Pittori famosi

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Pittori famosi

Pisanello

 


Nato da padre pisano e da madre veronese, Antonio Pisano (detto «il Pisanello») si forma nell'ambito di Verona, dove, nella seconda metà del XIV secolo, si è costituita una scuola di pittura con Turone e Altichiero da Zevio.
Suoi maestri sono Stefano da Verona (o da «Zevio», 1374/75 - dopo il 1438), uno dei rappresentanti dello stile «gotico internazionale», e Gentile da Fabriano. La Madonna della quaglia del museo di Castelvecchio a Verona, nella quale è avvertibile l'influenza di Stefano da Zevio e di Michelino da Besozzo, è la prima opera che gli si possa attribuire con certezza. Il tratto rapido e fluido, lo sfondo fiorito richiamano il mondo astratto e paradisiaco di Stefano, ma la disposizione dei fiori e degli uccelli mette già in evidenza quel sentimento della natura che avrebbe caratterizzato tutta l'opera del pittore. Tra i lavori giovanili - oltre ad alcuni disegni conservati a Parigi nel museo del Louvre (Vergine col libro, Animali, Diavoli) - vanno ricordati gli affreschi della Leggenda di sant'Eligio (Santa Caterina, Treviso), le quattro tavole delle Storie di san Benedetto (Galleria degli Uffizi, Firenze; museo Poldi Pezzoli, Milano) e, forse, la Madonna in trono di palazzo Venezia a Roma, che alcuni critici attribuiscono però a Stefano da Zevio. Tra il 1419 e il 1422, egli dipinge nel palazzo Ducale di Venezia alcuni affreschi (tra i quali Ottone davanti al padre Federico Barbarossa, nella sala del Maggior Consiglio, ben presto deterioratosi e perciò ridipinto da Alvise Vivarini), in collaborazione con Gentile da Fabriano (1370 c.ca-1427); gli affreschi sono andati perduti, ma se ne ritrovano gli echi in alcuni disegni conservati a Londra e a Parigi. C'è chi ha voluto vedere una partecipazione dell'artista anche nell' Adorazione dei Magi eseguita da Gentile da Fabriano nel 1423, a Firenze, per la cappella di Palla Strozzi in Santa Trinità (oggi alla Galleria degli Uffizi, Firenze.
Pittore cortese che incarna l'ideale estetico e spirituale della sua epoca, il Pisanello viene chiamato in tutte le corti dei signori dell'epoca. Lo si trova a Mantova, a Roma (e, di passaggio, a Firenze), a Ferrara, a Napoli, ecc. Tra il 1424 e il 1426, nella chiesa di San Fermo Maggiore a Verona, dipinge l'affresco dell' Annunciazione per il monumento funebre della cappella Brenzoni. Se la scelta del modello richiama Gentile da Fabriano, il tratto è quello di Stefano da Zevio; ma, più audace e più deciso, esso si sviluppa con uno sfoggio di virtuosismo nelle strutture leggere e aeree, ornate di rami fioriti. Alla stessa epoca risalgono gli affreschi eseguiti per il palazzo dei Gonzaga a Mantova e per il castello di Pavia, oggi scomparsi. Nel 1431-32, l'artista è a Roma, dove termina gli affreschi iniziati da Gentile da Fabriano in San Giovanni in Laterano, raffiguranti le Storie del Battista; anche questi ultimi sono stati distrutti nel Seicento e ne resta soltanto una riproduzione eseguita da Borromini. Nel 1432, alla morte di Gentile da Fabriano, il Pisanello eredita la sua bottega. È soprattutto nei ritratti e nei disegni che l'artista riesce a liberarsi dai vincoli gotici. Gli schizzi magistrali che raffigurano i personaggi del seguito dell'imperatore Sigismondo ( Dignitari imperiali ) anticipano certamente la creazione della sua opera maggiore: l'affresco della Partenza di san Giorgio, eseguito nel 1437-38 per la cappella Pellegrini della chiesa di Santa Anastasia a Verona. Esso descrive un momento angoscioso, quello che precede la battaglia contro il drago. Pallido e deciso, San Giorgio è raffigurato con un piede nella staffa, lo sguardo fisso sul suo avversario; un po' in disparte, la principessa, abbigliata sfarzosamente, ha un'espressione intensa. Il paesaggio immaginario, i cavalli e gli altri animali ritmano la composizione. Tutta l'opera è immersa in un'atmosfera di tragedia imminente, accentuata dal patibolo che campeggia sullo sfondo. La Visione di sant'Eustachio (National Gallery, Londra) appartiene allo stesso periodo; colti dal vivo, gli animali lasciano trasparire un'evidente ricerca di naturalismo da parte dell'autore. Sempre più legato alla corte dei Gonzaga di Mantova, il Pisanello si dedica all'attività di ritrattista mondano, eseguendo, oltre a un Ritratto dell'imperatore Sigismondo (Kunsthistorisches Museum, Vienna) di attribuzione controversa, il Ritratto di Lionello d'Este (Accademia Carrara, Bergamo), in gara con Jacopo Bellini, e il Ritratto di Margherita Gonzaga (1435 c.ca, Museo del Louvre, Parigi), che richiamano l'estetica della medaglia: i personaggi sono rappresentati di profilo, con il contorno grafico che determina le grandi masse del modellato e anche l'equilibrio degli spazi che costituiscono lo sfondo. Al gioco lineare caratteristico dello stile cortese si aggiungono una forza morale e una densità nuove.
Nel 1438-39, il Pisanello, allontanato da Verona per essersi schierato con i Gonzaga contro Venezia, crea, forse sotto gli influssi di Ghiberti, la prima medaglia del Rinascimento, quella di Giovanni VIII Paleologo, seguita da numerose altre; in particolare, ricordiamo quelle di Gian Francesco Gonzaga (1439), Filippo Maria Visconti (1440), Niccolò Piccinino (1441), Lionello d'Este (1442 c.ca-49), Sigismondo Novello Malatesta (1445), Vittorino da Feltre (1446), Ludovico e Cecilia Gonzaga (1447-48), Inigo d'e Alfonso d'Aragona (1448-49). Attraverso composizioni equilibrate e un impiego estremamente libero del metallo, egli tende a rivelare i tratti psicologici dei suoi modelli, benché idealizzati, mentre dà libero corso alla fantasia nelle allegorie del rovescio. Nel 1440, è documentata la presenza dell'artista a Milano; alcuni critici ritengono che possano essere attribuiti a lui gli affreschi dei Giuochi, in casa Borromeo. Nel 1448, egli è a Napoli, e da questo momento esistono soltanto indicazioni piuttosto incerte sulle sue vicende. Una delle ultime opere è certamente la Madonna con i santi Antonio abate e Giorgio (National Gallery, Londra), risalente al 1447-48. Pisanello non è soltanto un pittore cortese, un grande ritrattista e uno dei maggiori medaglisti del Quattrocento italiano; è soprattutto un osservatore della natura, che egli rappresenta nei suoi disegni (in particolare raffiguranti animali) con un'incomparabile delicatezza espressiva. Uomo capace di anticipare i futuri sviluppi artistici, egli si stacca dal formalismo decorativo e dalla magniloquenza della tarda arte gotica attraverso un sentimento lirico e poetico, una forza esoterica e una profonda vita interiore che lo avvicinano agli umanisti del Rinascimento.

