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Parte generale
1.1 Oggetto del diritto e rapporto con gli altri rami dell’ordinamento
L’ordinamento giuridico si suddivide in due grandi aree:
Privato: comprende oggi i rami del diritto commerciale, diritto del lavoro, contrattuale, industriale.
Pubblico: a sua volta costituito da due grandi branche, costituzionale ed amministrativo(insieme delle norme concernente gli organi della pubblica amministrazione, le funzioni e le attività, nonché i beni ed i mezzi finanziari di cui la medesima dispone per adempiere i propri compiti istituzionali).
Il diritto tributario, si colloca nell’ambito del diritto finanziario, a sua volta discendente del pubblico amministrativo.
L’oggetto del diritto tributario, lo si può identificare nel complesso di norme che regolano l’imposizione e la riscossione dei tributi e quindi recanti la disciplina del rapporto che si instaura tra il soggetto attivo (impositore) e soggetto passivo (contribuente) della relativa prestazione obbligatoria. A differenza del diritto finanziario, non abbraccia l’intero ambito dell’attività finanziaria, ma solo la parte attinente alle entrate e nella fattispecie solo delle entrate di tipo tributario.
Il diritto tributario è una parte del diritto pubblico fortemente influenzata da quello costituzionale; oltre che utilizzare i precetti pubblici costituzionale ed amministrativi, esso si abbevera anche a principi di diritto privato (possesso, proprietà, contratti, fallimenti, società ecc...). è una disciplina piuttosto recente, anche se i tributi hanno origine antichissima (nilometro in Egitto, strumenti fiscali in Persia ed Europa medievale). L’interpretazione in sede tributaria è influenzata dai rami del diritto, quindi il risultato è derivante dal ramo di appartenenza (ad esempio il concetto di usufrutto deriva dal c.c. e pertanto sarà necessario fare ad esso riferimento), a meno che il legislatore non abbia emanato una norma speciale.
1.2 Rapporti con la scienza delle finanze
La scienza delle finanze è una disciplina non giuridica che si occupa della corrispondenza qualitativa e quantitativa tra entrate e spese, nonché delle conseguenze che esse hanno sul piano economico. Il diritto tributario ha invece ad oggetto il rapporto giuridico obbligatorio.
1.3 Inquadramento costituzionale
L’aspetto costituzionale è particolarmente rilevante, in quanto gli art. 23-53 cost. trattano direttamente della materia; tuttavia ci sono altri articoli che vale la pena considerare in quanto la riguardano indirettamente e ci consentono di approfondire l’interpretazione.
Art. 23 cost. “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”
A noi interessa solo l’aspetto delle prestazioni patrimoniali, anche se in alcuni casi di coattività sono possibili prestazioni di tipo personale.
L’essenza è che a nessuno può essere chiesto di pagare (aspetto patrimoniale) se non vi è una legge che lo impone; in tale contesto la riserva di legge fu concepita come strumento per riequilibrare l’assetto dei poteri politici e finalizzato in specie alla garanzia dell’integrità patrimoniale dei singoli nei confronti dell’arbitrio del sovrano, e nel nostro caso visto che la sovranità spetta al popolo, esso la esercita mediante il parlamento formato dai suoi rappresentanti (sovra ordinazione del parlamento rispetto al governo)
Prestazione: oggetto di una qualsivoglia obbligazione; sono escluse dal principio della riserva di legge a) le sanzioni penali a contenuto pecuniario, nonché quelle amministrative afflittive, b) prestazioni a contenuto negativo, limitazioni alla iniziativa economica privata, c) espropriazioni per pubblica utilità.
Imposizione (coattività): sussiste tutte le volte che la fonte e la disciplina della prestazione risalgono ad un atto autoritativo al quale la volontà del soggetto era estranea.
Applicabilità.
Tuttavia la norma dell’art.23 non è applicabile alle leggi comunitarie che sono emanazione di un autonoma fonte di produzione; inoltre la riserva non può essere intesa come riferibile alla legge fonte regionale, in quanto altrimenti si escluderebbe la potestà regionale in materia tributaria che altre norme costituzionali attribuiscono. Al livello comunale e provinciale, visto che non esistono fonti denominate leggi, la riserva cessa di operare e ad essa subentra per l’appunto il principio di competenza.
Natura (relativa) della riserva di legge.
La riserva dell’art.23 non è assoluta bensì relativa: da tale caratteristica discende che la legge deve provvedere alla disciplina diretta soltanto degli elementi essenziali della fattispecie che concorrono ad identificare la prestazione, potendo rimettere invece a fonti diverse e subordinate (provvedimenti ministeriali, governativi), promananti dall’esecutivo o da organi locali, gli elementi non essenziali di quest’ultima. Gli elementi essenziali sono il soggetto passivo, il presupposto, e la base imponibile, mentre sono suscettibili di integrazione la disciplina dell’aliquota e la procedura di accertamento.
A tale riserva di legge soggiacciono soltanto le norme impositive in senso stretto, mentre ne restano escluse a) norme a vantaggio del contribuente (agevolazioni, esenzioni e simili) e b) norme in tema di accertamento e riscossione.
Discrezionalità.
Nel rapporto giuridico si possono intravedere tre momenti
La conseguenza della riserva di legge sui tre momenti, è che in tutti e tre i casi, non si può fare niente di più di quanto disciplinato dalla legge, e nessuno dei due soggetti può tuttavia rinunciare a ciò che da essa è imposto.
Il fatto che la valutazione sia rimessa alla legge e non alla p.a. significa che non ci può essere discrezionalità decisionale da parte della pubblica amministrazione; l’espropriazione è un tipico esempio di potere discrezionale.
Si deve tuttavia sottolineare la presenza di tue tipologie discrezionali: 1) tecnica, non prevede la comparazione tra le alternative, ma si sceglie lo strumento idoneo ad applicare la legge (infatti nel diritto tributario si può fare solo scelte di carattere tecnico procedurale) 2) amministrativa, la quale passa attraverso la valutazione di alternative per la scelta della migliore per realizzare i fini.
Nel caso dello spostamento della sede legale, abbiamo il primo ed unico caso di discrezionalità amministrativa all’interno del diritto tributario: è riconosciuta la possibilità di spostare la sede legale - domicilio fiscale, ma se la p.a. riconosce che tale operazione ha solamente natura “di facciata”, allora può considerarla impropria e decidere di spostarla dove c’è la vera attività di impresa. Alcune imprese di significative dimensioni ad esempio sono solite spostare la propria sede legale nella città di Milano, poiché essendovi registrate numerose imprese di tali dimensioni, esse hanno l’impressione di sentirsi più al riparo da eventuali controlli.
Natura dichiarativa.
Dal momento che la legge prevede tutto, la p.a. ha un rapporto di natura dichiarativa e non costitutiva. Dichiara un rapporto, ma non lo costituisce; non è un negozio giuridico, bensì si dichiara un rapporto già presente in virtù di legge. Le norme costituzionali di valore precettivo si possono evocare non solo in corte costituzionale, bensì anche in sede ordinaria (l’art. 23 è precettivo) Quelle regolative invece devono essere discusse in sede di corte costituzionale.
Art. 53 cost. comma 1° “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”
È conveniente operare una analisi dei tre concetti fondamentali che si riscontrano all’interno del primo comma;
Capacità contributiva
È inteso quale criterio di ripartizione delle pubbliche spese, ed esprimerebbe una diversa situazione di taluni consociati rispetto agli altri, idonea a giustificare razionalmente una loro maggiore partecipazione alle spese medesime. Tale situazione viene osservata attraverso le manifestazioni di ricchezza del contribuente, presupposto indefettibile al quale deve risultare collegato il prelievo e conseguentemente, il limite oltre che il parametro necessario del medesimo.
Negli anni 70’ il tributo IRPEF veniva meno a questa norma in quanto faceva differenza tra caratteristiche di natura familiare e non specificamente economiche. L’INVIM colpiva l’immobile al momento del trasferimento, tassando il plusvalore ottenuto dalla rivalutazione del bene (illegittimo in quanto essa non è una capacità economica, ma una rivalutazione conseguenza dell’inflazione). La capacità contributiva deve attenersi a quattro caratteristiche fondamentali:
Art. 53 cost. comma 2° “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”
Tale principio ribadisce ed accentua l’impronta solidaristica cui risulta ispirato il dovere di concorrere alle spese pubbliche. Mentre il criterio proporzionale prevede il variare dell’imposizione al variare della base imponibile, quello di progressività prevede che si aumentino le aliquote all’aumentare della base imponibile. (il concetto è connesso al principio economico di utilità marginale decrescente). Le aliquote sono da considerarsi a scaglioni, ovvero fino ad un certo ammontare si applica un aliquota, la parte eccedente va nell’aliquota superiore. Non tutti i tributi devono essere progressivi (vedi l’IVA che anche se ammette più aliquote per le diverse categorie merceologiche ha natura proporzionale), l’importante è che lo sia il sistema complessivo.
Legge 27/07/2000 n° 212 Statuto dei diritti del contribuente
Contiene tre categorie di disposizioni: 1)Norme che pongono limitazioni al futuro legislatore 2)Obblighi che fanno capo all’amministrazione finanziaria 3)Diritti e garanzie che vengono riconosciuti al contribuente.
Mentre l’esame della seconda e terza categoria sono effettuata in sede di specifici argomenti, in questa sede conviene soffermarsi sulla prima.
2.1 Le fonti di produzione delle norme tributarie
2.2 Appendice:le norme tributarie dell’ordinamento comunitario
Alcune disposizioni dell’ordinamento comunitario, concernono specificamente la materia fiscale e sono contenute nel trattato istitutivo della comunità europea, mentre altre sono state emanate dagli organi della comunità a cui è riconosciuta la potestà di disciplinare tramite atti di diversa natura; in questa sede tratteremo solo i principi del trattato.
Tutta la disciplina trae origine dall’art.14 del suddetto trattato nel quale si afferma che “la comunità europea adotta delle misure destinate alla restaurazione di un mercato interno” intendendosi per mercato interno “uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”. La costituzione di tale mercato unico, richiede la realizzazione di un sufficiente grado di omogeneità delle discipline fiscali che attengono a queste vicende economiche.
Alla realizzazione di questa uniformità di disciplina sono rivolti innanzitutto gli art.25-26 del trattato, il primo dei quali vieta l’istituzione dei dazi doganali, mentre il secondo dispone che per le merci provenienti dall’estero, si deve adottare una tariffa doganale comune.
Sempre con riguardo ai divieti gli art. 90-91-92 affermano l’illegittimità di ogni discriminazione tra prodotti nazionali e prodotti degli stati membri attraverso l’applicazione di diverse imposizioni interne.
Inoltre il trattato prevede all’art 87 l’incompatibilità degli aiuti di stato con il mercato comune, nella misura in cui essi minaccino di falsare la concorrenza.
Tramite un interpretazione dinamica dei principi di libera circolazione dei lavoratori (art.39) e libertà di stabilimento (art.43), si è giunti a ritenere in contrasto con i principi comunitari quelle legislazioni nazionali che non riconoscono al lavoratore comunitario non residente un trattamento impositivo analogo a quello applicabile ai lavoratori residenti, ed è stata censurata, siccome contraria alla tutela della libertà di stabilimento, qualsiasi discriminazione fiscale operata dall’ordinamento dello stato membro riservando ai fini delle imposte sui redditi, un trattamento deteriore alle succursali o filiali delle società di altri stati membri rispetto a quello vigente per le società residenti.
