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OLIMPIA.
Sito del Peloponneso occidentale, in Elide, sacro al culto di Zeus. Grazie ai giochi olimpici il santuario assurse ad un’importanza panellenica. La collina del Kronion, alle cui pendici giaceva la città sacra, era ricoperta da un bosco di querce, pini, e ulivi selvatici, chiamato in greco àlsos (bosco sacro), da cui derivò la forma dialettale che diede il nome all’Altis, il recinto sacro dove si svolgevano riti e gare, costituito in origine da un quadrilatero irregolare di 200 x 157 m. circondato da un muro.
Olimpia non ebbe mai le caratteristiche di una città-stato, rimase solo un luogo di culto: un insieme di templi, di edifici e di impianti dedicati alla pratica agonistica, senza che vi fosse una popolazione residente.
Il tempio di Hera.
La più antica costruzione templare di Olimpia è l’Heraion, la cui prima fase di costruzione risale alla metà del VII sec. a.C. Il primo edificio consisteva di una cella di proporzioni assai allungate, con due colonne sulla facciata, orientata verso est, senza peristilio. Le misure sono state calcolate a 39,6 m. di lunghezza per 9,9 m. di larghezza.
La seconda fase di costruzione ebbe inizio al principio del VI secolo. La cella corrispondeva più o meno nelle dimensioni a quella del primo edificio. L’innovazione più importante fu l’aggiunta di un porticato, con 6 colonne doriche (in origine lignee) sui lati brevi e 16 sui lati lunghi, innalzate su un basamento di soli due gradini. Sullo stilobate le misure del tempio ammontano a 50 m. di lunghezza e 18,7 di larghezza.
Notevole è la divisione interna della cella mediante brevi lingue di muro che formano varie cappelle laterali, ognuna con una colonna centrale. Forse fin da principio vi si prevedeva la collocazione di preziosi doni votivi.
Nel corso dei secoli le colonne in legno furono via via sostituite da colonne di pietra.
Il tetto del tempio aveva due frontoni ed era coperto da tegole, decorate sui bordi esterni da rosette.
In questo edificio veniva conservato il documento dell’istituzione dei giochi olimpici, il disco bronzeo sul quale erano incise le norme cui dovevano attenersi gli ellanodici.
Il tempio di Zeus.
Tra il 471 e il 456 a.C. viene costruito il tempio di Zeus dall’architetto Libone di Elide nella forma di un periptero di ordine dorico, esastilo, con 13 colonne sui lati lunghi, con un basamento di tre scalini di 64,12 x 27,68 m.: la cella presentava pronao e opistodomo di uguale profondità e il naos era diviso in tre navate da due file di sette colonne doriche su doppio ordine. La sua altezza complessiva ammontava a circa 20 m. Il materiale usato era un calcare conchiglifero locale, la cui superficie porosa venne ricoperta da un sottile strato di stucco e poi colorato in bianco, blu, rosso e nero.
Il temio di Zeus: frontone occidentale
(Dal sito http://www.lettere.unipd.it/discant/favaretto/albumpropedeutica/album-Pagine/Immagine52.html)
Il tetto era coperto da grandi tegole di marmo. L’acqua piovana che scorreva giù dall’immensa superficie del tetto era incanalata nelle gronde marmoree a protomi leonine (51 per ogni lato) della cimasa, che adornavano le due fiancate del tempio.
Gli acroteri centrali erano statue dorate di Nikai, quelli degli angoli erano tripodi di bronzo dorato.
Una ricca decorazione in marmo pario era visibile sui frontoni (leggenda di Enomao e Pelope a est; lotta tra Centauri e Lapiti a ovest), sulle metope del pronao e dell’opistodomo (fatiche di Eracle).
Il tempio di Zeus era realizzato attraverso precisi calcoli proporzionali, tesi a rendere equilibrata e ordinata l’architettura. Pare che il modulo usato sia stato l’interasse delle colonne che, per esempio, regolò la misura delle metope e dei triglifi (mezzo interasse) e la misura della cella (3 x 9 interassi).
