STORIA DELL’ARTE MODERNA
Le più grandi presenze extramilanesi a Milano sono:
- Rubens (1577-1640): arriva a Milano nel 1606 e anche in seguito rimane in contatto con l’ambiente milanese; è vicino al mondo genovese dove si afferma come ritrattista e lascia come erede Van Dick. È fidato consigliere del duca Vincenzo I Gonzaga.
- Giulio Cesare Procaccini (BO 1574- MI 1625): figlio d’arte di Ercole Procaccini il Vecchio che era allievo di Annibale Carracci. Ercole il Vecchio aveva avuto 3 figli con stili artistici molto diversi: Camillo (grande classicista), Carloantonio (sono celebri le sue vedute in stile fiammingo) e Giulio Cesare stesso che è il più barocco tra i fratelli grazie anche al suo incontro con Rubens che gli da fama soprattutto a Genova → adotta lo stile e la tavolozza rubensiana caratterizzata dal rossastro e dall’ocra. Dipinge la “Deposizione del Cristo morto” in cui è chiaro il tema della compassione (transfert/riconoscimento nelle sofferenze altrui, tipico della religione cristiana); si nota un certo verticalismo, un forte gusto prospettico e la creazione di un triangolo (simbolo di morte).
- Camillo Procaccini : legato ad una pittura classica, adotta colori freddi e metallici che rendono bene la luminosità. È un eccellente comunicatore perché riesce a proporre un classicismo aggiornatissimo (si basa sui lavori dei Carracci), condotto secondo modalità espressive vicine alla pittura controriformata → uso di un linguaggio chiaro e limpido. È molto abile nell’adattarsi al tessuto sociale: pur essendo bolognese si inserisce bene nell’ambito lombardo. Da subito entra a far parte del luinismo (= fenomeno legato a Bernardino Luini, pittore contemporaneo al quale sono state assegnate diverse opere, molte della quali non sue; il luinismo prevede un tono accattivante dei personaggi, sfumature leonardesche ed è caratterizzato da un “sorrisino ebete” che vuol sintetizzare l’idea di un divino cordiale).
- Crespi Giovanni Battista detto il Cerano (1575-1632): Cerano è una città in provincia di Novara dove sono state rinvenute opere giovanili dell’artista; Cerano è pittore, scultore e architetto e da vita ad una pittura più intensa e drammatica; un lavoro importate sono gli ovali che rappresentano le storie di S. Francesco conservate prima a Trecate poi a Brera, caratterizzati da una voluta oscurità. In un ovale rappresenta S. Francesco che cura i lebbrosi in cui il vero protagonista è il malato; in generale la controriforma era restia a visualizzare il corpo tranne nel caso del corpo di Cristo in croce e del corpo malato, in disfacimento. Cerano era molto abile a fare stucchi (legno, bronzo) e usa colori chiari, quasi acquerellati; realizza per la basilica di Santa Maria dei Miracoli di S. Celso a Milano (basilica gestita dagli oblati e dedicata al culto dei miracoli) un ciclo di angeli, affrescati e stuccati sulle volte a crociera del deambulatorio; è significativa la dialettica tra gli angeli dipinti e quelli stuccati → interazione tra le arti = equivalenza tra le arti → sono già presenti criteri barocchi della meraviglia nella ricercata correlazione tra pittura/scultura → accentuazione della spinta prospettica. Riprende l’elemento dello scorcio (tecnica pittorica basata su leggi prospettiche che si esegue su una superficie obliqua rispetto a colui che al guarda), già adottato dal Mantegna per la camera degli sposi a Mantova, e adotta l’elemento della quadratura (tipo di pittura murale che rappresenta prospettive architettoniche) dietro la quale si vede lo scorcio. Quadratura e scorcio hanno uno scopo simbolico:
- Idea laica: convergenza, arte che inventa lo spazio
- Idea religiosa: la cultura ebraico- cristiana è fortemente ossimorica, cioè molto contraddittoria e si vuole rendere questa polisemia del linguaggio religioso anche nell’arte
Dipinge “Cristo morto incoronato di spine” appartenuto alle cappuccine in Santa Prassede e oggi conservato nella collezione Borromeo; c’è una forte relazione tra la figura di Cristo contro quella dello sgherro, la pelle chiara contro quella rossastra, la testa piccola contro quella enorme, elementi in primo e in secondo piano → richiamo del nuovo Davide contro il nuovo golia, la positività contro la negatività → l’idea centrale è comunque quella che il male non vince (resurrezione). Anche Giulio Cesare Procaccini realizza lo stesso dipinto dove però non prevale la passione ma la diffusione del senso di colpa; il carnefice di Gesù è un uomo anziano → Cristo = giovane = bene / carnefice = vecchio = male → si ribalta la concezione dell’uomo anziano come uomo saggio perché si vuole trasmetter il messaggio che Cristo è l’uomo nuovo (rottura col vecchio mondo).
A Milano il linguaggio artistico adottato è molto particolare perché su un contesto di linguaggio controriformato si inseriscono:
- discorsi manieristici: uno praghese rudolfino (manierismo moderno con venature di un erotismo perverso e a volte macabro e ambiguo) e uno romano (non è un’arte ma un misto di arti; è più tradizionale e contenuto perché è destinato alla corte pontificia).
- discorso classico: portato avanti da Camillo Procaccini
- discorsi barocchi: in Lombardia barocco vuol dire Rubens; Giulio Cesare Procaccini a Milano diventa il primo rubensiano.
Carlo V è il padrone dell’Europa e Tiziano sarà il suo pittore preferito; in quel periodo nasce il problema della trasmissione dell’arte. Carlo V commissiona a Leoni Leone una scultura; questo artista nasce ad Arezzo da una famiglia di origini comasche; è allievo di Michelangelo e a Milano fa il michelangiolista. Ha una significativa collezione di calchi in gesso di opere sia romane, sia recenti e pur essendo scultore predilige il bronzo al marmo. È un grande medaglista (si riesce ad inserire in una cultura milanese in cui c’era già un altro medaglista importante, Jacopo Zizzoli da Trezzo). Leoni Leone realizza “Carlo V che atterra il furore” che è un opera d’artificio perché c’è un tasto che aziona un marchingegno che toglie alla statua la corazza lasciando Carlo V nudo.
Leoni Leone a Milano deve gestire l’impresa del mausoleo dei Medici all’interno del Duomo → non sono i Medici fiorentini anche se fanno di tutto per farlo credere; in realtà sono una famiglia che lavorava presso il Banco Mediceo.
MEDICI
GIOVANNI ANGELO GIOVANNI GIACOMO GABRIELE ANGELA
Papa Pio IV delinquente, detto il Medeghino si sposa con un
Borromeo e sarà
la madre di
S.Carlo
S. Carlo commissiona il mausoleo, su progetto di Michelangelo, anche se Leone Leoni inserisce molte varianti; il mausoleo è policromo (marmo bianco, diaspro rosso, colonne grigie) ed è destinato a Gian Giacomo Medici, detto il Medeghino la cui l'effigie campeggia nel centro circondata da statue e bassorilievi. Interessante l'adiacente altare rinascimentale, di marmo, decorato con statue di rame dorato.
ALLEGORIA DELLA PACE
ALLEGORIA DELLA GUERRA
STATUA DEL DEFUNTO
ALLEGORIA DELL’ADDA
ALLEGORIA DEL TICINO
Inoltre ci sono:
- due virtù che reggono lo stemma dei Medici
- due candelieri
- 2 iscrizioni funebri
- 2 figure mostruose di tritoni
Gian Angelo Medici, zio materno di Carlo Borromeo (1538-1584), nel 1560 è eletto Papa con il nome di Pio IV e chiama Carlo, allora ventiduenne, a Roma, nominandolo cardinale e arcivescovo della Diocesi di Milano. Nel 1565, dopo la scomparsa di Pio IV, inizia la sua attività pastorale a Milano, dove interpreta il suo ruolo alla luce del dettato tridentino, imponendone i severi principi moralizzatori e lottando strenuamente contro le eresie. Con rigore ferreo riorganizza la struttura ecclesiastica e clericale del milanese, avvalendosi dell’opera, tra gli altri, dei gesuiti. Con impressionante determinazione e metodicità visita tutte le parrocchie della diocesi, impartendo ovunque disposizioni perché l’attività religiosa riprendesse vigore e rispettasse le regole stabilite dal Concilio. Si adopera anche per la nascita di innumerevoli istituzioni caritative. Nell’arco di 30 anni Carlo passa ad essere da promotore dell’arte a oggetto d’arte → rappresenta il paradigma del vescovo della controriforma (Concilio di Trento dal 1562 al 1563).