Gli ordinamenti nazionali devono essere organici ed armonici tra loro. Attualmente il meccanismo di armonizzazione è fermo alla sola imposizione indiretta (IVA), anche se nulla impedisce in futuro di operare anche in materia di imposizione diretta. Infatti, l’art. 93 circoscrive il meccanismo delineato alla sola impostazione indiretta, principalmente con l’imposta sulla cifra d’affari (IVA), ma ciò non impedisce di convergere anche su imposte di tipo diretto giacché il successivo art.94 consente di adottare direttive volte al riavvicinamento delle disposizioni degli stati membri che abbiano un incidenza diretta.
In conclusione è bene ricordare che per quanto riguarda le deliberazioni in tema di imposte da adottare su proposta della commissione e previa consultazione del parlamento europeo, è richiesta l’unanimità, sicché è sufficiente il disaccordo di uno solo degli stati membri per paralizzare qualsiasi decisione in proposito.
2.3 L’interpretazione delle norme tributarie
Visto che le fonti del diritto tributario sono le medesime di quello privato, anche le vie interpretative sono simili. Vista la difficoltà tipica delle materie giuridiche nel trovare soluzioni concordi, l’interpretazione delle norme tributarie deve passare attraverso un processo che tenga conto delle molteplici vie che portano a definizioni univoche.
In passato l’interpretazione doveva essere o pro fisco o contro fisco nel caso di pluralità interpretative; tuttavia secondo l’art.23 della costituzione, deve essere la legge lo spartiacque interpretativo, e proprio per questo essendo la legge uguale per tutti non è accettabile che si favorisca una parte o un altra. Le teorie interpretative sono:
Criteri legali:
Criteri ausiliari:
Criteri viventi:
Le difficoltà interpretative sono particolarmente rilevanti quando si contrastano giurisprudenza, dottrina, ed indicazioni contenute nelle circolari.
Altri:
2.4 Efficacia nel tempo e nello spazio.
La legge tributaria nel tempo si comporta come quella civile, ovvero può decadere solo in due occasioni:
Nel diritto tributario, il problema dell’efficacia della legge nello spazio, è tradizionalmente risolto facendo riferimento al principio di territorialità: le norme tributarie sono valide su tutto il territorio nazionale tranne il comune di Livigno, alcune zone del lago di Lugano, ed è applicata ad alcune parti della Svizzera italiana. In alcuni casi la norma fa riferimento ad episodi accaduti al di fuori del territorio italiano: è questo il caso della successione di beni immobili presenti all’estero, i quali in caso di successione dovranno essere sottoposti alla disciplina della nazione dove ha cittadinanza il soggetto titolare dei diritti. L’aspetto della territorialità porta a delle conseguenze diverse in base al tipo di presupposto:
In alcuni casi, come le triangolazioni tra più paesi, è particolarmente difficile stabilire la territorialità.
2.5 Natura dichiarativa della disciplina.
L’accertamento, è un complesso di attività mediante le quali ottenere gli elementi di base del rapporto giuridico tributario; tale insieme è costituito dal controllo dell’agenzia delle entrate, della guardia di finanza, i verbali di autoaccertamento come la fattura o la dichiarazione dei redditi ecc...
La dottrina è solita distinguere le imposte in due categorie,
La natura dell’accertamento può essere considerata dichiarativa o costitutiva se si pensa che l’accertamento permetta di prendere atto di ciò che è costituito dalla legge (natura dichiarativa) o che l’accertamento faccia nascere il rapporto giuridico tributario (natura costitutiva), ovvero se si ritiene che il rapporto nasca nel momento in cui si verificano i fatti astrattamente previsti dalla legge o nel momento in cui avviene la dichiarazione.
A conclusione, si deve riscontrare che la cessione di un bene sul territorio, da luogo alla costituzione dell’IVA nel momento in cui si verifica il presupposto astrattamente previsto; tuttavia ci sono degli aspetti dichiarativisti in quanto fino a che non viene emessa la fattura è difficilmente riscontrabile.
3.1 Le entrate tributarie
Le entrate tributarie, sono una delle varie tipologie di entrate dello stato per fare fronte alle spese. Secondo l’art. 23-53 cost. le entrate tributarie, non possono essere utilizzate per scopi diversi a quello di copertura delle spese (no investimenti). In particolare si suole distinguere tra entrate derivanti da:
I titoli di stato non possono essere ritenuti entrate visto la loro natura transitoria di prestito.
3.2 Classificazioni.
La dottrina ha proposto una pluralità di classificazioni delle entrate:
La terza ipotesi sembra avere particolare rilevanza; infatti nei rapporti tra privati cittadini opera il principio di corrispettività, alla stregua del quale nessuno può in mancanza del proprio consenso, subire un decremento patrimoniale, e quindi essere tenuto ad una prestazione senza che vi si accompagni una controprestazione in grado di ristabilire l’equilibrio economico. Nel caso di stato e singoli cittadini, tale principio non può operare.
Tipologia di entrate
4.1 Elementi costitutivi del rapporto giuridico tributario
Il rapporto giuridico tributario è la struttura che assume il tributo nel momento in cui si applica: è formato dagli elementi soggetto attivo e passivo, presupposto oggettivo, base imponibile, aliquota.
Il rapporto giuridico, è un complesso formato da tante parti (accertamento, contenzioso, soggetti, base imponibile, ecc...) ma ha natura di unicità. Il rapporto giuridico è caratterizzato da un coacervo di diritti che fanno capo ai soggetti del rapporto, e i doveri come i diritti spettano ad entrambe le parti (attive o passive). Nel controllo il soggetto passivo ha dei diritti così come quello attivo ha degli obblighi. Nel rapporto giuridico tributario quello che sicuramente rappresenta l’obbligo più importante è l’adempimento dell’obbligazione.
L’adempimento dell’obbligazione può avvenire in moneta oppure come vuole la prassi recente, si può effettuare la compensazione (la quale ha risolto molti problemi come la gestione degli acconti IVA) nonché la possibilità di effettuare la cessione del credito tributario ad altri soggetti (anche questo ha risolto molti problemi di liquidazione fallimentare).
Si suole distinguere fra le fattispecie di esenzione e esclusione: quando ricorrono motivi che riportano a queste fattispecie non si ha luogo al pagamento del tributo.
Rappresenta il nucleo principale della fattispecie impositiva, ovvero ciò che è l’oggetto del rapporto: “Il presupposto è l’atto, fatto, negozio giuridico al manifestarsi del quale la legge d’imposta fa nascere il rapporto”. Ad esempio il presupposto dell’IRPEF è rappresentato dal possesso di un reddito, quello dell’IVA la cessione di beni/prestazioni di servizio, l’imposta di registro nasce con la compravendita, stipula di un contratto ecc.... Un esempio contrario può essere rappresentato dal rimborso del danno psicologico, il quale non è accettato come reddito in quanto fa seguito ad un ripristino di danno subito. Si riscontra sovente che il verificarsi del presupposto determina l’insorgenza di una serie di obblighi formali e strumentali, pur in mancanza della base imponibile e quindi di una compiuta realizzazione della fattispecie impositiva, al fine di consentire ai competenti uffici finanziari di procedere all’espletamento dell’attività di controllo.
Da un punto di vista tecnico, il presupposto e la sua determinazione sono competenza della scienza delle finanze, in quanto tale oggetto necessita di analisi economiche prima che giuridiche.
Costituisce il parametro di commisurazione del tributo così come individuato e delimitato dalla situazione che configura e realizza il presupposto del tributo medesimo. I criteri di quantificazione sono:
Tutti gli elementi della fattispecie impositiva (presupposto, base imponibile, soggetto attivo e passivo, aliquota) necessitano di un’attività individuale di identificazione da parte del soggetto passivo denominata autoaccertamento, nonché da una attività di controllo da parte del soggetto passivo (ovvero dell’amministrazione finanziaria) definita accertamento. Qualora l’attività accertativa dia esiti negativi, si procede alla irrogazione di sanzioni; il soggetto passivo può allora avere tutela giuridica in sede di contenzioso, oppure può utilizzare strumenti deflativi volti alla conciliazione. Ma vediamo in maggiore dettaglio i soggetti che intervengono in questo processo.
Il soggetto attivo d’imposta ovvero il creditore della prestazione è “Titolare del potere di controllo e riscossione, anche se poi non necessariamente trattiene la disponibilità del tributo”. A chi va poi il tributo a noi non interessa in quanto è un processo successivo di distribuzione.
Dovendosi ravvisare il fondamento della potestà di istituire i tributi nella sovranità originaria o derivata, diventa inevitabile che il soggetto attivo di imposta si identifichi di regola nello stato o nell’ente pubblico esponenziale dell’ordinamento collegato con quello statuale. Tuttavia, come già ricordato, l’ente impositore creditore d’imposta, non sempre è l’integrale ed esclusivo beneficiario del gettito finanziario: in altri termini, il beneficiario del tributo (stato, regioni, enti locali, comunità europea) rimane estraneo al rapporto d’imposta, divenendo semplicemente titolare di una pretesa creditoria nei confronti dell’ente impositore (amministrazione finanziaria). I tratti peculiari del credito d’imposta, in particolare il suo diretto collegamento con la sovranità e la sua conseguente natura pubblicistica, ne comportano il carattere strettamente personale; ne discende, salva diversa disposizione della legge tributaria, che il credito stesso (stato/amministrazione finanziaria) non è suscettibile di cessione, e che neppure possono essere trasferiti a terzi, in mancanza di analoga esplicita previsione legislativa, i poteri di cui è titolare l’ente impositore (creditore del tributo) in tema di accertamento e riscossione. Le deroghe alla incedibilità sono sempre state molto rare, mentre più frequenti sono viceversa i casi in cui, ferma la titolarità del credito in capo all’ente impositore, l’attuazione del rapporto obbligatorio, viene affidata in parte a soggetti diversi. Il più delle volte, il coinvolgimento del terzo nella fase predetta concerne il solo momento della riscossione, attraverso il sistema di concessionari imperniato sull’iscrizione a ruolo.
All’Agenzia delle entrate, è assegnata la competenza esclusiva di 1) attuare le principali imposte erariali, 2) informazione preventiva ai contribuenti, 3) coordinazione della azione degli uffici, 4) riscossione delle entrate tributarie, 5) gestione dei rimborsi, 6) individuazione del contribuente, 7) contraddittorio con il contribuente ed emanazione dell’avviso di accertamento, 8) accertamento, 9) conciliazione, 10) irrogazione di sanzioni. Tra direzione generale delle agenzie e ministero non c’è un rapporto diretto, ma solo contrattuale, anche se dal momento che il suo direttore viene da esso nominato, appare evidente che da esso dipende. L’agenzia ha una serie di compiti delicati di indirizzo, accertamento, emanazioni di circolari interpretative (le quali come già ricordato non sono fonti di produzione ma disattenderle comporta sicuramente la contestazione); giova ricordare che oltre alle circolari, hanno valore anche i comunicati stampa, le dichiarazioni ed i convegni. La direzione regionale delle entrate coordina i vari uffici periferici della regione di appartenenza, svolge attività di controllo sia generico che diretto, inoltre il direttore dell’agenzia regionale è l’unico assieme alla guardia di finanza che può autorizzare il controllo presso gli istituti di credito. Sotto ci sono gli uffici periferici dell’Agenzia delle entrate, dislocati sul territorio in base alla densità dei soggetti passivi, ed hanno competenza piena senza distinzione di materia. Quando negli anni precedenti alla riforma c’era un ufficio per ogni tipologia di tributo il servizio offerto aveva una natura più specialistica, ma portava anche a difficoltà di coordinamento tra uffici; tale conflitto non derivava solo dalla disorganizzazione, ma soprattutto dalla differenza di materia trattata.