Il tempio presentava anche accorgimenti per correggere effetti ottici, essendo le colonne leggermente inclinate verso l’interno e lo stilobate incurvato.
La cella restò forse vuota per diversi anni, fino a quando venne realizzato da Fidia il grande simulacro crisoelefantino di Zeus, considerato una delle sette meraviglie del mondo. Per realizzarla fu eretta nel santuario un’officina, i cui resti indicano che si ebbe cura di ricreare le stesse condizioni della cella, nelle dimensioni, nell’orientamento e nell’illuminazione. La statua venne collocata in fondo alla navata centrale del tempio.
Pausania ne fornisce una particolareggiata descrizione: il dio era raffigurato seduto su un trono di marmo ed ebano, tempestato di pietre preziose, intarsiato con figurazioni mitologiche in oro e ricco di pitture e sculture, con lo schienale, di poco più alto della testa del nume, culminante in statuette sbalzate nell’avorio; Zeus aveva il capo cinto da una corona di foglie d’ulivo, simbolo del trionfo olimpico, nella mano destra aveva la statuetta della vittoria (Nike) e, nella sinistra, uno scettro prezioso sormontato da un’aquila; d’oro erano anche i calzari e il mantello. Lungo tutte le superfici marmoree del monumento correvano una serie di bassorilievi che raffiguravano i miti più suggestivi e popolari del mondo greco: dai figli di Niobe trafitti da Apollo e Artemide alla battaglia di Teseo contro le Amazzoni. Lo sgabello sul quale Zeus poggiava i piedi era affiancato da leoni d’oro. La sorte della statua di Zeus è avvolta nel mistero. Alcune fonti letterarie riferiscono che essa fu preda dei goti, quando invasero il Peloponneso nel 395 d.C. Altri raccontano che l’imperatore Teodosio II decise di trasferirla a Bisanzio e che durante il viaggio sarebbe andata persa; secondo un altro resoconto, sarebbe stata distrutta dalle fiamme durante l’incendio di Costantinopoli del 476 d.C.
Il tempio della Meter.
L’edificio, consacrato a Meter, la sposa di Kronos, ed eretto nel luogo dove sorgeva l’antico altare della dea, era situato ai piedi del Kronion, davanti alla terrazza dei thesauròi. Risale all’inizio del IV sec. a.C., di stile dorico, con 6 colonne sui lati brevi e 11 su quelli lunghi. La sua lunghezza era di 20,67 m., la larghezza di 10,62 m.
In età romana imperiale fu trasformato in tempio di Augusto e ospitava nella cella anche le statue degli imperatori romani deificati, Tito e Claudio.
Il Pelopion.
Dopo l’Heraion, il tempio più antico fu il Pelopion, santuario dedicato dagli achei di Pisa a Pelope, che rappresentò il nucleo iniziale del successivo tempio di Zeus.
Sorgeva al centro dell’Altis ed era cinto da una muraglia in pietra che racchiudeva un tumulo di terra alto circa 2 m. e largo dai 25 ai 40 m. L’ingresso verso occidente era delimitato da due propilei dorici. Al centro era collocato l’altare dell’eroe, con la sua statua, circondato da una fossa in cui venivano immolati gli arieti.
Il Prytaneion.
Intorno al VI sec. a.C. fu innalzato ai piedi del Kronion, accanto all’uscita presso il ginnasio, il Prytaneion, un edificio con la pianta originaria quadrata che misurava 32,8 m. di lato. Apparteneva all’amministrazione pubblica del santuario. Nella parte settentrionale si trovava una grande sala (hestiatòrion), dove venivano offerti dagli elei i banchetti in onore dei vincitori e degli ospiti illustri. Sull’altare del Prytaneion, dedicato a Hestia, dea del focolare, ardeva giorno e notte il sacro fuoco di Olimpia alimentato dai sacerdoti in un catino bronzeo.
Si fa comunemente risalire a questa tradizione l’adozione del tripode che simboleggia, con la sua fiamma , i Giochi Olimpici dell’era moderna.
