I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
APPUNTI DI
Malattia
Per malattia si intende la rottura del normale equilibrio di una struttura e della relativa funzione dell’organismo
Cause
Benessere animale
Uno stato di completa salute fisica e mentale, in cui l’animale è in armonia fisica e psicologica con l’organismo e il suo ambiente circostante.
Quindi se c’è uno stato patologico (malattia) non ci può essere neanche il “benessere animale”
Malattie della produzione
Tra le cause di malattia che interessano maggiormente, oltre a quelle infettive e parassitarie, gli allevamenti di animali da reddito (bovini, ovini, suini, caprini ecc..) ci sono le malattie metabolico-nutrizionale causate principalmente da errori alimentari e manageriali.
Tra le cause di malattia che interessano maggiormente, oltre a quelle infettive e parassitarie, gli allevamenti di animali da reddito (bovini, ovini, suini, caprini ecc..) ci sono le malattie metabolico-nutrizionali causate principalmente da errori alimentari e manageriali.
Concetto di Prevenzione
Concetto difficile da spiegare e da far recepire agli allevatori. Abbiamo bisogno di mezzi adeguati per dimostrare la reale efficacia di ogni strategia di prevenzione. Bisogna prevenire perché le malattie hanno dei costi che non sono legati solo alle spese per le cure dei singoli episodi ma sono caratterizzati anche da quelli relativi alla mancata produzione e all’impatto negativo sulla salute degli altri animali.
Le malattie Metabolico-nutrizionali
Il termine malattie metaboliche comprende vari significati a seconda di come il lettore interpreta i concetti coinvolti. Inizialmente il termine si riferiva soprattutto a tre sindromi cliniche: il collasso puerperale ipocalcemico (milk fever) l'ipomagnesiemia, o tetania da erba (grass tetany) e la chetosi (acetonemia). Tutte e tre comprendono caratteristiche simili. La causa principale di ognuna è rappresentata da un disturbo del metabolismo in relazione ad un’insufficiente omeostasi. Nel caso del collasso puerperale, è alterato il metabolismo del calcio, per la tetania da erba quello del magnesio mentre nella chetosi è alterato quello energetico e del glucosio. L'omeostasi del calcio del magnesio e del glucosio necessita di uno stretto controllo in quanto consistenti variazioni delle loro concentrazioni ematiche rispetto a quelle normali comportano gravi cambiamenti delle funzioni fisiologiche. Nei casi del calcio, magnesio e glucosio le alterazioni maggiori si riscontrano a carico della funzione dell'encefalo e del sistema nervoso centrale.
L'ambiente interno dei fluidi corporei rimane costante, non a causa di un costante loro livello ma a causa di un continuo flusso e deflusso di metaboliti. Se si verifica una variazione o nella velocità di entrata o un insufficienza in quella di uscita tali da non bilanciare un effetto contrario il dinamico equilibrio del sistema cambia ed eventualmente si può arrivare sino alla rottura di tale omeostasi.
Numerosi meccanismi partecipano a mantenere tale equilibrio. In primo luogo gli animali hanno evoluto un complicato sistema endocrino di controllo. Questo vale sicuramente per il calcio ed il glucosio. Il calcio è controllato da un complesso meccanismo che coinvolge due ormoni, il paratormone e la calcitonina. Allo stesso modo la glicemia è controllata dall’insulina e il glucagone. Al contrario il magnesio sembra non avere un controllo ormonale tanto che l'ipomagnesiemia s’instaura più facilmente. In secondo luogo la stabilità del sistema di equilibrio tra le entrate e le uscite dipende essenzialmente dalla quantità del metabolita circolante attualmente nei fluidi corporei, il così detto 'pool size'. Quindi una rapida utilizzazione con un piccolo 'pool size' rappresenta una situazione instabile e pericolosa, suscettibile di violente fluttuazioni. In tabella 1 viene illustrato questo punto. Una bovina ad alta produzione lattea con un'utilizzazione giornaliera di 34 grammi di calcio ha soltanto 3 grammi di cacio prontamente disponibili. Similmente il magnesio ha un turnover di 4 grammi al giorno con un 'pool size' di 0,75 grammi. Di conseguenza piccole variazioni della quantità di assorbimento o di eliminazione possono rapidamente scatenare una catastrofe ecco perchè il collasso puerperale e la tetania da erba rappresentano disordini metabolici rapidamente fatali. Di contro sodio e potassio hanno un notevole 'pool size' relativamente al loro turnover tanto ché ogni disordine relativo al loro metabolismo si evolve lentamente. In altre parole esiste un sufficiente tamponamento del sistema che permette agli animali di superare periodi relativamente brevi di carenza senza problemi.
In generale una malattia metabolica viene definita come un disturbo dell'omeostasi interna causato da un abnorme cambiamento di uno o più processi metabolici critici. Va sottolineato, comunque, che calcio, glucosio e magnesio rappresentano soltanto tre dei molti metaboliti che possono essere coinvolti in malattie metaboliche. Questa materia comprende molti argomenti oltre il collasso puerperale, la chetosi e la tetania da erba. Ogni sistema metabolico dell’organismo includendo l'acqua, minerali, elementi traccia, elettroliti, proteine e metaboliti energetici, può essere coinvolto da uno squilibrio tra entrate ed uscite (input e output) di volta in volta con conseguenti disordini metabolici diversi come rilevato dalla vastità dei sintomi clinici.
Perfino le malattie infettive causate da patogeni come i batteri o virus comportano l'insorgenza dei sintomi di un disturbo dell'omeostasi interna. Di conseguenza le malattie infettive potrebbero essere chiamate malattie metaboliche. Comunque esse sono escluse in quanto non rappresentano un disturbo metabolico primario. Di contro le malattie da carenza sono realmente delle alterazioni metaboliche nel senso che esse comprendono una insufficienza di entrate (input) di un determinato nutriente o di un metabolita rispetto alle sue uscite (output).
In veterinaria il termine malattie metaboliche assume un significato diverso rispetto a quello attribuitogli in medicina umana. Nell' uomo, le malattie metaboliche implicano un determinato difetto nella costituzione metabolica di un individuo. Tale difetto può essere rappresentato dall’assenza congenita di una chiave enzimatica che blocca un’importante via metabolica - come ad esempio le così dette "malattie da accumulo" nelle quali alcuni metaboliti si accumulano lentamente perchè manca l'enzima in grado di effettuare il loro smaltimento. Alternativamente esse possono essere delle insufficienze endocrinologiche - la mancanza di insulina nel diabete è sicuramente un valido esempio. Tali malattie possono colpire anche i bovini ma molto raramente. La maggior parte dei disordini metabolici dei bovini sono il risultato di una rottura della capacità animale di far fronte alla domanda delle alte produzioni in rapporto all' alimento che gli viene somministrato negli allevamenti moderni. Quindi malattie di questo tipo possono essere considerate opera dell' uomo e dovute alla esagerata richiesta che impone il moderno allevamento. Da qui il perchè il termine "malattie della produzione" trova sempre più un largo uso. Esso riguarda la base della causa del disordine che nel contesto delle alte produzioni espone l'animale ad un rischio metabolico che non si riscontra normalmente negli animali selvatici.
L'apparato digerente
L'apparato digerente dei bovini conferisce ad essi vantaggi fisiologici unici che cominciano ad essere poco sfruttati in alcuni moderni allevamenti. In primo luogo, il loro rumine gli permette di mangiare ed utilizzare cibo che non può essere utilizzato dai normali enzimi digestivi degli altri mammiferi. Essi possono vivere con qualsiasi tipo di alimento e fonte di azoto non-proteico rifiutato da altre specie. Comunque, le fermentazioni ruminali impongono un certo controllo se vengono somministrarti grandi quantità di carboidrati facilmente fermentescibili. Gli animali possono morire di indigestione acuta o da avvelenamento da acido lattico. Allo stesso modo, l'uso di urea come fonte proteica può causare una intossicazione da ammoniaca se essa è rapidamente idrolizzata dai batteri del rumine. In secondo luogo, la continua funzionalità del tratto digerente è essenziale per mantenere il flusso di nutrienti necessari alla lattazione. Perfino un piccolo periodo di inappetenza o di stasi ruminale può divenire potenzialmente fatale. La ragione di ciò sta nel fatto che le vacche da latte, essendo allevate per la produzione di latte, continuano a produrre latte anche se stanno per terminare le loro riserve corporee vitali. In alcuni disordini metabolici come ad esempio il collasso puerperale, basta una piccola interruzione della funzionalità intestinale ad indurre un deficit nell'assorbimento di calcio che può essere potenzialmente fatale per l'animale. In altri, ad andamento più cronico, un’insufficienza nell'assorbimento porta ad una graduale perdita di sostanze corporee che devono essere reintrodotte durante il periodo di asciutta per preservare la normale sopravvivenza. Per esempio, le vacche da latte possono perdere il 15% del loro scheletro durante una lattazione e quindi possono andare in contro a patologie ossee se non si cerca di farle recuperare le riserve durante il periodo di asciutta.
Il Fegato
Il fegato occupa un ruolo centrale nel metabolismo. Tutti i metaboliti assorbiti dal tratto alimentare passano attraverso il fegato e molti di essi vengono in esso trasformati in altri metaboliti o stoccati come parte di riserve vitali. Tutto il glucosio necessario alla lattazione è sintetizzato dal fegato. Allo stesso modo tutto il grasso mobilizzato per l'energia necessaria alla lattazione deve essere processato nelle cellule epatiche. Quindi ogni interruzione nel continuo lavoro del fegato risulterà in un’alterazione del metabolismo. Un tipico esempio di questo comprende la degenerazione grassa del fegato, risultato della rapida mobilizzazione del grasso dai depositi adiposi in risposta alla domanda energetica della lattazione. L'accumulo del grasso nelle cellule epatiche porta ad un’insufficienza epatica ed eventualmente alla chetosi. Il fegato stocca anche tracce di elementi vitali come il rame. Sfortunatamente una dieta con un largo apporto di rame che si accumula in eccesso nel fegato eccedendo la soglia di tolleranza, comporta un’intossicazione da rame con estesa necrosi delle cellule epatiche.
Lo Scheletro
Una grossa quantità di minerali, calcio, fosforo, e magnesio contenuti nello scheletro non servono solo al mantenimento della rigidità delle ossa che è necessaria al movimento ed alla stazione degli animali ma anche come riserva di minerali nei periodi in cui l'animale può andare incontro ad una relativa carenza. La mobilizzazione del calcio dalle ossa diviene un fattore limitante nella patogenesi del collasso puerperale (vedi cap. 2). A lungo termine, comunque tale riserva non è inesauribile. Come detto in precedenza il 15% di essa può essere rimossa per i fabbisogni della lattazione e se questa non è ripristinata si può instaurare una patologia ossea. Altra funzione dell'osso è il temporaneo sequestro di tracce di sostanze tossiche come il fluoro. Sfortunatamente, un continuo accumulo di fluoro comporta una sua tossicità che porta ad una grave malattia dolorosa delle ossa.
Conduzione dell'allevamento
Il buono stato di salute metabolica dei bovini non dipende soltanto dalla loro situazione metabolica e alimentare ma anche dalle condizioni dei terreni e del pascolo dell'azienda e dalla qualità della conduzione aziendale e come essa si ripercuote sulla cura degli animali. Alcuni terreni sono deficienti di alcuni microelementi come ad esempio lo iodio, il sodio e il rame. Questa situazione viene aggravata dal fatto che i livelli di tali microelementi diminuiscono ulteriormente con il continuo taglio dell'erba quando essi non vengono reintegrati nel terreno. Quando non si fa ciò il risultato è rappresentato dalla comparsa di sintomi quali la pica che porta gli animali a mangiare cortecce e terra nel vano sforzo di correggere la carenza. Un altro fattore che influenza l'insorgenza di disturbi metabolici concerne l'eccessivo uso di fertilizzanti. Un eccesso di potassio interferisce sull'assorbimento del magnesio e quindi predispone all'ipomagnesiemia. Similmente la metaemoglobinemia si sviluppa se gli animali pascolano su terreni fertilizzati di recente con nitrati ed un eccesso di calcio che possono ridurre l'assorbimento di rame e zinco. Alcuni eccessi portano ad un’alterazione della normale composizione del suolo. Per esempio, alimenti che contengono eccesso di molibdeno interferiscono con l'assorbimento e l'utilizzazione del rame. Alcune deficienze avvengono quando uno meno se le aspetta. A parte nelle regioni aride in alcuni allevamenti interviene la possibilità di una carenza idrica. Comunque un inadeguato spazio e un sistema di conduzione dell'acqua può non fornire una quantità adeguata anche perchè le vacche bevono soltanto ad una certa ora specialmente quando pascolano. Alcuni problemi metabolici possono derivare anche dalla specializzazione colturale. Per esempio questo fatto può restringere il campo di pascolamento ad una sola essenza foraggiera. Pascolare soltanto su un prato di segale limita la disponibilità di magnesio e conseguentemente aumenta le possibilità di tetania da erba. Nell' alimentazione in stalla gli animali comunemente ricevono tutta la loro razione di concentrato al momento della mungitura, il loro rumine però è adattato per lavorare in continuazione e quindi non adeguato a ricevere un apporto di carboidrati facilmente fermentescibili tutti in una volta. Una rapida fermentazione può predisporre ad un’indigestione e quindi ad una minore ingestione di cibo. Un comune errore è quello di ritenere che le malattie metaboliche si osservano soltanto nei sistemi agricoli avanzati. Comunque gli sforzi iniziali volti al miglioramento dell'agricoltura causarono problemi imprevisti. Il primo caso di malattia metabolica riportato in UK apparve alla fine del 18 secolo proprio all'inizio della selezione scientifica delle alte produzioni di latte e del miglioramento delle produzioni degli alimenti aziendali. Così, negli stessi giorni nei paesi che sviluppavano un’agricoltura moderna si misero alla luce problemi che d’altra parte erano rimasti nascosti e in letargo. La carenza di fosforo ne è un tipico esempio. Animali che convivevano con una carenza marginale di fosforo quando cominciarono a produrre di più andarono incontro a drammatiche conseguenze caratterizzate da disturbi palesi quali le malattie ossee e la pica.
Principali fattori che influenzano l'eliminazione (output) dei metaboliti
La produttività è aumentata costantemente nelle ultime decadi. Come può essere avvenuto? In primo luogo con una maggiore esperienza degli allevatori e un’agricoltura più moderna, le vacche ad alta produzione sono diventate più efficienti, la loro velocità di conversione delle proteine è aumentata progressivamente di pari passo con le loro uscite. Dove è quindi il limite biologico? Qualcuno parla al di sopra di 4000 galloni (180 quintali) di latte per lattazione. Sebbene teoricamente attendibile, molte vacche vanno incontro ad uno squilibrio metabolico con una produzione nettamente al di sotto di questa. In secondo luogo per le vacche ad alta produzione dobbiamo valutare anche la loro produzione durante l'intera carriera produttiva. Le vacche vivono una breve esistenza si tende infatti ad abbatterle a circa sei anni quando raggiungono il massimo della loro produzione. La macellazione precoce delle vacche è soltanto un attrattivo con l'alto prezzo dei bovini che si adegua ai processi di costo dei vitelli svezzati durante la lattazione. In terzo luogo, esiste un vantaggio nello svezzamento precoce per ridurre la parte non produttiva della carriera. Comunque, gli animali rapidamente svezzati si dice avere una ridotta longevità e vita produttiva. Quarto, miglioramenti economici possono essere ottenuti con più vitelli per gestione, ad esempio con un incremento delle nascite gemellari. Quanto sarà sopportabile, comunque l'impegno metabolico extra per la gravidanza gemellare se la produzione rimane alta o tende addirittura ad aumentare? Quindi molte questioni possono essere discusse. I futuri livelli di output non possono essere previsti con precisione e soltanto ricerche scientifiche possono predire gli effetti dei futuri incrementi di produzione. Fattori completamente nuovi possono entrare in gioco. Come ad esempio potrebbe essere l'entrata in uso delle somatotropina nella produzione di latte. Quale effetto potrebbe avere sulla incidenza delle malattie metaboliche? Questa è soltanto una dei possibili cambiamenti che influenzeranno le caratteristiche future dei disordini metabolici.
Definizione ed eziologia – Normalmente i vitelli (e gli altri ruminanti come pure i puledri) sono immunocompetenti sin dalla nascita ed hanno la capacità di intraprendere una risposta immunitaria completa come un animale adulto. Tuttavia essi sono immunologicamente vergini e cioè non sono stati esposti a stimoli antigenici e non hanno, quindi, nessun tipo di immunità acquisita e un significante accumulo di immunoglobuline. Sebbene i vitelli sono capaci di produrre anticorpi, essi sono praticamente senza immunoglobuline alla nascita ad eccezione di una piccola quantità di IgM normalmente prodotte nella vita intrauterina. Per questo i vitelli sono particolarmente suscettibili agli agenti infettivi nei primi periodi dopo la nascita. I vitelli cominciano a produrre anticorpi verso la seconda settimana di vita che raggiungono un livello significativo verso il secondo mese. L’ingestione e l’assorbimento del colostro ricco di immunoglobuline è il solo metodo per il trasferimento passivo di immunità nei vitelli. In un sistema funzionante gli anticorpi materni sostituiscono quelli autologhi che si stanno formando non lasciando mai scoperto il vitello. Normalmente le bovine producono il colostro durante le due ultime settimane di gestazione in risposta alle variazioni ormonali. Le immunoglobuline che si accumulano nel colostro derivano selettivamente da quelle del siero e non vengono prodotte dalla mammella. La maggior parte delle immunoglobuline del colostro sono rappresentate da IgG. Alla nascita il vitello possiede degli enterociti specializzati nel tratto intestinale che sono capaci di assorbire grandi quantità di molecole come le immunoglobuline come tali per un processo di pinocitosi. La cessazione dell’assorbimento passivo di immunoglobuline avviene entro le prime 24 ore di vita anche se può essere influenzato dal tempo in cui avviene la prima assunzione di colostro. Nei vitelli che prendono il colostro subito dopo la nascita l’assorbimento termina tra le 21 e 23 ore dopo il parto mentre in quelli che lo cominciano a prendere a 24 ore l’assorbimento può durare fino alle 31 – 33 ore. Esistono anche delle variazioni individuali con qualche vitello che mantiene l’assorbimento entro le 36 ore. Le stesse caratteristiche sono state riscontrate negli agnelli e nei capretti.
L’insufficienza del trasferimento passivo (FPT) può avvenire perché il colostro non si forma, perché contiene pochi anticorpi, perché viene perso per una lattazione prematura perché non ingerito dal puledro o perché ingerito, ma non assorbito. Il contenuto colostrale di immunoglobuline (qualità) può essere determinato attraverso un colostrimetro commerciale che si basa sul peso specifico o quantitativamente attraverso l’imunodiffusione radiale.
L’FPT di per se stessa non produce sintomi e quindi non può essere diagnosticata con l’esame clinico del soggetto. La sintomatologia che fa fortemente sospettare la presenza di FPT include una improvvisa insorgenza di infezioni batteriche, soprattutto di setticemia, artrite settica, polmonite, e enterite nelle prime due settimane di vita. La presenza di altri stati di immunodeficienza o patologie dovute a germi estremamente patogeni non può essere scartata soltanto da una improvvisa insorgenza dell’infezione. Tuttavia anche con le altre forme di immunodeficienza la sintomatologia non si evidenzia per numerose settimane se il transito di immunità passiva è stato adeguato.
Rilievi di laboratorio – La FTP viene diagnosticata dalla dimostrazione dei bassi livelli sierici di immunoglobuline nel puledro iniziando dalle 24 ore dopo la nascita fino a parecchie settimane dopo. Un metodo rapido per la determinazione delle immunoglobuline sieriche è quello torbidimetrico al solfato di zinco, l’agglutinazione in latex e l’immunoenzimatica. Oggi esistono in commercio test semiquantitativi che possono essere effettuati direttamente in stalla prelevando un campione di sangue dal vitello. I livelli di IgG considerati adeguati sono abbastanza arbitrari e probabilmente variano a seconda delle situazioni ambientali. I valori che vengono generalmente considerati normali sono quelli superiori a 1000 mg/dl di IgG. Livelli di 800 mg/dl possono essere considerati adeguati in situazioni igieniche buone.
Prevenzione e controllo – Prima di attuare una prevenzione è bene valutare l’esistenza del problema in un allevamento e di conseguenza le cause a cui attribuirlo. Generalmente queste possono essere di due tipi, o i vitelli non assumono adeguate quantità di colostro nei tempi necessari o il colostro assunto è di cattiva qualità (basso contenuto di immunoglobuline). La valutazione del contenuto immunoglobulinico del colostro è una prova valida per predire la possibile insorgenza di una FPT. Le immunoglobuline colostrali possono essere valutate con l’imunodiffusione radiale (RID) o stimate sulla base del peso specifico del colostro. Siccome ci vogliono 18 ore per leggere una RID è più pratico in campo valutare il peso specifico con un colostrimetro oppure con un test rapido reperibile in commercio. La prevenzione si basa sulla valutazione di una reale assunzione di una quantità adeguata di colostro di buona qualità entro le prime 24 ore di vita. Un vitello dovrebbe assumere almeno 2,5 litri di colostro di buona qualità entro le prime 12 ore. Per una buona produzione di colostro è esenziale che le bovine arrivino in ottime condizioni al parto. Nel caso in cui si riscontrano problemi di qualità del colostro è bene approntare una banca del colostro stoccando soltanto colostro di provata qualità. Nel caso di riconosciuti problemi di FPT si può anche agire valutando i livelli di immunoglobuline dopo qualche ora dall’assunzione del colostro (entro le 24 ore) utilizzando un test rapido ed eventualmente somministrare altro colostro di provata qualità.
Il fosforo (PO4) e il calcio (Ca) sono i minerali più abbondanti del corpo animale. Approssimativamente l'80% del fosforo totale e il 99% del calcio si ritrovano nelle ossa e nei denti. Una adeguata quantità di calcio e fosforo sono necessari alla normale crescita e mineralizzazione dell'osso. Il rimanente 20% del fosforo è distribuito nei tessuti molli. PO4 possiede molte funzioni in questi tessuti ma è più importante negli scambi energetici attraverso la formazione e la rottura dei composti ad alta energia di ATP. Inoltre ha la capacità di essere escreto sia come H2PO4- che H2PO4- e quindi contribuisce al mantenimento dell'equilibrio acido-base Anche il calcio esplica numerose funzioni nei tessuti molli ma esso è particolarmente importante per: 1) la normale eccitabilità neuromuscolare; 2) la permeabilità capillare e delle membrane cellulari; 3) la normale contrazione muscolare; 4) la normale trasmissione dell'impulso nervoso; 5) la coagulazione del sangue.
L'osso di un animale adulto è composto per il 45% circa di acqua, il 25% di ceneri il 20% di proteine ed il 10% di grassi. Nei mammiferi le ceneri sono composte fino al 36% di calcio, 17% di fosforo e l'0,8% di magnesio.
Il calcio si trova nelle ossa in parte come fosfato tricalcico ed in parte come carbonato di calcio. L'osso comunque non sembra avere una composizione costante. Esistono comunque nette differenze tra l'osso di un giovane formato da sali più solubili e quello di un animale più anziano. Questa differenza spiega i livelli più elevati di fosfatemia degli animali più giovani. Il minerale osseo è mobilizzato per mantenere i livelli plasmatici di calcio (L'osso spugnoso è più rapidamente riassorbito di quello compatto) ma meno rapidamente per mantenere i livelli di fosforo sierici. Da ciò ne deriva che il basso livello di fosforo sierico è un indice di carenza. La formazione dell'osso coinvolge: 1) la produzione della matrice ossea; 2) la precipitazione dei sali. Gli osteoblasti portano avanti tutti e due i processi La precipitazione dei sali in composti insolubili viene favorita da una fosfatasi che in ambiente alcalino converte gli esteri organici dell'acido fosforico in fosfati inorganici. La fosfatasi è prodotta dagli osteoblasti e in parte raggiunge il sangue. Se la concentrazione di calcio e fosforo nel liquido extracellulare sono troppo basse neanche l’attività della fosfatasi può essere sufficiente per indurre la calcificazione. La mobilizzazione e la deposizione del calcio nelle ossa sono regolate dal PTH e dalla calcitonina.
In generale la quantità di calcio contenuta nella razione di per se determina la quantità assorbita per cui esiste la tendenza a variazioni della calcemia a seconda del contenuto di calcio nella dieta. Queste variazioni non sono sempre evidenti per i fenomeni di stretta omeostasi a cui soggiace la calcemia. L'efficienza dell'assorbimento intestinale può aumentare se le richieste sono maggiori (gravidanza, lattazione). Il suo assorbimento diminuisce con l'avanzare dell'età. La formazione di composti di calcio piuttosto insolubili a livello intestinale può portare ad una sua diminuzione di assorbimento. Nei ruminanti è stata osservata una decomposizione degli ossalati nel rumine e quindi ne passano meno nell'intestino. tale decomposizione può portare ad una alcalosi e quindi indirettamente alterare il metabolismo del calcio. (foglie fresche delle barbabietole possono contenere il 7% di ossalato di Ca) Tale alimento può comunque superare la capacità ruminale di degradazione oltre che a provocare una diarrea.
I fitati presenti a livelli piuttosto alti nei cereali sono importanti per il metabolismo del calcio e fosforo negli animali monogastrici. Il fosforo così legato non può essere utilizzato dai monogastrici se non idrolizzato da una fitasi. Se ciò non avviene ne risente anche l'assorbimento del calcio.
Il calcio è assorbito dal tratto craniale del piccolo intestino e l'aumento dell'acidità del suo contenuto favorisce il suo assorbimento. Il rapporto tra calcio e fosforo della dieta influenza molto il loro assorbimento. Con l’aumentare del rapporto aumenta anche la richiesta di vit. D. Nei non ruminanti un rapporto CA/P più ampio di 3/1 porta ad effetti indesiderabili mentre un rapporto più basso di 1/1 è tollerato. I ruminanti possono invece tollerare un rapporto 7/1 senza effetti collaterali mentre con un rapporto più basso di 1/1 si osserva una diminuzione delle performance produttive.
Il calcio escreto con le feci è di due tipi quello esogeno e quello endogeno. Quello esogeno deriva dalla razione quello endogeno riconosce una escrezione a livello del piccolo intestino la conoscenza di tale quantità è necessaria per stabilire la digeribilità del calcio presente nei vari alimenti Nei bovini è stato stimato essere 4-7 grammi die anche se molti fattori lo influenzano.
Parte del calcio e del fosforo, escreti per via urinaria, viene riassorbita a livello tubulare. L'acidificazione delle urine fa aumentare la quantità di calcio e fosforo eliminati. La soglia di eliminazione del calcio è di 6-8 mg/dl al di sotto di tali livelli ematici la escrezione è fortemente diminuita. La determinazione del calcio urinario è stata utilizzata per cercare di fare diagnosi di ipocalcemia ma con scarsi risultati anche per il metodo di determinazione. Nei bovini la quota di escrezione del fosforo con le urine è molto scarsa e non supera l'1% di quello escreto con le feci la ragione di ciò sembra essere nel fatto che le urine del bovino sono alcaline. Negli animali in lattazione una quantità considerevole di calcio e fosforo è escreta con il latte
Negli animali adulti e sani la concentrazione di calcio totale ematica di calcio è di circa 10 mg/dl (2,5 mmol/l) il range normale è di 9-12. Nel sangue tale elemento è presente sotto tre forme: come ione semplice, legato alle proteine (specialmente all'albumina) e, in piccola percentuale, combinato a vari anioni (fosfati, bicarbonato, lattato, citrato etc.) e ad acidi grassi liberi; le prime due, in parti approssimativamente uguali, rappresentano la quasi totalità del calcio ematico. Perché possa svolgere le sue azioni è necessario, però, che il calcio sia in forma ionizzata. La concentrazione sierica del fosforo totale si aggira intorno ai 14-15 mg/dl di questi 5-8 è fosforo dei lipidi. La restante è data da una parte piccolissima di fosforo esterificato e da fosforo inorganico la cui concentrazione (la quota che normalmente si misura) è di circa 4-7 mg/dl anche se sotto i 5 nel bovino si parla già di ipofosforemia.
L'omeostasi calcica e del fosforo sono controllate dall'ormone paratiroideo (PTH) secreto dalle paratiroidi, dalla calcitonina secreta dalle cellule C della ghiandola tiroidea e dall' 1,25 deidrocolecalciferolo (1,25-(OH)2D; vit. D) prodotta dal rene. Come colecalciferolo essa entra nell'organismo con la dieta o dalla sintesi cutanea sotto l'influenza dell'irradiazione ultravioletta del sole. Comunque il colecalciferolo come tale possiede una ridotta attività necessitando di essere idrolizzato prima in due diverse fasi. La prima idrossilazione si esplica nella conversione a 25-deidrossicolecalciferolo nel fegato, un processo che è virtualmente incontrollato. La seconda conversione a 1,25-deidrossicolecalciferolo che avviene nel rene sotto lo stimolo dell'ormone paratiroideo. Questi ormoni mantengono un controllo estremamente stretto dell'omeostasi calcica. L'omeostasi del fosforo è mantenuta meno strettamente e secondaria a quella del calcio.
Il Ca è assorbito nel piccolo intestino per coprire il fabbisogno giornaliero per il mantenimento e la produzione. L'ipocalcemia stimola la produzione di PTH, la quale stimola la produzione di 1,25-(OH)2D da parte del rene. L'1,25-(OH)2D promuove assorbimento del calcio così che una quota maggiore ne viene assorbita a livello intestinale. Persino la quantità di calcio assorbita e strettamente legata a quella richiesta, così la maggior parte in eccesso viene eliminata con le feci. Nel caso di ipercalcemia la calcitonina inibisce il riassorbimento del calcio da parte del rene così che più calcio viene perso con le urine. La calcitonina inibisce anche il riassorbimento del calcio dalle ossa. L'osso funge infatti da riserva di Ca e PO4 che possono essere mobilizzati per mantenere normali i livelli plasmatici durante i periodi di carenza. Durante i periodi di una grossa richiesta di calcio (inizio lattazione), l'ipocalcemia stimola la produzione di PTH e 1,25-(OH)2D i quali promuovono il riassorbimento osseo. Il PHT promuove anche il riassorbimento del calcio da parte dei tubuli renali. Quando lo stato del calcio ritorna alla normalità, le riserve ossee di calcio e fosforo vengono ristabilite. Sebbene il PO4 viene liberato durante il riassorbimento osseo l'ipofosfatemia non è provocata dall'attività degli osteoclasti.
