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Il Romanico
La ripresa dell’economia in uno con il rinnovato sviluppo delle città avvenne dopo l’anno Mille. Il rifiorire dei commerci e il nuovo impulso che ebbe l’agricoltura, insieme ad una rinnovata coscienza civica che fece proprio dell’appartenenza ad una città il fondamento della propria identità e cultura, crearono un clima adatto alla ripresa dell’attività costruttiva.
Nuove città e villaggi sorsero secondo una visione urbanistica agli antipodi di quella classica: non più schemi geometrici regolari fatti di strade che si incontravano ad angolo retto, ma un intrigo di vie e viuzze su cui si aprivano case secondo una morfologia quanto mai varia. Il tutto formava un insieme molto pittoresco, specie quando i paesi – ed era la maggior parte dei casi – nascevano su cime di colline, in cui quindi la varietà planimetrica si univa al movimento altimetrico. Rispetto alle città fondate dai romani, che sorgevano per lo più in posizione pianeggiante e nei fondovalle per controllare meglio le vie che percorrevano l’Impero, le città che sorsero nel Medioevo sono quasi sempre situate in posizione dominante sul territorio circostante. La difficoltà di accedere a questi nuovi borghi era motivo di difesa in un periodo in cui la sicurezza delle città era garantita solo dalla milizia civica.
L’edificio simbolico di questa rinnovata attività costruttiva fu la cattedrale. Su questo edificio, in cui si riconosceva la popolazione di una città o di un villaggio, si concentrò l’attenzione della cultura architettonica del tempo, elaborando il Romanico, che dopo l’età classica sarà il primo stile internazionale adottato da tutti gli stati europei allora esistenti. Pur avendo varianti regionali che rendono distinguibile il Romanico lombardo da quello pisano o il Romanico provenzale da quello renano o da quello catalano, ebbe alcune costanti che sono rintracciabili in tutte le aree geografiche che applicarono questa nuova architettura. I limiti cronologici in cui si sviluppò il Romanico, vanno intesi secondo le aree geografiche: tuttavia in senso generale si possono considerare come momento iniziale la fine del X secolo e come termine la metà del XIII secolo. Esso cadde in disuso quando lo stile Gotico, che pure era una evoluzione del Romanico, rinnovò ampiamente il bagaglio tecnico e formale dell’architettura.
Il termine “romanico” è stato interpretato in diversi modi: può essere un riferimento all’area geografica in cui si diffuse, quando coincideva con quella in cui si parlavano le lingue romanze; o può riferirsi a una ripresa delle concezioni architettoniche già conosciute dai romani. In particolare dall’architettura romana quella romanica fece propria la tecnica costruttiva delle volte a crociera. L’architettura iniziò il nuovo corso stilistico, che noi definiamo Romanico, quando le volte sostituirono i tetti in capriate lignee.
I motivi per sostituire le capriate erano molteplici: le strutture in legno richiedevano manutenzione continua ma soprattutto erano facilmente infiammabili. Gli incendi che si sviluppavano nelle chiese erano difficilmente domabili, con il risultato che era necessario rifare i tetti con una notevole frequenza. Il tentativo di dare alle chiese una copertura più stabile e duratura portò a sostituire il legno con i mattoni in laterizio o le pietre. Ecco quindi la scelta di coprire le chiese con volte in muratura.
Inizialmente, ancora in fase di Preromanico, le prime sperimentazioni per coprire le chiese con delle volte avvennero utilizzando le volte a botte. Ma la volta a botte era difficilmente adattabile a chiese a più navate: essa infatti necessita di un muro continuo e notevolmente pesante sui due lati perimetrali. La soluzione giusta era ricorrere alla volta a crociera, che, scaricando il suo peso su quattro pilastri d’angolo, permetteva di scomporre lo spazio della chiesa in campate comunicanti tra loro in quanto non interrotte da muri.