Il Philippeion.
Edificio circolare dal diametro di 15,24 m. che Filippo di Macedonia dedicò nel 338 a.C. dopo la vittoria contro i Greci presso Cheronea e che, dopo la sua morte fu portato a termine dal figlio Alessandro Magno.
Su tre gradini si innalzano 18 colonne ioniche. La parete interna della cella è ritmata da nove semicolonne corinzie. Nella cella, su un piedistallo di marmo a forma d’arco, si ergevano le statue del re macedone e dei componenti la sua famiglia: nel mezzo era verosimilmente il ritratto di Alessandro Magno; accanto a lui, da un lato il padre Filippo con la moglie Olimpiade, dall’altro lato il nonno di Alessandro, Aminta, anch’egli con la moglie Euridice.
Il Philippeion non deve essere considerato un monumento di vittoria, che continuamente ricordasse agli occhi dei Greci la loro sconfitta, ma deve piuttosto essere annoverato tra i cosiddetti thesauròi. Dato che a quest’epoca la vera e propria terrazza dei thesauròi era già completamente occupata da edifici, si poteva soltanto scegliere un posto sulla spianata dell’Altis e, per il dono votivo di un Filippo di Macedonia, doveva essere messa a disposizione un’area vicina agli antichi monumenti di culto.
La terrazza dei thesauròi.
La terrazza dei cosiddetti tesori costituisce il limite settentrionale dell’Altis, a ridosso del Kronion. Allineati, anche se non regolarmente, in una sola fila, si trovavano qui dodici thesauròi: edifici che hanno la forma di un tempio in antis. I thesauròi erano destinati a custodire le offerte votive delle città che li avevano edificati. I sacerdoti di Olimpia vi custodivano inoltre i doni di maggior valore che non potevano rimanere all’aperto.
Il primo dei thesauròi fu eretto dagli abitanti di Gela verso la fine del VII sec. a.C. e rimase il più grande. Sulla scorta dei dati forniti da Pausania, sono state identificate le città a cui si riferiscono dieci dei dodici thesauròi. Otto sono colonie: Siracusa, Gela, Epidamnos, Bisanzio, Sibari, Cirene, Metaponto, Selinunte. Solo due città, Megera e Sicione, facevano parte della madrepatria.
I frontoni dei thesauròi a forma di tempio erano, nella maggior parte, decorati da rilievi, ma poco di tutto questo ci è rimasto.
Il ninfeo di Erode Attico.
Durante le Olimpiadi, che avevano luogo nel momento della maggior calura estiva, la penuria d’acqua dell’Altis era sempre stata un disturbo per i visitatori che affluivano in massa. Soltanto il ninfeo che il filosofo attico Erode (100-175 d.C.) fece costruire, in nome della moglie Regilla, portò un rimedio parziale a questo inconveniente. L’acqua proveniva dalla montagna, incanalata in acquedotti sotterranei, giungeva fino ad una fontana monumentale dove la si attingeva e distribuiva.
L’edificio con la sua facciata larga 32 m. circa, alta più o meno 16 m., con colonne e statue, fontane e getti zampillanti, fu l’ultima splendida costruzione che si eresse ad Olimpia. Un serbatoio di forma semicircolare sovrastava la vasca inferiore, rettangolare, le cui due fontane scaturivano nei tempietti rotondi alle estremità. Dietro si innalzava uno scenario vivacemente articolato, anch’esso semicircolare, con i ritratti del donatore, della sua famiglia e degli imperatori Antonino Pio e Marco Aurelio.
La costruzione del ninfeo deve essere attribuita al periodo intorno al 160 d.C.
Il portico (stoà) di Eco.
La delimitazione dell’Altis verso est è costituita dal cosiddetto portico di Eco, che, secondo Pausania veniva anche chiamato “portico dipinto” (Stoà Poikìle). E’ un edificio a doppia navata, lungo 95,5 m. e profondo 12,5 m., si apriva verso ovest, in direzione dell’Altis, con un ordine di 44 colonne doriche.