Il sito di maggior assorbimento del fosforo è il tratto prossimale del piccolo intestino, dove il PO4 è assorbito passivamente in diretto rapporto con quello ingerito. Un assorbimento attivo è stato dimostrato nei monogastrici. In condizioni di deficienza di PO4, i bassi livelli plasmatici di PO4 stimolano la produzione di 1,25-(OH)2D il quale stimola l'intestino ad assorbire PO4 più efficacemente. Con una dieta con contenuto sufficiente di fosforo la capacità attiva di assorbire fosforo è saturata e quindi prevale quella passiva. A differenza di molte specie animali i ruminanti dipendono dalla escrezione salivare dell'eccesso di PO4 con una relativamente ridotta escrezione renale. PHT stimola le perdite di PO4 con la saliva e inibisce il riassorbimento di PO4 dai tubuli renali. La concentrazione di PO4 nella saliva molte volte è più grande, ma direttamente proporzionale, a quella del plasma. Una parte del PO4 escreto con la saliva viene riassorbita con l'intestino mentre la restante persa con le feci. Un efficace riassorbimento del PO4 dal rene e l'abilità di riassorbire il PO4 escreto dalla saliva sono misure protettive per i ruminanti con diete povere di PO4.
Collasso puerperale della bovina
Il collasso puerperale o ipocalcemia è una paralisi flaccida e/o uno stato di sonnolenza acuto o iperacuto della bovina da latte. Esso generalmente compare entro le 72 ore dal parto. Esso andrebbe considerato come un'emergenza, e trattato immediatamente con una infusione endovenosa con una soluzione di sali di calcio.
Eziologia - L'ipocalcemia si instaura per una rapida instaurazione della produzione lattea che porta ad una diminuzione improvvisa del calcio ionizzato sierico. I sintomi di paresi che ne conseguono sono fatali se non si istaura un’immediata terapia.
Sintomatologia clinica - Esistono tre distinti stadi clinici del collasso puerperale. Durante il primo stadio l'animale riesce ancora a mantenere la stabulazione eretta ma presenta sintomi di ipersensibilità ed eccitabilità. Se non si istituisce la calcioterapia possono insorgere i sintomi più gravi del secondo stadio del collasso puerperale. In tale stadio la bovina è incapace di stare in piedi ma ancora in grado di stare in decubito sternale in questo stadio si notano depressione, anoressia, musello asciutto e ipotermia con estremità fredde. La paralisi dei muscoli lisci porta ad una stasi gastrointestinale, che talvolta si manifesta con meteorismo, incapacità di defecare, e perdita del tono dello sfintere anale. Contemporaneamente può essere persa la capacità di urinare. A motivo dell'inerzia uterina si può avere un arresto del parto o la ritenzione della placenta. Il decubito sternale con la testa che guarda il fianco è la posizione caratteristica delle bovine in collasso puerperale.
Siccome l'ipocalcemia è una forma acuta l'urgenza del trattamento fa sì che la diagnosi ed il trattamento generalmente si basano sui sintomi clinici. I campioni di sangue vanno prelevati comunque prima del trattamento così la diagnosi può essere confermata dai livelli sierici di calcio. La determinazione del calcio è estremamente importante negli animali che non rispondono a terapia. I valori normali variano a seconda del laboratorio ma nelle vacche con livelli sierici inferiori a 7,5 mg/dl dovrebbero essere considerate ipocalcemiche. Animali con livelli tra 5,5 e 7,5 mg/dl possono presentare i sintomi dello stadio uno dell'ipocalcemia. Lo stadio due può avere livelli compresi tra 3,5 e 6,5 mg/dl La concentrazione sierica di calcio può scendere al di sotto di 2 mg/dl nel terzo stadio.
Fisiopatologia - L'inizio della lattazione al momento del parto porta ad una immediata perdita di calcio nel latte. Una quantità parecchie volte più grande del "pool size" del calcio circolate può essere persa con il colostro. Quando i meccanismi omeostatici del calcio non sono capaci di far fronte alla domanda si instaura l'ipocalcemia. Durante il periodo di asciutta la domanda di calcio è relativamente bassa. Quindi l'assorbimento intestinale e il riassorbimento osseo del calcio sono relativamente inattivi. Un certo grado di ipocalcemia avviene in tutte le bovine all'inizio della lattazione. Lo stato ipocalcemico stimola i meccanismi omeostatici che aumentano l'efficacia dell'assorbimento intestinale e aumentano il riassorbimento dalle ossa. Approssimativamente sono necessarie 24 ore di stimolazione da parte di livelli elevati di vit. D per incrementare il trasporto intestinale di calcio. Un aumento della quota di calcio riassorbita dall'osso necessita di un tempo di 48 ore sotto lo stimolo del PTH. Se questo tempo di adattamento alle aumentate richieste di calcio si allunga può svilupparsi l'ipocalcemia. Perché alcune vacche sono in grado di adattare la lattazione alle domande di calcio senza incorrere nel collasso puerperale mentre altre non sono capaci di ciò? Molte bovine con collasso puerperale mostrano livelli più elevati di PHT e vit. D che bovine non affette. Perfino la risposta ormonale è normale, il difetto sembra risiedere sugli organi bersaglio (intestino, osso, rene) che non riescono a rispondere agli stimoli. Questo dovrebbe essere causato da una insufficienza dei recettori o da un difetto delle vie metaboliche attivate quando l'ormone si lega ai suoi recettori. Si sa che l'efficienza di assorbire il calcio diminuisce con l'avanzare dell'età e qualche indizio indica che ciò è in relazione con la diminuzione del numero di recettori alla vit. D. L'ipocalcemia colpisce la contrazione muscolare in diversi modi. 1) Il calcio funge da stabilizzatore di membrana dei nervi periferici. Iperestesia ed un certo grado di leggera tetania si mostra nel primo stadio del collasso puerperale che può essere causato da un deficit di stabilizzazione della membrana dei nervi periferici. 2) Il calcio è necessario per il rilascio dell'acetilcolina a livello della giunzione neuro-muscolare. L'impossibilità di rilasciare acetilcolina, causata dall'ipocalcemia, porta ad una paralisi per il blocco della trasmissione neuromuscolare. 3) Il calcio è direttamente necessario alle fibrocellule muscolari per la contrazione. La paralisi dei vari tipi muscolari risulta dalla sintomatologia del collasso puerperale. In aggiunta alla paralisi dei muscoli scheletrici ed al decubito, un'insufficienza del tono della muscolatura liscia porta ad una stasi gastrointestinale e al meteorismo. Di conseguenza l'atonia intestinale può aggravare l'ipocalcemia con la diminuzione di assorbimento del calcio. La diminuzione di contrazione del muscolo cardiaco e la diminuzione della gittata cardiaca causa una riduzione del 50% della pressione sanguigna arteriosa. La scarsa perfusione periferica e l'inabilità di raffreddarsi o di generare calore attraverso l'attività muscolare che porta ad una ipotermia e ad una depressione della coscienza.
L'ipofosfatemia osservata nel corso di ipocalcemia è il risultato delle perdite dell'elemento con il latte, dell'inadeguato assorbimento intestinale nel periodo intorno al parto e l'aumento dell'escrezione renale e salivare di PO4 causata dall'elevato livello di PTH in circolo. La causa dell'ipermagnesiemia non è chiara ma molti pensano essere il risultato di una compensazione del bilancio ionico. Il PTH dovrebbe teoricamente contribuire all'ipermagnesiemia stimolando il suo riassorbimento a livello dei tubuli renali. L'ipermagnesiemia, comunque, interferisce con il rilascio dell'acetilcolina a livello di giunzione neuro-muscolare potendo aggravare la paresi flaccida. L'iperglicemia associata è verosimilmente causata dall'aumento di liberazione in circolo degli ormoni glucocorticoidi e la neoglucogenesi causate dallo stress.
Epidemiologia - Il collasso puerperale è una tipica malattia delle bovine da latte ad alta produzione. Approssimativamente dal 5% al 10% delle vacche adulte ne sono colpite. Le bovine di razza Jersey sono più suscettibili di altre e quindi hanno una più alta incidenza. La ragione di ciò non è ancora conosciuta, anche se può essere ipotizzato a causa della più alta produzione di latte per unità di peso corporeo. Il collasso puerperale può avvenire anche lontano dal parto anche se generalmente si presenta entro le 48 ore dallo stesso. Le manze sono raramente colpite mentre la frequenza aumenta con l'aumentare del numero di lattazioni. La maggior parte dei casi avviene in animali al di sopra dei 5 anni. Questo può essere il risultato dell'aumento della produzione con l'età e dalla diminuzione dell'efficienza di assorbire calcio dalla dieta e riassorbirlo dalle ossa. Le vacche affette da collasso puerperale sono ad un rischio maggiore di essere colpite di nuovo nella lattazione seguente rispetto a quelle non colpite. Tale patologia è estremamente infrequente in bovine da carne. Quando tali bovine ne sono affette vuol dire che ci si trova di fronte a gravi squilibri alimentari. Una ipocalcemia non da parto può essere la conseguenza di un sovraccarico ruminale, diarrea dovuta ad un pascolo rigoglioso ad alto contenuto idrico, dieta ricca di ossalati o da un digiuno. Uno stress da trasporto può, inoltre, essere una causa scatenante.
Una dieta estremamente ricca in calcio durante il periodo in asciutta (> 100 g/die) è stata associata ad una alta incidenza del collasso puerperale. A questi livelli può essere che il calcio assorbito sia frutto soltanto dell'assorbimento passivo. L'assorbimento attivo e il riassorbimento osseo sono quindi inibiti. Vacche in tali condizioni non sono capaci di reagire ad un rapido incremento dei livelli plasmatici di calcio perso con l'inizio della lattazione è possono quindi andare incontro all'ipocalcemia. Quando l'incidenza del collasso puerperale in un allevamento è più alta dei livelli normali va subito sospettata un’eccedenza di somministrazione di calcio durante l'asciutta. L'appropriato apporto di calcio con la dieta verrà trattato nel capitolo che riguarda gli aspetti di prevenzione e controllo.
Rilievi necroscopici - Non esistono lesioni patognomoniche provocate dall'ipocalcemia. La flaccidità del muscolo cardiaco è stata suggerita come lesione tipica del collasso puerperale ma questa è difficile da dimostrare. L'ipocalcemia è associata a molte altre condizioni, incluso il prolasso uterino, distocie causate da inerzia uterina, ritenzione delle seconde, dislocazione abomasale, mastiti, malattie renali e metriti. L'aspirazione del contenuto ruminale ed il danno muscolare sono anche comuni in bovine con ipocalcemia. La presenza di ognuna di queste condizioni può suggerire la presenza di ipocalcemia, ma non dovrebbe essere considerata come sintomo diagnostico.
Prevenzione e controllo - Un appropriato controllo dei livelli di calcio e fosforo nella dieta delle bovine in asciutta è un metodo molto efficace per ridurre l'incidenza del collasso puerperale. Un aumento dell'incidenza di tale disturbo in bovine alimentate con elevate quote di calcio (>100 g/die) in asciutta è stato ormai ben documentato. Questo è stato messo in relazione all'inibizione dei meccanismi omeostatici che regolano la calcemia. Un livello alimentare basso di calcio durante l'asciutta stimola l'assorbimento intestinale attivo ed il riassorbimento di calcio dalle ossa in preparazione della aggiuntiva richiesta di calcio con l'inizio della lattazione. Diete in asciutta che hanno meno di 20g di calcio per bovina al giorno sono quasi al 100% ottimali per la prevenzione della malattia. 20 grammi/die sono meno del fabbisogno giornaliero per il mantenimento. Una tale dieta dovrebbe essere somministrata soltanto per una settimana prima del parto per evitare una perdita esagerata delle riserve. Con le comuni diete però è molto difficile formulare razioni con meno di 30 g/die di calcio. Per cui si raccomandano in asciutta diete con un moderato contenuto di calcio (< di 80-100 g/die).
Nel passato l'integrazione della dieta in asciutta con fosforo, per diminuire il rapporto Ca/P sembrava efficace nel prevenire il collasso puerperale. Studi più recenti hanno dimostrato che con diete a basso contenuto di calcio (<80 g/die) una diminuzione del P della razione riduce ancora l'incidenza della malattia. Questo è stato messo in relazione al fatto che i livelli bassi di fosforo causano un aumento del legame intestinale di vit. D3 che porta ad una maggiore efficienza nell'assorbimento di Ca e P. Si raccomanda quindi un’integrazione di fosforo di meno di 35 g/die con un moderato apporto di calcio.
Recenti ricerche suggeriscono che l'equilibrio tra anioni e cationi nella dieta (DCAB) delle bovine in asciutta ha una significativa influenza sull'incidenza della paresi puerperale. Una dieta contenente alte proporzioni di cloruri (Cl) ed anioni di zolfo (S) rispetto ai cationi sodio (Na) e potassio (K) hanno ottenuto buoni risultati nella prevenzione. Un eccesso di anioni apparentemente porta ad un assorbimento di calcio dall'intestino ed un riassorbimento dall'osso. Molti autori hanno quindi elaborato equazioni sull'equilibrio ionico e sulle raccomandazioni delle diete in base al contenuto in mEq di Na, K, Cl e S, della dieta. Si raccomanda di utilizzare i Sali anionici in asciutta solo quando il DCAB è inferiore a 250 mEq/kg di SS, con razioni con DCAB superiore sarebbe troppo complicato raggiungere livelli ottimali. Alcuni autori raccomandano di somministrare diete con un equilibrio ionico tra -100 e -200 mEq/kg di SS, mentre altri sostengono che basta anche raggiungere un livello tra -50 a 100 mE/kg di SS nelle ultime 3 settimane di gestazione, dove l'equilibrio ionico è dato da:
Equilibrio ionico della razione = ( Na + K) - (S + Cl)
Le formule variano a seconda di chi le ha elaborate. Allo stato attuale le analisi per alimenti riguardanti i tenori di sodio, cloro e zolfo non vengono effettuate di routine. La supplementazione della dieta in asciutta con 100 g di cloruro di ammonio (NH4Cl) e 100g di Solfato di ammonio (NH4SO4) ad una dieta basale contenente da 75 a 150 g di calcio ha ottenuto risultati nel prevenire il collasso puerperale. Questo approccio potrebbe essere più pratico effettuando le analisi degli ioni sulla razione. Infatti i sali d'ammonio sono poco appetiti dagli animali e devono essere miscelati nel concentrato o nella dieta intera. Durante le prime fasi dell'asciutta i fabbisogni necessari al periodo di asciutta possono generalmente essere coperti anche soltanto con miscele di foraggi di alta qualità. L'alimentazione durante le ultime 2-3 settimane prima del parto sono le più critiche per la salute degli animali. Durante questo periodo (steaming-up) bisogna iniziare a somministrare piccole quote di concentrati per aumentare l'energia necessaria. I sali di ammonio possono essere aggiunti al concentrato per aumentare il livello degli anioni della dieta. Miscele di cereali ad alto contenuto di calcio utilizzate in lattazione dovrebbero essere evitate in questo periodo. Al momento del parto, un alimentazione a base di foraggi di alta qualità come il fieno di erba medica possono essere di aiuto per ridurre la depressione dell'appetito che frequentemente si osserva al momento del parto. Dopo l'inizio della montata lattea la somministrazione della dieta per la lattazione dovrebbe essere gradualmente aumentato. Perché questa pratica abbia affetto è importante verificare che tale alimentazione sia in grado di alterare l’omeostasi metabolica degli animali attraverso della valutazione del pH delle urine degli animali sottoposti a tele alimentazione deve abbassarsi tra 6,0 e 6,8 con una media di circa 6,5 e comunque sempre sotto al 7,00. La somministrazione di vit. D3 e dei suoi metaboliti è stato dimostrato essere efficace nel prevenire il collasso puerperale. Un protocollo di numerose somministrazioni è stato usato, anche se la maggior parte deve essere somministrata durante l'ultima settimana di gestazione. Per prevenire il collasso puerperale bisogna somministrare dosi elevate di vit. D3 (10 milioni di IU), questa mobilizza le riserve di calcio ma deve essere data nel periodo compreso tra non più di 7 giorni prima e di uno dopo il parto. L'effetto benefico scompare se fatta prima di 7 giorni che precedono il parto e dopo le 24 ore dallo stesso. Se non si coglie questo periodo la somministrazione va ripetuta. Ma dosi eccessive di vit. D3 sono pericolose perchè stimolano un eccesso di mobilizzazione che porta a delle calcificazioni metastatiche nel sistema cardiovascolare e nel rene. Comunque questi rischi sono scarsi se la dieta è bilanciata nei suoi composti minerali. Una carenza di magnesio sembra pericolosa in questo periodo. Infatti essa porterebbe ad una maggiore suscettibilità alle calcificazioni ed una minore efficacia della azione profilattica del trattamento. Ultimamente la profilassi con vit. D3 è stata sostituita con l'inoculazione del 25-idrossicolecalciferolo il quale è l’unico sensibile all'azione del PTH in quanto è esso che viene idrossilato in posizione 1 dal rene sotto tale stimolo soprattutto quando associata all'induzione del parto che ci può far trattare la bovina nel momento migliore. La somministrazione di un gel a base di sali di calcio può essere utile al momento del parto per ridurre l'incidenza della malattia. L'uso profilattico di questa metodica come pure quella della somministrazione di vit. D3 sono misure laboriose e costose. Il loro uso andrebbe limitato a quegli animali che si sa essere più soggetti al collasso puerperale. Siccome nella patogenesi del collasso puerperale e nella sua genesi entra anche il magnesio (che compete col calcio) è importante garantire un adeguato apporto di questo elemento con la razione nel periodo di asciutta che deve essere vicino allo 0,4% della razione.
Ultimamente si stanno sperimentando alcune sostanze in grado di chelare il calcio della razione dell’asciutta. Tra queste è stata già utilizzata con discreto successo la zeolite. In molti allevamenti si attuano dei piani di controllo basati sul trattamento preventivo degli animali subito dopo il parto con la somministrazione di soluzioni di calcio endovena o boli per via orale. Nella maggior parte dei casi si agisce a tappeto senza una vera strategia di prevenzione e a volte con molto empirismo senza conoscere la reale situazione di allevamento.
Ipocalcemia nella pecora e nella capra
Le pecore possono andare incontro all'ipocalcemia soprattutto durante le ultime 4-6 settimane di gestazione. Se si fa un paragone con la bovina le pecore hanno una più grossa richiesta di calcio per lo sviluppo del feto o meglio dei feti. Sebbene la domanda di calcio per la lattazione della pecora sia relativamente bassa l'ipocalcemia può avvenire anche durante le prime 6 settimane di lattazione. La presenza dell'ipocalcemia nelle pecore può coinvolgere fino al 25% degli animali del gregge durante le ultime fasi di gestazione. La paralisi flaccida è il primo sintomo dell'ipocalcemia, anche se una forma tetaniforme si può presentare più frequentemente rispetto al bovino. La tossiemia gravidica e l'ipocalcemia sono difficilmente differenziabili in base alla sintomatologia. L'analisi delle urine per verificare l'esistenza della chetonuria può essere di ausilio per la diagnosi. Una carenza di cibo o un esercizio forzato possono scatenare un'ipocalcemia. Un’ipocalcemia nelle pecore gravide e negli agnelli può anche essere causata dal trasporto (tetania da trasporto). Gli agnelli sviluppano anche un'ipomagnesiemia è presentano tremori muscolari e tetania più che una paralisi flaccida.
La somministrazione di soluzioni endovena di calcio (1g/45 kg) porta ad un rapido recupero. L'incidenza è relativamente più alta nelle pecore che nelle vacche (a detta degli americani). Le pecore dovrebbero essere seguite con un piano alimentare durante le ultime 6 settimane di gravidanza. Questo dovrebbe garantire un appropriato apporto di calcio per prevenire l'ipocalcemia. e la tossiemia gravidica. L'ipocalcemia può colpire anche le capre, ottime produttrici di latte durante la lattazione, e può comparire anche parecchie settimane dopo il parto. Se non trattate, le capre possono non andare incontro al coma come le bovine. Un certo grado di ipereccitabilità ed un certo grado di depressione ed atassia sono i sintomi generalmente osservati. Alcuni casi di ipocalcemia si possono presentare durante l'ultima fase della gestazione soprattutto in quelle con gravidanza gemellare o multipla. Il trattamento di elezione è la somministrazione di calcio nella solita ragione di 1 g/45 Kg di peso per via endovenosa. Come nelle vacche l'incidenza nelle capre può essere ridotta con un contenuto apporto di calcio durante le ultime fasi di gestazione. Questo può essere facilmente effettuato eliminando l'erba medica dall'alimentazione.
Patologie ossee associate con una inadeguata o eccessiva mineralizzazione, disturbi da carenze o eccessi dietetici di fosforo, calcio e vit. D.
La calcio-carenza primaria non è estremamente frequente mentre per quella secondaria si riconoscono determinate sindromi quali: l'osteodistrofia fibrosa (iperparatiroidismo secondario nutrizionale), il rachitismo e l'osteomalacia, che rappresentano le maggiori entità patologiche nelle quali la calcio-carenza secondaria rappresenta uno dei fattori causali.
Rachitismo
Il rachitismo è una malattia dei giovani animali in fase di accrescimento caratterizzata da un difetto di calcificazione delle ossa. La lesione fondamentale è rappresentata da una carente calcificazione con persistenza di una cartilagine ipertrofica ed ingrossamento delle epifisi ossee. Le ossa scarsamente mineralizzate sono soggette all'incurvamento per l'effetto del peso corporeo.
Eziologia - Esso è spesso causato da una carenza di vit. D o di fosforo, e occasionalmente da una carenza di calcio. La carenza di vit. D tende a colpire gli animali tenuti in stalla mentre gli animali al pascolo sono più soggetti alla carenza di fosforo.
Patogenesi - La carenza di vit. D, fosforo o calcio provoca un difettoso processo di demineralizzazione dell'osso. Il rapido accrescimento specialmente in animali pesanti favorisce il suo sviluppo. In tali circostanze le ossa lunghe si allungano rapidamente con una crescita soprattutto delle cartilagini epifisarie anche se poi questa cartilagine non viene riassorbita o calcificata. La crescita in lunghezza poi cessa e le ossa cominciano ad essere così anormali e deboli che si deformano e si curvano sotto il peso. Le cartilagini che rimangono non mineralizzate tendono a ingrassarsi, provocando un evidente ingrossamento delle porzioni epifisarie e delle articolazioni. Gli animali che ricevono una dieta abbondante sono colpiti per primi a causa del loro maggior peso e del loro maggiore fabbisogno di elementi nutritivi specifici.
Epidemiologia - Il rachitismo che si manifesta clinicamente non assume una grande importanza economica mentre rivestono una maggiore importanza le forme subcliniche sostenute dalla carenza dei singoli elementi. Siccome le regole base di un buon allevamento (giusta adeguatezza dei livelli di Ca e P nella razione, esposizione alla luce) ormai vengono seguite dalla maggior parte degli allevatori il rachitismo non rappresenta più una malattia di notevole incidenza. Essa può rappresentare un problema in alcuni ambienti particolari come alcune aree montane oppure nel quadro di una alimentazione intensiva nelle unità di ingrasso. Il rachitismo si manifesta per le seguenti ragioni:
Vitelli: Cause primarie sono rappresentate dalla carenza primaria di fosforo in zone montane fosforo-carenti e della vit. D nei vitelli allevati in stalla per lunghi periodi.
Agnelli: Gli agnelli sono meno sensibili dei vitelli ad una carenza primaria di fosforo, anche se episodi si verificano nelle stesse condizioni su dette.
Suini: Si manifesta negli allevamenti intensivi allevati con diete contenenti eccessi di fosforo e aggravate da carenze di vit. D e calcio.
Puledri: Non si osserva frequentemente in condizioni naturali sebbene sia stato riprodotto sperimentalmente.
Sintomatologia - Il rachitismo nella sua forma clinicamente evidente, si caratterizza con una deambulazione rigida, con la tumefazione delle articolazioni degli arti, soprattutto quelli anteriori, e con l'ingrossamento delle giunture costo-condrali. Le ossa lunghe presentano curvature anormali che provocano nei bovini e negli ovini uno spostamento in avanti della regione del ginocchio e frequente la tendenza al decubito e zoppie. Si manifesta cifosi e tendenza alle fratture. L'eruzione dentaria è ritardata ed irregolare ed i denti appaiono scarsamente calcificati spesso cariati e di colorazione brunastra, male allineati e si consumano facilmente. Le anomalie dentali assieme all'ispessimento e al rammollimento della mandibola possono impedire la normale chiusura della rima boccale negli agnelli e vitelli per cui si può osservare ptosi della lingua, scialorrea e difficoltà di prensione e masticazione dell'alimento. Una grave deformazione delle strutture toraciche, la comparsa di dispnea e meteorismo cronico.
Esami di laboratorio - Nella malattia è sempre documentabile l'aumento della fosfatasi alcalina plasmatici. Le variazioni di calcemia e fosforemia dipendono da fattori causali. Quando l'eziologia dipende da una carenza di fosforo e vit. D la fosforemia risulterà inferiore ed in generale più bassa di 3 mg/dl. La calcemia decresce soltanto negli stadi terminali. Uno dei metodi migliori per diagnosticare il rachitismo è rappresentato dall'esame radiografico delle ossa e delle articolazioni. Le ossa rachitiche presentano una maggiore radiotrasparenza le estremità delle ossa lunghe, un aspetto sfrangiato, lanoso, come mangiato dalle tarme con contorni scavati o piatti invece che convessi. La biopsia ossea permette di effettuare un esame istologico di indubbia importanza.
Quadro necroscopico – A parte agli aspetti riferibili allo scadente stato generale e le lesioni ossee e dentarie l'esame istologico delle epifisi ossee risulta comunque indispensabile per emettere una diagnosi definitiva. Un prezioso aiuto diagnostico è rappresentato dal rapporto quantitativo tra ceneri e materia organica delle ossa. Normalmente tale rapporto è di 3:2 parti di ceneri su parti di materia organica. Nell'osso rachitico tale rapporto può raggiungere 1:2 e 1:3. La diagnosi di rachitismo può essere avanzata quando il contenuto di ceneri scende al di sotto del 45% del peso dell'osso.
Prevenzione - A seguito degli interventi terapeutici messi in atto per le singole carenze rilevate, gli animali colpiti da forme lievi ed iniziali possono guarire anche se le alterazioni scheletriche più gravi rimangono. Più evidente risulta il miglioramento delle condizioni generali e che si accompagna alla normalizzazione dei livelli di AlP e P ematici. La prevenzione può essere fatta fornendo agli animali neonati buone condizioni igieniche ambientali e di illuminazione nonché un giusto apporto di nutrienti minerali e se necessario di vitamina D.
"Malattia della Iena" nel bovino
E' osteodistrofia caratterizzata dalla chiusura precoce dei dischi epifisari (linee di accrescimento) di femore, tibia e metatarso dovuta ad una somministrazione continuativa , orale o parenterale, di vitamina D e/o A.
La malattia fu evidenziata per la prima volta da Parodi ed Espinase nel 1975 e chiamata "malattia della Iena " perché gli animali colpiti, a partire dal 4-5 mese di vita presentavano uno sviluppo inferiore del treno posteriore rispetto a quello anteriore. Divenendo adulti, questi animali, presentano un aspetto simile a quello della iena, il noto carnivoro della savana africana. Dopo tale segnalazione ne seguirono altre in tutto il mondo riportando di volta in volta numerose teorie eziopatogenetiche di carenze nutrizionale di vari minerali ed oligoelementi, una conseguenza dell'infezione da BVD o di processi autoimmuni che però non sono mai stati confermati sperimentalmente.
Finalmente nel 1984 Renner e collaboratori attribuirono la malattia ad una ipervitaminosi D giovanile e nel 1990 Takahaschi e Coll la hanno riprodotta provando sia una ipervitaminosi D che A nelle prime settimane di vita dei vitelli.
Eziopatogenesi
La vitamina A e D, somministrate a brevi intervalli, stimolano l'accrescimento e la chiusura dei dischi epifisari di accrescimento delle ossa lunghe dei giovani animali. La vitamina D somministrata a dosi eccessive nell'adulto ma anche nel giovane provoca la formazione di calcificazioni ectopiche (calcinosi) nei tessuti molli ed ad esempio nelle arterie, nei tendini e legamenti specialmente quelli ricchi di tessuto elastico. Nel giovane in accrescimento che riceve un inadeguato apporto di calcio si può avere anche una decalcificazione ossea.
Di norma il vitello nasce con gli arti posteriori più lunghi rispetto a quelli anteriori, tra i 6 ed i 24 mesi si raggiunge un equilibrio mentre nel adulto prevale leggermente il treno anteriore rispetto a quello posteriore. Questa particolarità del bovino deriva dal fatto che i dischi epifisari di accrescimento del femore, della tibia e del metatarso, si chiudono normalmente un anno prima dei dischi epifisari dell'omero del radio e del metacarpo.
Se per via orale o parenterale si somministrano ripetute dosi di vitamina A e/o D si stimola la chiusura precoce di tutti i dischi epifisari di tutte le ossa lunghe dello scheletro ma in particolare quelli del treno posteriore. Se questa somministrazione si interrompe quando si sono chiusi quelli del femore, tibia e metatarso ma non quelli del treni anteriore l'animale assumerà il tipico atteggiamento della malattia della iena. Se invece la somministrazione si prolunga nel tempo si avrà un animale nano. La somministrazione di tutte e due le vitamine produce effetti più marcati rispetto alla somministrazione di una sola per il fatto che le due vitamine si potenziano a vicenda. Perché si abbia questa patologia è necessario che le vitamine vengano somministrate più volte; una o due volte, infatti, non sono in grado di provocare la malattia.
L'apparizione spontanea di questa patologia è quindi da ricollegare con l'abitudine di certi allevatori o veterinari di somministrare per lunghi periodi alte dosi di vitamina A, D ed E in vitelli affetti da diarrea. Dato che le enteriti sono più frequenti nei periodi di alimentazione lattea, in generale la somministrazione di vitamine cessava all'età di un mese e mezzo/due mentre le manifestazioni cliniche comparivano verso il 4-5° mese all'inizio non si era pensato all'associazione tra malattia ed ipervitaminosi. Per causare la malattia la somministrazione delle vitamine deve avvenire nei primi 3-4 mesi di vita: tanto più precoce sarà la loro somministrazione tanto maggiore risulterà la distrofia ossea.
