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Quanti proprietari di cani lamentano problemi di “ ubbidienza “ nel rapporto con il loro quattrozampe? Moltissimi.
Problemi tutto sommato lievi, quanto a conseguenze, ma non per questo meno seri
possono, in realtà, indicare qualche “vuoto di potere”:
Spesso, comportamenti di questo genere vengono etichettati con la generica espressione “atteggiamenti dominanti” e l’identificazione del sintomo “dominanza” è probabilmente corretta.
Ma la causa, altrettanto spesso, non risiede affatto in una strenua volontà di predominio da parte del cane, bensì in un’errata impostazione del rapporto da parte del proprietario del cane.
Il cane ha una visione del mondo che gli deriva dal suo progenitore selvatico, cioè quella di un predatore sociale, un animale con grandi capacità mentali e psico-fisiche che vive in gruppi stabili, organizzati gerarchicamente in modo assai rigido.
L’organizzazione sociale del lupo, del cane selvatico o del cane domestico è basata su modelli comportamentali di animali da branco, e perché la struttura sociale sia mantenuta unita, in ogni branco è necessaria una figura ALFA che godrà di privilegi a fronte di altrettanti doveri.
Dominanza è un termine largamente usato per spiegare sia il comportamento animale, che umano.
La dominanza è aggressività sociale che non mira a distruggere l’avversario, ma a controllarlo.
Un ordine gerarchico, consiste in rapporti di dominanza e di sottomissione.
Per potersi trovare a suo agio nel contesto sociale in cui vive (nel caso del cane domestico si tratta ovviamente della famiglia di adozione, che può benissimo essere costituita da un solo essere umano più il cane stesso ), questo predatore sociale ha assoluta necessità di regole precise da seguire e, per ovvi motivi, dato che la società in cui vive il cane domestico è quella umana, di un capobranco con due sole zampe.
Se il leader umano è assente, incostante o poco attento a dettagli che, nella “visione canina” delle cose, stabiliscono principi fondamentali, il cane dovrà supplire a queste manchevolezze per potersi sentire più “a posto” con la sua particolare “coscienza”.
Uno dei comportamenti che, in natura, indicano con maggior chiarezza il ruolo del leader è proprio la capacità di “prendere l’iniziativa” e, altrettanto importante, l’autorità per indicare quando deve “cessare l’attività”, qualunque essa sia.
Questa prerogativa spetta sempre al capobranco, quando si tratti di attività comuni, e agli occhi dei nostri amici pelosi chi ha l’iniziativa nelle mani è come se avesse cuciti sulla spalla i gradi di generale.
La differenza, rispetto alla società umana, è che questa autorità deve essere reale, cioè riconosciuta sul campo dai membri del branco; non basta indossare la divisa per guadagnarsi il rispetto dei nostri cani, bisogna essere coerenti e mostrare altrettanto rispetto nei loro confronti.
Dalla mancanza di coerenza, e quindi di rispetto, derivano molti dei problemi più comuni che disturbano il rapporto tra cani ed essere umani.
Il primo passo del programma educativo deve permetterci di capire le implicazioni del modo in cui dovremmo vivere con i nostri cani: dobbiamo quindi sforzarci di vedere e valutare le situazioni anche dal loro punto di vista.
L’esame di alcuni diritti e privilegi riservati al cane ALFA e delle nostre regole di vita, consente di individuare dove la comunicazione e quindi la comprensione tra le due specie inizia a diventare critica, e come, senza una corretta leadership, si possa degenerare fino alla situazione che noi chiamiamo “cane problematico o disobbediente”.
Nella foresta o lungo le sterminate distese della tundra sub-artica, il lupo che guida il branco regola con grande attenzione tutte le più importanti attività comuni della sua “truppa”, quindi organizzazione e svolgimento della caccia, nutrimento, controllo e difesa del territorio, cura dei cuccioli, riproduzione, scelta della tana, sono tutte attività che il capobranco deve necessariamente avere saldamente nelle….. zampe, per cercare di assicurare la sopravvivenza del nucleo di cui è il leader.
Se un individuo di basso rango cercasse di appropriarsi di un privilegio destinato al “capobranco”, un segnale chiarissimo emesso da quest’ultimo dovrebbe bastare a mantenere l’ordine.
