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ARIOSTO
Ariosto: Ariosto ha una doppia vita (rappresenta l’ideale dell’intellettuale del Rinascimento e contemporaneamente si dedica all’arte, intesa come spazio di libertà). Commedia regolare: inaugura nel genere alcune regole, che resteranno valide per l’immediato futuro, introducendo elementi che elevano la commedia a genere alto (formalizzazione della commedia: introduce l’endecasillabo sdrucciolo – il verso -). Diventerà il modello ideale, anche se non durerà molto. Si ispirava a due grandi autori latini: Plauto e Terenzio.
Rapporto tra fantasia e realtà: aspetto importante della sua produzione.
Vita: Nasce in una famiglia disgraziata; il padre lavora presso gli Estensi. Quando il padre muore, lascia a lui il compito di occuparsi della famiglia, dei numerosi fratelli. Abbandona il mondo della giovinezza e comincia a lavorare. Nel suo lavoro si impegna moltissimo, perché sente prepotente il senso del dovere. Diviene funzionario della corte estense, che al tempo rappresentava la dinastia che riusciva a capire le trasformazioni politiche che stavano avvenendo in Europa e riuscirà a conservare il ruolo guida del proprio territorio, trovando le alleanze giuste per rimanere in auge. I primi anni di lavoro sono di natura amministrativa all’interno della corte; nel 1503 viene assunto direttamente dal cardinale Ippolito d’Este. Caratteristica delle grandi famiglie nobili: maggiorascato (al primogenito toccavano i beni e l’eredità del potere politico); quindi ad Alfonso d’Este toccava il titolo di duca e il potere sullo stato. Gli altri figli o prendevano la carriera ecclesiastica con la speranza di essere eletti papi oppure diventavano cadetti che andavano a combattere in giro per l’Europa, a cercare gloria altrove. Qui ci sono due fratelli, uno duca e l’altro cardinale. Ariosto lavora inizialmente per il cardinale, per cui svolge mansioni di natura diplomatica (va a mediare con i papi, perché gli Este avevano grande intuito politico – gli Este si schierano dalla parte di Carlo V-). Gira per l’Italia per risolvere le grane di Ippolito. L’arte diventa spazio della sua libertà: mentre viaggia, scrive. Al termine dei suoi compiti, si dedicava a ciò che gli piaceva (leggeva le carte geografiche). L’arte di Ariosto si configura come spazio ideale in cui l’uomo recupera la sua dimensione. Comincia a scrivere poesie, che hanno come caratteristiche il fatto di ispirarsi al modello di Petrarca (recuperare la bellezza formale del Canzoniere). Ma rispetto ai contemporanei (ad es. Michelangelo) che volevano imitare P., Ariosto arricchisce il modello petrarchesco di un elemento nuovo: la sensualità legata al tema amoroso (amore libero da condizionamenti morali e privo di sofferenza)
In questi anni scrive anche le sue prime commedie, che ricalcano la commedia popolare, cioè non rispetta le regole della commedia. Erano scritte in prosa, solo successivamente Ariosto introdurrà delle regole (tra cui il verso, endecasillabo sdrucciolo –l’accento di tutte le parole in fine di verso cadeva sulla terzultima sillaba-), che eleveranno la commedia ad un livello alto di arte. Rimane al servizio del cardinale fino al 1517; comincia anche ad elaborare l’opera principale, l’Orlando Furioso.
Nel 1517 rompe con il cardinale Ippolito d’Este, perché in questo anno accade qualcosa di importante a livello europeo, che si riflette anche nel rapporto tra i due. Il cardinale, come la più parte dei cardinali cristiani, era cardinale di varie diocesi, sparse in Europa. Ogni cardinale riscuoteva i tributi dalle varie diocesi. Ippolito aveva una diocesi in Ungheria; nel 1517 deve recarsi lì per fare una visita pastorale e vuole portare con sé Ariosto per un periodo piuttosto lungo, con lo scopo poi di lasciarlo per riscuotere le tasse. Ariosto non ci va per diverse ragioni:
Ariosto viene licenziato per questo rifiuto, si trova in difficoltà ed è costretto a chiedere alla corte di Ferrara un lavoro per mantenersi; è a questo punto, nel 1518, che passa al servizio del duca Alfonso d’Este. Il duca, impegnato nelle guerre che contrappongono francesi e spagnoli, ottiene in premio per la sua attività militare alcune terre in Toscana, la Garfagnana, nella parte nord. Questo era un territorio quasi inesplorato, tranne che per i suoi centri urbani. Dal 1522 al 1525 Ariosto viene mandato in Garfagnana come governatore. La Garfagnana era un luogo in mano a bande di contadini ribelli e briganti: Ariosto viene mandato là per riportare l’ordine. Coi pochi uomini che ha a disposizione tenterà di combattere il brigantaggio, esaurendosi fisicamente. Nonostante la fatica quotidiana, continua però la sua attività di scrittore: è già uscita la prima edizione dell’O.F. e qui procede ad una rielaborazione della sua opera.
