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Nelle prime fasi, la medicina occidentale era una medicina teurgica, in cui la malattia era considerata un castigo divino; sono infatti gli dei ad infliggere malattie mortali a chi abbia compiuto azioni empie. Questo concetto si trova in moltissime opere greche, come l'Iliade, che riporta fatti e consuetudini dal XII al IX – VIII a. C..
In quest’opera la peste colpisce gli achei sottoforma di frecce mortali scagliate da Apollo perché Agamennone aveva offeso Crise, sacerdote di Apollo recatosi nel campo acheo per riscattare la figlia con le bende di Apollo fra le mani; l’oltraggio a lui diviene oltraggio al dio.
Nell’Iliade sono descritte anche le prime azioni dei medici, limitate soprattutto alla piccola chirurgia, gli stessi medici greci che accompagnano la spedizione, Solidario e Macaone, sono figli di Asklepio (dio greco della medicina, Esculapio nel mondo romano) ed hanno appreso da lui l’uso dei blandi farmaci (épia phàrmaka).
Nell’Odissea compare anche una medicina attenta alla persona ed alle malattie che portano lentamente alla morte, perché tolgono la vita mediante un lento processo e non solo a seguito di eventi cruenti. L’esempio più noto è quello della madre di Ulisse, Anticlea, morta per il lungo tormento causato dal pensiero del figlio lontano.
E’ un passaggio importante perché introduce due elementi che faranno parte della medicina ippocratica ovvero la malattia a grave e lungo decorso e la malattia che oggi chiamiamo psicosomatica.
La divinità incombe su tutto ciò che non è controllabile, come la malattia mortale, e la medicina appare decisamente derivata dagli dei. Lo stesso dio che causa la malattia può essere l’artefice della guarigione, specialmente se opportunamente placato con offerte rituali.
Un esempio che indica senza appello questo concetto di malattia come evento inspiegabile, si ritrova sempre nell’Odissea quando, a proposito della cecità di Polifemo, viene scritto:
“Se “nessuno” ti fa violenza, allora è una malattia che viene dal grande Zeus e da cui non puoi sfuggire”. Il concetto di malattia e di guarigione, come evento in qualche modo collegato al volere della divinità, è ancora oggi presente in molti credenti e ciò si evince anche a partire dal linguaggio comune, laddove si dice che uno è preso, colpito, da una malattia.
Il lungo processo di sviluppo della medicina occidentale parte quindi da un giudizio teurgico della malattia fino al raggiungimento della concezione razionale-laica della stessa e della disciplina medica.
Il simbolo della medicina è il serpente, animale sacro perché ritenuto, erroneamente, immune dalle malattie; sicuramente era molto utilizzato nella pratica della medicina antica.
Nel tempio di ogni città, che non era solo un luogo di devozione ma anche di cura, c'era una sorta di cunicolo con i serpenti che avevano lo scopo di impressionare il paziente, a cui probabilmente venivano date anche delle pozioni, per indurre uno stato di shock e fargli apparire il dio che così lo guariva.
La più antica tra le scuole mediche preippocratiche fu quella di Mileto (VII a.C.).
I maestri di questa scuola furono filosofi come Talete, Anassagora, Anassimandro, Archelao e Diogene, che affrontarono lo studio dell’uomo anche da un punto di vista naturalistico.
L’importanza della scuola di Mileto e dei suoi filosofi risiede nell’aver rotto il concetto ontologico di malattia e nell’averlo tramutato in un concetto dinamico: la malattia è un processo, è qualche cosa che fa parte dell’uomo, o dell’animale, è un modo del vivere, non più una cosa separata.
Un punto fondamentale per la formazione e lo sviluppo del pensiero scientifico, attribuito ai filosofi della natura ed ai milesi in particolare, risiede in un importante passaggio logico: oltre alla scoperta dell’archè, di un principio fondatore, è essenziale la laicità dell’atteggiamento mentale con il quale si affronta la scoperta di un ordine generale.
Talete elabora un'importante sistema secondo cui l'universo (macrocosmo) è costituito da 4 elementi fondamentali: aria, acqua, terra e fuoco. In questo periodo viene dato grande rilievo anche alle qualità e dualità: secco e umido, freddo e caldo, dolce e amaro, etc.
Anassagora fu il primo ad affermare che per la nascita di una nuova vita è necessario il contributo (semen) di entrambi i genitori e pone l’accento sull’importanza della ricerca delle cause dei fenomeni, della comprensione del loro funzionamento e del poterne prevedere l’evoluzione.
Pitagora (VI sec. a.C.) nacque a Crotone (VI a.c.) e la sua scuola si diffuse in tutto il mondo antico, soprattutto nelle periferie del mondo greco (Magna Grecia, Ionia).
Con lui lo studio della scienza naturale, ancora non definibile medicina, fu affrontato da un punto di vista quantitativo.
L’importanza dei numeri nel pensiero pitagorico, infatti, si manifesta anche nella sua visione della medicina: le malattie nascono dagli eccessi e possono essere evitate rispettando regole alimentari, di igiene e di vita. La dottrina di Pitagora ebbe un grande successo; numerosi medici greci e italici (Alcmeo, Filolao e sopratutto Empedocle e Democede) la approfondirono e la diffusero anche fuori dei confini della Magna Grecia.
Secondo la teoria dei numeri di Pitagora, questi ultimi avevano significati precisi ed i più importanti erano il 4 e il 7.
Il 7 moltiplicato per 4 dà 28, ovvero il mese lunare della mestruazione.
Il 7 moltiplicato per 40 dà 280, ossia la durata in giorni della gravidanza.
Sempre per la connotazione magica del 7, si diceva che era meglio che il bambino nascesse al 7° mese piuttosto che all’8°. Anche il periodo di quarantena, cioè i 40 giorni che servirebbero per evitare il contagio delle malattie, è derivato dal concetto di sacralità del numero 40.
Alcmeone è allievo di Pitagora, fu il primo ad avere l'idea che l'uomo fosse un microcosmo costituito dai 4 elementi individuati da Talete.
Secondo lui dall'equilibrio degli elementi, che chiamò isonomia o democrazia, derivava lo stato di salute, mentre lo stato di malattia derivava dalla monarchia, ovvero dal prevalere di un elemento sugli altri.
Alcmeone afferma una diversità sostanziale tra ciò che si osserva ed è quindi oggetto di indagine e ciò che appartiene al mondo teurgico. La relatività delle conoscenze che derivano dalla osservazione rappresenta una pietra miliare nello sviluppo del pensiero scientifico.
La relatività del sapere scientifico dipende dalla capacità di fare osservazioni che portano a nuove conoscenze; la medicina si deve fondare quindi sull’osservazione e deve continuare su conoscenze relative: le certezze sono degli dei.
“…sulle cose invisibili e sulle cose mortali certezze evidenti sono gli dei ad averle, agli uomini è dato solo far congetture”
Nel lavoro di Alcmeone non si ricerca alcun principio fondatore (arché), ma si procede all’osservazione della natura, particolarmente dell’anatomo-fisiologia del corpo umano in relazione alle osservazioni sugli animali, traendo i principi generali di funzionamento.
Alcmeone fu il primo ad individuare nel cervello l'organo più importante; sino ad allora era stata data pochissima importanza al cervello, che era sempre sfuggito all'osservazione: all'epoca greca il corpo era sacro e non si praticavano dissezioni, ma veniva visto negli animali sacrificati come una massa gelatinosa e fredda di scarso interesse. Alcmeone stabilì che il cervello doveva essere l'organo che comandava l'organismo. Pare che si fosse anche reso conto, fatto poi smentito da altri, che i nervi servissero per condurre gli impulsi nervosi, ma questa notizia non ha lasciato traccia nella storia della scienza di allora.
Ippocrate nasce nel 460 a.C. a Cos (Grecia) nel Dodecanneso, e visse durante i 50 anni di pace periclea, periodo in cui fiorì la filosofia e si sviluppò la scuola razionale, cui vanno ascritti molti dei pensieri attribuiti ad Ippocrate; operò nell'area del Mediterraneo e nei suoi viaggi toccò la Sicilia, l'Egitto, Alessandria, Cirene, Cipro.
E’ considerato il “padre” della medicina razionale (che esclude ogni intervento divino nelle malattie), rompe definitivamente, continuando il percorso dei milesi, con la tradizione magica della medicina antica ed elabora nuove regole nate dal razionalismo, caratterizzante il pensiero greco in quel periodo (si pensi al “De morbo sacro”). Le sue teorie influenzarono i medici dell’occidente per circa 2000 anni.
La concezione di Ippocrate si rifaceva a quella dei filosofi della natura, in particolare di Talete ed Alcmeone. Secondo Ippocrate agli elementi del corpo umano (aria, fuoco, terra ed acqua)
corrispondevano, in base a delle qualità comuni, degli umori ai quali in seguito furono fatte corrispondere anche le stagioni e con le quattro età della vita:
Elementi di Talete |
Umori di Ippocrate |
Stagioni |
Età |
Temperamento |
Aria |
Sangue |
Primavera |
Infanzia e prima giovinezza |
Gioviale |
Fuoco |
Bile gialla |
Estate |
Giovinezza matura |
Amoroso |
Terra |
Bile Nera |
Autunno |
Età virile avanzata |
Collerico |
Acqua |
Flegma |
Inverno |
Età senile |
Flemmatico |
Ippocrate, rifacendosi ad Alcmeone sosteneva che la malattia derivasse dallo squilibrio dei quattro umori del corpo umano, senza parlare più di democrazia o monarchia per non offendere i tiranni, e che dove c'era equilibrio tra gli umori c'era la salute; la cura consisteva nel ripristinare l’equilibrio rimuovendo l'umore in eccesso. Gli umori, infatti, si spostano all’interno dei vasi del corpo (non vi è ancora distinzione fra arterie e vene) ed in caso di malattia si fissano in una zona errata, causando la sofferenza.
Alla base delle concezioni di Ippocrate c'era una filosofia profonda e pratica e un notevole buonsenso. I principi fondamentali erano di lasciar fare alla forza guaritrice della natura e permettere alla malattia di fare il suo corso; osservare attentamente il malato ed intervenire il meno possibile, limitando rigidamente il ricorso ai farmaci, somministrati secondo il principio del “contraria contraris" (la sostanza attiva deve avere un’azione contraria agli effetti della malattia). I farmaci ippocratici erano di origine vegetale, minerale, animale e provenivano dalla tradizione medica egiziana e orientale: la medicina della Magna Grecia, infatti, si affidava a prescrizioni dietetiche e igieniche più che a veri principi attivi.