Quando invece guardiamo i nostri cani domestici, possiamo vedere che poiché essi vivono in branco costituito da più specie, la comprensione delle regole diventa confusa.
Ma nelle nostre case, nelle aree riservate ai cani delle nostre città, nei prati dove andiamo a passeggiare, quali sono le attività che non dobbiamo lasciare alla sua iniziativa per conservare così la nostra leadership?
Sono sempre quelle comuni e di maggiore significato “sociale”:mangiare, giocare, esplorare e difendere il territorio, scegliere l’occupazione degli spazi nella “tana”; molto importante, inoltre, controllare anche i meccanismi d’interazione, i movimenti di contatto sociale e di distacco.
Può sembrare una faccenda complessa, e in realtà lo è, ma con un atteggiamento mentale adeguato (ragionando da cane), saremo in grado di assolvere a molte funzioni di capobranco, guadagnandoci i famosi galloni.
La condizione ideale, ovviamente, è iniziare quando il cane è un cucciolo e quindi ancora “modellabile” senza troppe difficoltà per quanto riguarda i comportamenti quotidiani. Ma non è mai troppo tardi.
IL GUINZAGLIO
Ottenere dal nostro cane un atteggiamento sereno e composto quando è al guinzaglio non è cosa facile.
Alcune volte ci può essere un problema di leadership.
Tanti sono i modi attraverso i quali il cane ci fa capire di non avere le idee ben chiare su chi dovrebbe avere un ruolo decisionale definito “ controllo dell’iniziative”.
Il capobranco ha il diritto e il dovere di decidere come e quando il branco deve svolgere le proprie attività.
Ne possiamo quindi dedurre che se io decido di stare ferma in un posto e il mio cane “legato” a me dal guinzaglio, prova incessantemente a fare qualcosa, evidentemente non mi riconosce il diritto-dovere di decidere cosa bisogna, in quel momento, fare.
Controllare le iniziative del proprio cane significa avere in mano la situazione: se il nostro amico ha una accentuata tendenza a decidere di fare, dovremo seriamente chiederci se ai suoi occhi siamo davvero qualcuno degno di attenzione e rispetto.
Dando per scontato che il nostro ruolo nei confronti del cane è da capobranco, come possiamo insegnargli ad assumere un atteggiamento tranquillo?
Il primo suggerimento è quello di imparare ad usare il guinzaglio in modo corretto.
Non teniamo il cane vicino a noi “impiccandolo” al guinzaglio, ma impariamo a tenerlo “molle”, cominciando così a trasmettere una sensazione di libertà.
Vogliamo che il cane senta di potersi allontanare da noi, se lo decide; ciò che faremo è cercare di comunicargli che se intraprende un’attività che lo allontana da noi, questa ci sarà sgradita, mentre se assume un atteggiamento calmo e rilassato vicino a noi, sarà ricompensato.
All’inizio, la lode e la gratificazione dovranno essere necessariamente elargite anche al più piccolo segno di camminata corretta.
Nei casi in cui il cane ripeterà i comportamenti indesiderati, verrà del tutto ignorato ed eventualmente si cambierà direzione di marcia, costringendolo a spostare l’attenzione verso di noi.
Quella del seduto è una postura naturale, che comporta per il cane una maggiore economia del dispendio energetico rispetto alla posizione in piedi e che assume un significato di “breve attesa”. Per attese più lunghe, è più conveniente mettersi a terra, nella classica posizione “a sfinge.
A questo punto è opportuno concentrarsi su due obiettivi:
Innanzi tutto è necessario osservare il nostro cane e cercare di capire quale tipo di azione più facilmente lo induce a sedersi. Un sistema può essere quello di avere un bocconcino nella mano a mò di esca e portare lentamente la mano sopra la testa in modo che alzi il muso per osservarlo. Alzare il muso verso l’alto produce automaticamente l’abbassamento del posteriore e quindi il cane si siede e, in quel preciso momento, diremo: SEDUTO. Bisognerà ripetere la stessa operazione più volte, fino a quando si siederà spontaneamente e rapidamente non appena vedrà la nostra mano sul suo muso. Anche in questo caso sono necessarie parecchie ripetizioni della sequenza gesto - sedersi - premio, fino a quando anche un solo accenno del gesto sarà sufficiente a provocare immediatamente il sedersi del cane. Il gesto della mano che si muove all’indietro sopra la testa del cane sarà diventato il segnale in grado di farlo sedere prontamente; fra il comando e il gesto non deve trascorrere un tempo superiore a mezzo secondo. Calma e costanza ci permetteranno di essere chiari e provocheranno nel nostro amico interesse verso l’esercizio e gratificazione per averlo eseguito, spingendolo perciò a collaborare via via in modo più rapido e sicuro.