Secondo S. Carlo: GOTICO = TEDESCO = PROTESTANTE
CLASSICO = ROMANO = CATTOLICO
Il Duomo essendo un edificio in stile gotico andava romanizzato e per far ciò S. Carlo chiama Pellegrino dei Pellegrini detto Tibaldi che realizza l’altare, anche se la Fabbrica del Duomo non lo apprezza molto; in comune con Leoni ha il fatto di essere un michelangiolista. È un artista operoso in diverse regioni: a Roma per Castel S. Angelo, a Bologna, a Milano e in Spagna per Filippo II. A Milano la cattedrale è un edificio separato dal tempio civico del santo patrono della città: il tempio civico è la Basilica di S. Ambrogio e la cattedrale è il Duomo, dedicato alla natività della Vergine (il finestrone gotico è una metafora dell’Immacolata Concezione → così come la luce entra senza sfondare il vetro, così lo Spirito Santo…).
Una valenza michelangiolesca mista a una componente manierista caratterizza la “pala della crocifissione di S. Paolo Converso”, realizzata da Vincenzo Campi detto il Parmigianino.
Paolo Lomazzo realizza per la chiesa di S. Maria dei servi la “pala delle orazioni dell’orto”.
Federico Borromeo (1564-1631) è cugino di S. Carlo, è Cardinale a 23 anni e nel 1595 diventa arcivescovo; segue l'esempio del cugino nel disciplinare il clero, fondando chiese e collegi a proprie spese, applicando i canoni del concilio di Trento, dando esempio di grande carità durante la carestia del 1628 e la peste del 1630. Per tutta la sua vita si sente inferiore a Carlo e sente costantemente di dover dimostrare qualcosa. Anche Manzoni capisce questa sua condizione di dramma interiore e nei Promessi Sposi riesce, in una frase, a cogliere l’essenza della sua psicologia. Nel 1609 fonda la Biblioteca Ambrosiana mandando dei suoi agenti nelle principali città italiane per comprare le opere d’arte.
Gli spagnoli non amavano i Borromeo perché avevano dei territori che comprendevano il lago Maggiore confinando con la Svizzera; inoltre c’era un contenzioso relativo alla proprietà della rocca di Arona; Federico per mettere fine alla questione fa smantellare un pezzo della rocca, salvando la camera dov’era nato S. Carlo, e sostituendola con un santuario; per arrivarci viene costruito un sacro monte dedicato a Carlo → con questo espediente Federico mette a tacere gli spagnoli rimandando però ancora di più ai fasti della famiglia Borromeo → di solito i sacri monti venivano dedicati a Gesù e alla Madonna (il primo sacro monte è quello di Varallo) ma dal momento che il sacro monte di Orta era stato costruito in memoria di S. Francesco, anche ad Arona si ritiene opportuno di poterlo dedicare a un santo come Carlo. Inoltre davanti alla rocca Federico fa costruire una gigantesca statua di S. Carlo (sarebbe stato impossibile costruire una statua così a Milano dove le istituzioni spagnole lo avrebbero impedito, ma poteva esser fatto in un contesto privato) esaltandone i caratteri dolci, affettuosi e caritatevoli; tuttavia Carlo era tutto fuorché dolce e caritatevole perché dovendo riformare una diocesi corrotta come quella di Milano non ha mai potuto mancare di durezza. Inoltre Carlo era un uomo brutto fisicamente e questi suoi tratti (che tuttavia non potevano mancare, pena la mancanza di identificazione iconografica) venivano paragonati alla passione di Cristo. Il colosso di San Carlo Borromeo, chiamato amichevolmente dai rivieraschi San Carlone, domina il lago con i suoi 24 metri di altezza a cui vanno aggiunti il basamento di altri 12 metri circa. L’opera è stata eseguita dal 1614 al 1697 su progetto di Giovanni Battista Crespi detto il Cerano. La statua è in grossi fogli di rame uniti da altrettanti grossi chiodi e al suo interno vi è una ripida scala che rende possibile l’accesso fino in cima alla statua da dove si può osservare il panorama circostante (opera d’artificio). Il bronzo era un materiale riservato ai Papi e agli imperatori; una legge aveva imposto che i Papi potessero avere statue in bronzo solo dopo la morte, ma Papa Urbano VIII se ne frega e si fa fare una statua in bronzo dorato dal Bernini in Vaticano. Anche il re Enrico IV se ne frega facendosi costruire a Parigi sull’Île de la Cité una statua in bronzo, proprio di fronte al palazzo reale. S. Carlo, non era né imperatore, né Papa, né re ma è un santo → si afferma il principio secondo cui anche ai santi è riservato il bronzo → agli spagnoli questa statua non piace perché andava ad affermare la superiorità della chiesa (e in questo caso della famiglia Borromeo) sul governatore spagnolo.
Federico commissiona, in un breve periodo di tempo, 3 differenti dipinti dedicati a S. Carlo:
- Cerano realizza in S. Gottardo in Corte (cappella pubblica di Milano) un S. Carlo, ancora vescovo, benedicente con a lato due putti che gli portano il cappello da cardinale; sopra di lui, incorniciato da una nube con dei putti evanescenti, appare in caratteri gotici la scritta HUMILITAS, lo stemma-motto di S. Carlo che sintetizza la virtù del vescovo esaltando la famiglia Borromeo.
- Morazzone per la chiesa di S. Angelo di Milano (chiesa francescana; i francescani non sono in buoni rapporti con i Borromeo perché ricercando l’indipendenza riconoscono solo la figura del Papa) realizza la “gloria di S. Carlo” in cui il santo viene iconizzato nella figura dell’orante mistico; Morazzone recupera l’iconografia paleocristiana (in chiave antiprotestante) che voleva che la preghiera fosse recitata con le mani aperte (richiamo alla crocifissione). Sotto S. Carlo appare un coro angelico che da un lato da uno slancio verticale e obliquo, ma dall’altro finisce per mettere il santo in secondo piano, diventando protagonista del dipinto.
- Giulio Cesare Procaccini nel 1604 realizza per una chiesa di Brescia un dipinto di S. Carlo mentre viene trasportato dagli angeli in paradiso → richiamo alla tradizione paleocristiana in cui gli angeli sollevano fisicamente il santo; il tema stesso del volo angelico è un esplicito richiamo al volo angelico della Maddalena. Nel periodo in cui viene realizzato questo dipinto Carlo era appena stato beatificato e perciò si ritiene opportuno evitare di rappresentarlo nella gloria del cielo.
S. Carlo viene rappresentato anche in altri modi: in occasione del Giubileo del 1625 l’abate dei Canonici Lateranensi di Milano, Celso Dugnani (della casata milanese dei Dugnani) commissiona a Daniele Crespi un dipinto di S. Carlo per la basilica di S. Maria della Passione. I Canonici Lateranensi sono un gruppo di monaci agostiniani → Agostino visse nel IV secolo e divenne vescovo di Ippona dove conduceva una vita comune con i suoi collaboratori → l’esempio di S. Agostino viene ripreso più tardi e nascono diversi ordini agostiniani tra cui quello presso S. Giovanni in Laterano (Roma) sotto il diretto controllo del Papa, che si diffonde anche in Lombardia. Questo movimento, pur essendo contrario ai Borromeo, commissiona un dipinto di S. Carlo → si vuole affermare che S. Carlo è un santo universale, che tutti possono rappresentare (non solo Federico → polemica). Inoltre lo stesso Daniele Crespi lavorerà solo per un breve periodo per Federico prediligendo le commissioni dei grandi ordini religiosi.
Il dipinto rappresenta S. Carlo durante la quaresima che mangia solo pane e acqua e che piange leggendo la passione di Cristo. S. Carlo non beve vino ma acqua per fedeltà storica ma comunque l’acqua ha una forte valenza simbolica per la religione cristiana come elemento purificatore → purifica come la quaresima; inoltre quando nel Vangelo di Giovanni si racconta che il centurione per verificare la morte di Gesù gli infila una lancia nel costato, si dice che dal suo costato esce sangue ed acqua → il sangue di Gesù che purifica il mondo dai peccati. Un altro forte richiamo all’acqua e al sangue si ritrova nelle vesti del santo rosse e bianche. S. Carlo ha in mano un pezzo di pane → evocazione dell’eucaristia. Il dipinto è molto buio, questo perché:
- il Vangelo dice che da mezzogiorno alle 3 di venerdì santo il sole si oscurò → S. Carlo rivive la passione di Cristo e l’atmosfera di quell’evento viene rivissuta dalle tenebre
- si vuole rendere l’idea del male che assedia e del santo che infrange il buio con la sua luce
- bisogna tenere presente che in quel periodo c’è un filone di pittori tenebristi, che durerà due secoli, di cui Caravaggio è solo un esponente; Caravaggio non raffigura la realtà ma la iper realtà perché esagera nei dettagli andando oltre a quelli realmente percepibili dall’occhio umano a una determinata distanza di osservazione. Caravaggio rappresenta il divino in modo talmente reale che non si capisce se lo faccia per togliere al divino quella valenza sacra o per enfatizzare il fatto che il divino si è fatto reale.
