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Le opere dipinte, disegnate, scritte di Leonardo rivelano tre aspetti della sua attività: l'arte, la ricerca scientifica, la tecnologia. Nelle sue carte non si legge purtroppo nulla della sua vita privata e dei suoi affetti; da altre fonti si ricavano notizie, in particolare da Giorgio Vasari che nelle sue Vite (1550; 1568) traccia la biografia di Leonardo offrendone un ritratto idealizzato. «Mirabile e celeste», infatti, definisce il figlio di ser Piero, notaio; in lui si trovano bellezza, grazia, virtù, forza, destrezza, valore e bontà, tali che nessuno gli fu pari. Accolto nella casa del padre di cui era «figliuolo non legiptimo» e della matrigna, lontano dalla madre, una certa Caterina andata poi sposa a Cattabriga o Accattabriga, dimostrò in modo precoce interesse a molte cose senza tuttavia portarne a termine alcuna. Frequentando poi la scuola di abbaco del paese, come riporta Vasari, apprese così in fretta, da confondere spesso con i suoi dubbi, le sue domande e le sue obiezioni il maestro stesso. Dopo il trasferimento a Firenze, il padre, constatata la sua costante passione per il disegno, lo mandò a bottega da Andrea del Verrocchio, suo amico, che era artista completo. Allora Leonardo doveva avere 17 anni e imparò tutte le nozioni che a quel tempo si richiedevano a un artista: scultura e pittura, ma anche architettura di chiese, di edifici, di mulini, di macchinari idraulici e per ogni tipo di lavoro. Non studiò il latino e i classici, cosicché a ragione Leonardo si definiva «uomo senza lettere» in una città, Firenze, dalla cultura neoplatonica e dedita alle arti «liberali», indirizzate cioè alla contemplazione della verità; si applicò invece alle arti «meccaniche», considerate all'epoca vili. In bottega egli apprese tutto quanto concerneva l'attività manuale e i precetti raccolti nel «libro di bottega», che in forma concisa e con discorso spezzato il maestro compilava a mano a mano annotandovi anche i fatti più salienti. Un modo che Leonardo fece proprio nelle sue carte e dal quale non poté mai distaccarsi, nonostante le sue speranze di organizzare tutto il materiale frammentario; qui il passaggio da un argomento all'altro, più che a una conoscenza febbrile, è imputabile al particolare modo di annotare i vari argomenti anche a lunghi intervalli di tempo gli uni dagli altri, senza poter ricordare quanto già scritto in precedenza.
Gli anni fiorentini del giovane Leonardo
Il suo apprendistato iniziò con la raffigurazione di «teste di femmine che ridono [...] e teste di putti», riproduzioni di sé stesso com'era nell'infanzia e repliche della madre, come interpreta Sigmund Freud nel suo saggio su Leonardo (1910), che mette in rilievo tre caratteristiche della sua personalità: l’insaziabile curiosità per l'investigazione scientifica e la sete di sapere che impedisce talvolta la sua attività artistica; la lentezza nell'esecuzione delle sue opere pittoriche; il rifiuto della sessualità, inconsueto in un uomo «piacevole nella conversazione, che tirava a sé gli animi delle genti», affabile e amante della bellezza e della vita raffinata. Il suo ingegno lo portava a non accontentarsi di una conoscenza superficiale della realtà, ma a dare valore all'esperimento e all'osservazione diretta: «I'esperientia» sola «è madre di ogni certezza». I suoi primi disegni nascono da questo metodo di lavoro: l'Arno (5 agosto 1473) che si restringe alla stretta della Gonfolina è un paesaggio osservato nelle sue singole