Si doveva inoltre fare attenzione all'alimentazione e alla salubrità dell'aria.
Per eliminare lo squilibrio era necessario rimuovere la materia in eccesso, detta materia peccans.
I mezzi a disposizione per l'eliminazione della futura materia peccans erano il capipurgio ovvero la purga del capo attraverso lo starnuto indotto da droghe come il pepe; il clistere; il salasso o sanguisugio. Quest'ultima pratica fu molto usata dai seguaci di Ippocrate, soprattutto nell'epoca romana di Galeno, con conseguenze gravissime, perché il levare il sangue ad un malato non era utile ed era spesso causa di morte.
Ippocrate comunque, raccomandava di utilizzare questi mezzi con la massima parsimonia. Come già accennato, fu fra i primi a considerare una sorta di patogenesi, (i malanni come eventi dinamici che evolvono attraversando fasi diverse) e fu il creatore della semeiotica: associò a ciascuna malattia una serie di sintomi e insegnò a cercare i segni del disturbo attraverso i cinque sensi: l’ispezione del corpo, la palpazione e l’ascoltazione del torace, l’analisi della materia peccans.
Da Ippocrate e dalla sua scuola derivano numerosi scritti che sono raccolti nel “Corpus Ippocraticus", che comprende 72 opere; gli argomenti trattati possono essere ricondotti ai seguenti campi:
I testi di Ippocrate, o i presunti tali, furono commentati nelle università sino al 1700.
La medicina ippocratica è una medicina olistica, al centro della quale vi è l’uomo inteso come individuo e non come somma di parti, fisiche o psichiche, più o meno malate; anche la malattia viene spiegata ed affrontata in modo olistico, rispetto all’ambiente interno ed esterno, stimolando l’autoguarigione, riequilibrando gli umori.
I testi ippocratici comprendono anche una serie di aforismi che sono alla base della sua filosofia ed invitano a pensare attentamente e ripetutamente prima di intervenire.
"La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione è fuggevole, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile"
La philotechne e la philanthropia devono accompagnare l’operato del medico
Questo fece la fortuna della scuola ippocratica nei confronti della scuola rivale di Cnido, che invece era focalizzata sulla malattia con una concezione riduzionistica, simile a quella odierna. Il famoso giuramento di Ippocrate codifica la figura del medico.
“Giuro ad Apollo medico, Asclepio, Igea e Panacea, prendendo come testimone tutti gli dei e le dee, di tenere fede secondo il mio potere e il mio giudizio a questo impegno: giuro di onorare come onoro i miei genitori colui che mi ha insegnato l'arte della medicina (concetto di allievo e maestro) e di dividere con lui il mio sostentamento e di soddisfare i suoi bisogni, se egli ne avrà necessità;”
“…di considerare i suoi figli come fratelli, e se vogliono imparare quest'arte, di insegnarla a loro senza salario né contratto…”
“…di comunicare i precetti generali, le nozioni orali e tutto il resto della dottrina ai miei figli, ai figli del mio maestro e ai discepoli ingaggiati ed impegnati con giuramento secondo la legge medica, ma a nessun altro” (concetto della casta).
“Applicherò il regime dietetico a vantaggio dei malati, secondo il mio potere e il mio giudizio, li difenderò contro ogni cosa nociva ed ingiusta”.
“Non darò, chiunque me lo chieda, un farmaco omicida (rifiuto dell'eutanasia), né prenderò iniziativa di simile suggerimento, né darò ad alcuna donna un pessario abortivo”.
“Con la castità e la santità salvaguarderò la mia vita e la mia professione. Non opererò gli affetti da calcoli e lascerò questa pratica a professionisti”.
(È questo un anatema contro la chirurgia, che trova la sua giustificazione nel fatto che la chirurgia allora aveva esiti disastrosi. Non c'era nessuno stimolo a studiare l'anatomia, perché si pensava che le malattie fossero causate dallo squilibrio degli umori e gli organi non avessero nessuna importanza; quindi la chirurgia era un qualcosa di empirico, uno tagliava senza sapere cosa andava a tagliare, non c'erano i concetti della asepsi, della anestesia. La chirurgia fu considerata una pratica artigianale secondaria senza utilità, non una scienza, sino alla fine del 1700. Gli artigiani la praticavano di nascosto, tramandandosi tra loro i segreti. I chirurghi e i medici indossavano anche un diverso abbigliamento: i medici, poiché laureati e magistri togati, potevano portare la toga a differenza dei chirurghi, che invece erano persone indotte e non conoscevano il latino, che in epoca medioevale e moderna era la lingua dei dotti (nelle incisioni del’500, del’600 e anche del’700 si distinguono i medici con la toga lunga sino ai piedi dai chirurghi con le gambe scoperte). Questo corollario fu benefico nell'immediato, ma portò alla pratica della chirurgia da parte di persone prive di ogni conoscenza teorica.)
“In qualunque casa io entri sarà per utilità dei malati, evitando ogni atto di volontaria corruzione, e soprattutto di sedurre le donne, i ragazzi, liberi e schiavi”.
“Le cose che nell'esercizio della mia professione o al di fuori di essa potrò vedere o dire sulla vita degli uomini e che non devono essere divulgate le tacerò, ritenendole come un segreto” (concetto di segreto professionale).
La scuola Ippocratica sopravvisse alla morte di Ippocrate grazie all’opera dei suoi discendenti. Ne fecero parte medici molto famosi come Diocle e Prassagora che parteciparono attivamente al dibattito dell’epoca tra Dogmatici ed Empirici.
I dogmatici consideravano il ragionamento e la logica come base per la medicina e costituiscono la continuazione della scuola di Ippocrate; ne facevano parte sia Diocle che Prassagora ma tuttavia essi accolsero e fecero fruttare lo spirito pratico tipico degli empirici.
Gli empirici davano più importanza all’osservazione delle evidenze, rifiutando i ragionamenti e le ricerche, secondo questi l’attività del medico comprendeva tre momenti fondamentali: l’anamnesi, la visita diretta del medico al malato e la diagnosi.
Aristotele (384 a.C. - 322 a.C.) contribuì enormemente non tanto alla medicina in sé, quanto alla scienza naturale, ed a lui si deve la prima classificazione degli animali (al suo allievo Teofrasto quella delle piante). Purtroppo alcuni passi di Aristotele, forse interpretati male, portarono ad un errore che ebbe gravi conseguenze sull'evoluzione della scienza: pare che egli sostenesse che certi animali inferiori, gli insetti originassero dalla materia in decomposizione per generazione spontanea e che quindi non fosse possibile limitarne la crescita.
Aristotele elaborò un sistema fisiologico incentrato sul cuore, nel quale, secondo lui, ardeva una fiamma vitale mantenuta da uno spirito, detto pneuma o spirito vitale, che dava calore.
I polmoni ed il cervello avevano invece una funzione di raffreddamento.
Il cuore era l'organo più importante perché quando il cuore si ferma l'uomo muore.
Inoltre Aristotele nei suoi studi di embriologia notò che quest’organo comincia a battere nelle fasi iniziali dello sviluppo dell'organismo “primum oriens, ultimum moriens”.
Nella sua teoria il calore era la cosa più importante e dava la vita. Egli sosteneva che l'uomo, avendo molto calore, riusciva ad utilizzare tutte le risorse del suo organismo e a produrre lo sperma. La donna, invece, non avendo abbastanza calore, eliminava parte del sangue attraverso il mestruo. Lo sperma col calore agiva sul mestruo, producendo l'embrione.
La riprova, secondo Aristotele, della validità della sua teoria era che questo calore derivato dallo sperma, nel periodo del puerperio, faceva sì che la donna producesse il latte: nella maggior parte dei casi non si presentava la mestruazione proprio perché questo sangue in abbondanza veniva trasformato in latte grazie al calore.
Con Aristotele nasceva figura del physikos, il filosofo della natura, fornito di un sapere scientifico che spaziava dai diversi processi della vita animale alla dottrina degli elementi e delle qualità. La filosofia aristotelica sarà inserita nei programmi di studio delle facoltà di medicina dove ci si addottorava in Filosofia e Medicina.
Aristotele fu anche maestro di Alessandro Magno, che portò al massimo la fioritura della cultura ellenica, che si espanse in tutto il Mediterraneo.
Alessandro Magno aveva conquistato tutto il Mediterraneo ma, come spesso accade, la massima espansione portò alla caduta dell'impero. Il potere fu ripartito fra i suoi vari generali e nel 300 a. C. l'impero venne diviso in numerosi regni.
Tra i più importanti regni vi sono quello di Pergamo e soprattutto quello tolemaico in Egitto, qui la cultura greca si fuse con quella egiziana, va ricordata, infatti, la diffusione del liceo ateniese formato da Aristotele dopo la morte di Alessandro Magno.
Nell'impero tolemaico, ad Alessandria d'Egitto si sviluppò un movimento culturale di vastissime proporzioni e la città divenne un centro molto vivace per l’insegnamento della medicina: fu costruita la biblioteca più grande e famosa dell'antichità, che costituiva la summa del sapere dell'epoca e che, nei secoli successivi, andò incontro ad alterne vicende.
Questa era una vera e propria università, in cui operavano scienziati formatisi alla scuola aristotelica che praticavano le dissezioni sugli animali e sull’uomo.
L'Egitto era una terra in cui da secoli, per non dire millenni, si faceva uso di pratiche funerarie che prevedevano la dissezione dell'uomo come preparazione alla mummificazione.
Ecco che quindi acquisì importanza la tecnica dell’esame sul cadavere, l’autopsia, inteso non semplicemente come dissezione, ma, come avverrà anche nel nascimento, quale momento
fondamentale dell'attività del medico.
La scuola era basata soprattutto sul patrimonio antico, su un’intensa opera di traduzione e commento dei testi classici greci raccolti ad Alessandria, a Pergamo, a Efeso, a Rodi; si studiava Aristotele, furono tradotti gli aforismi di Ippocrate ed il trattato di botanica di Dioscoride, De materia medica; venne anche ideata una nuova terminologia medica.
