 invece ruotano in senso contrario seguendo il bilanciamento dato dall'avanzamento dell'arto superiore controlaterale all'arto inferiore; da cui l'importanza anche del cingolo scapolo omerale nelle attività motorie. Al di sotto di D12 è effettuata una rotazione relativa, poiché la cerniera lombo sacrale, come visto, ruota al massimo di 5°, che consente di rimanere stabili nel proprio assetto verticale durante la rotazione.
Ogni segmento vertebrale dorsale ha stretti rapporti con le coste corrispondenti le quali, formando la gabbia toracica, oppongono resistenza limitando i movimenti. Per tale motivo il grado di rotazione del tratto dorsale (35°, flessione 40°, estensione 30°, inclinazione 20°) è massimo in corrispondenza D10-D11 in quanto le ultime due coste sono fluttuanti ossia non si articolano con lo sterno.
Cerniere cervicali, C7-D1 (VII vertebra cervicale-I dorsale) C1-C2 (atlante-epistrofeo) , C0- C1 (occipite-atlante). L'organizzazione generale del rachide cervicale corrisponde all'esigenza della ricerca e acquisizione sensoriale permettendo l'orientamento e la collocazione nello spazio e negli eventi. A livello di C7-D12 si ha l'inversione delle curve rachidee (cifosi dorsale, lordosi cervicale) nonchè la controrotazione fra esse quando si ruota la testa. A livello cervicale ogni rotazione si accompagna a un'inclinazione (flessione laterale), fa eccezione la rotazione pura di C7 su un piano inclinato di 10° rispetto l'orizzonte. I movimenti di rotazione (80°) dipendono in gran parte dalla cerniera C1-C2 (articolazione atloido-assoiodea), quelli di flesso-estensione (50°-70°) partono dalla cerniera
C0-C1 per poi coinvolgere le vertebre sottostanti, mentre quelli di inclinazione (45°) fanno fulcro a livello di C3 e secondariamente di C0-C1.
ARTICOLARITA’ SEGMENTARIA E GLOBALE DELLA COLONNA VERTEBRALE
Considerato nel suo insieme, (fra sacro e cranio), il rachide rappresenta l’equivalente di una articolazione con tre gradi di liberta: flesso-estensione, inclinazione laterale destra e sinistra, rotazione assiale. L’ampiezza di questi movimenti elementari, pur essendo molto piccola ad ogni singolo livello, diviene ampia nella sua totalità dato l’elevato numero delle articolazioni vertebrali. Uno degli elementi che condiziona i movimenti della colonna è l’orientamento delle faccette articolari delle vertebre. A livello cervicale le faccette articolari sono orientate a metà tra l’orizzontalità e l’inclinazione antero-posteriore, nel tratto dorsale sono orientate all’indietro e leggermente in alto e in fuori, mentre a livello lombare sono volte in dietro e in dentro. L’ampiezza dei movimenti dei vari segmenti rachidei può essere misurata su radiogrammi effettuati in proiezione antero-posteriore
la flessione è di 40° e l’estensione è di 75°; l’inclinazione laterale è compresa tra i 35° e i 45°; la rotazione è compresa tra i 45° e i 50°.
la flessione è di 45° e l’estensione è di 25°; l’inclinazione laterale è di 20°;
la rotazione è di 35°.
la flessione e di 60° e l’estensione è di 35°; l’inclinazione laterale è di 20°;
la rotazione, molto limitata, è di 5°.
Questi valori sono indicativi in quanto variano notevolmente a seconda dei vari soggetti e dell’età. L’articolarità globale del rachide può essere valutata clinicamente tramite alcuni movimenti “test” chiesti direttamente al soggetto. La flessione totale del rachide è di 110°; l’estensione massima è complessivamente di 140°; l’inflessione o inclinazione laterale totale varia da 75° a 80°; la rotazione assiale tra bacino e cranio varia tra i 90° e i 95°.
BIOMECCANICA DEL RACHIDE E FLESSIONI LATERALI
Per comprendere il corpo in movimento è indispensabile conoscere il rapporto tra corpo e forza di gravità.