UROLITIASI
L'urolitiasi è la formazione di calcoli nelle vie urinarie. Avviene sporadicamente nei bovini, ovini e caprini in molte parti del mondo ma assume grande importanza nei feedlots americani. Esso può essere annoverato tra i disturbi metabolici in quanto è causata soprattutto da fattori nutrizionali, che includono un eccessivo o squilibrato apporto di minerali. La calcolosi diventa clinicamente importante quando avviene l'ostruzione delle vie urinarie. La patologia ostruttiva è importante soprattutto negli animali castrati nei quali il pene e l'uretra rimangono sessualmente sottosviluppati e piccoli, così che anche i piccoli calcoli tendono a dare problemi. L'urolitiasi non assume una grande importanza economica ma causa grave sofferenza con dolore agli animali, possibili rotture della vescica e morte di alcuni soggetti. Tre comuni entità cliniche possono essere descritte:
Ostruzione dell'uretra
Rottura dell'uretra
Rottura della vescica
Raramente può avvenire la rottura del rene. Una nefrolitiasi causa raramente ostruzioni uretrali nei bovini ma può portare a pielonefriti e idronefrosi. Negli animali maturi (soprattutto tori) con patologie renali va subito esclusa la presenza di calcoli attraverso un esame ecografico.
Ostruzione uretrale
I sintomi iniziali di una ostruzione uretrale sono quelli causati da un dolore uretrale. L'animale è agitato, muove la coda, che può sbattere sull'addome e si sforza in attesa che passi l'urina, qualche volta può comparire un prolasso rettale. gogge di urina con sanghe possono fuoriuscire se non è presente una anuria completa ma se l'ostruzione è completa i peli prepuziali sono asciutti e dei calcoli possono essere depositati su di essi. Pulsazioni uretrali sul arco ischiatico sono spesso presenti e possono essere palpate per via rettale. Il gonfiore provocato dall'alloggiamento del calcolo sulla flessura peniena può essere evidenziato è la sensibilità alla palpazione in questa area può essere molto accentuata. Negli ovini e caprini la frequenza del polso, la temperatura e la frequenza respiratoria sono generalmente elevate molto probabilmente come risultato del dolore e del progresivo aggravarsi delle condizioni generali. Molto frequentemente nell'uretra dei manzi i calcoli si fermano nella parte prossimale della flessura uretrale. Nel becco, montone enegli ovini castrati l'ostruzione uretrale può essere o al processo uretrale o alla flessura uretrale. L'esplorazione rettale nei bovini e la palpazione addominale nei piccoli ruminanti fa rilevare una vescica ripiena se l’ostruzione è totale e se la vescica non è rotta. Senza un intervento o la vescica o l'uretra e più raramente il rene vanno in contro a rottura generalmente in 48 ore (questo può durare anche più specialmente se l'ostruzione non è completa).
Diagnosi differenziale - Altre condizioni che causano dolore addominale e anoressia come ad esempio un ostruzione intestinale devono essere considerate; l'auscultazione, percussione dell'addome e l'esplorazione rettale possono escludere una patologia a carico dell'intestino. Il tenesmo è speso presente nella coccidiosi, salmonellosi avvelenamento dell'alcaloide pirrolizzidina (ed altri forme di insufficienza epatica) e nella rabbia. Comunque il sintomo primario di queste patologie sono sintomi enterici o/e nervosi mentre la funzione urinaria è normale. Una attenta osservazione degli animali rivela un passaggio di feci normali; comunque non si osservano urine oppure gocciolano ad intermittenza dal prepuzio degli animali colpiti. Un prolasso del retto è frequente negli ovini e i sintomi clinici possono essere confusi con una ostruzione uretrale. La diminuzione dell'appetito i disturbi o il dolore addominale nei ruminanti devono essere differenziati da una indigestione acuta. Di nuovo, la distinzione deve essere fatta con un attento esame clinico e prove collaterali.
I sintomi iniziali di una ostruzione uretrale negli ovini e caprini possono essere vaghi, con l'animale che mostra soltanto letargia, depressione, e inappetenza. In questi casi le variazioni cliniche di laboratorio possono essere di ausilio nel fare diagnosi di ostruzione. Quando un animale mostra segni come i movimenti della coda la disuria, la diagnosi è relativamente facile. La presenza di cristalli urinari sui peli del prepuzio è anche un sintomo importante di urolitiasi ostruttiva. Il pene può essere sfoderato e esaminato il processo uretrale che comunemente è il sito dell'ostruzione se ciò non è possibile bisogna sedare l'animale, far sedere l'animale sulle natiche può essere di aiuto. Nei casi estremi una pinza può essere usata per per portare progressivamente fuori più mucosa prepuziale fino a che non si evidenzia il pene.
Rottura dell'uretra
I ruminanti nei primi stadi dell'ostruzione uretrale non vengono evidenziati così che la necrosi e la perforazione della parete uretrale avviene frequentemente nel sito dell'ostruzione. L'urina passa attraverso la rottura e si infiltra nel sottocute nel prepuzio e nel sottocute dell'addome. Questo si manifesta con il caratteristico gonfiore ventrale spesso chiamato "ventre acquoso". L'appetito è speso depresso, ma la funzionalità intestinale è normale. L'aspirazione del liquido dalla tumefazione porta a prelevare un liquido chiaro che può non odorare di urina se non viene riscaldato. L'esplorazione rettale rileva o il collasso o una ripienezza parziale della vescica. Nei casi protratti una necrosi con gangrena (con perdite) del tessuto ventrale addominale può complicare il quadro.
Diagnosi differenziale - I sintomi della rottura uretrale possono sembrare ascessi sottocutanei, ascessi ombelicali, ernie ombelicali e ventrali, ematoma del pene, traumi o infezioni del prepuzio. Un attento esame dell'area, la determinazione dell'animale ad urinare, il prelievo del liquido, la determinazione della creatinina o del bun nel siero generalmente portano ad una diagnosi. Siccome l'urina nei tessuti porta a necrosi l'area è di solito fredda, scolorita e non dolente, mentre i processi infettivi sono caldi e dolenti. A causa della formazione di aderenze la rottura dell'uretra ha una prognosi molto riservata per una ripresa normale di allevamento.
Rottura della vescica
Questa è la conseguenza più grave dell'ostruzione uretrale perché necessita di un intervento chirurgico intraddominale per la riparazione del danno e la ripresa dell'animale. Quando avviene la rottura della vescica i sintomi si appalesano soltanto dopo 1 2 giorni. Comunque , nel corso dei giorni seguenti, l'uremia si aggrava e l'animale va in contro ad una grave depressione anoressia e disidratazione. Gli animali affetti si possono separare dal resto del gregge o della mandria. Una distensione addominale può essere notata. La vescica non è palpabile attraverso l'esplorazione rettale mentre l'addome può essere vuoto e l'area prepuziale asciutta. La rottura avviene di solito nella parte ventrale della vescica; essa può consistere in più piccoli buchi o una grossa lacerazione che si estendefino al trigono. Siccome la rottura avviene nella parte dorsale la riparazione chirurgica è molto difficile ma qualche volta con successo. In qualche caso la necrosi della vescica precede la rottura. La rottura della vescica può avvenire dopo il parto nella vacca, in questi casi la riparazione chirurgica può avere un successo maggiore rispetto a quella per ostruzione uretrale.
Diagnosi differenziale - La distensione addominale è facilmente differenziabile dal meteorismo gassoso del rumine ed è constatato dal funzionamento del comparto anteriore. Vitelli con una indigestione vagale hanno un accumulo di fluidi e gas nel rumine, il rumine disteso si sente con la palpazione rettale, e il rumore metallico (pings) può essere auscultato sulla parte destra e sinistra. L'ascite è rara nei bovini e spesso associata con trombosi della vena cava caudale. Porre l'animale da solo su un pavimento asciutto per vedere se urina è il metodo migliore quando non si può disporre di esami di laboratorio. La paracentesi effettuata a 4- 5 cm alla destra della linea alba, posteriormente all'ombelico generalmente porta all'ottenimento di grosse quantità di urina anche se può non essere subito ovvio che il liquido sia urina. Negli ovini e caprini l'uso degli ultrasuoni può essere di ausilio per stabilire la presenza di liquidi in addome, ed anche visualizzare la vescica. Una uretrografia discendente è stata eseguita nella capra per provare una rottura dell'uretra e della vescica. Con presenza di una elevata pressione all'interno dei reni ci si deve aspettare che il contrasto può essere impedito nel passaggio. Una ostruzione che sfocia in una rottura dell'uretra o della vescica l'uretrografia può essere utile nell'individuare il punto di rottura. Essa può essere utile anche per individuare il punto di collocazione del calcolo negli ovini e caprini. Anche la radiografia addominale può essere usata per diagnosticare se la vescica è rotta sebbene la sua visualizzazione non esclude la presenza di una lacerazione. Una visualizzazione ultrasonografica dei rine è utile prima dell'intervento chirurgico in quanto la presenza di calcoli renali o di una loro rottura aggrava la prognosi. Questi test ausiliari sono spesso non necessari oppure non sono economicamente validi. La diagnosi può essere fatta attraverso un attenta anamnesi, un esame clinico o prove collaterali di laboratorio come la determinazione degli elettroliti sierici e la determinazione della creatinina del siero e del liquido addominale.
Reperti di laboratorio - La creatinina sierica, l'azoto ureico ematico e la concentrazione delle proteine plasmatiche si elevano; e i livelli di sodio e cloro sono abbassati nei ruminanti con rottura della vescica o dell'uretra. Uno studio ha riscontrato che nei manzi con rottura della vescica sono più disidratati e hanno valori più bassi di sodio e cloruri rispetto a quelli con rottura dell'uretra. Il potassio sierico è generalmente elevato e rappresenta un rischio per l'anestesia nei piccoli ruminanti se viene pensato all'intervento chirurgico. Nello stesso studio è stato riscontrato che i fosfati sierici è il migliore indicatore prognostico nei bovini con rottura della vescica e che tutti i manzi con livelli sierici maggiori di 9 mg/dl morirono. L'esame del liquido aspirato dall'addome o dal tessuto sottocutaneo è difficile perché misto a liquido extracellulare ma con il riscaldamento può sprigionare l'odore di urina. La concentrazione della creatinina del liquido è generalmente più del doppio di quella del siero, così che il rapporto tra la creatinina del liquido addominale e quella del siero può essere usato come indice diagnostico. Se la vescica non è rotta ma è molto distesa le concentrazioni di BUN e creatinina del liquido addominale possono essere lievemente aumentate rispetto al siero. Calcoli urinari sono presenti negli animali apparentemente normali che possono causare una lieve cistite. Una ostruzione ureterale causa una idronefrosi, mentre una ostruzione dell'uretra porta ad una uremia e a morte dell'animale se non diagnosticata. La rottura dell'uretra o della vescica porta ad una accumulo di urina nel sottocute o in addome. L'urina ha una osmolalità più elevata rispetto al fluido interstiziale; quindi l'acua passa nel sottocute o in cavità addominale portando a disidratazione. Urea e creatinina diffondono dai tessuti o dall'addome nel circolo mentre il sodio ed il cloro si spostano in modo contrario perché la loro concentrazione urinaria è più bassa rispetto a quella sierica causando una iponatremia e ipocloremia sistemica.
Reperti necroscopici - I reperti necroscopici nei casi di rottura dell'uretra includono una grande tumefazione ed imbibizione dei tessuti sottocutanei dell'addome ventrale. Cellulite o necrosi può essere presente nei csi avanzati. Il calcolo responsabile è generalmente presente, a livello della s peniena. e necrosi della parete uretrale si trova in questo punto. Actri calcoli si ritrovano nella vescica e nella pelvi renale, i calcoli vescicali sono responsabili di una blanda cistite. I calcoli si possono presentare come una sabbia più o meno fine oppure come discreti sassi. Quando c'è la rottura della vescica l'addome contiene una grande quantità di urina e la vescica le ovvie lesioni.
Fisiopatologia - Un certo numero di teorie sono state avanzate per spiegare la formazione dei calcoli urinari. Nella maggior parte dei casi appare che i cristalloidi calcologenetici sono concentrati nelle urine al punto tale che la loro solubilizzazione diviene instabile per cui vanno in contro a precipitazione. Il primo stadio nello sviluppo dei calcoli è la formazione di nuclei iniziali che riescono a rimanere nelle urine e un continuo rimanere le urine soprassature di cristalloidi. Il grado si sovrassaturazione delle urine dipende dalla dieta, dal pH, dal consumo di acqua dell'animale e dalla presenza nelle urine di inibitori alla cristallizzazione.
Dieta - La relazione tra calcoli e metabolismo della silice è stato studiato da Bailey. le piante che provocano calcolosi da silicati contengono grasse quantità di silice (maggiori del 6%). Nei bovini allevati con queste diete il succo reticolo ruminale contiene diossido di silice che è convertito ad acido silicico che satura il contenuto ruminale. L'acido silicico viene assorbito ed escreto per via renale tanto che la sua concentrazione nelle urine può arrivare alla saturazione specialmente quando l'assunzione di acqua è limitata. A tali concentrazioni l'acido silicico polimerizza in vitro a formare molecole di grosso peso molecolare che formano micelle di silice (si-O-Si). Queste micelle possono aggregarsi e precipitare insieme alle proteine urinarie a formare i nuclei che continuano a crescere per continua sovrassaturazione delle urine. Sia i calcoli si silice che quelli di struvite contengono dal 3 al 4% di mucoproteine; livelli di mucoproteine sono provocati dalla somministrazione di composti estrogenici, attraverso una alimentazione ricca di una dieta concentrata o quando i livelli di Vit. A sono inadeguati.
I calcoli di struvite (fosfato ammonio magnesiaco) colpiscono soprattutto i vitelli allevati nei feedlots. Razioni a base di cerali hanno un alto contenuto in fosforo, e aumentando il rapporto concentrati/foraggi la dieta porta ad un alto assorbimento di P che fà aumentare la quantità di fosforo escreta con le urine che può portare ad una cristallizzazione. In uno studio diete con alto contenuto in fosforo sono state trovate nel 75% degli episodi di urolitiasi, mentre diete contenenti non più del 3% di fosforo prevengono tale evenienza. Un elevato tenore di Mg con la dieta è stato dimostrato sperimentalmente essere responsabile di urolitiasi in vitelli in accrescimento. Aggiunte di Ca ma non di fosforo alla dieta sembrano proteggere contro la formazione di calcoli urinari causati da alti livelli di Mg.
pH - La formazione di calcoli di silice non viene influenzata. L'acidificazione delle urine con l'aggiunta di cloruro di ammonio non diminuisce le concentrazioni di acido silicico nelle urine ne riduce la grandezza dei calcoli prodotti da una dieta con erbe ricche di silice. L'acidificazione, invece, dissolve i calcoli di struvite e riduce l'incidenza di tale patologia. Il pH delle urine condiziona la solubilità di alcuni sali Per esempio fosfati e carbonati precipitano più facilmente in ambiente alcalino rispetto ad un ambiente acido.
Ingestione di acqua - L'urolitiasi ostruttiva avviene più frequentemente in inverno e una riduzione dell'ingestione di acqua porta ad una aumento della concentrazione di cristalloidi nell'urina. una certa percentuale di sale nella dieta influenza l'assunzione di acqua.
Epidemiologia - Nei ruminanti i tipi principali di calcoli sono quelli di struvite (fosfato ammonio magnesiaco), silicati, carbonati e ossalati e la formazione di calcoli dipende dalla sovrassaturazione delle urine con cristalloidi calcologenetici. Razioni a base di cereali adottate nei feedlots contengono elevati livelli di P e predispongono a alla formazione di calcoli ostruttivi. L'aumento del rapporto concentrati7foreaggi aumenta la quantità del sedimento nelle urine, ma aumentando il contenuto di calcio della dieta protegge contro la formazione di calcoli riducendo la quantità di fosforo assorbito. L'utilizzo di alimento pellettato negli ovini aumenta sia la concentrazione del fosforo urinario che la formazione di calcoli urinari sebbene il meccanismo non sia ancora conosciuto. Calcolosi da silicati è frequente in Nord America dove le erbe spontanee hanno un alto contenuto in silice In queste aree l'urolitiasi ostruttiva è è più frequente in autunno ed in inverno riflettendo la maggior ingestione di erba in questo periodo da parte dei vitelli. L'introduzione di acqua ha molta importanza sul grado di saturazione delle urine, una ridotta assunzione di acqua infatti, in inverno è sicuramente un importante fattore che aumenta la probabilità di malattia in questo specifico periodo. La formazione di calcoli è diffusa in tutti i bovini anche se nei maschi castrati la malattia assume un importanza maggiore in quanto il diametro dell'uretra è più piccolo rispetto ai tori interi. La stessa regola vale per gli ovini e i caprini. Nelle femmine un'uretra più larga e più corta un più rapido deflusso delle urine, assicura che la maggior parte dei calcoli formati possa passare.
Trattamento - Una positiva risposta al trattamento dell'ostruzione uretrale nei bovini allevati in feedlots con l'aminopromazina, è stato descritto, e l'uso di spasmolitici nei casi scoperti precocemente può portare ad un rilassamento sufficiente a far passare il calcolo. L'uretrostomia deve essere fatta nei casi in cui si sia rotta l'uretra e molti animali possono perfino recuperare il peso adatto alla macellazione. La prognosi nei manzi con rottura della vescica è molto meno favorevole, e soltanto il 50% si riprende dopo l'intervento chirurgico. Il trattamento dell'urolitiasi ostruttiva nei piccoli ruminati è chirurgico per eliminare l'ostruzione e ristabilire il normale flusso di urina. In tutti i casi il processo uretrale dovrebbe essere amputato per vedere se l'ostruzione si può risolvere facilmente. Se la vescica è rotta dovrebbe essere riparata. In aggiunta la terapia deve puntare a normalizzare lo stato metabolico dell'animale colpito. L'approccio alla diagnosi nei piccoli ruminanti è vario. Qualcuno indica che la localizzazione vada fatta con un catetere retrogrado dopo aver amputato il processo uretrale, incidendo l'uretra sopra l'ostruzione, e rimozione del o dei calcoli. Altri calcoli possono essere ritrovati nella vescica portando ad un ulteriore intervento chirurgico per rimuoverli. una management dietetico è essenziale dopo l'intervento chirurgico e per gli animali non operati dello stesso allevamento per evitare anche nuovi episodi. L'uretrostomia perineale può essere un altro approccio chirurgico del problema anche se non lo è a lungo termine. Non è pensabile ad un tipo simile di intervento negli animali da compagnia. Può essere utile per gli animali che riescono ancora a crescere e quindi a raggiungere il peso alla macellazione e se ciò non va a scapito del reddito dell'azienda anche perché gli animali non possono esprimere tutto il loro potenziale di crescita. Frequentemente gli animali con ostruzione uretrale sono metabolicamente instabili e presentano rischi per l'anestesia. In particolare gli alti livelli di K portano gli animali a problemi cardiaci durante l'anestesia generale. Quando c'è la rottura della vescica si può introdurre un catetere in addome e svuotarlo lentamente Una concomitante terapia fluida porta ad una normalizzazione della situazione e facilita l'animale a sopportare l'anestesia. l'uso di soluzioni saline normali con l'aggiunta di destrosio al 5% sono efficaci nel abbassare i livelli di potassio e a ristabilire le concentrazioni di cloro e sodio. La terapia fluida e lo svuotamento addominale portano ad un abbassamento dei livelli sierici di creatinina e BUN. Gli animali con rottura della vescica hanno comunque una prognosi molto riservata. Anche gli animali con rottura dell'uretra hanno una prognosi molto riservata. L'uretrostomia prossimale può essere fatta con anestesia locale o epidurale.
Prevenzione e controllo - Il controllo dell'urolitiasi dipende dalla manipolazione della dieta per ristabilire un equilibrio minerale o se questo non è possibile, animali allevati al pascolo, sull'induzione di una diuresi cronica per ridurre il livello di saturazione urinaria. La calcolosi da struvite può essere controllata negli animali da ingrasso con la riduzione del contenuto in P della razione a base di cereali e con l'aggiunta di calcio. L'erba medica è un buna fonte di calcio. L'assorbimento di P nell'intestino è ridotta con l'aumento dell'apporto di calcio. Esperienze sperimentali hanno dimostrato che l'incremento del calcio nella razione protegge contro l'urolitiasi in diete ricche di fosforo. Un graduale aumento del contenuto di sale nella dieta dei vitelli all'ingrasso a livelli del 4 - 5% non interferisce nell'assunzione di alimento e inoltre diminuisce l'incidenza dell'urolitiasi. Ciò è probabilmente dovuto a all'effetto diuretico e alla diluizione urinaria conseguente, sebbene la presenza di cloro può portare alla presenza nelle urine di cloruro di Mg che è più solubile del fosfato di Mg. Gli ioni cloro nelle urine sono anche capaci di legarsi alle mucoproteine , quindi diminuiscono il legame di queste con i silicati e e fosfati diminuendo la formazione di calcoli. La disposizione di acqua in ogni momento è essenziale e particolarmente nella stagione fredda. La stuvite precipita in ambiente alcalino e quindi una aggiunta di cloruro di ammonio alla dieta è in grado di acidificare le normali urine alcaline. Questo è in grado di diminuire l'incidenza dell'urolitiasi nei manzi e negli agnelli quando somministrato con la razione nella quantità del 0,5%. Quando sono necessari alimentazioni altamente concentrate, l'aggiunta di calcio alla razione può essere di vantaggio nella diminuzione della calcolosi. Devono essere valutati anche i livelli di Mg con la razione.
La riduzione dell'ingestione di silice nei bovini allevati al pascolo nelle zone dove l'erba ne ha un elevato contenuto nonè cosa semplice. per ridurre l'incidenza dell'urolitiasi nei vitelli si può aggiungere alla razione del sale. Questo aumenta l'ingestione di acqua riducendo le concentrazioni di acido silicico nell'urina. Gli ioni cloro inoltre si legano alle mucoproteine prevenendo così il loro legame ai silicati. Il sale può essere somministrato in alimenti appetibili agli animali dopo i 4 mesi di vita. Tale alimento deve essere posto vicino all'acqua di bevanda che deve essere povera di sale per facilitare l'assunzione. Tale supplementazione deve continuare durante il periodo invernale. Posporre la castrazione dopo lo sviluppo dell'uretra non diminuisce sensibilmente l'incidenza dell'urolitiasi.
Disordini associati alla carenza di P negli animali adulti
Carenza cronica di P
La carenza di fosforo negli animali riconosce come causa principale la carenza di P con la dieta, mentre una carenza secondaria è mediata da altri fattori. Diete con alti tenori di calcio e bassi di vit. D possono portare ad uno scarso assorbimento e utilizzazione del P della dieta. Questa condizione può portare a carenza di fosforo solo quando il suo apporto dietetico è ai livelli minimi di tollerabilità.
Sintomatologia - I primi sintomi della carenza alimentare di P includono una diminuzione dell'appetito, perdita di peso, ritardo dello sviluppo, diminuzione della produzione lattea e ridotta fertilità. Le funzioni riproduttive possono essere compromesse da anestro, estri irregolari, diminuito tasso di concepimento e ritardo della pubertà. Tali sintomi sono aspecifici e quindi non possono essere riconosciuti come carenza di fosforo. Come la carenza si prolunga gli animali adulti sviluppano i sintomi dell'osteomalacia. Questi animali si presentano emaciati, con un mantello ruvido ed opaco gambe lunghe ed una apparenza di animale alto e sottile. Rigidità ed un certo grado di zoppia si sviluppano. Fratture spontanee possono essere presenti. Questi animali spesso stanno in decubito sebbene sono normalmente vigili e si alimentano. Animali con carenza di fosforo come per altri minerali sviluppano la pica. Assunzione di terra, masticazione di sassi e ossa si osservano frequentemente. Questo tipo di comportamento può portare ad altre malattie come ad esempio reticolo peritoniti da corpo estraneo o botulismo per ingestione di ossa.
Un'altra sindrome associata alla carenza di fosforo delle vacche da latte è l'emoglobinuria puerperale. Essa è una patologia acuta che si verifica entro le 6 settimane dopo il parto ed è caratterizzata da un emolisi intravasale, emoglobinuria, e anemia.
I sintomi iniziali sono dati da debolezza, barcollamento e diminuzione della produzione lattea seguiti dall'emoglobinuria. Le urine si presentano scure, dal rosso marrone al nero. In altri casi l'emoglobinuria può essere il primo sintomo osservato. Altri sintomi includono aumento della frequenza respiratoria, tachicardia, polso giugulare pronunciato e modico innalzamento della temperatura rettale (da 39 a 40°C). Con il progredire della malattia l'animale si presenta più debole, in decubito e disidratato e le mucose saranno pallide. L'ittero si manifesta negli animali che vivono più di 2 o 3 giorni.
Reperti di laboratorio - Livelli plasmatici più bassi di P (<4mg/dl) sono un indicatore valido di ipofosforemia. Comunque tali livelli possono essere mantenuti normali per un lungo periodo dal momento in cui inizia la dieta carente di P. Valori normali di P non possono escludere una sua deficienza. I livelli sierici di calcio non sono generalmente variati. Nei casi gravi l'AlP può essere elevata. Il rapporto delle ceneri e la sostanza organica dell'osso è sotto quello normale di 3:1.
Fisiopatologia - Il fosforo gioca un importante ruolo nelle normali funzioni dei tessuti dell'organismo tanto che la sua carenza provoca disfunzioni dell'intero organismo. La carenza di appetito provocata dalla deficienza di P porta come conseguenza anche ad una deficienza di altri nutrienti. Gli animali con carenza di P hanno una grave demineralizzazione dell'osso. L’ipofosforemia non è conosciuta provocare un riassorbimento osseo . La demineralizzazione dell'osso in questo caso è più verosimilmente causata da una normale attività degli osteoclasti ed una depressa attività degli osteoblasti. Avviene quindi una produzione di matrice ossea al posto dell'osso mineralizzato. Il risultato è una demineralizzazione dell'osso (osteomalacia) con rammollimento dell'osso e con la possibilità di fratture frequenti. L'esatto meccanismo dell'emolisi intravasale dell'emoglobinuria puerperale non è noto e può coinvolgere numerosi fattori. La carenza di P è stata associata ad una interferenza con la glicolisi negli eritrociti causando un deficit di ATP. L'ATP è la fonte energetica principale per mantenere il gradiente cationico attraverso la membrana del globulo rosso e quindi risulta coinvolto nel mantenimento della forma e dell'integrità della membrana stessa. Un difetto irreversibile ed una rigidità degli eritrociti umani è stata dimostrata quando i livelli di ATP scendono del 15% rispetto alla norma. Sembra anche che il P possa giocare un ruolo diretto sull'emolisi intravasale. Comunque l'emolisi intravasale non avviene in tutti gli animali con ipofosforemia. L'acidosi metabolica causata da una chetosi può esacerbare l'ipofosforemia aumentandone l'escrezione renale (come diidrossiglucofosfato). L’azione di alti livelli di ossidanti o di bassi livelli di antiossidanti è stato anche sospettato un fattore che può provocare l'emolisi intravasale in questa patologia. Il rame contenuto nell'enzima superossidodismutasi, il selenio nella glutatione perossidasi e la vit. E tutti questi proteggono contro il danno da ossidazione dei globuli rossi. Carenze di questi oligoelementi sono stati associati a casi di emoglubinuria puerperale in Nuova Zelanda. Numerose piante contengono ossidanti o precursori di ossidanti e si sa causare emolisi intravasali. Le crucifere sono particolarmente conosciute nel fare ciò. I cavoli sono ricchi di S-metilcisteina sulfossido che è convertito dalla flora ruminale in dimetiltisolfato che causa le precipitazione dell'emoglobina e porta ad emolisi.
Prevenzione e controllo - La prevenzione delle malattie causate dalla carenza di fosforo necessitano di una supplementazione con la dieta adeguata alle richieste per il mantenimento e le produzioni. Le necessità di fosforo dipendono dall'età dell'animale e dal livello della produzione. I fabbisogni per tutti i minerali sono pubblicati dal National Research Council. L'applicazione di fertilizzanti fosforici nel terreno fa aumentare il contenuto nelle produzioni foraggiere. In certe condizioni questo può essere inadeguato e troppo costoso. I due metodi più comunemente usati sono la somministrazione orale di fosfato calcico e di fosfato minerale fluorinato. Altre supplementazioni includono farina di ossa (meglio di no, vedi encefalopatia spongiforme), sodio fosfato, bisodico o monosodico, ammonio fosfato e acido fosforico. Queste supplementazioni possono essere miscelate con gli altri alimenti o somministrati come sali minerali. La maggior parte degli integratori fosforici contiene calcio e bisogna monitorizzare il rapporto Ca/P quando vengono usati. Un rapporto 2:1 è considerato ottimale per l'assorbimento e le performances. Il rapporto Ca/P totale della dieta non deve essere mai inferiore a 1:1. A differenza dei monogastrici i ruminanti tollerano rapporti fino 7:1.
Disordini del metabolismo del magnesio
Ipomagnesiemia
Cenni sul metabolismo del Mg - L'azione biologica di questo catione, è ancora piuttosto oscura, è certo che oltre a catalizzare l'azione di alcuni enzimi (AlP) interviene nella sintesi e nella lisi dell'acetilcolina e nella scissione enzimatica dell'adenosin trifosfato (ATP). L'azione generale del magnesio, tipicamente depressiva e che interessa le strutture nervose è in genere antagonista a quella del calcio. I sali di magnesio provocano una paralisi di senso e di moto accompagnata da uno stato di narcosi con abolizione dei riflessi. Il magnesio totale di una bovina ad esempio è di circa 200 grammi, di cui oltre la metà (70%) è depositato nello scheletro dove è scarsamente utilizzabile e mobilizzabile in caso di necessità. Soltanto il 2% dei sali di magnesio presenti nello scheletro sono disponibili giornalmente per un bovino adulto. Circa il 29% lo ritroviamo nei tessuti molli del corpo e soltanto l'1,1% circola nei liquidi extracellulari. Quest'ultimo quantitativo ammonta nella bovina ad appena meno di 2 grammi ma riveste un enorme importanza da un punto di vista fisiologico. Si è concordi nel ritenere che una tetania ipomagnesiemica si può avere quando la sua concentrazione nel plasma scende dai normali 2,5 mg/dl a meno di 1,1 mg/dl. Dalle ricerche sul suo controllo omeostatico è emerso che esso non sembra essere sotto un rigido controllo ormonale come avviene per il calcio. La concentrazione ematica di Mg, infatti, varia entro limiti piuttosto ampi che dipendono, in larga parte, dall'apporto dell'elemento con la dieta. Si ritiene che l'input del Mg nel liquido extracellulare derivi quasi interamente dall'assorbimento alimentare in contrapposizione di quanto avviene per il calcio dove un'apprezzabile quantità può essere riassorbita dalle ossa. L'output come per il calcio avviene con l'urina, il latte e le feci. Nel latte di una bovina la quantità di magnesio supera i 3g al giorno in un animale ad elevata produzione e sembra essere abbastanza costante a prescindere della sua concentrazione ematica. Il Mg contenuto nelle feci deriva prevalentemente dalla secrezione salivare (120 litri al giorno in una bovina adulta contenente da 0,6 a 1 mg/100ml di Mg). L'escrezione del Mg con i reni inizia quando la sua concentrazione plasmatica è superiore a 1,8-1,9 mg/dl ed è correlata linearmente alla sua concentrazione ematica. Vista la non esistenza di uno stretto controllo omeostatico della magnesiemia molto importante risulta essere un continuo apporto di questo elemento con la dieta e le cause che possono interferire con il suo assorbimento. Il luogo di elezione per il suo assorbimento sembra essere rappresentato dai prestomaci ed in particolare dal rumine, mentre soltanto una scarsa quantità verrebbe assorbita a livello intestinale nei ruminanti adulti. Nel vitello lattante invece il massimo assorbimento si ha a livello di digiuno.