Sullo sfondo a destra ci sono due uomini di colore che si mimetizzano nell’oscurità che sono Giussani (prete e futuro biografo di S. Carlo) e Vascapè (vescovo di Novara; si dice che abbia preso il fazzoletto intriso di lacrime di S. Carlo e lo abbia portato a Novara dove ancora oggi è conservato un frammento come reliquia → idea del sale dell’anima che si scioglie nelle lacrime → purificazione profonda perché viene dall’interno dell’uomo → acqua delle lacrime che purifica) mentre spiano S. Carlo → si inizia ad affermare il bisogno di dimostrare che un fatto è realmente accaduto in opposizione alla chiesa protestante che, in quanto eretica e bugiarda, non lo può fare.
Sulla destra c’è il crocifisso e sotto, sul tavolo, è appoggiata la berretta cardinalizia della quale S. Carlo si è spogliato → idea della nullità delle cose umane in relazione alla passione di Cristo. Così come il re è il mediatore tra la terra e il cielo, allo stesso modo Carlo diventa l’icona di Cristo e guardandolo si può leggere in lui Gesù → S. Carlo diventa metaforicamente l’Alter Cristus così com’era avvenuto in passato con S. Francesco la cui vita viene vista in parallelismo a quella di Gesù → si prende Carlo ad esempio e, dal momento che lui è una persona letterata che legge la Bibbia, si diffonde l’alfabetizzazione in Lombardia per avere il contatto diretto con le Sacre Scritture.
Mentre prima la tela si trovava sulla controfacciata della basilica (la controfacciata è un luogo enfatico sia perché dialoga con le altre parti della chiesa, sia perché è il luogo di passaggio dall’ambiente sacro a quello laico e perciò, fin dai tempi paleocristiani, si tendeva a rappresentare tema penitenziali come il Giudizio Universale) oggi è conservata in una cappella laterale. Lungo la navata c’è il ciclo dei santi canonici lateranensi, nel transetto sono rappresentati i padri della chiesa greca e latina, sull’organo si trovano le storie della passione e negli ottagoni della tribuna sono dipinte singole immagini del Cristo sofferente → l’intera iconografia della basilica vuol rendere l’idea della continuità della chiesa cattolica dalle origini fino alla controriforma.
Amico di Daniele Crespi è Giuseppe Vermiglio di origini piemontesi; da giovane va a Roma dove conosce i caravaggeschi e si dedica far copie di dipinti (anche i più grandi artisti facevano le copie e ciò rende spesso difficile l’identificazione dei dipinti) quando nel ’21 torna in Lombardia per commissioni a volte individuali a volte a fianco di Crespi.
- esequie di S. Thomas Becket → Vermiglio dipinge l’arcivescovo di Canterbury, assassinato e subito venerato come santo, sul catafalco funebre. Il dipinto è stato fatto per il ciclo della basilica di Santa Maria della Passione perché i canonici lateranensi avevano il vizio di ritenere monaci lateranensi personaggi del passato che non lo erano, come ad esempio Thomas Becket (che non fu mai un lateranense). Thomas indossa un piviale rosso per il duplice motivo che è stato assassinato dopo Natale e perché è un martire, e il suo successore lo sta benedicendo. Ai piedi del catafalco ci sono dei fogli di pergamena che spiegano perché Becket era un lateranense (siamo in un’epoca che vuole dimostrare ciò che afferma) → la presenza fitta delle parole è dovuta sia al fatto che i lateranensi sono un ordine colto ma anche al fatto che a Milano c’era un’alta alfabetizzazione.
Le commissioni pubbliche di Federico sono molto diverse da quelle private: a Pavia S. Carlo fa ricostruire un collegio; Federico commissiona a Nebbia e a Zuccari (tardomanieristi romani) di dipingere il salone dei fasti di questo collegio, celebrando le glorie della famiglia Borromeo; viene affrescata la nomina a cardinale di S. Carlo mentre viene eletto dallo zio Papa → mentre nelle opere pubbliche si vuole esaltare la santità di Carlo, nelle commissioni private s recupera la memoria storica del personaggio per inserirlo in un contesto di prestigio dinastico della famiglia.
Ci sono 3 tipi di opere d’arte:
- stabili → sempre presenti;
- effimere → nascono per circostanze storiche specifiche (battesimi, matrimoni, santificazioni, funerali, condanne a morte…) perciò sono destinate a non durare (anche se alcune vengono musealizzate) e i materiali usati sono scadenti. Le vie trionfali di Milano sono 2: corso di Porta Romana (collegava Roma a Milano) e corso di Porta Ticinese (collegava Roma, Milano e Pavia); in quest’ultima via venivano celebrate le processioni del corpus domini, passavano i vescovi e i reali spagnoli ma anche i condannati a morte (la confraternita di S. Giovanni decollato alle case rotte dava assistenza morale ai condannati e aveva diritto a salvarne uno all’anno dando luogo ad apparati effimeri solenni per queste celebrazioni di purificazione);
- cicliche → sono le opere che vengono esposte ciclicamente in un determinato periodo dell’anno e che vengono conservate per essere riutilizzate l’anno dopo e perciò dovevano essere resistenti.
È questo il caso dei quadroni di S. Carlo che venivano esposti nel duomo da novembre fino alla Novena di Natale. I quadroni erano composti da 2 cicli: il più grande sono le storie di S. Carlo (esposte nella navata centrale) mentre il più piccolo è quello dei miracoli di S: Carlo (esposti nelle navate minori). I quadroni sono ad olio ritoccato a tempera e il gigantismo di questi lenzuoli è dovuto al fatto che erano appesi in alto (devono essere proporzionati alle dimensioni del Duomo) e la gente doveva riuscire a cogliere le immagini. I quadroni sono stati completati in due fasi: tra il 1602 e il 1604 sono state realizzati i miracoli e il nucleo delle storie in occasione della beatificazione di S. Carlo; tra il 1666 e il 1671 il governatore spagnolo promuove il completamento delle storie di S. Carlo sulla nascita e sulla morte. Il genere della pittura storica fiorisce nelle repubbliche come Venezia e Genova dove però il discorso doveva essere collettivo senza andare ad evidenziare le singole figure se non in rapporto al prestigio della repubblica. Nei quadroni di S. Carlo invece la storia è quella della diocesi che si riconosce nell’immagine del santo; questo processo va di pari passo con la destoricizzazione del mito di S. Barnaba → durante il medioevo, per affermare le proprie origini, molte chiese dicevano che erano state fondate da un apostolo o da uno dei padri della chiesa; a Milano si riteneva che il primo vescovo della città fosse stato S. Barnaba e che avesse tenuto a battesimo S. Anatalone e che questi cresciuto abbia preso il posto dell’apostolo; tuttavia al tempo di Carlo, in cui c’è un controllo tra cattolici e protestanti, questa storia inizia a vacillare perché S. Anatalone era vissuto nel III secolo → S. Carlo ridimensiona il culto per S. Barnaba e cerca e raccoglie nel Duomo le reliquie dei primi vescovi. Inoltre S. Carlo afferma che una lapide paleocristiana raffigurante il Crismon era appartenuta a S. Ambrogio (anche se era più antica) e la mette con l reliquie dei vescovi; Federico commissionando i quadroni paragona S. Carlo a S. Ambrogio perché anche questi si trovavano al Duomo assieme alle reliquie dei vescovi. Nei quadroni coesistono 2 funzioni autonome: una funzione storica, legata alla testimonianza della vita del santo, e una funzione parenetica, legata all’istanza imitativa che scatta nelle persone che guardano i quadroni. Tra le storie di S. Carlo troviamo:
- la nascita di S. Carlo (2 fase) → S. Carlo che nasce nella Rocca di Arona; linguaggio forte: una luce pervade il dipinto colpendo Carlo; accanto alla culla c’è un grande bacile per la purificazione
- S. Carlo, ancora chierico, che rinuncia all’eredità borromaica ridistribuendo le sue ricchezze ai poveri.
- Vendita del principato d’Oria → S. Carlo che durante la carestia vende il suo principato di Oria per acquistare del grano da dare ai poveri; il quadrone è realizzato da Cerano con una grande abilità nel rendere la sequenza della vendita del principato e dell’acquisto del grano in un unico quadro → Cerano rappresenta al centro del dipinto l’architettura di Tibaldi, l’architetto preferito di Carlo, per rendere la verosimiglianza; in questo caso si parla di sprezzatura (eleganza nel rendere le cose come non sono) perché l’architettura disegnata è molto leggera ed elegante, quasi volatile. Carlo è sbaricentrato perché è raffigurato a lato e in secondo piano ma la sua veste rosso intenso attira comunque l’attenzione su di lui.