Per attese più lunghe, è più conveniente metterlo a terra, nella classifica posizione “a sfinge” ed il RESTA è la posizione in cui il cane dovrà starsene tranquillo fino al ritorno del proprietario.
Dopo che il cane ha assunto la posizione di SEDUTO e poi di TERRA, gli si impartisce poi il comando di RESTA, senza guardarlo negli occhi e con voce ferma, ma non minacciosa; il comando può essere rinforzato alzando una mano. Ci si allontana, quindi, lentamente continuando a ripetere il comando RESTA e, dopo qualche metro, si ritorna da lui e se non si è mosso, una volta tornati vicini al cane, ci si complimenta con lui accarezzandolo o dandogli un premio; se viceversa si è alzato per seguirvi, o peggio ancora, si è lasciato distrarre da qualche altra cosa, dovete scandire un secco “no”!! e riprenderlo rimettendolo dove era. L’esercizio va continuato aumentando progressivamente la distanza, fino ad arrivare a scomparire dalla vista del cane, oppure allungando il tempo durante il quale deve restare fermo.
Anche in questo caso è necessaria molta pazienza e non bisogna avere fretta di raggiungere il risultato.
RICHIAMO
Il cane si diverte, si allontana, corre, il padrone lo chiama, ma la sua voce sembra perdersi nel nulla…Il cane continua la corsa e si allontana sempre più, il padrone ora inizia ad agitarsi, la voce è alterata, è diventata un urlo nervoso… Il cane si gira e vede il suo padrone correre verso di lui, ha il viso contratto ed ha paura ”Cosa mai sarà successo ? C’è forse un pericolo che io non riesco a percepire, ma il mio padrone si ? E’ meglio scappare, non si sa mai…”. Quando finalmente i due si rincontrano, il padrone non riesce a trattenere uno sfogo che deriva dalla tensione nervosa: sgrida il cane, lo strapazza… e forse peggio… Il cane lo guarda stupito e, attonito, si sottomette, ma non comprende il comportamento del suo padrone perché assocerà : Vieni … Qui… Rincorsa…Botte…
Il richiamo è l’atto attraverso il quale il proprietario richiede al cane di avvicinarsi a lui.
E’ quindi un’azione svolta dalla persona, la quale dovrà fare in modo che il cane interpreti correttamente le sue intenzioni e si attivi in lui quel fenomeno che, in etologia, è chiamato “ attrazione sociale ”.
Questo fenomeno, alla base dei meccanismi di aggregazione del branco, fa si che un soggetto si avvicini velocemente ad un suo superiore di rango, quando questi lo richiede.
Abbiamo quindi due comportamenti: quello del proprietario che chiameremo “RICHIAMO” e quello del cane che chiameremo “AVVICINAMENTO”.
Perché un cane si avvicini al suo proprietario, è necessario che sia motivato a farlo ed è il proprietario stesso che dovrà innescare un processo di motivazione.
Nell’addestramento dei cani, un metodo piuttosto semplice consiste nel far nascere nel cane il “desiderio di ricevere una ricompensa”. Questa può essere un bocconcino, il gioco con una pallina, oppure una carezza affettuosa: più la ricompensa è ambita dal cane, più è elevato il grado di motivazione.
Il linguaggio più appropriato è quello costituito da segnali corporei. In particolare, per comunicare attrazione, potremo adoperare due comportamenti:
Associate a questi due comportamenti la parola “ vieni “, pronunciandola una frazione di secondo prima di iniziare la fuga.
