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Toscano di nascita e di carattere, Piero della Francesca non è tuttavia un artista legato a una sola città, poiché la sua attività si estende a tutta l'Italia centrale. La sua formazione artistica avviene a Firenze ed è segnata dall'influenza di Brunelleschi, di Donatello e dei pittori Masaccio e Andrea del Castagno, rigorosi creatori della forma e dello spazio geometrico. È comunque accertato che Piero della Francesca fu allievo e collaboratore di Domenico Veneziano, con cui lavorò all'esecuzione di un ciclo di affreschi (ora perduto) nel coro di Sant'Egidio. Come il Beato Angelico, Domenico Veneziano proponeva ai suoi allievi uno stile meno teso, una scelta di toni più freschi e più luminosi.
Le grandi tappe della carriera
Commissionato nel 1445, ma portato a termine dieci o quindici anni più tardi, il Polittico della Misericordia (comprendente, a parte la predella e i santi laterali, opera di collaboratori, i pannelli che raffigurano San Sebastiano e San Giovanni Battista, i Santi Andrea e Bernardo, Benedetto e Francesco, l'Annunciazione, la Crocifissione e la Madonna della Misericordia) di San Sepolcro, oggi nella pinacoteca comunale di questa città, testimonia già uno stile maturo e molto personale, nel quale tuttavia predomina ancora, sotto la probabile influenza di Masaccio, una tendenza scultorea e austera. Imposto dall'autore, lo sfondo d'oro arcaico non contrasta, ma fa addirittura risaltare la densità delle figure, in particolare quelle del pannello centrale, che rappresenta la Vergine della Misericordia e, ai lati, otto devoti inginocchiati disposti simmetricamente. Alla stessa epoca appartengono certamente alcuni pannelli nei quali la ricerca della luminosità è già tanto importante quanto l'espressione del volume e la costruzione dello spazio: La Flagellazione (Palazzo Ducale di Urbino), legata a un episodio tragico della casata dei Montefeltro, ha una struttura di ispirazione classica che attribuisce una collocazione precisa alle figure della scena principale, piuttosto defilate, così come ai tre personaggi enigmatici che compaiono in primo piano sulla destra; il San Gerolamo (Galleria dell'Accademia, Venezia) e, di maggiore formato, il Battesimo di Cristo (National Gallery, Londra), devono il loro senso di profondità al vasto paesaggio. Intorno al 1448 si colloca il viaggio di Piero della Francesca a Ferrara, importante sia per la sua carriera sia per la storia artistica della città, nella quale la corte estense aveva creato un clima di umanesimo e di innovazione. Il pittore vi incontra il Pisanello, Mantegna, Rogier Van der Weiden, che lo inizia al realismo e alla tecnica meticolosa dei maestri del Nord. Nulla però rimane degli affreschi da lui dipinti al castello degli Estensi e a Sant'Agostino. Si è conservata, in compenso, una testimonianza dei suoi rapporti con un'altra corte umanistica del rinascimento, quella di Rimini. Nel Tempio Malatestiano, realizzato su progetto di Leon Battista Alberti, un affresco datato 1451, Sigismondo Malatesta con il suo santo protettore, mostra il signore della città accompagnato da due levrieri e in ginocchio davanti a San Sigismondo. Queste figure, dalle linee molto rigide, si inseriscono mirabilmente nella struttura fittizia. Nella carriera di Piero della Francesca, l'episodio fondamentale è costituito dagli affreschi eseguiti in San Francesco d'Arezzo. La decorazione del coro di questa chiesa viene affidata nel 1447 al pittore fiorentino Bicci di Lorenzo, il quale muore nel 1452, dopo aver dipinto i quattro evangelisti della volta. La prosecuzione del lavoro è subito offerta a Piero della Francesca, che vi dedicherà fino al 1460 circa, insieme con alcuni collaboratori il cui intervento appare piuttosto limitato. Il ciclo è dedicato essenzialmente alla Leggenda della vera Croce e comprende numerosi episodi: la Morte di Adamo, la Restituzione della Croce, l'Incontro di Salomone con la regina di Saba, l'Invenzione e prova della vera Croce, la Vittoria di Costantino, la Disfatta di Cosroe, il Sogno di Costantino, l'Annunciazione, la Rimozione del sacro ponte, la Tortura dell'ebreo, oltre a due Profeti, due Santi, due teste nella volta, un San Pietro Martire e un Angelo. Le due pareti laterali del coro sono ripartite in tre zone orizzontali sovrapposte, separate da cornici; un elemento verticale, albero, colonna, ecc., divide in due parti ciascuna