- S. Carlo nominato arcivescovo di Milano → dipinto dal tardomanierista Paolo Camillo Landriani detto il Duchino che si vuole promuovere socialmente vestendosi sempre in modo elegante cercando di farsi passare per nobile. Sulla destra del quadro sono raffigurati dei soldati che sono stati dipinti da Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone; mentre il Duchino è il classico brav’uomo rispettabile capo famiglia e buon promotore di sé stesso, il Morazzone, di formazione romana, ha una vita sregolata con risse, donne e omicidi e non si sa promuovere (non sfonderà mai a Milano ma si limiterà a lavorare per l’ordine francescano).
- S. Carlo che indice il Concilio Provinciale → I capi delle province ecclesiastiche convocavano i vescovi della grande provincia milanese (Veneto, Piemonte, Lombardia, Ticino); il dipinto è ambientato all’interno del Duomo e rappresenta i vescovi radunati nel coro che attorniano S. Carlo sul trono (in mezzo al quadro). Grande importanza è data anche al tabernacolo → Pio IV l’aveva fatto fare a Roma dalla famiglia Solari di Verna (famiglia comasca) per regalarlo a S. Carlo per il Duomo di Milano; S. Carlo fa collocare il tabernacolo in un ciborio realizzato da Pellegrino Tibaldi e diventerà un modello da imitare per tutti. Il dipinto è stato realizzato da Carlo Buzzi e da Giovanni Mauro della Rovere detto il Fiamminghino (suo padre era di Anversa) e, pur essendo brutto, a Federico andava bene lo stesso perché non era quello ciò che gli interessava; a Federico importava da un lato finire le storie per tempo e dall’altro, essendo uomo del suo tempo, non guardava lo stile del quadro quanto all’iconografia per cui ogni artista gli andava bene perché l’arte doveva solo essere funzionale. Anche Cerano viene scelto non per la sua bravura ma più che altro per le sue doti manageriali anche perché soprattutto in Lombardia il rapporto tra denaro, tempo e qualità era molto importante. Federico era un grande comunicatore perché capisce i limiti entro i quali può tenere un discorso artistico per farsi capire da tutti, senza però rischiare di adeguare l’arte al peggior gusto del pubblico e introduce un modo sottile per educare la gente: accanto a pittori di basso profilo come Buzzi e Fiamminghino che tuttavia avevano il vantaggio di farsi capire dalla gente, propone le opere del Cerano. Al contrario del secolo precedente in cui c’era il timore dei luterani, nel periodo in cui vive Federico il fronte cattolico e quello protestante si sono consolidati in confini precisi → la chiesa cattolica torna a potersi permettere un’arte più coinvolgente sebbene più rischiosa e ad abbandonare quell’arte noiosa ma sicura della controriforma. I quadroni di S. Carlo sono la testimonianza del passaggio da un tipo di arte all’altro.
- S. Carlo fonda le scuole di dottrina cristiana → S. Carlo promuove una campagna di alfabetizzazione legata al catechismo tenuto in aule annesse alla chiesa. Fin dai 6 anni il catecumeno maschio era separato dalle catecumene femmine e ogni gruppo aveva dei deputati (laici che insegnano) dello stesso sesso → per insegnare le deputate stesse dovevano sapere leggere e scrivere per cui si diffonde molto l’alfabetizzazione femminile; nel quadro questa divisione tra uomini e donne è ben rappresentata e c’è al centro S. Carlo. Sia Carlo che Federico promuovono queste forme laicali ma con un misto di paternalismo e sospetto → i laici sono come un gregge da indirizzare e sottomettere. Il dipinto è realizzato da Buzzi che non avendo molta fantasia non vi introduce elementi di disturbo → rende benissimo l’idea di ordine e gerarchia.
- S. Carlo che predica al popolo → di Fiamminghino. È un dipinto parastorico perché non fa riferimento ad un avvenimento preciso ma ad un fatto abituale. Carlo è sul pulpito e sta predicando ai nobili (seduti in comode poltrone nelle prime file) e ai poveri (seduti sui gradini perché non esistevano ancora le panche).
- S. Carlo che visita gli ammalati → carità e umiltà dell’arcivescovo che si sposta con la mula bianca bardata con la gualdrappa rosso porpora → richiamo all’entrata a Sion di Gesù la domenica delle Palme; quando i re andavano in guerra si spostavano a cavallo ma quando c’erano periodi di pace cavalcavano una mula → Carlo è principe di pace.
- S. Carlo penitente anche di notte → Carlo dormiva 3 ore a notte seduto con un braccio appoggiato ad una pietra messa su un tavolo e vestito con una camicia leggera. In alto a destra, sopra la porta, c’è il busto di s. Ambrogio → idea della continuità. Federico teme che la Chiesa possa ridursi a una dottrina di buone maniere. La chiesa della controriforma recupera quelle forme di mortificazione corporale come atti di penitenza anche se c’è una disputa filosofica su queste pratiche: da un lato l’idea platonica della negatività del corpo per cui l’anima è sua prigioniera (tirata agli estremi si arriva a negare l’incarnazione) e dall’altro l’idea che si diffonde con la controriforma per cui il corpo è qualcosa di prezioso, unisce in sé anima ed è quindi pericoloso (si arriva a punizioni corporali e repressioni sessuali).
- S. Carlo che brucia la lettera (2 fase) → Carlo Preda raffigura S. Carlo nell’atto di bruciare una lettera ancora chiusa che probabilmente conteneva delle minacce di morte. Infatti frate Farina aveva sparato a Carlo che era rimasto miracolosamente illeso. Questo episodio ricorda Cesare → inseguendo Pompeo Cesare arriva nella sua tenda ormai abbandonata e trova tutti i suoi documenti e senza aprirli li fa bruciare; inoltre alle idi di marzo Cesare aveva ricevuto un biglietto che lo avvisava dell’attentato ma non l’aveva aperto perché doveva andare in Senato. Il richiamo a Cesare è dovuto al fatto che Carlo oltre a essere l’erede del mondo cristiano lo è anche del mondo classico. Il quadro raffigura un ambiente che è stato ingigantito perché nella realtà è molto piccolo; è presente la pala decorata da Bernardino Campi che è l’elemento che permette di identificare l’ambiente dove si svolge la vicenda.
- S. Carlo che introduce a Milano i nuovi ordini religiosi → Carlo introduce a Milano gli ordini mendicanti dei gesuiti e dei barnabiti, dediti ad attività intellettuali, sui quali ha il controllo e che diventano degli ottimi predicatori ed insegnanti. Dipinto da Cerano che lo realizza con due punti di fuga. In primo piano c’è un gesuita che sembra arrampicarsi inginocchiato sulle scale verso il trono di Carlo → richiamo al racconto biblico in cui Davide, alla guida del corteo per celebrare lo spostamento dell’Arca Sacra a Gerusalemme, si fa coinvolgere dall’atmosfera gioiosa e inizia a ballare e a cantare poco dignitosamente per un re; finita la processione, sua moglie Micol lo riprende ma Davide le risponde che lo ha fatto per Dio e perciò non se ne vergogna.
- S. Carlo in visita pastorale nelle diocesi suffraganee → Di Fiamminghino. Carlo si era fatto nominare dal Papa legato pontificio (cioè ambasciatore) assumendo su di sé il diritto all’incolumità nell’ispezionare le diocesi che non erano sotto il diretto controllo di Milano → grande peso politico.
- S. Carlo che sposta le reliquie → Di Domenico Pellegrini (figlio di Tibaldi) che raffigura la processione che va verso il Duomo con Carlo sotto un baldacchino con in mano un asse con sopra un reliquiario raffigurante S. Calimero; l’iconografia classica prevedeva un S. Calimero raffigurato come un uomo vecchio e con la barba ma in questo caso il busto del santo viene rappresentato come un doppio di S. Carlo.
- La processione del Santo Chiodo → il Santo Chiodo è un morso di cavallo fatto realizzare da Costantino con un chiodo della croce di Cristo; questo morso è stato donato a Milano dall’imperatore Costantino che era colui che aveva concesso la libertà di culto ai cristiani ed è conservato ancora adesso nel Duomo e una volta all’anno viene portato in processione → il mito di Costantino viene usato in arte in alternativa a quello di Ambrogio e Teodosio che è molto più polemico → dopo aver sterminato centinaia di uomini in battaglia Teodosio fa rientro a Milano ma Ambrogio non lo fa entrare nel duomo → vittoria del potere religioso su quello civile.