L’equilibrio nel corpo umano è un insieme di aggiustamenti automatici ed inconsci che ci permettono, contrastando la forza di gravità, di mantenere una posizione o di non cadere durante l’esecuzione di un gesto; l’unico momento in cui il corpo umano non resiste alla forza di gravità è quando si è sdraiati.
Il baricentro, o centro di gravità, è il punto di applicazione di tutte le forze peso su un corpo, la verticale passante per il baricentro è detta linea di gravità.
La posizione del baricentro cambia in relazione alla forma e alla posizione di tutte le parti che compongono un corpo. Questo avviene anche nel corpo umano, che è paragonabile ad una struttura formata da più segmenti sovrapposti; nell’uomo fermo in piedi, il baricentro è situato davanti al terzo superiore dell’osso sacro: l’ombelico.
Il baricentro si proietta sul terreno all’interno di una zona detta base di appoggio, fino a quando la proiezione del centro di gravità si mantiene all’interno della base di appoggio si è in una condizione di equilibrio, quando tale proiezione si sposta verso la sua periferia si perde progressivamente stabilità e si è costretti, per mantenere l’equilibrio, ad un aumento di lavoro muscolare o a una veloce variazione della base di appoggio.
Quando siamo in piedi con base instabile possiamo aumentare la base di appoggio: allargando le gambe, usare un supporto esterno (es. un bastone), appoggiando un ginocchio su una superficie.
Nella macchina umana i singoli movimenti dei diversi segmenti articolari si basano sui meccanismi fisici delle leve.
Nella forma più tipica e conosciuta, la leva è una barra rigida che ruota attorno ad un asse, il fulcro, e alla quale vengono applicate due forze antagoniste:
la potenza – la distanza della potenza dal fulcro viene definito braccio della potenza
la resistenza. – la distanza della resistenza dal fulcro viene definita braccio della resistenza. La leva è in equilibrio quando:
potenza x braccio della potenza = resistenza x braccio della resistenza
Nel corpo umano il segmento osseo è l’asse della leva, l’articolazione è il fulcro, la forza peso è la potenza e la forza muscolare è la resistenza, quindi la leva articolare è in equilibrio quando:
forza muscolare x distanza dei muscoli dall’articolazione
=
peso x distanza del peso dall’articolazione
A livello del fulcro della leva, se la applichiamo alle vertebre lombari, si sommano il peso sollevato, la forza necessaria per svolgere il compito, il peso delle strutture sovrastanti (capo, torace, arti superiori e visceri) e la tensione generata dai muscoli e legamenti che agiscono a questo livello. Tale somma prende il nome di sovraccarico discale.
Quindi, più teniamo il peso vicino al corpo minore sarà la distanza del peso sollevato dall’articolazione e minore sarà la forza muscolare necessaria a sollevarlo, quindi minore sarà il sovraccarico discale.
PRESSIONE SUI DISCHI INTERVERTEBRALI
Tutto ciò premesso si deduce che, per quanto riguarda i piegamenti laterali, maggiore è l’apertura delle gambe maggiore sarà la base di appoggio e quindi minore il peso da sopportare durante la flessione, le gambe piegate fanno in modo che ci sia un’ulteriore ammortizzazione del peso ma per questo è necessario verificare anche il fine ultimo della pratica.
I muscoli addominali (antero-laterali e posteriori) ben tonificati ed un diaframma efficiente permettono di scaricare fino a circa il 40% della pressione gravante sui dischi lombari. Un notevole alleggerimento del carico sulle vertebre è anche determinato dalla corretta posizione del busto durante l’esecuzione degli esercizi (mantenimento delle curve fisiologiche della colonna vertebrale).
Teniamo presente inoltre che un buon riscaldamento permette di innalzare la temperatura del muscolo e di migliorarne nel contempo l’irrorazione sanguigna, il metabolismo e la elasticità quindi, oltre ad un maggiore rendimento si possono evitare stiramenti e strappi muscolari. Aumenta anche il trofismo dei tessuti privi di vasi sanguigni (cartilagini articolari e dischi intervertebrali) per cui avviene una ottimale diffusione di liquidi e substrati nutritivi. Diminuisce anche la viscosità del liquido sinoviale delle articolazione e, di conseguenza, ne viene migliorata la funzionalità in quanto le facce articolari scorrono più facilmente.