delle varie scene. Piero della Francesca fornisce qui una prova di grande padronanza dei suoi mezzi espressivi. L'aneddottica vi è bandita e la leggenda, ridotta all'essenziale, assume una risonanza epica. La luminosità dei toni esalta il carattere scultoreo della forma, la traduzione dello spazio attraverso il paesaggio o la struttura. Diverse scene, come per esempio quella della morte di Adamo o quella dell'arrivo della regina di Saba con il suo seguito, hanno una gravità statica e una solennità alle quali si contrappone la tensione di altri episodi, come quelli del trasporto del legno di Croce, della tortura dell'ebreo e delle due battaglie. L'episodio del sogno di Costantino serve da spunto per un magistrale saggio di abilità nell'uso del chiaroscuro. Nel periodo dedicato soprattutto al ciclo di Arezzo, Piero della Francesca compie due viaggi a Roma: intorno al 1455, sotto il pontificato di Niccolò V, affresca la volta di una cappella di Santa Maria Maggiore con gli Evangelisti, dei quali rimane soltanto San Luca; nel 1459, sotto Pio II, orna una delle camere del Vaticano di affreschi che sarebbero ben presto scomparsi per far posto a quelli di Raffaello. Tali opere hanno comunque notevoli influssi sull'arte pittorica romana. Nonostante i suoi numerosi viaggi, Piero della Francesca non trascura il paese natale. Nel 1454, gli viene commissionato un polittico con sfondo d'oro per Sant'Agostino di Sansepolcro, di cui restano quattro figure di santi disseminate in altrettanti musei (a Londra, New York, Lisbona e Milano). Altre opere, di datazione incerta, si collocano nel periodo degli affreschi di San Francesco ad Arezzo: nel duomo di Arezzo, una figura della Maddalena, su pannello, dall'espressione altera, che va contro la tradizione; nella cappella del cimitero di Monterchi (in provincia di Arezzo), un affresco di argomento insolito, la Madonna del parto (1460 c.ca), che ritrae la Vergine incinta con due angeli; una Santa Monica e un San Domenico (Galleria Liechenstein, Vaduz); e soprattutto la Risurrezione, affresco di ispirazione maestosa, nel palazzo comunale di San Sepolcro, diventato pinacoteca della città. Completati gli affreschi di Arezzo, Piero della Francesca si lega alla corte brillante e raffinata dei duchi di Urbino, Federico da Montefeltro e in seguito suo figlio Guidobaldo, al quale l'artista dedicherà i suoi trattati De prospectiva pingendi e De quinque corporibus (quest'ultimo usurpatogli dall'allievo Luca Pacioli). Una testimonianza dell'intenso rapporto tra il pittore e i Montefeltro è costituita dal duplice ritratto, sotto forma di dittico, di Federico e della moglie Battista Sforza (Dittico di Urbino, 1465, Galleria degli Uffizi, Firenze). I due profili, il cui realismo è pari alla fermezza, si stagliano su un ampio paesaggio collinare, trasfigurazione idealizzata dei dintorni di Urbino, come quella che, sul rovescio del dittico, fa da sfondo ai «trionfi» allegorici del duca e della duchessa. Quest'opera prelude al periodo conclusivo, durante il quale Piero della Francesca pare addolcire alquanto il proprio stile e ricercare effetti più sottili, ispirati talvolta ai maestri fiamminghi. Del polittico si Sant'Antonio di Perugia (oggi nella pinacoteca della città) si può considerare autografo il pannello superiore, una Annunciazione collocata in una suggestiva prospettiva di colonne corinzie, mentre la parte restante lascia trasparire l'intervento piuttosto consistente dei collaboratori. Nella Natività proveniente dalla famiglia del pittore (National Gallery, Londra), si nota l'importanza del paesaggio e un nuovo tono intimo, al quale contribuisce il realismo discreto dei pastori e degli animali; gli angeli musici richiamano quelli della Cantoria del Duomo di Firenze di Luca della Robbia. Ancora più vicina al gusto fiammingo, la Madonna di Senigallia (Madonna con figlio e due angeli), dipinta per Santa Maria delle Grazie di Senigallia (oggi alla Galleria nazionale di Urbino), unisce alla delicatezza dei toni la finezza delle luci. La grande pala della pinacoteca di Brera a Milano, la Sacra conversazione, proveniente da Urbino, unisce in una struttura perfettamente simmetrica la Vergine con il Bambino, sei santi, quattro angeli e Federico da Montefeltro in ginocchio; quest'opera, certamente l'ultima che si conosca di Piero della Francesca, ha costituito un importante fonte di ispirazione per le pale d'altare della scuola veneziana.