Erofilo ed Erasistrato (appartenenti alla scuola dei dogmatici), sempre intorno al III secolo a.C. insegnarono ad Alessandria d’Egitto e svilupparono ulteriormente gli insegnamenti ippocratici, diedero alla medicina una nuova dimensione epistemologica dovuta all’affermarsi della teoria anatomo-fisiologica, anche grazie alla diffusa pratica dissettoria.
Entrambi, oltre che a insegnare, si cimentarono con successo nell’anatomia.
Erofilo si occupò dello studio del sistema nervoso centrale con particolare interesse al cervello, ritenuto la sede delle sensazioni;
Erasistrato, invece, fece importanti osservazioni sull’apparato cardiocircolatorio ed evidenziò la differenza fra vene ed arterie.
A Roma vi è la compresenza di una medicina “alta e filosofica” ed una basata sul sostrato sociale e praticata in ambito familiare dal pater familias. Quest’ultima non era basata in realtà su una teoria vera e propria ma comprendeva l'erboristica, alcuni incantesimi e rituali e preghiere.
In seguito alla conquista della Grecia ci furono numerosi medici che si vendettero come schiavi per poter andare a Roma ad esercitare la propria arte, nell’urbe, infatti, fare il medico era considerata cosa disdicevole, che poteva fare solo uno straniero.
Grazie all’apporto delle conoscenze provenienti dalla Grecia la medicina romana si sviluppa moltissimo.
A Roma erano presenti diverse scuole:
La scuola empirica, secondo la quale l'attività del medico comprendeva tre momenti fondamentali: l'anamnesi, l'autopsia, (intesa però come ispezione, visita diretta del medico sul malato), e la diagnosi. Anche tale scuola aveva dei principi molto affascinanti, che richiamano quelli odierni, tuttavia fallì giacché non vi era la possibilità concreta di fare una diagnosi accurata e, di conseguenza, una terapia ad hoc, viste le scarse cognizioni, in termini di malattie, in loro possesso.
Asclepìade è un degno esempio di empirico; questi si innesta perfettamente nel substrato culturale romano: è un buon retore, non è favorevole a mezzi di cura violenti, ma propone una terapia varia, basata in gran parte sull’assunzione di vino, su bagni, massaggi ed un blando esercizio fisico, quindi perfettamente in accordo con la tradizione romana delle terme.
I Metodici si impegnarono duramente nel tentativo di classificare tutte le malattie e le cure allora conosciute; le teorie degli Empirici furono il loro punto di partenza.
“calore animale”, avvertibile attraverso la palpazione del polso, come principio di vita e salute.
Nell'epoca greca e poi romana ci fu un grandissimo sviluppo dell'igiene: i bisogni fisiologici non venivano più espletati nell'ambiente esterno o in luoghi aperti comuni (vicoli, spiazzi) ma in apposite costruzioni, le latrine pubbliche, dotate di sistema idrico e di sistema fognario efficienti. In ogni casa, non solo in quelle dei ricchi, ma anche nelle insulae, che erano le case popolari dell'epoca, vi era una fontana, l'acqua corrente, portata in ogni casa dagli acquedotti.
Questi acquedotti, costituiti da tubi di piombo, materiale molto malleabile, furono imputati del crollo dell'impero romano, a causa della malattia causata dai sali di piombo, il saturnismo.
In realtà pare che non fosse tanto l'acqua inquinata a determinare tale malattia, ma il vino. L'acqua, infatti, non depurata proveniente da zone montane, era ricca di sali di calcio, i quali, col tempo, depositandosi sulle pareti delle tubature, costituivano un rivestimento capace di trattenere i sali di piombo, che non venivano più a riversarsi nell'acqua corrente. Il vino risultava invece, alla fine, ricco di sali di piombo, che sono solubili, in quanto questi venivano utilizzati, alla stregua del bisolfito usato oggi, per controllare la fermentazione del vino.
Sulla scia della grande importanza data all'igiene, in epoca romana sorsero i primi veri e propri ospedali, costruiti secondo precise norme igieniche quali smaltimento dei rifiuti, sistema idrico, libera circolazione dell'aria, come dimostrano le numerose finestre di cui erano dotati.
Aulo Cornelio Celso (I sec d.C.) fu l’unico vero romano tra i grandi medici che operarono a Roma e non fece parte di nessuna delle scuole mediche dell’epoca; nella pratica si rifaceva agli insegnamenti di Ippocrate e Asclepiade. Questi fece una sorta di enciclopedia “De artibus”, della quale è arrivata fino a noi solo la sezione medica, il trattato “De Medicina” in cui erano affrontati argomenti di chirurgia, di medicina dal punto di vista di un erudito, piuttosto che da quello di un conoscitore dell'argomento, facendo un grande elenco di pratiche comuni a Roma. Da qui possiamo però farci un'idea dello sviluppo raggiunto dalla chirurgia in quell'epoca, soprattutto in alcuni campi, quali l'odontoiatria (di origine etrusca basandosi sulle immagini di protesi dentarie e di impianti di denti). Inventò una terminologia medica ancora usata nella medicina moderna.
Galeno (II sec. d.C.) è il più noto dei medici dell’epoca romana e lasciò una traccia importantissima nella cultura occidentale. Nacque a Pergamo intorno al 130 d.C. ed era figlio dell'architetto del re, dopo il tirocinio a Corinto, Smirne ed Alessandria si trasferì a Roma.
Qui fece il medico dei gladiatori, acquisendo quindi una certa infarinatura anatomica, anche se, seguendo i concetti greci, si dedicò soprattutto alla dissezione degli animali. Tra questi i più studiati erano il maiale “l'animale più simile all'uomo” ed il macaco.
Galeno basa la sua sapienza medica sull’acquisizione sistematica del dato anatomo-fisiologico e sulla sistematizzazione dell’enorme quantità di dati proveniente dagli scritti di scuola ippocratica ed in genere di autori antichi.
Galeno si trova ad affrontare la fama di Asclepiade, che con le sue terapie era entrato nella piena stima di gran parte del popolo, ed inizia, fin da giovane, una continua opera di aggressione nei confronti delle teorie di quest’ultimo.
Sul piano della fisiologia perfezionò la tradizione umorale ippocratica, collegando ad ogni umore un organo ed ad una qualità che corrisponde ai quattro elementi caratteristici del macrocosmo. La salute implica l’equilibrio dei quattro umori, a seconda che prevalga uno o l’altro si hanno quattro tipi di temperamento.
Elementi di Talete |
Umori di Ippocrate |
Organo |
Qualità |
Aria |
Sangue |
Cuore |
Caldo |
Fuoco |
Bile gialla |
Fegato |
Umido |
Terra |
Bile Nera |
Milza |
Secco |
Acqua |
Flegma |
Cervello |
Freddo |
Galeno intuì l'importanza fondamentale degli organi e di molti anche il loro effettivo ruolo; ad esempio capì che le vesciche urinarie non producevano urina, ma che questa proveniva dagli ureteri (lo dimostrò legando gli ureteri); per Galeno la malattia è un fenomeno di alterazione funzionale riferito ad un singolo organo.
Elaborò un teoria fisiologica per capire come funzionava il nostro corpo e come si muoveva il sangue, intuendo il rapporto di continuità fra arterie e vene attraverso i capillari. Secondo la sua teoria non esiste una circolazione ma tre circuiti: quello del sangue trasportato dalle vene per nutrire gli organi e quello dello spirito vitale, che circola attraverso le arterie per insufflare le forze della vita. Sulla base di molte affermazioni di Aristotele affermò che il cibo durante la digestione divenisse sangue e si arricchisse di spirito naturale.
In seguito il sangue attraverso le vene, veniva portato al fegato: l'organo principale della circolazione e gran parte di questo, dal fegato andava in periferia, attraverso le vene, dove veniva consumato come nutrimento. Una parte, invece, attraverso la vena Cava, passava al cuore, sede in cui arde la fiamma vitale, nel quale si arricchiva dello spirito vitale; in particolare il sangue giungeva al cuore destro e da qui, attraverso dei pori (foramina), giungeva al cuore sinistro;
da qui, attraverso le arterie, considerate dei vasi, il sangue giungeva soprattutto al cervello.
Prima di giungere però al cervello all’interno del quale il sangue si arricchiva di un ulteriore spirito, lo spirito animale, quindi, attraverso i nervi, considerati il terzo sistema di vasi, giungeva in periferia dove poteva dare la vita. Questa teoria non presuppone una circolazione del sangue, bensì solo un movimento: a suo giudizio si muoveva secondo il moto delle maree.
Secondo tale concezione, il sangue sarebbe dovuto essere una quantità enorme: infatti, se man mano che il sangue giungeva in periferia si consumava, è logico che se ne sarebbe dovuto produrre una quantità notevole in continuazione. Per confutarla sarebbe bastato prendere un animale e sgozzarlo, come fece 1500 anni dopo Harvey. Secondo la teoria galenica, inoltre, a livello del cervello il sangue veniva filtrato e si veniva così a creare uno spurgo, rappresentante ciò che di impuro il sangue conteneva, e che, attraverso la lamina cribrosa (chiamata così per l'appunto) colava giù dando origine alle lacrime. Una teoria affascinante che, tuttavia, non era fondata su basi sperimentali e che portò poi alla cristallizzazione di tutto il sapere medico- scientifico.
Esasperò l'aspetto terapeutico della materia peccans, come ad esempio il pus, "bonum et laudabile", perché espressione di materia peccans che doveva essere eliminata.
Purtroppo tale intuizione venne sfruttata in senso stretto, basti pensare che le ferite non dovevano guarire per prima intenzione, ma doveva formarsi prima pus: era quindi necessario bruciare la ferita in maniera tale da provocare la sua formazione, perché solo così le ferite guarivano meglio. Tale concetto restò valido sino alla fine del 1500.
Galeno portò, inoltre, all'esasperazione anche altre metodiche terapeutiche, quali il salasso. Nel suo concetto introdusse anche il concetto metodista dei pori: ciò, però, fu travisato ed interpretato come un invito a non lavarsi.