Nell’eseguire le flessioni laterali, pur andando a comprimere in modo innaturale le vertebre l’essenziale è che vi sia una soluzione di continuità, ovvero è necessario che all’interno di una seduta di asana o tra una seduta e l’altra i dischi intervertebrali riescano a recuperare le loro caratteristiche fisiologiche che ne garantiscono l’efficienza ottimale (spessore e idratazione). Diversamente verrebbe compromesso il ricambio nutrizionale causando una deidratazione e, nel tempo, un assottigliamento. La nutrizione dei dischi, infatti, non avviene attraverso i capillari sanguigni ma grazie ad una azione di “pompa” azionata dall’alternanza tra carico e scarico. Questo permette l’entrata e l’uscita di liquido (perfusione).
Attraverso opportuni esercizi di “scarico” della colonna vertebrale si ottiene una veloce reidratazione dei dischi ed una attivazione del loro metabolismo nutritivo.
Un discorso analogo vale anche per le altre articolazioni ove il carico fisso e prolungato ostacola il metabolismo, basato sul meccanismo di diffusione, della cartilagine ialina. Inoltre al termine della pratica vanno limitati quegli esercizi di “defaticamento” anche se eseguiti in maniera blanda, che imitano gli esercizi che hanno portato al sovraccarico e alla compressione articolare in quanto, pur essendo funzionali per l’apparato muscolare e cardiocircolatorio, mantengono i dischi in compressione, quindi va bene il defaticamento ma seguito da un adeguato riposo. Una inadeguata esecuzione di esercizi di defaticamento al termine di ogni pratica o scarso recupero tra una seduta e l’altra genera residuo di tossine e congestioni muscolari. Le pratiche di allungamento, che sono all’ordine del giorno in una seduta di yoga, inoltre aiutano a decontrarre i muscoli mantenendoli estensibili, mentre gli esercizi di mobilità riportano l’articolazione ad uno stato di efficienza ottimale.
Forza agente sulla vertebra L3 in diverse situazioni in un soggetto di circa 70 kg. di peso (figura elaborata sui dati della tabella descrittiva in “Basi biomeccaniche nella prevenzione dei danni alla colonna lombare durante esercizio fisico – Revisione della bibliografia esistente” di Zatsiorskij V.M. e Sazonov V.P. – Atleticastudi n. 5 del 1988)
Bisogna tenere presente che un carico esterno molto elevato, posizionato o sollevato in maniera corretta comporta pressioni vertebrali notevolmente inferiori rispetto a un carico esterno molto basso posizionato o sollevato in modo non corretto.
Contrariamente a quanto generalmente si crede, anche alcune semplici posizioni o movimenti effettuati col solo carico naturale possono comportare delle notevoli pressioni sui dischi intervertebrali. Il mantenimento delle normali curve fisiologiche, in qualsiasi attività o posizione del corpo sotto carico è la migliore garanzia per una corretta distribuzione e assorbimento delle pressioni sulla colonna vertebrale.
Resistenza al carico del rachide in funzione del numero di curve
Un’altra considerazione molto importante è da attribuire ai muscoli addominali (antero- laterali e posteriori) i quali se ben tonificati unitamente a un diaframma efficiente, permettono di scaricare fino a circa il 40% della pressione gravante sui dischi lombari e questo grazie al contenimento delle pressioni endoaddominali, ovvero che si trovano all’interno della cavità addominale, e alla distribuzione delle forze su tutta la fascia addominale.
L’attività fisica intensa e le posture fisse assunte per lungo tempo nelle attività quotidianamente svolte, sovraccaricano e mantengono compressi, senza soluzione di
continuità, i dischi intervertebrali. Per un’efficienza ottimale è necessario che i dischi abbiano la possibilità, tra un allenamento e l’altro, di recuperare le loro caratteristiche fisiologiche di spessore e idratazione. Se questo recupero viene a mancare il ricambio nutrizionale viene compromesso causando deidratazione e, nel tempo, un assottigliamento. La nutrizione dei dischi, infatti, non avviene attraverso i capillari sanguigni ma grazie ad un’azione di “pompa” azionata dall’alternanza tra carico e scarico. Questo permette l’entrata e l’uscita di liquido (perfusione).