componenti e ricreato nella sua suggestione atmosferica. In collaborazione con il Verrocchio dipinse una tavola con il Battesimo di Cristo (147075) in cui è ravvisabile la mano leonardesca nel paesaggio e nell'angolo di sinistra. Vasari racconta che questo fu dipinto così da superare l'abilità del maestro che non volle più toccare i colori, «sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui». Certo il racconto è poco verosimile per alcuni elementi contraddittori, ma evidenzia il fatto che ben presto Leonardo mutò i consueti rapporti tra allievo e maestro: si può pensare che diventassero presto colleghi seppure con esperienze e fama differenti. Lo conferma il fatto che già dal 1472 il nome di Leonardo appare nella lista dei pittori di Firenze. Il primo dipinto di lavoro autonomo è l'Annunciazione (1475 c.ca), oggi conservata agli Uffizi, in cui però è ancora evidente l'influenza della scuola verrocchiana, come pure nell'altra Annunciazione, oggi al Louvre, che faceva parte della predella di un'opera dipinta da Lorenzo di Credi (1459‑1537), anch'egli a bottega dal Verrocchio. Molti critici sono concordi nel far rientrare in questo primo periodo il Ritratto di donna, che dovrebbe essere quello di Ginevra Benci, figlia di quel Benci al quale Leonardo dice di aver dato un suo libro e un mappamondo. Il rametto di ginepro sul retro della tavola sembrerebbe alludere al nome della giovane, ritratta su uno sfondo di alberi e di acque, dominato da una grande conifera in controluce. Pur lavorando autonomamente, Leonardo aveva continuato ad abitare con il Verrocchio fino al 1478, anno in cui gli fu commissionata una tavola per l'altare della cappella della Signoria. Invece di preoccuparsi di quest’opera, egli si dedicò ad altri dipinti il cui soggetto lo attraeva di più: la Madre e il Bambino, sui quali impostò parecchi schizzi. È probabile che le due Vergini Maria annotate da Leonardo in una delle sue carte siano la Madonna del Fiore, oggi all'Ermitage di Leningrado, e la Madonna del garofano di Monaco, dai tratti molto più umani e poco divini, colte nella gioia del loro compito materno. Leonardo aveva però bisogno di guadagnare e accettò ben volentieri la commissione dei monaci di san Donato a Scopeto presso Firenze, che integravano il pagamento con offerte di prodotti della campagna, dell'Adorazione dei Magi (1481). La impostò in numerosi disegni, studiandone rigorosamente i piani prospettici e le espressioni dei personaggi, così che il momento dell'esecuzione poi sulla tela dovette sembrare svuotato di interesse creativo, se egli abbandonò improvvisamente il convento e non terminò più il quadro. L'opera è assolutamente originale sia per il tema dell'adorazione risolta come epifania, cioè manifestazione del divino, non in un'idea astratta ma nel fenomeno che coinvolge la natura, gli animali e gli; uomini, le cui emozioni e pensieri si esprimono mediante i gesti e le espressioni del viso; ma anche per l'attenzione alle forme anatomiche e alla prospettiva resa dalla linea e dal rapporto luce-ombra. Fra i personaggi che fanno corona alla Vergine, si presume che il primo a destra sia l'artista stesso. All'ultimo periodo della permanenza di Leonardo a Firenze risale il San Gerolamo, anch'esso incompiuto, che esprime la stessa preoccupazione per la forma anatomica e la gestualità che si ritroveranno poi sempre nei dipinti dell'artista. Le altre opere menzionate da Vasari sono la Rotella, la Medusa, il Nettuno per Antonio Segni suo amico, il cartone di Adamo ed Eva.