Tra le trattazioni rese così inattaccabili, oltre a quella sul sangue, già vista, vi è quella anatomica. Una anatomia, tuttavia, fondata sullo studio di animali che quindi non aveva nessuna funzionalità pratica, reale. A riprova dell'intoccabilità di Galeno è dimostrativo il fatto che, nonostante tutte le prove rappresentate dai numerosi scheletri presenti sotto gli occhi di tutti, si continuasse ad affermare che gli omeri fossero curvi, e che quelli dritti non erano altro che ingannevoli scherzi della natura.
Galeno ebbe molta importanza come medico pratico: basandosi sulle piante medicinali introdusse farmaci di grandissima importanza (preparati galenici), ad esempio, l'uso della corteccia di salice, del laudano, tintura di oppio come anestetico.
Però insieme a questi reclamizzò dei farmaci completamente inutili, tra cui la triaca o teriaca, in altre parole un brodone in cui erano presenti le cose più strane: sterco di capra, pezzi di mummia, teste di vipera. L'unica cosa buona di questo intruglio era il fatto che veniva fatto bollire a lungo per cui il materiale contenuto all'interno era sterile. Venne utilizzata fino alla fine del 1700; veniva prodotta generalmente una volta l'anno nelle varie città sotto la responsabilità del magistrato e venduta poi nelle farmacie.
L’origine della medicina araba è il frutto di un complesso panorama storico.
La condanna all’eresia del vescovo Nestorio, sancita dal concilio di Efeso nel 431 e la chiusura dell’accademia di Atene, operata nel 529 da Giustiniano, possono essere considerati i due fatti propulsori di una fuga verso oriente di uomini dotti, grammatici e uomini di legge, che ha direttamente favorito il crearsi di una speciale via di trasmissione delle opere del mondo classico. Dopo Galeno ci fu una moltitudine di medici che operarono nell'impero d'occidente ma soprattutto in quello d'oriente, con il conseguente definitivo passaggio del sapere.
In effetti non esiste una medicina araba di per sé, ma lo sforzo per apprendere tutta la conoscenza greca e romana in campo medico è notevole, ne è testimonianza il fatto che gli arabi tradussero con estrema precisione gran parte della bibliografia classica esistente e che decisero di costituire una propria terminologia medica.
Grande importanza sulla scia dell’esempio romano venne attribuita all’igiene: vennero costruiti ospedali avanzati, a immagine di quelli romani, a Bagdad, in altre città dell'Iraq e al Cairo.
In realtà esistevano già delle strutture ma non erano certo comparabili a quelle sopra citate.
La grande novità dell’ospedale arabo risiede nel suo carattere laico che lo porta a differenziarsi dai ricoveri già sorti nell’oriente cristiano sottoforma di “case della carità”; nell’ospedale vi è poi la presenza di personale sanitario con ruoli differenziati, di personale addetto alle pulizie e di allievi, tutti regolarmente ricompensati in denaro. La presenza dei volontari, dei samaritani quindi viene meno, a differenza delle strutture dell’occidente cristiano.
Era prevista una divisione in reparti a seconda della patologia dei ricoverati e la presenza di un laboratorio di elaborazione farmacologica.
Un’ altra importante novità dell’ospedale arabo è il suo legame con i centri di elaborazione culturale. Acquisisce particolare importanza la clinica svolta al letto del malato da parte di medici e dei loro allievi: un utile modo per ampliare e rinnovare l’esperienza.
In questa epoca araba non si dava importanza, continuando sul concetto della medicina olistica, all'anatomia. La scienza medica araba poggia sulle concezioni della teoria umorale ereditate da Ippocrate e Galeno. Rimaneva tuttavia ben saldo il concetto dell'igiene avanzata, del lavarsi molto. Nella medicina araba ebbe grande influenza anche la religione.
Uno dei concetti del Corano era che non bisognava toccare il corpo umano per evitare che uscisse il sangue, in quanto insieme a questa sarebbe uscita anche l'anima; ciò pose un veto alla possibilità di eseguire dissezioni nelle 24 ore successive alla morte, per paura che venisse persa l'anima.
Nella religione cattolica, invece, non vi è nessun ostacolo di carattere religioso alla dissezione: il corpo è qualcosa di secondario, ciò che importa è l'anima.
La civiltà araba ebbe il massimo sviluppo in Europa nella Spagna islamica, a Cordoba, in particolare, vi furono grandi medici e commentatori di Aristotele, quali Averroè ed Avicenna.
Il periodo della civiltà moresca in Europa fu il culmine della civiltà araba. Dopo la disfatta dei mori l'impero arabo crollò e il loro sapere tornò in Europa, in particolare a Montpellier e a Salerno.
Avicenna nato nel 980 in Persia fu medico, filosofo e matematico. Delle sue 94 opere, 26 trattano di medicina e anatomia. “Il Canone della medicina" e “La terapia”, in particolare, raccolgono tutto lo scibile dell’epoca in campo medico, riprendendo le teorie di Ippocrate, Galeno e Aristotele.
I medici dell’epoca furono fortemente influenzati da Galeno, ma non aggiunsero nulla di nuovo alle sue teorie, favorendo ad una cristallizzazione ed una conseguente involuzione del sapere medico, al contrario della società araba, protagonista di un imponente sviluppo in questo campo.
Durante la sua espansione, il cristianesimo tese a diventare il punto di riferimento di ogni sapere, compreso quello medico, ed in un certo senso si ha un ritorno a quella che era la medicina teurgia. Si afferma una nuova concezione della malattia e della salute che condiziona pesantemente l’evoluzione della medicina.
Sia la medicina monastica che quella laica partono da un identico assunto: tutto proviene da Dio e non si può lottare contro Dio. Da qui l’impotenza dell’uomo in generale e del medico in particolare contro le malattie, introdotte nel mondo con il peccato originale: esse sono il simbolo dello stato dell’umanità dopo la colpa. La perdita dell’immortalità del corpo è lo stato naturale dell’uomo nella storia. Malattia e guarigione si caricano di un significato prevalentemente religioso; la prima è considerata come la via verso la redenzione, la possibilità offerta da Dio per riscattarsi dal peccato. La cura dell’anima è quindi primaria a quella del corpo.
La preghiera diventa il più prezioso dei farmaci e ai Santi viene attribuito il compito di difendere dalle malattie e di intercedere per la guarigione, venivano chiamati adiuvanti e alle loro reliquie venivano attribuiti poteri miracolosi; vere e proprie guerre venivano combattute per tali reliquie. Vi erano santi protettori per ogni organo e contro ogni malattia:
Santa Lucia protettrice degli occhi;
Santa Apollonia o sant’Apollinare per il mal di denti; San Biagio della gola;
San Fiacre proteggeva dalle emorroidi; Sant'Antonio dalla lebbra e del fuoco sacro; San Rocco dalla peste;
San Giobbe per la lebbra;
A partire dal VI secolo la medicina era esercitata sopratutto nei monasteri, specie in quelli benedettini (infirmorum cura ante omnia); in questi luoghi si tramandavano le conoscenze mediche dell’antichità e le si metteva in pratica spinti da intenti caritativi. Alcuni monaci, tuttavia, diedero un contributo personale scrivendo trattati di medicina. Tra questi ricordiamo Alcuino, il medico di Carlo Magno.
Nasce una concezione del malato come insieme di anima e corpo, verso il quale devono essere concentrati i valori di accoglienza, assistenza ed ospitalità.
Cristo infatti è nello stesso tempo il malato, il sofferente, il povero ed il debole ma anche il medicamento che ovvia a tutti questi disagi.
La parabola del buon samaritano “Ogni volta che avrete fatto queste cose ad uno dei più piccoli, l’avete fatto a me” concretizza l’aspetto di caritas, l’amore cristiano che spinge l’uomo verso il suo simile sofferente, in quanto riflesso dell’amore scambievole che lega dio alle sue creature, e restituisce all’uomo la somiglianza perduta dopo il peccato.
L’assistenza ai malati si diversificò nel medioevo: a partire dal dal IX secolo è documentata la presenza dell’hospitale (vedi Evoluzione dei luoghi di cura
Dopo la caduta del regno arabo, gli scienziati della Spagna mussulmana, come già detto, si rifugiarono soprattutto in Francia, a Montpellier, e in Italia a Salerno, dove fiorì la cosiddetta scuola salernitana, che, secondo la leggenda, fu fondata poco prima del 1000 da un greco, da un latino e da un ebreo e sopravvisse fino al 1811; il suo massimo splendore è fra il 1100 ed il 1300. Più probabilmente venne aperta da organizzazioni religiose che però ospitarono fin dai primi anni insegnanti laici. In questa scuola confluirono una marea di manoscritti greci ed arabi; si ebbe perciò un ritorno alla cultura greca e classica e alla medicina ippocratica.
Questa scuola si distinse come polo didattico moderno, di tipo universitario. A Salerno insegnarono le prime donne medico: Abella, Rebecca, Francesca, Costanza e, sopratutto, Trotula; quest’ultima fu autrice di un trattato di ostetricia “De mulieribus passionibus ante, in et post partum" che si impose come testo di riferimento fino al ‘500.
La scuola medica di Salerno diede il via ad una nuova medicina che si basava sulla sperimentazione come fonte di conoscenza, allontanandosi progressivamente dalle posizioni di Galeno, all'esame del malato e all'esame delle urine; vi fu un certo sviluppo della chirurgia, ma non della condizione dei chirurghi, i quali erano sempre considerati degli aggregati e non dei medici. Lo spirito e gli insegnamenti della scuola salernitana furono raccolti nel “Regimen sanitatis salernitanum", una raccolta di precetti e aforismi in versi latini. L’opera influenzò tutte le scuole di medicina dell’epoca.
I temi trattati erano la moderazione della dieta e del vino, il non eccedere nelle pratiche amorose, il non leggere a lume di candela, non sforzarsi troppo nella defecazione.
Ritornarono i principi dell'igiene, del lavarsi molto, della salubrità dell'aria.
Il concetto dei temperamenti (gioviale, amoroso, collerico e flemmatico), derivato dalla mutazione galenica della teoria ippocratica degli umori, non venne abbandonato e ciò è riscontrabile in alcuni consigli in relazione all’alimentazione (se uno era molto collerico aveva troppa bile, troppo fuoco, per cui bisognava smorzare tale temperamento facendogli mangiare pesce di palude che è freddo).