Nel 1525, dopo missive in cui chiedeva rinforzi perché non riusciva a sedare i briganti, viene richiamato a Ferrara.
Dal 1525 fino alla morte (1533) ricopre l’incarico che lo soddisfa: deve curare l’arte nella corte degli estensi. Organizza spettacoli, si dedica all’attività teatrale, progetta e disegna scenografie, a volte recita… e porta a compimento la versione definitiva dell’O.F., che verrà pubblicato nel 1532.
Nodo centrale del Rinascimento italiano del ‘500: grandissima crisi politica, che viene descritta nelle opere di Ariosto Declina storicamente l’Italia e cominciano ad entrare in crisi i valori dell’Umanesimo (uomo al centro del mondo). Nelle sue opere ci troviamo di fronte alla presa d’atto della crisi politica e dei valori dell’Umanesimo. Da cosa nasce la crisi? Ha motivazioni profonde: incapacità dei signori italiani di avere una politica che li rendesse autonomi rispetto agli stati europei, la mancanza di un esercito nazionale, gli egoismi dei principi. Nel ‘500 c’è una cosa nuova: l’Italia è attraversata costantemente da eserciti che si combattono per conquistare l’Italia e i principi che si schierano con gli uni o con gli altri favoriscono la conquista da parte degli stranieri. Questa crisi politica ha ripercussioni anche sui valori dell’Umanesimo. Nel ‘500 si incrina la fiducia che l’uomo riservava a se stesso di fronte all’universo; quando questo accade, cosa avviene nell’arte? L’arte reagisce percependo l’aria nuova che si respira e manifesta i sintomi di quella crisi in cui l’uomo non è più in grado di essere protagonista della propria vita ed è ormai in balia delle forze del caso, sottoposto alla regola costante della distruzione e della morte. Di fronte alle forze distruttrici del caso non è più in grado di contrapporre la propria virtù e dunque non è in grado di controllare la propria esistenza; questo è ciò che emerge nell’opera di Ariosto Accanto a questo però c’è ancora l’idea che esiste uno spazio in cui l’uomo è ancora in grado di vivere in armonia con l’universo e questo spazio è la letteratura. Lo spazio letterario diventa il doppio della vita umana: l’uomo proietta i suoi desideri che si realizzano in questo spazio.
Nel ‘500 l’arte registra la crisi dei valori dell’Umanesimo e mentre l’arte del ‘400 esalta le capacità dell’uomo, quella del ‘500 ci mostra che l’uomo può essere grande solo nello spazio artistico, perché in quello storico ha fallito. Quindi l’arte e le forme dell’arte vengono fatte diventare un doppio dell’esistenza reale: c’è divisione netta tra vita reale e arte. L’arte diventa uno spazio autonomo rispetto alla vita: gli artisti vivono nello spazio immaginario dell’arte. In Ariosto c’è questo sdoppiamento già in azione nella sua vita: dovere quotidiano e immaginazione.
La caratteristica principale di Ariosto consiste nel fatto che oltre a considerare l’arte come spazio autonomo dalla vita reale, distrugge anche questo spazio autonomo dell’arte, facendolo diventare lo spazio in cui viene rappresentato l’uomo incapace di essere uomo.
Ci sono due punti di tensione:
Nell’O. F. ci sono questi due elementi che si equilibrano. L’uomo di Ariosto è incapace di realizzare i suoi desideri perché le forze del fato che intervengono nella sua vita sono così casuali che l’essere umano viene disintegrato. Ciò che può permettere all’uomo di trovare il bandolo della matassa della propria esistenza è contrapporre a queste forme un universo armonico presente nell’arte.