L’arco utilizzato dall’architettura romanica, al pari di quanto avevano già fatto i romani, era a tutto sesto: aveva cioè il profilo di un perfetto semicerchio. In questo caso una volta a crociera, che si compone di archi a tutto sesto, deve avere la base quadrata: la distanza cioè tra i quattro pilastri deve essere uguale su ogni lato. E ciò per una necessità statica imprescindibile: gli archi che compongono una crociera devono avere la stessa altezza. E dato che in un arco a tutto sesto la larghezza dell’arco è obbligatoriamente doppia rispetto alla sua altezza, ne derivava la necessità di impostare una volta a crociera su una pianta quadrata.
E così il quadrato della crociera divenne il modulo costruttivo della cattedrale romanica. Fissata la dimensione di un quadrato che costituisce una porzione della navata laterale, le altre crociere che appartengono alla stessa navata devono avere la stessa dimensione, in quanto hanno con il primo quadrato un lato in comune. La navata centrale, per avere una dimensione maggiore delle navate laterali, dovrà comporsi necessariamente di quadrati multipli – in genere doppi – di quelli che costituiscono le navate laterali: in tal modo essa scarica il proprio peso su un pilastro ogni due. E quindi anche le altre campate laterali, per avere lati in comune con le altre navate, dovranno necessariamente comporsi dello stesso modulo quadrato.
Ma, ciò che unifica lo stile Romanico, oltre a questa modularità costruttiva, è la pesantezza strutturale. Le volte rispetto alle capriate lignee sono più pesanti e inoltre scaricano forze inclinate, non verticali: pertanto necessitano di murature molto spesse e pesanti, adatte a contrastare le notevoli spinte laterali delle pesanti volte. Queste murature dovevano essere così grosse e resistenti che era necessario limitare anche l’apertura di finestre. Rispetto alle basiliche paleocristiane o bizantine, in cui la luce pioveva dall’alto dei finestroni che si aprivano in sommità alla navata centrale, le cattedrali romaniche divennero edifici molto bui.
All’esterno queste chiese avevano un aspetto così solido e massiccio da sembrare quasi delle fortezze, all’interno si componevano di spazi silenziosi ed oscuri. Molta della suggestione religiosa che una cattedrale romanica trasmette si deve proprio a queste sue caratteristiche.
Sul piano tipologico la cattedrale romanica portò innovazioni rispetto alla basilica paleocristiana soprattutto nella parte terminale della chiesa. Il corpo delle navate rimase pressoché intatto mentre fu maggiormente articolata la zona absidale. Quest’area della chiesa, detta anche coro o presbiterio in quanto destinata ai religiosi, si arricchì di più cappelle che si aprivano a raggiera verso l’esterno. Spesso sotto il presbiterio sorgeva la cripta, ambiente sotterraneo riservato alla conservazione di sepolcri o di reliquie.
Maggior sviluppo ebbe anche il transetto, il braccio trasversale rispetto alla navata che contribuì a dare alle chiese la forma di una croce latina. Con il termine croce latina si distingueva la croce che aveva un braccio più lungo degli altri – che nella chiesa corrispondeva alla navata –, rispetto alla croce greca, che aveva i quattro bracci uguali, definendo una pianta non longitudinale ma centrale. Questo tipo di croce fu definita greca, perché era preferita e utilizzata dall’architettura bizantina.
In Italia il Romanico ebbe più varianti regionali: la principale si sviluppò nell’area padana e si configurò come uno stile abbastanza omogeneo. Esempi del Romanico padano sono la chiesa di S. Ambrogio a Milano, la chiesa di S. Michele a Pavia, la cattedrale di Parma e la cattedrale di Modena. Questa chiese si contraddistinguono per la chiarezza compositiva delle piante, per l’impiego di mattoni o pietre a faccia vista, per la tripartizione della facciata. Da qui il Romanico si diffuse in tutta l’area centro settentrionale, restandone esclusa Venezia, che per i suoi contatti con l’Oriente rimase legata ad una concezione architettonica bizantina. Tant’è che dopo l’anno Mille, quando si provvide alla costruzione della basilica di San Marco, si adottò una soluzione tipicamente bizantina: una chiesa a croce greca coperta con cupole raccordate a pilastri mediante pennacchi.