Da gennaio, le agenzie locali e la competenza rimarranno, ma saranno private della capacità di accertamento (controllo), la quale verrà devoluta ad un nuovo organo intermedio tra agenzie locali e direzione regionale con rilevanza provinciale.
Oggi il potere accertativo come atto finale che modifica la posizione del soggetto passivo spetta alle agenzie locali (non lo possono fare la direzione generale, ne il ministero, ne la guardia di finanza); tutti gli organi possono effettuare controlli e verbalizzare l’atteggiamento illegittimo, ma solo l’agenzia locale può modificare la posizione del soggetto passivo.
Appendice sub 4.1.1: Il concessionario di riscossione.
La riscossione non è necessariamente il momento finale del rapporto giuridico tributario (infatti può succedere che non si paghi in virtù della compensazione, della mancanza di reddito, oppure per la confusione tra patrimonio del debitore e del creditore); tuttavia qualora è previsto il pagamento e il debitore non adempie spontaneamente, la riscossione verrà affidata al concessionario, il quale si incarica del recupero del credito anche in maniera coattiva. L’indagine va compiuta tenendo distinti i tributi diretti da quelli indiretti, poiché la disciplina si atteggia diversamente in relazione ai primi ed ai secondi.
Qualche cenno merita il processo evolutivo:
Prima riforma: nel 1997 sono state effettuate le prime modifiche; il legislatore si è mosso nell’ordine di idee di un recupero del ruolo dell’amministrazione finanziaria quale destinatario immediato dell’adempimento spontaneo, sia pure attraverso l’ausilio di una rete di determinati soggetti incaricati della riscossione (banche, poste) nella volontà di ridurre l’influenza dei concessionari, trasformandoli da polmoni finanziari che garantiscono l’acquisizione anticipata del gettito fiscale, in operatore specializzato nel recupero crediti. Sennonché, sotto la spinta della necessità di non creare crisi occupazionali si è provveduto a mantenere in vita i concessionari in sede di riscossione spontanea ponendolo sullo stesso piano degli altri ausiliari. Per l’appunto in tale contesto si collocano l’abolizione dell’obbligo posto a carico dei concessionari del riscosso/non riscosso e della distinzione dei compensi da riscossioni su pagamenti spontanei o coattivi.
Seconda riforma: a partire dal 2005 si è affidata a Equitalia s.p.a. la concessione delle riscossioni; è stato stabilito che quest’ultima società addivenga all’acquisto delle società finora concessionarie del servizio della riscossione, le quali continueranno ad operare come agenti della riscossione sotto il controllo dell’agenzia delle entrate.
Il ruolo è un elenco dei crediti da riscuotere redatto dagli uffici periferici e vidimato dal funzionario regionale che lo rende così esecutivo; successivamente tale atto che assume forma di mandato viene trasmesso al concessionario con tutte le motivazioni della riscossione. Il ruolo è un titolo valido per la riscossione e non necessita dell’autorizzazione di un processo; quindi ha il pari di una cambiale e la notifica del pagamento se è effettuata sulla base del ruolo non può essere impugnata. Il contrario del ruolo è lo sgravio, ovvero quella procedura attraverso la quale il soggetto attivo elimina il titolo della riscossione. Se non c’è adempimento spontaneo si passa al pignoramento/ipoteca; se nel passato questa misura cautelativa avveniva molto tempo dopo, oggi avvengono immediatamente quando non si procede al pagamento della cartella esattoriale.
L’ordinamento attuale prevede che ci sia una iscrizione provvisoria al ruolo (pagamento immediato di mezza richiesta) il quale comporta che il soggetto passivo si trovi a pagare una parte anche prima dell’impugnazione della cartella in sede giudiziaria.
Si può chiedere la sospensione cautelare che ordini la sospensione degli atti esecutivi di pignoramento/ipoteca. La commissione li accetta se sussiste :
4.4.2 Soggetto passivo
I soggetti passivi del tributo devono ritenersi coloro che sono tenuti ad effettuare la prestazione a titolo di capacità contributiva nei confronti del soggetto attivo creditore d’imposta, e nei cui riguardi il secondo può agire, se del caso in via coattiva, per la realizzazione della sua pretesa. Al soggetto passivo fanno carico obblighi di natura
Si deve tuttavia prendere atto che nell’ambito del diritto tributario vengono in considerazione ulteriori categorie di soggetti, variamente denominati e pur essi coinvolti nell’adempimento della prestazione impositiva:
Il legislatore si trova spesso ad essere vincolato nella identificazione di coloro cui imputare la prestazione d’imposta; a volte il problema è da escludere, come ad esempio il caso delle imposte che colpiscono il possesso di un reddito o di un patrimonio; altre volte, viceversa, l’oggetto imponibile è tale per cui la capacità contributiva è riferibile ad una pluralità di soggetti. In tale caso il legislatore può attribuire la soggettività passiva a tutti o soltanto alcuni di costoro; è il caso dell’imposta di registro in ordine alla quale la regola accolta è quella per cui soggetti passivi sono tutte le parti dell’atto per cui si realizza il presupposto.
Appendice sub 4.4.2: la traslazione dell’onere impositivo.
I soggetti passivi del tributo vengono definiti anche contribuenti di diritto per distinguerli dai così detti contribuenti di fatto: vale a dire da coloro sui quali l’onere finanziario, in cui si traduce la prestazione impositiva, viene ad essere riversato dal soggetto tenuto per legge ad effettuarla e che pertanto sono gravati in via definitiva da detto onere (traslazione d’imposta). Nella maggioranza dei casi il legislatore tributario si disinteressa completamente della vicenda, la quale viene a dipendere o dal gioco delle regole di mercato oppure dallo specifico assetto negoziale impresso al riguardo dalle parti del rapporto dal quale scaturisce o al quale si collega il prelievo tributario.
L’IVA indetraibile è un esempio di traslazione occulta nel quale anche se gli ultimi livelli possono beneficiare della detrazione, il primo no; ma allora questo lo riverbera sul prezzo di vendita.
Appendice sub 4.4.2: il sostituto d’imposta.
Il sostituto d’imposta è il più importante tra i soggetti che concorrono al pagamento del debito tributario, sia per la casistica che per il gettito effettivo. È colui che in forza di disposizioni di legge deve provvedere per nome e per conto del sostituito a versare il contributo. La sostituzione tributaria trova il suo campo di applicazione esclusivamente nel settore delle imposte dirette ed in particolare delle imposte sui redditi; infatti si è rilevato come le resistenze psicologiche al versamento attraverso il sostituto siano inferiori. Ad esempio il datore di lavoro paga le tasse per conto del dipendente effettuando la ritenuta direttamente sullo stipendio; tale meccanismo vige anche nel lavoro autonomo, nel quale è il professionista ad agire da sostituto.
La ritenuta, può essere a titolo di:
Le ritenute alla fonte a titolo di acconto sono soggette al seguente meccanismo: il sostituto, di regola all’atto del pagamento della somma costituente reddito per il sostituito, opera la ritenuta cui è obbligato per legge, provvedendo a versarne l’importo all’ente impositore.
A sua volta il sostituito, non solo deve registrare il reddito in questione nelle proprie scritture (in caso di dipendenti da lavoro autonomo), deve comprendere lo stesso nella dichiarazione tributaria annuale.
Pertanto il sostituito, nel procedere all’autoliquidazione dell’imposta dovuta sulla base della propria dichiarazione, non può non tener conto dei redditi sottoposti a ritenuta con questa alternativa: se egli ha regolarmente subito la ritenuta, ne scomputa l’ammontare dall’imposta che è tenuto a corrispondere in base al dichiarato, avvalendosi del certificato che il sostituto deve rilasciargli, in modo tale che egli non venga a sopportare due volte l’onere impositivo; in tale modo può configurarsi o un residuo di debito o di credito o nessun dei due. Se viceversa la ritenuta non viene effettuata dal sostituto, il sostituito non può scomputarne l’importo in sede di dichiarazione annuale, e quindi deve corrispondere integralmente l’imposta sui propri redditi, ivi compresi quelli per i quali è prevista la ritenuta non effettuata.
Non è comunque possibile considerare il sostituito estraniato completamente dal rapporto impositivo; il medesimo resta obbligato al pagamento del tributo sia quando non abbia subito la ritenuta, sia quando la ritenuta non copra del tutto il debito d’imposta; il problema è particolarmente sentito per quanto riguarda le società fallite, infatti da quattro/cinque anni a questa parte sono stati molti i sostituiti chiamati a pagare. La ritenuta del 20% sul lordo effettuata dai professionisti, è un esempio ritenuta a titolo di acconto. Per i dipendenti, il calcolo viene effettuato dal consulente in maniera esatta sull’annuale; se non ha altri redditi diventa definitiva, altrimenti anche questa è di acconto.
Quando la ritenuta è stabilita a titolo d’imposta, il reddituario sostituito è esonerato dall’adempimento degli obblighi strumentali che fanno capo al contribuente soggetto passivo d’imposta. Se il sostituito ha subito la ritenuta, egli non può essere compulsato dall’amministrazione finanziaria: la situazione è analoga a quella che ricorre nella ritenuta a titolo di acconto poiché se così non fosse, il sostituito finirebbe col rimanere esposto a subire il prelievo una seconda volta. Qualora invece la ritenuta sia stata omessa, il reddituario sostituito risponde dell’adempimento dell’obbligazione d’imposta in via solidale con il sostituto.
La capacità contributiva del sostituto è data dalla capacità di disporre della ricchezza generata dal sostituito; l’omesso versamento, è sanzionato ma non è considerato appropriazione indebita (infatti non è che il sostituto si appropri poiché i soldi sono in sua disponibilità).
Gli obblighi del sostituto sono in primo luogo tanto gli obblighi contabili quanto quelli aventi ad oggetto la presentazione di apposita dichiarazione, preordinati ad agevolare l’accertamento del tributo.
I diritti del sostituito in particolare fanno riferimento al beneficiare della ritenuta effettuata dal sostituto attraverso la ritenuta di una parte della somma a lui dovuta.
Appendice sub 4.4.2: il responsabile d’imposta
Il responsabile è “colui il quale è tenuto al pagamento del tributo insieme con altri, per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a questi, nei confronti dei quali ha diritto di rivalersi”. Rispetto alla figura del sostituto, ha in comune l’estraneità al fatto indice di capacità contributiva, ma si differenzia perché esso è tenuto a pagare il tributo non in luogo del contribuente, bensì in aggiunta al medesimo. La figura del responsabile, ricorre tutte le volte in cui la legge allo scopo di meglio assicurare il soddisfacimento della pretesa erariale, chiama a rispondere dell’adempimento del tributo, in una con il soggetto passivo dell’imposta, altri soggetti ai quali non è riferibile la fattispecie imponibile e che diventano pertanto titolari di una propria autonoma obbligazione nei confronti della finanza: è il caso ad esempio del notaio che deve versare il tributo di registro al deposito dell’atto.
Il responsabile, non essendo a lui riferibile la manifestazione di capacità contributiva colpita dal tributo, non è suscettibile di assumere la veste di titolare di un’obbligazione, pena l’incostituzionalità della norma da cui scaturisce; quindi il responsabile è dunque titolare di un obbligazione il cui titolo è da ravvisare non nella capacità contributiva, bensì in una forma di garanzia circa il puntuale ed esatto adempimento della prestazione impositiva. Facendo un passo indietro è utile a questo proposito ricordare che il sostituto d’imposta trae la propria capacità contributiva nella disponibilità della ricchezza del sostituto; per il responsabile invece la manifestazione della capacità contributiva è derivante dal diritto di avere un compenso (il notaio si può rifiutare di registrare l’atto se il cliente non da le idonee garanzie di pagamento).