Plinio (Nat. Hist., XXXVI, 100) narra dell’eco ripetuta sette volte che il portico rimandava.
L’epoca della costruzione è nel periodo immediatamente successivo alla metà del IV sec. a.C. La destinazione di questi lunghi portici è di “recintare” architettonicamente un’area e di permettere di camminare protetti dalla pioggia e dal sole.
Il Bouleuterion.
E’ la sede del Gran Consiglio degli elei. In questo edificio i giudici e gli atleti prestavano il giuramento prima dell’inizio delle gare; vi si custodivano inoltre i regolamenti delle gare e l’elenco dei vincitori dei Giochi, originariamente conservati nell’Heraion.
Il Bouleuterion ha pianta singolare: due aule absidale che fiancheggiano un ambiente quadrato. La facciata orientale di questa parte del fabbricato è resa unitaria da un portico colonnato. A ovest sorgono due altre piccole casette rettangolari, ognuna con una porta sul lato est che, anche se non sono collegate esternamente con il Bouleuterion, dovevano appartenere al suo complesso.
Le dimensioni del Bouleuterion sono le seguenti: lunghezza della facciata del porticato orientale 43,58 m.; lunghezza dell’asse dei due edifici absidali 30,79 m.; lato dell’ambiente centrale 14,24 m.
L’edificio absidato a sud è la parte più antica del complesso, risalente all’inizio del VI secolo . Il raddoppiamento della costruzione verso nord avvenne alla fine del VI secolo o all’inizio del V. L’ambiente centrale quadrato non può essere stato aggiunto più tardi dell’ala nord. Il colonnato ionico, che risolveva l’allineamento frontale della facciata orientale, non è databile per la mancanza di particolari architettonici. E’ probabile che esso sia stato concepito contemporaneamente agli altri portici colonnati del IV sec. che si trovano nelle immediate vicinanze: il portico di Eco, il portico meridionale e l’edificio sud-orientale.
Il portico meridionale.
Si trova a sud, davanti al Bouleuterion. La lunghezza del portico raggiungeva 79,35 m., la profondità 12,85 m. Un atrio, sporgente dalla facciata sud, spezzava la monotonia di questo tipo edilizio caratterizzato da lunghe facciate colonnate.
L’edificio serviva ad accogliere processioni, ambasciate e personaggi eminenti, dato che la strada sacra dell’Elide terminava proprio qui.
L’esterno si presentava si presentava sotto forma di peristilio dorico, mentre all’interno si innalzavano 17 colonne corinzie. La datazione dell’edificio viene fissata alla metà del IV secolo.
Nel III sec. il portico costituì il bastione meridionale della fortificazione eretta contro gli Eruli.
Il Leonidaion.
Fu realizzato da Leonidas di Nasso nel decennio 330-320 a.C. E’ circondato all’esterno da un colonnato ionico (138 colonne) che corre lungo tutte e quattro le facciate. Gli ambienti si affacciavano su un cortile centrale, circondato da un peristilio, che presentava un atrio dorico di larghezza doppia.
L’edificio era destinato a fornire alloggio alle ambascerie straniere e agli ospiti più importanti. Si tratta quindi della residenza degli ospiti di Olimpia, di un albergo.
Successivamente vi risedettero i governatori della provincia achea. Il Leonidaion fu demolito nel III sec. d.C. e il suo materiale venne reimpiegato per il muro di fortificazione.
L’officina di Fidia.
Fidia impianta l’ergasterion, il laboratorio con le medesime dimensioni planimetriche e altimetriche della cella del tempio di Zeus, per poter lavorare la statua crisoelefantina alta 12 m. del simulacro del Dio alla scala dell’ambiente ricettivo finale.
Nel V sec. d.C. il fabbricato venne completamente rifatto, all’interno, e trasformato in una chiesa.
Il Theokoleon.