Il termine “Universitas”, come corpo unico di docenti e studenti risale al XII secolo.
Dal 1200 in poi i centri della cultura diventarono le Università. La prima fu quella di Bologna, fondata nel 1113. Seguirono Padova (1222), Napoli, Messina (1224), Siena (1241), Roma, Pisa, Pavia e in seguito molte altre.
L'Università di Sassari fu fondata nel 1616, quella di Cagliari, nel 1634.
Lo stesso fenomeno si verificò nel resto d’Europa; Parigi (1100) Montpellier (1181), Oxford, Cambridge, Heidelberg, Praga, Vienna divennero centri universitari molto famosi.
Non bisogna dimenticare il ruolo importantissimo della scuola salernitana.
All’interno delle Università si sviluppò un nuovo modo di vedere la medicina, sempre più distante da quello di Galeno. Gli esperimenti diventano l’unico strumento della conoscenza.
Nel 1200-1300 si riprese a fare la dissezione. Si ebbe un certo periodo di stallo intorno al 1299 perché il papa Bonifacio VIII promulgò una bolla papale chiamata "De sepolturis", in cui si vietata la manipolazione dei cadaveri, cioè non potevano essere ridotti in scheletro e bolliti.
Questo aveva due scopi principali:
La bolla cui si è accennato non aveva alcuna intenzione di impedire le dissezioni, però in pratica le bloccò. Pochi anni dopo, le dissezioni ripresero grazie ad altri papi che capirono l'equivoco e divulgarono delle bolle che permettevano le dissezioni in particolari periodi dell'anno, soprattutto in quaresima sulle donne, da taluni ritenute prive di anima, e solo successivamente sugli uomini.
Da illustrazioni dell'epoca appaiono chiari il ruolo assunto nella pratica della dissezione e dal medico togato e dal chirurgo inserviente: il primo indossava una lunga toga da cui spuntano solo le scarpe, per evidenziare la sua statura culturale, leggeva il testo e dava direttive al chirurgo; il secondo indossa una corta toga dalla quale fuoriescono le gambe, per dimostrare il rango inferiore e la non riconosciuta dignità accademica.
La prima dissezione ufficiale per motivi medico-legali e con scopo didattico fu praticata all'università di Bologna nel 1315 da Mondino de' Liuzzi (1270- 1326), lettore di anatomia che seziono due cadaveri di donna.
Nel frontespizio dell' Anatomia Mundini si vede che la dissezione era qualcosa di mediato, un commento ai testi galenici. Mondino fu il più importante dei precursori di anatomia vera e propria, ma la sua intenzione di mostrare ai suoi allievi la vera composizione del corpo umano collide con quanto affermano le opere di Galeno, la cui conoscenza anatomica si basava sulla dissezione di animali. Mondino giustifica le differenze che si riscontrano fra testo ed osservazione diretta ricorrendo a supposti cambiamenti morfologici che si sarebbero svolti in natura dai tempi della pubblicazione delle opere galeniche.
Le asserzioni di Galeno costituivano un dogma che non poteva essere criticato.
I chirurghi non avevano accesso alle conoscenze anatomiche perché non conoscevano il latino, ragion per cui l'anatomia diventava una sorta di esercizio filosofico.
Pochi anni dopo cominciarono le prime dissezioni con finalità didattiche: per la prima volta veniva trasmesso agli studenti il concetto che fosse necessario scrutare all’interno del corpo umano rispetto che in quello degli animali.
Il Rinascimento nel XV e XVI secolo segna la rinascita della medicina moderna, sulla spinta dell’entrata in crisi del dogmatismo filosofico e religioso del lungo medioevo e l’affermazione dell’umanesimo che poneva l’uomo come entità libera di pensiero, portò allo sviluppo dello spirito di osservazione, del metodo sperimentale e della libertà di pensiero.
L’invenzione della stampa favoriva la circolazione di testi greci e latini soprattutto riguardo la filosofia medica, l’anatomia e la chirurgia.
Con la diffusione dell’iconografia anatomica il rinascimento diviene il secolo d’oro di questa disciplina. Chi praticò l'anatomia reale in prima persona furono artisti del calibro di Leonardo Da Vinci (1452-1519, finissimo anatomico), Mantenga, Michelangelo. Alcuni di essi rinunciarono al salario per avere a disposizione delle salme dai vescovi (Leonardo, Michelangelo). Si fecero numerosissime scoperte che vennero riprodotte fedelmente in codici che rimasero più o meno segreti, non influenzando di fatto quello che era lo sviluppo dell’anatomia.
Leonardo da Vinci, oltre ad una produzione di 750 tavole, rappresentò la cavità uterina con il feto nella sua vera posizione. Un suo progetto era quello di pubblicare un atlante anatomico insieme a Marco Antonio della Torre, che però morì giovanissimo. Anche Michelangelo voleva fare un atlante di anatomia insieme a Realdo Colombo, ma anche questo si concluse nel nulla.
Tuttavia, sono i grandi medici a far fare il salto di qualità a questa branca della medicina.
Sylvius diede un contributo alla sistematizzazione della nomenclatura anatomica.
Andrea Vesalio (1514 - 1564), insegnò anatomia e chirurgia a Padova; attraverso lo studio obbligato dei testi di Galeno si convinse che questi avesse praticato dissezioni solo su animali e sostenne la necessità di effettuarle dal vero.
Pubblicò un opera monumentale (300 tavole) nel 1542 "De Humani Corporis Fabrica" in cui descriveva il corpo umano visto in una dissezione operata da lui stesso.
L’opera si proponeva di offrire a chi non potesse partecipare alle dimostrazioni settorie , la descrizione particolareggiata delle parti del corpo umano: le ossa, le articolazioni (specie del cranio, della mano e del piede), la muscolatura, il sistema artero-venoso, il midollo spinale ed il sistema nervoso periferico, il tubo digerente, l’apparato urogenitale e gli organi della riproduzione, gli organi endotoracici; il cervello e gli organi di senso.
La dissezione divenne autopsia nel senso ellenistico, qualcosa che si vedeva con i propri occhi. Si può notare l'orgogliosa affermazione di Vesalio che diceva: “Le cose le vedo io”. Nel frontespizio della sua opera osserviamo l'anatomico che opera direttamente sul cadavere. Questa tavola è opera del pittore Giovanni Stefano Calcar allievo di Tiziano, che servì a Vesalio per fare i disegni che corredano il libro.
Nelle tavole di Calcar c'è una raffigurazione molto precisa del corpo umano: in piedi e con paesaggi di fantasia. Le tavole non venivano colorate perché era troppo dispendioso. Vesalio corresse Galeno in 250 punti. Però non attaccò la concezione galenica del movimento del sangue anche se lo demolì, dimostrando che non esistevano pori nel cuore, non esisteva il circolo mirabile, ma li si fermò.
Con l’anatomia dell’epoca la medicina acquisisce due principi che vennero rimarcati dall’opera di Galileo.
Altri grandi anatomisti del tempo furono Gabriele Falloppio (1523 - 1562), Girolamo Fabrici di Acquapendente (1533 - 1619) e Bartolomeo Eustachio (1505 - 1574); quest’ultimo operò a Roma e scrisse un trattato quasi superiore a quello di Vesalio, non dal punto di vista artistico, ma dal punto di vista scientifico. Questo trattato andò a finire nel dimenticatoio fino agli inizi del 700.
Paracelso nacque nel 1493 a Einsiedeln (Svizzera), si laureò a Ferrara e girò tutta l’Europa per diffondere le sue conoscenze. Si tratta di una figura molto complessa, che spaziò dall’alchimia,
all’astronomia, la sua concezione medico-filosofica risiede in un binomio che lega il microcosmo del corpo umano al macrocosmo dell’ambiente che lo circonda e dell’universo che lo comprende. Ad ogni elemento del microcosmo corrisponde un elemento del macrocosmo.
Sostituisce i quattro umori fluidi in movimento, sui quali si basava la teoria classica, con tre sostanze chimiche: zolfo, mercurio e sale ai quali corrispondevano nell’ordine tre qualità: combustibile, volatile ed incombustibile.
Secondo Paracelo nell’organismo, tramite l’accoppiarsi o separarsi del sale, dello zolfo e del mercurio, si verificano le variazioni fisiologiche e patologiche.
La visione del corpo come un luogo di reazione di processi chimico-reattivi diversificati in modo specifico a seconda della sede in cui essi si verificano (per esempio i sali del sangue sono diversi da quelli delle ossa) rivoluziona alle fondamenta l’eredità galenica anche nelle sue ricadute terapeutiche, perché non si deve curare sulla base della teoria dei contrari, ma reimmettendo nel corpo i principi su base chimica.
Per primo tentò di coltivare cellule al di fuori dell’organismo e fu uno strenuo sostenitore del metodo sperimentale. Il suo interesse per l’alchimia rappresenta il tentativo di spiegare con la chimica i fenomeni fisiologici.
Per la prima volta utilizzò l'etere e si accorse che questo aveva capacità anestetiche (questa pratica andò scemando e venne riscoperta in America 300 anni più tardi), il laudano per lenire i dolori e l'antimonio.
Girolamo Fracastoro (1483) fu contemporaneo di Paracelso e fu anch’egli un grande innovatore, effettuò importanti studi sulle malattie infettive e viene considerato il primo batteriologo del XVI secolo. In quel tempo andava affermandosi la “dottrina dei miasmi (esalazioni)” e l’idea di contagio inteso come trasmissione di un processo infettivo da un soggetto ad un altro. Si pensava che la malattia penetrasse nel corpo attraverso l'aria (soprattutto) o il cibo e che portasse alla putrefazione degli organi e degli umori. Per questo motivo gli studi di Fracastoro furono accolti con grande interesse.
Per primo egli intuì che alcune patologie fossero trasmesse da agenti microscopici che chiamò “seminaria prima" o “seminaria morbi”, i precursori dei microrganismi patogeni e nel suo libro “Il contagio e i morbi contagiosi” presenta una serie di osservazioni cliniche di grande accuratezza sulla loro diffusione ad esempio di tifo e sifilide; quest’ultima, in particolare, all’epoca rappresentava una grande piaga.