Appendice sub 4.4.2: il solidale d’imposta
La solidarietà passiva è strutturalmente simile al responsabile d’imposta, ma si differenzia in quanto vede più soggetti chiamati ad adempiere; ricorre quando “più debitori sono tutti obbligati per la medesima prestazione in modo che ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento dell’uno libera gli altri”. Nella fattispecie della compravendita, sia il compratore che il venditore sono solidali; prassi vuole che il tributo di registro sia a carico dell’acquirente, ma c’è solidarietà qualora esso non provveda all’adempimento.
Facendo riferimento alla classificazione di imposta precedentemente vista (principale – suppletiva – complementare) è possibile notare una differenza sostanziale tra il responsabile, il quale è coinvolto solo ed esclusivamente nell’adempimento dell’imposta principale, ed il solidale che invece chiama a rispondere tutti i soggetti coinvolti in ogni caso.
La solidarietà è una situazione di difficile interpretazione; nel caso ad esempio di compravendita di azienda si deve effettuare un’attenta operazione di dew diligence (ricognizione della situazione aziendale) volta ad individuare eventuali differenze di valore tra l’atto d’acquisto ed il valore contabile, o eventuali situazioni contributive irrisolte. Infatti per i tributi pregressi il compratore può richiedere un certificato dell’amministrazione finanziaria che attesta l’assenza di pendenze, mentre invece nel caso di differenza di valore dichiarato, il compratore può essere chiamato ad adempiere al posto del venditore qualora esso si sia dileguato. Eventuali esecutività sui beni aziendali (ipoteca) invece non possono essere garantiti in sede di acquisizione.
Per quanto riguarda la parte processuale tutti i solidali devono ricevere l’avviso d’accertamento; fino a qualche anno fa invece vigeva la supersolidarietà, la quale prevedeva che l’amministrazione finanziaria potesse comunicare ad uno solo dei solidali perché tutti fossero investiti dal R.G.T. (quindi era tenuto a rispondere anche chi non ne era venuto a conoscenza).
Appendice sub 4.4.2: la capacità giuridica.
La capacità giuridica “conferisce al soggetto dalla quale è investita, la titolarità dei diritti”. Essa non è coincidente con quella civile, in quanto ci sono molti soggetti con capacità giuridica tributaria ma non civile; pertanto appare chiaro come i soggetti che dispongono della capacità giuridica tributaria siano più numerosi di quelli con capacità giuridica civile.
Appendice sub 4.4.2: la capacità di agire.
Per quanto riguarda la capacità di agire invece la trattazione è uguale a quella civile; infatti essa rappresenta la “capacità del soggetto di esercitare le posizioni giuridiche soggettive di cui egli sia titolare”. Come nella capacità civile d’agire sono rinvenibili situazioni in cui colui che ha la capacità giuridica è tuttavia privo della capacità d’agire o la possiede in misura limitata, cosicché soccorre l’intervento sostitutivo di un rappresentante legale. Ci riferiamo in particolare al minore ed all’interdetto, rappresentati nel compimento di tutti gli atti giudiziari inerenti la loro sfera soggettiva dal genitore o dal tutore; al minore emancipato ed all’inabilitato, che limitatamente agli atti straordinari necessitano dell’assistenza del curatore.
Diversa è la situazione del fallito, essendo la dottrina orientata a ritenere che il curatore fallimentare non possa considerarsi in realtà il rappresentante legale del soggetto sottoposto a siffatta procedura, in quanto il patrimonio è gestito dal curatore in sede processuale, ma la parte penale viene svolta dalla stesa persona tramite gli avvocati. Se vi è un inerzia da parte del curatore che procura deficienze, il soggetto passivo può ricorrere per chiedere i danni; infatti se l’azienda ritorna in bonis dopo l’avvio della procedura e si trova in difficoltà tributarie dovute alla negligenza del curatore, il soggetto passivo può rivalersi contro il curatore.
Appendice sub 4.4.2: il domicilio fiscale.
Mentre in passato c’erano difficoltà nell’individuazione, oggi questa operazione è molto semplice.
5.1 La dichiarazione: effetti e natura
Ci si è domandati se la dichiarazione sia un negozio o una mera dichiarazione di scienza; e la risposta al quesito, ad opera della dottrina e della giurisprudenza prevalenti, è stata a favore della seconda. Il linguaggio giuridico sostiene che le dichiarazioni di scienza sono atti attraverso i quali il soggetto dichiara di avere conoscenza di un fatto giuridico (così ad esempio, la dichiarazione con la quale il creditore dichiara di aver ricevuto il pagamento del proprio credito; così allo stesso modo la confessione, che è la dichiarazione di fatti a se sfavorevoli e favorevoli ad altri). L’effetto delle dichiarazioni di scienza non è come per le dichiarazioni di volontà (es. contratti), di costituire o modificare o estinguere rapporti giuridici, ma è di provare l’esistenza di fatti giuridici.
Se ci si muove nell’ordine di idee della tesi costitutiva, rinnegando peraltro la fonte legale di detta obbligazione, non è poi azzardato avanzare l’ipotesi che a tale atto sia rapportabile la nascita dell’obbligazione medesima, per la parte corrispondente agli imponibili medesimi, assumendo così sotto questo aspetto valenza negoziale.
È altrettanto evidente viceversa che quando si sposi, come abbiamo fatto noi, l’opposta tesi dichiarativa, l’esclusione di siffatta valenza a favore di quella riguardante la dichiarazione di scienza è evidente; infatti il regime e la produzione dell’effetto rappresentato dal rapporto obbligatorio, sono direttamente rapportabili alla norma impositiva.
Posto che la dichiarazione tributaria si risolve in una semplice dichiarazione di scienza, allora è senz’altro astrattamente possibile che l’atto medesimo assurga al rango di confessione (stragiudiziale) qualora in esso siano riversate ammissioni in fatto del contribuente-dichiarante a lui sfavorevoli. D’altra parte, allorché si parla di dichiarazione di scienza, si dice ciò che la dichiarazione tributaria non è (non è infatti atto di volontà negoziale).
Orbene la dichiarazione contiene :
Ecco dunque evidenziarsi altrettanti e corrispondenti effetti che la dichiarazione del contribuente concorre a produrre e cioè, rispettivamente la fissazione della base imponibile, del regime del rapporto obbligatorio d’imposta e dell’ammontare del tributo dovuto.
Si può affermare che, alla stregua di quanto detto, questo non è un atto negoziale, bensì un mero atto giuridico, cioè per l’appunto atto costitutivo non degli effetti, ma bensì della relativa fattispecie legale.
Sappiamo altresì che la dichiarazione a volte reca l’indicazione di elementi e circostanze di fatto, considerate dalla legge notizie utili per l’amministrazione finanziaria ai fini della sua attività di controllo; trattasi quindi di mere dichiarazioni di scienza o verità che, come tali, nel mentre sono improduttive di effetti sostanziali, possono al più e se del caso rilevare in ambito processuale quali confessioni stragiudiziali, al pari del resto di tutte le altre ammissioni in fatto sfavorevoli al contribuente da lui inserite in dichiarazione
5.2 La modifica della dichiarazione
Converrà in questa sede distinguere tra limiti interni e limiti esterni che possono frapporsi ai c.d. errori in fatto o in diritto dai quali sia affetta la dichiarazione medesima: si intende per limiti esterni quelli che scaturiscono dalla previsione di specifiche norme sostanziali e processuali, mentre per limiti interni quelli discendenti dall’efficacia e dalla natura dell’atto.
Orbene nessun limite interno incontra il contribuente allorché intenda modificare le valutazioni e qualificazioni giuridiche; se è vero che siamo in presenza di meri atti giuridici, come tali costitutivi di fattispecie giuridiche e non di effetti, ne consegue che nessun vincolo può discenderne quanto al regime in diritto della fattispecie medesima.
Viceversa sussistono i limiti che abbiamo definiti esterni e che attengono all’osservanza dei termini di decadenza per l’esercizio di diritto al rimborso delle somme pagate in più del dovuto; vanno altresì annoverati fra i limiti in questione, quelli afferenti la disciplina dell’IVA, alla stregua della quale il contribuente perde il diritto alle detrazioni non esercitate entro il termine stabilito dalla legge.
Più complesso ed articolato risulta il discorso in ordine alla rettifica della dichiarazione con riguardo agli elementi e circostanze di fatto omessi o a quelli indicati in modo non corrispondente alla realtà. Invero, e rispetto ai limiti interni, siamo propensi ad escludere la sussistenza quanto al primo caso (elementi o circostanze omesse) facendo nuovamente leva sulla qualificazione dell’atto di cui trattasi in termini di mero atto giuridico. Passando ai limiti esterni il legislatore tributario è sempre più frequentemente intervenuto per dettare norme le quali individuano nella dichiarazione la sede esclusiva dove addurre ed in certi casi addirittura comprovare, a pena di inammissibilità, situazioni di fatto ridondanti a favore del contribuente sotto il profilo della determinazione dell’imponibile; siffatte norme andrebbero intese, come esplicitazione di un più generale principio comportante un divieto assoluto per il contribuente di addurre a proprio favore fatti ulteriori rispetto a quelli ricompresi nella dichiarazione, una volta scaduto il termine per la sua presentazione. Per quanto riguarda l’ipotesi della difformità delle circostanze ed elementi di fatto dichiarati rispetto al reale, non si può trascurare che ci si trova il più delle volte ad ammissioni sfavorevoli al dichiarante; si ritiene che l’indisponibilità non sussista per il contribuente, talché le sue confessioni, in applicazione dei principi di autoresponsabilità del dichiarante e di affidamento del terzo destinatario (della dichiarazione confessoria), sono soggette soltanto alla revoca nei limiti di cui all’art.2732 c.c. e cioè soltanto se la divergenza fra il fatto e la realtà effettiva sia inconsapevole in quanto dovuta ad errore di fatto o violenza.
Il quadro delineato non può ritenersi superato alla luce del d.p.r. 322/1998 il quale stabilisce che “le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o comunque di un maggior debito d’imposta o di un minor credito mediante dichiarazione da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo”. Detta disposizione si ricollega alla facoltà di emettere nell’ulteriore e circoscritto termine ivi previsto una nuova dichiarazione, integrativa o sostitutiva di quella presentata in precedenza nel termine stabilito a regime alla quale vengono riconosciute validità ed efficacia.
6.1 I controlli: criteri e modalità
Parlando di controlli, intendiamo riferirci all’attività posta in essere dagli organi dell’amministrazione finanziaria consistente nella verifica circa l’esatto adempimento degli obblighi (formali e strumentali) e delle obbligazioni (d’imposta, tributarie, accessorie e connesse) gravanti sui contribuenti o sui terzi; ciò al fine di assicurare il concreto ed effettivo soddisfacimento dell’interesse pubblico sia all’attuazione del prelievo, che alla repressione dei comportamenti illeciti eventualmente consumati (con la conseguente irrogazione delle sanzioni amministrative e penali).
