Leonardo da Vinci vita opere biografia

Leonardo da Vinci vita opere biografia

 

 

 

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Leonardo da Vinci vita opere biografia

1. Introduzione

Con questa tesi vogliamo dimostrare come Leonardo da Vinci usi la pittura non per dipingere e far vedere alcune cose come fanno molti pittori (ritratti di personaggi famosi, fatti storici, ecc.), ma per raffigurare tutto ciò che lui ha studiato e che quindi vuole far vedere a tutti. Infatti, tutte le sue opere non sono altro che un pretesto per far vedere il riassunto di tutti i suoi studi di anatomia, botanica, idraulica, matematica, geometria ecc., attraverso le splendide opere che ci ha lasciato.
Vogliamo, insomma, dimostrare che per Leonardo, la pittura è una scienza attraverso la quale comunica la conoscenza della natura o meglio di tutti gli aspetti della natura che ha approfondito attraverso i suoi numerosi studi ed esperimenti.  E per fare ciò si prenderà in considerazione una delle opere meno note del genio fiorentino: il Trattato della pittura. Un trattato che è interessante studiare anche da un punto di vista letterario perchè ci fa vedere come Leonardo scriveva a quei tempi e ci fa conoscere alcuni aspetti di carattere linguistico. Inoltre si farà riferimento agli scritti del Prof. Carlo Pedretti, il più importante studioso di Leonardo, e a Rodolfo Papa che in una recente pubblicazione indagando tra le pagine del Trattato della pittura, cerca di dare una risposta ai dubbi secolari che la figura di Leonardo ha suscitato: fu più artista o più scienziato? Più filosofo o più scrittore?
Lo stesso Prof. Carlo Pedretti nella prefazione del libro di Rodolfo Papa scrive:
“Quarant’anni fa, subito dopo la scoperta di due manoscritti vinciani a Madrid intorno al 1965, veniva imposta un’immagine di Leonardo drasticamente deformata anche da studiosi tutt’altro che superficiali e tanto meno occasionali. Leonardo era essenzialmente un ingegnere che a tempo perso dipingeva, esordì uno di essi con riferimento ai sorprendenti, accuratissimi e bellissimi studi tecnologici nel primo di quei manoscritti; un’affermazione che declassava d’improvviso non solo la pur limitata opera grafica e pittorica del maestro maanche l’imponete lascito dei suoi scritti in tema di teoria artistica, di pittura come scienza e quindi di filosofia”.

Con questa premessa, nei limiti di una tesi non scientifica come questa, si cercherà di dimostrare come Leonardo abbia considerato la pittura una vera e propria scienza. E per fare questo si farà riferimento oltre che agli scritti dei più noti studiosi del genio leonardesco di cui sopra, anche allo studio di alcuni dei suoi capolavori più famosi, cercando di dimostrare come tutte le cose che lui ha scritto nel Trattato della pittura, le ha poi tradotte in realtà nei suoi splendidi dipinti. Solo dopo aver attentamente analizzato i suoi precetti contenuti nel trattato è possibile dimostrare tutto questo.
Nel Trattato della pittura Leonardo scrive: “il bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’homo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile perché s’ha a figurare con gesti e movimenti delle membra”.
Queste poche righe ci danno un’idea esatta su quali basi Leonardo elabori i suoi splendidi capolavori. Cioè non basta disegnare una figura umana, ma bisogna che tale figura possa esprimere qualcosa, possa raffigurare un concetto; e per fare questo è necessario raffigurare bene i gesti, i movimenti del corpo, l’espressione del viso. La stessa cosa vale per la natura che ci circonda come gli alberi, le piante, le montagne, i ruscelli, i paesaggi, i fenomeni atmosferici, ecc. Ma rappresentare tutto questo è possibile solo dopo aver attentamente studiato tutti gli aspetti relativi al funzionamento del corpo umano e capire in maniera approfondita tutti i fenomeni della natura. Tutto questo va contro l’ipotesi di molti studiosi che pensano che Leonardo sia stato un grande scienziato ma che dipingeva quasi per hobby.
Infatti, la pittura per Leonardo non era un fatto puramente artistico come la poesia, o la scultura, ma era una scienza; la pittura è un mezzo per rappresentare tutto ciò che Leonardo aveva appreso di anatomia, geografia, botanica, matematica ecc., sia attraverso i suoi numerosissimi esperimenti, sia sulle continue osservazioni dei fenomeni naturali. Leonardo guardava, osservava il mondo che gli stava intorno, studiava e poi quando credeva di aver capito, testimoniava quanto aveva appreso con il disegno. I suoi disegni, come le sue opere pittoriche, erano la testimonianza del suo lavoro.
Questo concetto è fondamentale per capire non solo i capolavori di Leonardo da Vinci, ma anche il periodo storico e artistico che ha generato tutto questo, e cioè l’Umanesimo che ha poi posto le basi per il Rinascimento, e senza il quale è difficile comprendere le premesse che hanno portato Leonardo a fare tutto ciò che ha fatto.

 

2. L’Umanesimo e Leonardo

L’Umanesimo rappresenta una corrente culturale che si è sviluppata intorno al 1400 in Italia che proprio in questo periodo era uno dei paesi più progrediti al mondo. Infatti già verso la metà del XIII secolo in molte città-stato repubblicane era avvenuta l'emancipazione dei contadini dopo numerose rivolte. Ciò portò alla formazione di signorie e principati, di governi centralizzati, che favorirono l’autonomia economica e sociale dei ceti borghesi e commerciali. E proprio in virtù di questi cambiamenti l’uomo non è più schiavo dei vecchi concetti d’autorità prestabilite come nel Medioevo, ma è lui stesso che si sente protagonista. C’è un senso di ribellione verso tutti i preconcetti medievali che imponevano delle verità rivelate dal passato che costringevano l’uomo a sottomettersi. Adesso è l’uomo il protagonista che deve cercare una propria verità; e lo fa studiando i fenomeni naturali e storici per cercare di portarlo ad un processo d’autonomia.
Non a caso c’è la riscoperta del mondo classico greco-latino (si studiano le lingue classiche, si ricercano antichi testi da interpretare in maniera filologica, erudita, razionale e soprattutto critica). La preoccupazione è quella di ristabilire l'esatto testo degli autori antichi, non più accettati in maniera passiva come nel medioevo.
Si sviluppa insomma un atteggiamento critico verso tutto ciò che non è dimostrabile dalla ragione e tutto questo porta allo sviluppo delle scienze esatte e applicate. E Leonardo da Vinci traduce in scienza applicata le sue intuizioni nel campo dell'ottica, della meccanica, della fisica in generale. Architetti e ingegneri passano dalla progettazione di singoli edifici a quella di intere città. Geografi e cartografi saranno di grandissimo aiuto ai navigatori e agli esploratori dei nuovi mondi (vedi ad es. l'uso della bussola e delle carte geografiche). Grande sviluppo ebbero la medicina, la botanica, l'astronomia, la matematica, le costruzioni navali.
Leonardo, in questo contesto, incarna esattamente l’uomo dell’Umanesimo aperto a tutte le esperienze e che diventa il vero protagonista della società. Non a caso il simbolo di quest’epoca viene universalmente raffigurato nel celebre disegno dell’Uomo vitruviano, disegnato da Leonardo intorno al 1490. Questo disegno vuole dimostrare la perfezione delle proporzioni della figura umana che è inscrivibile in due figure geometriche perfette: il cerchio e il quadrato.

 

Leonardo fu un curioso indagatore di tutte le scienze, dalla meccanica all’anatomia, fino alle scienze naturali. Non pubblicò mai opere compiute, ma dei suoi molteplici studi ci rimangono numerosi manoscritti e schizzi di soggetti animali, caricature umane, disegni di meccanica, di idraulica, di anatomia, oltre a brevi racconti e a riflessioni morali. Tutto questo materiale fu raccolto dal suo discepolo Francesco Melzi che lo riorganizzò nel Trattato della pittura e negli scritti letterari come i Pensieri, le Favole, le Facezie, le Profezie, il frammento sul Primo volo, le Lettere.

“Sebbene Leonardo non avesse un’educazione umanistica e si definisse omo sanza lettere, tuttavia la sua visione della vita si armonizza con le norme dell’Umanesimo nell’esaltazione delle capacità dell’individuo come mezzo per risollevarsi dalla propria condizione animale.”