Galileo Galilei (1564), fondatore della scienza moderna, affermò come già aveva fatto Fabrizio d’Acquapendente il divario fra medicina e chirurgia.
La svolta del pensiero scientifico e filosofico operata da Galileo mirava ad abbandonare il pensiero deduttivo e seguire quello induttivo.
Il suo contributo è da rilevare nell’enunciazione dei due principi fondamentali del pensiero scientifico:
Dall’osservazione dei fenomeni si doveva giungere all’individuazione della legge che li governa e poi, con l’esperimento, si doveva controllare la validità del ragionamento.
Oltre a ciò Galileo creò un’ apparecchiatura medica chiamata pulsilogio, che misurava la frequenza e la variazione del polso di un paziente. Questo consisteva in un pendolo con la possibilità di allungarsi ed accorciarsi fino a quando le oscillazioni fossero sincrone con i battiti del polso. Utilizzando il compasso si procedeva alla misurazione della cordicella del pendolo ed essa era rapportata ad una scala metrica che esprimeva la frequenza.
Fabrizio di Acquapendente (1533 - 1619) fu un grandissimo chirurgo e professore a Padova. Pubblicò numerosi trattati di chirurgia e fu il maestro dello scopritore delle valvole del sistema venoso. Costruì a Padova il primo teatro anatomico stabile al mondo. Il teatro era circolare, gli studenti stavano in piedi ed il tavolo era al centro, in modo da avere una visione precisa del cadavere disteso sul tavolo. Sotto il tavolo c'era un canale che serviva per eliminare i rifiuti e far
arrivare i cadaveri. Gli altri teatri fino ad allora conosciuti erano mobili. Da allora l'anatomia divenne qualcosa di sociale.
Fra ‘600 e ‘700 la nuova scienza e la nuova filosofia divennero le basi per una nuova medicina, in cui buona parte della terapeutica rimase inalterata.
Vennero introdotti strumenti di misurazione di precisione come il termometro clinico ed il “pulsilogium”, impiegati per la prima volta nella pratica clinica.
Particolarmente importante per l’osservazione medico-morfologica furono la scoperta del cannocchiale e del microscopio.
Bernardino Ramazzini (1633 - 1700) medico e studioso è considerato il padre della medicina occupazionale, nel 1700 pubblica la prima edizione del suo trattato più famoso “De Morbis Artificum Diatriba”, il primo lavoro sulle malattie occupazionali basato su un approccio sistematico. Ramazzini investigò infatti oltre 40 occupazioni, descrivendo per ciascuna i rischi alla salute, i commenti dei lavoratori e i possibili rimedi.
La relazione tra rischi e malattia individuata da Ramazzini si basa su intuizioni e deduzioni logiche che anticipavano l’approccio scientifico moderno basato sui principi epidemiologici. Per questo egli è considerato il padre della moderna medicina occupazionale. Anticipando metodi moderni di investigazione dei cambiamenti di salute e intuendo eventi inusuali, Ramazzini volle enfatizzare la necessità di studiare l’ambiente di lavoro e di migliorarlo. Inoltre prestò molta attenzione alla necessità di fornire informazioni adeguate ai lavoratori riguardo ai rischi in cui incorrevano e suggerendo misure per prevenirli.
William Harvey (1578 – 1657) applicò il metodo quantitativo matematico-sperimentale di Galileo e nel 1628 spiegò la circolazione del sangue. Anzitutto misurò la quantità di sangue che c'è nel corpo (prese un animale a cui tagliò una vena e estrasse tutto il sangue) e vide che era molto limitata. Questo fatto era quindi in contrasto col concetto galenico secondo cui il sangue veniva continuamente prodotto per essere assorbito dalle strutture periferiche;
Harvey, usando le tavole di Fabrizio d'Acquapendente, dimostrò che nelle vene il sangue non aveva decorso centrifugo, come invece sosteneva Galeno, secondo il quale il sangue andava dal fegato alla periferia. Fabrizio aveva interpretato quelle tumefazioni che si vedono quando si comprime una vena (e dovute alle valvole venose) come delle porticine che servivano per rallentare il flusso dal centro alla periferia, Harvey dimostrò esattamente il contrario: infatti aveva visto che, mettendo un laccio ad una vena, che pertanto diventa turgida, e poi chiudendo altri due segmenti, il sangue non va dal centro alla periferia ma dalla periferia verso il centro.
Sulla base di esperimenti condotti sui cani capì il meccanismo della circolazione venosa, il cuore era come una pompa che metteva in circolo il sangue, non riuscì però a trovare l'anello di congiunzione tra le arterie e le vene perché non riusciva a vedere i capillari.
I capillari vennero poi scoperti, più tardi, da Malpighi negli animali a sangue freddo ed in quelli a sangue caldo da Spallanzani.
La sua teoria è esposta nell’opera “Exercitatio de motu cordis et sanguinis” e contiene due concetti rivoluzionari: il concetto di circolazione in un circuito completamente chiuso e l’idea che è il battito cardiaco a spingere il sangue nelle arterie.
Marcello Malpighi (1628-1694), allievo di Galileo, descrisse la struttura dei capillari nel polmone di rana (animale a sangue freddo) completando lo schema di Harvey, unendo come piccolo e grande circolo il duplice anello dove si compie il moto del sangue.
Malpigli sostenne che tutti gli organi erano formati da delle minute macchine, le ghiandole. Questo è vero e falso nello stesso tempo. Infatti è vero che si può riconoscere una struttura ghiandolare nel fegato, nel rene, ma questo non vale per il cervello o altri organi. Questo grande scienziato fece altre scoperte importanti: gli strati dell'epidermide, il glomerulo renale, i corpuscoli della milza, i globuli rossi, ma il suo genio deriva dall'essere riuscito a distinguere ciò che era artefatto da ciò che era realtà, perché i microscopi di allora davano immagini veramente fallaci.
L’illuminismo e il razionalismo del ‘700 sono il terreno fertile sul quale la scienza medica può svilupparsi. Il metodo sperimentale diventa lo strumento indispensabile per raggiungere la conoscenza.
Nel ‘700 avviene la sintesi fra clinica ed anatomia e vengono a scoprirsi i rapporti causali fra le lesioni anatomiche degli organi infetti e le relative malattie, nasce l’anatomia patologica sistematica, intesa come il tentativo di correlare il quadro anatomo-patologico osservato dopo la morte con la sintomatologia clinica presentata dal paziente.
Nel’700 la medicina diventa soprattutto osservativa, dimostrazione di ciò è la nascita della semeiotica: la disciplina che insegna a rilevare ed ad interpretare i segni delle malattie.
Gian Battista Morgagni pone la parola fine alla considerazione della malattia come alterazione degli umori o dei toni. Il suo “De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis" del 1761 è il primo vero trattato di anatomia patologica.
Si scopriva finalmente che le malattie potevano avere una sede, localizzarsi in un determinato organo. Dalla lesione locale dimostrata all’esame del cadavere, si poteva risalire ai fenomeni ed ai sintomi delle malattie osservate in vita, naturalmente se si erano seguiti gli eventi patologici del soggetto.
Per una miglior comprensione dei meccanismi patologici e per progredire nello studio volto a scoprire i nessi tra le lesioni locali ed il ruolo della malattia, fu necessario attendere gli sviluppi della fisiologia. Se l’anatomia prevedeva di conoscere meglio la struttura degli organi, i procedimenti sperimentali tesi a spiegare il loro funzionamento, durante il ‘700 erano condizionati dalla fallacia degli strumenti di misura.
Xavier Bichat (1771 – 1802) è il fondatore dell’istologia e della fisiopatologia in quanto dimostrò per la prima volta che gli organi sono costituiti da tessuti, che venivano individuati come fondamentali unità costitutive dell’organismo; questo approccio gli consentì di distinguere alterazioni comuni di ogni apparato ed alterazioni specifiche di ogni distretto.
La patologia poteva quindi essere inquadrata non solo a livello di un organo, ma a livello di uno specifico tessuto fra quelli che lo componevano, indipendentemente dallo stato dell’organo nel quale quel tessuto è compreso.
Laennec, allievo di Bichat, inventò lo stetoscopio nel 1816; il primo strumento diagnostico di uso generale che trasforma la pratica della medicina e cambia la percezione della malattia da parte del medico.
La leggenda racconta che per evitare l’imbarazzo dell’auscultazione con l’orecchio appoggiato al petto di una giovane paziente, abbia arrotolato un quaderno appoggiandone un estremità al torace e l’altra al proprio orecchio, scoprendo così i rumori polmonari e cardiaci molto amplificati. Successivamente perfezionò la sua invenzione con un cilindro di legno con un foro passante di due millimetri.
La grande trasformazione della medicina, soprattutto nella seconda metà dell’ottocento, si colloca in un contesto di profonde trasformazioni economico sociali ed è accompagnata da enormi progressi della scienza di base (fisica, chimica, matematica), le cui acquisizioni confluiscono in vario modo rendendo possibili gli straordinari successi della medicina.
Il miglioramento del microscopio e l’utilizzo delle lenti acromatiche permettono un notevole sviluppo delle tecniche d’osservazione relative alle microstrutture, eliminando le aberrazioni ottiche che avevano fatto osservare “globuli” ed “animaluncoli” in tutti i preparati.
La chimica contribuì nella conoscenza della dinamica della cellula vivente.
Si sviluppa la chimica fisiologica e nasce la chimica organica e la chimica farmaceutica, che consisteva nello studio dei metodi di preparazione di sostanze ad impiego terapeutico.
La matematica applicata alla statistica, permette una raccolta sistematica di dei dati relativi alle condizioni di salute e malattia.
A metà del XIX secolo la medicina era ancora fondata sull’esperienza e sull’osservazione (molto arricchita nel XVIII secolo). Il metodo sperimentale compare in questo periodo più o meno contemporaneamente in tre settori:
Una tappa fondamentale nella biomedica della seconda metà dell’800 è la nascita della patologia cellulare ad opera di Rudolf Virchow.
L’opera di Virchow ha per lit-motiv l’idea che l’interpretazione patogenica della malattia, a livello degli apparati e degli organi interessati, deve essere ricercata all’interno della cellula, le cui alterazioni funzionale e strutturali dovrebbero spiegare gli aspetti fenomenici della malattia e l’iter della sua evoluzione fino all’esito letale o alla guarigione.