- S. Carlo che celebra i sacramenti agli appestati → rappresenta la Chiesa che adempie al proprio compito primario di dare i sacramenti e che è presente anche per raccogliere le ultime confessioni e pentimenti dei morenti. In primo piano il rigoroso Duchino rappresenta S. Carlo che sta cresimando un uomo mentre altri appestati sono in attesa, e in secondo piano le capanne del lazzaretto.
- S. Carlo in visita al lazzaretto → Cerano rappresenta in primo piano S. Carlo che dona le sue vesti cardinalizie al lazzaretto per farne dei vestiti per i poveri (richiamo biblico “vestite i nudi”).
- La fondazione degli oblati → Di Buzzi. Carlo crea dei gruppi di preti diocesani (legati al vescovo) che non hanno una loro parrocchia ma dei quali il vescovo può disporre in caso di bisogno (scandali, morte di un prete…); gli oblati sono persone di alta cultura con grandi capacità organizzative (ottimi predicatori e amministratori). Dato che Carlo aveva comprato il primo luogo di residenza dell’ordine, viene rappresentato in procinto di dare un vassoio con dei lingotti d’oro agli oblati. Nel dipinto sono presenti due grandi simbologie: una croce che si usa nelle processioni che sta a significare la dipendenza dell’ordine dal vescovo, e il quadro dell’Assunta per richiamare il fatto che Carlo aveva posto come protettrice degli oblati l’Assunta.
- La erezione delle croci stazionali → Carlo vuole fare di Milano una città di riferimento per i cristiani e promuove degli interventi che prevedono il collocamento nella città di colonne al cui apice è inserita una croce → le colonne diventano segni visibili dell’autorità religiosa e Cerano realizza la scena della loro erezione con grande abilità nel rendere le proporzioni tra le figure umane e le colonne. Durante la terribile peste del 1628 si diffonde la caccia agli untori e la casa di uno dei principali accusati (residente a Porta Ticinese, una delle zone più malfamate di Milano in cui si parlava un dialetto particolare comune ai delinquenti) viene rasa al suolo, le rovine sparse di sale ed eretta una colonna d’infamia che denunciava l’accaduto e aggiungeva che su quel terreno non si poteva costruire; solitamente queste colonne vengono erette per questioni politiche ma in questo caso l’”untore” era un poveraccio → lo stato ricicla a suo uso le croci stazionali dando loro un significato del tutto diverso come rivincita sulla Chiesa → si crea l’anticostruzione nella città ideale.
- S. Carlo visita la Sacra Sindone a Torino → Carlo fa un lungo pellegrinaggio a piedi fino a Torino dove viene accolto dal duca Carlo Emanuele I, dal figlio Vittorio Emanuele I (Savoia) e da tutta la corte → grande importanza non solo religiosa di Carlo e della Chiesa che rappresenta. Il quadro è realizzato da Duchino che si fa aiutare da Morazzone nel realizzare un guerriero e un paggio.
- S. Carlo al Sacro Monte di Varallo → il quadro è diviso in due parti: a destra si vede Carlo che firma dei documenti in favore del Sacro Monte, a sinistra c’è ancora Carlo che con in mano una lucerna (richiamo biblico alla luce dei passi → la luce rappresentata è fioca perché l’uomo ha limitate capacità di comprenderla) va in visita di notte alle cappelle → parallelismo tra Carlo e Gesù → il santo vuole rivivere l’agonia di Cristo e la cattura e la condanna di Gesù sono avvenute di notte.
- S. Carlo fonda il convento delle cappuccine → Di Buzzi. I cappuccini sono un ordine francescano caratterizzato da un ritorno alla povertà, fondato nel 1500 da Matteo Da Bascio che però non è mai stato santificato a causa di un processo per eresia; il ramo femminile ha un forte slancio caritativo e Carlo che le vuole a Milano compra loro un convento; Federico procede su questa via anche perché le cappuccine sono molto attive anche durante le pestilenze.
- Viatico (morte) di Carlo → Carloantonio Procaccini dipinge Carlo morente sdraiato nel letto a baldacchino attorniato da parenti e sacerdoti;dietro al letto è appeso il quadro della Madonna col Bambino; questo quadro si dice sia di origini antichissime (forse è stato S. Luca a dipingerlo facendo un ritratto dal vivo alla Madonna) e si sa per certo che proveniva dalla chiesa romana di S. Maria Maggiore dove Carlo era stato arciprete. Questa chiesa era stata la prima al mondo dedicata alla Vergine e la sua costruzione è legata al miracolo di Papa Liberio I → aveva sognato che nevicava in agosto ma quando si sveglia vede che la neve era scesa davvero formando il perimetro della chiesa da costruire.
- I preti cacciano i fedeli dalla tomba di S. Carlo → prima che venisse realizzata la tomba nella cripta il santo era stato sepolto al suolo e nel quadro Girgio Parravicini detto il Gianolo (1660-1729; attivo in Valtellina e a Milano) rappresenta una folla di fedeli che vengono fatti allontanare dalla tomba → atteggiamento della Chiesa della controriforma che guarda a questi eventi con un misto di interesse e preoccupazione.
- S. Carlo accolto nelle gloria dei cieli da S. Ambrogio e S. Anatalone → Andrea Lanzani nel 1700 realizza questo quadrone per il presbiterio del Duomo per comunicare una linea di continuità di Carlo con i suoi predecessori.
Tra i miracoli troviamo:
- miracolo della donna con la gamba in cancrena → la donna è sdraiata sul letto con accanto il medico e il marito senza speranze ma lei si gira indietro verso la statua di S. Carlo e il santo le fa guarire le piaghe; in mezzo al quadro è dipinta una piramide che è presagio di morte.
- miracolo della donna col cancro al seno → realizzato dal bolognese Giulio Cesare Procaccino;
- miracolo della suora smaniosa (indemoniata) → Di Cerano. È un tema che tocca più Federico che Carlo; Federico oltre a mobilitarsi nella razionalizzazione degli ordini religiosi (c’erano molti ordini con le stesse funzioni), si impegna nell’ambito delle monacazioni forzate in seguito a una serie di casi di pazzia che derivano da una dieta rigida, dall’assenza sessuale e dalla durezza della regola monastica → è soprattutto nel periodo di Federico, nel clima dello sperimentalismo di Galileo (Galileo nasce nello stesso anno di Federico), che si pone il problema di riconoscere i casi di possessione demoniaca da quelli di pazzia dovuta da cause esterne (come per esempio la malnutrizione o la depressione dovuta a casi di monacazione forzata). Federico scrive molto su questo tema e si sa che teneva una fitta corrispondenza con la monaca di Monza, mentre lei era condannata ad essere murata viva (Federico le aveva concesso un lumino e carta e penna); dopo la sua morte sarà lo stesso Federico a promuovere la sua beatificazione → paradigma cristiano della Maddalena.
- miracolo del bambino che stava annegando nel Ticino → Di Giulio Cesare Procaccini. Un uomo stava facendo attraversare il Ticino alla sua famiglia quando il figlio cade da cavallo e cade nel fiume, ma l’apparizione di Carlo salva il bambino da morte sicura; è il primo miracolo noto anche fuori Milano perché il fratello del pittore Camillo Procaccini realizza un dipinto simile per Venezia, città d’acqua per eccellenza, e Carlo diventa anche lì il santo da invocare in caso d’affogamento.
- miracolo della donna col cancro al seno → richiamo alla siciliana S. Agata martire che fu torturata tagliandole i seni che durante la notte Gesù e la Madonna avevano fatto ricrescere → Carlo aveva dedicato a S. Agata un altare del Duomo e Federico lo fa adornare con una pala realizzata da Zuccari e si fa mandare una reliquia dalla Sicilia. Questo miracolo realizzato da Cerano è stato collocato proprio nella navata opposta a questo altare per inserirla bene in questo contesto rendendola ben visibile. Nel quadro è rappresentata la donna con il cancro al seno e a sinistra è rappresentato il Duomo come sfondo → richiamo alla reliquia di s. Agata che si trova proprio nel Duomo.
Dal 1750 i governi europei e lombardi, di fronte al gran numero di ordini religiosi sul territorio, decidono di sopprimere quelli socialmente inutili entrando così in possesso dei beni confiscati e delle sovvenzioni. In Italia si verificano 3 ondate di soppressioni religiose che non sono un fenomeno unitario:
- verso il 1750 da parte dell’impero austriaco prima e di quello borbonico in seguito
- verso il 1800 con Napoleone
- verso il 1850 con la legge Rattazzi dapprima in Sardegna e con la nascita del Regno d’Italia in tutta la penisola
Un commissario comunicava ai religiosi lo sfratto per mandarli a vivere come pensionati in apposite case del clero finanziate dal governo. Si potevano quindi andare ad incamerare i loro beni, alcuni dei quali venivano demanializzati, altri venduti (a Brera si sceglie quali opere d’arte tenere e quali vendere ma questa selezione risente del gusto del tempo perché vengono vendute molte opere del 1600 a parte poche eccezioni e salvate quelle del 1400/1500). Per quanto riguardava l’edificio religioso a volte veniva abbattuto, altre volte si abbatteva solo il monastero e si salvava la chiesa, altre volte veniva convertito per funzioni civili.