Leonardo a Milano
Diversi motivi concorsero probabilmente a che Leonardo lasciasse Firenze, che aveva attraversato momenti di gravi tensioni politiche: la congiura dei Pazzi e la conseguente repressione da parte di Lorenzo de' Medici doveva essere apparsa feroce anche ai suoi occhi. Vasari riporta la notizia di un concorso per musici cui avrebbe partecipato superando gli altri concorrenti, con una lira d'argento «in forma d'un teschio di cavallo», strana, ma tale da essere più sonora e armoniosa, come egli stesso aveva voluto costruirla. Non è inverosimile una siffatta invenzione, anche se la notizia non è più ripresa altrove. Un altro motivo poteva essere stato offerto dalla volontà di Ludovico Sforza, detto il Moro, di erigere un monumento equestre a Francesco Sforza suo padre. E fosse stato Leonardo richiesto dal duca stesso o presentato da Lorenzo il Magnifico, che riteneva il signore di Milano un alleato importante, alla fine del 1482 egli giunse a Milano. Presentandosi al duca gli offrì i suoi servigi con una lettera in cui si descriveva capace di qualsiasi opera di ingegneria militare; mentre il Moro, secondo Vasari, ne conosceva già il talento artistico attraverso uno strano dipinto. Egli aveva infatti comprato da alcuni mercanti una rotella di legno di fico consegnata da un contadino al padre di Leonardo, ser Piero, perché la facesse dipingere. L'artista vi aveva rappresentato un animalaccio orribile e spaventoso ricavato dall'insieme di molti animali. In seguito il padre, anziché ridarla al contadino, l'aveva venduta. Gli inizi a Milano, dominata dal potere e dallo sfarzo ducale, furono difficili per Leonardo, che non era stato accettato immediatamente nella cerchia degli artisti milanesi. Solo nel 1483, assieme ai fratelli De Predis, ebbe una commissione importante, la Vergine delle rocce, di cui si conservano due versioni, una esclusivamente di Leonardo, oggi al Louvre, l'altra di mano leonardesca a Londra. Lo sfondo naturalistico imponente e preciso accoglie i personaggi composti secondo uno schema piramidale e soffusi di una quieta serenità. La consegna del dipinto, data la lentezza dell'artista, avvenne in ritardo rispetto agli impegni presi, cioè nel 1490, e ciò comportò strascichi legali. Di lui si diceva che fosse lentissimo e dubbioso e severo critico di se stesso. Nel 1495 iniziò a dipingere a fresco nel Castello, che il duca stava ampliando e abbellendo, i «camerini»: è rimasta integra la volta della Sala delle Asse, con il fitto intrico del pergolato. Ma l'8 giugno del 1496 il lavoro s'interruppe bruscamente; da una minuta purtroppo frammentaria si conosce la lamentela di Leonardo con il duca, dal quale non riceveva il salario da due anni. Il dissidio comunque si compose con la ripresa dei lavori e la donazione di una vigna all'artista nel quartiere di san Vittore. L'episodio può inserirsi in quel rapporto difficile e strano del duca, mecenate e signore, da una parte, e Leonardo, artista libero nelle sue attività e tuttavia legato alla vita di corte e ai desideri del signore, dall'altra. Nei primi anni (1483-89), dipinse per lui le donne che aveva amato: Cecilia Gallerani, probabilmente nella Donna con l'ermellino, oggi a Cracovia; Lucrezia Crivelli; in seguito anche la moglie nel Ritratto di Beatrice d'Este della Pinacoteca ambrosiana. Il problema della statua equestre, che Leonardo avrebbe dovuto realizzare per onorare la memoria di Francesco Sforza, sembra che fosse stato affrontato già nei primi mesi dopo il suo arrivo a Milano. Più che dalla figura del cavaliere, egli fu attratto da quella del cavallo: e schizzò minuziosamente i movimenti e le pose dopo averle osservate dal vero in alcune scuderie. Il progetto era ambizioso: Leonardo avrebbe voluto fermare il cavallo ritto sulle zampe posteriori, al momento dell'impennata: il disegno a sanguigna nel foglio 12336 di Windsor esprime tutto il dinamismo dell'animale. Nel frattempo affrontava anche il problema della fusione, come si ricava anche da un altro disegno del Codice di Madrid II. Abbandonò per qualche tempo il progetto e lo riprese il 23 aprile 1490 quando iniziò un nuovo quaderno, il Codice C, con l'idea del cavallo. La monumentalità dell'opera doveva essere un'impresa difficile anche per la difficoltà della fusione. Vasari ne ricorda la realizzazione solo in un modello di «terra» che durò fino all'entrata in Milano dei Francesi, che lo distrussero. Così pure si smarrì un piccolo modello in cera che era ritenuto perfetto.