Claude Bernard è medico, farmacologo, chimico e studioso di metabolismo, rivolto a definire i criteri di scientificità delle osservazioni in clinica come in laboratorio. Nella sua opera principale “Introduzione allo studio della medicina sperimentale”, pubblicata nel 1865 egli definisce il ruolo dell’esperimento nella scienza biomedica.
Secondo Bernard la ricerca biomedica deve nascere dalla formulazione di un ipotesi (concezione a priori o idea preconcetta) che doveva essere suggerita non solo da semplici osservazioni, che anche se acquisite in gran numero costituivano una conoscenza sterile, quanto più dalla formazione di un pensiero creatrice di nuove idee associative che dovevano essere sottoposte al vaglio dell’esperimento in modo da raggiungere, nel caso in cui l’esperimento confermi l’idea preconcetta, una interpretazione a posteriori.
La medicina sperimentale analizza i processi morbosi nascosti nell’organismo e non si occupa di quelli visibili allo sguardo del medico, che concernono la medicina clinica.
La medicina sperimentale si basa sull’intuizione di Bernard della continuità esistente tra fisiologia e patologia, che differiscono fra loro per gli elementi quantitativi. Questa comprensione diviene quindi il presupposto basilare per la terapia.
Per lunghi secoli le malattie epidermiche furono attribuite ai miasmi9 ed alla putrefazione dell’aria. Nella storia non erano mancate le intuizioni sulla presenza di esseri animati, invisibili ad occhio nudo e responsabili delle malattie.
Fracastoro nel rinascimento intuì che alcune patologie fossero trasmesse da agenti microscopici che chiamò “seminaria prima" o “seminaria morbi”, i precursori dei microrganismi patogeni.
Studiò il tifo e la sifilide; quest’ultima malattia, in particolare, all’epoca rappresentava una grande piaga.
Nella medicina ufficiale del Seicento malattie come la scabbia ed i pidocchi (il cosiddetto "morbus pedicularis") venivano attribuite ad uno squilibrio umorale dell'organismo, di cui la comparsa dei "pellicelli" e dei "lendini" era soltanto l'epifenomeno visibile prodotto per generazione spontanea dagli umori sovrabbondanti del corpo. Nel 1687 due stretti collaboratori di Redi, Giovan Cosimo Bonomo e Diacinto Cestoni dimostrarono invece che la scabbia dipendeva dall'aggressione di un microscopico acaro che si riproduceva tramite uova depositate sotto la pelle dei malati, provocando prurito e le caratteristiche pustole acquose. Nelle parole di Bonomo, la malattia era la conseguenza di "una morsicatura, o rosicatura pruriginosa e continua fatta nella cute dei nostri corpi da questi soprammentovati bacolini".
Ma nel caso di Redi e dei suoi collaboratori questa conquista non fu tanto, o non solo, la conseguenza di un exploit di indagine microscopica quanto l'effetto naturale della confutazione del sistema della generazione spontanea.
Nell’800 cadde la teoria dei miasmi a seguito della dimostrazione sperimentale che la causa di
una malattia infettiva di un animale (il bacco da seta) poteva essere attribuita ad un infezione provocata da un essere vivente minutissimo: un fungo parassita visibile al microscopio.
Questa prima dimostrazione sperimentale operata da Agostino Bassi nel 1836.
Nel suo libro “Mal di segno, calcinaccio o moscardino” del 1835, Bassi sostenne che la maggior parte delle malattie contagiose era provocata da questo tipo di esseri microscopici, vegetali o animali e che in ogni caso: “…la presenza del detto parassita o virus non basta ove non si avi, nell’individuo attaccato, la disposizione, capacità ed attitudine o pascolo opportuno a produrre il morbo”.
Il progresso della conoscenza sui minuti esseri organizzati era però bloccato dalle antiche teorie sulla generazione spontanea, secondo le quali ogni materiale organico in putrefazione origina larve, insetti ed in generale germi.
Louis Pasteur (1822-1895) pose fine a questa situazione. Costui era, un chimico organico incaricato dal governo francese di studiare i meccanismi di fermentazione che permettevano la produzione del vino e della birra. Questi si rese conto che essi erano dovuti all'azione di microrganismi detti saccaromiceti. Fu anche incaricato di appurare o meno da veridicità della generazione spontanea. Sulla base delle scoperte di Spallanzani e Bassi, arrivò alla conclusione che esistevano i batteri, che erano germi responsabili di malattie. Se infatti, dei microrganismi erano responsabili di processi chimico-biologici come fermentazione e putrefazione, come non ammettere che ad essi fossero da collegare anche alcune malattie degli uomini e degli animali? Nel sul suo “Esame della dottrina della generazione spontanea” del 1862, lo scienziato afferma che qualunque tipo di fermentazione avviene ad opera di molecole organiche, che egli chiama fermenti prodotti da microrganismi.
Pasteur aveva decisamente affossato la teoria della generazione spontanea.
L'articolo di Pasteur sulla teoria della generazione spontanea finì tra le mani di un chimico inglese che lo fece vedere al chirurgo Joseph Lister (1827-1912) , operante ad Edimburgo, che fu impressionato da tale ipotesi (i germi erano i responsabili dell'infezione) .Ispirandosi al fatto che per bonificare le fogne di una cittadina inglese era stato usato il fenolo, nebulizzò tale sostanza sul tavolo operatorio durante l'intero intervento chirurgico, ottenendo una drastica riduzione dei decessi per sepsi della ferita. Tale processo venne chiamato antisepsi. Più tardi si capì che la sterilizzazione preventiva (asepsi) introdotta da Ernst von Bergmann (1836-1907), chirurgo tedesco, era più pratica ed efficace dell'antisepsi. L'uso dei guanti in gomma fu introdotto dal chirurgo americano William Halstead (1852-1922).
Robert Koch (1843-1910), fu un altro grande microbiologo, premio Nobel 1905.
A lui si deve il metodo scientifico per affrontare il problema eziopatogenetico su come stabilire in maniera inequivocabile che un determinato microrganismo è la causa di una specifica malattia.
I suoi famosi postulati offrono dei criteri per rispondere a questa domanda.
Nel 1876 pubblica la descrizione del ciclo biologico del microrganismo responsabile del carbonchio, il bacillus antracis.
Nel 1882 Koch scoprì il bacillo responsabile della tubercolosi. Nel 1884 scoprì il bacillo del colera.
Gli studi di infettivologia di Pasteur e Koch portano ad identificare i batteri come diretti responsabili delle infezioni. L’introduzione della causalità necessaria costituisce la modificazione teorica più importante prodotta dalla microbiologia.
Per molti secoli avevano pesato sull’evoluzione della chirurgia 4 fattori:
Ai progressi contribuirono gli apporti della rivoluzione scientifica del rinascimento, i progressi dell’anatomia normale e patologica del ‘700.
La chirurgia, una piccola chirurgia fatta di riduzione di fratture, taglio di fistole, legatura di vene varicose, manipolazioni fisiche, fratture, era rimasta fino alla fine del ‘700 un ambito di competenza di cerusici e di un’articolata gerarchia di barbieri, barbieri-chirurghi e chirurghi. La loro formazione non era universitaria ed il loro sistema di apprendimento regolato da corporazioni.
La grande interventistica richiedeva infatti, abilità e rapidità, era necessario muovere i ferri, che il chirurgo teneva lontano dai vasi maggiori,con destrezza per evitare dolori al paziente e limitare i contorcimenti.
Talora negli ospedali clinicizzati l’operazione viene effettuata nell’aula di lezione, solo a fine ‘800 si farà nella sala chirurgica vera e propria.
Il paziente veniva legato con cinghie di tela al tavolo di legno e in genere, prima dell'operazione, veniva intervistato da un padre spirituale. Un assistente con spugne imbevute di acqua ghiacciata e spremute con continuità sul campo operatorio cercava di garantire un minimo di igiene locale.
In genere venivano somministrati dei purganti, mentre contro il dolore si usavano la mandragola, l’oppio, la canapa indiana e a fine ‘700 l’ipnosi di Mesmer, ma più spesso una robusta bevuta.
Su questo panorama si innestò la svolta di metà ottocento, in cui confluirono la messa a punto degli antidolorifici, verso gli anni ‘60 dell’asepsi (condizione in cui è impedita la contaminazione microbica di una ferita aperta in condizioni operatorie o di materiale sterile. Un campo operatorio materiale sterile sarà mantenuto asettico grazie a provvedimenti che ne impediscono il contatto con agenti infettanti), dell’antisepsi (procedura di disinfezione che tende ad impedire la crescita dei microrganismi su cute, pelle, ferite o alimenti. I prodotti antisettici in particolare inattivano microrganismi patogeni senza raggiungere il livello di sterilizzazione ma senza danneggiare i tessuti o gli alimenti) che fu un passo veramente importante per evitare la febbre da ferite operatorie.
Nel 1846 si ebbe la grande svolta della chirurgia con l’avvento dell’anestesia.
Il primo grande contributo americano alla medicina si deve ad un dentista, William Morton che sperimentò a Boston l’opportunità di produrre insensibilità al dolore mediante l’inalazione di etere solforoso; poco tempo più tardi Sir Young Simpson usò il cloroformio per attenuare il dolore del parto. Un altro anestetico molto usato era il protossido di azoto. Sull’uso di questi tre composti si aprì un vastissimo dibattito sugli aspetti medici ed etici del controllo del dolore. I teologi fautori della predestinazione protestarono e così pure i fautori di forma ascetiche di perfezione; ma vi furono anche coloro che considerarono questi tre composti un dono di Dio.
Era anche diffusa la convinzione che l’assenza del dolore provocasse degli inconvenienti funzionali e psicologici: persisteva l’associazione fra insensibilità e morte.
Quasi contemporaneamente alla scoperta di Morton, l'aiuto ostetrico di una clinica viennese, Ignac Fulop Semmelweiss (1818-1865), dopo aver raccolto una serie di statistiche sulla febbre puerperale ed essendo rimasto colpito dall’elevata mortalità delle donne che partorivano nelle divisioni ospedaliere frequentate da medici e studenti rispetto alla mortalità di donne che partorivano in casa o nelle divisioni tenute da infermiere ostetriche, obbligò medici e studenti che
palpavano le parti intime delle donne, passando da una malata all'altra e senza guanti, a lavarsi le mani tra una visita e l'altra con il cloruro di calcio.