E come vedremo nei precetti contenuti nel Trattato della pittura, tutti questi studi sono finalizzati per una migliore raffigurazione pittorica dell’uomo e della natura.

 

3. L’epoca di Leonardo e l’arte del ‘500

L’epoca in cui vive Leonardo è sicuramente tra le più stimolanti, tra le più ricche di fermenti innovativi e creativi. Dopo il rifiorire della cultura umanistica e la rinascita delle arti, l’uomo, ormai centro del mondo, nel periodo compreso tra il 1450 e il 1550, allarga enormemente l’ambito delle proprie conoscenze: l’invenzione della stampa, insostituibile strumento di diffusione della cultura, la scoperta di nuovi mondi, di nuove civiltà, sono solo alcune tappe di quell’irripetibile periodo della storia dell’umanità in cui vanno intese e inquadrate la vita e l’opera di Leonardo da Vinci. La sua personalità è diventata quasi l’emblema della straordinaria sete di conoscenza. L’amore per la conoscenza e la ricerca segnarono profondamente la sua produzione artistica e scientifica. Le innovazioni che portò nella pittura influenzarono l’arte italiana per oltre un secolo e i suoi studi scientifici, soprattutto d’anatomia, ottica e idraulica, anticiparono molte conquiste della scienza moderna.
Nell’arte del Cinquecento si notano due tendenze fondamentali: quella che vede il prevalere del disegno, alla cui perfezione mirano soprattutto gli artisti dell’area toscana e romana, e quella basata sul colore tonale che raggiunge livelli espressivi eccezionali nell’area veneta.  Grande importanza viene data alle Accademie dove si studiano sui trattati le teorie e le tecniche dell’arte. Sostenitore delle Accademie è la Chiesa che con la Controriforma vuole togliere di tutto ogni personale interpretazione dei testi sacri e vede nella formazione di scuole, sulla cui attività d’insegnamento tiene un severo controllo, la garanzia del rispetto della propria autorità. Così, invece di prendere l’ispirazione direttamente dalla natura e dalle opere antiche, gli artisti studiano come modelli le opere dei tre grandi interpreti del Rinascimento: Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Per la richiesta di staccarsi da queste tre grandi personalità, interpretandone il linguaggio espressivo per cercare una propria originalità, si pone in evidenza il virtuosismo tecnico e si determina l’effetto drammatico, attraverso i gesti aspri, fino alla deformazione della figura e dell’espressione dei volti. Questa tendenza viene chiamata Manierismo, proprio perchè rielabora la maniera di dipingere, ritenuta perfetta dei grandi maestri.
In scultura i bassorilievi divengono monumentali e le statue a tuttotondo rappresentano spesso gruppi, assai articolati e complessi. Le figure, in relazione alla vastità degli ambienti vengono ingigantite e lo studio dell’anatomia porta ad una accentuazione della muscolatura e del movimento.
In pittura si afferma su tutte la tecnica della pittura ad olio su tela: i colori e le luci diventano gli elementi predominanti nell’immagine. I volumi vengono definiti da chiaroscuri ricchi di sfumature e le figure sono composte secondo uno schema piramidale; si sposta verso il basso il punto di vista prospettico. I soggetti sacri vengono interpretati come scene di vita quotidiana: la Vergine, il Bambino, i Santi, sono spesso abbigliati con costumi dell’epoca e le loro figure sono inserite in architetture del tempo o scenari naturali. Il secondo Rinascimento arriva alla sua massima espressione nel ‘500 con l’opera di quattro geni dell’arte: Leonardo da Vinci, Bramante, Raffaello e Michelangelo. Questa è l’epoca dell’artista completo. Tutti e quattro erano scienziati, pittori, scultori ed architetti.
Leonardo è lo scopritore della natura (dall’anatomia alla teoria dei colori), creando cosi la bellezza anzichè copiarla. I suoi chiaroscuri, i suoi enigmatici ritratti, i suoi disegni, i progetti, le sue invenzioni danno un’idea della creatività e genialità di un artista di cui ansia supera la brevità della vita umana. Per questo rimasero molte sue opere incompiute.

4. La vita e la formazione di Leonardo

4.1. La vita di Leonardo

Tra Empoli e Pistoia, sabato 15 Aprile 1452, nel borgo di Vinci nasce Leonardo di Ser Piero d’Antonio. Il padre, notaio, l’ebbe da Caterina, una donna di Anchiano che sposerà poi un contadino. Nonostante fosse figlio illegittimo il piccolo Leonardo viene accolto nella casa paterna dove verrà allevato ed educato con affetto. A sedici anni il nonno Antonio muore e tutta la famiglia dopo poco si trasferisce a Firenze. Fu la sua fortuna, perchè senza quel trasloco oggi forse nessuno lo conoscerebbe.
Gia da ragazzo frequentò la bottega del celebre pittore e scultore Andrea Verrocchio, apprendendone le cosiddette “arti meccaniche”, cioè le arti figurative vere e proprie e le tecniche di costruzione di edifici civili e militari e di progettazioni meccaniche ed idrauliche; mentre fu piuttosto scarsa la sua preparazione umanistica, fu invece profonda la sua cultura scientifica con particolare riguardo per la matematica e la geometria. Sin verso i trent’anni frequentò l’ambiente fiorentino e ne risentì gli influssi filosofici, letterari ed artistici, che contribuirono notevolmente alla sua formazione spirituale. Leonardo si recò quindi a Milano, alla corte di Ludovico il Moro: fu questo il periodo più intenso di attività artistica (dipinse ad esempio il Cenacolo), meditativa (lasciò numerosi appunti filosofici e scientifici) e tecnica (progettò originali macchine ed opere di architettura ed ingegneria). Alla morte del suo protettore, Leonardo non ebbe più per un certo tempo una stabile abitazione, passando da Firenze a Venezia, dalla Romagna ancora a Firenze, finchè nel 1507 fu nominato pittore ed architetto del re di Francia Luigi XII, senza però cessare la propria vita errabonda. Dopo un soggiorno a Roma (dove dipinse la Gioconda), si recò finalmente in Francia alla corte del re Francesco I, dove morì due anni dopo.

“Acconciossi per via di Ser Piero suo zio nella sua fanciullezza a l’arte con Andrea del Verrocchio, il quale faccendo una tavola dove San Giovanni battezzava Cristo, Lionardo lavorò uno angelo, che teneva alcune vesti; e benché fosse giovanetto, lo condusse di tal maniera, che molto meglio de le figure d’Andrea stava l’angelo di Lionardo. Il che fu cagione ch’Andrea mai più non volle toccare colori, sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui”.

Egli si avvia così ad esaltare il valore dell’esperienza, e giunge addirittura a negare validità scientifica a quelle discipline che non si fondino sull’esperienza, in aperta polemica con l’orientamento speculativo della cultura fiorentina: “...a me pare che quelle scienze sieno vane e piene di errori, le quali non sono nate dall’esperienza, madre di ogni certezza, o che non terminano in nota esperienza, cioè che la loro origine, o mezzo, o fine, non passa per nessuno dei cinque sensi”.
“Il grande Leonardo, mente universale di artista e di scienziato, tracciò le vie nuove della scienza moderna, nelle quali poco dopo Galileo Galilei doveva segnare orme indelebili.”
All’età di 20 anni, nel 1472, Leonardo risulta iscritto come maestro nella Compagnia dei Pittori, segno quindi che l’apprendistato dal Verrocchio è terminato, pur non abbandonando la sua bottega. Leonardo possiede una curiosità senza pari, tutte le discipline artistiche lo attraggono, è un acuto osservatore dei fenomeni naturali e grandiosa è la capacità di integrarle con le sue conoscenze scientifiche.
Nel 1480 fa parte dell’accademia del Giardino di S. Marco sotto il patrocinio di Lorenzo il Magnifico. È il primo approccio di Leonardo con la scultura. Sempre quell’anno riceve l’incarico di dipingere l’Adorazione dei Magi per la chiesa di S. Giovanni Scopeto appena fuori Firenze. Oggi quest’opera si trova agli Uffizi di Firenze.