Attività teatrali
Nel frattempo Leonardo fu uno dei grandi protagonisti della corte di Ludovico il Moro. Paolo Giovio, che scrisse una breve biografia su di lui verso il 1527, ma pubblicata solo nel 1796, lo definisce esperto di eleganza e raffinatezze e soprattutto creatore di spettacoli teatrali. Alcuni di questi sono documentati e datati, ma senza i disegni preparatori. Nell'allestimento del Paradiso di Bernardo Bellincioni, in occasione della festa del 13 gennaio 1490 per le nozze di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona, è ricordato non solo come pittore sublime, un altro Apelle, ma anche come tecnico teatrale. La gloria del Paradiso con i sette pianeti, rappresentati da attori che giravano, doveva aver superato in splendore gli altri aspetti della festa se ne conserviamo ancora una precisa relazione di un testimone oculare. Come scenografo dovette senz'altro abbagliare il suo pubblico con luci, suoni e l'arditezza del volo simulato in scena durante la rappresentazione della Danae di Baldassarre Taccone, l'ultimo giorno di gennaio del 1496 in casa di Giovan Francesco Sanseverino, conte di Caiazzo, a Milano. Da una lista si apprende che i personaggi erano impersonati da ben noti cortigiani. Particolari e disegni teatrali completi ci sono pervenuti attraverso il Codice Arundel, in cui Leonardo aveva progettato un sistema di palcoscenico mobile; manca però la documentazione che sia mai stato costruito e rimane in forse l'identificazione con la rappresentazione dell'Orfeo del Poliziano. Fu anche animatore instancabile di feste, che rendeva vivaci con le Profezie, indovinelli che scrisse per essere recitati «in forma di frenesia e farnetico, d'insania di cervello», come quello che è così presentato: «Qual è quella cosa che dalli omini è molto desiderata e, quando si possiede, non si pò conoscere?» per significare il dormire. Disegnò Rebus, raccontò Facezie agli amici, scrisse Favole i cui protagonisti sono animali e piante; mentre il Bestiario, definendo i vizi e le virtù degli animali, poteva ben servire alla composizione di figure allegoriche assai diffuse a quel tempo.
Il Cenacolo
Nel 1495 Ludovico il Moro decise di affidare a Leonardo l'incarico di affrescare il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, chiesa cara alla famiglia Sforza. Lo scrittore Matteo Bandello, che aveva tra i monaci uno zio, si recava spesso a vedere i lavori e ne descrive i ritmi discontinui. Vasari racconta che il priore sollecitava spesso l'artista perché terminasse l'opera, sembrandogli strano che stesse parecchio tempo a meditare ozioso. Non riuscendo nell'intento, si lamentò con il Duca, il quale lo fece chiamare. Leonardo parlò a lungo con lui della sua arte, sostenendo che è proprio degli ingegni elevati concepire quelle idee perfette che poi esprimono con l'attività manuale. Aggiunse che gli mancavano da fare due teste: quella di Cristo e di Giuda, per la quale, non trovando di meglio, avrebbe ritratto il priore tanto importuno e indiscreto. La cosa fece ridere il Duca che gli diede ragione. Nel dipinto, Leonardo fissa il momento successivo alle parole profetiche di Cristo sul tradimento da parte di uno degli apostoli: stupore e indignazione movimentano la scena al di là di una lunga tavolata su cui l'unico ad appoggiarsi è Giuda, quasi a tradire la sacralità del convito. L'opera si deteriorò rapidamente e fu più volte restaurata in passato. Il restauro, iniziato nel 1979 e affidato a Pinin Barcilon Brambilla, ha rimosso lo sporco, i fissaggi e le muffe, avvalendosi di tecniche avanzate, che hanno evidenziato particolari sconosciuti e filmato i vari momenti. Si sono scoperti tocchi raffinati e volti già presenti e noti agli studiosi attraverso i disegni. Carlo Pedretti, ultimo e assiduo curatore delle carte vinciane, ha affermato di aspettarsi grandi sorprese.