Lo stile e il pensiero
Il linguaggio di Piero della Francesca, uno dei più originali del Quattrocento, rivela una conoscenza profonda delle regole matematiche (formulate dallo stesso pittore nei due trattati citati) che sono alla base della costruzione di un universo ideale. L'organizzazione dello spazio attraverso la prospettiva si applica sia alle strutture, delineate secondo lo spirito del Rinascimento fiorentino, sia al paesaggio, dove la natura è interpretata in modo tale da giungere a un effetto di straordinaria vastità. La densità plastica delle figure e degli oggetti procede di pari passo con il rigore che presiede alla loro disposizione. Tutto appare collegato in questo mondo, che sarebbe minerale senza la gamma di colori trasparenti e dolci di cui Piero della Francesca possiede il segreto. Essa rende più convincente l'illusione del rilievo, diffonde sullo spazio e sulle forme una luce cristallina, che completa l'unità del pannello o dell'affresco. Questo linguaggio rivela un'alta ispirazione. L'arte di Piero della Francesca, nonostante alcuni soggetti, concede poco al genere narrativo, reprimendo più spesso la contemplazione che l'azione. Alla grazia, alla tenerezza o al dolore, egli preferisce una dignità tranquilla che rasenta l'impassibilità. Vi si avverte una sorta di solidità terrena, che tuttavia inclina verso ritmi solenni. L'universo di Piero della Francesca sembra sottrarsi alle leggi del tempo. Ciò non ha impedito al maestro di dimostrare, sotto la probabile influenza della scuola fiamminga, un interesse sempre più vivo per il realismo delle forme e delle figure, di cui i ritratti ducali di Urbino costituiscono una prova lampante. Egli ha dimostrato di prediligere anche le trasparenze dell'affresco.
L'influenza e la fortuna critica
Piero della Francesca va annoverato tra i maestri che hanno avuto un ruolo preminente nello sviluppo della pittura italiana. Non gli sono mancati imitatori nell'Italia centrale e la sua influenza è avvertibile nello stile, più aggraziato, del fiorentino Alessio Baldovinetti (1425-99). Soprattutto, è importante sottolineare il profondo insegnamento che il suo esempio ha saputo trasmettere a grandi costruttori dello spazio e dei volumi, quali Melozzo da Forlì, Luca Signorelli e i pittori di Ferrara. La visione geometrica di Piero della Francesca sembra avere ispirato diversi architetti, come Luciano Laurana a Urbino, e ha probabilmente avuto ripercussioni sulle ricercate composizioni in legno frastagliato che costituiscono la gloria dell'arte italiana dell'intarsio nel quattrocento. L'altro aspetto della sua arte, la sublimazione dei toni per mezzo della luce, ha profondamente influenzato il Perugino e diversi pittori di Venezia, in particolare Giovanni Bellini. Il genio di Piero della Francesca ha trovato riconoscimento presso i suoi contemporanei italiani, che sembrano tuttavia averlo ammirato più come teorico della prospettiva che per le sue qualità di pittore. Nel XVI secolo, Vasari, suo compatriota, testimonia ancora una viva ammirazione nei suoi confronti. Segue un lungo periodo di indifferenza, se non di oblio, verso l'artista e la sua opera. Occorre attendere il XX secolo perché gli studi di Bernard Berenson, di Adolfo Venturi e di Roberto Longhi restituiscano a Piero della Francesca il titolo che merita: uno dei più importanti pionieri del rinascimento italiano.
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