Controversa è anche l’adesione al Romanico dell’architettura toscana di quei secoli. In Toscana tre città si distinsero per una ricerca stilistica che le portò ad esiti diversi ed originali: Firenze, Siena e Pisa. Le architetture che si produssero qui assimilarono dal Romanico solo alcuni elementi, a volte puramente decorativi: la loro concezione sembra legarsi con un filo autonomo e non mediato da tecniche costruttive nordiche all’architettura tardo romana. Uno degli aspetti più significativi di questa singolarità è che in queste città si usò ancora la decorazione marmorea, sia interna che esterna. Ma è soprattutto la concezione dell’edificio ad essere diversa. L’architettura romanica funzionava secondo un principio additivo: si aggiungevano parti secondo le esigenze funzionali, creando un insieme poco controllato ma che veniva omogeneizzato dall’impiego di materiali e tecniche costruttive analoghi. Restavano assenti valutazioni legate alla proporzione estetica degli edifici e alla simmetria.
L’area toscana, ma soprattutto Firenze, sembra invece non dimenticare quei concetti già sperimentati dall’architettura classica, così che, seppure aderisca in parte al Romanico o al Gotico, lo fa secondo una concezione originale: in pratica già dopo l’anno Mille divenne il laboratorio di incubazione di quell’architettura rinascimentale, che nel XVI secolo concliuse definitivamente l’architettura medievale.
Nell’Italia meridionale la stagione del Romanico coincise con la dominazione normanna. Questa popolazione aveva fornito notevoli contributi non solo alla nascita del Romanico ma anche alla sua evoluzione nel Gotico. Nell’Italia meridionale trovarono un ambiente culturale già segnato dalla presenza bizantina ed araba – quest’ultima soprattutto in Sicilia. Il Romanico che sorse qui infatti ebbe commistioni originali ed interessanti con elementi spuri presi da queste altre concezioni architettoniche.
Diverso è invece il caso della Puglia. Qui il Romanico, grazie all’intenso traffico di pellegrini e crociati che interessò la regione, trovò terreno fertile per esplicitare un’architettura dallo stile più omogeneo e con una caratteristica decisamente originale: la risoluzione plastica degli elementi decorativi. La ripresa dell’architettura dopo l’anno Mille si era accompagnata a quella dell’attività scultorea, la cui produzione era intimamente legata a quella delle cattedrali. Pur nelle varianti stilistiche, i canoni formali di questa scultura sono omogenei per l’intera Europa: le figurazioni iconografiche sono sempre a bassorilievo, mentre a tutto tondo sono solo le parti architettoniche, quali cibori, pulpiti, ceri pasquali, cattedre, eccetera.
Il carattere delle figurazioni iconografiche su temi religiosi aveva aspetti severi e seriosi. Invece la scultura romanica pugliese elaborò un suo repertorio originale di figure, che raccontavano di strani animali, esotici o fantastici, in perenne lotta con uomini che sembrano sempre soccombere a questa natura fantastica e terribile. Ma ciò che rende interessante queste sculture è la tendenza al tutto tondo più esplicita che altrove e la capacità di controllare dinamismo e movimento delle figure scolpite. In questo periodo la Puglia conobbe i cantieri artistici delle costruzioni che Federico II di Svevia realizzò all’inizio del XIII secolo ed è lecito supporre che qui si elaborò la nuova cultura artistica che portò al rinnovamento plastico del XIV e XV secolo.
Fonte: https://www.lsgalilei.org/attachments/article/176/I.%20Storia%20dell'Arte.doc
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Autore del testo: F.Morante
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