Definizione di ipomagnesiemia - L'ipomagnesiemia (detta anche: tetania da erba, tetania da lattazione, intossicazione da pascolo di graminacee, tetania invernale, tetania da trasporto, intossicazione da avena fresca, intossicazione da orzo, barcollamento da erba) è una carenza di ioni Mg nel sangue e nel liquido cerebro spinale. Questa è altamente fatale colpendo esclusivamente i ruminanti. La maggiore incidenza si ha nelle bovine in lattazione entro i primi 60 giorni di lattazione che pascolano nella stagione fredda. Le capra da latte in lattazione possono essere colpite. L'ipomagnesiemia si osserva in tutti e due i sessi ed in tutte le età e in animali sotto diverse condizioni di allevamento e di alimentazione. Le bovine che partoriscono all'inizio della primavera sono le più suscettibili anche se le mortalità sono frequenti in autunno ed inverno nel sud degli Stati Uniti. L'ipomagnesiemia è generalmente associata con l'ipocalcemia. Sebbene preventivabile la malattia ancora uccide l'1%-3% dei bovini, capre, pecore, annualmente (in America).
Eziologia - Il Mg è presente nella maggior parte dei tessuti dell'organismo approssimativamente il 70% del Mg si ritrova nelle ossa e nei denti e questa quota non è disponibile per mantenere i livelli di Mg nel sangue. Il rimanente 30% è distribuito nei tessuti molli (incluso il liquido extra ed intracellulare) ed è importante per le funzioni organiche. Il metabolismo del Mg non è sotto controllo ormonale e perfino le riserve corporee non sono facilmente utilizzabili, le necessità del magnesio extracellulare devono quindi essere coperte giornalmente con l'alimentazione (il fabbisogno giornaliero è di circa 20 g di Mg). Quando il contenuto di Mg dell'alimentazione è scarso (come ad esempio nel pascolo rigoglioso primaverile), lo ione Mg diminuisce a livello del liquido cerebrospinale e nel liquido extracellulare ad opera della lattazione. Perdita della normale funzione neuromuscolare, spasmi tetaniformi dei muscoli e convulsioni cloniche possono comparire. La lattazione, lo stress, il trasporto e/o l'anoressia possono essere generalmente associati allo sviluppo di sintomi clinici o essere la causa scatenante in ruminanti alimentati con diete carenti in Mg.
La tetania da erba (barcollamento da erba) generalmente avviene nelle bovine in lattazione durante l'inverno o la primavera quando le piante povere in Mg entrano a costituire la dieta. La minore assunzione di energia con la dieta contribuisce inoltre allo sviluppo della tetania da erba. Ogni 7 kg di latte prodotto da una bovina c'è tanto magnesio quanto è quello disponibile nel pool ematico. Più di 3 grammi al giorno possono essere persi con il latte. L’ipocalcemia permette lo sviluppo dei sintomi clinici dell'ipomagnesiemia. Le condizioni atmosferiche avverse che possono causare anoressia precipitano la sintomatologia. Piante foraggiere coltivate come ad esempio grano, orzo avena e che sono state fertilizzate con azoto e potassio crescono rapidamente con riduzione del assorbimento di Mg in inverno e all'inizio della primavera portando ad un contenuto molto basso di Mg nel foraggio. I nomi di avvelenamento da pascolo di grano, avvelenamento da grano spigato, avvelenamento da avena verde e avvelenamento da orzo riflettono questa eziologia. Un alimento con un tasso di Mg inferiore allo 0,2% della sostanza secca è pericoloso. Tetania da latte si riscontra nei vitelli che sono allevati in stalla soltanto con latte. Il latte è relativamente povero in Mg, ma siccome l'assorbimento intestinale del neonato è eccellente i segni dell'ipomagnesiemia si evidenziano dopo i 2-4 mesi di vita quando l'assorbimento intestinale è ridotto. Nell'osso di vitelli con tetania da latte si riscontra una deplezione di Mg con un rapporto Ca/Mg di 90/1 e oltre contro un rapporto normale di 70/1 o meno.
Sintomatologia - Le bovine in lattazione affette da tetania da erba diventano anoressiche e si separano dalla mandria. Esse sono vigili ed ipereccitabili e possono caricare. Orecchie diritte e ipermobili ed un certo grado di iperestesia sono i primi sintomi. Fascicolazioni muscolari, tremori della testa e del collo e un andatura con un alto sollevamento degli arti anteriori sono evidenti. Comportamenti aberranti con attacchi di galoppo furiosi e con muggiti seguiti da un decubito laterale. Violenti episodi di opistotono e convulsioni cloniche possono essere provocati da qualunque stimolo ed alternarsi con periodi di spasmi muscolari tetanici. Si osserva nistagmo, esagerata masticazione, salivazione, ed una retrazione della nittitante. Un’eccessiva contrazione muscolare provoca un innalzamento della temperatura corporea, ed è presente una respirazione difficoltosa e frequente. Si osserva tachicardia ed un aumento di intensità dei toni cardiaci che qualche volta si sentono a distanza. La morte avviene per insufficienza respiratoria durante una crisi violenta che si intervallano a distanza di 30-60 minuti. La morte può avvenire così rapidamente che gli animali si trovano già morti. L'incidenza maggiore si ha nelle vacche da carne allattanti con età maggiore di 7 anni; il vitello delle bovine colpite è generalmente normale.
Una lieve tetania da lattazione è una sindrome subclinica che può colpire molti animali in un gruppo. I livelli sierici di magnesio in detto gruppo di vacche sono generalmente bassi sebbene non si manifestino sintomi clinici. Si possono evidenziare un certo grado di anoressia, leggero dimagramento, diminuzione della produzione lattea, strane espressioni facciali e lievi cambiamenti del comportamento. Questo può progredire fino a giungere alle forme acute e subacute. Altre variazioni si possono osservare nell'ipomagnesiemia acuta in animali che possono non essere in lattazione. Una tetania invernale avviene in animali con deficit di Mg ed energia con la dieta che sono soggetti ad uno stress severo o anche in condizioni di freddo estremo. Le giovenche vengono risparmiate, mentre le vacche mature (che possono o no essere in lattazione) vengono semplicemente trovate morte. La tetania da trasporto può essere scatenata da una dieta carente di magnesio ed avviene in animali in seguito ad un trasporto. Cavalli, agnelli, capre in lattazione e pecore mature che allattano due agnelli possono essere colpite.
La tetania da latte intero (ricostituito) o ipomagnesiemia dei vitelli avviene in animali di 2-4 mesi di età. Negli agnelli la tetania ipomagnesiemica è generalmente acuta o subacuta e avviene soltanto nella prole che accesso soltanto al latte. La sintomatologia è simile agli animali adulti con l’aggiunta che gli occhi dei vitelli possono presentarsi gonfi o essere affossati e la terza palpebra prolassata. I vitelli allevati sui pascoli sviluppano meno la tetania di quelli in stalla. Una diarrea può aggravare uno stato subclinico di carenza di magnesio; quindi le patologie enteriche possono essere ritenute responsabili di tali morti.
Rilievi di laboratorio - Siccome c'è il bisogno di instaurare una rapida terapia, la diagnosi è spesso basata soltanto sulla anamnesi e la sintomatologia clinica. I bassi livelli sierici di Mg (minori di 1,2 mg/dl) confermano lo stato di ipomagnesiemia. E' possibile anche che una vacca con sintomatologia palese mostri i livelli normali se affetta da crisi eccitative violente. Espressione dei sintomi clinici sono molte volte direttamente proporzionali alla concentrazione di Mg nel liquor cefalo rachidiano tale livelli infatti dovrebbero essere sempre più bassi (< 1,45 mg/dl). Sebbene sia un dato molto attendibile di ipomagnesiemia il liquido cefalo rachidiano è difficile da prelevare in un animale vivo in preda a convulsioni. Anche i livelli urinari di Mg sono anche bassi (< 2,5 mg /dl) nei casi di ipomagnesiemia. Questo decremento può precedere quello a livello ematico (la soglia renale per l'eliminazione del magnesio va da 1,4 a 1,9 mg/dl nelle vacche). Per confermare un problema clinico o subclinico di una mandria campioni di siero ed urina dovrebbero essere analizzati per la determinazione del Mg in un certo numero di animali. I tedeschi hanno determinato che la concentrazione urinaria di Mg è molto attendibile e hanno sviluppato anche degli stick urinari per tale determinazione. I ricercatori inglesi hanno messo a punto un Kit da campo per valutare in azienda il contenuto di Mg degli alimenti nei momenti critici e per una diagnosi post-mortem. É stato elaborato anche una formula per stabilire, in base ai livelli sierici e al contenuto di Mg dei foraggi, il rischio di incidenza dell'ipomagnesiemia. Se i livelli sierici e del foraggio sono bassi deve essere somministrata una supplementazione in Mg.
Fisiopatologia - Sebbene il Mg sia uno ione di grande importanza clinica esso viene dietro il calcio, il sodio e il potassio come ammontare totale nell'organismo. Esso è necessario per la formazione dell'osso e gioca un ruolo fondamentale nel metabolismo cellulare particolarmente nel mantenere normale il potenziale di membrana delle cellule nervose. Il Mg entra nell'attivazione e/o funzionamento di molti enzimi dei metabolismi di carboidrati, proteine e lipidi. La concentrazione normale di Mg è essenziale per la formazione dei fosfati ad alta energia (ATP); quindi tutte le tappe enzimatiche per la formazione dell'ATP hanno bisogno del Mg. La normale concentrazione del Mg deve essere mantenuta per la normale produzione e decomposizione di acetilcolina. Un basso rapporto Mg/Ca potenzia il rilascio di acetilcolina e l'alterazione di questo rapporto nel liquido extracellulare può causare una tetania muscolare in uno stato ipomagnesiemico. Lieve alterazioni dei livelli sierici di Mg rappresentano proporzionalmente una grave deplezione della quantità totale dell'organismo dello ione che può provocare effetti gravissimi. L'entrata del Mg può avvenire con l'assorbimento attivo nel rumine e da una piccola quota assorbita dall'intestino negli animali adulti. Nei vitelli l'assorbimento è soprattutto a livello di digiuno. Non esistono sistemi regolatori ormonali diretti identificati. A metà lattazione i fabbisogni di una bovina sono all'incirca di 22 g/die. Molti componenti della dieta condizionano l'assorbimento del Mg inclusi i minerali, altri ioni, o diete ad alto contenuto proteico e di carboidrati. Diete con adeguato contenuto in Mg possono non soddisfare i fabbisogni di ione Mg biologicamente disponibile. La digeribilità apparente del Mg è molto elevata nei vitelli ma decresce rapidamente dopo i 5 mesi di età. Il rene regola la concentrazione del Mg attraverso la sua escrezione; la soglia renale di escrezione nei ruminanti è circa 1,4 - 1,9 mg/dl. Un’insufficienza renale nei ruminati provoca un aumento delle concentrazioni ematiche del Mg che rappresentano un indice prognostico sfavorevole nelle gravi patologie renali. L’aldosterone e gli ormoni tiroidei sono stati ipotizzati modulare il metabolismo del Mg ed il PTH si è visto avere tale funzione. La somministrazione di PTH esogeno porta ad un incremento dei livelli plasmatici di Mg come risultato della diminuita escrezione renale; la rimozione del PTH porta ad un incremento delle perdite di Mg con l'urina e quindi ne diminuisce i suoi livelli plasmatici. Una diminuzione dei livelli plasmatici di Mg è data dalla somministrazione di vit. D; il meccanismo di tale risposta non è chiaro, esso può o essere l'effetto del farmaco sulla funzione tubulare renale o quello di uno spostamento dell'elemento dal comparto extracellulare a quello intracellulare.
Epidemiologia - L'ipomagnesiemia è un problema globale, che avviene sporadicamente e colpisce più del 10% dei capi dell'allevamento. Esso può essere un problema ovunque sul pascolo nella stagione fredda. Foraggi con meno del 0,2% di Mg sono stati implicati nella ipomagnesiemia dei bovini. Il potassio contenuto con le piante può giocare un importante ruolo nello sviluppo della malattia clinica. A tale proposito è stato studiato un rapporto che compara il contenuto di K dei foraggi del pascolo a quello di Ca e Mg sommati. Quando tale rapporto è:
K/(Ca + Mg) = >22 il pascolo può indurre ipomagnesiemia. Le bovine affette erano generalmente su pascoli lussureggianti, con erba in rapida crescita (graminacee) nei periodi di tardo autunno e inizio primavera. Le leguminose hanno un contenuto di Mg e Ca relativamente più alto ma crescendo rapidamente si abbassa la sostanza secca e così decresce anche il contenuto di Mg. Nelle vacche in stalla è stato riportato che un foraggio con un deficit di Mg può causare la malattia. Il contenuto di Mg delle piante è inversamente proporzionato alla concentrazione di umidità dello stesso (questo riduce la sostanza secca e quindi il contenuto di Mg). Se è presente nel terreno un’adeguata presenza di Mg le piante dovrebbero avere un alto contenuto di Mg man mano che si maturano. Cereali con bassi contenuti di Mg come il grano invernale sono spesso propensi ad avere bassi contenuti di magnesio; l’ipomagnesiemia associata a questo alimento è stata chiamata "avvelenamento da pascolo di grano". Una intensa fertilizzazione con composti ricchi di azoto e potassio (come ad esempio la pollina) possono interferire con assunzione del Mg delle piante ed un elevato contenuto di K e proteine nell'assorbimento del Mg da parte dell'animale.
In associazione ai fattori che interferiscono sul contenuto di Mg delle piante esistono fattori dietetici che influenzano l'assorbimento nel tratto digerente. Questi includono le concentrazioni alte nella dieta di K, Ca, P, solfato di sodio, Mn, Na, acidi organici (acido citrico) e aumentati livelli di acidi grassi. In alcuni casi soltanto il 2% del Mg della dieta viene assorbito dagli animali per le interferenze con le altre sostanze. Le vacche con ipomagnesiemia clinica hanno mostrato livelli ruminali sulla sostanza secca più elevati di alluminio e livelli plasmatici di calcio più bassi delle vacche controllo o quelle non affette. Comunque le ricerche per individuare una correlazione tra assunzione di alluminio e tetania da erba sono fallite. Si è avanzata l'ipotesi che invece dell'alluminio siano gli ioni zolfo i responsabili della sintomatologia clinica. Uno studio ha concluso che i livelli di Ca devono scendere se l'ipomagnesiemia clinica era non in diretta correlazione della concentrazione di alluminio della razione. Fattori (non nutrizionali) possono predisporre i bovini all'ipomagnesiemia, come ad esempio l'età, la lattazione e la razza. L'incidenza dell'ipomagnesiemia è maggiore nelle bovine da latte ad elevata produzione dalla terza alla quinta lattazione. Questo perché gli animali maturi sono meno capaci dei giovani di riassorbire Mg dall'osso per aumentare i livelli nel liquido extracellulare. Le vacche da carne in lattazione sono frequentemente colpite negli Stati Uniti. L'ipomagnesiemia è stata osservata in vitelli castrati, tori, vacche non in lattazione, vitelli allattanti, bovine in lattazione, pecore in lattazione ed agnelli in zone del mondo dove la produzione di latte non si basa sull'uso di concentrati. Vacche di incrocio Brahman e Brahman sono meno suscettibili all'ipomagnesiemia, visto la loro aumentata capacità di digestione del Mg rispetto ad altre razze. I vitelli di vacche Angus sono ad alto rischio. Tra le razze da latte, la razza Shorthorn presenta un'incidenza maggiore rispetto alla Jersey e alla Frisona. La quantità di grasso corporeo è correlata alla suscettibilità della malattia; vacche grasse sono più suscettibili di quelle in condizioni modeste. Lo stress, il digiuno o la carenza di alimento può causare la diminuzione dei livelli plasmatici di calcio e Mg. Un’improvvisa esposizione al freddo in vacche a cui non è somministrata un supplemento di alimento può provocare un'ipomagnesiemia. In queste circostanze si osserva una morte rapida nelle vacche gravide e in lattazione dopo un rapido abbassamento di temperatura, mentre gli animali giovani sono risparmiati.
Rilievi necroscopici - Le bovine possono essere ritrovate in decubito laterale, nelle vicinanze il terreno presenta i segni degli attacchi convulsivi. Un enfisema polmonare preagonico, ecchimosi emorragiche diffuse e aspirazione del contenuto ruminale si osservano frequentemente nei polmoni. Traumi ed escoriazioni delle gambe e delle estremità possono essere la conseguenza dei traumi provocati degli attacchi convulsivi, anche gravi lesioni possono essere osservate. I vitelli morti da ipomagnesiemia è stato visto avere depositi microscopici di sali di calcio nelle fibre elastiche delle arterie, dei polmoni, del cuore e della milza. I campioni da prelevare per vedere se c'è ipomagnesiemia comprendono il siero (ottenuto da una puntura cardiaca) liquido cefalorachidiano, urina ed un occhio estratto intero per l'analisi dell’umor acqueo o vitreo per analizzare il contenuto di Mg. Bassi livelli di Mg in questi fluidi sono spesso riscontrati ed i campioni possono essere prelevati entro 12 ore dalla morte. L'umore vitreo è più stabile degli altri fluidi corporei nei cadaveri; quindi alcuni laboratori lo preferiscono soprattutto quando la necroscopia è effettuata a più di 12 ore dal decesso. I valori normali di Mg nell’umore vitreo è di 1,8-2,3 mg/dl, valori inferiori a 1,4 ml/dl fanno sospettare una tetania ipomagnesiemica.
Terapia e prognosi - Il trattamento spesso non ha successo nelle vacche in stato di coma.
Prevenzione e controllo - Una supplementazione con Mg per un lungo periodo prima del periodo di pascolamento in periodi a rischio è di scarso beneficio; quindi lo sforzo va fatto nel provvedere un’adeguata supplementazione di Mg giornalmente agli animali che pascolano. Molti metodi per la supplementazione di Mg sono stati descritti ed includono l'aggiunta di Mg nell’acqua da bere, una supplementazione di minerali o concentrati; la distribuzione di sali di Mg direttamente sul pascolo o sugli alimenti; o somministrando agli animali proiettili di magnesio o boli a lento rilascio di Mg. Il rilascio di Mg dai boli o dai proiettili si è dimostrato inutile quindi l'ingestione quotidiana di sali di Mg è il metodo profilattico da preferire. Nei periodi di moderato rischio della tetania da erba, il consumo giornaliero di 28 g di ossido di Mg dovrebbe essere protettivo. Se il rischio della tetania è molto elevato tale quantità deve essere raddoppiata per ogni vacca. Una lista di cose da fare può essere la seguente:
1) Un miscuglio di granaglie con il 3% di ossido di Mg un kg /die/ capo circa;
2) Se si usa un nucleo proteico come veicolo dell’ossido di Mg bisogna adottare un’integrazione maggiore in quanto di nucleo se ne somministra meno (500 g con il 6% di ossido di Mg);
3) Se si usa insilato come alimento questo deve essere cosparso di ossido di Mg 30-60g/die /capo;
4) Blocchi di minerali possono essere lasciati a disposizione. L'ingestione di questi non può essere prevista, poiché il consumo individuale non può essere verificato. Molti rulli di sali dovrebbero essere presenti per incoraggiarne il consumo di 30-60 g /die/capo;
5) Miscele di minerali lasciati a disposizione degli animali dovrebbero contenere non meno del 30% di ossido di Mg. Poiché l'ossido di Mg non è molto appetibile agli animali possono essere offerte le seguenti miscele: sale, ossido di Mg, fosfato bicalcico e una base di orzo in rapporto 1:1:1:1 può essere lasciato a disposizione degli animali; sale, ossido di Mg, melassa disidratata e semi di cotone può essere appetita dai bovini in rapporto 1:1:1:1;
6) Utilizzare una fertilizzazione di fondo con fertilizzanti ricchi di Mg può portare ad un aumento del contenuto di Mg nei foraggi per uno o 3 anni. Questo però può essere utile soltanto in terreni con pH minore di 6,3;
7) Il pascolo può essere irrorato o cosparso con solfato di Mg al 2% ogni 2 settimane durante i periodi più pericolosi. Una fertilizzazione di copertura sul pascolo può essere utilizzata: è anche sufficiente alternando parti di pascolo con ripetizioni a distanza di 2 settimane;
8) Fertilizzazioni potassiche dovrebbero essere evitate durante l'inizio della primavera;
9) Nelle aree temperate spostare i parti a tarda estate ed in autunno invece che a primavera per far coincidere la lattazione con i periodi in cui le piante hanno più Mg;
10) Il pascolo deve essere supplementato con un’alimentazione extra durante il periodo di crescita del pascolo. Esistono dei sistemi elaborati per iniettare le soluzioni di Mg nelle balle di fieno. Un metodo più semplice è quello di mescolarle con acqua e melasso e poi cospargere questa miscela sul fieno prima che questo sia imballato;
11) Un adeguata ingestione di energia è importante per prevenire la sintomatologia clinica. Gli stress del clima e l'ingestione saltuaria di cibo durante il brutto tempo possono portare all'ingestione di una non adeguata quantità di energia;
12) Per le pecore, 7 g di Mg /capo /die dovrebbero essere sufficienti;
13) I pascoli dovrebbero essere traseminati con essenze leguminose; il fieno di leguminose dovrebbe essere messo a disposizione degli animali quando è richiesta una supplementazione;
14) Analisi del pascolo dovrebbero essere periodicamente eseguite per stabilire i livelli di potassio, Mg e azoto del suolo. Il rapporto della dieta tra potassio/calcio + Mg dovrebbero essere corretto per portarlo a < 2,2. Periodiche fertilizzazioni del pascolo con Ca(NO3)2 è un’alternativa alla fertilizzazione azotata, siccome l'NH4+ interferisce con assorbimento di Mg delle piante. I fertilizzanti con alto contenuto di K dovrebbero essere applicati soltanto per stabilire un adeguato bilancio e mai quando il potassio è in eccesso;
15) La tetania da latte dei vitelli può essere prevenuta con l'integrazione con concentrati starter e l'accesso al fieno di leguminose che vengono allevati con il solo latte per parecchio tempo (più di 8 settimane).
Patologie collegate agli elementi traccia
Iodio
Introduzione
Il sintomo più evidente della carenza di iodio è l'ingrossamento della tiroide o gozzo, specialmente negli animali neonati, gli ovini ed i caprini sembrano più sensibili dei bovini anche nei puledri nati da madri iodio carenti sono stati segnalati casi di gozzo. Comunque molti degli effetti rimangono insidiosi coinvolgendo una non specifica riduzione del metabolismo e capacità produttive, insieme con un alta incidenza di aborti, nati morti e mortalità neonatale. La deficienza di iodio è molto diffusa. La maggior parte dei foraggi ingeriti dal bestiame sembra essere carente di iodio rispetto ai loro fabbisogni. Ciò viene peggiorato a causa di fattori interferenti come ad esempio un’alta ingestione di calcio che limita l'assorbimento di iodio ed anche alcune specie del genere brassica che contengono i glucosidi cianogenetici, che hanno la capacità di indurre il gozzo in regioni con deficienza marginale di iodio. Inoltre aree interne tendono a divenire sempre più carenti di iodio perché le disponibilità sono continuamente rimosse con il pascolo senza che ci sia una reintegrazione. Esiste una altra complicazione visto che qualche specie di erba contiene meno iodio di altre.
Le cause
Quali tutto lo iodio presente nell'organismo è stoccato nella ghiandola tiroide sotto forma di tiroglobulina e tiroxina (T4). Infatti, lo iodio non ha una funzione fisiologia come tale ma è un componente degli ormoni tiroidei triiodotironina (T3) e tetraiodotironina (T4), soltanto la forma libera di T3 è fisiologicamente più attiva. Questi svolgono funzioni importanti controllando gli scambi energetici e i metabolismi insieme alla crescita tissutale. La carenza di iodio porta alla formazione di gozzo perché la scarsità di tiroxina porta alla stimolazione della tiroide da parte dell'ormone tireotropo (TSH) da parte della ghiandola pituitaria che induce un ingrossamento della tiroide per cercare di produrre più ormoni (la quale non può produrli per carenza di iodio che è un fattore limitante e quindi si verifica un progressivo aumento di volume dell'organo stimolato). Una carenza di tiroxina produce anche altri effetti. Gli animali vanno in carenza energetica, presentano una debolezza progressiva, e spesso appaiono alopecici perché si verifica una diminuzione dello spessore dei follicoli piliferi.
Il semplice effetto della carenza di iodio si può aggravare per la presenza di tiocianati che diminuiscono l'assorbimento di iodio da parte della tiroide. Questi composti possono originare da molte piante che contengono glucosidi cianogenetici (cavoli) che convertiti a tiocianato diventano gozzigeni, specialmente nelle zone dove è presente una carenza subclinica di iodio.
Prevenzione e trattamento
La semplice correzione della carenza dietetica dovrebbe essere sufficiente quando la diagnosi è stata emessa. Molti alimenti complessi contengono un adeguato contenuto come blocchi di sale iodato che dovrebbero essere messi a disposizione degli animali. Le raccomandazioni suggeriscono che una somministrazione giornaliera di 1 mg/kg di sostanza secca di alimento è sufficiente per vacche in lattazione o 0,1 mg/kg di sostanza secca di alimento per vitelli e vacche non in lattazione. Una supplementazione esagerata può indurre problemi clinici di eccesso iodico o iodismo. Fortunatamente soltanto livelli estremamente elevati e prolungati nel tempo può indurre ciò, essendo l'eccesso di iodio escreto con le urine ed il latte: 160 mg/giorno sono tossici per una vacca e proporzionalmente meno per un vitello. I sintomi di tale evenienza includono anoressia, ipereccitabilità e tendenza all'ipertermia. La cute presenta alterazioni con una scadente condizione del mantello e del pelame.
FERRO
Introduzione
Il ferro è presente in abbondanza nella maggior parte dei pascoli così che la sua carenza è un evenienza rara. Comunque gli animali che si alimentano soltanto con il latte o quelli appena nati possono andare in contro a tale carenza in quanto il latte contiene basse quantità di ferro o perché i neonati possiedono scarse riserve che sono sufficienti per 2-3 settimane. Nel suino tali riserve sono particolarmente scarse. La maggior parte del ferro contenuto in uno organismo animale si ritrova nell'emoglobina contenuta negli eritrociti o nella mioglobina muscolare. Per questa ragione la carenza di ferro inevitabilmente porta ad una anemia.
Cause ed epidemiologia
Stati patologici correlati con la ferro-carenza sono frequenti negli allevamenti intensivi di animali giovani che ricevono una alimentazione esclusivamente lattea. I suinetti sono gli unici animali dove la malattia assume un particolare rilievo economico tanto che in alcuni allevamenti l'incidenza può arrivare fino al 90%. Le perdite che si verificano sono collegate con la mortalità dei giovani animali e la scarsa crescita. Anche nei vitelli alimentati con latte materno o ricostituito (tale malattia era abbastanza frequente anche se la carenza di ferro in questo caso era provocata per ottenere carni estremamente bianche) si può osservare tale patologia.
Sintomatologia ed esami di laboratorio
Nei suini la maggior incidenza della malattia si ha verso le 3 settimane di vita sebbene possa manifestarsi anche in quelli che hanno raggiunto la 10 settimana. I suinetti colpiti possono apparire anche in buone condizioni di accrescimento sebbene essi abbiano incrementi più bassi di quelli sani. Le feci possono essere diarroiche ma di colore normale. Nei casi gravi si può avere dispnea, sonnolenza e un notevole aumento della frequenza cardiaca sotto sforzo. La pelle e le mucose sono pallide nei suini non pigmentati ed assumono sfumature itteriche. Può essere presente edema alla testa o agli arti anteriori. La morte compare di solito improvvisamente. Allo stato anemico si associano frequentemente molte malattie come la colibacillosi e la pericardite streptococcica.
Nei vitelli una anemia subclinica può indurre sintomi non specifici come ad esempio scarso accrescimento ed alta incidenza di malattie infettive. La perdita di appetito è un indicatore molto sensibile di una anemia iniziale. Comunque anemie più gravi possono essere evidenziate dal pallore delle mucose e dall'aspetto del sangue. Una degenerazione epatica con una colorazione gialla e dovuta ad una degenerazione grassa può essere riscontrata negli animali morti.
Nei suinetti dopo la nascita si verifica normalmente una diminuzione dell’emoglobina che può raggiungere quote pari agli 8 g/dl ed a volte anche di 4-5 g/dl durante i primi 10 giorni di vita. Nei suinetti ferro-carenti si osserva un'ulteriore diminuzione fino a 2-4 g/dl durante la terza settimana di vita. Il tasso di emoglobina al quale si presentano i sintomi è al di sotto dei 4 g/dl.
Terapia e prevenzione
I consigli di ordine profilattico sono anche validi in caso di terapia. Nei cavalli che presentano uno scarso rendimento atletico imputato ad una forma anemica con valori sotto la norma di emoglobina che può dipendere da forme parassitarie si può avere una risposta favorevole con la terapia marziale. Il ferro-destrano che si usa comunemente nei suinetti non andrebbe somministrato ai cavalli perché somministrazioni ripetute possono causare la morte per anafilassi. Le dosi ottimali nel cavallo sono di 0,5-1 g di ferro per ogni intervento ripetuto a scadenza settimanali. Ai preparati ferrosi si possono aggiungere quelli a base di vit. B12 (cianocobalamina). Il trattamento profilattico e terapeutico più efficace nei vitelli è una supplementazione dietetica con ferro. Tra 25 e 30 mg/kg di sostanza secca dovrebbe essere sufficiente senza alterare di molto il colore pallido delle carni. Comunque dosi maggiori sono in grado di far ottenere incrementi ponderali migliori. La profilassi è rivolta soprattutto ai suinetti da latte perché di solito risulta priva di ogni efficacia nelle scrofe sia che venga eseguita prima che dopo il parto. Nei suinetti si effettua generalmente un solo intervento tra il 3° e 7° giorno di vita per via intramuscolare con ferro-destrano alla dose di 100mg /capo. Ripetere l'intervento dopo due o tre settimane sembra utile per far aumentare i livelli di emoglobina ma non per far aumentare gli incrementi, perciò tale intervento non sembra economicamente valido. La somministrazione parenterale di ferro-destrano nei suinetti può causare la morte improvvisa dei suinetti nati da madri con carenza di selenio e vit. E.