Leonardo e la scienza
Milano lo ospitò per diciotto anni e questa permanenza segnò una svolta importante nella sua ricerca, volta agli studi matematici, fisici e ingegneristici di cui la città conserva ancora numerose testimonianze. Mentre partecipava alle discussioni dei letterati lombardi. Leonardo si accorgeva che le loro dotte affermazioni e il loro sapere risultavano tanto più ricchi quanto era loro permesso attingere alla tradizione degli autori antichi. D'altra parte si accorgeva che il loro metodo era lontano dalla certezza scientifica e manteneva in vita per secoli falsità e ignoranza, mentre solo «con isperienzia ognora si possono chiaramente conoscere e trovare». Dalla coscienza della propria superiorità metodologica, osserva Augusto Marinoni, studioso delle carte vinciane, scaturisce in Leonardo la decisione di scrivere un gruppo di trattati che poggiano su basi scientifiche. Nessun libro fu mai terminato da lui, neppure il Trattato della pittura che pure Luca Pacioli menziona, dedicando nel 1498 a Ludovico il Moro la sua opera De divina proportione, pubblicata nel 1509 e corredata da 60 poliedri disegnati da Leonardo, i cui studi preparatori si ritrovano anche nel Codice atlantico, così chiamato dal formato intero del foglio. Si deve perlopiù all'opera del suo allievo ed esecutore testamentario Francesco Melzi la raccolta e sistemazione dei numerosi appunti, che andarono a formare il trattato sulla pittura. All'antica affermazione di una imitazione ignorante della realtà, Leonardo rivaluta la pittura, difesa come scienza, perché fondata su principi veri, basata sulla prospettiva matematica e sullo studio della natura. Non solo: egli afferma anche che la pittura è l'arte più nobile perché «fa con più verità le figure delle opere di natura che il poeta». Il pittore, intento a imitare fedelmente la natura, non si deve porre alcun limite, perché essa mostra la bellezza in ogni suo aspetto. Scienziato, quindi, ma anche creatore: «Possiamo esser detti nipoti a Dio»; e ancora: «La deità, ch'a la scientia del pittore, fa che la mente del pittore si trasmutta in una similitudine di mente divina», che supera la natura «nelle fintioni d'infinite forme d'animali et erbe, piante e siti». Questa doppia funzione, di scienziato che osserva attentamente la natura e di artista che la ricrea con la fantasia, è poi espressa nei suoi dipinti. Da qui si evidenzia la differenza tra Leonardo e gli altri pittori del Quattrocento, che pure avevano riprodotto, nei loro quadri, fiori, piante e paesaggi, utilizzando però le forme naturali come sfondo, mentre Leonardo le guardò con occhio da botanico. Ramo di more, Ghiande, Stella di Betlemme, Paesaggio montano, Tempesta sopra una vallata sono esempi pieni di fascino di copie dal vero. La necessità di consultare testi scientifici costrinse Leonardo a studiare il latino. Ci sono pervenuti alcuni specchietti e un glossarietto che indicano la sua volontà di superare l'ostacolo di una lingua di cui non raggiunse però mai una sicura conoscenza. Sotto la guida di Luca Pacioli, matematico, cercò di chiarirsi, pur attraverso questa lingua ostica, gli elementi di geometria euclidea, con passione e puntiglio tali, da allontanarsi persino dalla pittura; è una nuova passione che lo condurrà poi a scrivere nel 1505 un Libro titolato de strasformazione, cioè d'un corpo 'n un altro senza diminuzione accrescimento di materia, forse il più organico tra gli scritti vinciani, fondato su una visione dinamica della geometria. Come dal punto mobile, generatore della linea che genera la superficie e a sua volta la forma dei solidi, così le forme geometriche si trasformano: i rettangoli in quadrati, i cubi in parallelepipedi e piramidi e viceversa. Ma Leonardo va oltre: il moto curvilineo, «linea flexuosa, linea spiralis» aggiunge alla vivacità dell'atto una fluidità graduata, requisito della grazia; la verità e la bellezza si fondono così insieme. E la «notte di sant'Andrea» del 1504 raggiunge «il fine della quadrature del cerchio»: in un milionesimo di circonferenza la differenza tra l’arco e la sua corda sarà una «grandezza vicina al punto matematico», cioè, come diremmo oggi, e tende a zero, principio del calcolo infinitesimale.