6.2 Soggetti e strumenti
Titolari della potestà di controllo sono:
Per quanto riguarda gli strumenti di indagine a disposizione della pubblica amministrazione, essi sono classificati in base a criteri di incisività:
Il materiale probatorio acquisito in maniera illegittima (ad esempio senza le necessarie autorizzazioni in caso di accesso istruzione verifica), non può essere utilizzato in sede processuale; tale principio trova conferma anche nel caso in cui il soggetto leso dall’esercizio non conforme a legge dei poteri istruttori, sia un soggetto terzo rispetto al rapporto d’imposta. Quando invece si ha l’autorizzazione e si scoprono documentazioni riguardanti altri casi , allora tali documenti possono essere utilizzati in altri processi.
Appendice sub 6.2.1: l’accesso istruzione verifica
L’accesso consiste nell’ingresso e permanenza, anche contro la volontà dell’interessato, in locali ed ambienti; l’ispezione ha ad oggetto le scritture contabili e tutta la documentazione rilevante ai fini impositivi allo scopo di controllare la regolarità formale e la veridicità del contenuto; la verifica designa invece il controllo concernente entità, consistenza e qualità degli elementi utilizzati nella attività economica (personale, macchinari, magazzino ecc...).
Occorre in ogni caso l’autorizzazione del procuratore della repubblica quando l’attività di ricerca comporta la necessità di effettuare perquisizione personali o l’apertura coattiva di plichi sigillati, borse, casseforti, ripostigli e simili, o quando essa si estrinseca nell’esame di documenti relativamente ai quali viene eccepito il segreto professionale.
Di ogni accesso deve essere redatto processo verbale di constatazione (PVC) dal quale debbono risultare la descrizione analitica delle operazioni compiute, nonché l’esposizione dei rilievi effettuati e l’individuazione delle sanzioni applicabili. I verbali devono essere sottoscritti dal contribuente o in caso contrario, riportare il motivo della mancata sottoscrizione da parte di esso. Il PVC ha solo funzione di constatare, ma non fa nascere ne obbligazioni, ne sanzioni; esse infatti saranno eventualmente rilevate dall’accertamento. Il PVC per un certo periodo è stato particolarmente importante, in quanto esso era il fondamento di una eventuale conciliazione preventiva; tuttavia ha gradualmente perso di importanza. Ad oggi la funzione più rilevante, è rappresentata dal fatto che esso rappresenta la data di avvio per la decorrenza del termine di 60 gg. entro il quale presentare le memorie difensive all’agenzia delle entrate.
La disciplina è stata integrata dalla legge 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente), la quale stabilisce che:
Appendice sub 6.2.1: i controlli finanziari.
In Italia il segreto bancario è soltanto apparente, in quanto a partire dagli anni 70’ sono state varate una serie di norme che ne hanno ridotto la portata. In particolare l’Amm. Fin. o la G.d.f. potevano accedere ai controlli quando 1) il soggetto passivo avesse indice di rilevante illiceità fiscale, 2) l’organo preposto al controllo detenesse l’autorizzazione di un organo esterno.
In seguito sono state introdotte norme ancora più favorevoli agli organi di controllo, i quali ad oggi necessitano solo dell’autorizzazione del direttore regionale delle entrate o alternativamente del comando della G.d.f. per effettuare il controllo. Inoltre per ottenere tale autorizzazione, non è necessario alcun requisito prodromico; questo significa che la possibilità di eseguire controlli finanziari sottostà soltanto a valutazioni interne. In buona sostanza si tratta quindi di un mero atto di discrezionalità amministrativa, che lascia il soggetto passivo privo di qualsiasi strumento di contrasto. Il controllo bancario è estremamente premiante, in quanto palesa in maniera evidente il comportamento illecito. I rapporti bancari fuori conto (ovvero quelli che non passano sul conto corrente), fino a pochi anni fa non erano ancora stati posti sotto controllo; tuttavia le riforme più recenti li hanno sottoposti a verifica (basti pensare agli assegni bancari ad incasso diretto).
Per agevolare le funzioni di controllo è stata creata una anagrafe fiscale la quale riporta tutti i rapporti che intervengono tra i cittadini/imprese attraverso i Codici Fiscali e le varie Banche.
La disciplina è basata sul meccanismo delle presunzioni; infatti è previsto che tutte le operazioni di versamento effettuate dal soggetto passivo e delle quali lo stesso non è capace di porre giustificazione sono da considerarsi in nero. Questa presunzione negativa è da ritenersi accettabile; tuttavia esiste un altra fattispecie presuntiva di carattere positivo la quale risulta meno comprensibile, ovvero le operazioni di prelevamento. Quindi sia operazioni in entrata che in uscita delle quali il soggetto passivo non è in grado di fornire adeguate giustificazioni sono da ritenersi in nero. L’applicazione di questa norma può essere estesa anche ai conti correnti intestati al coniuge ed ai parenti più stretti del titolare d’impresa.
6.3 Esiti del controllo.
A seguito del controllo possono rilevarsi due possibilità: può darsi che l’Amm. Fin. constati il puntuale e fedele adempimento degli obblighi e delle obbligazioni ad opera dei soggetti sui quali incombono. In questi casi è naturale che la procedura di accertamento si arresti ed in specie non segua l’emanazione di alcun atto da parte dell’amministrazione finanziaria volto al recupero dell’imposta/erogazione di sanzioni.
Per contro, quando si rileva che la situazione sia del tutto o in parte diversa da quella sopra ipotizzata, diventa inevitabile l’emanazione di uno o più dei seguenti atti:
7.1 L’accertamento.
Il d.p.r. 600/1973 (cui si farà d’ora in avanti implicito riferimento), prevede la notifica di avvisi, sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato da lui delegato, al fine di portare a conoscenza dei contribuenti l’accertamento in rettifica della dichiarazione presentata e l’accertamento d’ufficio posto in essere allorquando la dichiarazione sia stata indebitamente omessa o sia nulla. L’avviso di accertamento deve recare l’indicazione dell’imponibile e degli importi accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate; inoltre deve essere motivato in relazione ai presupposti ed alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato. L’avviso di accertamento è affetto da nullità qualora manchino la sottoscrizione, le indicazioni e la motivazione di cui sopra.
7.2 Reiterazione del potere accertativo
La rettifica avviene allorquando il reddito complessivo dichiarato risulta inferiore a quello effettivo o non sussistono o non spettano, in tutto o in parte le deduzioni dal reddito o le detrazioni di imposta indicate nella dichiarazione.
L’avviso di accertamento costituisce lo strumento necessario onde addivenire alla rettifica, tanto dell’imponibile quanto dell’imposta come determinati in seno alla dichiarazione; questo assetto, esprime il principio generale della unicità del potere accertativo; la ratio di tale principio è da ritrovarsi nella lesione della facoltà di difesa (ovvero il fatto di dover sostenere più volte in costi e disagi derivanti dal manifestarsi di più atti). Tuttavia, tale principio è stato scardinato in parte ad opera di successive disposizioni, secondo le quali l’atto accertativo può venire reiterato quando ricorrono i principi sanciti dagli art. 36 bis/ter, 41 bis, 43, ovvero in sede di verifica cartolare, di accertamento parziale o di accertamento integrativo/modificativo da parte dell’amministrazione finanziaria.
7.2.1 Il controllo cartolare della dichiarazione
Esiste un altro fatto collegato al controllo cartolare; l’art. 36 bis/ter costituiscono eccezione alla regola generale in quanto, la notifica della cartella di pagamento costituisce un atto in base al quale si richiede il pagamento e si istituisce l’accertamento. Quindi nel momento in cui arriva una cartella di pagamento, è omessa la necessità di costituire l’accertamento; si può quindi iscrivere a ruolo senza passare dalle fasi di controllo e contestazione.
7.2.2 L’accertamento parziale.
L’accertamento parziale è una ulteriore ipotesi di reiterazione dell’accertamento, e può essere fatto solo nei casi particolari previsti dall’art. 41 bis sempre del d.p.r. 600/1973:
I competenti uffici dell’agenzia delle entrate, qualora emergono elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni non spettanti, possono limitarsi ad accertare il reddito o il maggior reddito imponibili.
7.2.3 L’accertamento integrativo e modificativo.
Secondo l’art. 43, l’avviso di accertamento già notificato al contribuente può (entro i termini decadenziali indicati) essere integrato o modificato in aumento, purché il nuovo avviso sia fondato sulla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Il requisito della novità deve essere così interpretato: si deve considerare nuovo ogni elemento che la normale diligenza avrebbe potuto ignorare.
7.3 L’accertamento in rettifica: metodo analitico, sintetico, induttivo.
7.4 L’accertamento d’ufficio.
Viene posto in essere dalla finanza nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di nullità della stessa; l’ufficio determina il reddito complessivo del contribuente sulla base dei dati o delle notizie raccolti o venuti a sua conoscenza, con la facoltà di avvalersi anche di presunzioni.
7.5 Presupposti, requisiti e vizi dell’avviso di accertamento
Costituisce presupposto generico dell’avviso di accertamento, la competenza dell’organo dell’Amm. Fin. dal quale esso promana, ovvero la cessione del potere accertativo all’ufficio nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto obbligato alla dichiarazione.
Non è invece annoverabile fra i presupposti dell’atto in questione, il rispetto dei termini perentori entro i quali devono essere presentati gli avvisi di accertamento (invero la mancata osservanza di tali termini assurge a causa di estinzione della pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria).
Per quanto riguarda invece i presupposti specifici, tali possono essere le situazioni alle quali è collegata la facoltà di procedere all’accertamento extracontabile, integrativo o modificativo ed infine agli accertamenti parziali.
Passando ai requisiti dell’avviso di accertamento, particolare rilevanza assume quello costituito dalla motivazione (vedi appendice successiva).
Per quanto riguarda i vizi, nell’ipotesi di mancanza della sottoscrizione, delle indicazioni e delle motivazioni prescritte vi si collega la sanzione di nullità.
Appendice sub 7.5: l’obbligo di motivazione
La motivazione dell’avviso di accertamento è l’indicazione delle ragioni in fatto ed in diritto poste a fondamento dell’atto medesimo. La motivazione viene riferita non solo alla determinazione dei singoli redditi delle varie categorie ed al mancato riconoscimento delle deduzioni/detrazioni, ma anche ed ancor prima, alla individuazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato, nonché alla specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi e sintetici
L’esplicazione della motivazione risponde a esigenze di natura
Si disserta in dottrina sulla differenza tra motivazione e prova: la motivazione è l'indicazione delle ragioni per le quali si procede alla rettifica, mentre la prova è l'esistenza degli elementi che convincano della motivazione. Tuttavia tale questione deve ritenersi irrilevante, in quanto si nota come i due concetti siano strettamente legati
Se l'Amm. Fin. presenta una accertamento senza motivazioni, allora il contribuente è autorizzato ad avviare il contenzioso: sorge spontaneo chiedersi se può l'Amm. fornire spiegazioni a suffragio della sua tesi e portare nuovi elementi. La risposta è no perché altrimenti si viola il diritto alla difesa.
La motivazione può essere singola, duplice o triplice
Quando si effettua un ricorso, bisogna tenere in particolare attenzione la redazione della prima parte dell’atto in questione dove si elenca la mancanza di precisione o l’inadeguatezza della motivazione.
Il problema della motivazione per relationem, viene risolto prescrivendo che se la motivazione fa riferimento ad atti non conosciuti o ricevuti dal contribuente, questi devono essere allegati all’atto che li richiama a meno che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Anche quando l’accertamento costituisce il proseguo naturale del PVC, le motivazioni in esso riportate possono essere trascritte come motivazioni di accertamento, ma si deve allegare tale atto alla notifica; se non viene allegato dall'Amm. Fin. si può ricorrere.