RAME (deficienza nei ruminanti)
Definizione ed eziologia
La carenza di rame avviene quando la dieta ha un anormale, basso contenuto di rame (carenza primaria) o quando l'assorbimento o il metabolismo del rame e condizionato negativamente (carenza secondaria). Se una carente quantità di rame è disponibile per i tessuti nella forma di metallo-enzimi essenziali, i sintomi della carenza di rame (ipocuprosi) possono comparire. I sintomi includono diarrea, diminuzione dell'incremento ponderale, aspetto deperito, anemia, cambiamento del colore del mantello (acromotrichia) o qualità della lana, fratture spontanee, demielinizzazione (atassia enzootica dei caprini ed ovini) e zoppie (epifisiti). Una di queste sindromi predomina generalmente in un dato allevamento. La concentrazione minima di rame raccomandata nella dieta (sulla sostanza secca) è da 4 a 10 ppm (mg/Kg) per i bovini 5 per gli ovini e 7 per gli ovini merino. I giovani animali ed i feti sono i più suscettibili alla carenza di rame rispetto agli animali adulti ed i bovini sono più suscettibili degli ovini.
La carenza secondaria di rame è associata con gli alti livelli di molibdeno, solfati, zinco, ferro ed altri composti nella dieta. La carenza secondaria di rame si manifesta più comunemente con diarrea, perdita di peso e deperimento. E stato chiamato in molte maniere. Salt sikness in Florida sembra essere il risultato della combinazione della carenza di rame e cobalto.
La causa della carenza di rame nei casi clinicamente manifesti è spesso multifattoriale e può essere difficile da quantificare. In aggiunta fattori sconosciuti causano l'espressione clinica della patologia nei ruminanti sotto forma di diverse sindromi.
Sindromi cliniche e diagnosi differenziale
Una diarrea acquosa e profusa accompagnata da uno scarso incremento ponderale e/o perdita di peso è una sindrome comune che si osserva nei ruminanti con carenza di rame. Quando essa avviene su pascoli di falasco che contengono elevate quantità di molibdeno la sindrome prende il nome di "teart".
Una diminuzione dell'incremento ponderale o un perdita di peso può derivare anche da molte altre cause: parassitosi, carenza di altri elementi traccia (selenio e cobalto), una malnutrizione proteica ed energetica e la malattia di Johne.
Una sindrome caratterizzata dall'ingrossamento delle epifisi delle ossa, rigidità e deperimento si può osservare nei giovani ruminanti come conseguenza della carenza di rame e viene chiamata "pine". La carenza di rame può causare delle fratture spontanee nei ruminanti, mentre nei puledri la carenza di rame è più spesso legata all'epifisite. L'atassia neonatale enzootica (swayback) degli agnelli e capretti è caratterizzata da un progressivo incordinamento motorio e decubito che inizia dagli arti posteriori e dopo progredisce a quelli anteriori. Tale sindrome è stata osservata anche nei suinetti e nei cervi.
Un’inadeguata cheratinizzazione della lana ed acromotrichia è il risultato di una imperfetta ossidazione dei gruppi tiolici liberi durante la crescita e la cheratinizzazione dei peli. Di conseguenza le fibre della lana non s’increspano normalmente ed appaiono "fibrose" o "attorcigliate". Gli enzimi contenenti rame tirosinasi (polifenilossidasi) è necessaria per convertire l'L-tirosina in melanina. Con una carenza di rame, questa conversione è lenta ed i peli diventano più chiari di colore (acromotrichia). La perdita delle increspature della lana ed i cambiamenti di pigmentazione negli ovini e bovini, rispettivamente, si osservano tardivamente nel corso di una deficienza di rame.
In oltre a queste sindromi ricordate che si possono manifestare da sole o associate ad anemia (alterazione del metabolismo del ferro) o infertilità. L'infertilità è una conseguenza di cause multifattoriali più che la conseguenza di una esclusiva carenza di rame. La carenza di rame, infine sembra essere legata ad una immunodeficienza acquisita nei ruminanti.
COBALTO (carenza nei ruminanti)
Definizione ed eziologia
Un certo numero di sindromi si verificano nei ruminanti come risultato di una carenza primaria di cobalto nella loro dieta. Queste includono deperimento o marasma enzootico e anemia. Queste condizioni sono caratterizzate da uno scarso accrescimento, perdita di peso, diarrea, diminuzione dell'efficienza alimentare, apparenza deperita, anoressia ed anemia.
Sintomatologia e diagnosi differenziale
La carenza di cobalto nei ruminanti è associata con sintomi non specifici di diminuzione della crescita, perdita di peso, diarrea, deperimento, pica, emaciamento, mucose pallide (anemia) e lacrimazione. La malattia clinica è più frequente nei giovani animali in crescita. La prima diagnosi differenziale va fatta con le infestazioni parassitarie da elminti, da una malnutrizione energetico-proteica, coccidiosi, malattia di Jonhe, carenze nutrizionali di selenio, rame o vit. D o altre malattie croniche che possono essere associate a perdita di peso.
I ruminanti in carenza di cobalto sono spesso anoressici o su pascoli rigogliosi o alimentati con razioni di alta qualità. L'anemia da carenza di cobalto è di tipo normocromico e normocitico e quindi può essere differenziata dalle altre. Bovini in carenza di cobalto sono più suscettibili all'infestazione da ostertagia ed agli effetti del parassitismo. La diagnosi differenziale primaria deve essere fatta con infestazioni da endoparassiti.
Fisiopatologia - Una carenza di Co nei ruminanti porta ad una carenza di vit. B12 (cianocobalamina). E' proprio questa carenza di vit. B12 che causa la maggior parte della sintomatologia e delle anormalità patologiche osservate. I monogastrici necessitano di ingerire direttamente vit. B12 preformata, mentre i ruminanti possono formare questa vitamina se i microrganismi del rumine hanno a disposizione una adeguata quantità di Co con la razione. I microrganismi ruminali incorporano il cobalto nella vit. B12 e in un certo numero di composti vit. B12 simili ma non efficaci. La produzione di vit. B12 a partire dal cobalto della dieta è stata stimata essere il 15% circa nelle pecore con deficit di Co e soltanto il 3% in quelle con sufficiente Co. Circa il 50% della vitamina prodotta viene assorbita negli animali normali ma soltanto dal 3% al 5% ne viene assorbita nelle pecore con carenza di Co. Sebbene l'assorbimento della vit. B12 formata nel rumine non è particolarmente efficiente , con una dieta adeguata in Co non ci sono problemi clinici e l'interferenze con altri componenti della razione non sembrano essere importanti.
I ruminanti usano gli acidi grassi volatili, propionato, butirrato e acetato come loro primaria fonte energetica. il propionato formato nel rumine è il precursore del glucosio per il metabolismo dei ruminanti. Nella figura si mostrano le tappe principali per la formazione di glucosio a partire dal propionato.
Un difetto primario nella carenza di Co nei ruminanti è rappresentato dall'inadeguatezza del metabolismo del propionato allo stadio metabolico in cui l'enzima metilmalonil-CoA mutasi che necessita della vitamina B12 e che catalizza la conversione del metilmalonil-CoA a succinil-CoA. Come la carenza di Co si fa grave la velocità di utilizzazione del propionato ematico diminuisce e si accumula il metilmalonilCoA. Con una grave carenza di Co aumenta la quantità dell'acido metilmalonico (MMA) nelle urine. Come aumenta il tempo di dimezzamento della clearance del propionato la quantità di alimento volontariamente ingerito diminuisce nelle pecore in carenza di Co. Questi cambiamenti correlati con il grado di anoressia e la perdita di peso si osservano nelle pecore con grave deficienza di cobalto.
La crescita diminuita, la perdita di peso, lo stato di deperimento e l'anoressia sono strettamente correlati con le osservate anomalie del metabolismo dei carboidrati. La diarrea che si osserva nella carenza di Co non è stata spiegata; comunque un aumento della suscettibilità alle parassitosi può spiegare questa osservazione clinica. L'anemia associata alla carenza di Co si sviluppa tardi in questa sindrome ed è caratterizzata come normocitica e normocromica. La carenza di Co causa la carenza dell'enzima vit. B12 contenente la 5-metiltetraidrofolato omocisteina metiltransferasi. Questo interferisce con il riciclo della metionina ha una marcata influenza sul metabolismo dei folati. In aggiunta a potenziare il risultato dell'anemia attraverso un inefficiente metabolismo dei folati la scarsa attività di questa metiltransferasi potrebbe portare ad una carenza di metionina; questa è la possibile ragione per la ritenzione di azoto e la scarsa crescita di peso e della lana.
Trattamento e controllo
Il trattamento a breve termine è più efficace con la somministrazione parenterale di vit. B12. La somministrazione orale di vit. B12 è scarsamente assorbita nei ruminanti; quindi le somministrazioni parenterali sono le più efficaci.
Zinco
L'importanza dello zinco sta nel fatto che esso è coinvolto nella struttura di diversi enzimi. Infatti esso è stato ritrovato in più di 70 enzimi tra cui: deidrogenasi, aldolasi, fosfatasi, peptidasi ed altri. In altri enzimi rappresenta invece un cofattore come ad esempio endolasi, decarbossilasi, arginasi, RNA-polimerasi ecc. Altri enzimi sono attivati dallo zinco anche se essi non formano composti permanenti con questo.
Nei ruminanti lo zinco è assorbito dall'intero tratto digerente e il suo assorbimento dipende da numerosi fattori. come ad esempio l'età, la composizione dell'alimento e le relazioni con altri elementi come ad esempio avviene per il Ca come dimostrato per i suinetti, polli, animali da laboratorio e cane. L'eccesso di calcio nell'organismo interferisce con l'assorbimento dello zinco per l'aumento del fosfato e dell’acido fitico nel cibo. Anche le vitamine interferiscono con l'assorbimento dello zinco: nel caso di ipovitaminosi A, il suo assorbimento decresce rapidamente perfino se ce n’é un adeguato contenuto nella razione. Anche la carenza di vit. D provoca un disturbo nel suo assorbimento e quindi una sua carenza. La stessa cosa avviene per le vitamine B1 e B6. Circa il 10-30% dello zinco presente nell’alimento viene utilizzato, ma se la razione è carente il suo utilizzo può arrivare al 75%. Lo zinco assorbito viene trasportato dal sangue al fegato, milza e pancreas dove viene stoccato in riserve metabolizzabili. La più alta concentrazione dello zinco viene trovata nella corioidea e nell'iride, nello scheletro e nelle formazioni epidermiche come gli unghielli. La maggior parte dello zinco è escreto con le feci mentre una piccola quota con le urine.
Siccome lo zinco entra nella funzione di numerosi enzimi, la sua carenza riguarda molti organi e apparati. La carenza di zinco è stata descritta nei suini, negli animali da laboratorio, polli piccoli e grossi ruminati. I sintomi sono spesso perdita di appetito, stentata crescita, perdita di peso, lesioni ai tessuti epidermici e alterazioni dello scheletro. La carenza di zinco è causa di ipofertilità. I maschi e i giovani sono più suscettibili. Nei maschi la spermatogenesi è inibita, visto il notevole contenuto di zinco nello sperma. La sua carenza porta anche ad un minore sviluppo dei caratteri sessuali secondari e nelle femmine il ciclo riproduttivo è depresso in tutti i suoi stadi: dal calore alla lattazione. La perdita di peso nella carenza di zinco è dovuta alla scarsa funzionalità degli enzimi proteolitici.
I disturbi dello scheletro sono stati notati nei topi e nei polli. Anche gli embrioni di madri deficienti sono colpiti, i loro scheletri sono deformati le ossa lunghe sono più corte, le vertebre sono fuse insieme ed anche la formazione del cranio. Il metabolismo dello zinco è associato a quello delle ghiandole endocrine. Nei testicoli e nella prostata i livelli di zinco sono direttamente controllati dagli ormoni gonadotropi dell'ipofisi. Una carenza di zinco può essere prodotta nei suinetti o sopprimendo l'attività ormonale delle paratiroidi oltre che da un eccesso di calcio con la razione o somministrando sostanze tireostatiche.
CARENZA DI SELENIO
Assorbimento accumulo ed escrezione
Il selenio è un microelemento la cui importanza è stata scoperta soltanto trenta anni fa. Esso è rilevabile in tracce sulla crosta terrestre, in quantità di 0,09 ppm e rinvenuto in diversi stati di ossidazione, come Selenuro (-2), Selenito (+4) e Selenato (+6).
L'assorbimento del selenio e dei suoi composti si svolge nel duodeno. I selenati sono più rapidamente assorbiti dei seleniti e del selenio elementare. Gli animali monogastrici utilizzano il selenio in quantità maggiori rispetto ai ruminanti in quanto i composti del selenio che si formano nel rumine risultano scarsamente solubili. La difficoltà di assorbimento del selenio è una delle cause che incide sulla patologia da carenza nei ruminanti. L'assorbimento del selenio dalla dieta dipende dalla composizione della stessa dall'assorbimento delle proteine e dalla presenza di altri sostanze. Vi sono altri elementi, infatti, che ne condizionano l’assorbimento: primo fra tutti la concentrazione del minerale presente nelle piante assunte con la dieta dagli animali: in terreni piuttosto acidi, infatti, il Selenio reagisce formando dei composti difficilmente utilizzabili dalle piante, mentre in terreni alcalini il minerale si trova maggiormente nella forma di Selenati, con il risultato di elevate concentrazioni di questo elemento nei pascoli. Nelle pecore da latte, quindi, la quantità di Selenio presente negli alimenti è di fondamentale importanza, perché i foraggi verdi vanno a costituire una cospicua quota della dieta di questi animali. La concentrazione del Selenio nel suolo dipende dalla sua origine geologica. Terreni formatisi in epoche recenti contengono quantità di Selenio molto basse tali da essere considerati Selenio-carenti, terreni derivati da rocce sedimentarie e quindi geologicamente meno recenti ne contengono concentrazioni più alte. Inoltre dal momento che la quantità di Selenio che la pianta può assorbire dal terreno è un fattore fondamentale, è importante sapere che le caratteristiche chimiche del suolo (pH, contenuto di Calcio, Fosforo, Azoto, Ferro e Zolfo) influiscono sull’assorbimento di questo minerale da parte dei vegetali.
Una parte del selenio consumato dai ruminanti subisce delle modificazioni attraverso la microflora che lo trasforma in selenocisteina e selenometionina e soltanto in queste forme è assorbito. Gli esperimenti condotti con il selenio radioattivo mostrano che negli organi del topo bianco esso si deposita nel seguente ordine: reni, fegato, ghiandole endocrine, pancreas, cuore, milza e cervello. Il selenio passa rapidamente la placenta e si accumula nel fegato dell'embrione. Il selenio somministrato per via parenterale è assorbito rapidamente dall'organismo raggiungendo la concentrazione massima entro le 24 ore dalla somministrazione. Nei 4-5 giorni successivi si accumula nei diversi organi per la detossificazione questo è il motivo per cui i reni sono considerati essere organi dove il selenio viene attivamente trasformato e stoccato.
ll selenio viene escreto con le urine e con le feci. La maggior parte del selenio organico è escreto con le urine. Una considerevole quota di selenio può essere eliminata con il latte.
L’aautore ha riportato negli animali da allevamento di varie parti della Bulgaria il seguente contenuto di selenio nei vari organi: nel fegato da 1-3 mg/kg, nel rene da 4-6 mg/kg, nel muscolo 0,4-0,1 mg/kg. Non furono riscontrate differenze tra i contenuti dei ruminanti e quelli del maiale, mentre nei polli le concentrazioni erano più basse 0,9-1,3 mg/kg.
Funzioni del selenio
Molte malattie derivano dalla carenza di selenio ed esse assumono una caratteristica endemica; dal punto di vista anatomo-patologico e clinico esse rassomigliano a quelle provocate dalla ipovitaminosi E. Le più frequenti sono la distrofia muscolare dei vitelli, agnelli e puledri, l'epatosi dietetica e la mulberry heart disease nel suino, la distrofia muscolare, la diatesi essudativa ed in parte la polioencefalomalacia nei polli. In aggiunta altri disturbi possono coinvolgere le produzioni (sterilità, degenerazione dei tubuli seminali). Negli ovini una diminuzione della libido, disturbi del ciclo sessuale, alta mortalità degli embrioni ed un alta percentuale di animali sterili. Ritardo della crescita, sindrome emorragica e miocarditi causate dalla carenza di selenio sono stati anche rilevati. Più recentemente è stato evidenziato che la carenza di selenio e/o vitamina E rappresentano fattori importanti nella patogenesi della ritenzione della placenta, nel calo della produzione lattea, nell'aumento dell'incidenza delle mastiti ed endometriti. Nel cavallo è stato sospettato che la carenza di selenio e/o vitamina E possa essere alla base della mielopatia degenerativa. La principale funzione del selenio e della vitamina E nell’organismo è quella di proteggere le membrane biologiche dal fenomeno dell’ossidazione che potrebbe provocare la degenerazione delle cellule. Per evento ossidativo s’intende la reazione chimica per effetto della quale viene ceduto ossigeno da una data molecola ad un’altra. Nell’organismo ci sono più meccanismi di difesa per fronteggiare tale rischio. Uno di questi, tra i più importanti, è dato dalla presenza nell’animale di un enzima detto glutatione-perossidasi. Questo riconosce i perossidi eventualmente formatisi e ne procura l’inattivazione trasformandoli in acqua ed alcoli, proteggendo così attivamente le membrane cellulari e subcellulari. L’attività di tale enzima si svolge maggiormente nel citoplasma. Da sottolineare il fatto che la componente indispensabile di tale enzima è il selenio; si parla infatti comunemente di glutatione-perossidasi selenio dipendente. Per fornire dei dati esatti, numerici, si può aggiungere che per ogni mole di enzima si ritrovano quattro grammo-atomo di selenio. Come si è già accennato, però, al fianco di questa funzione ve ne sono altre svolte dall’elemento per il mantenimento della salute animale. Da alcune ricerche svolte sugli agnelli è stata accertata la presenza di una seleno-proteina nei muscoli scheletrici e nel muscolo cardiaco. Tale proteina possiede notevoli similarità strutturali con il citocromo C. Si è inoltre accertato che essa non è presente nell’animale definito come carente in selenio. Di elevata importanza appare la ormai nota partecipazione dell’elemento nel metabolismo ormonale tiroideo. Esiste infatti nell’organismo un enzima di membrana detto iodo-tironina-5-deiodinasi, che è selenio dipendente. In ogni sua molecola si conta un atomo di selenio. L’attività di questo enzima consiste nel catalizzare la reazione di trasformazione dell’l-tiroxina che, per deiodinazione, dà origine all’ormone tiroideo biologicamente attivo 3-3’-5 triiodiotironina. Ancora, il selenio ha attività fisiologica nell’animale proteggendolo da alcuni metalli pesanti con nota azione tossica. Si lega infatti facilmente a molti di essi, ma pare che il legame più stabile, e quindi la protezione più concreta, si abbia nei confronti del cadmio (Cd) e del mercurio (Hg). A quelli già ricordati si sommano altri ruoli biochimici del selenio, alcuni dei quali estremamente importanti, che possono essere elencati come segue: 1) costituisce una seleno-proteina negli spermatozoi che può avere funzione strutturale nei mitocondri ed anche attività enzimatica; 2) assume una certa importanza nella costituzione dell’acido ribonucleico (RNA) dove è incorporato nelle basi puriniche e pirimidiniche; 3) sembra che possa avere un ruolo specifico nella sintesi delle prostaglandine; 4) è necessaria per un’adeguata risposta immunitaria negli animali.
E’ ragionevole pensare che i disordini che coinvolgono la perturbazione delle membrane cellulari con ossidazione da parte dei radicali liberi, ad esempio la malattia del muscolo bianco, debbano essere interpretati attraverso il modello antiossidante. Questo modello è però meno esplicativo nello spiegare come la Selenio-carenza possa causare una riduzione della fertilità ed un decremento della produzione lattea, disordini comunemente osservati nei ruminanti al pascolo. Tali problemi possono solitamente osservarsi in assenza di miodistrofia e ciò suggerisce l’esistenza di meccanismi diversi dall’abnorme perossidazione tissutale nella Selenio-carenza dei ruminanti al pascolo; la recente scoperta di nuove Seleno-proteine con attività biologica ha incrementato notevolmente la ricerca.
il ruolo nella modulazione della funzione immunitaria e nel metabolismo degli ormoni tiroidei ha evidenziato meccanismi alternativi attraverso i quali il Selenio influenza la salute e la produzione animale.
Le disfunzioni riproduttive legate alla Selenio-carenza non sono ancora chiare, ma sembrano essere legate all’influenza sulla contrattilità uterina, in quanto quest’ultima facilita il trasporto degli spermatozoi all’interno dell’utero. Tra le diverse Selenoproteine una è presente nella capsula dei mitocondri degli spermatozoi con funzione strutturale oltre ad attività enzimatica.
Gli eventi che si osservano con una certa frequenza negli animali in gestazione Selenio-carenti sono l’aborto, piccoli nati morti e la ritenzione placentare. Proprio nei riguardi della ritenzione placentare sono state condotte ricerche che hanno evidenziato come, in seguito ad una terapia con Selenio e vitamina E, l’incidenza di questa patologia è scesa dal 51,2% all’8,8%.
Nel caso di animali in gestazione è stato accertato il trasporto di Selenio a livello placentare e che questo passaggio madre-feto si attua piuttosto prontamente. Notizie chiare sul ruolo del Selenio nella lattazione non ci sono, anche se è stata accertata la sua presenza nel colostro e nel latte.
Diagnosi
I veterinari, che lavorano nelle aree dove è presente una Selenio carenza sono spesso in grado di diagnosticare questa condizione senza l'ausilio di prove collaterali di laboratorio, ma basandosi sulla tipica sintomatologia delle sindromi più frequenti, ad esempio miodistrofia nutrizionale, patologia che si riscontra con frequenza negli allevamenti ovini del nostro paese. Vengono descritte due sindromi principali, una acuta che si manifesta soprattutto negli agnelli e che colpisce il miocardio, ed una subacuta che si riscontra maggiormente negli adulti danneggiando i muscoli scheletrici. Le due forme, non di rado possono coesistere nello stesso animale. Quando tali manifestazioni vengono a mancare tale carenza può essere sottovalutata con conseguenze economiche gravi per gli allevamenti. L'ausilio di ulteriori mezzi diagnostici è alla base per una valutazione corretta dello stato del Selenio degli allevamenti.
La diagnosi di Selenio-carenza non può essere fatta dall’analisi del pascolo perché quest’ultima è imprecisa e inadeguata a giustificare una supplementazione. Una diagnosi certa, oltre che dall'osservazione della sintomatologia clinica attribuita alla Selenio-carenza, può essere fatta con il monitoraggio sulle greggi, valutando la concentrazione del selenio presente nel fegato e nel sangue. La quantità di Selenio presente nel fegato è maggiore di quella rilevata in altri tessuti essendo questo un organo di deposito, mentre il Selenio circolante nel sangue riflette la quantità assunta con la dieta.
Miodistrofia nutrizionale
Definizione ed eziologia
La miodistrofia nutrizionale (MN), (malattia dei muscoli bianchi, malattia degli agnelli rigidi, distrofia muscolare nutrizionale), è una malattia miodegenerativa iperacuta-subacuta del muscolo miocardico e/o della muscolatura scheletrica causata da una dieta carente di selenio e/o vit. E. Questa sindrome avviene nella maggior parte delle specie animali allevate, ma si riscontra principalmente nei bovini in rapido accrescimento, agnelli, capretti e puledri, particolarmente quelli nati da madri che consumavano una dieta carente di selenio durante la gestazione. Questa malattia è stata riscontrata anche negli animali di un anno e nei bovini adulti e supposta anche nei cavalli adulti.
Sintomatologia
Esistono due distinte sindromi di MN la forma cardiaca e quella scheletrica. Quella cardiaca è associata con i sintomi iperacuti con uno scompenso miocardio, mentre quella scheletrica è associata a miastenia e difficoltà di deambulazione. In entrambi i casi, gli animali più colpiti del gregge o della mandria sono quelli giovani in rapido accrescimento.
La maggior parte dei casi di MN vengono diagnosticati durante il primo anno di vita.
Reperti necroscopici
Una miodegenerazione bilaterale e simmetrica è un tipico segno della MN: la degenerazione dei muscoli scheletrici è caratterizzata da una decolorazione pallida e da un'apparenza asciutta dei muscoli affetti, striature bianche nei fasci muscolari, calcificazioni e edema intramuscolare. Le strie bianche si osservano nei fasci muscolari e rappresentano bande di necrosi.
Trattamento e prognosi
Il danno miocardico da MN è spesso esteso ed incompatibile con la vita nella forma cardiaca; comunque il trattamento può anche avere successo. Di contro la forma scheletrica è più suscettibile al trattamento, sebbene la prognosi sia sempre riservata e dipende da complicazioni successive come ad esempio la possibilità di malattie respiratorie. In ogni caso la terapia della MN dovrebbe coinvolgere una specifica supplementazione con selenio e vit. E ed altri interventi di supporto.
Per sopperire alla carenza di selenio bisogna ricorrere a preparati iniettabili. Essi sono disponibili con concentrazioni di selenio che variano tra 0,25 a 5 mg/ml con 50 mg di vit. E. come dl-tocoferolo acetato. La dose raccomandata per il selenio varia tra 0,55 a 0,067 mg/kg (2,5 - 3 mg/45kg) peso corporeo dato intramuscolo o sottocute. Dosaggi ripetuti devono essere fatti con cautela sempre per gli stessi motivi.
Prevenzione e controllo
La prevenzione ed il controllo sono effettuati con la supplementazione di vit. E e selenio. Sebbene la carenza di selenio è più frequentemente implicata nella MN tutti e due devono essere somministrati. Secondo le norme federali (USA) il selenio può essere incorporato nella razione dei ruminanti a livelli di 0,3 ppm. Nelle miscele minerali il selenio può essere incorporato a livelli di 30 ppm per le pecore e 20 ppm per i bovini. Più alti livelli di supplementazione hanno bisogno di prescrizioni particolari. In certe aree ed in certi allevamenti alti livelli come 200 ppm possono essere necessari per mantenere adeguati livelli di ingestione. Il regolamento federale limita l'introduzione giornaliera a 0,7 mg/Kg/giorno negli ovini e per i bovini 3 mg/capo/die per ogni metodo di somministrazione. Siccome è difficile accertarsi dell'adeguatezza delle supplementazione con l'uso di miscele minerali in condizioni di pascolo sono stati studiati dei boli ruminali a lento rilascio che permettono diluire 3 mg/die di Se. I boli a lento rilascio possono sostituire i sali e le somministrazioni parenterali. Alternativamente ai singoli animali possono essere somministrati periodicamente per via parenterale Se e vit. E per mantenere i livelli negli animali e/o assistere sul passaggio placentare di selenio al feto.
La supplementazione orale nei cavalli a 1 mg di selenio per giorno aumenta le concentrazioni ematiche di selenio sopra i livelli ritenuti essere associati con la MN. La supplementazione nelle cavalle gravide va effettuata nelle zone carenti anche se ogni minimo apporto attraversa la placenta. Una supplementazione in lattazione fa aumentare i livelli di selenio nel latte dando quindi al puledro una quantità aggiuntiva.
A riguardo dei metodi di supplementazione è necessario conoscere periodicamente a campionamenti di sangue e tessuti negli animali a rischio per mantenere adeguati i livelli di Se. Nelle aree ad alto rischio i campioni dovrebbero essere presi ogni 60-90 giorni per determinare lo stato del selenio negli animali suscettibili. Sulle basi di queste assunzioni debbono essere fatti alcuni aggiustamenti sulle integrazioni. Alimentare gli animali con fieni ben fatti e conservati o granaglie fresche e foraggi verdi assicura un’adeguata somministrazione di vit. E.
Chetosi nei ruminanti (Acetonemia)
Definizione - La chetosi è una condizione caratterizzata da una abnorme concentrazione di corpi chetonici, acido acetoacetico (AcAc), acetone (Ac) e beta idrossi butirrato (BHB) nei tessuti dell'organismoe nei fluidi. La chetosi primaria spontanea è il disturbo metabolico di base risultante da un bilancio energetico negativo durante le prime fasi della lattazione come risultato della riduzione del glucosio nel sangue e nel fegato, ed un incremento della mobilizzazione dei grassi di deposito che porta ad una elevato accumulo di corpi chetonici. Alcuni autori hanno stabilito che un certo grado di chetosi è una condizione naturale nei ruminanti e che gli animali chetotici mostrano soltanto i risultati di una situazione metabolica estrema. La chetosi diventa una malattia solo quando l'assorbimento e la produzione di chetoni supera la possibilità di utilizzazione nei ruminanti come fonte energetica, portando ciò ad un accumulo nel sangue di corpi chetonici, NEFA ed ipoglicemia. I sintomi clinici della chetosi tendono ad essere vaghi e non specifici. quindi la chetosi viene classificata clinica o subclinica sulla base dei livelli di corpi chetonici in circolo, nelle urine, e nel latte e la presenza o assenza di sintomatologia. Ogni malattia che intercorre nelle prime fasi di lattazione e che riduce l'assunzione di cibo può causare una chetosi secondaria.
Eziologia - La chetosi è un malattia della produzione del moderno allevamento. Le bovine da latte sono state geneticamente selezionate per le alte produzioni di latte con il risultato di elevate produzioni nelle prime fasi di lattazione. Queste produzioni superano le capacità dell'animale di ingerire sufficiente alimento per soddisfare i fabbisogni energetici. Le entrate nell'animale devono essere uguali o superiori alle uscite per prevenuire uno squilibrio energetico.