Attraverso opportuni esercizi di “scarico” della colonna vertebrale si ottiene una veloce reidratazione dei dischi ed un’attivazione del loro metabolismo nutritivo. Un discorso analogo vale anche per le altre articolazioni ove il carico fisso e prolungato ostacola il metabolismo, basato sul meccanismo di diffusione della cartilagine ialina.
Abbiamo accennato al fatto che le curvature fisiologiche a livello cervicale, dorsale e lombare hanno lo scopo di sostenere e ammortizzare il carico della testa e del torace, degli eventuali sovraccarichi esterni e di quelli provenienti dall’impatto dei piedi col suolo.
Tra questi tratti, le vertebre cervicali hanno come caratteristica principale una notevole mobilità in tutti i sensi: flessione in tutte le direzioni e rotazione, sono quelle che subiscono maggiormente i carichi statici e dinamici del capo.
Le vertebre dorsali si articolano con le costole del torace e consentono, in maniera meno accentuata, a causa della inserzione delle costole, gli stessi movimenti delle vertebre cervicali.
Le vertebre lombari consentono principalmente movimenti di flessione e di estensione. Sono quelle che sopportano tutto il carico statico e dinamico della parte superiore del corpo: torace, arti e capo.
Le vertebre sacrali sono fuse in un unico osso chiamato sacro, uniscono superiormente il bacino e terminano con le quattro vertebre coccigee.
Le ossa sono tenute insieme da legamenti quindi i muscoli ed i legamenti tengono unite le vertebre e permettono alla colonna di mantenere costantemente la posizione eretta.
Essenziale è quindi mantenere un buon tono muscolare e la colonna vertebrale in costante movimento.
L’azione preventiva o di ristabilimento della situazione antaomo-fisiologica della zona lombo-sacrale dovrebbe seguire due direttive principali:
mantenere sempre forti i muscoli che flettono la gabbia toracica sul bacino (retto dell’addome, obliquo esterno e obliquo interno), e i muscoli che estendono le cosce sul bacino (grande gluteo, bicipite femorale nel capo lungo, semitendinoso, semimembranoso, grande adduttore, piriforme) in quanto portano il bacino in posizione di retroversione (azione delordorizzante).
A livello di flessioni laterali la parte del corpo particolarmente interessata è sicuramente la zona lombare. Quando si parla di movimenti a livello del distretto lombosacrale è sempre necessario considerare il bacino nel suo complesso visto che il sacro è collegato tramite la sincondrosi delle sacro iliache, appunto all’osso iliaco che a sua volta è collegato al contro laterale tramite la sinfisi pubica. Si dovrà quindi considerare anche la meccanica dell’osso sacro e dell’iliaco. Nella nutazione il sacro ruota in avanti, attorno a un asse trasverso, in modo tale che il promontorio del sacro si sposta in basso e in avanti e l’apice del sacro ed il coccige si spostano in alto e indietro. In altre parole il sacro si orizzontalizza.
Contemporaneamente le ali iliache si avvicinano e le tuberosità ischiatiche si allontanano. Nella contro-nutazione il sacro ruota sempre attorno ad un asse trasverso indietro in modo tale che il promontorio si sposta in alto e indietro e l’apice ed il coccige in avanti e in basso.
In altre parole il sacro si verticalizza. In questo caso le ali iliache si avvicinano e le tuberosità ischiatiche si allontanano.
Non esistono veri e propri distretti muscolari adibiti a tale movimenti. La nutazione è limitata esclusivamente da freni legamentosi in particolare dai legamenti sacroiliaci anteriori e dai legamenti sacro spinoso e tuberoso, mentre il movimento di contronutazione è limitato dai legamenti sacroiliaci posteriori. Si è rilevato che anche durante atti respiratori profondi avvengono movimenti di nutazione e contronutazione a livello della seconda vertebra sacrale.
Fonte: http://www.yogavidyaashram.it/LUY/R&A/Rifless.%20piegamenti%20laterali.pdf
Sito web da visitare: http://www.yogavidyaashram.it
Autore del testo: D. Bernardo
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