La figura umana
Il 2 aprile 1489 Leonardo iniziò il libro intitolato De figura umana : è quindi il primo tema trattato dall'artista in relazione all'attività pittorica; il pittore deve, secondo lui, conoscere «la notomia di nervi, ossa, muscoli e lacerti». Com'è noto, fu egli stesso attivo anatomista secondo il procedimento di studio ricordato da Carlo Pedretti: prima la prospettiva e poi disegnare da figure (fatte da buoni maestri per assuefarsi a bone membra) e infine disegnare dal vero. Il modello condiziona la riuscita del dipinto. «E se questo modello non mostrassi bene i muscoli dentro ai termini delle membra, non monta niente». Da atteggiamenti simili negli animali e nell'uomo, Leonardo passa a concepire l'uomo dotato di intelligenza razionale, l'unico strumento che può riscattare un'esistenza altrimenti ferina. La sapienza è raggiunta attraverso l'esperienza e forse per questo motivo l'uomo leonardesco si identifica nell'uomo maturo che alla bellezza fisica unisce l'esperienza intellettuale; ne è un esempio l' Uomo Vitruviano. Ma in natura esiste anche la bruttezza e la bizzarria fisica: le Figure grottesche, che a lungo furono scambiate per caricature, descrivono invece la degenerazione fisica che accompagna la vecchiaia. Alla concezione quattrocentesca dell'uomo come misura di tutte le cose, corrisponde un interesse per lo studio delle proporzioni che portò Leonardo a conoscere l'interno e scoprire il funzionamento della macchina-uomo. La maggior parte dei disegni anatomici è conservata a Windsor; essi sono databili variamente dal 1489 al 1513. Commozione e stupore destano ancora oggi il disegno del Feto umano nell'utero; in tutto circa 600 disegni, che illustrano gli apparati e i sistemi dell'anatomia dell'uomo, che egli aveva cominciato a raccogliere prima della partenza per Milano, come testimonia il materiale che portava con sé al momento di lasciare Firenze.
Scienza e tecnica
Attratto dal dinamismo dei corpi nello spazio e nel tempo, Leonardo tentò di definire la forza: «Forza dico essere una virtù spirituale, una potenzia invisibile la quale per accidentale violenza è causata dal moto e collocata e infusa nei corpi». Ogni tipo di movimento affascinò l'artista: l'acqua, i venti, il volo degli uccelli furono studiali anche nelle loro cause. Così l'acqua, oltre a essere paragonata al corpo umano, gli diede lo spunto per immaginare barche a pale, meccanismi a manovella e pale per la propulsione di natanti fino a programmare un'attività sott'acqua a opera di un palombaro che respira attraverso tubi tenuti fuor d'acqua da un galleggiante a forma di campana. Lo scafandro con un contenitore metallico destinato ad accogliere un otre con la riserva d'aria e le apparecchiature per camminare sott'acqua con scarpe e racchette galleggianti anticipano nei disegni e nella scrittura speculare leonardesca progetti già intuiti anche prima di lui ma realizzati sulle sue precise osservazioni. Il volo degli uccelli, che sembra liberasse dalle loro gabbie già nei primi anni a Firenze per studiarli meglio, gli fece intuire la possibilità per l'uomo di volare: ali meccaniche, combinando la forza delle braccia e delle gambe, macchine ad ali per l'uomo sono anticipazioni delle macchine moderne. La canalizzazione delle acque dei Navigli, cui era stata data particolare cura nel Milanese da parte delle autorità e delle persone competenti, lo avviarono a studi per risolvere alcuni problemi di ordine tecnico quali le chiuse, o la ristrutturazione di tutta una zona come quella della Sforzesca, vicino a Vigevano, dove Ludovico il Moro aveva deciso di iniziare la coltura del riso.