La produzione di latte delle bovine raggiunge il massimo livello 4 settimane dopo il parto ma il massimo di ingestione di sostanza secca si raggiunge non prima della 7-8 settimana. Le bovine ad alta produzione possono andare in contro ad uno stato di bilancio energetico negativo per più di 8 settimane, anche se hanno a disposizione una dieta appetibile e di ottima qualità. Per rispondere al bilancio energetico negativo la bovina comincia a mobilizzare le riserve di grassi e di proteine sottoforma di trigliceridi e aminoacidi per la neoglucogenesi. I corpi chetonici vengono normalmente prodotti dalla parete ruminale e dal fegato. La produzione della parete ruminale è insignificante durante una chetosi clinica mentre la ghiandola mammaria sviluppa una grossa produzione di corpi chetonici. Comunque il fegato rappresenta la maggior fonte di corpi chetonici durante la chetosi. Tutti i tessuti della bovina si possono adattarsi all'utilizzazione dei corpi chetonici come fonte alternativa di energia, eccetto il fegato. Esso deve già essere stressato in una bovina normale che ha un certo livello di corpi chetonici durante l'incremento della curva di lattazione e del bilancio energetico per la lattazione anche se gli è somministrata una razione di ottima qualità. Durante questo periodo le bovine perodono da 30 a 100 kg di peso corporeo. La difficoltà è quella di identificare e prevenire i fattori che portano una vacca con livelli normali di formazione dei corpi chetonici ad una con chetosi clinica o subclinica.
Ogni altra condizione patologica che porta ad una diminuzione dell'ingestione può causare una chetosi secondaria come risultato di una mobilizzazione dei grassi e u della produzione di corpi chetonici. Durante l'immediato post partum le bovine sono suscettibili a molte malattie che possono ridurre la loro capacità di ingestione. La chetosi può inoltre essere secondaria all'ingestione di corpi chetonici preformati nella dieta (insilati con elevati livelli di acido lattico o butirrico). La carenza di cobalto è stata segnalata come possibile responsabile di chetosi. C'è anche un'alta incidenza di chetosi negli allevamenti con fluorosi. La contaminazione dei concentrati con bassi livelli di lincomicina sono stati visti causare casi di chetosi clinica.
Reperti di laboratorio - La presenza di corpi chetonici può essere messa in evidenza nelle urine, plasma, e latte. Nella letteratura i valori di riferimento sono riportati in unità internazionali (IU) mmol/l o in unità convenzionali mg/dl che possono essere interpretati difficilmente. In generale nella chetosi clinica la concentrazione ematica di glucosio vanno da 20 a 40 mg/dl, corpi chetonici totali del sangue sono maggiori di 30 mg/dl, nelle urine maggiori di 80 mg/dl e nel latte maggiori di 10 mg/dl. Gli animali con chetosi subclinica sono quelli che oltre a non avere alcun sintomo clinico presentano valori ematici di glucosio bassi e chetoni totali ematici tra 10 e 30 mg/dl e chetoni totali nel latte maggiori di 2 mg/dl. Una chetosi secondaria può cadere tra i valori di una chetosi clinica e subclinica in dipendenza della durata del processo patologico primario.
Commercialmente sono disponibili test che svelano lae concentrazioni di Acetato, e Acetoacetato o entrambi usati come strisce reattive o tavolette reagenti per le urine. I livelli di BHB sono proporzionalmente più elevati di Ac e AcAc anche se una buona correlazione tra questi due ultimi e la sintomatologia clinica particolarmente per i livelli nel latte. I livelli urinari di chetoni possono dare delle risposte positive anche in vacche normali siccome i livelli urineri sono da 2 a 20 volte quelli ematici. I livelli di chetoni del latte riflettono quelli del sangue, l'effettuazione di questo test è molto più reale (all'incirca il 50% di quelli ematici.
Fisiopatologia - Il fabbisogno giornaliero di glucosio in una vacca da latte aumenta al di sopra di quello normale per il mantenimento dal 30% al 75% rispettivamente a fine gravidanza e all'inizio della lattazione. .Il fabbisogno energetico medio di una vacca che produce 45 quintali di latte a lattazione è stato stimato in 50g di glucosio per ora. Soltanto il 10% del glucosio necessario è disponibile sotto forma di glucosio. Una vacca normale in lattazione riceve enrgia al fegato sotto forma di AGV, proteine batteriche, e una piccola parte di glucosio e proteine che sfuggono alla fermentazione ruminale. I principali AGV sono l'acetico, il propionico ed il butirrico che sono prodotti approssimativamente nel rapporto 70:20:10 rispettivamente nel rumine. L'acetato viene soprattutto utilizzato nella sintesi dei grassi, sebbene c'è qualche prova che suggerisce che esso può essere una piccola fonte di glucosio entrando come acetyl CoA. Il butirrato è condensato ad acetoacetil CoA, che può essere parzialmente ossidato a corpi chetonici o essere trasformato in acetil CoA che può entrare come tale nel ciclo degli acidi tricarbossilici ( non portando direttamente alla formazione di glucosio) Il propionato entra nel ciclo degli acidi tricarbossilici direttamente al livello del succinil CoA (equivalendo al 30-50% del glucosio prodotto in un ruminante). Quindi l'acetato ed il butirrato sono chetogenetici, mentre soltanto il propionato è glucogenetico. La normale proporzione nella produzione di AGV nel rumine è di 4:1 rispettivamente AGV chetogenetici e glucogenetici. Una significante produzione di corpi chetonici avviene nel'epitelio del rumine e nelle ghiandola mamaria e nel maggior sito di produzione che è il fegato. I corpi chetonici sono normalmente usati nel ciclo dell'acido tricloracetico nel cuore, rene, muscoli scheletrici e nella ghiandola mammaria attraverso la via del acetil CoA.
Un efficace ossidazione dell'acetil CoA dipende da una adeguata disponibilità di ossalacetato, che è generato dai precursori glucogenetici soprattutto il propionato (dal rumine) e dal lattato e propionato (che provengono dal metabolismo anaerobica). Le vacche in lattazione usano una grande quantità di propionato e lattato per il lattosio del latte. Le disponibilità di ossalacetato sono diminuite, inibendo l'utilizzo dell'acetil CoA nel ciclo dell'acido tricarbossilico. L'acetil CoA viene quidi deviato nella formazione degi corpi chetonici. Per ottemperare al mantenimento dell'equilibrio energetico e all'incremento della neoglucogenesi, più trigliceridi vengono mobilizzati dalle riserve di grasso. Il risultato è il netto aumento dei NEFA che entrano nel ciclo dell'acido tricarbossilico attraverso l'acetil CoA che si aggiunge alla formazione dei corpi chetonici.
Siccome il bilancio energetico negativo avviene nel periodo del postpartum nelle vacche da latte, c'è una riduzione di carboidrati disponibili ed un incremento della mobilizzazione dei grassi e quindi si viene a formare una certa quantità di corpi chetonici. I corpi chetonici nella chetosi clinica sono prodotti dal fegato a partire dai NEFA che vengono deviati dalla via dell'esterificazione e la completa ossidazione del'aceticl CoA alla parziale ossidazione dell'acetoacetil CoA a corpi chetonici in risposta alla scarsa disponibilità di carboidrati.
Prevenzione e controllo - Siccome il meccanismo principale della chetosi clinica e subclinica è un bilancio energetico negativo durante le prime 8 settimane di lattazione, la prevenzione ed il controllo possono essere fatti in tre tappe. L'alimentazione ed il management delle bovine durante la fine della lattazione e l'asciutta dovrebbe servire a portare le bovine al parto nelle migliori condizioni corporee. Un ottimale ingestione della razione da lattazione dovrebbe essere incentivato con l'introduzione della razione in modo graduale. La somministrazione di una razione ideale durante le prime fasi di lattazione altamente appetibile e ricca di energia.
Una certa quantità di grasso corporeo dovrebbe essere disponibile per la mobilizzazione e la produzione di latte in una vacca al momento del parto. Il grasso corporeo perso all'inizio della lattazione deve essere rimpiazzato durante la fine della lattazione a seconda le raccomandazioni degli alimentaristi. La condizione corporea delle vacche in asciutta deve essere mantenuta e somministrate le sostanze necessarie alla crescita del feto. E' essenziale che la bovina non diventi troppo grassa prima del parto.
L'introduzione della razione da lattazione dovrebbe essere fatta il più gradualmente possibile per incoraggiare le bovine ad ingerire la massima quantità e diminuire al massimo i problemi digestivi. L'alimentazione con la razione da lattazione, in quantità limitate, si pu cominciare a somministrarla da 4-5 settimane prima del parto per arrivare al momento dello stesso con una razione che contenga 3,5-4 kg di concentrato. dopo il parto deve essere effettuato un incremento progressivo fino ad arrivare ad un livello massimo ad libitum (approssimativamente in 2-4 settimane).
La razione per vacche ad inizio lattazione deve essere altamente appetibile e seguire i fabbisogni previsti (vedi ad esempio INRA o NRC). Il punto chiave è quello di mantenere una alta densità energetica ed un ottimo livello di fibra e proteine. Il calcolo del fabbisogno energetico di una bovina in lattazione espresso in energia netta per la lattazione (NEL degli americani ) o in unità foraggere latte (francesi) si possono ottenere da apposite tabelle. I fabbisogni raccomandati per la fibra grezza vengono espressi in ADF (fibra detergente acido) e NDF (fibra detergente neutro). L'NDF va bene per stimare l'adeguatezza della dieta, e l'ingestione di sostanza sacca (DMI) della razione dipende dal'NDF (1,2% del peso corporeo). Non tutte le analisi dei foraggi riportano L'NDF, ma esso pu essere calcolato approssimativamente dividendo il contenuto di nutrienti digeribili totali (TDN) per 100. Le proteine devono essere somministrate sia come proteine rumino degradabili (solubili e azoto non proteico) e rumino resistenti (proteine bypass).
La dieta deve essere anche bilanciata nel contenuto di minerali. Il cobalto può essere aggiunto se c'è un deficit nella dieta di base. I problemi che sorgono con l'insilato che contiene grosse quantità di butirrato pu necessitare la sua sostituzione o diluizione con altri alimenti nelle vacche all'inizio della lattazione. Diete con alto contenuto di butirrato vengono spesso mantenute perché esse stimolano la produzione di un alto quantitativo di burro nel latte. L'introduzione nella dieta di grasso protetto sotto forma di sali di calcio o acidi grassi a lunga catena o una alta concentrazione acidi grassi saturi a lunga catena (acido palmitico e stearico) possono aumentare la densità energetica della dieta senza ridurre il contenuto di fibra. Questi composti non vengono degradati nel rumine ma vengono digeriti nell'abomaso e nel piccolo intestino. L'uso di questi prodotti man mano che aumenta la produzione di latte riducono la perdita di peso nel periodo iniziale di lattazione riducendo la produzione di corpi chetonici. Precursori del glucosio come il glicole propilene e il propionato di sodio sono stati incorporati nelle razioni per vacche ad inizio lattazione per molti anni. Entrambi non sono appetiti dalle vacche ed è meglio quindi somministrarli come terapia soltanto alle bovine affette da chetosi. L'acido nicotinico viene raccomandato alla dose di 6-12 g/capo/die nelle razioni da inizio lattazione. I casi di chetosi subclinica e clinica devono essere diagnosticati il più presto possibile per prevenire gli effetti deleteri sulla salute e sulle produzioni. Questo può essere effettuato incoraggiando gli allevatori ad usare i test di routine per saggiare i corpi chetonici nelle urine e nel latte nei primi 50-60 gg dopo il parto. Gli animali con test positivo dovrebbero essere sottoposti ad un attento esame clinico. L'istituzione di una terapia di supporto per la chetosi subclinica dovrebbe comprendere la somministrazione orale di glicole propilene. Una alta incidenza di chetosi clinica e/o subclinica necessita di una verifica della razione somministrata.
Il termine viene usato per definire i disturbi relativi a disfunzioni dei primi due comparti prestomacali, il rumine e il reticolo. Queste condizioni sono caratterizzate principalmente da anoressia ed ipomotilità ruminale (raramente ipermotilità).
Possono essere classificati in: Disturbi associati ad un anomalo contenuto reticolo-ruminale con disfunzione microbica e biochimica delle fermentazioni e disturbi associati ad una anomala funzione motoria reticolo-ruminale comprese le malattie della parete, della sua innervazione o per impedimento del transito degli alimenti.
Eziopatogenesi dei disturbi fermentativi……
Indigestione semplice
E’ una comune malattia delle bovine da latte (meno comune nei vitelloni e negli altri ruminanti)
Condizione sporadica che colpisce singoli individui legata a situazioni individuali (età, stato fisiologico, trattamento con antibiotici, stress).
Condizione legata a cambiamenti di alimentazione che contengono sostanze alle quali gli animali non sono abituati o sostanze in grado di bloccare le fermentazioni.
Squilibrio della flora ruminale, Variazione dei prodotti delle fermentazioni, Sviluppo di una modesta acidosi o alcalosi ruminale
Anoressia (1-2 gg)
Diarrea può compare entro 24 ore.
Motilità ruminale moderatamente ridotta
Lieve meteorismo
In alcuni casi variazioni pH ruminale (lieve acidosi o alcalosi)
Generalmente gli animali riprendono ad alimentarsi senza uno specifico trattamento.
Acidosi ruminale acuta
Definizione
L'acidosi ruminale acuta è una delle più drammatiche forme di disordini fermentativi ruminali che in qualche caso è letale in meno di 24 ore. Essa è stata anche molto studiata quindi gli eventi di questa patologia sono molto chiari rispetto a quelli di altre patologie dei prestomaci. La condizione è stata chiamata acidosi lattica, sovraccarico ruminale acuto, indigestione acida, indigestione tossica, ingorgo da grano, sovraccarico da grano e acidosi d-lattica.
Eziologia
Il problema è il risultato dell'eccessivo consumo di carboidrati facilmente fermentescibili, che causano una rapida fermentazione e produzione di acido lattico e una diminuzione del pH ruminale a livelli al di sotto di quelli fisiologici. Questo avviene quando gli animali assumono un eccesso di concentrato. Il problema si pone soprattutto quando gli animali sono allevati in gruppo piuttosto che separatamente per un condizionamento psicologico che li induce alcuni animali a sovralimentarsi. In generale gli alimenti coinvolti sono quelli che contengono una grande quantità di amido o zuccheri, carboidrati che possono fungere da precursori dell'acido lattico. Questi includono le granaglie di cereali che si ritrovano comunemente nelle razioni delle bovine alte produttrici, frutti e radici (come ad esempio barbabietole da foraggio, da zucchero, patate) che sono disponibili.
Caratteristiche dell'alimento
Alcune caratteristiche dell'alimento contribuiscono ad acidificare il liquido ruminale. Le granaglie di cereali possiedono un potere tampone inferiore rispetto ai foraggi fibrosi. Una carenza di fibra strutturata induce una minore salivazione da parte dell'animale come anche minore ingestione e minore ruminazione. Quindi l'ingestione di tamponi salivari diminuisce quando l'animale ingerisce concentrati. Qualche insilato contiene anche grosse quantità di carboidrati e perfino acido lattico.
I semi di grano, orzo e granturco sono ritenuti molto tossici se ingeriti in grandi quantità; mentre l'avena ed il sorgo sono ritenuti meno pericolosi. Tutti questi cereali sono considerati più nocivi se vengono somministrati finemente macinati schiacciati o comunque frantumati perché tali processi espongono più direttamente l'amido all'azione della flora batterica. La somministrazione sperimentale di orzo non trattato a bovini non si è dimostrata in grado di provocare una ruminite come invece è stato provocato con la somministrazione di orzo fioccato.
Epidemiologia
Tutti i bovini ed ovini possono essere colpiti anche se è più frequente in quelli allevati in stalla con diete ad alto contenuto di concentrati la malattia è stata segnalata anche nei caprini e nel cervo selvatico
Insorgenza e Patogenesi
Durante un regime alimentare normale che include una quota significativa di foraggi fibrosi, i carboidrati disponibili sono un fattore limitante per la fermentazione e la crescita dei microrganismi del rumine. L'efficienza della fermentazione dei carboidrati dipende dalla quantità di ATP che i batteri possono ottenere da ogni singolo zucchero, dalla quale deriva la competizione per la sopravvivenza. I batteri che crescono lentamente come ad esempio i tipi cellulolitici utilizzano i substrati con più efficienza. Quando sono disponibili in eccesso amido o zuccheri, le specie a crescita veloce come ad esempio lo Streptococcus bovis possono metabolizzare i carboidrati più rapidamente. Essi possono produrre più ATP per unità di tempo perfino se presentano una minore efficienza di produzione di ATP per molecola di carboidrato utilizzata. In queste condizioni essi possono crescere in eccesso producendo acido lattico come prodotto finale.
Il grado di acidosi ruminale e la gravità della sintomatologia provocata è abbastanza variabile e dipende dalla quantità e dal tipo di alimento ricco di carboidrati e dal grado di adattamento che aveva la flora ruminale ai carboidrati. La malattia può andare da una forma lieve di indigestione ad una tossiemia travolgente che difficilmente può essere distinta da altre tossicosi acute o da varie forme di endotossiemie.
Se il consumo di carboidrati facilmente fermentescibili è soltanto lievemente in eccesso. La proliferazione dello S. bovis diminuisce quando i carboidrati sono stati fermentati ed il pH ritorna verso la normalità e si ristabilisce la precedente dominanza di fermentazioni efficienti. Se la fonte di carboidrati è abbondante e non si esaurisce l'eccesso l'acidosi diviene sempre più severa. Una continua produzione di lattato da parte del S. bovis, fa diminuire il pH del succo ruminale ad un range di 5-5,5 e l'osmolalità ruminale sale concomitantemente. Entrambi questi fattori uccidono i protozoi del rumine. Essi normalmente utilizzano gli amidi ed una piccola quantità di zuccheri limitando l'aumneto della formazione di acido lattico. Una rapida morte dei protozoi elimina questa fonte di utilizzazione dei carboidrati e quindi del lattato. Esistono anche numerose altre specie di batteri che utilizzano il lattato di cui il Megasphera elsdenii e il Selenomonas ruminantium ne sono i principali esempi. Questi batteri che aumentano di numero quando gli animali vengono gradualmente abituati ad una dieta ricca di concentrati, vengono eliminati da un repentino cambiamento e dalla generazione eccessiva di acido. Quindi i maggiori utilizzatori del lattato vengono eliminati quando si verifica una formazione di acido lattico troppo veloce.
I lattobacilli sono il maggior gruppo di batteri acido lattico-produttori del rumine. L'acidificazione del succo ruminale incentiva la crescita di questi microorganismi. Siccome i batteri utilizzatori di acido lattico vengono uccisi prima della crescita dei lattobacilli i loro prodotti non sono disponibili come substrato per gli altri batteri. I lattobacilli rimangono come i soli organismi in grado di utilizzare i carboidrati disponibili. Perfino il S. bovis il microrganismo che inizia la produzione di acido lattico viene inibito ad un pH inferiore a 4,5 lasciando i lattobacilli che sono la specie più acido resistente a produrre più acido lattico.
L'acidificazione dei liquidi circostanti promuove la formazione di acido lattico attraverso l'alterazione del metabolismo microbico. La perdita dai liquidi di tampone bicarbonato e l'aumento della disponibilità di ioni idrogeno blocca la conversione del lattato a propionato persino prima che gli utilizzatori del lattato muoiano. Anche a pH sopra il 5 come il pH scende l'attività amilasica del succo ruminale aumenta liberando più glucosio dagli amidi. Comunque l'utilizzazione del glucosio è ridotta, tanto che si accumula glucosio nel succo ruminale. Apparentemente i batteri lattato utilizzatori come ad esempio il Selenomonas ruminantium degrada minor lattato ad acetato in presenza di una aumentata concentrazione di glucosio. Quindi, non cambia soltanto la popolazione batterica del liquido ruminale ma anche le sue caratteristiche accelerando la formazione di acido lattico quando c'è un eccesso di carboidrati disponibili.
Gli effetti sull'animale di questi cambiamenti del liquido ruminale sono numerosi e nocivi. Nelle fasi iniziali della fermentazione acida gli AGV sono prodotti in abbondanza. Sebbene la produzione di AGV diminuisce come i microrganismi vengono gradualmente inibiti la loro concentrazione rimane alta nell'acidosi avanzata. Gli AGV sono acidi più deboli rispetto all'acido lattico; quindi come il pH cala, essi si legano agli ioni idrogeno dall'acido lattico fungendo da tamponi del fluido ruminale. Il risultato finale di questa situazione è che tali AGV in grande quantità si ritrovano nello stato non dissociato. Essi sono più rapidamente assorbiti in questa forma dalla parete del rumine piuttosto che sottoforma di ioni. Durante l'assorbimento alcuni di essi vengono metabolizzati dalla parete del rumine con il risultato della messa in circolo di acido lattico e corpi chetonici. Un eccessivo assorbimento degli acidi grassi volatili porta ad una acidosi sistemica. In aggiunta una grossa quota di acidi grassi non dissociati nella mucosa della parete del rumine porta ad una inibizione della motilità prestomacale con stasi ruminale. Questo effetto tende a proteggere l'animale i quanto riduce l'assorbimento dei prodotti del rumine.
La pressione osmotica del liquido ruminale aumenta come si sviluppa l'acido lattico. L'osmolalità normale del fluido ruminale è di 280 mOsm/L, ma tale valore si può duplicare in caso di acidosi acuta. L'acido lattico è il responsabile maggiore di questo anche se alcuni composti responsabili rimangono sconosciuti. L'aumento dell'osmolalità del fluido ruminale inibisce ed uccide una parte della microflora e richiama acqua dal comparto vascolare. La maggior parte dei fluidi proviene dal comparto extracellulare. Questo porta ad un aumento del contenuto ruminale ed ad una distensione dell'organo ed ad una marcata disidratazione che si evidenzia clinicamente. La perdita di liquidi organici porta ad una riduzione del volume ematico ed a una diminuzione di perfusione renale che in qualche caso si manifesta con anuria. La scarsa perfusione periferica porta ad un metabolismo ipossico che aggrava lo stato di acidosi sistemica.
Sebbene sia stato dimostrato che l'acidosi metabolica che si sviluppa con questa patologia si può attribuire all'assorbimento dell'acido lattico ruminale, anche se questo assorbimento non sembra avvenire rapidamente. Il lattato è assorbito dalla parete del rumine ad una velocita inferiore rispetto agli altri AGV in quanto esso è altamente ionizzato ad un pH vicino a quello fisiologico il quale tende ad inibire l'assorbimento. A pH più bassi il rumine comincia a divenire statico che è un ulteriore causa di inibizione dell'assorbimento. L'ipertonicità del succo ruminale limita inoltre l'assorbimento del lattato e i altre sostanze. Sembra che il picco di maggior penetrazione dell'acido lattico in circolo avviene nelle prime fasi della malattia. Una certa quantità di lattati può essere assorbita dall'intestino dopo che una parte di fluido ruminale è passata a causa dell'atonia. Molte ricerche sperimentali non hanno svelato la causa dello sviluppo della grave acidosi metabolica sistemica nelle prime fasi della malattia. Può essere che la prima componente della acidosi sia da attribuire all'insufficienza circolatoria più che all'assorbimento di acido lattico. Un certo assorbimento di acido lattico avviene comunque, ed è evidenziato dal ritrovamento in circolo di acido D-lattico. I microorganismi producono sia acido L- che D-lattico mentre i tessuti corporei soltanto la forma L. Le vie metaboliche dell'organismo per il metabolismo dell'acido D-lattico non sono molto efficienti come quelle per l'acido L-lattico così che l'assorbimento di tutte e due le forme porta ad un accumulo soprattutto dell'acido D-lattico. Il lattato viene eliminato attraverso l'ossidazione, la gluconeogenesi e l'escrezione renale. Lo stato di idratazione dell'animale, del metabolismo epatico e muscolare e della funzionalità renale influenzano la capacità di eliminare l'eccesso del lattato prodotto. Gli animali che sopravvivono ad una acidosi ruminale spesso sviluppano una alcalosi metabolica che segue la fase acidotica come risultato del precedente metabolismo del lattato con produzione di bicarbonati.
L'acido lattico è un forte agente corrosivo e quando raggiunge alte concentrazioni nel rumine esso distrugge l'epitelio ruminale dando luogo alla così detta "ruminite tossica". L'effetto di questa disepitelizzazione può essere esteso, tanto da permanere perfino negli animali che hanno superato una acidosi acuta. Alcuni lieviti o miceti che sono acido resistenti possono colonizzare rapidamente la mucosa danneggiata invadendo la parte vascolare causando trombosi o diffusione al fegato o altri organi. Una ruminite batterica può essere un'altra conseguenza di una azione del danno chimico che può portare alla formazione di ascessi, di una cellulite diffusa, o perforazione e peritonite. Perfino gli animali che sopravvivono all'acidosi possono morire per i danni ruminali. Di contro il rumine può cicatrizzare tranquillamente, lasciando cicatrici nella parete del rumine. Anche se il rumine cicatrizza gli ascessi batterici possono raggiungere il circolo portando ad ascessi epatici metastatici che sono un comune problema degli animali alimentati con alte dosi di concentrati.
Numerosi altri fattori tossici in aggiunta all'acido lattico sono implicati nella acidosi ruminale acuta. L'alterato metabolismo della flora ruminale si è visto generare grandi quantità di istamina, etanolo, metanolo, tiramina, e triptamina. Queste possono giuocare un ruolo nella patogenesi della patologia anche se ne mancano le prove. L'istamina è stata implicata nella patogenesi della laminite che qualche volta accompagna l'acidosi ruminale. Comunque l'istamina è scarsamente assorbita dalla parete del rumine soprattutto a pH bassi. La distruzione dei batteri ruminali gram negativi è stata ipotizzata come causa di rilascio e riassorbimento di una grande quantità di endotossine attraverso la mucosa danneggiata. Le endotossine dovrebbero contribuire alla maggior parte della sintomatologia come ad esempio la, stasi ruminale, la scarsa perfusione tissutale, con una insufficienza cardiocircolatoria, debolezza e depressione. Comunque il riassorbimento delle endotossine dal tratto gastrointestinale non è stato ancora dimostrato quindi il loro ruolo nella patologia non è ancora chiaro. Con una disfunzione epatica ed un danno della mucosa ruminale l'assorbimento di tossine viene più facilmente alterato.
Morbilità e mortalità
Nei bovini stabulati e negli allevamenti dove di producono cereali si possono verificare contemporaneamente numerosi episodi di malattia a seconda del tipo di cereali, del quantitativo totale ingerito e delle caratteristiche delle tecniche di allevamento la morbilità varia dall'10 al 15% l'indice di mortalità può raggiungere il 90% nei casi non trattati ma anche in quelli tarttati può arrivare al 30-40%.
Sintomatologia e diagnosi
La gravità della sintomatologia dipende dalle circostanze e dalla quantità di alimento ingerito. Una rapida ingestione di carboidrati facilmente fermentescibili a bovini molto suscettibili è rapidamente fatale. D'altra parte una graduale instaurazione di sintomi cronici seguiti da una fase di tossicosi è tipica di una dieta contenente un moderato eccesso di cereali. Il primo sintomo di una forma acuta è rappresentato da una distensione del rumine e da spasmi addominali di dolore insieme ad una riluttanza a mangiare. Le contrazioni del rumine diminuiscono e l'animale smette di ruminare. Entro le 24 ore l'animale può barcollare e in breve collassare. Alcuni sembrano ubriachi o parzialmente cechi. La frequenza cardiaca è generalmente alta, soprattutto in quelli che stanno per morire. La mancata defecazione dovrebbe essere considerata un altro grave sintomo anche se la maggior parte degli animali presenta una profusa diarrea. Le feci appaiono di colore chiaro ed emettono un forte odore dolciastro-amaro. Nel sovraccarico da cereali interi le feci possono contenere numerosi grani indigeriti. Progressivamente si manifesta disidratazione nei casi dove si verifica una degenerazione tubulare renale ci può essere anuria. Dopo circa 48 ore l'animale è costretto al decubito. Può insorgere una podoflemmatite acuta. Una podoflemmatite cronica può verificarsi dopo settimane o mesi negli animali che hanno superato la fase acuta.
Rilievi di laboratorio
L'ematochimica può offrire notevole aiuto diagnostico per la prognosi ed il trattamento. L'emoconcentrazione ci da un idea della disidratazione, l'ematocrito può raggiungere il 50% nei casi gravi. I livelli di lattato possono essere misurati per confermare l'acidosi lattica e di conseguenza saranno bassi il pH e i bicarbonati ematici. Le urine saranno acide e sempre più concentrate fino all'anuria.
Il pH ruminale (va effettuato immediatamente perchè l'esposizione all'aria lo fa elevare. I bovini alimentati con cereali hanno un pH ruminale di 5,5-6. Un pH compreso tra 5 e 6 è indice di lieve alterazione mentre valori più bassi di 5 richiedono un pronto intervento. L'esame microscopico di alcune gocce di succo ruminale fresco mette in evidenza l'assenza di protozoi che rappresenta un valido indice di disfunzione ruminale che generalmente è imputabile ad acidosi ruminale. La flora batterica del rumine che in condizioni fisiologiche risulta prevalentemente composta da gram negativi viene sostituita da gram positivi. I casi più gravi vengono a morte in 1-2 giorni. quelli che sopravvivono possono soccombere più tardi per le conseguenze delle ruminiti e delle infezioni.
Acidosi ruminale subacuta
Come visto in precedenza l’acidosi ruminale acuta è legata ad abnorme ingestione di sostanze altamente fermentescibili, con scarso contenuto di fibra grezza strutturata, mentre le forma subacuta è causate da altri problemi legati ad alterazioni abbastanza gravi, ma della durata sufficiente a far manifestare nell’animale una forma acuta. Ciò può avvenire nelle bovine da latte durante periodi specifici come nelle ultime fasi dell'asciutta e le prime della lattazione, quando gli animali subbiscono cambiamenti di alimentazione.
Per una serie di motivi la diagnosi di acidosi subacuta risulta spesso difficoltosa in campo, in quanto non esistono, in merito, prove diagnostiche specifiche. Durante la somministrazione di una dieta responsabile delle alterazioni ruminali la sintomatologia è così lieve da passare spesso inosservata nei moderni allevamenti, a differenza di quanto avviene nelle forme acute ed iperacute dell'acidosi ruminale. Una acidosi subacuta va sempre sospettata quando in un allevamento di vacche da latte sono presenti sintomi quali: diminuzione dell'ingestione, numerosi casi di laminite, diarrea intermittente, tasso di rimonta elevato per problemi non ben definiti, presenza di animali magri nonostante l'assunzione di una quota energetica adeguata, presenza di ascessi senza cause apparenti, fenomeni di epistassi ed emottisi. La laminite cronica rappresenta, forse, il segno clinico più evidente in un allevamento con problemi di acidosi ruminale subacuta. Una laminite clinica non sempre è in grado di provocare una zoppia apparente tanto che l'incidenza della patologia in un allevamento può essere facilmente sottostimata. Secondo Nordlund et al. (1995) le vacche che presentano emorragie soleari generalmente non presentano segni clinici di zoppia al momento della visita e nella maggior parte degli allevamenti le emorragie vengono notate soltanto accidentalmente quando viene effettuato il periodico pareggiamento dell'unghia.