→ FENOMENO DELLA DISPERSIONE DELLE OPERE D’ARTE
Ci sono un sacco di quadri dispersi nelle collezioni private; mentre l’arte religiosa in gran parte si salva (si tende a ridipingere su una tela sacra piuttosto che a gettarla nel camino) e quella ritrattistica dura finché sopravvive la famiglia (eccezioni: dipinti dei benefattori presenti negli ospedali e musealizzazioni), i dipinti di genere che rappresentano il 90% della produzione artistica durano pochissimo perché considerati di basso valore. Solo nel 25% dei casi conosciamo le opere e il loro autore e mentre di molte opere non si sa chi le ha dipinte, altre volte capita che si conosca il nome di un artista ma non le sue opere.
Le informazioni sulle opere d’arte ci pervengono da:
- archivi
- guide di Milano → abbiamo due guide famose, quella di Carlo Torre del 1674 (ripubblicata nel 1714) “il ritratto di Milano” e quella di Serviliano Lattuada del 1737 “la descrizione di Milano” che pur essendo molto più seria e completa non può testimoniare opere d’arte antiche come l’opera di Torre
- fonti storico- letterarie
- lettere, testamenti
- trattati → i vescovi spesso scrivono di opere d’arte: mentre Carlo Borromeo scrive relativamente poco (abbiamo solo le sue “istruzioni”), Federico Borromeo è un grande grafomane e in “de pictura sacra” e “il museum” descrive il suo museo privato che donerà a Milano e che è l’attuale pinacoteca ambrosiana.
Un forte controllo sull’architettura è esercitato da:
- l’ufficio spedizioni diverse della curia di Milano → il nome deriva da “expeditur” che designava l’autorizzazione della curia a un atto anche inerente a strutture architettoniche sacre. Spesso le chiese povere non avevano le risorse per fare dei progetti di ristrutturazione e la curia mandava lo stesso architetto di fiducia che, non conoscendo la realtà locale, il più delle volte aveva già un progetto pronto → uniformità e imposizioni di prassi dal centro alla periferia
- il collegio agrimensori, ingegneri e architetti → ente pubblico di soggetti professionisti privati; il grosso problema di Milano è la superficialità della falda acquifera → l’acqua si trova molto in superficie e causa difficoltà nella costruzione degli edifici → si diffonde l’idea che per costruire a Milano si dovesse essere milanesi avendo conoscenze professionali e specifiche del territorio → coloro che volevano costruire edifici dovevano sottoporsi a una lunga gavetta che dava però delle precise conoscenze: dovevano prima essere agrimensori (acquisendo competenze del territorio), poi potevano diventare ingegneri (studiando i materiali di costruzione più adatti alle varie esigenze), e infine architetti passando quindi alla progettazione. Gli architetti che provengono da questo tipo di formazione privilegiano strutture geometriche con la conseguenza che l’arte, pur rispondendo alle esigenze della controriforma, è uniforme e noiosa. A differenza di molte città italiane a Milano non crollerà mai un edificio e questa figura professionale deterrà il monopolio di costruzione a Milano per più di 2 secoli (anche quando ci sono pressioni dall’alto per impiegare architetti esterni, questi dovevano essere affiancati da un milanese del settore).
CLIMA CULTURALE:
- In Italia il concetto di “popolare” ha originato fraintendimenti perché si deve considerare che la nostra cultura è una cultura di élite e l’idea di autori veramente popolari si verifica dal 1950 in poi. Anche quando Cerutti (detto il pitocchetto) diffonde la moda dei pitocchi (cioè di raffigurare pezzenti) i modelli usati erano esponenti della nobiltà bresciana che si divertivano a travestirsi da poveri.
- Nel 1600 è molto diffuso il tema della magia e della metamorfosi che celano una forte tendenza pansichista → l’idea pansichista vede la natura come un qualcosa di omogeneo in cui le diverse realtà naturali (mondo vegetale, animale, umano) sono frammenti di un’unica grande anima del mondo; da qui l’idea che ci si può trasformare perché la natura, di cui l’uomo fa parte, essendo molto simile lo permette. Il maggior esponente pansichista è Giordano Bruno che sarà messo al rogo da un Papa dallo spirito libero che la pensava esattamente come lui.
- Rodolfo II d’Asburgo → pur essendo un inetto in politica è un grande mecenate; il suo palazzo raccoglieva 30.000 dipinti, andati poi perduti con la guerra dei 30 anni quando gli svedesi saccheggiarono e distrussero il palazzo. La corte di Praga dove risiede l’imperatore Rodolfo II è organizzata topograficamente in un modo particolare: accanto al palazzo imperiale che comprendeva una cattedrale, un monastero e dei quartieri abitativi, sorgevano la città vecchia e la città nuova (la città nuova ha un vivace nucleo mercantile e borghese). Mentre oggi la cultura è un qualcosa di vasto, specialistico e perciò frammentario, Rodolfo II aveva un’idea della cultura unitaria: si interessava di arte, alchimia e astrologia. Tra i suoi astronomi aveva addirittura Brahe (passa tutta la vita a raccogliere dati ma nonostante le continue conferme non crederà mai alla teoria eliocentrica; sarà il suo allievo Cheplero che partendo dai suoi dati confermerà la teoria eliocentrica).
- Nascita del libertinismo → il libertino è uno spirito libero, è uno scettico che rifiuta il dogmatismo sulla possibilità di avere delle verità eterne. È un personaggio anticonvenzionale (EX: antiaccademico) che si rifiuta di aderire alle verità rivelate e che viola i tabù sessuali; gli eretici sono accusati di essere sessualmente perversi. La più grande espressione di questo modo di pensare si trova negli “Essay” di Montagne che esprimono grande scetticismo.
- Viene coniato il termine nicodemismo → un protestante italiano scrive a Calvino accusandolo di fare facile proselitismo quando dice di ribellarsi alla religione imposta dal momento che lui si trova protetto in Svizzera, mentre gli italiani vengono messi al rogo. Calvino gli risponde dicendo che tutti gli italiani protestanti sono nicodemisti (Nicodemo era quel personaggio che andò a trovare Gesù di notte per paura dei giudei) perché hanno paura di uscire allo scoperto. Da quel momento in poi nella cultura italiana si instaura una schizofrenia indotta dal momento che l’intellettuale italiano un po’ è costretto ma un po’ sceglie la pazzia. Federico Borromeo ne è un emblema: quando andava a letto si adagiava per un minuto in un morbidissimo e prezioso letto a baldacchino ma poi andava a dormire sul pagliericcio; questo perché diceva che in quanto cardinale doveva dare quel tanto che ci voleva per l’onore del mondo, ma in quanto pastore e peccatore doveva fare penitenza. S. Carlo invece dormiva seduto con un sasso sotto al gomito.
- Ci si rende conto ke l’arte classica non esisteva più e si voleva far rinascere → nel medioevo l’arte classica era morta da un pezzo ma non se ne rendevano conto perché erano convinti che l’incarnazione di Cristo costituiva una sintesi, un legame, tra l’antico e il nuovo e non si percepiva la rottura. La novità dell’umanesimo è invece la consapevolezza della rottura che porta alla divisione cronologica dell’età classica.
- Il ceto dirigente milanese è caratterizzato da un’alta partecipazione alle cariche amministrative di giovani patrizi che si impratichivano e si formavano → i giovani fanno scelte iconografiche più coraggiose. Un esempio è il ciclo di affreschi misti della sede del Vicariato di Provvisione che comprende:
- affreschi dei santi patroni di Milano
- immagini di orgoglio civico (EX: sacro Chiodo)
- affreschi di S. Ambrogio
Questa scelta di solito non competeva al Vicariato di Provvisione ma ora si vuole assumere un ruolo nuovo per diventare un ente di potere.
Tra gli affreschi del ciclo ricordiamo quello del Duchino che realizza un S. Ambrogio neonato nella culla con uno sciame di api che gli si posa sulle labbra depositandovi del miele (segno di predilezione divina e di un futuro da grande oratore). Intorno i genitori, il fratello Satiro e la sorella Marcellina hanno un’espressione di contenuta sorpresa → questa reazione è tuttavia verosimile in parte perché inserita in un contesto sacro, ma soprattutto per l’autocontrollo → civiltà del sussiego: nobiltà = capacità di autocontrollo.