La casa rettangolare, a nord dell’officina di Fidia, è l’abitazione dei sacerdoti (theokòloi) che sovraintendevano alle cerimonie religiose, ai templi e ai sacrifici, denominata da Pausania il Theokoleon. I theokòloi, tre in tutto, erano i titolari della più alta carica sacerdotale di Olimpia e provenivano sempre da nobili famiglie di Elide. Essi abitavano ad Olimpia probabilmente solo nel periodo in cui erano investiti della carica sacerdotale, altrimenti vivevano nella loro città d’origine, Elide.
I bagni ad occidente dell’Altis.
All’incirca al centro del lato ovest dell’Altis si trovano le più ampie installazioni di bagni di Olimpia, che, nelle loro parti più antiche, risalgono al V sec. a.C.
La prima costruzione è una semplice casa rettangolare di m. 21,50x5,50 con un pozzo, cui verso il 450 a.C., viene annesso un impianto di bagni a tipo semicupio, con undici vasche ed un bacino ad immersione. Nel 400 a.C. circa esso viene provvisto di una caldaia per la preparazione dell’acqua calda. Quasi contemporanea è la costruzione di una piscina collocata accanto alla casa dei bagni: è una piscina aperta delle dimensioni di m. 24 x 16 profonda m. 1,60.
Verso il 300 a.C. l’edificio dei bagni viene ampliato e possiede oltre a un vestibolo, una sala più grande per bagni freddi ed un impianto di venti vasche a semicupio.
Dopo varie ricostruzioni questo impianto fu distrutto nel 170 a.C., e verso il 100 a.C. al nucleo dell’antica costruzione viene aggiunta una sala da bagno a volta, di m.5 x 8, con riscaldamento sotto il pavimento. In un’abside annessa alla sala vi era una stufa, o più probabilmente un bacino, mentre nell’angolo opposto della sala si trovava una vasca.
Accanto a questo complesso, già nella prima metà del V sec. a.C. sorse un bagno articolato su tre ambienti: un ampio vestibolo, un vano per il riscaldamento ed una tholos, un vano per sudare, dove ci si sedeva su di un banco circolare lungo il muro.
La palestra.
La palestra, nella città greca, nasce come spazio attrezzato – all’interno del ginnasio – ove i giovani e gli atleti si esercitano alla lotta e al pugilato, per diventare, soprattutto a partire dal IV secolo a.C., luogo non solo di esercitazioni fisiche, ma anche di attività didattiche in generale, trasformandosi così in una vera e propria “scuola”.
Vitruvio (architetto e scrittore latino del I sec. a.C.), nel libro V del De architectura, descrive dettagliatamente questa tipologia:
“Nelle palestre (…..) bisogna fabbricare dei peristili di forma quadrata o rettangolare, in modo da ottenere complessivamente un giro di passeggiate di due stadi (circa 360 m.). Questi porticati devono essere semplici su tre lati, ma doppi nella parte esposta a mezzogiorno, cosicché durante le giornate di vento e pioggia gli spruzzi d’acqua non possano giungere all’interno. Negli altri tre portici siano collocate spaziose esedre fornite di sedili: in esse filosofi, retori o altri studiosi potranno comodamente tenere le loro conversazioni”.
Vitruvio descrive tutti gli altri spazi attrezzati per la preparazione all’attività sportiva:
conisterium: luogo cosparso di sabbia;
loutròn: bagno freddo (frigida lavatio);
elaeothesium: locale per la distribuzione dell’olio;
frigidarium: bagno freddo;
propnigeum: ingresso al bagno caldo;
sudarium:
laconicum:
calida lavatio: bagno caldo;
ephebeum: portico doppio con al centro un’esedra molto vasta con sedili.
La palestra del ginnasio di Olimpia, del 200 circa a.C., è forse l’esempio che meglio corrisponde, per regolarità e compiutezza planimetrica, alla descrizione di Vitruvio.
Sono leggibili chiaramente le tre parti che compongono la tipologia architettonica: il cortile quadrato per le esercitazioni, di m.41 di lato, il portico colonnato che lo circonda e che lo pone in connessione con le sale e gli spazi chiusi di servizio.