Dopo aver ripetuto questa associazione parola-comportamento per parecchie volte, vedrete che non sarà più necessario fuggire e abbassarsi, ma sarà sufficiente pronunciare la parola che avrete associato a questi due segnali per richiamare il vostro cane.
QUANDO RESTA SOLO
Spesso, i comportamenti sgraditi messi in atto dai cani quando restano soli in casa, vengono etichettati come manifestazioni di “ansia da separazione”.
Vale la pena di ricordare che per il cane rimanere da solo non è “naturale”.
Il cane, come il lupo da cui discende, è un predatore sociale e come tale sviluppa relazioni condivise dagli altri membri del branco, relazioni che si intrinsecano a fondo in attività basilari come l’esplorazione del territorio, la ricerca di cibo, ecc…..
Le cause all’origine dei problemi da separazione possono essere riunite in quattro situazioni:
La prima circostanza si presenta, di solito, nei cuccioli o comunque in soggetti giovani e si manifesta con ululati, il cui scopo è quello di localizzare e di riunire il branco, che iniziano appena il proprietario è uscito di casa.
Se la ragione del disagio è la mancanza di abitudine a periodi di solitudine, il cane può anche mettere in atto tentativi di “evasione” dalla casa, presumibilmente per riunirsi al branco, producendosi in attività distruttive, il cui scopo non è però la distruzione fine a se stessa, ma appunto l’apertura di un varco che permetta l’uscita dell’animale.
Questa gamma di comportamenti è da considerarsi “normale”: per il giovane cane l’uscita dei proprietari significa che il resto del branco si reca in esplorazione o a una battuta di caccia, mentre lui rimane escluso. L’unica soluzione è quella di seguire un programma che faciliti al cane un’accettazione della condizione di solitudine temporanea.
La seconda circostanza è il cosiddetto “cane viziato”.
Questi è un soggetto che ha imparato a ottenere sempre, o quasi sempre, tutto quello che vuole, sviluppando così un’eccessiva indipendenza e libertà d’iniziativa.
E’ un individuo vincente e quindi non può accettare che i proprietari ignorino i suoi tentativi di non essere lasciato solo in casa.
I proprietari, in questo caso, devono comprendere i propri errori e con l’aggiunta di nuove regole da rispettare e il cambiamento di quelle esistenti dovrebbe bastare a risolvere il problema.
La terza circostanza è la condizione di sottomissione in cui vengono spesso mantenuti cani vivaci e con spiccate capacità e necessità lavorative, si manifesta di solito attraverso comportamenti puramente distruttivi.
Questi cani, spesso veri e propri “atleti” che non fanno attività se non qualche passeggiatina al guinzaglio, hanno imparato a rimanere da soli, non hanno paura di questa situazione, ma hanno abbondanti energie da scaricare.
I cani non possono reindirizzare la propria vitalità verso attività non dinamiche, per cui è doveroso consentire loro di correre, giocare e possibilmente lavorare. In tal modo, anche i comportamenti distruttivi dovuti all’iniziativa, verranno facilmente eliminati.
La quarta circostanza è la vera e propria “ ansia da separazione “ ed è il caso più difficile da trattare. E’ inutile sgridare o punire il cane, potrebbe essere controproducente. Un trattamento da seguire può essere:
Chi è il “capobranco”?
Non è difficile identificarlo: è il primo ad attraversare i varchi di ingresso e uscita dalla “tana”; è restio a rientrare in casa ed a salire sull’auto al momento di concludere la passeggiata; esige coccole ed attenzioni proprio quando tutti sono impegnati in altre attività; mangia per primo e poi pretende cibo dalla vostra tavola; dorme dove vuole; non cede i propri giochi… L’elenco potrebbe continuare.
Se il vostro cane manifesta regolarmente questi comportamenti vi considera un gregario, magari leale e devoto, a cui voler bene, ma non certo un leader.
I colpevoli dall’equivoco sulla leaderschip siamo noi esseri umani.
Come riequilibrare la situazione? Applicando regole semplici e ben chiare:
Ma, soprattutto, per aiutare il nostro amico a vivere meglio in mezzo a noi, non si dovrà risparmiare amore, pazienza e costanza nell’applicazione delle terapie comportamentali.
Fonte:
Sito web da visitare:
Autore del testo: De Michele
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"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
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