Anche il dubbio se l’avviso di accertamento debba altresì recare l’indicazione delle prove sulle quali fa leva la pretesa impositiva, viene risolto ritenendo che l’emanazione dell’atto giuridico deve essere corroborata da supporti dimostrativi raccolti nel corso dell’espletamento dell’attività istruttoria.
All’avviso di accertamento, deve essere allegato il calcolo delle imposte; inoltre elemento essenziale la cui assenza può portare alla nullità dell’atto, è la firma di sottoscrizione da parte del direttore dell’agenzia delle entrate competente o del suo delegato.
Attenzione ai termini entro i quali è ritenuta valida la notifica di accertamento: 4 anni se la dichiarazione è stata presentata, 5 se non è stata presentata. Ogni tanto questi termini vengono prorogati per condono (anche per chi non ne beneficia).
7.6 Strumenti deflativi (da completare)
Autotutela amministrativa: l'Amm. può rimuovere d’ufficio qualsiasi atto da essa emanato se ritenuto illegittimo, purché si comunichi al destinatario mediante provvedimento motivato.
Ravvedimento operoso: se indico all'Amm. Fin. errori commessi prima che arrivi l'avviso e entro certi termini allora si possono ridurre le sanzioni.
Accertamento con adesione: l’ufficio delle entrate competente può permettere l’accesso a tale strumento il quale consente di ridurre le sanzioni per le violazioni concernenti il periodo d’imposta; il problema connesso è l'indisponibilità dell'obbligazione tributaria.
Conciliazione: simile all'adesione, si può fare dal momento in cui è stato presentato il ricorso....... costa da ¼ ad 1/3 del minimo previsto dalla legge.
Parte speciale
1.1 Introduzione
La riforma tributaria venne realizzata all’inizio degli anni settanta, ed il suo perno normativo può essere individuato nella legge delega n° 825/1971. Nel 1972 con i decreti dal 633 al 651 si provvedeva a disciplinare le imposte indirette sugli affari e si introduceva l’IVA; l’anno successivo con i decreti dal 597 al 606 veniva riorganizzato complessivamente il settore delle imposte dirette. Quindi la situazione che si delineava prevedeva:
La riforma dei primi anni 70 ha prodotto una accelerazione dei così detti obblighi strumentali o preliminari all’attuazione del rapporto d’imposta; in tale contesto si diffuse un senso di disagio ed avversione da parte della piccola imprenditoria nei confronti di un sistema che appariva iniquo. Per questo il legislatore fiscale cominciò ad orientarsi nei loro confronti a criteri di predeterminazione normativa del risultato economico, sviluppando a partire dalla metà degli anni novanta gli
A seguito dell’entrata in Europa, nel 2004 si è sentita l’esigenza di operare una riforma che adeguasse il sistema tributario italiano a quello delle altre nazioni europee; con la riforma Tremonti è stata abolita l’imposta sulle persone giuridiche IRPEG, a favore dell’imposta sulle società IRES, mentre invece l’IRPEF (ovvero l’imposta sulle persone fisiche) è rimasta invariata. Le tasse sono pagate su di una base imponibile su delega al contribuente; tale sistema prevede però la presenza di qualcuno che controlla. Tendenzialmente l’adesione al tributo è direttamente proporzionale a quanto è la presenza del controllo. Sino dalla loro istituzione i tributi erano caratterizzati dall’imposizione dietro controllo; infatti il fisco, nella persona dell’esattore, si recava al domicilio del contribuente passando in rassegna i componenti del nucleo familiare, la produttività, la quantità di terreno e tutti gli elementi che venivano a costituire la “base imponibile” del rapporto tributario. Altra forma molto frequente di imposizione era costituita dalle imposte doganali.
Oggi la tassazione è delegata, ed il controllo è effettuato su campione; così gli elementi non in regola vengono sottoposti a sanzione (infatti si suole denominare tale sistema di “impostazione sanzionatoria”). I contribuenti autodichiarano, autoliquidano, ed in alcuni casi addirittura si autosanzionano (basti pensare ai vari condoni).
Secondo l’art.53 cost. la capacità contributiva è data da:
Il sistema tributario è principalmente impostato su criteri impositivi reddituali, in quanto si ritiene più giusta la tassazione su movimentazioni economiche visto che il contribuente è spesso più reticente a pagare su somme patrimoniali, mentre appare più incline quando c’è percezione di reddito.
Per quanto riguarda i tributi indiretti (IVA), si ritiene giusto che si paghi sui consumi in quanto manifesta una parte della ricchezza e quindi non è patrimoniale. Tuttavia è un indice impreciso e non è calcolato sul reddito di chi compra (infatti l’imposizione è sempre la stessa sia che si compri una Ferrari o una Hyundai); quindi non è una imposta progressiva. Molti ritengono ingiusto questa modalità impositiva in quanto tassa alla stessa maniera sia il reddito destinato alla sopravvivenza che quello destinato a soddisfare bisogni superflui.
L’IRPEF è personale per eccellenza in quanto da un lato permette la progressività in base alla situazione del contribuente, e dall’altro permette la deduzione di alcune spese personali.
Negli anni 70 la comunità europea sentì il bisogno di introdurre un imposta proporzionale e generalizzata sui consumi la quale pur mantenendo la caratteristica plurifase, in quanto applicata su ciascun passaggio del ciclo produttivo - distributivo, risultasse non cumulativa; si trattava di modellare un prelievo che consentisse agli operatori di non versare all’erario l’intero importo del tributo applicato sul prezzo del bene o della prestazione, bensì solo la differenza tra esso e quanto a loro volta detti operatori avevano già corrisposto al loro dante causa all’atto dell’acquisto del bene (si vuole così colpire il solo valore aggiunto). L’introduzione è avvenuta con il d.p.r. 633/72 ed è stata successivamente modificata dal d. legge 331/93 che comprende le normative riguardanti le operazioni intracomunitarie. L’Iva in buona sostanza è un tributo neutrale nei confronti del soggetto passivo, in quanto c’è un altro soggetto passivo (consumatore finale) non considerato dalla norma sul quale si scarica l’imposizione; tutti i soggetti passivi che intervengono nello scambio anticipano l’Iva all’erario, venendo rimborsati poi, in quanto chi paga è il consumatore finale.
Come si attua tale neutralità?
Attraverso le previsioni degli articoli 18 e 19 del d.p.r. 633/72:
L’erario incassa subito 0.20, inoltre si dilaziona tra più creditori il rischio di mancato incasso.
Prima di addentrarci nella materia specifica del decreto istitutivo dell’IVA è utile ricordare che in tale sistema, le operazioni possono essere imponibili, non imponibili, esenti ed escluse.
2.2 Elementi
Il d.p.r.633/72 disciplina la materia attraverso i suoi articoli:
Presupposto
Presupposto oggettivo (cessione di beni)
Presupposto oggettivo (prestazione di servizi)
Presupposto soggettivo
Presupposto territoriale
2.3 Operazioni internazionali
Dopo aver constatato quelli che sono i presupposti che si presentano alla base del rapporto giuridico dell’IVA, vediamo le fattispecie di esclusione ed imponibilità, non prima però di aver analizzato le operazioni di importazione e di acquisto intracomunitario:
Rientrano fra le operazioni imponibili le importazioni da chiunque effettuate, mentre sono escluse le esportazioni (come vedremo in seguito gli esportatori abituali che dimostrino di avere una quota del fatturato di almeno il 10% con l’estero, possono accedere all’acquisto senza IVA purché essi si avvalgono della disciplina della lettera di intenti). L’Iva è quindi applicata sulle importazioni all’atto dell’ingresso dei beni nel territorio dello stato.
La nozione di scambio intracomunitario viene definita come l’acquisto a titolo oneroso della proprietà o di un diritto reale di godimento su beni spediti o trasportati nel territorio italiano da altro stato membro, da parte del cedente o dall’acquirente o da terzi: quindi, l’integrazione della fattispecie presuppone non solo il perfezionamento della vicenda giuridica del trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale, ma anche il passaggio fisico del confine di stato.
Le cessioni di beni effettuate nei confronti di cessionari che non rivestono la qualifica di soggetti passivi d’imposta sono sottoposte a tassazione nello stato membro di origine
Le cessioni di beni effettuate nei confronti dei soggetti passivi d’imposta, non sono considerate imponibili per il cedente e sono sottoposte a tassazione nello stato membro di destinazione.
In altri termini, se il destinatario localizzato in altro stato membro non è soggetto passivo d’Iva il circuito impositivo si conclude con l’applicazione del tributo da parte dell’ultimo anello della catena distributiva situato nello stato cedente. Viceversa, nell’ipotesi in cui il destinatario sia a sua volta un soggetto passivo, la catena impositiva subisce un interruzione nello stato di partenza, per poi riprendere il suo corso in quello di destinazione (sospensione). In tale ipotesi è prevista una serie di adempimenti formali
Quindi tali operazioni sono assimilate alle esportazioni da un punto di vista sostanziale, ma formalmente no in quanto cambiano le operazioni di registrazione.
2.4 Le fattispecie di esclusione ed esenzione
L’imposta sul reddito, fu introdotta per la prima volta in Inghilterra nel 1799 per sopperire al fabbisogno economico creato dalle guerre napoleoniche. Il presupposto di questo tributo, misura in termini esclusivamente monetari la diversa posizione di ciascuno all’interno della collettività di riferimento. L’imposta sul reddito presentava alcuni pregi che la fecero preferire a quella patrimoniale: anzitutto perché la sua determinazione avviene in modo assai più diretto ed immediato rispetto a quella del patrimonio, tuttavia i principali vantaggi sono di ordine politico. Infatti mentre i margini di tollerabilità di un imposta patrimoniale sono piuttosto bassi (2-3%), per l’imposta di reddito le aliquote non solo possono essere più elevate, ma anche la banda di oscillazione fra l’aliquota minima e quella massima è più larga; si consentono quindi spazi di manovra molto più ampi. Queste caratteristiche che hanno condotto ad individuare l’imposta sul reddito come il tributo diretto per eccellenza, sono le cause del successo del tributo che introdotto da Peel nel 1842, si diffuse gradualmente in tutta Europa. Risale però, alla riforma di Addington del 1803 la scelta di determinare il reddito su base schedulare (cioè suddividendolo in diverse categorie, ciascuna individuata in ragione di uno specifico modo di produzione del reddito). L’esempio più noto è quello dei redditi fondiari, determinati su base catastale, cioè forfetariamente , la dove i redditi di altre categorie sono determinati su base effettiva.
In Italia, all’epoca dell’unità, le esigenze politiche frenarono l’introduzione di una imposta unica ed indussero a costruire un sistema basato su due imposte: quella fondiaria e quella di ricchezza mobile. Solo nel 1923 fu compiuto un parziale passo in avanti, introducendo l’imposta complementare sul reddito, la cui applicazione presupponeva la considerazione unitaria dell’insieme dei redditi tassabili: fino al 1973, infatti il sistema rimase caratterizzato dalla coesistenza di più imposte autonome e dell’imposta complementare. Con questa riforma si prevede infatti l’introduzione di un imposta sul reddito delle persone fisiche ispirata ai principi del “carattere personale e progressivo dell’imposta”, dell’“applicazione dell’imposta al reddito complessivo netto delle persone fisiche comunque conseguito”, del “concorso alla formazione del reddito complessivo di tutti i redditi del soggetto”
3.2 La struttura
3.2.1 Unicità o duplicità dell’imposta
L’intenzione del legislatore è stata quella di creare due imposte distinte: l’IRPEF avente ad oggetto l’imposizione del reddito delle persone fisiche, e l’IRPEG riguardante i redditi conseguiti da tutti i soggetti diversi dalle persone fisiche. Nonostante l’unicità del presupposto (reddito), era pacifico che l’IRPEG costituisse un tributo autonomo rispetto all’IRPEF. La riforma del 2004 non ha apparentemente modificato tale stato di cose introducendo l’IRES per i soggetti diversi dalle persone fisiche. Il problema della duplicità o unicità dell’imposta presenta un carattere squisitamente teorico, che però lascia impregiudicata la soluzione del problema; tuttavia possono dirsi sussistenti validi motivi per una trattazione unitaria dei profili comuni salvo poi rimandare alla trattazione specifica per i soggetti diversi dalle persone fisiche.