4.2. La formazione di Leonardo

Era un artista-ingegnere, come lo erano molti altri geni del Rinascimento, ma zoppicava in ortografia e in matematica. Nei suoi scritti ci sono errori di calcolo banali e anche gli errori d’ortografia e per questo che Leonardo ci fa scrivere da una persona di cultura la lettera di presentazione indirizzata a Lodovico il Moro, per offrire i suoi servizi. Leonardo è ben consapevole di questi suoi limiti e vuole migliorare. Studia geometria e matematica con Pacioli, un’eminenza del campo, anzi illustra anche il suo trattato. Non sa il latino, gravissimo per quel tempo; a trent’anni decide di studiarlo da autodidatta; riempie pagine e pagine di parole latine da imparare.
Questo suo grande sforzo è premiato anche se non diventerà mai un uomo di lettere, verrà ad un certo punto considerato una persona colta. Il re di Francia, Francesco I, negli ultimi anni lo definirà addirittura uno degli uomini più colti e più saggi da lui conosciuti.

Lettera a Ludovico il Moro
“Siamo nel 1482. Appena trentenne Leonardo è già padrone d’una sconfinata esperienza artistica e tecnica, e cosciente dei propri mezzi si accinge a spiccare il volo verso orizzonti più ampi della piccola cerchia fiorentina. Ma nelle parole ch’egli rivolge al Signore di Milano non avvertì ne il tremore del novizio ne il lenocinio formale di chi vuole cattivarsi la benevolenza con i fiori della rettorica. Omo sanza lettere, il giovane Leonardo sa che l’altrui consenso sarà strappato dalla forza delle cose, dal freddo elenco di meraviglie operate senza iattanza, col solo soccorso di un ingegno fermo e sicuro.”

“[...] Ho modi de ponti leggerissimi e forti, e atti a portare facilissimamente, e con quelli seguire, e alcuna volta fuggire li inimici, e altri securi e inofensibili da foco e battaglia, facili e commodi da levare e porre. E modi de ardere e disfare quelli de l’inimico.
So in la obsidione de una terra toglier via l’acqua de’fossi, e fare infiniti ponti, gatte, scale e altri instrumenti pertinenti a ditta espedizione.[...]
E quando accadesse essere in mare, ho modi de molti instrumenti attissimi da offender e defender, e navìli che faranno resistenza al trarre de omni grossissima bombarda, e polvere e fumi.
Item, farò carri coperti, securi e inoffensibili, e quali intrando in tra gli nimici con sue artiglierie, non è sì grande multitudine di gente d’arme, illese e senza alcuno impedimento.
Item, occurrendo di bisogno, farò bombarde, mortari e passavolanti di bellissime e utile forme, fora del comune uso.[...]
Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale e eterno onore de la felice memoria del Signor Vostro patre e de la inclita casa sforzesca.
E se alcune delle sopra dicte cose a alcuno paresse impossibile e infactibile me offero paratissimo a farne esperimento in el parco vostro, o in qual loco piacerà a Vostr’Eccellenza, a la quale umilmente, quanto più posso me raccomando.”

A Milano, Leonardo si era trasferito nel 1482, preceduto dalla famosa lettera in cui elencava al signore della città le proprie competenze di ingegnere militare, architetto, scultore e pittore. Ponendosi al servizio di Ludovico il Moro, potente mecenate, prendeva congedo da un ambiente che gli era sempre più nemico e si inseriva in un contesto per lui meno condizionante, dove fu subito ammirato ed apprezzato.
Si occupa di sistemazioni ed opere idrauliche, di problemi urbanistici ed architettonici: progetta una città ideale a doppio scorrimento di traffico; studia col Bramante soluzioni tipologiche nuove per edifici a pianta centrale, nei quali già s’intravede la possibilità di unificare organicamente gli spazi e le superfici murarie.
È impegnato come scenografo e “regista” delle feste di corte, nelle quali si distingue per l’urbanità dei suoi modi e come musico. Ma, soprattutto, lavora al Monumento equestre di Francesco Sforza, padre di Ludovico il Moro, un colosso di insolita grandezza che non giungerà mai a termine: il modello in creta per la fusione sarà distrutto dai soldati francesi occupanti, i quali ne faranno l’oggetto giocoso delle loro balestre.

 

4.3. Leonardo scrittore

“L’opera letteraria di Leonardo è contenuta in manoscritti colmi di disegni, annotazioni, progetti, sentenze, riflessioni, aneddoti, favole, descrizioni, schizzi geometrici ed artistici, appunti d’ogni genere: in quelle pagine si sente vibrare la presenza del genio, per cui ogni minima circostanza è occasione di un lampeggiamento dell’intelletto, che, abbagliando, illumina una verità.”

L’opera di Leonardo è quasi totalmente inedita. Tutti i disegni sono contenuti nel Codice Atlantico. Di tutta la produzione di Leonardo ci restano oltre cinquemila pagine di appunti. Questa enorme massa di scritti, sicuramente la più consistente del periodo rinascimentale, ha subito, dopo la morte di Leonardo, molte vicende tristi. Infatti, l’aspetto e la suddivisione attuale dei manoscritti non sono sicuramente quelli originali, di quando il maestro era in vita o ancora quando passarono al suo fedele discepolo Francesco Melzi. Furono proprio gli eredi del Melzi, dopo la sua morte nel 1570, a dare l’inizio alla dispersione di quell’immenso materiale; addirittura, non avendone compreso l’importanza, inizialmente lasciarono gli scritti in un sottotetto per poi regalarli o cederli a poco prezzo ad amici o collezionisti.

“Grandi responsabilità del rimescolamento delle carte ha lo scultore seicentesco Pompeo Leoni, che con l’intenzione di separare i disegni artistici da quelli tecnologici e di unificare le pagine scientifiche, smembra parte dei manoscritti originali, tagliando e spostando le pagine così da formare due grandi raccolte: il Codice Atlantico e la Raccolta di Windsor, che conta circa seicento disegni. Proseguendo con lo stesso sistema, Leoni compone almeno altri quattro fascicoli. Dal 1637 al 1796 parte dei manoscritti è ospitata nella Biblioteca Ambrosiana, da cui però Napoleone li fa portare via al suo arrivo a Milano. Nel 1851 solo una parte degli scritti tornano a Milano; altri restano a Parigi, e altri ancora in Spagna, dove alcuni verranno ritrovati solo nel 1966. Ecco il perchè della grande dispersione degli scritti di Leonardo, oggi divisi in ben dieci codici diversi.”

Oltre agli appunti tecnici e ai progetti di trattati, Leonardo scrisse anche numerosi apologhi, aforismi e favole che testimoniano un gusto e stile vivace. Giunto a noi sempre grazie alla compilazione dell’allievo Francesco Melzi, che si basò sui materiali del maestro, il Trattato della pittura, è la sua unica opera organica. Si tratta di un grandioso tentativo di coordinare ogni scienza, ogni filosofia, ogni riflessione sulla scienza e sulla vita all’interno dell’ottica e delle esigenze del pittore.

“Fondamentale era la pittura, perché a differenza della poesia, riguardava strettamente la natura e quindi si avvicinava a Dio, mentre la poesia era composta da parole che erano opera dell’uomo, e poi questa doveva avere un interprete, mentre la pittura no. La realtà quindi era svelata dalla prospettiva, uso dei colori e della luce, e soprattutto dall’anatomia; fondamentale anche il disegno tecnico che aveva una funzione simile (vedere la natura in se e disegnarla in ugual modo). Con Leonardo quindi si attua una sintesi tra scienza ed arte e poesia e tecnica, che in seguito non ritroveremo.”
La prosa di Leonardo

Il Momigliano osserva che alcuni fatti della natura ispirano Leonardo più di altri: quelli che in lui risvegliano il sentimento religioso dell’inesauribile capacità, sapienza e multiformità della natura: la luce, la fiamma, l’acqua, la nuvola, il mare, i cataclismi, le grandi rivoluzioni telluriche e le loro tracce; i fossili. Queste preferenze e quell’ispirazione poetica differenziano i suoi frammenti dalla vera e propria prosa scientifica. Leonardo spesso osserva solamente con una straordinaria acutezza o descrive la più elementare dote poetica che è la chiarezza.