A Londra un chirurgo di primo piano, Sir Thomas Spencer a partire dal 1860 non lesinò acqua fredda e tovagliette pulite durante l’operazione.
Il contributo di Semmelweiss e Spencer venne recepito solo in parte dalla comunità accademica, perché si trattava di osservazioni empiriche e non si conosceva ancora il ruolo degli agenti patogeni.
Nel 1878 si introdusse la bollitura degli strumenti e nel 1891 la sterilizzazione a secco; sempre in quegli anni apparvero sui campi operatori i primi guanti di gomma a coprire le mani dei chirurghi e
a cavallo dei due secoli la preparazione della cute da incidere veniva effettuata con pennellature di tintura di iodio. Grazie a tutti questi passi in avanti si superò il rischio delle febbri e delle infezioni postoperatorie.
In seguito si cercò di studiare nuove vie di somministrazione (via rettale) e nuove sostanze (morfina, cocaina...), ma l'uso dei gas dominò la scena fino al nostro secolo quando si arrivò all'anestesia endovenosa.
Sul piano terapeutico, la patologia cellulare implicava la rimozione chirurgica dei tessuti con alterazioni patologiche da cui si riteneva che le malattie avessero origine.
Il periodo di maggiore sviluppo della chirurgia si ha fra il 1830 ed il 1870; vi sono innovazioni che riguardano l’urologia, la ginecologia, gli organi gastrointestinali, si inizia il trattamento dei calcoli alla vescica.
Nel 1853 appare l’endoscopio e per più di un secolo venne introdotto solo negli orifizi naturali del corpo. I raggi X e la strumentazione ottica sviluppata nella seconda metà del XIX secolo permettevano l’esame visivo di orecchio, naso, gola, laringe, esofago, stomaco, retto, vescica urinaria e vagina.
Verso la fine del secolo avviene la conquista delle cavità interne e si afferma il ruolo di infermiere professionale ed all’inizio del XX secolo inizia l’addestramento infermieristico in sala operatoria. Nel corso del secolo scorso la chirurgia si imponeva senza rivali come la branca terapeuticamente più attiva della medicina somatica. Date le doti di intuizione, genialità tecnica e costanza richiesti dalla chirurgia, i singoli chirurghi avevano la possibilità di imporsi come maestri, prendendosi una rivincita sulla storia.
Due chirurghi furono fra i primi a ricevere un premio Nobel: nel 1909 Kocher (fisiologia e chirurgia della ghiandola tiroidea) e nel 1911 Alexis Carrel per lavori sulla suturazione di vasi sanguigni e trapianti.
In epoca romana esistevano i valetudinaria, delle pseudo infermerie dove venivano raccolti i soldati con gravi traumi bellici; nei nosocomi invece veniva data assistenza generica agli infermi. Con l’avvento del cristianesimo si ha una evoluzione del concetto di assistenza.
Nasce una concezione del malato come insieme di anima e corpo, verso il quale devono essere concentrati i valori di accoglienza, assistenza ed ospitalità.
Negli assiomi evangelici sono presenti i fondamenti dell’assistenza e della cura ai malati ed più in generale ai poveri. Diaconi e diaconesse si impegnavano volontariamente in questa opera di assistenza. Cristo infatti è nello stesso tempo il malato, il sofferente, il povero ed il debole ma anche il medicamento che ovvia a tutti questi disagi.
La parabola del buon samaritano “Ogni volta che avrete fatto queste cose ad uno dei più piccoli, l’avete fatto a me” concretizza l’aspetto di caritas, l’amore cristiano che spinge l’uomo verso il suo simile sofferente, in quanto riflesso dell’amore scambievole che lega dio alle sue creature, e restituisce all’uomo la somiglianza perduta dopo il peccato.
Secondo la tradizione, ad opera di Fabiola, una nobildonna romana, si costruì nel IV secolo d.C. il primo ospedale a Roma.
L’assistenza ai malati si diversificò nel medioevo: a partire dal IX secolo è documentata la presenza dell’hospitale, generalmente edificato sulle vie dei pellegrinaggi, le mansioni svolte al suo interno hanno un carattere principalmente caritatevole, i poveri erano considerati come malati; la mancata distinzione fra povertà e malattia perdurerà per tutto il medioevo.
Con la nascita degli ordini religiosi inizia un processo di regolarizzazione degli ospedali, molti prevedono la raccolta settimanale di poveri e malati per le vie della città. Anche se in qualche caso sono previste forme di sovvenzione pubblica il personale che vi esercita è di tipo non specialistico ed a formazione religiosa.
L’hospitale principalmente è retto da ordini religiosi, il suo personale è quindi di formazione non specialistica. Le condizioni igieniche erano alquanto sommarie, ad esempio: non venivano mai cambiate le lenzuola, (frequenti le situazione con due pazienti nello stesso letto e monache che preparano feretri nella stessa stanza). Non doveva però mancare l'immagine del Signore, in quanto gli ospedali erano considerati dei luoghi dove ci doveva essere la presenza guaritrice dello spirito santo.
Gli ospedali medievali (ma questo andò avanti fino all'età moderna, e vale anche per l'ospedale civile vecchio San Giovanni di Dio) hanno la porta rivolta verso il Vaticano, perché lo Spirito Santo possa entrare meglio. Erano costituiti con una cappella che potesse essere vista da tutti i reparti ospedalieri. Il primo ospedale vero e proprio fu quello di Santo Spirito fondato a Roma da Innocenzo III, il secondo fu quello di santa Maria Novella, a Firenze.
Nasce anche l’ordine religioso dei cavalieri di San Giovanni o Ospitalieri.
A partire dal X secolo l’educazione medica comincia ad essere istituzionalizzata. Il curriculum dei medici che intendessero esercitare la professione è abbastanza flessibile e consta principalmente di letture e discussioni sotto la guida di medici più esperti; ancora non è previsto l’addestramento negli ospedali.
Per la cosiddetta “Morte nera” del 1347 si costruirono i lebbrosari o lazzaretti, per l’isolamento dei malati contagiosi, in primis i lebbrosi, ai quali era impedita la frequentazione dei luoghi pubblici e i quali erano obbligati ad indossare abiti particolari ed ad annunciarsi con un campanaccio.
Nel rinascimento inizia il vero e proprio processo di medicalizzaizone degli ospedali, inoltre questi ultimi si dotano di spezierie ed infermerie. Tuttavia le strutture non sono ancora luogo di cura, ma solo di ricovero, di disperazione e di abusi (manicomi).
Dopo il concilio di Trento (1542-1563) si assiste ad un calo delle vocazioni per le regole più severe imposte ai religiosi; il personale di assistenza si laicizza e viene reclutato fra le classi meno abbienti della popolazione, rimanendo comunque senza una preparazione specifica.
Sempre nel ‘500 nasce l’ordine Fatebenefratelli, dedito all’assistenza degli infermi. Nell’illuminismo, secondo i principi della rivoluzione francese povertà, malattia e mendicità devono essere prevenuti.
Nel XIX secolo mutuano l’architettura e le funzioni degli ospedali (padiglioni separati). Accanto alle corsie nascono i gabinetti di analisi. Si diffondono i raggi X, proliferano i laboratori di diagnostica e le corsie diventano meno affollate, più spaziose e pulite.
Vengono introdotti etere ed antisettici, gli infermieri divengono qualificati e l’ospedale perde parzialmente l’immagine di luogo di orrori per acquisire quella di luogo di cura, dove anche i facoltosi si recano per essere curati.
L’ospedale diventa anche un luogo di ricerca e didattica.
Il concetto di deontologia medica si rifà al famoso testo del “giuramento di Ippocrate”, che stabilisce una serie di norme etico-comportamentali indirizzate alla regolarizzazione del comportamento degli appartenenti ad una comunità professionale.
I comportamenti ai quali il medico si deve attenere sono rivolti al raggiungimento del benessere del paziente, fine ultimo della medicina; il medico dovrà pertanto compiere solamente atti di cui è capace, rispettare la vita (divieto di provocare la morte e l’eutanasia), avere un corretto rapporto con il paziente che ha diritto ad essere informato della sua condizione di salute ed ha il diritto al segreto su tutto ciò che lo riguarda.
L’osservanza di questi principi, che delineano il trattamento medico moralmente accettabile e la condotta da tenere nell’esercizio professionale, costituisce la norma in base alla quale il medico può essere accolto all’interno del gruppo, poiché è legato da vincoli che egli stesso sceglie di mantenere. L’esigenza di regolamentare i comportamenti pratici del medico è propria di ogni tempo: nel XIII secolo a Venezia si stende un “capitolare per i medici”, ma è nel XVI secolo, in Inghilterra che si arriva ad una normativa etica professionale.
L’illuminismo porta a ridefinire i confini dei comportamenti sociali e professionali all’interno di una comunità (autorevolezza del medico e la sua dolcezza nel rapporto con il paziente).
La rivoluzione dell’etica medica prende avvio dopo la seconda guerra mondiale, quando il processo di Norimberga svelò i crimini compiuti nella Germania nazista anche in nome della ricerca scientifica. Si affermano quindi questi principi:
Per etica generale si intende la riflessione sui principi direttivi e sui valori primi di un’esistenza individuale o sociale.
Per etica medica si intende l’insieme dei concetti che interessano la definizione di una morale professionale sino alla filosofia morale applicata alla medicina.
Per deontologia si intende l’insieme strutturato di norme comportamentali che l’operatore sanitario si pone ad obiettivo in riferimento ad un contesto sociale e culturale.
Il termine bioetica viene introdotto negli anni ’70. Con questo settore si determina l’area di ricerca che, avvalendosi della collaborazione di diverse discipline, ha per oggetto l’esame sistematico della condotta umana nel campo delle scienze, della vita e della salute.
La bioetica giudica i comportamenti in base a questi principi:
Il ruolo dei comitati di bioetica riguarda questi campi:
Fonte: http://polob.altervista.org/Medicina_Polo_B/Scienze_Umane_files/storia_della_medicina_lezioni.pdf
Sito web da visitare: http://polob.altervista.org/
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