3.2.2 Il presupposto: la nozione di reddito
Come già detto il presupposto è unitario, e secondo l’art. 72 TUIR “il presupposto dell’imposta è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6”. Questo articolo individua sei categorie reddituali:
La definizione di reddito è completata dalla disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 6 ai sensi del quale i proventi ottenuti in sostituzione dei redditi, anche per effetto della cessione di relativi crediti, e le indennità conseguite a titolo di risarcimento danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati
Sub 3.2.2 Segue da il presupposto: la tassazione dei redditi da attività illecita
Il comma 4 dell’art 14 della legge 537/1993 afferma che nelle categorie di reddito di cui all’art. 6 devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività costituenti illecito civile, penale o amministrativo, se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. In questo modo viene affermata la generale tassabilità dei proventi da attività illecita, sempre che i proventi stessi fossero riconducibili ad una delle categorie di cui all’art. 6 (sulla scorta di tale disposizione poteva escludersi la tassabilità dei proventi da furto, mentre dovevano ritenersi imponibili i ricavi derivanti dall’esercizio dell’usura). Problemi maggiori sono posti però dall’art.36 del D.lg. 223/2006 il quale pur qualificandosi come norma interpretativa, contraddice le disposizioni precedenti, affermando che i proventi illeciti, (qualora non siano qualificabili come categorie di reddito) devono comunque essere considerati come redditi diversi, stabilendo così che l’illecito costituisce in ogni caso e di per se una fonte di reddito tassabile.
3.2.3 Il collegamento soggettivo
Il TUIR individua come elemento di collegamento soggettivo il possesso di un “reddito”. Maggiore consenso sembra oggi incontrare la tesi secondo la quale il possesso deve essere riferito non al reddito ma alla relativa fonte di produzione. Secondo questa accezione, il possesso del reddito andrebbe attribuito a chi ha la titolarità della fonte dalla quale deriva l’incremento patrimoniale. La dissociazione fra titolarità della fonte ed imputabilità del reddito si verifica nei casi: del fondo patrimoniale (nel quale i redditi dei beni sono distribuiti per metà ai coniugi anche se uno ne ha mantenuto la proprietà), dell’impresa familiare, delle comunioni convenzionali, ecc..
Sub 3.2.3 Segue da il collegamento soggettivo: i redditi prodotti in forma associata e da impresa familiare
La tassazione dei redditi prodotti per il tramite delle società di persone avviene secondo il così detto modulo della trasparenza; esso consiste nell’imputare a ciascuna delle persone fisiche partecipanti a tali entità il reddito e, correlativamente le perdite, le ritenute ed i crediti d’imposta come se, per l’appunto la società non avesse consistenza ai fini fiscali. Il modulo della trasparenza è applicabile sia pure su base opzionale, anche alle società a responsabilità limitata a ristretta base azionaria.
Nell’ambito della generale disciplina dei redditi prodotti in forma associata il legislatore ha anche inserito l’impresa familiare di cui all’art.23 bis del c.c.
Sub 3.2.3 Segue da il collegamento soggettivo: altri redditi tassabili per cassa
Un ipotesi in cui l’imputazione del reddito ad un soggetto diverso dal titolare della fonte è costituita dalla previsione dell’art. 7 TUIR il quale, in relazione ai redditi imputabili al periodo d’imposta nel quale avviene la percezione, dispone che in caso di morte del titolare, prima della percezione ma dopo la relativa maturazione, i redditi stessi siano tassati in capo agli eredi o legatari. La spiegazione di questa deroga è semplice, essendo il regime descritto finalizzato a rendere comunque imponibili le somme in questione evitando il salto d’imposta che altrimenti si verificherebbe.
3.2.4 I soggetti passivi: le persone fisiche (IRPEF)
La soggettività passiva ai fini delle imposte si acquista insieme alla capacità giuridica ed è indipendente dalla capacità di agire. Tuttavia i redditi dei beni che sono soggetti all’usufrutto legale dei genitori esercenti la patria potestà sono imputati a ciascuno di essi per metà del loro ammontare netto
3.2.4 I soggetti passivi: gli altri soggetti
In particolare, l’art. 73 distingue i soggetti IRES in base al tipo, all’attività ed alla residenza.
Sub 3.2.4 Segue: la nozione di residenza fiscale
La nozione di soggetto residente non può essere identica per le persone fisiche e per gli altri soggetti.
Per le persone fisiche, la norma riportata nell’art.2 TUIR considera residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta: a)sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente b)hanno nel territorio dello stato il domicilio c)sono residenti in Italia ai sensi del c.c. . Il primo criterio (di tipo formale) consiste nella iscrizione anagrafica, mentre gli altri due (domicilio e residenza) sono da utilizzare in carenza del primo. La residenza coincide con il luogo nel quale stabilmente si dimora, mentre il domicilio si identifica con il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi. Il successivo comma 2 reca una presunzione di residenza fiscale in Italia per i cittadini cancellati dall’anagrafe ed emigrati in paradisi fiscali, addossando su quest’ultimi l’onere probatorio che detto trasferimento non sia solo simulato.
Per i soggetti diversi, vengono considerati residenti coloro i quali per la maggior parte del periodo d’imposta, hanno nel territorio dello stato la sede legale, ovvero la sede amministrativa, ovvero l’oggetto principale.
3.3 La determinazione della base imponibile
3.3.1 Il periodo d’imposta e la determinazione del tributo dovuto.
Poiché il reddito consiste in un aumento del patrimonio, esso deve essere necessariamente riferito ad un arco temporale predeterminato, rispetto al quale misurarne l’entità; tale periodo è fissato per le persone fisiche nell’anno solare, e per gli altri soggetti passivi, dall’esercizio o periodo di gestione stabilito dalla legge o dall’atto costitutivo.
Individuato il periodo d’imposta, occorre collocare le manifestazioni reddituali in ciascun periodo ovvero, più propriamente imputare a periodo i redditi. Le regole di imputazione possono essere distinte in due classi: per competenza e per cassa. In base al primo principio, il reddito è imputato al periodo in cui si realizza la fattispecie costitutiva, mentre per il secondo criterio, il reddito è imputato al periodo in cui è adempiuta la prestazione oggetto del diritto. Si deve rilevare che l’autonomia dei singoli periodi d’imposta è in concreto derogata da altre disposizioni come:
3.3.2 Regole generali per la determinazione della base imponibile e dell’imposta.
3.3.3 La determinazione del reddito complessivo
Il reddito complessivo, si individua sommando le singole categorie che concorrono a formarlo; sono in ogni caso esclusi
3.3.4 La deduzione delle perdite
Il principio della deduzione delle perdite ha incontrato una serie di successive limitazioni; le regole vigenti infatti sembrano affrontare il tema delle perdite come se la loro inclusione nella base imponibile costituisse un’agevolazione, un eccezione ai principi da introdurre con circospezione. Le principali limitazioni discendono dal fatto che:
3.3.5 Il reddito complessivo netto: lo scomputo degli oneri deducibili
Dal reddito complessivo lordo, vengono poi sottratti gli oneri deducibili indicati nell’art.10. Tali oneri comprendono alcune spese sostenute dal soggetto passivo al fine di soddisfare esigenze primarie proprie del contribuente medesimo e dei suoi familiari. Ne sono un esempio:
Spostando l’attenzione sul meccanismo di operatività degli oneri in questione, emerge che essi giacché consistono nell’abbattimento di un determinato importo della base imponibile, si risolvono in un vantaggio tanto più elevato quanto maggiore è il reddito complessivo del soggetto. In buona sostanza, mentre le detrazioni di imposta arrecano un beneficio identico per tutti i contribuenti, gli oneri deducibili apportano un vantaggio più consistente ai titolari di redditi più alti. Per questo il legislatore ha trasformato una parte di essi in oneri detraibili, stabilendo che una quota dell’onere pari al 19% sia detraibile dall’imposta dovuta.
3.3.6 La determinazione dell’imposta lorda e di quella netta
Una volta determinato l’imponibile netto, occorre quantificare la relativa imposta: ai sensi dell’art.11, per le persone fisiche si applicano aliquote progressive per scaglioni:
Per i soggetti diversi dalle persone fisiche, l’art.77 prevede invece un'unica aliquota proporzionale del 27.5%.
Le detrazioni sono disciplinate in due grandi categorie: soggettive ed oggettive:
3.3.7 Dall’imposta netta a quella effettivamente dovuta: la detrazione dei crediti d’imposta delle ritenute e degli acconti.
La denominazione di credito d’imposta è utilizzata per designare gli abbattimenti dell’imposta netta finalizzati a tener conto dell’incidenza di altre imposte sul reddito imponibile in relazione al quale l’imposta è stata liquidata, ed è finalizzato a impedire o attenuare i fenomeni di doppia imposizione.
3.3.8 I redditi soggetti a tassazione separata
Esistono tuttavia alcune tipologie di redditi che sebbene erogati in un'unica soluzione e tassabili secondo il principio di cassa, si collegano ad attività svolte in un lungo periodo di tempo: tipico è il caso della indennità di fine rapporto. Tassare tali redditi secondo le regole ordinarie significherebbe farli concorrere ad un prelievo assai più oneroso di quello che avrebbero sopportato se erogati in corrispondenza della loro maturazione. Il legislatore ha stabilito che siffatti proventi siano estrapolati dal coacervo degli altri redditi di periodo e sottoposti a contribuzione con una aliquota proporzionale determinata nel modo che in seguito illustreremo. Attualmente l’imposta si applica separatamente a fattispecie tassativamente individuate, costituite da trattamenti di fine rapporto inerenti al lavoro dipendente, dalle indennità relative alla cessazione di collaborazioni coordinate e continuative o di rapporti di agenzia delle persone fisiche o delle funzioni notarili, ovvero ancora dalle indennità percepite al termine dell’attività di sportivi professionisti.
Allo stesso regime sono sottoposti alcuni plusvalori, come ad esempio quelli realizzati mediante la cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni, come quelli conseguiti successivamente alla liquidazione di imprese commerciali, nonché le plusvalenze realizzate a seguito della cessione dei terreni edificabili. L’applicazione della tassazione separata dovrebbe normalmente risolversi in un beneficio per il soggetto, attenuando l’effetto della progressività.
3.4 Le categorie di reddito
3.4.1 I redditi fondiari
In questo medio sistema sono ricompresi i proventi derivanti da terreni o fabbricati situati nel territorio dello stato che sono o devono essere iscritti al catasto. I redditi fondiari si distinguono in tre sub-sistemi: reddito dominicale, reddito da fabbricati (forme di produzione del reddito collegate alla messa a reddito di un cespite), e reddito agrario (avente ad oggetto la realizzazione di un attività stabilmente funzionale allo sfruttamento della potenzialità produttiva del fondo agricolo). Il presupposto per la tassazione è considerato il possesso dell’immobile in base a proprietà, usufrutto, enfiteusi o altro diritto reale; i redditi fondiari sono determinati indipendentemente dalla relativa percezione per il solo fatto della titolarità di un diritto reale che attribuisce il possesso del bene immobile (principio di competenza).