Architetto e urbanista
Quando Leonardo giunse a Milano, in città fervevano i lavori in vari cantieri; così la povera gente poteva guadagnarsi mezza lira una razione di vino e talvolta anche di pane al giorno. Per il Duomo, Leonardo fu chiamato nel 1487 a dare un parere per la costruzione del tiburio. Intervenne con una lettera appassionata ai fabbriceri perché eleggessero un «medico architetto al malato domo», dopo aver studiato il mezzo per irrobustire i piloni e impiegare archi capaci di sostenere le spinte laterali. Presentò anche un modello in legno che poi ritirò; il Codice trivulziano ne raccoglie i numerosi schizzi. Questi studi lo portarono ad analizzare le chiese a pianta centrale. I riferimenti culturali sono evidenti: Vitruvio e Leon Battista Alberti; mentre si evidenzia uno scambio di esperienze con Bramante, che lavorava per abbellire e terminare la chiesa di Santa Maria delle Grazie; il progetto realizzato in seguito da Bramante per la fabbrica di San Pietro a Roma ricorderà in modo straordinario i progetti di Leonardo, che però rimasero tutti allo stadio di disegni senza che ne seguisse la realizzazione. Luigi Firpo, che ha studiato Leonardo (1963) sotto questo profilo, ha tentato di rimuovere l'accusa di utopismo visionario di alcuni interpreti, in nome di uno studio minuzioso di carpenterie, ponteggi, travi, centine, coperture di tetti, conche, canali e ponti, che non si dissocia mai da un ideale di conoscenza simultanea e totale. Egli è un teorico che si accompagna a interessi tecnici e operativi, ma non si allontana mai dalla ricerca d'arte. L'assoluto realismo dei progetti ne garantisce la capacità professionale. Le concezioni più suggestive di Leonardo sono di urbanistica, adunate nel Manoscritto B dell'lstituto di Francia, riletto ultimamente da Eugenio Garin (La città di Leonardo, 1971), che ha saputo superare le contrastanti opinioni di coloro che hanno sempre voluto leggere Leonardo solo in chiave utopistica senza far emergere le fondamentali esperienze concrete. Della città di Milano Leonardo ebbe un'impressione sgradevole se nel Codice atlantico esprime il proprio disgusto per gli uomini che vi si affollano «a modo di torme di capre», abbandonata la vita solitaria e contemplativa, mettendosi «infra i popoli pieni d'infiniti mali», come la pietra della favola, calpestata e coperta di fango e di sterco, che ha lasciato la compagnia di erbe e di fiori. Da qui il desiderio e il progetto di una città spaziosa e luminosa, con i canali d'acqua che servono da mezzi di comunicazione, di irrigazione, di igiene e di inserimento nella vita e nel ritmo della natura. La città di Leonardo è pensata in corrispondenza fra uomo e mondo: schema antropomorfico e immagine cosmica esprimono l'adesione alla vita e ai bisogni dell'uomo e le strutture del corpo umano. È costruita su due piani diversi: le strade alte «solamente per li gentili omini»; le strade basse per «i carri e altre some a l'uso e comodità del popolo». Fiumi e canali separano la zona dei signori da quella del popolo, con una netta distinzione, dovuta al clima lombardo ancora feudale, come sottolinea Corrado Maltese nel suo saggio Il pensiero architettonico e urbanistico di Leonardo ( 1954). Una città comunque completamente nuova: risanata, con strade e cortili spaziosi, acque correnti, zone rurali e dimore signorili, concezione forse non del tutto aliena dallo spirito signorile di Leonardo, che contempla la natura per spiegare la vita del mondo e la sua, nella piena e sempre rinnovata consapevolezza della irresistibile compagine in cui tutto il mondo vive e si trasforma. Come la storia delle conchiglie marine, che «ci testificano la mutazione della terra intorno al centro de' nostri elementi». Esse ora sono diventati fossili «ricoperti di tempo in tempo dalli fanghi di varie grossezze, condotti al mare dalli fiumi con diluvi di diverse grandezze»; prima le conchiglie, «li nichi», stavano sul fondo marino, ma «ora questi tali fondi sono in tanta altezza, che son fatti colli o alti monti». E le conchiglie son diventate fossili; nel divenire del tempo «quello che è detto niente si ritrova nel tempo e nelle parole. Nel tempo si trova infra 'I preterito e 'I futuro, e nulla ritiene del presente, e così infra le parole che si dicano che non sono, o che sono impossibile». Non esiste il nulla che è «privazione dell'essere», conclude la meditazione metafisica di Leonardo, che si accompagna alle riflessioni più profonde insieme alle osservazioni più particolari.