La diarrea che si riscontra nei casi di acidosi ruminale subacuta è generalmente di entità modesta e limitata a pochi soggetti e a particolari gruppi produttivi.
La presenza di ascessi sottocutanei, non imputabile alla somministrazione di farmaci o a cause traumatiche, è spesso riscontrabile negli allevamenti colpiti da acidosi ruminale subacuta o cronica, soprattutto nelle forme più gravi e prolungate. Un altro riscontro frequente è il reperimento di ascessi epatici, polmonari o in altre sedi delle vacche sottoposte ad esame anatomo-patologico.
Secondo quanto riportato da Nordlund et al. (1995), negli allevamenti con acidosi subacuta e cronica è possibile riscontrare un sostanziale numero di animali sotto peso nonostante la dieta ricca in energia. La perdita della condizione corporea (bassi punteggi di Body Condition Score) può essere il risultato di una scarsa ingestione di alimento, di un'alterata funzionalità ruminale o presenza di ascessi epatici.
Spesso gli allevatori tentano di migliorare la condizione di tali bovine aumentando la quota di concentrati aggravando, di fatto, la patologia esistente.
L'emottisi e/o l'epistassi sono state osservate in alcuni allevamenti con presenza di acidosi ruminale subacuta e cronica (Nordlund et al., 1995). Sebbene non comuni, questi fenomeni possono essere associati alla sindrome della vena cava caudale che rappresenta una conseguenza del complesso ruminite-ascessi epatici (Smith, 1990).
La maggior parte degli allevamenti con problemi di acidosi ruminale subacuta e cronica presentano una percentuale di rimonta superiore al 45%. Generalmente le cause di riforma non vengono ben definite, ne include sempre un certo numero di vacche morte senza causa apparente.
Secondo Nordlund et al. (1995) la valutazione di una diminuzione della percentuale del grasso del latte è difficile e si osserva soprattutto nella fase iniziale della produzione quando le bovine si adattano alla razione da lattazione.
L'esame del succo ruminale rappresenta la prova collaterale di laboratorio più importante per la diagnosi di acidosi ruminale subacuta e cronica, sebbene non sia priva di problematiche tecniche e di interpretazione dei risultati.
Nei casi di acidosi acuta è facile evidenziare del succo ruminale, che scende a valori notevolmente inferiori a 6,0, mentre, in casi di acidosi subacuta e cronica, tale valutazione non risulta sempre molto evidente. Il problema maggiore è rappresentato dalla contaminazione del succo ruminale con la saliva che inevitabilmente avviene durante il prelievo attraverso sonde esofagee. Inoltre, per emettere una diagnosi di acidosi ruminale subacuta o cronica, è necessario saggiare più animali che appartengono a gruppi produttivi diversi, vista la variabilità della determinazione da un animale all'altro. Tale determinazione andrebbe, quindi, effettuata su un certo numero di animali rappresentativo di un determinato gruppo alimentare. Secondo Garret et al., 1999 per stabilire la presenza di una condizione di acidosi ruminale subacuta i un allevamento o in un gruppo di animali (bovine in asciutta, fresche ec..) è necessario sottoporre 12 animali a ruminocentesi e determinazione del pH ruminale. Il numero discriminante di animali con pH ruminale inferiore a 5,5, che ci indica che in quel allevamento o gruppo di animali la probabilità che ci sia una acidosi ruminale subacuta è maggiore del 95% è di tre o più soggetti.
Acidosi ruminale cronica
Come l'acidosi ruminale acuta questa malattia è causata da una alimentazione estremamente ricca di concentrata scapito di alimenti fibrosi strutturati (fieni). In questo caso il problema è una continua ingestione di questi alimenti per un periodo prolungato di tempo invece di una rapida esposizione senza un adattamento precedente. La popolazione ruminale si adatta alla razione ad alto contenuto di cereali con un elevato numero di microrganismi utilizzatori e produttori di acido lattico. La quantità dei batteri cellulolitici diminuisce mentre proliferano le specie che degradano gli zuccheri e gli amidi. L'effetto generale dell'adattamento e che si sviluppa una popolazione microbica che rapidamente fermenta gli alimenti. L'acido lattico non si accumula peché viene continuamente metabolizzato dai batteri. L'alta velocità di fermentazione che si instaura produce una alta concentrazione di AGV che porta ad una modesta acidosi del liquido ruminale con valori di pH che oscillano tra tra 5 e 5,5. Il sistema tampone del rumine è abbastanza compromesso dall'aumento del contenuto acido in quanto le particelle fine di una razione ad alto contenuto di concentrato non favoriscono la masticazione equindi la salivazione. Come la definizione della malattia dice così gli effetti sono cronici ed insidiosi.
Insieme alle alte concentrazioni di AGV ed i bassi valori di pH c'è anche uno spostamento della proporzione degli AGV del succo ruminale. La quantità di acido butirrico e propionico aumenta mentre l'acetato diminuisce. L'acido butirrico e propionico stimolano la proliferazione delle papille dell'epitelio ruminale. Quando questo processo è esagerato questa situazione può portare ad una paracheratosi ruminale. Le papille ruminali sviluppano una eccessiva cheratinizzazione dell'epitelio e si uniscono insieme. La paracheratosi è associata ad una diminuzione di assorbimento degli AGV ed una maggiore suscettibilità ai traumi e alle infiammazioni. Il danno epiteliale e la natura acida del contenuto ruminale sembrano responsabili in qualche caso dell'infiammazione dl tessuto profondo della parete del rumine. Le lesioni della parete ruminale permettono la penetrazione dei batteri con loro disseminazione nel fegato. Questo comporta comunemente la formazione di ascessi epatici nella grande maggioranza degli animali affetti. Non esistono generalmente sintomi clinici tipici degli ascessi epatici. Gli animali colpiti presentano una diminuzione della produttività e possono presentare i sintomi di di una risposta infiammatoria cronica.
Gli agnelli con acidosi ruminale cronica mostrano un ridotto appetito ed una ipocinesia ruminale. Gli alti livelli di AGV del rumine inibiscono la motilità ruminale stimolando i recettori inibitori che si trovano nell'epitelio. Le particelle fini del'alimento riducono ancora la mobilità ruminale in quanto manca lo stimolo fisico di una dieta ricca di foraggi grossolani che stimolano contrazioni forti e ripetute. Sebbene la popolazione batterica è metabolicamente molto attiva si riduce il numero delle specie presenti. Inoltre la popolazione protozoaria viene inibita quando il pH si aggira su questo range o scende al di sotto. La microflora è meno stabile quando formata da poche specie e quindi più suscettibile ai cambiamenti rapidi di alimento. Una continua e alta produzione di acidi può portare ad una riduzione dell'efficienza metabolica e di tutte le prformances. Una dieta ad alto contenuto di concentrati è stata associata ad uno scarso uso delle proteine della dieta. Altre condizioni patologiche sono state associate con l'acidosi cronica inclusa la laminite cronica e la necrosi cerebrocorticale o poliencefalomalacia. Presumibilmente questi problemi si evidenziano quando la fermentazione acida del rumine può produrre anche fattori tossici come ad esempio l'istamina e la tiaminasi.
Alcalosi ruminale
Una alcalinizzazione del contenuto ruminale avviene più comunemente quando la fermentazione microbica è ridotta mentre l'animale continua ad ingerire saliva. Il pH del liquido ruminale si ritrova su valori tra 7 e 7,5 con una prolungata anoressia, con una inattività della flora ruminale da scarso apporto di foraggi facilmente digeribili ed in qualche caso di semplice indigestione. La bassa velocità di fermentazione non genera abbastanza acidi per neutralizzare il pH alcalino della saliva. In aggiunta a ciò l'assorbimento dei AGV da parte dell'epitelio ruminale si verifica con la produzione di bicarbonato nel rumine. L'assorbimento dell'acetato e seguito da una grossa produzione di bicarbonato rispetto agli altri acidi grassi ma è proprio l'acetato che predomina in alimentazioni con foraggi. Siccome i residui dell'alimentazione durante l'anoressia e le scarse fermentazioni sono rappresentati soprattutto da foraggi l'acetato è l'AGV più prodotto. Sebbene la fermentazione sia rallentata l'assorbimento dei AGV contribuisce all'alcalinità ruminale. L'alcalosi ruminale avviene con altre patologie e non è un problema primario.
Una alcalosi ruminale può avvenire per la formazione di grosse quantità di ammoniaca, con un pH ruminale al di sopra di 7,5 successivamente all'ingestione di un eccesso di azoto non proteico come ad esempio urea, biureto, fosfato di ammonio. L'ingestione accidentale di qualche fertilizzante che contiene sali di ammonio può provocare detti risultati. I casi gravi sono caratterizzati da tremori muscolari, incordinazione, debolezza, tachipnea, ed eccitazione del SNC gli animali affetti possono rapidamente morire. I sintomi di una disfunzione prestomacale come ipotonia ruminale, meteorismo, vomito, dolore addominale, possono essere presenti. nei casi non troppo gravi, si osserva una diminuzione dell'appetito, ipocinesia ruminale, meteorismo ricorrente, e diarrea che può essere il sintomo principale, insieme alla debolezza muscolare e all'incordinamento. La malattia si può presentare come una patologia dei prestomaci. Il pH del succo ruminale sarà alcalino tra 7,5 e 8,5 con un forte odore di ammoniaca.
Putrefazione del rumine
Questa patologia estremamente infrequente avviene a causa di una eccessiva crescita della microflora che decompone il materiale ruminale in modo putrefattivo. L'esistenza di un elevato pH ruminale come avviene nell'alimentazione ricca di proteine, e la contaminazione con batteri anomali portano allo sviluppo di una decomposizione putrefattiva. Alimenti fermentati e andati a male, cibo e bevande contaminate da feci, concentrati contaminati con flora batterica che include coliformi, Proteus specie. Questo tipo di decomposizione anomale e comunemente inibita quando c'è una microflora attiva. Molti bovini sono quindi resistenti anche quando ingeriscono alimenti andati a male.
I bovini che vanno in contro a questa forma presentano generalmente un andamento cronico della malattia. La motilità ruminale diminuisce, l'appetito è scarso, e si osserva un meteorismo ricorrente qualche volta con un contenuto ruminale schiumoso. Il succo ruminale è caratteristicamente nerastro-verde disgustoso, male odorante, con odore di putrefazzione con una scarsa attività di protozoi e batteri e pH che va dal neutro all'alcalino 7-8,5. La causa della ipocinesia ruminale può essere dovuta alla produzione di agenti che inibenti che vengono prodotti dalle fermentazioni anomale. Nel caso di una durata prolungata gli animali perdono peso e presentano cattive condizioni del pelo come risultato delle carenze nutritive causate dalle anomale fermentazioni.
Ci sono due sequenze di contrazioni reticolo-ruminali che funzionano indipendentemente l’una dall’altra. Il ciclo primario avviene all’incirca ogni minuto ma più frequentemente durante la foraggiata e la ruminazione. Esso consiste in una contrazione bifasica del reticolo seguita da una contrazione che si propaga caudalmente prima al sacco dorsale e poi a quello ventrale del rumine. In concomitanza con la seconda contrazione reticolare l’orificio omasale si rilassa ed il fluido che rappresenta la maggiore quantità del contenuto reticolare passa nell’omaso. Questo tipo di contrazioni reticolo-ruminali sono quelle che rimescolano il contenuto ruminale e ne influenzano le fermentazioni. Queste contrazioni rimescolano il contenuto evitando gli accumuli, mischiando la saliva, favorendo l’attacco degli enzimi batterici, facilitando il contato dei fluidi con la parete batterica e favorendo l’assorbimento degli acidi grassi. Questi movimenti comportano una stratificazione dell’alimento che permette alle particelle più piccole (<6 mm) di passare verso l’omaso.
Il ciclo di contrazioni secondarie non coinvolge il reticolo. Queste contrazioni iniziano caudalmente al sacco cieco e si propagano cranialmente attraverso il sacco dorsale del rumine spingendo i gas verso la regione del cardias. Questo stimola l’eruttazione che permette la fuoriuscita dei gas generati dalle fermentazioni. Generalmente un ciclo secondario segue ogni due cicli primari così che tre contrazioni avvengono ogni due minuti. Il mantenimento di queste funzioni dipende dall’integrità della funzione dei nervi che ne controllano il meccanismo. Lo stimolo motorio parte dal midollo allungato, nel quale arrivano gli stimoli sensitivi provenienti dai centri gastrici, ed arriva ai prestomaci tramite il nervo vago.
Anche l’innervazione splancnica influenza la motilità reticolo-ruminale attraverso un’innervazione diretta e l’effetto della secrezione adrenergica. Questa innervazione non è necessaria alla genesi delle contrazioni. Il suo effetto ha una azione inibitoria sulla motilità.
Attività ciclica primaria: La diminuzione o l’assenza del ciclo primario di contrazioni (ipomotilità o atonia ruminale) implica una diminuzione o l’assenza dello stimolo motorio vagale. Questo può essere causato da: 1) Diminuzione degli stimoli eccitatori a livello dei centri gastrici; 2) Aumento degli stimoli inibitori dei centri gastrici; 3) depressione dei centri gastrici; 4) Difetto di trasmissione degli impulsi vagali; 5) Altri fattori.
Aumento degli stimoli eccitatori a livello dei centri gastrici: I tre fattori più importanti sono i recettori a bassa soglia di tensione nel reticolo, I recettori nella bocca e i recettori delle secrezioni acide dell’abomaso. I recettori di tensione si trovano nella muscolatura della parete mediana del reticolo, essi sono stimolati da dalla distensione durante la fase di riposo e influenzano la frequenza delle contrazioni. Essi sono anche stimolati dalla tensione che si genera durante la contrazione che quindi stimola la durata della contrazione primaria. Questo meccanismo è quello che stimola la contrazione dopo l’inizio dell’alimentazione e durante un inizio di meteorismo. Ogni causa di anoressia porta ad una diminuzione della distensione reticolare con conseguente ipomotilità. L’alimentarsi stimola meccanicamente i rettori della bocca che provoca un potente stimolo sia per le contrazioni primarie che secondarie. Questo stimolo può raddoppiare la frequenza delle contrazioni primarie ma ha una vita breve e declina durante la masticazione mericica. L’anoressia elimina questo potente stimolo. Anche l’acidità dell’abomaso ed il suo riempimento eccitano i centri gastrici. Il risultato della stimolazione reticolo-ruminale porta ad un aumento del transito degli alimenti all’abomaso diluendo i succhi abomasali.
Stimoli meno bene definiti derivano dalle caratteristiche fisiche dell’alimento. La quantità di fibre ed acqua come pure i normali prodotti delle fermentazioni sono importanti per la contrazione ruminale.
Aumento degli stimoli inibitori: Tali stimoli provengono da: 1) i recettori di tensione ad alta soglia collocati nel reticolo e nella porzione craniale del rumine; 2) recettori di tensione nell’abomaso; 3) recettori epiteliali del rumine che vengono stimolati dall’eccesso di AGV; 4) stimoli dolorifici che provengono da tutto il corpo.
I recettori di tensione ad alta soglia rispondono all’eccessiva distensione della parete Con il meteorismo e la distensione ruminale possono essere attivati producendo una stasi ruminale. Anche la distensione abomasale può inibire la motilità reticolo-ruminale (dislocazione e costipazione abomasale). Questo stimolo in condizioni normali dovrebbe limitare l’arrivo di materiale alimentare all’abomaso quando questo è pieno. In condizioni di eccessive fermentazioni e produzione di AGV i recettori della mucosa inibiscono la motilità (acidosi ruminale). Il dolore diminuisce la motilità ruminale sia attraverso uno stimolo simpatico che dei centri gastrici. Sebbene gli stimoli dolorifici addominali siano potenti ogni tipo di dolore può inibire la motilità reticolo-ruminale.
Depressione dei centri gastrici: riduce lo stimolo vagale e può essere indotta da situazioni di depressione del sistema nervoso centrale come farmaci, anestetici, endotossiemia, febbre, squilibri elettrolitici ed acido-base, che possono indurre stasi o ipocinesia ruminale. Questi stimoli possono inibire la motilità reticolo-ruminale anche attraverso uno stimolo simpatico. Inoltre la produzione di alcune sostanze tossiche oltre ad agire a livello centrale può aggire anche a livello locale sulla mucosa ruminale come avviene per l’eccesso di AGV:
Difetti dell’innervazione vagale: Tali difetti possono provocare un alterazione delle contrazioni con conseguenti problemi nel transito delle ingesta. Queste situazioni possono essere causa delle cosiddette indigestioni vagali.
I due vaghi bdel torace (sinistro e destro) si dividono in due branche dorsali e ventrali che si uniscono per formare i vaghi dorsale e ventrale una volta che entrano in addome. Il vago ventrale innerva la parte craniale e mediale del reticolo, l’omaso e l’abomaso. Il vago dorsale innerva il rumine e parte degli altri segmenti dello stomaco dei ruminanti.
La sezione di più del 50% dei tronchi nervosi porta ad una contrazione inefficace anche se nelle indigestini vagali la compromissione è molto minore.
Altri fattori: Altri fattori che influenzano le contrazioni primarie sono l’ipocalcemia che provoca una inibizione della motilità. Le basse temperature ambientali, la mungitura, provocano un aumento delle contrazioni mentre alcuni farmaci, l’iperglicemia ed alcuni ormoni gastrici riducono la frequenza delle contrazioni primarie.
Attività ciclica secondaria: Questa attività è indipendente dal ciclo primario ed è responsabile dell’eruttazione. Un aumento della pressione a livello ruminale per la formazione di gas stimolai recettori di pressione che si trovano nella parete mediana del sacco craniale. L’accumulo dei gas nel cardias stimola il suo rilascio e quindi l’eruttazione. Altri recettori che distinguono tra gas, fluido e materiale solido inibiscono l’apertura dello stesso se non c’è gas. Questo meccanismo è responsabile del meteorismo nelle condizioni in cui questa area è ricoperta da materiale liquido o solido. Una distensione notevole della parete ruminale può inibire la motilità per una distensione eccessiva della muscolatura che non si riesce a contrarre.
La causa del meteorismo schiumoso è la formazione di schiuma stabile che imprigiona nel rumine i normali gas che si formano dalle fermentazioni. La formazione della schiuma impedisce l’eruttazione perché inibisce la fusione delle bolle d’aria per un aumento della tensione superficiale e quindi l’accumulo di una certa quantità di gas libero nella zona pilorica capace di evocare il riflesso dell’eruttazione. I lipidi vegetali e le mucoproteine salivari agiscono come agenti antischiumogeni provocando una riduzione della tensione superficiale del contenuto ruminale. Molto importante dal punto di vista patogenetico è la rapidità con la quale vengono ingerite le sostanze schiumogene e quindi la possibilità di questi meccanismi di opporsi alla formazione della schiuma. Anche il pH del rumine sembra giocare un ruolo nella genesi della schiuma visto che questa è più stabile a un determinato pH. La formazione della schiuma è favorita da diete che contengono sostanze schiumogene, che non favoriscono la salivazione, che alterano il pH ruminale e le fermentazioni e che favoriscono la moltiplicazione di batteri capsulati che producono polisaccaridi. Questo si manifesta principalmente quando i bovini ed ovini vengono spostati su pascoli di leguminose o quando alimentati con forti dosi di cereali. Per quanto riguarda questi ultimi non è ancora chiaro il meccanismo d’azione anche se è noto nel bovino l’effetto schiumogeno dei cereali finemente sfarinati. Il meteorismo da leguminose è invece legato alla presenza di un agente sciumogeno individuato nella proteina citoplasmatica della foglia.
Meteorismo gassoso (secondario)
La presenza di gas liberi nel rumine (meteorismo a bolla) non deve essere considerato una malattia ma un sintomo iniziale che accompagna numerose malattie. Le normali fermentazioni producono gas (metano e anidride carbonica). L’eccesso di fermentazioni non può essere considerata una causa di meteorismo in quanto con l’eruttazione i gas in eccesso vengono eliminati. Il meteorismo si forma sia perché l’eruttazione non può avvenire e sia perché c’è una causa ostruttiva. La causa del meteorismo nelle alterazioni fermentative è l’atonia del rumine che non riesce a portare il gas nella zona del cardias. Il meteorismo accompagna anche le patologie con eccessiva distensione per l’incapacità del rumine di contrarsi e di portare il gas verso il cardias.
Il meteorismo acuto primario può causare gravi perdite economiche qundo sono colpiti numerosi animali perché è causa di una notevole mortalità. Il meteorismo da pascolo rappresenta una evenienza stagionale legata alla messa al pascolo degli animali e quindi nel periodo primaverile e autunnale. La maturazione delle piante ne diminuisce la pericolosità e quindi l’incidenza che è inferiore nel periodo tardo primaverile estivo. Il meteorismo primario da cereali può avvenire in tutti i periodi dell’anno. Gli animali che vivono tutto l’anno sui pascoli sono più resistenti. Resistenze individuali, di specie e di razza sono state evidenziate. Il meteorismo secondario è legato alla presenza di altre condizioni patologiche o alla presenza di corpi estranei (sporadico).
Primario: La sintomatologia del meteorismo primario da pascolo insorge in genere già dopo 15 minuti dall’assunzione dell’alimento meteorizzante. In alcune situazioni può accadere in animali che già da qualche giorno pascolavano tranquillamente quel tipo di erba. Si evidenzia improvvisamente una distensione della parete ruminale soprattutto a livello della fossa del fianco sinistro ma anche l’addome appare tutto aumentato di volume. L’animale presenta irrequietezza, si alza e si corica, e talvolta si rotola. Dispnea notevole (a bocca aperta, ipersalivazione e testa distesa sul collo). Tachipnea, tachicardia accentuata. Durante i primi stadi si osserva una aumento delle contrazioni ruminali che poi man mano che l’organo si dilata diminuiscono fino a scomparire. Il decorso del meteorismo è breve (3-4 ore) dopo di che l’animale muore. Alla percussione si mette in evidenza una sonorità chiara su tutto l’organo. Il sondaggio ruminale o la puntura del rumine (trequarti) mettono in evidenza la schiuma.
Secondario o a bolla: Possono essere presenti i segni della malattia primaria (tetano, indigestione vagale, ernia diaframmatica, corpo estraneo in esofago, ecc..). L’aria si raccoglie a livello del cardis, Il rumine si presenta dilatato soprattutto a livello della fossa del fianco sinistra. Alla percussione si mette in evidenza una sonorità timpanica nelle zone alte ed una sonorità gradualmente più ottusa nelle zone declivi per una stratificazione dell’alimento. Al sondaggio o viene rilevato il corpo estraneo o l’impedimento che provoca il meteorismo oppure si osserva la fuoriuscita dell’aria senza schiuma e la risoluzione almeno momentanea del problema. In alcune forme di meteorismo si può rilevare un soffio sistolico determinato dalla dilatazione cardiaca provocata dallo spostamento del cuore per compressione diaframmatica.
L’infiammazione del reticolo-rumine è una conseguenza di un’altra malattia primaria. La più importante causa è la reticoloperitonite da corpo estraneo o traumatica. L’infiammazione dei prestomaci e il dolore sono le cause dell’ipomotilità ruminale. Altri stati infiammatori conseguono a paracheratosi, ingestione di sostanze tossiche, somministrazione di antibiotici per bocca (micotiche), tumori o a eccesso di fermentazioni come nelle acidosi ruminali.
La dislocazione dell’abomaso avviene sia a sinistra che a destra dell’addome quando il gas si accumula nel viscere. La dislocazione sinistra è molto più frequente e si verifica soprattutto nelle vacche da latte nelle prime fasi della lattazione (6 settimane). L’atonia dell’abomaso causata dalle grandi quantità di AGV le continue fermentazioni batteriche porta ad un accumulo di gas nel viscere che ne comporta la distensione. L’ipocalcemia associata ad un diminuito tono della muscolatura liscia può contribuire all’atonia. L’abomaso galleggia lateralmente alla parete addominale (destra o sinistra) come conseguenza della gallegiabilità dei gas intrappolati. Sconosciuti fattori meccanici portano qualche volta alla sua torsione. Diete con alto contenuto di amidi e basso livello di foraggi grossolani sono quelle associate con questa malattia ed altre del periodo postpartum.
La causa precisa della dislocazione abomasale è ancora sconosciuta anche se molti hanno osservato l’associazione tra questa forma e lo stress, avverse condizioni atmosferiche, un elevata concentrazione di concentrati nella dieta, malattie concomitanti, collasso puerperale. Alcuni hanno osservato che nelle bovine che fanno esercizio (pascolo) l'’ncidenza è ridotta.
Svendson ha dimostrato che sia l’inoculazione di AGV nell’abomaso sia la somministrazioni di elevate dosi di concentrati ne determinano l’atonia. Sebbene non sia mai stato dimostrato la relazione tra dimensione delle particelle alimentari somministrate e la dislocazione abomasale da molti clinici è stata notata la correlazione tra le particelle grossolane in grado di stimolare la ruminazione ed una diminuzione dell’incidenza della malattia. La somministrazione di alimento più grossolano ridurrebbe la velocità di transito nei prestomaci diminuendo la possibilità di produzione di gas nell’abomaso. Il gas nell’abomaso può essere prodotto come conseguenza delle fermentazioni batteriche o per reazione chimica tra il bicarbonati della saliva e l’acido cloridrico con formazione di CO2. Nelle bovine da latte si tende ad avere una notevole velocità di transito per aumentare la capacità di ingestione. La dislocazione avviene anche in associazione a malattie con una endotosssicosi o reazione febbrile come la ritenzione di placenta, metriti, mastiti come conseguenza dell’effetto delle endotossine o del pirogeno endogeno (interleukina-1) sulla motilità gastrica. L’endotossiemia e la febbre possono provocare un’ipocalcemia che deprime ulteriormente la motilità abomasale. Il collasso puerperale in forma clinica e subclinica può concorrere nello sviluppo della dislocazione. È stato dimostrato che le vacche che hanno avuto un collasso pueperale hanno una probabilità maggiore di 8 volte di avere una dislocazione rispetto a quelle che non lo hanno avuto. Molte vacche con dislocazione abomasale sono anche chetotiche ma il ruolo di causa ed effetto non è stato ancora chiarito. E’ verosimile che la chetosi sia secondaria ad una diminuzione dell’approvigionamento di alimenti e dell’anoressia. Si è messo anche in evidenza che l’alcalosi metabolica è in grado di provocare una atonia abomasale e riduce la velocità di svuotamento dello stesso.
Epidemiologia
Le bovine da latte all’inizio della lattazione sono gli animali ad alto rischio di dislocazione sinistra. In numerosi paesi l’incidenza di questa malattia varia tra lo 0,2 e 1,6% degli animali allevati. Non è stata dimostrata una predisposizione genetica. Sono state segnalate variazioni di incidenza in differenti periodi dell’anno con una predominanza nel tardo inverno inizio primavera. Una correlazione con l’alimentazione è stata anche osservata le bovine che ricevono concentrazioni inferiori di proteine ed energia sono meno colpite. Un altro fattore predisponente è la taglia degli animali. In vari studi è stata dimostrata una incidenza maggiore nelle bovine di taglia maggiore.
Sintomatologia
Le bovine con dislocazione sinistra semplice presentano una modesta o totale anoressia, diminuita emissione di feci, ridotta frequenza delle contrazioni ruminali ipogalassia e non ruminano. L’ultima o le due ultime coste sinistre sono leggermente rialzate ma la fossa del fianco sinistra è normalmente concava. Gli occhi sono di frequente retratti nell’orbita ed un certo grado di dolore può essere evidenziato. La frequenza cardiaca può essere lievemente aumentata (85-90). Ketonuria è generalmente presente. Rumori di gorgoglio o di goccia cadente possono essere rilevati a livello della fossa del fianco sinistra. L’auscultazione-percussione mette in evidenza il caratteristico ping (iperisonanza) in corrispondenza della parte dell’abomaso ripiena di gas. Generalmente questa zona non si trova posteriormente all’ultima costa. Nei casi di grave dilatazione l’abomaso si può notare nella fossa del fianco. All’esplorazione rettale l’abomaso si può palpare come anche lo spostamento a destra del rumine. L’iperisonanza può essere data anche da altre condizioni quali il meteorismo ruminale, pneumoperitoneo ed il collasso del rumine. Più raramente l’iperisonanza può essere data dalla fisiometra (aria nell’utero) o dal meteorismo del ceco che si sposta a sinistra. L’abomasocentesi permette di aspirare un liquido di colore grigiastro di odore nauseabondo e con un pH più basso di 4,5.
Rilievi di laboratorio
Le alterazioni più frequenti sono quelle relative agli squilibri elettrolitici ed acido-base. Il sequestro di HCl nell’abomaso ed il suo riflusso nel reticolo-rumine può causare una debole alcalosi metabolica. Bicarbonati e pH ematico sono elevati mentre i cloruri sono bassi. Una ipocaliemia e una disidratazione si possono sviluppare in relazione allo stato acido-base e allo scarso assorbimento alimentare. Questo può portare ad una ritenzione renale di sodio (per conservare più acqua) attraverso l’escrezione di H+. Questo porta ad una acidificazione delle urine che concomitantemente ad una alcalosi metabolica viene detta aciduria paradossa.
La dislocazione dell’abomaso a destra avviene nel 10-15% della frequenza della dislocazione sinistra. Riconosce la stessa patogenesi della dislocazione a sinistra.
Le condizioni generali è simile a quelli con dislocazione sinistra. L’iperisonanza si evidenza a destra a livello dorsale delle ultime 5 coste. Tale rilievo può essere riscontrato anche in casi di distenzione del cieco (con o senza volvulo), presenza di gas nel colon a spirale, pneumoretto in conseguenza di una esplorazione rettale.