Sub 3.4.1 i redditi dominicali
Il reddito dominicale è costituito dalla parte dominicale del reddito medio ordinario riferibile al terreno attraverso l’esercizio delle attività agricole (art.27). Si tratta in sostanza della parte di rendita catastale che va attribuita al possessore del terreno quale remunerazione figurativa della titolarità del fattore di produzione essenziale per lo svolgimento dell’attività agraria. La rendita catastale è determinata mediante l’applicazione di tariffe d’estimo determinate per ciascuna unità colturale in dipendenza delle qualità e classe di terreno. Non si considerano produttivi di reddito dominicale i terreni che costituiscono pertinenze di fabbricati urbani, i terreni dati in affitto per usi non agricoli ed i terreni che costituiscono beni d’impresa.
Sub 3.4.1 i redditi agrari
Il reddito agrario costituisce il reddito medio ordinario dei terreni, determinato su base catastale, imputabile al capitale di esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nel limite della potenzialità del terreno, nell’esercizio delle attività agricole; vale ad esprimere la riferibilità del reddito all’impresa agricola. Accanto alla regola qualificatoria generale è formulato un elenco specifico di fattispecie da classificare come attività agricole: coltivazione del fondo e silvicoltura, coltivazione di vegetali svolte tramite strutture fisse o mobili, purché insistano su di una superficie adibita alla produzione, allevamento di animali, alienazione, manipolazione e trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici
Sub 3.4.1 i redditi dei fabbricati
Il reddito dei fabbricati è costituito dal reddito medio ordinario ritraibile da ciascuna unità immobiliare urbana determinate secondo le tariffe d’estimo: nella categoria vengono inclusi i fabbricati, le altre costruzioni stabili e le relative pertinenze che sono suscettibili di produrre reddito autonomo. Pertanto non è richiesta la effettiva produzione di un reddito, bensì la potenzialità produttiva: tuttavia sono escluse dalla determinazione catastale gli immobili concessi in locazione. Rientra nei redditi da fabbricati anche il reddito espresso dall’abitazione principale del contribuente, che però viene poi dedotto dal reddito complessivo attraverso il meccanismo delle deduzioni. Sono espressamente previste esclusioni per gli immobili destinati esclusivamente all’esercizio di culto, unità immobiliari sottoposte a restauro, annessi agricoli, immobili strumentali all’esercizio di attività imprenditoriale. È inoltre previsto che la rendita catastale riguardante le seconde case sia aumentata di un terzo, ed è ammessa la deduzione dei costi di manutenzione purché rientranti nel limite annuale del 15% dell’ammontare annuo dei canoni di locazione.
3.4.2 I redditi di capitale
Il primo connotato delle varie tipologie di proventi classificati come redditi di capitale è ravvisabile in un elemento di ordine negativo, e cioè nella mancata riferibilità degli stessi alla categoria dei redditi d’impresa. Sembra idoneo individuare tre insiemi normativi e cioè:
Il criterio di determinazione della base imponibile si fonda sulla duplice regola dell’assunzione dei proventi al lordo (il quale comporta che gli eventuali costi sostenuti dal percettore al fine di produrre il reddito di capitale non abbiano alcuna rilevanza fiscale) e dall’adozione del criterio di imputazione temporale per cassa.
Sub gli interessi
Sono ivi compresi gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti corrente; sono inoltre menzionati gli interessi e gli altri proventi da obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi, nonché dei certificati di massa
Sub gli utili ed i proventi da partecipazione in società o enti
Sono considerati i proventi che derivano dalla partecipazione in società o enti, ovvero le tipologie di redditi a queste assimilabili; è rappresentato dai dividendi e dagli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio delle società di capitali ovvero di enti commerciali o non commerciali purché assoggettati ad IRES. Il trattamento fiscale degli utili stabilisce che essi concorrono a formare il reddito imponibile in misura del 40% se la partecipazione è qualificata mentre in misura del 100% se la partecipazione è non qualificata (soggetta ad una ritenuta alla fonte del 12.5%) (per maggiori dettagli vedi slide allegate).
Sub gli altri redditi di capitale
Sono da includere le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue, nonché le prestazioni di fedejussione o altra garanzia.
3.4.3 I redditi da lavoro dipendente
I redditi da lavoro dipendente, sono rappresentati dai proventi derivanti dal lavoro prestato alle dipendenze e sotto la direzione di altri, comprese le prestazioni a domicilio e le collaborazioni coordinate e continuative. Inoltre sono compresi sia gli interessi derivanti dalla rivalutazione dei crediti di lavoro, che le pensioni.
I redditi assimilati che si aggiungono a quelli sopramenzionati, sono riconducibili a tre gruppi omogenei: le rendite vitalizie e a tempo determinato costituite con contratti di assicurazione vita, le prestazioni pensionistiche complementari e gli assegni periodici.
La regola generale in tema di determinazione del reddito di lavoro dipendente è rappresentata da ogni somma o valore in natura percepiti nel periodo d’imposta in relazione al rapporto di lavoro (principio di cassa). Per i compensi in natura (i c.d. fringe benefits) inclusi anche i beni ceduti ed i servizi prestati a favore del coniuge o dei familiari del dipendente, si applica il criterio del valore normale: se tale valore è inferiore a 258 euro essi non concorrono a formare il reddito imponibile. Il reddito prodotto all’estero in via continuativa del lavoratore residente in Italia (a condizione che il soggiorno nello stato estero sia superiore ai 183 giorni) è stabilito in base a criteri forfetari stabiliti con decreto del ministero. Per i redditi assimilati al lavoro dipendente sono applicabili le medesime regole previste per la determinazione della base imponibile dei redditi da lavoro dipendente.
3.4.4 I redditi da lavoro autonomo
I redditi da lavoro autonomo derivano dall’esercizio di arti o professioni, e più precisamente dallo svolgimento per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse dalle attività d’impresa. I connotati tipizzanti delle professioni liberali e delle attività artistiche possono individuarsi nell’autonomia decisionale ed organizzativa, oltre che nella tendenziale personalità ed originalità della prestazione; si tratta di caratteri agevolmente riscontrabili nelle tipiche forme di manifestazione artistica e nelle professioni liberali per le quali è prevista l’iscrizione ad un albo professionale di tipo pubblicistico. Quanto all’esercizio in forma associata e collettiva dell’attività professionale od artistica, i relativi proventi vengono pur sempre qualificati come reddito di lavoro autonomo, applicando il principio della trasparenza come per le società semplici. Accanto alla categoria propria dei redditi di lavoro autonomo è contemplata una sub categoria di prestazioni assimilate: proventi da sfruttamento delle opere dell’ingegno, utili derivanti da contratti di associazione quando l’apporto è costituito unicamente dalla prestazione di lavoro, cariche di amministratore, sindaco e revisore di società, collaborazioni a giornali e riviste, partecipazione a collegi e commissioni ecc…
Viene determinato mediante la contrapposizione tra i compensi percepiti e le spese sostenute nell’esercizio dell’attività, e l’imputazione avviene prevalentemente secondo il principio di cassa; le componenti positive sono composte dai corrispettivi incassati a seguito dello svolgimento dell’attività professionale, nonché delle plusvalenze e minusvalenze generate dalla cessione a titolo oneroso di beni strumentali all’esercizio dell’arte o della professione; per quanto riguarda invece le componenti negative del reddito, è stabilito che le spese sostenute debbano presentare una relazione di inerenza con l’attività artistica o professionale e ne consegue che le spese riconducibili alla sfera privata o familiare del lavoratore autonomo non sono computabili in diminuzione del reddito, tranne che per i costi dei beni e servizi adibiti promiscuamente all’uso professionale e personale che sono invece deducibili nella misura del 50%.
Per quanto riguarda invece i redditi assimilati, la loro valutazione viene effettuata per lo più in base ad una predeterminazione normativa dei costi occorrenti per la produzione di reddito, secondo una valutazione forfetaria.
3.4.5 I redditi diversi
La residualità è il criterio tassonomico utilizzato nella individuazione di queste fattispecie imponibili. Le singole fattispecie sono rappresentate da :
3.4.6 I redditi d’impresa
L’individuazione dei redditi d’impresa si basa su due criteri:
Secondo il comma 1 dell’art. 55 del TUIR il reddito di impresa è quello che deriva dall’esercizio di imprese commerciali; per esercizio di imprese commerciali, deve intendersi l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c. e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’art. 32 TUIR che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma di impresa.
Ai sensi dell’art. 2195 del codice civile sono soggetti all’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese:
Ai sensi dell’art. 32 comma 2 lettere b) e c) del TUIR sono da considerarsi attività di impresa le attività agricole quali:
Sono inoltre considerati redditi d’impresa ai sensi del comma due dell’art. 55 TUIR
Sub 3.4.6: la determinazione dei redditi d’impresa
Il reddito di impresa viene determinato secondo le norme contenute nel titolo II del TUIR, le quali riguardano la disciplina dell’IRES; tali norme si applicano anche alle imprese individuali ed alle società di persone.
Art. 83 TUIR Il reddito d’impresa viene determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta le variazioni in aumento o in diminuzione operate in seguito alle applicazioni delle disposizioni fiscali. Il conto economico ex art. 2425 c.c. riveste un ruolo centrale nella determinazione del reddito d’impresa: esso costituisce quindi il punto di partenza dal quale determinare IRPEF ed IRES. Le variazioni invece sono la conseguenza dell’applicazione delle regole poste dal TUIR con riferimento a:
Nell’utilizzo delle componenti del reddito d’impresa si deve tenere presente dei seguenti principi:
Non concorrono alla determinazione dell’utile netto i proventi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, nonché i proventi ed i costi relativi agli immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio d’impresa.
4.1 La disciplina dell’Imposta sul reddito delle società
L’imposta sul reddito delle società grava sui soggetti passivi indicati nell’art.73 TUIR:
Mentre sono escluse dall’ambito soggettivo di applicazione dell’IRES:
Presupposto dell’imposta indicato dall’art.72 TUIR è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie dell’art.6 del medesimo testo; il presupposto è in analogia con quello dell’IRPEF.
L’art.75 TUIR indica che l’imposta deve essere applicata al reddito complessivo netto conseguito nel periodo di imposta.
Ai sensi dell’art.81 TUIR, il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali da qualsiasi fonte provenga è considerato reddito di impresa ed è determinato secondo le relative disposizioni. In specie, tali disposizioni sono indicate all’interno del sopraccitato art.83, per il quale il reddito d’impresa è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta le variazioni in aumento o in diminuzione operate in seguito all’applicazione delle disposizioni fiscali. Tali variazioni sono la conseguenza dell’applicazione delle regole poste dal TUIR con riferimento a: elementi attivi (ricavi, plusvalenze, sopravvenienze attive, dividendi ed interessi attivi, rimanenze finali) ed elementi passivi (spese per prestazioni di lavoro, interessi passivi, oneri fiscali, minusvalenze patrimoniali, ammortamenti, accantonamenti, spese pluriennali).
Fonte: http://changemania.oneminutesite.it/files/48-Appunti%20Diritto%20Tributario%20-%20Prof.%20E.%20Fazzini%20-%20A.A%202009-2010.doc
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