Gli ultimi anni
L'ultimo mese dell'anno 1499 e del secolo Leonardo preferì andarsene da Milano piuttosto che restare dove i Francesi avevano seminato brutture e devastazioni facendo prigioniero il Duca: «Il Duca ha perso lo Stato, la roba e la libertà», è il suo essenziale commento. Se ne andò con i suoi allievi e Luca Pacioli verso Venezia, dove sperava poter svolgere qualche attività. Si fermò a Vaprio d'Adda, nella casa dei Melzi, e a Mantova, dove la duchessa Isabella d'Este avrebbe voluto trattenerlo. Ma il soggiorno a Venezia fu di breve durata, ed egli ritornò a Firenze carico di esperienze e di fama, tanto che gli fu offerta subito una commissione: la Sant'Anna con la Madonna, il Bambino e san Giovannino, per la quale preparò in fretta il cartone, esposto nel 1501 e ammirato da tutti. Lasciò Firenze per impegnarsi come architetto e ingegnere generale sotto Cesare Borgia, detto il Valentino, signore di Romagna, figlio di papa Alessandro VI. Ma già nel marzo 1503 era di ritorno a Firenze. I tre anni successivi furono molto intensi e proficui. Riprese i vari studi iniziati a Milano e dipinse nella Gioconda il ritratto di Lisa del Giocondo, moglie di un borghese fiorentino, che sintetizza le concezioni leonardesche sull'arte, la bellezza e il mondo. Freud spiega che il suo sorriso seducente ed enigmatico sia dovuto al risveglio, in Leonardo ormai maturo, del ricordo della madre dei suoi primi anni. La tecnica dello sfumato, in cui il contorno è irreale e invisibile, gli permette di ritrarre la donna su cui si riflettono i colori delle acque e degli alberi dello sfondo. La figura umana è immersa nell'atmosfera: Leonardo realizza la sua visione dell'uomo inserito nell'universo della natura e l'elemento d'unione è l'ombra, che non è nera ma azzurra; tecnica di un artista ormai padrone di sé, che ha stabilito due punti di osservazione: uno per la figura, che è vista dal basso; l'altro per il paesaggio, visto dall'alto. Vasari narra che Leonardo, mentre ritraeva Monna Lisa, la divertisse con canti, musiche e facezie di buffoni. Di altri dipinti non rimane traccia sicura, neppure della Battaglia di Anghiari, che avrebbe dovuto decorare la Sala del Consiglio di Palazzo Vecchio. Il 9 luglio 1504 morì il padre, ser Piero, all'età di 80 anni, lasciando 10 figli maschi e 2 femmine. Sorsero contrasti per l'eredità e Leonardo accolse l'invito del governatore francese Carlo d'Amboise a recarsi a Milano, dove rivide gli amici e ritrovò quel clima di lavoro che gli permise di dedicarsi ancora all'anatomia, alla canalizzazione delle acque, agli studi per la statua equestre in onore di Gian Giacomo Trivulzio, capitano dei Francesi alla conquista di Milano. Ritornò a Firenze, si recò a Roma e di nuovo a Firenze, dove preparò un leone automatico per accogliere Francesco I re di Francia, che lo invitò alla sua corte. Leonardo si rimise in viaggio con l'allievo prediletto, Francesco Melzi, per raggiungerla nel 1516, e fu nominato «primo pittore, architetto e ingegnere del re». Trascorse gli ultimi anni studiando, annotando e disegnando.
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