Nell’O. F. lo spazio artistico però si è separato dall’esistenza umana.
Opere: Commedie, O. F., rime e satire.
Satire: l’etimologia è controversa. Il genere compare nella letteratura latina che ha i suoi precedenti nei generi agro-pastorali e rappresenta una rottura rispetto alla produzione epica, poiché parla del presente, sconvolgendo l’idea tradizionale di opera letteraria. Come modello strutturato compare in età romana con Lucilio e raggiunge il suo apice con Orazio. Potrebbe derivare dal termine “satiro” (che faceva scherzi e poteva dire cose che di norma non si potevano dire). Noi leghiamo questa parola ad un genere che fa ridere e riflettere contemporaneamente. Attraverso il riso, la satira rovescia la realtà, mostrandola in maniera diversa. La satira presuppone uno stile colloquiale; i temi prendono spunto dai momenti di vita quotidiana, ma propongono riflessioni di carattere universale.
Nelle satire di Ariosto troviamo 3 elementi:
Sono 7 satire, in forma di lettera, rivolte ad amici e parenti, in cui i due elementi dominanti sono il presente e l’autobiografia; a questo si accompagnano riflessioni profonde, in cui Ariosto attacca lo stile di vita degli uomini di corte e anche il malcostume della chiesa, rivendicando l’autonomia e la libertà dell’intellettuale davanti alla prepotenza dei potenti che vogliono utilizzare l’arte come strumento di consenso.
I SATIRA DI ARIOSTO:
Confronto con Orazio, Epistola VII. Scambio volpe e asino: perché?
Dobbiamo ricordare che nella satira Ariosto rivendica l’autonomia dell’artista, cioè rivendica la libertà letteraria. Ma cosa vuol dire per Ariosto voler essere libero? Vuol dire che Ariosto rivendica tale libertà in un contesto di mecenati, dove la libertà assoluta non può esistere. Tocca un tema universale: pur godendo di un ampio margine di libertà, Ariosto rivendica la piena autonomia, che però in questo momento storico non c’è più. Ariosto deve fare i conti nell’esistenza quotidiana con i problemi legati alla sopravvivenza (Ariosto non può dedicarsi unicamente all’arte, perché deve provvedere al proprio sostentamento!). Ad una forma di potere incarnata dai principi si sostituisce, quindi, una forma di potere diversa, ovvero la necessità di guadagnarsi il necessario per vivere. Come si combina questa necessità materiale con l’esigenza artistica? Nella satira Ariosto dice che fra l’avere la pancia piena (usando la metafora dell’asino) ed essere un artista libero, sceglie quest’ultima possibilità. Nella storiella la stalla rappresenta una prigione da cui non si può uscire; nessuno l’ha fatto entrare, l’ha scelto liberamente, ma in realtà la libertà era condizionata da esigenze e bisogni primari che non si possono eliminare. Interviene il saggio topolino, spiegando che se vuole uscire deve tornare come prima. Questo ci spiega il contenuto dell’O. F.: gli uomini sono mossi dai loro desideri, soddisfatti i quali, però, essi vengono intrappolati come in una prigione, per quanto dorata, che fa perdere loro l’identità e da cui non riescono ad uscire.
C’è un altro elemento di natura storico culturale da considerare: siamo in una fase di passaggio della storia italiana; assistiamo ad una crisi delle certezze dell’uomo dell’Umanesimo, che ritroviamo anche dentro l’apologo della I satira. Comincia ad incrinarsi il rapporto che si era creato tra gli artisti e le corti, che portava l’uomo a sentirsi protagonista della propria esistenza. Si profila l’immagine di un uomo ingabbiato in una rete da cui non riesce a liberarsi. Un ingranaggio dentro cui l’uomo si perde: l’ingranaggio della storia. Gli uomini sono vittime di un ingranaggio della storia per cui il potere non ha volto, anche se si incarna nel volto dei potenti. Discorso simile a quello di Machiavelli sulla fortuna: l’uomo è schiacciato da forze superiori che non si possono contrastare; per M. il caso poteva essere contrastato dalle capacità dell’individuo; per Ariosto le virtù dell’individuo non esistono più, ma anzi sono le stesse virtù ad ingabbiarlo. Per Ariosto esiste solo il caso; il potente stesso è vittima del caso, esattamente come gli altri uomini. Nell’apologo dell’asino e del topolino, ci troviamo di fronte a questa amara considerazione;d’altro canto, però, riconosciamo la capacità di Ariosto nel contrapporre al caos l’ordine e l’armonia dell’arte, intesa come spazio simbolico capace di sconfiggere la disarmonia della realtà. L’arte, strumento che riesce a ridare armonia all’uomo, introduce però anche un elemento disgregante, perturbatore, l’ironia, che opera un rovesciamento dei valori, attraverso una lettura del reale che di fatto si fa beffe di quegli stessi valori.