“La sua prosa caratteristica è quella tutta affascinata o quella di un movimento improvviso. Il fatto più rilevante è la frequente compresenza del poeta e dello scienziato: compresenza che contribuisce a spiegare perchè Leonardo abbia studiato tante scienze e nessuna con dedizione assoluta, spinto a vagare dall’una all’altra da un istinto di poeta. Senza questa duplicità non potremmo concepire la sua prosa.”

Uno dei pensieri di Leonardo dice: “I sensi sono terrestri, la ragione sta for di quelli quando contempla”. Il tema è scientifico; la definizione del procedimento che tiene la mente umana nel concepire la realtà, il tono è poetico.
Il Del Lungo ha indicato come caratteristica della prosa di Leonardo la forma del discorso tra sè e sè. La sua prosa migliore è un soliloquio lirico. “Per un istinto musicale Leonardo ritmava il suo stupore, immergeva le sue osservazioni nel silenzio, ricordando indirettamente la solitudine remota in mezzo a cui meditava.”

5. Il Trattato della pittura

Il Trattato della pittura si basa sul Codice Urbinate del 1270 della Biblioteca vaticana, il quale è, a sua volta, una trascrizione degli appunti e schizzi di Leonardo, probabilmente curata da Francesco Melzi, l’alunno a cui erano stati lasciati in eredità. Il testo è organizzato secondo tre filoni: definizione della pittura come arte e scienza; esemplificazione pratica relativa a disegno, luce e colore, composizioni, studio della figura umana e di tutti gli elementi naturali; consigli didattici.
Leonardo scrisse tutti questi appunti verso il 1498 per la scuola che Lodovico Sforza aveva fondato a Milano. Da tale scuola uscì una schiera di pittori e scultori che fiorì per molto tempo in Lombardia. Milano lo ospitò per diciotto anni e questa permanenza segnò una svolta importante nella sua ricerca, volta agli studi matematici, fisici e ingegneristici di cui la città conserva ancora numerose testimonianze. Leonardo mirava a dare all’arte fiorente di questo periodo l’ausilio e il sussidio della scienza e con il suo genio inventivo, con le sue osservazioni sui fatti naturali, anticipò alcune delle scoperte moderne. Quindi questo trattato sulla pittura è una raccolta di “precetti” pratici dedotti con grande acutezza dai teoremi della geometria, dell’ottica e della meccanica, scienze in quei tempi non ancora formate, ma che Leonardo intravedeva in embrione con gli occhi della sua mente meravigliosa. Nel Trattato della pittura vengono espressi da Leonardo tutta una serie di concetti che cercano di rivalutare la pittura dalle antiche convinzioni che la consideravano come una semplice imitazione della realtà.
E per dimostrare questo, nella prima parte del trattato, pone la pittura in relazione alle altre arti per evidenziarne le caratteristiche e dimostrare la sua convinzione che la pittura è una scienza. Infatti, la prima parte del libro è interamente dedicata alla fondazione di questa disciplina: “…la poesia pone le sue cose nella immaginazione di lettere, e la pittura le dà realmente fuori dell’occhio, dal quale occhio riceve le similitudini, non altrimenti che s’elle fossero naturali, e la poesia le dà senza essa similitudine, e non passano all’impressiva per la via della virtù visiva come la pittura“.
In questo passo evidenzia la differenza che c’è tra la poesia e la pittura, preferendo quest’ultima perchè riesce ad esprimere qualcosa che tutti possono apprezzare attraverso l’occhio. Infatti scrive:

“L’occhio, che si dice finestra dell’anima, è la principale via donde il comune senso può più copiosamente e magnificamente considerare le infinite opere di natura e l’orecchio è il secondo, il quale si fa nobile per le cose racconte, le quali ha veduto l’occhio. Se voi istoriografi, o poeti, o altri matematici, non aveste con l’occhio visto le cose, male le potreste voi riferire per le scritture“.

 E poi:

“Quella scienza è più utile della quale il frutto è più comunicabile, e così per contrario è meno utile quella ch’è meno comunicabile. La pittura ha il suo fine comunicabile a tutte legenerazioni dell’universo, perché il suo fine è subietto della virtù visiva, e non passa per l’orecchio al senso comune col medesimo modo che vi passa per il vedere. Adunque questa non ha bisogno d’interpreti di diverse lingue, come hanno le lettere, e subito ha satisfatto all’umana specie, non altrimenti che si facciano le cose prodotte dalla natura…. La pittura rappresenta al senso con più verità e certezza le opere di natura, che non fanno le parole o le lettere, ma le lettere rappresentano con più verità le parole al senso, che non fa la pittura.”.

Cioè per i poeti deve essere facile scrivere poesie: non hanno bisogno di nessuna mediazione; appena hanno l’ispirazione la poesia è pronta. La pittura, invece, è una scienza universale che non ha bisogno d’interpreti come nella letteratura e per questo motivo rappresenta la realtà proprio perché può essere vista dagli occhi di tutti.
E poi scrive riferita alla pittura:

“…questanon s’insegna a chi natura non concede, come fan le matematiche, delle quali tanto ne piglia il discepolo, quanto il maestro gliene legge. Questa non si copia, come si fa le lettere, che tanto vale la copia quanto l’origine. Questa non s’impronta, come si fa la scultura, della quale tal è la impressa qual è l’origine in quanto alla virtù dell’opera”.

E ancora sul paragone tra il poeta e il pittore:

“Se tu, poeta, figurerai la sanguinosa battaglia, si sta con la oscura e tenebrosa aria, mediante il fumo delle spaventevoli e mortali macchine, miste con la spessa polvere intorbidatrice dell’aria, e la paurosa fuga de miseri spaventati dall’orribile morte. In questo caso il pittore ti supera, perché la tua penna sarà consumata innanzi che tu descriva appieno quel che immediate il pittore ti rappresenta con la sua scienza. E la tua lingua sarà impedita dalla sete, ed il corpo dal sonno e dalla fame, prima che tu con parole dimostri quello che in un istante il pittore ti dimostra”.

Dimostra, quindi, la superiorità della pittura; infatti, il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero “all’uomo, perciocchè s’egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di generarle, e se vuol vedere cose mostruose che spaventino, o che sieno buffonesche e risibili, o veramente compassionevoli, ei n’è signore e creatore”.
E concludendo con una frase che riassume in maniera mirabile la differenza tra queste due arti: “La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede”.
Come si può vedere anche nello scrivere è maestro perché riesce ad esprimere i concetti in maniera molto semplice usando dei paragoni che sono comprensibili a tutti. Molto bella è la dimostrazione della superiorità della pittura nei confronti della musica. La pittura, a differenza della musica, è eterna perchè la musica si esaurisce dopo la sua esecuzione:

“La musica non è da essere chiamata altro che sorella della pittura, conciossiaché essa è subietto dell’udito, secondo senso all’occhio e compone armonia con la congiunzione delle sue parti proporzionali operate nel medesimo tempo, costrette a nascere e morire in uso o più tempi armonici, i quali tempi circondano la proporzionalità de membri di che tale armonia si compone, non altrimenti che faccia la linea circonferenziale per le membra di che si genera la bellezza umana. Ma la pittura eccelle e signoreggia la musica perché essa non muore immediate dopo la sua creazione, come fa la sventurata musica, anzi, resta in essere, e ti si dimostra in vita quel che in fatto è una sola superficie”.

In questo caso ciò è vero solo perchè Leonardo non era riuscito ad inventare il registratore.
Egli afferma che la pittura è l’arte più nobile perché ”fa con più verità le figure delle opere di natura che il poeta”. Il pittore, intento ad imitare fedelmente la natura, non si deve porre alcun limite, perché essa mostra la bellezza in ogni suo aspetto. Dimostra quindi di essere sopratutto uno scienziato; e ancora: “La deità, ch’a la scientia del pittore, fa che la mente del pittore si trasmutta in una similitudine di mente divina, che supera la natura nelle fintioni d’infinite forme d’animali et erbe, piante e siti”.
Non a caso Leonardo è un grande ammiratore dell’uomo in quanto tale e si potrebbe essere d’accordo con Domenico Laurenza, quando scrive: “Per la sua capacità creativa, artistica e tecnica, l’uomo ha natura divina. Egli solo tra gli animali comprende le cause dei fenomeni naturali ed è così in grado di imitare l’opera del Creatore”.
Questa doppia funzione, di scienziato che osserva attentamente la natura e di artista che la ricrea con la fantasia, è poi espressa nei suoi dipinti. Da qui si evidenzia la differenza tra Leonardo e gli altri pittori del Quattrocento, che pure avevano riprodotto, nei loro quadri, fiori, piante e paesaggi, utilizzando però le forme naturali come sfondo, mentre Leonardo le guardò con occhio da botanico.
Il vero pittore deve, secondo Leonardo, conoscere tutti gli aspetti del corpo umano. Solo così potrà raffigurarli nella loro vera realtà.