Metabolismo azotato e proteico
I ruminanri sono animali favoriti da un punto di vista alimentare perché con il rumine essi possono sintetizzare proteine a partire da fonti di azoto non proteico. I microrganismi del rumine svolgono questa funzione degradando i composti azotati dell'alimento ad ammoniaca la quale viene utilizzata per la formazione di proteine batteriche ed eventualmente proteine protozoarie quando questi ultimi ingeriscono batteri. Questi proteine di nuova formazione passano nell'abomaso e nell'intestino per la digestione e l'assorbimento sotto forma di aminoacidi come avviene nella digestione dei non ruminanti. Il vantaggio per i ruminanti sta nel fatto che essi non dipendono da un alimento ricco di proteine di alta qualità ma possono utilizzare alimenti grossolani di scarsa qualità. C'è ancora un altro vantaggio. Ogni tipo di urea che si forma nell'organismo come prodotto finale del metabolismo proteico può essere riciclata per via salivare come fonte proteica ruminale. Questo riciclo fa si che i bovini possono economizzare sull'ingestione di proteine. In aggiunta, da un punto di vista pratico, gli economici composti di azoto non proteico come ad esempio l'urea possono essere usati come integratori alimentari nella dieta dei ruminanti. Teoricamente al limite i bovini potrebbero trarre profitto con una dieta che perfino non contiene alcuna proteina ma sfortunatamente questo crea problemi metabolici.
Tre problemi principali possono essere identificati. Il primo è che i microrganismi ruminali hanno bisogno di almeno una certa quantità di proteine per la loro crescita, moltiplicazione ed attività. Essi non riescono a sopravvivere senza una ingestione di proteine. In secondo luogo il processo di riciclo per via salivare non è molto efficiente. Una certa quantità di ammoniaca ed urea è persa con le urine e le proteine nelle cellule batteriche nel rumine (specialmente quelle associate agli acidi nucleici) che resistono alla digestione. Esiste perfino un vantaggio nel pasaggio di proteine tal quali dal rumine, specialmente per le bovine ad alta produzione che dipendono da un'abbondante ingestione di concentrati per supportare la produzione. Invero razioni che contengono un alta percentuale di proteina non degradabile assumono un certo valore per le vacche da latte ad alta produzione. Terzo, l'attività dei microrganismi impone una penalizzazione. Si potrebbe verificare che un accesso ad una quantità eccessiva di proteina facilmente degradabile o di urea può causare un avvelenamento da ammoniaca.
Controllo del metabolismo proteico
Fattori che agiscono sull'input e output
In generale il 50-80% del materiale proteico presente nell'alimento per bovini viene degradato nel rumine ad ammoniaca e convertito in proteine batteriche. La percentuale degradabile dell'insilato è pi elevati della maggior parte degli alimenti. Proteine come ad esempio "zeina" nel mais che sono relativamente non degradabili passano quasi totalmente non variate nell'abomaso per la digestione enzimatica nel tratto intestinale. Sebbene l'ammoniaca è potenzialmente un tossico lo è solo se presente in eccesso. Le concentrazioni vengono di solito mantenute basse in quanto l'ammoniaca viene rapidamente riutilizzata dai batteri per le sintesi proteiche. La velocità con cui avviene questa riutilizzazione dipende dalla disponibilità di energia per i batteri attraverso la fermentazione dei carboidrati i quali forniscono anche gli scheletri carboniosi per la sintesi degli aminoacidi all'interno dei batteri. Quindi il metabolismo energetico e proteico sono strettamente correlati nel ruminante. Una carenza dell'uno porta ad una carente utilizzazione dell'altro.
Questo complesso sistema di equilibrio per l'input delle sostanze proteiche funziona regolarmente se c'è un apporto continuo di foraggio. Esso comincia a funzionare male quando la composizione della razione varia repentinamente.
Quando l'ammoniaca è prodotta attraverso la degradazione delle prteine nel rumine la maggior parte di essa è utilizzata dai batteri. Comunque una certa quantità passa attraverso la parte ruminale e quindi arriva al fegato, attraverso la via portale, dove viene trasformata in urea. In circostanze normali il fegato rimuove l'ammoniaca con molta efficienza in fatti la concentrazione dell'ammoniaca ematica viene mantenuta molto bassa . Di contro, i livelli ematici di urea variano a seconda dell'ingestione proteica. Ciò non sembra avere effetti patologici e molti ricercatori hanno trovato che la sua concentrazione può dare un'utile stima dello stato proteico (una bovina con una bassa assunzione di prteine un livello di urea pari a 2 mg/dl può salire a 30 mg/dl con l'ingestione di una elevata quantità di proteine). Questo sembra non sottostare ad un efficace controllo omeostatico.
L'urea ematica non può essere utilizzata nell'organismo come fonte proteica anche se occupa un ruolo centrale nell'economia dell'azoto per l'animale. Il suo destino dipende dallo stato proteico dell'animale. Nello stato di un eccesso di assunzione proteica i livelli di urea ematica salgono e si ritrovano in grande quantità nell'urina. Anche il riciclaggio dell'urea attraverso il ritorno al rumine dipende dai suoi livelli ematici. l'urea entra nel liquido ruminale attraverso la parete ruminale sotto un gradiente di concentrazione e quindi c'è più ricircolo ad elevati livelli di urea nel sangue. La stessa cosa avviene per la presenza di urea nella saliva. I mattoni delle proteine sono rappresentati dagli aminoacidi essi sono il risultato finale della digestione nell'abomaso e nel piccolo intestino. Il fegato può sintetizzare alcuni di essi che quindi vengono chiamati aminoacidi non essenziali. Altri non possono essere sintetizzati dal fegato e quindi vengono chiamati essenziali nel senso che essi devono essere assorbiti come tali dall'intestino. I batteri del rumine sono in grado di sintetizzare tutti gli aminoacidi essenziali sebbene la loro proporzione non è ottimale per le bovine alte produttrici di latte. La composizione della miscela aminoacidica prodotta dai batteri del rumine è pressoché costante quindi il rumine tende a modificare le proteine ingerite ad un tipo relativamente standard. Fa eccezione il ruolo dei protozoi che tendono a produrre di alta digeribilità e qualità con un alta componente di aminoacidi essenziali, lisina; quindi le diete che favoriscono la proliferazione protozoaria incrementano la proporzione di aminoacidi disponibili alla digestione.
Ogni singolo aminoacido assolve ad una determinata funzione. Per esempio la glicina (che ammonta a circa il 20% dell'ingestione totale di aminoacidi) è utilizzata per la sintesi del glucosio e per la detossificazione dall'acido benzoico. L'acido glutammico è importante per la detossificazione dell'ammoniaca. L'alanina è un precursore del glucosio. In verità più di un terzo del glucosio necessario per la produzione di latte da una bovina alta produttrice può derivare dagli aminoacidi glucogenetici. D'altra parte la metionina giuoca un ruolo importante e funge da fattore limitante per la produzione di caseina. Essa è anche donatore di gruppi metilici nella sintesi delle lipoproteine è può , quindi, essere di aiuto nella prevenzione della steatosi epatica e la chetosi.
La concentrazione degli aminoacidi nel sangue è veramente bassa (soltanto circa 50-60 g/ml) ma la loro utilizzazione è molto rapida così che ne deve essere assicurato una continua disponibilità. Teoricamente, la concentrazione di ogni singolo aminoacido nel sangue potrebbe offrire un quadro della situazione metabolica, ma in pratica esso è reso impossibile perché la concentrazione da una piccola indicazione della disponibilità proprio per la veloce utilizzazione. Molti aminoacidi hanno una emivita ematica soltanto di pochi minuti.
Le proteine dei tessuti e specialmente dei muscoli formano una importante e labile fonte di aminoacidi. Questo è importante perché la lattazione impone un elevato utilizzo di aminoacidi che l'alimentazione da sola non può soddisfare con il risultato che il catabolismo delle proteine muscolari diviene inevitabile. Esso deve essere ripristinato durante il periodo di asciutta. Le bovine possono perdere considerevoli quantità di muscolo all'inizio della lattazione. Con la speranza che questo venga ristabilito quando cessa il periodo bilancio negativo. Comunque le cellule muscolari a differenza delle cellule adipose possiedono un limitato potere di replicazione e rigenerazione specialmente negli animali adulti. Come può fare una vacca a mantenere un'adeguata massa muscolare dopo numerose lattazioni? La risposta è ancora sconosciuta.
Altre componenti dell'organismo sono coinvolte nel metabolismo proteico incluse le proteine ematiche, emoglobina, albumina e globuline. Di queste l'albumina è sintetizzata dal fegato a partire dagli aminoacidi. Quindi ipoalbuminemia deriva non solo da un carente apporto di proteine con la dieta ma anche da una disfunzione epatica con degenerazione grassa. Entrambe le situazioni agiscono durante le prime fasi della lattazione. Fortunatamente l'albumina sierica è catabolizzata lentamente e solo gradatamente scende di concentrazione come viene a mancare la sua riformazione. Un periodo di almeno un mese è necessario prima che si appalesano significativi cambiamenti.
L'emoglobina reagisce alla stessa maniera. Essa è sintetizzata nei tessuti del midollo osseo deputato alla formazione delle cellule del sangue ma nei periodi di deficienza proteica la sua produzione cala così che diminuisce la sua concentrazione ematica che porta ad una anemia. Altri fatti intercorrenti della malnutrizione sull'anemia riguardano la carenza di elementi traccia come il ferro, rame e cobalto, tutti e tre necessari alla formazione dell'emoglobina.
Le globuline conferiscono all'animale la competenza immunologica. Una loro alta concentrazione nel sangue (iperglobulinemia) è spesso legata ad un recente evento immunologico come ad esempio malattie infettive o vaccinazioni. L'ipoglobulinemia, d'altra parte, sta ad indicare una bassa immunocompetenza, e si sviluppa nei vitelli che non hanno assunto un adeguata quantità di globuline con il colostro.
L'albumina e qualche globulina hanno bisogno di un controllo omeostatico perché ese sono responsabili dell'osmolarità ematica. Quindi la concentrazione delle due frazioni va di pari passo, ad esempio l’ipoglobulinemia può essere compensata da un corrispondente aumento dell'albumina ematica e vice versa. questo effetto compensatorio può non essere completo perché l'albumina ha approssimativamente il doppio di osmolarità delle globuline.
La perdita dei proteine dall'organismo segue strade diverse. La più importante avviene tramite la mammella che deve sintetizzare la caseina del latte. Il latte contiene circa il 3,5% di proteine così che le uscite giornaliere ammantano a più di un chilo per una bovina che fa 30 kg di latte al giorno. Questo punto saliente è rappresentato dal peso della lattazione in quanto le uscite di proteine in un giorno per la produzione di latte ammontano a circa un chilo di albumina circolante. Non sorprende quindi come la lattazione comporta che almeno 15 kg di proteine debbano essere rimosse dai muscoli. Una altra perdita di proteine riguarda la via digerente attraverso le secrezioni digestive e la perdita di cellule perse dalla parete intestinale. Queste perdite tendono ad essere minime e recuperate in parte nel grosso intestino dove avvengono processi fermentativi con microrganismi non dissimili da quelli del rumine. I residui proteici vengono scissi ad ammoniaca ed assorbiti come urea che rientra nel ciclo dell'urea stessa.
Una speciale situazione è legata con le perdite causate dal parassitismo. Gli ectoparassiti che succhiano il sangue come ad esempio zecche e pidocchi possono aumentare le perdite di proteine e causare anemia. Lo stesso può essere applicato ai ai distomi ed ai vermi tondi che causano perdite considerevoli di sangue dalla mucosa intestinale e nel fegato. Gli effetti deleteri di queste perditenon possono essere notati prima che la alte richieste della produzione cominciano a divenire critiche come nei vitelli in crescita o nelle vacche ad alta produzione.
Problemi legati alla carenza proteica
Introduzione
La carenza proteica avviene generalmente come una tipica malattia della produzione che avviene per lo squilibrio tra entrate e uscite delle proteine necessarie. Mentre uno scarso apporto riesce a coprire i fabbisogni di animali non in produzione l'imposizione di alti fabbisogni determinati dallla produzione lattea o dalla crescita può creare dei problemi. Inoltre la carenza di proteine raramente esiste come tale ma coinvolge anche numerosi nutrienti come ad esempio l'energia. La ragione di ciò può essere complessa. Una bassa ingestione di proteine deprime l'attività dei microrganismi ruminali così che la digestione dei carboidrati nel rumine viene compromessa. Allo stesso modo, una dieta povera in carboidrati priva la microflora ruminale di un importante materiale di base per la loro moltiplicazione e funzioni; le molecole di carboidrati, a parte il compito di fornire energia, formano le strutture importanti per la formazione degli aminoacidi. Quindi una carenza di ingestione di energia può causare una deficienza secondaria di proteine. In aggiunta certi elementi traccia sono essenziali per le funzioni ruminali, incluso lo zolfo (per la sintesi di lisina e metionina) ed il cobalto. In altre parole è difficile separare la semplice carenza di proteine dalla malnutrizione in generale.
Le cause
Nella pratica è difficile incontrare una razione veramente carente di proteine per il mantenimento del bestiame, con eccezione di prove sperimentali. E' necessario inoltre l'aggiunta di un onere aggiuntivo come la lattazione per evidenziare i sintomi di una reale deficienza. Bovine da latte che ingeriscono il 75% del fabbisogno proteico ancora producono una soddisfacente quantità di latte ma presentano un decremento di urea nel latte ed eventualmente in emoglobina e albumina che probabilmente stanno ad indicare che il catabolismo delle proteine nei tessuti corporei è stato chiamato in causa per compensare il bilancio negativo. Alcune vacche possiedono una grande capacità di adattamento in condizioni di bilancio negativo rispetto alle altre, ma in generale tutte le bovine in lattazione danno la priorità metabolica alla mammella e usano le proprie riserve per far fronte alla deficienza proteica.
Diete sperimentali, con al di sotto degli standard proteici, portano ad un declino della produzione lattea e del contenuto proteico del latte. Un livello critico per questo sembra avvenire quando il la proteina greggia della dieta scende al di sotto del 15% della sostanza secca nelle vacche che fanno più di 20 litri di latte al giorno. Può la carenza proteica avere un effetto deleterio sulla salute delle vacche? Ricerche sono state eseguite sui danni a lungo termine deteriorazione delle strutture muscolari anche se questo ha bisogno di ulteriori indagini per stabilire la vera gravità di questo pericolo. A breve termine una diminuzione delle proteine ematiche porta ad un cambiamento dell'osmolarità plasmatica e a disordini del metabolismo idrico con l'instaurarsi di edemi. Una diminuzione delle sintesi proteiche può anche alterare la produzione degli ormoni proteici connessi con la riproduzione. Se questo coinvolge la la riduzione di secrezione dell'ormone follicolo stimolante e di quello luteinico si può sviluppare uno stato di infertilità.
Un altro pericolo conosciuto è che uno stato di scarso apporto proteico interferisce con la sintesi della matrice ossea che porta all'osteoporosi. In verità disturbi ossei si sono sviluppati nelle bovine da latte per l'inadeguato apporto di proteine e con un adeguato apporto di minerali. Stessi disturbi si osservano nella crescita delle strutture cornee determinando zoppie e lesioni podali. La cicatrizzazione e la crescita del pelo possono essere compromesi.
Gli effetti della carenza proteica si estendono al metabolismo energetico. L'importanza delle proteine per la flora batterica ruminale è stato già menzionato ed è ben conosciuto che nei periodi di carenza proteica le fermentazioni ruminali gradatamente diminuiscono, come rivelato dall'inappetenza ed una tendenza alla stasi ruminale. Il metabolismo energetico è influenzato negativamente anche perché il 20% del glucosio ematico proviene dagli aminoacidi glucogenetici come ad esempio l'alanina. In aggiunta la metionina svolge un ruolo vitale nella sintesi delle lipoproteine e quindi ogni sua carenza influenza il metabolismo ed il trasporto dei grassi (perciò, la carenza di proteine nelle vacche da latte può portare ad una aumentata suscettibilità alla steatosi epatica ed alla chetosi).
Altre patologie possono interagire causando una grave carenza secondaria di proteine quando il bestiame è alimentato con razioni apparentemente adeguate nel contenuto di proteine. Alcune malattie del fegato e dell'intestino portano ad una eccessiva perdita di sieroproteine tipiche condizioni di questo genere in cludono la distomatosi epatica, la malattia di Johne e l'infestione intestinale di vermi tondi come ad esempio l'ostertagiasi.
Gli animali giovani mostrano gli effetti di una carenza proteica più che gli animali adulti. Essi possono andare in contro ad una carenza di aminoacidi essenziali per l'accrescimento dei muscoli e delle ossa e quindi andare in contro ad un difetto di sviluppo, qualche volta per ragioni non molto ovvie. Un fattore complementare nei giovani animali è che essi diventano soggetti alle diarree neonatali se essi non sviluppano una adeguata competenza immunologica dall'ingestione di colostro. Un deficit nella digestione e nell'assorbimento di cibo può affliggerli da un bilancio proteico negativo in quanto essi devono utilizzare i tessuti per il loro fabbisogno energetico.
Sintomatologia e diagnosi
Sintomi relativamente non specifici predominano nella carenza proteica. Questi includono stentata crescita, scadente qualità del pelo, lana o annessi coenei e tendenza all'edema. La diagnosi definitiva dipende da una totale interprestazione di un profilo metabolico. In poche parole, gli animali in carenza proteica mostrano bassi livelli di urea ematica (nei bovini al do sotto di 10 mg/dl). Nei casi di vecchia data concentrazioni di albumina al di sotto di 2,7 g/dl e bassi di emoglobina (sotto i 10 g/dl), specialmente nelle vacche in lattazione. La diagnosi differenziale va fatta escludendo gli effetti di una carenza secondaria come quelle causate da carenze energetiche o elementi traccia, o altre patologie come le infestioni parassitarie o la malattia di Johne.
Prevenzione e trattamento
La prevenzione dipende dalla determinazione di una reale e vera ingestione di proteine. I clinici possono essere tratti in inganno se si basano soltanto sul contenuto di proteina grggia (o dell'azoto) della razione. Alcune proteine sono altamente degradabili nel rumine tanto da essere scarsamente usate (persino l'urea semplice può far parte della proteina greggia quando essa si basa sulla determinazione ddl'azoto totale. Un efficace prevenzione e trattamento deve rapidamente seguire la correzione della carenza dietetica.
Problemi con l'eccesso proteico (avvelenamento da ammoniaca)
Introduzione
Il fatto che l'urea possa essere usata come fonte proteica nella dieta dei ruminanti ha suggerito che essa possa essere utilizzata come un normale additivo della dieta. Ciò deriva dal fatto che l'ammoniaca che si forma per la sua degradazione da parte della flora ruminale possa essere usata per sintetizzare gli aminoacidi e quindi in proteine batteriche. Teoricamente i ruminanti possono utilizzare l'urea al posto di tutte le proteine necessarie, ma in pratica questo comporta numerosi svantaggi. In particolare esiste la possibilità di un danno causato da una intossicazione da ammoniaca negli animali che consumano urea in eccesso.
Le cause
I batteri del rumine hanno una attività ureasica per l'idrolisi dell'urea in ammoniaca molto attiva. Il problema sta nel fatto che essi portano a termine questa reazione molto più velocemente rispetto a quella di riutilizzazione dell'ammoniaca prodotta. L'ammoniaca in eccesso attraversa la parete ruminale che provoca una parziale detossificazione incorporandola nell'acido glutammico. Comunque, quando le capacità di questo primo meccanismo di detossificazione dll'ammoniaca vengono superate l'ammoniaca arriva al fegato essa viene metabolizzata attraverso il ciclo degli acidi tricarbossilici. Se l'ecceso di ammoniaca raggiunge il circolo si appalesano gli effetti sul sistema nervoso centrale. E' stato calcolato che la tossicità avviene quando la ammoniaca ruminale eccede i 176 mg/dl e quando l'ammoniaca ematica sale al di sopra di 1-4 mg/dl. Le dosi tossiche per l'urea sembrano oscillare tra 0,31-0,44 g/kg di peso corporea in relazione allo stato di nutrizione e dall'adattamento dell'animale all'ingestione di urea.
Agiscono anche vari fattori di predisposizione. Una subbitanea ingestione di urea è molto più pericoloso di che una somministrazione a lungo termine. Gli animali con diete carenti in carboidrati fermentescibili sono anche più suscettibili o quelli che sono parzialmente a digiuno. Un sufficiente substrato di molecole di carboidrati sembra essere altamente protettivo nel promuovere la massima utilizzazione di ammoniaca da parte dei batteri ruminali.
Sintomi clinici e diagnosi
La sintomatologia deriva dalle alterazione del sistema nervoso centrale. Gli animali divengono ansiosi e depressi. Subito appaiono tremori muscolari e ipersalivazione, tachipnea ed incordinazione, tetania e morte. I tremori e gli spasmi sembrano essere un importante sintomo diagnostico.
Un esame postmortem rileva i segni di un collasso ed una stasi venosa. Emorragie endocardiche e pericardiche possono essere trovate insieme ad edema ed emorragie polmonari. Molti tessuti accumulano ammoniaca (specialmente i muscoli) e la concentrazione di ammoniaca in questi e soprattutto nel sangue è di aiuto diagnostico. L'urea ematica è di solito molto alta.
Quando c'è una eccessiva formazione di ammoniaca può avvenire una alcalosi ruminale. La concentrazione di ammoniaca sale quando la dieta è ricca di proteine facilmente fermentescibili. Il pH generalemnte non supera la neutralità anche perchè tali diete contengono anche grandi quantità di zuccheri facilmente fermentescibili che mantengono il pH leggermente acido. Un aumento molto più imponente di ammoniaca, con pH ruminale di sopra i 7,5, si verifica quando c'è una alimentazione con eccesso di azoto non proteico come ad esempio urea, biureto, e fosfato di ammonio. Una ingestione accidentale di alcuni comuni fertilizzanti che contengono sali di ammonio possono portare asimili risultati. In alcuni casi i sintomi sono riferiti soltanto ad una alterazione ruminale, mentre in quelli più gravi sono quelli tipici di una intossicazione di ammoniaca. Nella forma con sintomi ruminali il succo ruminale presenta un pH alcalino tre 7,5 e 8 con un forte odore di ammoniaca.
Prevenzione e trattamento
Un princio fondamentale è quello di introdurre l'urea nella razione con molta gradualità e attenzione. Sfortunatamente l'urea viene usata negli animali con una alimentazione carente quando essi sono affamati e quando la loro tolleranza per l'urea è a livelli minimi. Quindi gli animali dominanti possono lasciare gli altri senza cibo con assunzione di dosi che possono essere fatali. Quindi un buon management per una buona prevenzione. Il trattamento di una intossicazione da ammoniaca è un trattamento d'urgenza . Massive dosi di acido acetico possono essere efficienti (18 litri di soluzione di ac. acetico 5% possono alleviare la sintomatologia) ma deve essere dato molto precocemente. Un espediente radicale può essere la ruminotomia con svuotamento del contenuto ruminale.
Alcalosi ruminale
Una alcalinizzazione del contenuto ruminale avviene più comunemente quando la fermentazione microbica è ridotta mentre l'animale continua ad ingerire saliva. Il pH del liquido ruminale si ritrova su valori tra 7 e 7,5 con una prolungata anoressia, con una inattività della flora ruminale da scarso apporto diforaggi facilmente digeribili ed in qualche caso di semplice indigwstione. La bassa velocità di fermentazionenon genera abbastanza acidi per neutralizzare il pH alcalino della saliva. In aggiunta a ciò l'assorbimento dei AGV da parte dell'epitelio ruminale si verifica con la produzione di bicarbonato nel rumine. L'assorbimmento dell'acetato e seguito da una grossa produzione di bicarbonato rispetto agli altri acidi grassi ma è proprio l'acetato che predomina in alimentazioni con foraggi. Siccome i residui dell'alimentazione durante l'anoressia e le scarse fermentazioni sono rappresentati soprattutto da foraggi l'acetato è l'AGV più prodotto. Sebbene la fermentazione sia rallentata l'assorbimento l'assorbimento dei AGV contribuisce all'alcalinità ruminale. L'alcalosi ruminale avviene con altre patologie e non è un problema primario.
Una alcalosi ruminale può avvenire per la formazione di grosse quantità di ammoniaca, con un pH ruminale al di sopra di 7,5 successivamente all'ingestione di un eccesso di azoto non proteico come ad esempio urea, biureto, fosfato di ammonio. L'ingestione accidentale di qualche fertilizzante che contiene sali di ammonio può provocare detti risultati. I casi gravi sono caratterizzati da tremori muscolari, incoordinazione, debolezza, tachipnea, ed eccitazione del SNC gli animali affetti possono rapidamente morire. I sintomi di una disfunzione prestomacale come ipotonia ruminale, meteorismo, vomito, dolore addominale, possono essere presenti. nei casi non troppo gravi, si osserva una diminuzione dell'appetito, ipocinesia ruminale, meteorismo ricorrente, e diarrea che può essere il sintomo principale, insieme alla debolezza muscolare e all'incoordinamento. La malattia si può presentare come una patologia dei prestomaci. Il pH del succo ruminale sarà alcalino tra 7,5 e 8,5 con un forte odore di ammoniaca.
Putrefazione del rumine
Questa patologia estremamente infrequente avviene a causa di una eccessiva crescita della microflora che decompone il materiale ruminale in modo putrefattivo. L'esistenza di un elevato pH ruminale come avviene nell'alimentazione ricca di proteine, e la contaminazione con con batteri anomali portano allo sviluppo di una decomposizione putrefattiva. Alimenti fermentati e andati a male, cibo e bevande contaminate da feci, concentrati contaminati con flora batterica che include coliformi, Proteus specie. Questo tipo di decomposizione anomale e comunemente inibita quando c'è una microflora attiva. Molti bovini sono quindi resistenti anche quando ingeriscono alimenti andati a male.
I bovini che vanno in contro a questa forma presentano generalmente un andamento cronico della malattia. La motilità ruminale diminuisce, l'appetito è scarso, e si osserva un meteorismo ricorrente qualche volta con un contenuto ruminale schiumoso. Il succo ruminale è caratteristicamente nerastro-verde disgustoso, male odorante, con odore di putrefazzione con una scarsa attività di protozoi e batteri e pH che va dal neutro all'alcalino 7-8,5. La causa della ipocinesia ruminale può essere dovuta alla produzione di agenti che inibenti che vengono prodotti dalle fermentazioni anomale. Nel caso di una durata prolungata gli animali perdono peso e presentano cattive condizioni del pelo come risultato delle carenze nutritive causate dalle anomale fermentazioni.
POLMONITI
La polmonite è un processo infiammatorio del parenchima polmonare solitamente accompagnato da flogosi dei bronchioli e a volte da pleurite. Queste patologie rappresentano uno dei maggiori problemi dei giovani animali ed in particolare nei bovini.
Eziologia
La differenziazione tra polmoniti primarie (virali) e secondarie (batteriche) non è facile. Oltre all'agente infettivo causale esistono fattori predisponenti che contribuiscono a rendere più sensibili gli animali alla malattia. La polmonite può essere provocata da virus, batteri e dalla loro associazione, da miceti, parassiti, allergeni, agenti chimici e fisici. La maggior parte delle polmoniti animali sono di origine broncogena anche se alcune sono la conseguenza di infezioni ematogene. La cause eziologiche vengono suddivise per specie:
Bovino:
Suino:
Cavallo:
Ovini:
Caprini:
Patogenesi
Meccanismi di difesa del polmone: In condizioni normali le vie aeree principali ed il parenchima polmonare tendono ad evitare l'ingresso dei patogeni o li neutralizzano e li rimuovono una volta che sono entrati tanto che le unità più profonde (alveoli) contengono pochissimi o nessun microrganismo. Molte infezioni dell'apparato respiratorio sono provocate da particelle in aereosol che contengono agenti infettivi che provengono dall'interno o dall'esterno dell'apparato stesso. Essi devono arrivare ad una struttura recettiva di un animale sensibile ed essere in grado di moltiplicare.
Un complesso di meccanismi protegge l'apparato respiratorio dalle particelle dannose o infettive inalate. Il principale sistema è quello della filtrazione idrodinamica operata dalle cavità nasali, lo starnuto, gli anticorpi delle mucose, il riflesso laringeo, la tosse, il meccanismo di trasporto mucociliare, i macrofagi alveolari, ed i sistemi anticorpali umorali e locali.
Le grosse particelle in aereosol vengono bloccate nelle cavità nasali. Nelle vie aeree superiori il 100% delle particelle con diametro superiore a 10 mm (micrometri) e l'80% di quelle di 5 mm vengono rimosse mediante il meccanismo del deposito gravitazionale sulle superfici mucose. Le particelle depositate nei 2/3 posteriori delle cavità nasali, nel nasofaringe, e tra il laringe ed i bronchi terminali cadono su vie aeree rivestite da un epitelio cigliato ricoperto di muco e rimosse mediante i meccanismi di trasporto mucociliare che lo trasportano verso il faringe che poi provvede alla deglutizione. Il battito delle ciglia raggiunge un lavoro ottimale ad una data elasticità, viscosità e composizione chimica del muco. Tutto ciò che ostacola la secrezione del muco normale interferisce con questo meccanismo impedendo l'eliminazione delle particelle estranee. Il trasporto mucociliare viene rallentato dalle infezioni da Mycoplasmi e forse dai virus. Le condizioni ambientali (alta o bassa umidità ) eccessivo affollamento (produzione di ammoniaca dalle deiezioni) possono alterare questo trasporto negli animali da allevamento. L'inalazione di antigeni può causare delle reazioni allergiche che alterano le secrezioni nelle vie aeree con alterazione di questo meccanismo. Il riflesso della tosse costituisce un altro importante fenomeno con il quale avviene l'espulsione del materiale estraneo (eccesso di muco, secrezioni ed essudati) attraverso l'espettorazione e la deglutizione. Nel caso di malattie conclamate (tracheiti, bronchiti e polmoniti) la tosse può provocare un flusso retrogrado di materiale infetto promuovendo l'infezione alle vie più profonde. Le particelle al di sotto di 1-2 mm si depositano negli alveoli. I macrofagi alveolari svolgono un ruolo fondamentale nel fenomeno di eliminazione dai polmoni delle particelle inalate. In condizioni normali i batteri che arrivano nei polmoni vengono eliminati in poche ore. I meccanismi che interferiscono con la clearance batterica dei polmoni sono molto importanti nella genesi delle polmoniti. Recenti studi condotti sui vitelli hanno dimostrato che la clearance batterica del polmone viene notevolmente ridotta nei casi di infezioni virali da P3. Anche altri sistemi legati all'immunità umorale e tissutale giocano un ruolo importante nel determinismo delle polmoniti: tutte le cause che portano ad un deficit immunitario (stress, FPT, ipoalimentazione, raffreddamento, ecc..) sono in grado di aumentare la suscettibilità a questa malattia.
Fonte: https://elearning.unipd.it/scuolaamv/pluginfile.php/47081/mod_resource/content/1/DISPENSE%20DI%20PREVENZIONE%20DELLE%20PATOLOGIE%20DI%20ALLEVAMENTO.doc
Sito web da visitare: https://elearning.unipd.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve