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FRANCESCO MAZZOLA detto il PARMIGIANINO
Il Parmigianino è un artista molto complesso. Studia presso il Correggio da lui considerato un antagonista con cui confrontarsi più che un maestro da imitare. Era un uomo di gran cultura con uno spiccato interesse per l’alchimia. La sua formazione si può attribuire al non particolarmente straordinario pittore Michelangelo Anselmi e al Pordenone, attivo a Cremona per affrescare il duomo. Il Parmigianino può aver avuto modo di conoscere lo stile del Pordenone quando da giovane era andato a Viadana (del Parmigianino a Viadana non ci è rimasto nulla). Ognuno di questi incontri formativi non incidono quasi per niente sulla pittura del Parmigianino, poiché egli possedeva una grande personalità.
AUTORITRATTO IN UNO SPECCHIO CONVESSO Vienna 1524 (24cm di diametro)
Descritto anche dalla testimonianza del Vasari che parla di questa opera quasi come dipinta su uno specchio usato dai barbieri.
“per investigare le sottigliezze dell’arte, si mise un giorno a ritrarre se stesso, guardandosi in uno specchio da barbieri, di que’ mezzitondi (…) E perché Francesco era di bellissima aria, ed aveva il volto e l’aspetto grazioso molto, e più tosto d’angelo che d’uomo, pareva la sua effigie in quella palla una cosa divina”.
È quasi una miniatura e con questa in “tasca” si presenta a Clemente VII dicendo: “Questo so fare”utilizza, insomma questo tondo come biglietto da visita.
La sua concezione dell’arte è molto particolare.
Il Parmigianino, infatti, concepisce l’arte, non solo come modo di rappresentare il reale, ma anche come modo di andare oltre la realtà in una sorta di iperrealismo. Arriva a ciò attraverso la ricerca della perfezione. La natura è fatta di cose perfette al nostro occhio, ma non in assoluto. La perfezione assoluta è solo Dio. L’artista ricerca la perfezione e una volta raggiunta si rende conto che questa non è realmente perfetta. Per trovare questa perfezione deve andare oltre alla sua natura di uomo. Natura che nasconde la perfezione divina. Se l’uomo vuole avvicinarsi a Dio, deve penetrare nella realtà della natura cercando di coglierne i misteri. Ma l’uomo è limitato: quando arriva a rappresentare la perfezione naturale (non divina) ai nostri occhi è arrivato ad uno stadio definitivo. L’artista sa che c’è dell’altro più perfetto ma non sa come raggiungerlo per questo elabora forme perfette nel tentativo di scoprire come deve essere la perfezione assoluta che poiché uomo gli sfugge. La elaborazione di questa forma perfetta inevitabilmente porta ad uno stravolgimento della forma stessa. Stravolgimento che non è Abbrutimento ma effetto di un continuo tentativo di ricerca. Per il Parmigianino, l’alchimia diventa una valida alternativa alla ragione.
CICLO DI AFFRESCHI DELLA STUFA DELLA ROCCA DI FONTANELLATO 1522-1524 (pv. Parma)
La rocca di Fontanellato è un castello ancora d’impianto esplicitamente medievale. Era di proprietà signor GALEAZZO SANVITALE,esperto e grande appassionato di Alchimia, come ci testimonia il suo ritratto pieno di simboli alchemici (vedi ritratto). Galeazzo sposa PAOLA GONZAGA. La sua sposa possedeva un appartamento privato all’interno della rocca e aveva anche una sua stufa. La stufa a quel tempo era un piccolo locale riscaldato riservato alle donne una specie di bagno. Il Parmigianino viene incaricato di affrescare il locale. Per farlo si ispira molto esplicitamente, come composizione, ad un ciclo di affreschi del Correggio nella camera di S. Paolo a Parma ( detta stanza della badessa) decorata in modo analogo ma precedentemente (1519). Come Correggio immagina un pergolato costituito da un intreccio di canne sul quale si distende una folta vegetazione terminata da una bellissima siepe di rose bianche al di la della quale si staglia un cielo azzurro intenso. Trasforma la stanza in una specie di padiglione e si immagina la vista del cielo. I Peducci dai quali partono le vele della volta, sono scolpiti. Parmigianino inserisce dei putti nudi alati forse piccoli eros in atteggiamenti vari, raffinati ed eleganti. Mirabile la resa della posa serpentinata (tipica del manierismo) di uno di questi. Dentro le vele apre una sorta di oblò in scorcio al di là dei quali si intravede il cielo. L’elemento che maggiormente differenzia l’opera di Parmigianino da quella del Correggio, è il tema. Parmigianino Rappresenta il mito greco di Diana e
Atteone. Mito antichissimo che noi conosciamo grazie ad Ovidio.
Diana oltre ad essere la dea della caccia è anche la dea della verginità e in quanto tale girava spesso di notte per i boschi con il suo seguito di vergini ancelle. Una notte un giovane cacciatore greco di nome Atteone si addentra nel bosco per cacciare con i suoi cani e sorprende le vergini nude al bagno. Diana colta nel momento d’intimità si infuria e d’istinto schizza dell’acqua su Atteone che si trasforma in cervo e vie ve sbranato dai propri cani. Diana è rappresentata con uno spicchio di luna sulla testa che sottolinea il fatto che qui è rappresentata come dea notturna. La critica era rimasta perplessa dal fatto che per una stanza così intima per una donna fosse rappresentata una scena così violenta. Si è data una spiegazione di ciò nel tempo e questa è utilizzata ancora adesso dalle guide turistiche. Ma questa teoria è stata smentita dalla formulazione di una teoria più recente a cura di MAURIZIO FAGIOLO. La prima spiegazione si sofferma sull’interpretazione di un particolare: la presenza di due bambini realistici non idealizzati che vengono interpretati come i due figli di Paola Gonzaga uno dei due bimbi stringe tra le mani delle ciliegie di colore rosso simbolo di passione e quindi di morte. Infatti, uno dei due figli di Paola Gonzaga è morto molto piccolo. Sulla parete di fronte a quella di diana appare una figura di donna che non è né una ninfa né una dea ha in una mano una spiga di grano e nell’altra una coppa di forma tipica per il consumo del vino.
RITRATTO DI GALEAZZO SANVITALE
Sul verso del quadro si trova la seguente iscrizione: “Opus de mazolla 1524 f.”. Questo faceva parte della collezione del principe Ranuccio Farnese, come indica un inventario del 1587, in cui è ricordato come opera di Parmigianino. Passato nel 1734 a Napoli fu in seguito creduto erroneamente un ritratto di Cristoforo Colombo. L’uomo effigiato è il marito di Paola Gonzaga, e fu il committente degli affreschi di Fontanellato, anche questi eseguiti da Parmigianino. Il quadro è stato interpretato in chiave astrologico-alchemica: i due numeri 7 e 2 incisi sulla medaglia mostrata dal conte Sancitale sarebbero un richiamo ai pianeti Luna e Giove, che si trovano, rispettivamente, al settimo e al secondo “cerchio ermetico”, e che sarebbero anche alla base della decorazione di Fontanellato, dove la Luna rimanderebbe a Paola Gonzaga e Giove a Galeazzo Sanvitale. Il ritratto è una delle opere più interessanti del giovane pittore, che già presenta una particolare ricercatezza esecutiva, come si nota dalla resa dei delicati passaggi di luce sul volto, dalla raffinata resa materica degli biti e dell’armatura, dalla posa ricercata del conte.
Fonte: http://www.blocconote.it/alisce/scuola/arte/PARMIGIANINO.doc
Sito web da visitare: http://www.blocconote.it/
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
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