“Necessaria cosa è al pittore, per essere buon membrificatore nelle attitudini e gesti che fare si possono per i nudi, di sapere la notomia di nervi, ossa, muscoli e lacerti, per sapere ne diversi movimenti e forze qual nervo o muscolo è di tal movimento cagione; e solo far quelli evidenti e questi ingrossati, e non gli altri per tutto, come molti fanno, che per parere gran disegnatori fanno i loro nudi legnosi e senza grazia, che paiono a vederli un sacco di noci più che superficie umana, ovvero un fascio di ravani, piuttosto che muscolosi nudi”.

Per questo motivo fu un attivo anatomista. La maggior parte dei disegni anatomici è conservata a Windsor; essi sono databili variamente dal 1489 al 1513. Commozione e stupore destano ancora oggi il disegno del feto umano nell'utero; in tutto circa 600 disegni, che illustrano gli apparati e i sistemi dell’anatomia dell’uomo, che egli aveva cominciato a raccogliere prima della partenza per Milano, come testimonia il materiale che portava con sé al momento di lasciare Firenze. Fece molti studi analizzando i cadaveri proprio per capire bene le proporzioni e come alcuni muscoli si muovono in relazione ai movimenti umani. E proprio nel suo trattato si trovano tutta una serie di studi della figura umana accompagnati da splendidi disegni in relazione ai vari movimenti e atteggiamenti che l’uomo può avere. E in relazione ai vari movimenti i muscoli saranno più o meno pronunciati.

“Sempre la spalla dell’uomo che sostiene il peso è più alta che la spalla senza peso; e questo si dimostra nella figura posta in margine, per la quale passa la linea centrale di tutto il peso dell’uomo e del peso da lui portato: il qual peso composto se non fosse diviso con egual somma sopra il centro della gamba che posa, sarebbe necessità che tutto il composto rovinasse; ma la necessità provvede che tanta parte del peso naturale dell'uomo si gitti in un de lati, quanta è la quantità del peso accidentale che si aggiunge dall’opposito lato; e questo far non si può se l'uomo non si piega e non s’abbassa dal lato suo più lieve con tanto piegamento che partecipi del peso accidentaleda lui portato:
e questofar non si può se la spalla del peso non si alza e la spalla lieve non s’abbassa: questo è il mezzo che l’artificiosa necessità ha trovato in tale azione.”
E ancora: “Quando l’uomo od altro animale si muove con velocità o tardità, sempre quella parte che è sopra la gamba che sostiene il corpo sarà più bassa che la parte opposita.”
“L’ultimo svoltamento dell’uomo sarà nel dimostrarsi le calcagne in faccia, ed il viso in faccia; ma questo non si farà senza difficoltà, se non si piega la gamba ed abbassisi la spalla che guarda la nuca; e la causa di tale svoltamento sarà dimostrata nella notomia, e quali muscoli primi ed ultimi si muovano.”
Naturalmente non ha solo studiato il corpo umano, ma ha approfondito lo studio anche degli animali; sono celebri ad esempio i suoi studi sul volo degli uccelli dai quali ha cercato poi di costruire delle macchine volanti. Nel trattato sono presenti molte osservazioni che riguardano gli animali.
“La somma altezza degli animali da quattro piedi si varia più negli animali che camminano, che in quelli che stanno saldi; e tanto più o meno quanto essi animali son di maggiore o minor grandezza: e questo è causato dall’obliquità delle gambe che toccano terra, che innalzano il corpo di esso animale quando tali gambe disfanno la loro obliquità, quando si pongono perpendicolari sopra la terra”.

Come si può notare in questi pochi esempi tratti dalla sua opera, Leonardo ha catalogato quasi tutti gli atteggiamenti non solo del corpo umano ma anche degli animali, proprio come fanno gli scienziati, perché solo in questo modo può appropriarsi di una conoscenza che gli servirà per raffigurare la natura nelle sue opere.
Un altro aspetto importante che Leonardo studia in maniera approfondita è come rappresentare la pittura, cioè come far vedere agli altri le cose che disegna; e per fare questo studia alcuni aspetti che riguardano l’ottica.

“Se vuoi fare una figura od altra cosa che apparisca d’altezza di ventiquattro braccia, farai in questa forma: figura prima la parete mn con la metà dell’uomo che vuoi fare; di poi l’altra metà farai nella volta mr.
Ma prima di fare la figura nella volta, fa sul piano d’una sala la parete della forma che sta il muro con la volta dove tu hai a fare la tua figura, dipoi farai dietro ad essa parete la figura disegnata in profilo di che grandezza ti piace, e tira tutte le sue linee al punto t; e nel modo ch’esse si taglino sulla parete rn, così la figurerai sul muro, che ha similitudine con la parete, ed avrai tutte le altezze e sporti della figura; e le larghezze, ovvero grossezze che si trovano nel muro dritto mn, le farai in propria forma, perché nel fuggir del muro la figura diminuisce per se medesima. La figura che va nella volta ti bisogna diminuirla, come se essa fosse dritta, la quale diminuzione ti bisogna fare in su una sala ben piana; e lì sarà la figura che leverai dalla parete nr con le sue vere grossezze, e ridiminuirle in una parete di rilievo sarà buon modo”.

Altri precetti contenuti nella sua opera riguardano i fenomeni naturali:

“Perché sul far della sera le ombre de corpi generate in bianca parete sono azzurre.

Le ombre de corpi generate dal rossore del sole vicino all’orizzonte sempre saranno azzurre; e questo nasce per l’undecima, dove si dice: la superficie di ogni corpo opaco partecipa del colore del suo obietto. Adunque, essendo la bianchezza della parete privata al tutto d’ogni colore, si tinge del colore de suoi obietti, i quali sono in questo caso il sole ed il cielo, perché il sole rosseggia verso la sera, ed il cielo dimostra azzurro; e dove è l’ombra non vede il sole, per l’ottava delle ombre, che dice: il luminoso non vede mai le ombre da esso figurate; e dove in tal parete non vede il sole, quivi è veduto dal cielo; adunque per la detta undecima, l’ombra derivativa avrà la percussione nella bianca parete di colore azzurro, ed il campo d’essa ombra veduto dal rossore del sole parteciperà del color rosso”.

E ancora:

“Quando il sole è in occidente, i nuvoli che infra esso e te si trovano sono illuminati di sotto, che vedono il sole, e gli altri di qua sono oscuri, ma di scuro rosseggiante, ed i trasparenti hanno poche ombre.

La cosa illuminata dal sole è ancora illuminata dall’aria, in modo che si creano due ombre, delle quali quella sarà più oscura, che avrà la sua linea centrale dritta al centro del sole. Sempre la linea centrale del lume primitivo e derivativo sarà con la linea centrale delle ombre primitive o derivative.
Bello spettacolo fa il sole quando è in ponente, il quale illumina tutti gli alti edifici delle città e castella, e gli alti alberi delle campagne, e li tinge del suo colore; e tutto il resto da lì in giù rimane di poco rilievo, perché, essendo solamente illuminato dall’aria, hanno poca differenza le ombre dai lumi, e per questo non spiccano troppo; e le cose che infra queste più s’innalzano sono tocche dai raggi solari, e, come si è detto, si tingono nel loro colore; onde tuhai a torredel colore di che tu fai il sole, e ne hai a mettere in qualunque color chiaro con il quale tu illumini essi corpi.

Ancora spesse volte accade che un nuvolo parrà oscuro senza avere ombra da altro nuvolo da esso separato; e questo accade secondo il sito dell’occhio, perché dell’uno vicino vede solo la parte ombrosa, e degli altri vede l’ombrosa e la luminosa.