L’Orlando Furioso
Il riassunto dell’opera è molto difficile, perché Ariosto inserisce nel testo una serie di divagazioni (O. F. è una racconto che ne contiene moltissimi altri) che la fanno diventare un’opera aperta (i vari racconti presenti all’interno dell’opera potrebbero essere intesi ciascuno come opera a sé stante).
L’opera è, infatti, un costante movimento di vicende e avventure, sottoposte all’agire del fato. L’uomo è sia un elemento nell’ingranaggio della storia, in cui ciascun individuo perde la propria volontà ed è di fatto incapace di raggiungere il proprio obiettivo, sia un elemento nell’ingranaggio della scrittura, perché il poema è pieno di forze disgregatrici che lo fanno diventare un poema nei poemi. Questo movimento incessante fa sì che sia impossibile per l’uomo raggiungere la felicità. Ciò che permette al poema di rimanere unitario è la capacità di dare all’opera una forma così perfetta ad un contenuto caotico e dispersivo.
Il poema è scritto in ottave: strofa di otto versi, definita dal critico Gianfranco Contini un “microcosmo armonico”, perché riesce a bilanciare attraverso l’armonia dei versi il disequilibrio del contenuto.
Possiamo individuare tre grandi filoni narrativi che si intrecciano fra loro:
Figura dell’eroe nell’epica medievale: devoto ai valori della cristianità, pronto a sacrificare tutto per questi valori. Il personaggio in questione si chiama Rolando (Chanson de Roland). C’è un altro ciclo, quello bretone, che non ha nulla del genere epico medievale. Affronta la stessa materia di quello carolingio (cavalieri che assumono valori legati alla cristianità); tuttavia, i cavalieri e la forma letteraria non appartengono più all’epica in senso stretto, perché ci troviamo di fronte alla dissoluzione delle forme dell’epica medievale. Cosa intendiamo per genere epico?
Tipo di racconto con la fusione di vari elementi:
Nel ciclo bretone questi elementi si sfaldano, non hanno più unità, prendono strade diverse. Esempio: c’è un eroe che comincia ad associare ai doveri della cristianità i piaceri, i sogni, le fantasie, gli amori della vita individuale. Per quanto riguarda le forme letterarie: comparsa della struttura narrativa del “roman”, ovvero componimenti in prosa o racconti in versi che abbandonano il modo della Chanson de Roland, entrambi introducono l’elemento fantastico. Il fantastico è legato al considerare lo spazio e il tempo che circonda l’eroe libero dalla dottrina della chiesa. Esempio: nel ciclo bretone ci sono draghi, orco e fate che appartengono all’immaginario popolare nordico, fuori dalla dottrina della chiesa, che si scontrano con gli eroi. I personaggi sono: re Artù, Lancillotto, Ginevra, Tristano… Il ciclo bretone assume i valori della poesia provenzale (amore cortese). Cercando il Santo Graal, i personaggi si imbattono in avventure di ogni tipo. Il dovere cristiano non fa mettere da parte il principio del dovere individuale (tramite divagazioni narrative). Caratteristica di questi personaggi è un codice di comportamento che ricalca quello dell’amor cortese; l’eroe assume su di sé i valori della corte, che gli permettono di elevarsi al di sopra della plebe.
Nel ‘400 rifiorisce il genere epico ed è quella che fornisce gli esempi a cui si ispira Ariosto. Due sono i più importanti: Il Morgante di Luigi Pulci e l’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo.
Nel Morgante c’è la distruzione radicale delle forme dell’epica, attraverso l’ironia (che distrugge la distanza che separa l’epica dal pubblico che fruisce dell’epica). Morgante non è un eroe, ma un gigante che non combatte con la spada e ha come compagno di avventure Margutte, che ha scelto di non essere più gigante, ma di fermarsi a metà. Insieme ne combinano di tutti i colori: c’è l’irruzione dell’ironia.
Il Boiardo scrive a Ferrara, nella corte Estense ed era un nobile. Troviamo raccontato lo scontro tra cristiani e mori (o musulmani) e si parla dell’arrivo di Angelica alla corte di Carlo Magno; il poema resta incompiuto perché Boiardo muore. Quali sono i valori del poema? Quelli della corte di Ferrara: una nobiltà che cerca di ridefinirsi nella situazione del ‘400 (cortesia, bellezza, valori che esaltano la corte, tipici del primo Umanesimo). L’Orlando Innamorato è lo specchio della corte di Ferrara del ‘400.
Orlando Furioso:
si ricollega all’Orlando Innamorato, ma la conclusione è che il poema di Ariosto sarà un capolavoro a differenza dell’opera del Boiardo. Si fondono gli elementi dell’opera di Boiardo con quelli del Morgante, soprattutto l’ ironia; quest’ultima attenuata da forma armoniche. Quello che l’ironia distrugge in senso di certezze umane (mette in luce i limiti dell’uomo del 500), l’armonia copre attraverso il valore attribuito all’arte del Rinascimento (permette di tenere insieme elementi che diversamente non potrebbero più stare insieme).
Proemio:
I ottava:
Ariosto espone gli argomenti che affronterà nel poema, ovvero lo scontro tra mori e cristiani (primo filone narrativo, che fa da sfondo alle vicende). Il proemio si apre con una figura retorica, il chiasmo (donne, cavalieri, armi, amori). I nuclei concettuali si intrecciano. Il chiasmo è, infatti, una figura retorica che permette di dare significato una lettura sincronica degli elementi: Ariosto sta spiegando che il suo poema, pur essendo la continuazione del precedente, si propone di mescolare i generi (quello militare e quello amoroso).
Tema storico: Agramante, re dei Mori, vuole vendicare la morte del padre Troiano ad opera di Carlo Magno.
II ottava:
Dirò d’Orlando, in questo medesmo tratto = il narratore racconterà contemporaneamente al tema storico la vicenda di Orlando e della sua follia (secondo filone narrativo).
Parafrasi scritta dei primi 32 versi dell’Orlando furioso.
Parlando della pazzia di Orlando Ariosto parla anche della sua follia d’amore: introduce l’elemento autobiografico, egli distrugge di fatto la struttura del poema epico, caratterizzata dall’impersonalità (distanza epica). Non solo, ma in tutta la produzione epica precedente vi era l’invocazione alla Musa: in Ariosto la Musa viene, invece, sostituita dalla donna che lui ama; stacco strutturale dai poemi epici precedenti. In questo caso l’invocazione viene fatta in maniera ironica: Ariosto mette in luce l’idea che la passione amorosa rende folli. Non è una richiesta di aiuto, ma il constatare che ci sono forze tra cui quella amorosa che possono distruggere la mente umana.
III ottava:
Irruzione del presente nel tempo mitico dell’epica: si rivolge ad Ippolito d’Este, cardinale per il quale Ariosto lavorava. Elogio dei figli d’Ercole: cogliamo l’ironia di Ariosto (si sta divertendo alle spalle dei suoi datori di lavoro). Quando si parla di ironia, bisogna ricordare che non fa ridere, ma capovolge una situazione o una tradizione. E’ già presente nei 4 versi precedenti, quando parla della sua donna che può portarlo alla follia (mette in discussione la tradizione). Qui si rivolge contro la corte estense. Ariosto dice che da uomo di lettere offre al suo signore ciò che è in grado di offrire, cioè un poema, un’opera letteraria. Cfr. Satira I a proposito dell’attività nella corte: polemica nei confronti del cardinale Ippolito.
IV ottava:
si rivolge alla famiglia estense; Ippolito sentirà lodare il suo capostipite (Ruggero).
Viene introdotto il terzo filone narrativo: le vicende di Ruggero (saraceno) e Bradamante (cristiana). Cfr. vicende legate a Ruggero. Ruggero nell’Orlando Furioso non muore perché avrebbe introdotto un elemento drammatico che ne avrebbe distrutto l’armonia.