- Nel cuore di Milano i teatini rifondano la chiesa di S. Antonio Abate che era prima degli antoniani (gli antoniani vi curavano l’herpes e il fuoco di S. Antonio, e per questo la controriforma non li vede di buon occhio e li sostituiscono con i teatini). I teatini erano stati fondati nel 1500 da S. Gaetano da Tiene e da Giovanni Pietro Carafa (futuro Papa Paolo IV e grande inquisitore). È un ordine dotto e i teatini sono grandi predicatori, promuovono circoli accademici e si dedicano alla cura delle anime. Per decorare le chiese le diverse confraternite delle varie città si consultavano tra loro sulla scelta degli artisti da ingaggiare: assoldavano da un lato i migliori artisti locali ma anche i migliori artisti delle altre città con desiderio di paragone → volontà di aggiornamento che accetta l’arte a patto che sia nuova. Per S. Antonio Abate chiamano:
- i Carracci realizzano un’adorazione dei pastori in uno spazio alto e stretto. Il linguaggio che utilizzano è composto e solenne anche se Federico non lo capiva. A monte c’era una cultura galileiana che aveva causato delle lacerazioni profonde nella cultura cattolica anche perché interi ordini religiosi erano a favore di Galileo, in primis i teatini.
- Di fronte Morazzone realizza un’adorazione dei magi. La stranezza è che ha una matrice ancora tardomanierista (vedi angioletti danzanti con una muscolatura ipertrofica in contesti impropri come quello infantile → Morazzone realizza delle anatomie perfette perché in quel periodo molti pittori frequentavano l’ambiente della medicina e si documentavano). Maria ha il capo coperto in atteggiamento di soffusa malinconia in cui si intravede quel tipo di pittura mielosa, da immaginette sacre.
- Giulio Cesare Procaccini realizza una annunciazione caratterizzata da una pittura calda, sensuale e rubensiana che sa attirare lo sguardo dello spettatore sui 2 gigli come elemento di purezza però risemantizzandoli (dando loro un significato nuovo) per la loro grandezza. Per quanto riguarda l’iconografia, stranamente compaiono molti personaggi che rappresentano la corte celeste.
Cesare Paolo Arese (teatino col nome di fra Paolo) diventa vescovo di Tortona che era una carica ambita in quanto comprendeva la città di Novi Ligure → dal 1550 al 1650 Genova è la capitale economica mondiale e per tre mesi all’anno controllava la finanza mondiale perché a Novi Ligure (posizione favorevole perché sull’asse MI- GE) si svolgevano delle grandi fiere.
NOVITA’ ECONOMICA + NOVITA’ SCIENTIFICA (Galileo) + NOVITA’ INTELLETTUALE =
NOVITA’ ARTISTICA
- Alla morte di Federico Borromeo Cesare Paolo Arese recita l’orazione funebre; l’orazione funebre è il momento della codificazione dell’immagine del defunto che si vuole trasmettere ai posteri → è un momento delicato perché l’oratore volente o nolente ne trasmette una chiave di lettura.
In quel periodo il papa era Urbano VIII che ha 2 nette fasi politiche:
- politica filo-francese che segna un’apertura culturale e in cui Galileo può dedicare al papa un suo libro;
- le sorti della guerra dei 30 anni fanno cambiare idea al papa che vuole riavvicinarsi alla Spagna (si vive una fase di chiusura culturale) → il papa ha bisogno di un nunzio (ambasciatore) per trattare con la Spagna un ritorno ma con dignità → il papa sceglie Cesare Monti, di famiglia di fedeltà spagnola ma uomo intellettualmente libero. Il fratello di Cesare, Matteo Monti (era il corrispondente del nostro ministro della salute), a causa della sua simpatia per gli spagnoli, durante la peste era stato accusato di esser un untore, ma viene comunque prosciolto dalle accuse. Nel 1631, alla morte di Federico, il papa nomina Cesare Monti nuovo arcivescovo di Milano. Da giovane Cesare Monti era un grande committente di Andrea Crespi, mentre in età matura predilige i bolognesi come Guido Reni, Guercino e lo spagnolo napoletanizzato Ribera.
- È luogo comune credere che la storia dell’arte seicentesca veneziana e fiorentina sia un periodo di decadenza; ma tutto dipende dal punto di vista di partenza: è pur vero che ci sono pochi artisti locali ma ciò viene compensato da un’apertura all’esterno che vede l’arrivo di molti artisti stranieri. Non si può quindi parlare di crisi ma semmai di ribaricentramento.
Bisogna comunque considerare che ogni periodo storico ha la sua arte dominante (EX: l’umanesimo ha la pittura, il rinascimento la scultura) e in questo periodo a Firenze prevalgono le arti del lusso (intarsi in pietre dure).
Lorenzo Garbieri è l’espressione italiana della realtà pittorica fiorentina del 1600. Eredita un linguaggio classicista che egli interpreta con una vena tenebrista in quanto le sue figure emergono drammaticamente dal fondo (EX: tondo rappresentante la deposizione del Cristo morto); questo non è un elemento caravaggesco diretto, ma indiretto perché deriva da quei pittori fiorentini che conoscevano le opere di Orazio Gentileschi (fiorentino romanizzato e grande caravaggesco).
I francescani a Milano vivevano nella chiesa di S. Angelo Vecchio che a causa di un ampliamento delle mura della città viene abbattuta; i frati ottengono dagli spagnoli una nuova chiesa, S. Angelo, per la quale Procaccini realizza la contemplazione del Cristo morto che durante la guerra mondiale si trovava in una cappella andata distrutta e che quindi ora si trova fuori dal suo contesto originario. Nel dipinto si vede il corpo di Cristo compianto da 7 arcangeli e Giovanni evangelista che gli stringe la mano. Nella Bibbia non è ben chiaro quanti siano gli arcangeli, quelli citati sono 3 (Michele, Raffaele, Gabriele), anche se poi nel libro di Esdra (vangelo apocrifo, ma accettato comunque dalla chiesa tant’è che è veniva riportato alla fine della Bibbia) viene citato un altro arcangelo (Uriele). La cultura paleocristiana aveva accettato 4 arcangeli tant’è vero che intorno alla cattedrale si costruivano intorno 4 chiese dedicate agli arcangeli. Secondo la teologia ebraica gli arcangeli sono 7. Nel dipinto ci sono i 3 arcangeli, vicino a Cristo e illuminati, che rappresentano la Trinità; degli altri 4, 2 sono rappresentati più grandi e 2 più piccoli perché è così che voleva la tradizione. Un altro elemento da considerare è il forte legame che c’era tra Gesù e Giovanni; lo stesso Giovanni si autodefiniva “il discepolo che Gesù amava” e alla morte di Cristo viene incaricato di essere il nuovo figlio di sua madre. Giovanni è l’unico apostolo che scappa ma che torna in tempo ai piedi della croce ed è l’unico che non viene martirizzato → si crede che sia stato assunto in cielo subito dopo la sua morte (assunto in cielo anima e corpo come solo Gesù, la Madonna e la Maddalena) → tuttavia c’è il rischio di leggervi un’altra rivelazione diversa da quella portata da S. Pietro che è quella di un cristianesimo per pochi eletti → eresia. Il dipinto combina in sé 2 diversi livelli di lettura:
- può essere letto in modo colto e complicato, guardando alla stratificazione di significati
- può essere percepito in un modo più semplice perché guardandolo si vede Gesù morto, vegliato da Giovanni e compianto dagli angeli
A Milano arriva il genovese Simone Barabino che per una delle cappelle di S. Angelo realizza la strage degli innocenti, caratterizzata da una pittura chiara, lucida, di matrice genovese. I suoi sfondi storici sono un tema molto caro alla pittura genovese → Genova ha un’aristocrazia di forte patriziato urbano e i patrizi genovesi sono tutti di dubbia nobiltà perché in realtà sono mercanti → Genova ha bisogno di una forte nobilitazione → grande interesse per la pittura storica.
A Genova si assiste all’arrivo della pittura toscana e della pittura fiamminga. Nel tardo ‘500 la città era stata oggetto di una grande operazione urbanistica e nel 1622 viene condotta un’operazione editoriale di grande respiro con la pubblicazione del libro sui palazzi genovesi. L’artista più noto del tempo è Bernardo Castello che si forma a Firenze e a Roma; avrà sempre contatti con grandi intellettuali e a prova di ciò abbiamo i disegni della “Gerusalemme liberata” che diventa un best seller in Europa. Castello è amico del letterato genovese Chiabrera, sostenitore dell’”ut pictura poesis” (accostamento di arte e letteratura).
Intorno agli anni ’40 c’è un forte legame tra l’ambiente della finanza milanese e genovese; il genovese Tommaso Marino fa eseguire dal 1557 al 1563 la favolosa committenza del suo palazzo milanese (palazzo Marino) al perugino Galeazzo Alessi ma riceverà solo pesanti critiche dall’ambiente milanese che ritiene l’operazione inutile e costosa → visioni diverse tra milanesi e genovesi → per i milanesi l’architettura deve essere funzionale, x i genovesi è uno status symbol di affermazione sociale. A palazzo lavorano anche i fratelli tardomanieristi Semino che dipingono un ciclo mitologico.