Infra le cose di eguale altezza, quella che sarà più distante dall’occhio parrà più bassa. Vedi che il nuvolo primo, ancorachè sia più basso che il secondo, pare più alto di questo, come ti dimostra nella parete il tagliamento della piramide del primo nuvolo basso in no, e nel secondo più alto in nm, sotto on. Questo nasce quando ti par vedere un nuvolo oscuro più alto che un nuvolo chiaro per i raggi del sole o in oriente o in occidente”.

Anche in questi ultimi paragrafi si nota come Leonardo non lasci nulla al caso. Studia tutti i fenomeni naturali che possono influenzare la pittura, cioè la rappresentazione della realtà. Abbiamo visto come Leonardo cerca di spiegarci il perché al tramonto le ombre dei corpi generati su una parete bianca diventano azzurre. E lo dimostra in maniera scientifica perché di sera il sole diventa rosso e il cielo è azzurro. L’ombra è quella cosa che non vede il sole e quindi l’ombra non può che essere di tinta azzurra.
Come si può notare, affronta ogni argomento con la mente dello scienziato e cerca di spiegare ogni fenomeno naturale, in questo caso l’ombra al tramonto, aiutandosi anche con dei bellissimi disegni esemplificativi. In sostanza studia tutto ciò con l’occhio dello scienziato cercando di capire quali siano le regole di tutto ciò che osserva. E tutte queste regole le ha inserite nel Trattato della pittura.

6. Analisi dei dipinti di Leonardo

Dopo aver analizzato i presupposti con i quali Leonardo dimostra che la pittura è una scienza, è opportuno prendere in considerazione, nel limite del possibile, alcuni dei suoi dipinti. Solo così si possono mettere in risalto tutte le sue tesi che dimostrano che la sua pittura è una vera e propria scienza.

6.1. La vergine delle Rocce

Come è noto, esistono due versioni della Vergine delle Rocce, una conservata al Louvre, l’altra alla National Gallery di Londra.

         “Generalmente la tavola conservata al Louvre viene ritenuta autografa rispetto a quella di Londra, eseguita con la collaborazione dei pittori Evangelista e Ambrogio de Predis.  Quest’opera venne commissionata a Leonardo nel 1483 dalla confraternita dell’Immacolata Concezione della Chiesa a Milano e destinata allo scomparto centrale di un grande politico. Il soggetto raffigura la leggenda dell’incontro fra il Battista e Gesù entrambi bambini, sfuggiti alla strage degli innocenti, in cui Gesù benedice san Giovannino e profetizza il Battesimo”.

Come sottolinea Rodolfo Papa, in quest’opera tutte le ricerche di Leonardo, i suoi studi, raccolti negli scritti di tipo botanico, geologico, anatomico, fisiologico, meteorologico, fisico, geometrico e prospettico, divengono pittura o, come avrebbe detto lo stesso Leonardo, filosofia proprio per quel carattere che la pittura possiede in quanto scienza del conoscere  e contemporaneamente del rappresentare.
Infatti, abbiamo già evidenziato nel precedente paragrafo come Leonardo aspiri a catalogare il sapere in una serie di discipline (ottica, botanica, anatomia, ecc.) dove la
pittura rappresenta il vertice di tutta la conoscenza. La scienza della pittura è, infatti, l’unica ad assolvere a questo compito universale proprio perché può conoscere e rappresentare tutta la natura.
Nell’opera è rappresentata la Vergine inginocchiata al centro dello spazio, mentre con la mano destra presenta il piccolo San Giovannino anch’egli inginocchiato, dipinto con le mani giunte in atteggiamento di preghiera verso Gesù Bambino, che è seduto con la mano destra che benedice e lo sguardo rivolto al cugino. Un angelo, anch’esso inginocchiato, sul lato sinistro, con la mano sinistra indica verso il piccolo San Giovanni. Tutti questi personaggi vengono inseriti in un ambiente di rocce che sembra essere raffigurante il luogo della Natività, cioè il luogo dal quale ha avuto origine la cristianità. E in questo luogo pone in primo piano la figura della Vergine, vera protagonista del dipinto, che sembra essere messa in stretta relazione al pilastro in pietra naturale che viene raffigurata alle sue spalle che sorregge tutta la struttura tettonica della grotta. Anche la presenza del corso d’acqua che, minuziosamente rappresentato alle spalle della Vergine, scavando la roccia giunge fino alle spalle del San Giovannino, evidente allusione al fiume Giordano dove Gesù sarà battezzato quando diventerà adulto. Il dipinto esprime innanzi tutto una nuova visione della natura, non più semplicemente “riprodotta” ma ricreata dall’artista. Infatti nel buio della grotta, violando ogni regola botanica, Leonardo raffigura molte piante che, in particolare, fioriscono nei pressi di Gesù Bambino, alludendo ad una fioritura religiosa e non semplicemente biologica. Le stesse piante hanno dei riferimenti simbolici: l’iris allude alla pace, l’edera alla fedeltà, l’anemone rosso invece alla tristezza e alla morte.
Come fa notare Rodolfo Papa in quest’opera l’indagine fisica della natura che viene riprodotta in maniera minuziosa e corretta in ogni sua minima parte (la grotta, le piante, la luce, l’acqua che scorre, ecc.)
“...serve a costruire una intelaiatura capace di sostenere la rappresentazione pittorica del mistero. Le rocce in cui Leonardo colloca la Vergine descrivono uno spazio mistico, il cui significato affonda in luoghi storici come la caverna di Betlemme e il monte Sion, luoghi dell’origine e dell’ascesi. Leonardo, dunque, costruisce uno spazio archetipico (archeologico, geologico, spirituale) di cui Maria è parte integrante; egli riesce a rendere pittoricamente il mistero della porta del cielo e la stessa origine del mondo”.

Leonardo, dunque, riesce a rispondere alle esigenze spirituali dell’ordine francescano e dell’Arciconfraternita, committente del dipinto, dedicata al mistero dell’origine, mettendo in atto il proprio essere filosofo, scienziato e soprattutto pittore.

6.2 L’Ultima Cena

Insieme alla Gioconda, l’Ultima cena (il Cenacolo) nel Refettorio del Convento domenicano di Santa Maria delle Grazie a Milano, è l’opera più famosa di Leonardo.
Da tempo Ludovico il Moro aveva avviato nel complesso monastico dei lavori di costruzione e abbellimento, soprattutto nella chiesa che aveva destinato a mausoleo per la propria famiglia, e nel 1494 egli commissionò a Leonardo l’esecuzione di un’Ultima Cena, che venne portata a termine presumibilmente nel 1497. Fin dall’inizio l’opera fu oggetto della più grande ammirazione, anche se la sua esistenza materiale apparve quasi subito compromessa: comincia già a deteriorarsi, e  nel 1612 il cardinale Federico Borromeo ne ordina una copia. Oggi essa è ridotta a un’ombra, e tuttavia mantiene ancora intatta quella straordinaria efficacia e quella forza di suggestione che costituiscono la sua novità nel corso della pittura del Rinascimento.
Per comprendere più a fondo tale novità è utile rifarsi a dipinti precedenti di uguale soggetto, eseguiti nei grandi edifici monastici fiorentini e certamente noti a Leonardo.

“Dell’Ultima Cena affrescata da Domenico Ghirlandaio nel convento di Ognissanti ciò che immediatamente colpisce sono le due lunette aperte sul cielo rallegrato da una lussureggiante vegetazione e dal volo di uccelli variopinti; quindi si nota la figura di Giuda, solo su un lato del tavolo, quella di Giovanni al centro appoggiato al petto di Gesù, e infine quest’ultimo in tutto simile agli altri tranne che nel capo più vistosamente circonfuso di luce.
Ghirlandaio si era dunque compiaciuto di arricchire la scena di particolari esornativi, i quali tuttavia, non avendo una precisa funzione in rapporto al soggetto, sortiscono l’effetto di distrarre l’osservattore dal centro drammatico dell’evento.
Leonardo invece eliminò dalla rappresentazione ogni elemento superfluo, e non si lasciò sfuggire nulla di ciò che può rafforzare l’espressività del soggetto. In un disegno preparatorio egli è ancora legato alla consuetudine di illustrare il passo evangelico: “Ma egli rispose: Colui che intinge la sua mano nel piatto insieme a me mi tradirà” (Matteo XXVI, 23). Giuda, infatti, viene raffigurato isolato su un lato del tavolo.”