Come si chiama questo terzo elemento, ovvero l’amore di Ruggero e Bradamante? Elemento encomiastico.
Qual è la differenza tra l’Orlando Furioso e gli eroi dell’epica? Ariosto suona la campana a morte dell’epica, anticipando di quasi un secolo le forme narrative del romanzo moderno (Don Chisciotte). Se Ariosto non avesse avuto alle spalle la tradizione italiana, poteva essere considerato il fondatore del romanzo.
Confronto Machiavelli – Ariosto sul rapporto tra vicende collettive e vicende individuali:
M. metteva in scena attraverso il principe una collettività, guardando al futuro; Ariosto, invece, rovescia questa concezione. Nell’O. F. c’è un solo riferimento al futuro, attraverso una profezia, l’unica del poema. Si tratta dell’avvento di un impero universale, quello di Carlo V. In questo episodio si evidenzia l’ironia di Ariosto, che rovescia il valore stesso della profezia. Sappiamo, infatti, che non c’era niente di più lontano per lui che omaggiare un potente; l’ironia destruttura la dimensione utopica espressa nel poema e fa presagire che Ariosto sa benissimo che l’uomo non può cambiare la realtà, cosa che invece M. riteneva ancora possibile (Ariosto ha una visione pessimistica del futuro, M. invece, è ancora animato dalla speranza del cambiamento).
Confronto Dante – Ariosto – Machiavelli sul valore dell’impero:
prima di Ariosto Dante aveva inserito all’interno della sua opera delle profezie (cfr. Divina Commedia). In merito all’impero, nel De Monarchia, Dante ritiene che esso sia una forma di governo capace di garantire pace e serenità agli uomini, che sia cioè garanzia di fratellanza umana. L’impero che profetizza Ariosto, invece, non è un paradiso terrestre, perché l’Europa al suo tempo era devastata dalle guerre; per lui non esiste una possibilità di riscatto politico, per cui di fronte alla storia la scrittura non può che chiudersi in uno spazio autonomo, subendo peraltro uno scacco finale. Per M. l’impero è negativo e per questo immagina un mondo in cui termini lo strapotere dei potenti e dove sia garantita agli uomini la libertà. M. e D. hanno entrambi un rapporto antagonistico con la storia che si gioca nello spazio letterario, tuttavia l’esito è opposto. Per Ariosto questo rapporto agonistico non esiste più.
Castello di Atlante (XII, ottave 4-21) = capacità di attrarre i cavalieri, perché presenta visioni di ciò che più desiderano. Grande macchina creatrice di illusioni.
In questo brano ci sono 2 grandi campi semantici (= un significato a cui rimandano tutta una serie di parole di un testo): la ricerca e l’illusione/inganno (per Ariosto l’illusione è un inganno).
Possono esserci espressioni in cui i campi semantici si fondono, suggerendo il modo in cui la poesia va interpretata (es. campo semantico del mare / campo semantico della vita = il mare della vita).
Nel caso specifico, se incrociamo i due campi semantici otteniamo che “la ricerca è un inganno”, ovvero che l’uomo nella sua esistenza si spinge ad inseguire desideri che in realtà si dimostreranno irrealizzabili. L’intera esistenza assume valore solo all’interno dell’opera d’arte, perché non solo la vita è un inganno, ma cercare dei valori che possano dargli senso è una ricerca vana. La morte del desiderio è la morte dell’essenza stessa dell’uomo: la vita senza desideri è una vita vuota e inutile.
Il pessimismo ariostesco viene stemperato, attenuato grazie alla presenza di una forma artistica armonica, una bellezza esteriore che controbilancia l’estrema negatività del contenuto (cioè del senso). La bellezza artistica permette di padroneggiare la negatività del reale, il senso tragico dell’esistenza umana; ma l’equilibrio che si instaura è precario, perché Ariosto ha la consapevolezza della caducità dell’esistenza (diversamente, dunque, da Petrarca, in cui la scrittura e l’arte danno senso alla vita, riscattando totalmente le delusioni e disillusioni della realtà, cancellando il tempo). Adotta molti stilemi petrarcheschi, ma non ne eredita lo spirito. Nell’Orlando Furioso ci troviamo di fronte ad una scrittura che riflette sulla sua precarietà, non serve a risolverla e superarla, poiché c’è una separazione tra artista e scrittura (c’è una distanza che gli permette di sviluppare una riflessione sulla precarietà della scrittura).