Anche a Milano esiste il fenomeno che è codificato con i nomi di chiaristi e tenebristi; la scissione ideologica avviene a Venezia tra il 1560 e il 1570 tra il Tintoretto, portatore di una pittura tenebrosa e Veronese che dipinge con colori chiari e luminosi. Questa contrapposizione tra i 2 rami diventa più forte verso al fine del 1600.
TEMA DEL PARAGONE → a Milano nel 1618 la chiesa agostiniana di S. Marco completa l’assetto architettonico. Marino finanzia il presbiterio (anche se generalmente venivano finanziate le cappelle laterali), operazione che viene fortemente criticata. Commissiona a Camillo Procaccini e a Cerano 2 teleri gigantesche laterali che raffigurano le storie di S. Agostino → scatta la tematica del paragone; mentre la nostra civiltà è una civiltà dell’analogia, quella del ‘500 era una civiltà dell’anomalia (EX: camere delle meraviglie) in cui si accosta il simile al dissimile → paragone per mettere a confronto le opere di due grandi artisti come già era successo tra Michelangelo e Leonardo per la battaglia di Anghiari e tra Raffaello e Sebastiano del Piombo/Michelangelo.
- Camillo Procaccini realizza la conversione di S. Agostino → il centro della scena è occupato dalla disputa mentre in alto a destra c’è la conversione vera e propria; illuminazione solitaria → dialettica tra l’affollamento della disputa e la solitudine di Agostino che è superiore alla disputa → rimando alla dialettica tra la vita attiva e la vita contemplativa. Pentimento e battesimo di Agostino → Agostino ha una veste rosa ed è situato al centro; alle sue spalle c’è la madre Monica, Ambrogio con la veste lunga da monsignore (non da cardinale) e molti altri personaggi decorativi; a destra ci sono 2 personaggi, un sacerdote ebreo con la veste rossa e la barba e un ebreo europeo con la veste gialla → atteggiamento possibilista nei confronti della religione ebraica → idea che i più lontani dalla conversione siano gli appartenenti al clero perché più fermi nello loro convinzioni →
Chiasmo: A - B B - A
Agostino Ambrogio laico rabbino
Parallelo → come si è convertito Agostino così si può sperare che anche il rabbino si converta → cultura del dialogo abituata al confronto → confronto all’interno dell’opera ma anche con la telero che gli sta di fronte.
- Cerano realizza il battesimo di Agostino → Agostino riceve un cilicio, segno di penitenza (forse da S. Simpliciano); sopra vediamo Agostino in camicia.
Pittura tumultuosa protobarocca contro la pittura luminosa e nitida di Procaccini → entrambe sono accettabili e proponibili perché la chiesa non ha più paura di adottare linguaggi “ambigui”.
Di rilievo è la presenza a Milano di Enea Salmeggia detto il talpino. È originario di Bergamo ed è uno dei casi rari in cui un bergamasco riesce a lavorare a Milano per i pregiudizi che i milanesi hanno nei loro confronti (mito del bergamasco rozzo che nasce dall’intensificarsi di presenze di facchini bergamaschi che in questo periodo sostituiscono quelli svizzeri). È solo quando Tiepolo arriva a Milano con un seguito di collaboratori bergamaschi che vengono rivalutati.
Il talpino è dunque un’eccezione che è un buon promotore di sé stesso e lavora anche per complessi prestigiosi. La sua è una pittura controriformata un po’ arcaica in cui riesce ad inserire una componente di aggiornamento accademico e ad esprimere l’intellettualità dell’arte.
Un’altra presenza importante è Antonio D’Enrico detto Tanzio da Varallo (Tanzio oltre essere diminutivo di Antonio stava per tonto) di una famiglia di origine fiamminga “De Hendrjck” di plasticatori che arriva a Varallo per la costruzione del S. Monte; Antonio va Roma dove conosce i caravaggeschi ma poi deve scappare e rifugiarsi in Abruzzo (sotto il Regno di Napoli, che gli permette però di rimanere nel “giro romano” perché molti aristocratici avevano della case lì) dove fa dei dipinti di alto livello anche se in chiese sperdute; fa poi ritorno a Milano dove lavora per la chiesa di S. Maria della Pace (chiesa di origini francescane; quando l’ordine viene soppresso dal 1800 al 1900 è sede dell’ordine di Malta e quindi raramente visitabile) e realizza per la cappella il ciclo della natività tra cui emblematica è l’apparizione dell’angelo ai pastori → l’angelo appare come un faro luminoso in un quadro intenzionalmente scuro con il cartiglio “nunzio vobis gaudium magnum” (D’Errico e Vermiglio sono 2 grandi caravaggeschi). Il dipinto si trova su una volta ed ha una cornice a stucco che ne fa risaltare la pittura.
Con la frammentazione del sapere si impone il modello dello specialismo: è in questo periodo che si parla di sottogeneri autonomi e di pittori specializzati in generi (nature morte, paesaggi, marine…).
NATURA MORTA: è un termine improprio perché è meglio l’espressione inglese “still living”
- canestra di frutta → di Caravaggio, comprata o commissionatagli da Federico Borromeo; oggi si trova alla pinacoteca ambrosiana ed è il dipinto più fiammingo del pittore iperrealista anche per il tema della vanitas/caducità esplicitato dalla mela bacata (peccato originale); lo spazio di appoggio è più intuito che rappresentato e lo sfondo è un non-sfondo.
- Vojgel dipinge a Bruxelles una cornice di fiori e la manda a Federico Borromeo; Federico commissiona a Giulio Cesare Procaccini di riempirla e lui realizza una Madonna con il bimbo addormentato in grembo e 2 angeli. Il vero autore dell’opera è Federico perché è colui che decide quali pezzi mettere insieme → autonomia della cornice dall’affresco → arte a pezzi in cui la cornice viene eseguita senza sapere come il dipinto verrà ultimato → visione industriale dell’arte
Un sottogenere della natura morta è la PITTURA DI ANIMALI:
carenza soggettuale → questo tipo di pittura volutamente non è identificabile in un titolo univoco. Gli animali dipinti sono privi di azione e ciò è dovuto alla diffusione in questo periodo della pratica dell’imbalsamazione che cerca di farli sembrare vivi teatralizzandoli. Un grande pittore di animali è il tedesco Durer che ne realizzava dei disegni anche se ben finiti e destinati alla vendita (non come fogli preparatori).
- dipinto di volatili di specie diverse → l’autore non è noto anche se qualcuno ritiene sia Cerano; è vero che molti artisti hanno stili diversi a seconda del genere che devono dipingere, ma è anche vero che queste sensibili variazioni avvengono comunque in un quadro soggettivo. Il prof non crede che sia di Cerano perché tra lo stile del pittore e questo dipinto non ci sono solo sensibili variazioni ma un abisso.
PAESAGGIO:
Per quanto riguarda gli affreschi di paesaggio le 2 famiglie più importante presenti sul territorio sono: quella dei Pozzi della Val Solda (il cui territorio di influenza va da nord-est a sud-ovest) e quella degli Avogadro di Tradate (la cui area di influenza va da nord-ovest a sud-est); è inevitabile che “l’espansione artistica” facesse incontrare le 2 ditte e ciò avviene a Somma Lombardo dove decidono di non combattersi ma di spartirsi equamente le altre aree (join venture).
Federico Borromeo è un collezionista dei paesaggisti fiamminghi Brill e Elsheimer che lavoravano anche su rame perché garantiva la brillantezza del colore. Il paesaggio fiammingo si giustifica con la presenza di un episodio biblico (alibi iconografico) perché la presenza di figure umane in questi dipinti è solo un accessorio all’equilibrio del quadro (EX: S. Giovanni in meditazione nel deserto: il santo si trova in un angolo del dipinto ed è immerso nella folta vegetazione della foresta).
- apoteosi di S. Carlo → Carlo su un carro trionfale, recante gli stemmi di casa Borromeo, guidato da un unicorno (simbolo di santità, animale feroce ma dolce allo stesso tempo); il carro è immerso in una natura rigogliosa e a destra si può vedere una capanna alla fiamminga che è un elemento ricorrente.
Perché piace questo tipo di pittura?
- dolcezza → la committenza del secolo ha bisogno del ruolo catartico dell’arte in un senso rasserenante (i committenti soffrono sempre più di nevrosi)
- interesse scientifico → non si rappresenta la natura per il piacere di farlo ma come riflessione ai testi di botanica di Galileo, Bacone e in seguito Linneo