 Ma nella versione finale Leonardo rivoluziona la concezione tradizionale del tema e sceglie di rappresentarne l’apice drammatico, ovvero lo stupito sgomento degli Apostoli seguito all’annuncio di Gesù: “In verità vi dico, uno di voi mi tradirà” (Matteo XXVI, 21)”.

“Fece ancora in Milano ne frati di San Domenico a Santa Maria de le Grazie un Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa, et alle teste de gli Apostoli diede tanta maestà e bellezza, che quella del Cristo lasciò imperfetta, non pensando poterle dare quella divinità celeste, che a l’imagine di Cristo si richiede. La quale opera, rimanendo così per finita, è stata da i Milanesi tenuta del continuo in grandissima venerazione, e da gli altri forestieri ancora, atteso che Lionardo si imaginò e riuscigli di esprimere quel sospetto che era entrato ne gli Apostoli, di voler sapere chi tradiva il loro Maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l’amore, la paura e lo sdegno, o ver il dolore, di non potere intendere lo animo di Cristo. La qual cosa non arreca minor maraviglia, che il conoscersi allo incontro l’ostinazione, l’odio e ‘l tradimento in Giuda, senza che ogni minima parte dell’opera mostra una incredibile diligenzia. Avvenga che insino nella tovaglia è contraffatto l’opera del tessuto, d’una maniera che la rensa stessa non mostra il vero meglio.”

Una delle caratteristiche più importanti del dipinto è proprio la figura di Giuda.  Viene infatti rappresentata come partecipante al banchetto pasquale allo stesso modo degli altri apostoli.
Come fa notare Rodolfo Papa:

“Nel Cenacolo, Giuda è rappresentato con la borsa dei denari, attributo che lo contraddistingue, ma non è isolato, né ha un diavoletto che gli entra nell’orecchio, e neppure è individuato dall’assenza di aureola, in quanto nessun apostolo la possiede. Anzi il più vicino degli apostoli, quello che Gesù amava, Giovanni, è quasi nello stesso punto in cui si trova Giuda. Giovanni è attardato, spostato all’indietro a ricevere o a fare delle confidenze a Pietro, non è rappresentato in atteggiamento canonico sdraiato sul petto di Gesù“.

Questo fatto è molto importante perché ci permette di far notare alcune caratteristiche che contraddistinguono l’atteggiamento di Leonardo nel rappresentare l’Ultima Cena. Innanzittutto, un atteggiamento di tipo ideologico nei confronti dell’uomo. Giuda, viene rappresentato con un atteggiamento dibattuto evidenziando la sua volontarietà nel tradire. Questo è un modo di raffigurare la libertà e il libero arbitrio dell’uomo tipico del periodo umanista e rinascimentale in cui Leonardo vive. Infatti, non viene rappresentato isolato e dall’altra parte del tavolo come se fosse vittima di una condanna suo malgrado, ma partecipa al banchetto insieme agli altri e segna la sua condanna a causa delle sue scelte.
Un altro aspetto importante, è la rappresentazione degli apostoli. Leonardo ha studiato con meticolosità le fisionomie, facendo corrispondere ad ognuna di esse uno stato emotivo diverso: incredulità, stupore, mestizia. Nel Trattato della pittura molti capitoli sono dedicati proprio alla rappresentazione della figura umana in relazione agli stati emotivi: 
“I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali, sono molti; de quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare in diverse voci acute e gravi: ammirazione, ira, letizia, malinconia, paura, doglia di martirio e simili, delle quali si farà menzione. E prima del riso e del pianto, che sono molto simili nella bocca e nelle guancie e serramento d’occhi, ma solo si variano nelle ciglia e loro intervallo; e questo tutto diremo al suo luogo, cioè delle varietà che piglia il volto, le mani e tutta la persona per ciascuno d’essi accidenti de quali a te, pittore, è necessaria la cognizione, se no la tua arte dimostrerà veramente i corpi due volte morti”.

E ancora:

“Gli accidenti mentali muovono il volto dell'uomo in diversi modi, de quali alcuno ride, alcuno piange, altri si rallegra, altri s’attrista, alcuno mostra ira, altri pietà, alcuno si maraviglia, altri si spaventano, altri si dimostrano balordi, altri cogitativi e speculanti. E questi tali accidenti debbono accompagnare le mani col volto, e così la persona.”

Come si può notare, non lascia nulla a caso. Prima di raffigurare i vari stati d’animo delle persone indaga in maniera approfondita come le persone reagiscono a questi stati dell’animo e quali atteggiamenti essi generano nel volto e nelle mani. 
Queste poche righe ci indicano l’atteggiamento di tipo scientifico con cui Leonardo rappresenti i vari stati d’animo dell’uomo. E nell’Ultima Cena c’è una grossa varietà di atteggiamenti ed emozioni che gli apostoli provano dopo le affermazioni di Gesù Cristo.

“I discepoli sono disposti a tre a tre lungo il lato maggiore del tavolo, in modo da formare quattro raggruppamenti: due a destra e due a sinistra della figura del Cristo, che sta al centro esatto della scena. Dopo le affermazioni di Gesù, ogni discepolo reagisce in maniera diversa in base al proprio carattere. Pietro sembra chinarsi in avanti in maniera impetuosa conformemente al suo carattere descritto nei Vangeli; Filippo porta le mani al petto e sembra affermare la propria innocenza; Giovanni, a fianco di Pietro, ha un atteggiamento di rassegnazione; Taddeo, il secondo da destra, raffigurato con il volto girato dall’altra parte, ha un atteggiamento angosciato; Simone sembra essere stupito come appare dal gesto delle sue mani.”

Per dare un ulteriore risalto alle figure che vengono viste dal basso, le ingrandisce rispetto alla realtà. Anche in questo c’è un attento studio di ottica per permettere all’osservatore presente nel refettorio di avere l’illusione di guardare una scena reale. “Farò una finzione, che significherà cose grandi”.

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http://www.museoscienza.org/leonardo/manoscritti.html

 

Cfr. R. PAPA, La “scienza della pittura” di Leonardo, edizioni Medusa, Milano 2005, p. 6.

Cit. R. PAPA, op. cit., p. 8.

Cit. L. DA VINCI, Trattato della pittura, a cura di Mimma Doti Castelli, edizione Demetra s r.l., Colognola ai Colli, Verona 1997, paragrafo 176, p. 74.

Cfr. C. BERTELLI, G. BRIGANTI, A. GIULIANO, Storia dell’arte italiana, Electa/ Bruno Mondadori, Milano 1986, pp. 18-19.

Cfr, L. DA VINCI, L’uomo vitruviano, in B. NARDINI, Leonardo da Vinci, tradotto da A. ŠKORUPOVÁ, dall’originale italiano di B. NARDINI, La vita di Leonardo da Vinci,  Tatran, Bratislava 1980, p. 211.

Cit. R. PAPA, La “scienza della pittura” di Leonardo, edizioni Medusa, Milano 2005,p. 15.

Chiaroscuro: procedimento pittorico che, usando il bianco, il nero e le gradazioni intermedie, serve a riprodurre il passaggio graduale dalla luce all’ombra. In N. ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, edizione Club su licenza di N. Zanichelli SpA, Bologna 1993, p. 215.

Cfr. C. BERTELLI, G. BRIGANTI, A. GIULIANO,  Storia dell’arte italiana, Electa/ Bruno Mondadori, Milano 1986, pp. 18-19.

Cfr. F. JÍLEK, Muž z Vinci, Československý spisovatel Praha, edice Spirála, Praha 1982, p. 10-11.

Cfr., A. GIUDICE, G. BRUNI, Problemi e scrittori della letteratura italiana dalle origini all’Umanesimo, edizione Paravia, Torino 1973, p. 798.

Cit. G. VASARI, Le vite de più eccellenti architetti, pittori et escultori italiani, da Cimabue infino a’tempi nostri, Einaudi, Torino 2005, p. 565.

Cit. C. BERTELLI, G. BRIGANTI, A. GIULIANO, Storia dell’arte italiana, Electa/ Bruno Mondadori, Milano 1986, p. 19.