A sud si sviluppa – lungo l’intero fronte – una grande sala passante per le esercitazioni, al centro del lato nord un’ampia esedra (corrisponde all’apoditerio od ephebeum) con accesso all’attiguo ginnasio; altre esedre ed ambienti funzionali alle attività sono sui lati ovest ed est.
Gli ambienti sono tutti aperti verso l’interno, completamente chiusi verso l’esterno. I tre ingressi non sono posti in posizione assiale, bensi sboccano tangenzialmente rispetto al peristilio. L’ingresso principale è evidenziato da un propileo.
Dalla tipologia della palestra derivano peraltro i chiostri porticati a funzione conventuale del periodo tardo antico e medievale.
Il ginnasio.
Il ginnasio fu edificato da Tolomeo Filadelfo ed era utilizzato prevalentemente per gli allenamenti. Comprendeva un vasto spazio, circondato da portici, lungo oltre 200 m. e largo 100 m. Sui lati, in celle parallele ai portici, erano situati gli alloggi per gli atleti.
Lo stadio.
Nel 338 a.C. venne costruito il terzo e definitivo stadio di Olimpia. Aveva forma rettangolare, di 220 x 30 m. circa, in terra battuta ed era fiancheggiato su tre lati da terrapieni che ospitavano fino a 40.000 spettatori. La tribuna dei giudici di gara, lungo la gradinata meridionale, venne provvista di fondazioni in pietra. Venne costruito un sottopassaggio, coperto da una volta a botte, dall’Altis allo stadio, attraverso il terrapieno occidentale.
Lo stadio
(Dal sito: www.viaggiaresempre.it)
La linea di partenza per le corse era indicata per tutta la larghezza della pista da una lastra di pietra larga circa mezzo metro, sulla quale, longitudinalmente, a intervalli di 1,20 m., erano sistemati i pali per separare i concorrenti e delimitare le corsie. A differenza degli stadi di altre città greche, quello di Olimpia aveva la fascia di pietra su entrambi i lati: la distanza esatta tra le due mète, giacenti ancora in situ, è 191,27 m. (= 600 piedi olimpici).
Lo stadio, nel quale si svolgevano tutte le gare previste dal programma olimpico a eccezione di quelle equestri, conservò intatta la sua struttura originaria sino alla conquista romana.
L’ippodromo.
Nel 680 a.C. per la XXV Olimpiade venne inaugurato l’ippodromo. La costruzione sorgeva tra lo stadio e il fiume Alfeo. Era costituita da un grande spazio aperto, pianeggiante, a forma di ferro di cavallo, a fondo sabbioso, delimitato a nord da una bassa collina e a sud da un terrapieno artificiale, destinati entrambi ad accogliere migliaia di spettatori.
Nella parte occidentale presso il portico di Agnaptos, che prendeva nome dal suo costruttore, era collocato l’ingresso dei concorrenti e degli ellanodici. Le rimesse dei carri e le stalle per i cavalli furono sistemate, più tardi, in appositi locali in muratura. La pista per le corse era suddivisa in due settori, separati da una corda e più tardi da una palizzata. Ai due estremi erano collocate le mete, attorno alle quali dovevano girare i cavalli per invertire la direzione di corsa: una era posta nei pressi della linea di partenza ed era costituita dall’imponente statua in bronzo di Ippodamia; l’altra era collocata sulla linea di arrivo della gara dello stàdion ed era costituita originariamente da un tronco di colonna di marmo, sostituito, in seguito, da un altare a forma cilindrica.
Un nuovo ippodromo fu edificato nel V sec. a.C., su progetto dell’architetto Kleoitas, l’inventore del cancello di partenza per le corse con i carri. La costruzione più grande e complessa della prima, con una pista lunga sei stadi (1153m.), era strutturata a forma di triangolo isoscele.
Fonte: http://gold.indire.it/datafiles/BDP-GOLD000000000020434C/storia_dellarte_mencarelli.doc
Sito web da visitare: http://gold.indire.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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