La scrittura è una macchina creatrice di illusioni e questo è ciò che viene messo in discussione, perché tali illusioni non servono a nulla nella vita. Ariosto si immedesima nel mago Atlante, per far vedere come la macchina delle illusioni serve solo a mettere in luce la vanità delle illusioni stesse (e i limiti e gli inganni della scrittura). Per dimostrare l’illusorietà della scrittura è la metafora del labirinto. Perdersi nel labirinto significa perdere il senso dell’esistenza umana. In questa visione tragica, Ariosto introduce la distanza ironica e l’armonia che servono a contenere la deriva del non-senso dell’esistenza. Calvino, ragionando sulla struttura labirintica del palazzo di Atlante, definisce il labirinto come la dimensione dell’esistenza, anche se ci sono cose positive da esplorare (leggi “Lezioni americane”).
v. 25 = Il “fellone”, parola che appartiene al codice della cavalleria, si rivolge al cavaliere che porta Angelica. Nella tradizione rappresentava la più grande offesa che poteva ricevere un cavaliere, come sinonimo di traditore. Il cavaliere è traditore solo perché ha rubato Angelica? O fellona è l’immagine che sta vedendo Orlando? Quando Ariosto usa questa parola gioca sui doppi-sensi, ovvero la falsità dell’immagine che Orlando vede (l’inganno appunto, poiché, in quanto illusoria, tradisce).
Questo fellone può riferirsi anche al sistema della scrittura, in quanto macchina di illusione, che tradisce creando mondi che non esistono.
Descrizione del palazzo di Atlante: è un palazzo fatto con marmi di diverso colore (policromi). Suttil lavoro = lavoro minuzioso e certosino, curato nei minimi dettagli (campo dell’illusione, del desiderio e della bellezza).
Campo semantico dell’illusione e della ricerca: V ottava Orlando insegue Angelica, ma, entrato nel palazzo, la visione si dimostra un’illusione. Attraverso il desiderio è passato l’inganno.
Il castello è l’elemento che rappresenta il sistema delle illusione. Qual è l’organo umano che permette di cadere nell’inganno del desiderio? E’ l’occhio. (cfr. Jacopo da Lentini e gli stilnovisti, per il ragionamento sul valore della vista. Anche Dante: sale in Paradiso attraverso lo sguardo di Beatrice. Nello stilnovo la vista ha un valore salvifico. In Petrarca: in un sonetto si parla dello sguardo di Laura che trafigge P., facendolo innamorare e suscitando in lui quel lavorio interiore che lo porta quasi alla follia. In lui la vista diviene problematica, ma ancora chiama in causa la possibilità per il soggetto di salvarsi). In Ariosto la vista ha capovolto la sua funzione: è diventata l’organo che gli fa perdere la cognizione di sé, perché è il principale veicolo dell’inganno e dell’illusione (cfr. Overloock Hotel = Shining = poetica cinematografica di Kubrick). Il castello di Atlante è molto peggio dell’Overloock hotel, perché da quest’ultimo si esce, dal castello no! (cfr. Paura e delirio a Las Vegas).
6 ottava: campo della ricerca. Come intende la ricerca? Orlando si trova di fronte all’antitesi degli spazi (sopra/sotto), che consente ad Ariosto di far capire che questa ricerca è vana. Ariosto allude all’inganno facendo vedere la ricchezza del palazzo coperto di arazzi e tappeti, vagando senza riuscire a trovare Angelica.
In questo castello ci sono moltissimi personaggi e tutti stanno inseguendo qualcosa, vanamente. Tutti maledicono il proprietario del castello.
ottava 7: i cavalieri sono stati ingannati, sono sia saraceni che cristiani, e non riescono ad uscire dal castello. Questa è l’opera che più di tutte spiega il passaggio epocale tra il ‘400 e il ‘500, ovvero la crisi del Rinascimento.
Ottava 8: “e par che miri il viso / che l’ha, da quel che fu, diviso”: qual è il viso da cui non potrà mai essere diviso?
Fonte: http://www.diversamentesocial.it/pluginfile.php/158/mod_folder/content/0/ARIOSTO.doc?forcedownload=1
Sito web da visitare: http://www.diversamentesocial.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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