Cit. R. MORGHEN, Civiltà europea, p. 404, in A. GIUDICE, G. BRUNI, Problemi e scrittori della letteratura italiana, Paravia, Torino 1973, p. 807.

L’Adorazione dei Magi: movimento delle figure e moti dell’animo; 1481-1482. Il significato sconvolgente della venuta del Cristo. Le architetture in rovina e lo scontro di cavalieri sul fondo ricordano la parte del mondo che, ancora all’oscuro della promessa di salvezza, soccombe all’inesorabilità del tempo terreno e all’insensatezza delle passioni umane. La concitazione di moti che sembra trasmettersi da una forma all’altra improvvisamente si placa al centro, dove il piccolo Gesù in braccio alla Madre riceve con mossa non già infantile, ma solenne, l’omaggio dei Magi. In Cit. C. BERTELLI, op. cit., p. 22.

Cfr. P. ANGELA, Leonardo da Vinci, ritratto di un genio, un programma di P. Angela, collaborazione di A. Angela, consulenza Prof. C. Pedretti, consulenza scientifica P. Galuzzi, regia G. Cipollitti, RAI TRE, Super Quark, Milano 1998.

Cfr. P. ANGELA, op. cit., RAI TRE, Super Quark, Milano 1998.

Cit. I. DE BERNARDI, Antologia della letteratura italiana dalle origini al Quattrocento, Società editrice internazionale, Torino 1983, p. 723.

Cioè, ad essere agevolmente portati. In cit. I. DE BERNARDI, op.cit., pp. 723-725.

Nell’assedio di una fortificazione (terra: terrapieno, vallo). In cit. I. DE BERNARDI, pp. 723-725.

Gatte: ordigni d’assedio che consentivano l’offesa tenendo al coperto i soldati.  In cit. ivi, pp. 723-725.

Certo a Ludovico il Moro, del tutto estraneo ad ogni espansione marinara, era inutile ogni consiglio intorno alla marina da guerra. Ma Leonardo vuole completare il catalogo dei suoi ritrovati, e questi sono tra i più prestigiosi. In cit. ivi, pp. 723-725.

Pare che si tratti di navi corazzate. In cit. ivi, pp. 723-725.

Passavolanti: una varietà di spingarde, dalla lunga gettata. In cit. ivi, pp. 723-725.

Di questo monumento equestre a Francesco Sforza, Leonardo modellerà soltanto un’enorme struttura di creta, di affascinante imponenza, che in seguito andrà completamente distrutta. In cit. ivi, pp. 723-725.

Cit. ivi, pp. 723-725.

Cfr. A. BENEMIA, L. BILLO, R. NUCCETELLI, Arte immagine dal Rinascimento al Barocco, volume secondo, edizioni Calderini, Bologna 1992, p. 314.

Cfr. A. BENEMIA, op. cit.,  p. 314.

Cit. A. GIUDICE, G. BRUNI, Problemi e scrittori della letteratura italiana dalle origini all’Umanesimo, edizione Paravia, Torino 1973, p. 798.

Cit. http:/www.museoscienza.org/leonardo/manoscritti.html; nota: Codice Arundel, Codice Atlantico, Codice Trivulziano, Codice sul volo degli uccelli, Codice Ashburnham, Codici dell’Istituto di Francia, Codici Forster, Codice Leicester (ex Codice Hammer – acquistato nel 1994 da Bill Gates), Fogli di Windsor, Codici di Madrid.

Cit. A. GIUDICE, G. BRUNI, Problemi e scrittori della letteratura italiana dalle origini all’Umanesimo, edizione Paravia, Torino 1973, p. 667.

Cfr. A. MOMIGLIANO, Cinque saggi, Sansoni, Firenze 1945, pp. 113-120. In A. GIUDICE, G. BRUNI, Problemi e scrittori della letteratura italiana dalle origini all’Umanesimo, Paravia, Torino 1973, p. 801.

Cit. ivi, p. 801.

Cit. ivi, p. 802.

Cit. ivi, pp. 801-802.

Cfr. R. PAPA, op. cit., p. 22.

Cit. L. DA VINCI, Trattato della pittura, a cura di Mimma Doti Castelli, edizione Demetra, Verona 1997, parte prima, paragrafo 2, p. 21.

Cit. L. DA VINCI, op. cit., parte prima, paragrafo 15, p. 28.

Cit. ivi, parte prima, paragrafo 3, p. 23.

Cit. L. DA VINCI, op. cit, parte prima, paragrafo 4, p. 24.

Cit. Ivi, parte prima, paragrafo 11, p. 27.

Cit. ivi, parte prima, paragrafo 9, p. 25.

Cit. ivi, parte prima, paragrafo 16, p. 29.

Cit. L. DA VINCI, op. cit., parte prima, paragrafo 25, p. 33.

Cit. ivi, parte prima, paragrafo 3, p. 23.

Cit. ivi, parte seconda, paragrafo 65, p. 49.

Cit. D. LAURENZA, De figura umana. Fisionomica, anatomia e arte in Leonardo, L. S. Olschki editore, Firenze 2001, p. 184.

Cit. L. DA VINCI, op.cit., paragrafo 337, p. 109.

Cfr. R. PAPA, op. cit., p. 34.

Cit. L. DA VINCI, Trattato della pittura, a cura di Mimma Doti Casteli, Demetra, Verona 1997, paragrafo 306, p. 103.

Cit. ivi, paragrafo 301, p. 102.

Nell’edizione romana, 1817: "indietro”. In cit. ivi, p. 102.

L’edizione viennese, ricostruendo, sulle tracce del Poussin, la figura in modo da renderla più corrispondente alla dizione del codice, propone la variante: “alzisi”. In cit. ivi, p. 103.

Cit. L. DA VINCI, op. cit., paragrafo 342, p. 110.

Cit. L. DA VINCI, op. cit., parte terza, paragrafo 393, p. 121.

Braccio fiorentino: unità di misura usato a Firenze nel Rinascimento e corrispondente a 58,4 cm. Cfr. in L. DA VINCI, op. cit., paragrafo 432, p. 139.

Cit. L. DA VINCI, op. cit., paragrafo 432, p. 129.

Cit. L. DA VINCI, op. cit., paragrafo 462, p. 139.

Cit. L. DA VINCI, Trattato della pittura, a cura di Mimma Doti Castelli, Demetra, Verona 1997,  paragrafo 470, p. 142.

Cit. C. BERTELLI, G. BRIGANTI, A. GIULIANO, Storia dell’arte italiana, Electa/ Bruno Mondadori, Milano 1986, p. 25.

Cfr. R. PAPA, La “scienza della pittura” di Leonardo, edizione Medusa, Milano 2005, p. 197.

Cfr. R. PAPA, La “scienza della pittura” di Leonardo, Medusa, Milano 2005, pp. 198-200.

Cit. R. PAPA, op. cit., p. 199.

Cit., C. BERTELLI, G. BRIGANTI, A. GIULIANO, Storia dell’arte italiana, Electa/ Bruno Mondadori,  Milano 1986, p. 29.

Cit. ivi, p. 29.

Cit. ivi, p. 29.

Cit. G. VASARI, Le vite de più eccellenti architetti, pittori et escultori italiani, da Cimabue insino a’tempi nostri, Einaudi, Torino 2005, p. 569.

Cit. R. PAPA, La “scienza della pittura” di Leonardo, Medusa, Milano 2005, p. 219.

Cit. L. DA VINCI, Trattato della pittura, a cura di Mimma Doti Castelli, Demetra, Verona 1997, paragrafo 281, p. 96.

Cfr. L. DA VINCI, op. cit., paragrafo 282, p. 96.

Cit. C. BERTELLI, G. BRIGANTI, A. GIULIANO, Storia dell’arte italiana, Electa/ B. Mondadori, Milano 1986, p. 29.

Cit. C. BERTELLI, G. BRIGANTI, A. GIULIANO, Storia dell’arte italiana, Electa/ B. Mondadori, Milano 1986, p. 29.

Fonte: http://is.muni.cz/th/74979/ff_b/DAGMAR_NOVOTNA_Bakalarska_dipl._prace_UCO_74979.doc

Sito web da visitare: http://is.muni.cz

Autore del testo: D.NOVOTNA

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