      Pollaiolo

 


Eccellente esempio di artista poliedrico rinascimentale, Antonio esordisce come orafo, realizzando a partire dal 1475 la base per la croce d'argento e una formella per l'altare del Battistero di San Giovanni (Firenze, Museo dell'Opera del Duomo).
Allievo di Domenico Veneziano, subisce anche l'influenza del Castagno e di Donatello. Insieme al fratello Piero dipinge I Santi Giacomo, Vincenzo ed Eustachio (Firenze, Uffizi), il Martirio di San Sebastiano (Londra, National Gallery) e una serie di Fatiche di Ercole e l'Idra (Firenze, Uffizi). Altri suoi dipinti di rilievo sono il San Michele Arcangelo (Firenze, Museo Bardini); l'Apollo e Dafne (Londra, National Gallery); il Ritratto muliebre degli Uffizi e quello del Museo Poldi Pezzoli di Milano; l'affresco con Nudi danzanti (Firenze, Villa La Gallina).
A partire dal 1475 si dedica con eccellenti risultati anche alla scultura, spesso coadiuvato dal fratello.
Celebri sono il gruppo bronzeo con Ercole e Anteo (Firenze, Bargello) e i monumenti funebri per Sisto IV e di Innocenzo VIII in Vaticano.

 

       Reni

 


Formatosi alla scuola manierista di D. Calvaert, Reni frequenta a vent'anni l'Accademia degli Incamminati a Bologna, città dove si era sviluppata la ricerca dei fratelli Carracci nell'ambito del rigore classicista e attraverso il recupero di una dimensione moderna del naturalismo. Alla base della sua formazione sono perciò l'approccio con l'antico, la rimeditazione dell'opera di artisti come Raffaello e Correggio e lo studio della cultura emiliana e veneta. Ma ben presto Reni si rende autonomo sia dall'influsso manierista sia dal gruppo di artisti che ruotano intorno ad Annibale Carracci. Dal 1602, anno in cui si reca a Roma, viene a contatto con un ambiente nuovo e stimolante e consolida la propria preparazione, arricchendola anche della lezione caravaggesca.
Ne è esempio una delle prime opere più significative: la Crocefissione di san Pietro dipinta per la chiesa di San Paolo alle Tre Fontane tra il 1604 e il 1605, oggi alla Pinacoteca Vaticana di Roma. Mentre nella precedente opera, l' Assunta di Pieve di Cento, era ancora presente la componente accademica, qui, nella Crocefissione, l'autore evidenzia un suo linguaggio personale trattando un tema analogo a quello proposto nell'omonimo quadro di Caravaggio in Santa Maria del Popolo, con elementi di affinità ma anche di differenziazione. Comune è il tentativo di entrambi di superare la finzione e l'artificiosità barocca, aderendo alla realtà e rendendola credibile. Ma se Caravaggio si propone un contesto dinamico di grande coinvolgimento emotivo e di drammatizzazione, Reni controlla e disciplina la composizione attraverso rapporti e regole di derivazione classicista.
La struttura compositiva è emblematica: Caravaggio pone l'asse della croce in un'audace diagonale che crea un contrappunto dinamico e con la luce indaga violentemente le figure, potenziando l'espressività dei volti e delle mani; Reni dispone la croce sull'asse mediano verticale, in una struttura simmetrica, quindi, di compostezza e di rigore. In questa concezione compositiva e nella tecnica accurata si configura la ricerca estetica di Reni, che è anche modello comportamentale legato alla natura filosofica di quella che sarà definita come «arte d'idea». Questa ricerca così teorizzata si sviluppa dall'incontro con letterati e trattatisti e si pone come mediazione tra arte del sentimento e dimensione del fantastico. Le tematiche che Reni traduce sono religiose, mitologiche e letterarie ma, indipendentemente dai contenuti, il linguaggio è teso in modo costante a teorizzare il bello nell'accezione di morale. G.C. Argan parla di osmosi tra due forme (l'espressione letteraria e quella poetica) e di classicismo staccato dalla realtà e recuperato come bene perduto. Questa componente è già evidente nella contemporanea letteratura manieristica e nella poesia di Tasso, in particolare, dove, sotto la superficie classicista, è latente un sentimento di malinconia e rimpianto.
Reni si fa anche interprete del gusto colto e aristocratico dei committenti e a Roma trova la protezione di Paolo V e di Scipione Borghese. Egli divide la sua attività tra Roma e Bologna: in quest'ultima esegue nel 1605 un affresco nel chiostro di San Michele in Bosco, opera oggi molto deteriorata e quasi illeggibile. Nel 1608 è di nuovo a Roma dove realizza opere prestigiose nella Sala delle Nozze Aldobrandine e nella Sala delle Dame in Vaticano. Intorno al 1610 è impegnato a decorare nel Palazzo del Quirinale la cappella dell'Annunciata e contemporaneamente affresca la cappella Paolina in Santa Maria Maggiore. Al ritorno dall'ultimo soggiorno romano Reni lavora, tra il 1611 e il 1612, a Bologna, a una delle opere che più esprimono la poetica dell'idea: la Strage degli Innocenti (Pinacoteca nazionale, Bologna). In quest'opera è evidente la lezione di Raffaello delle Stanze Vaticane e il recupero di una gestualità antica. È presente un tono melodrammatico, sottolineato dal fitto incrociarsi di gesti non privi di ostentazione; lo sfondo architettonico si integra alle figure di primo piano articolate in scorci complessi. In quest'opera viene a definirsi sempre più la concezione di una bellezza «morale» che non si identifica necessariamente con quella di natura. Intorno al 1613-14 Reni affresca a Roma, nel casino del Palazzo Rospigliosi Pallavicini, l' Aurora opera che risente maggiormente dello studio della scultura antica oltre che della conoscenza di Raffaello e Correggio.
Qui il tema mitologico si traduce in apparizioni sempre più immateriali e cromatiche, che intendono superare l'opacità della materia. L'autore, che è tra l'altro grande sperimentatore di tecniche pittoriche, riesce anche a fondere la normativa rinascimentale alla musicalità dei ritmi, accentuando i toni virtuosistici e dando al mito una trasposizione melodrammatica. Secondo Argan la teoria dell'idea attua un rapporto dialettico tra regola classica e natura. Alcuni elementi formali del linguaggio di Reni porteranno a un grande successo dell'autore in Francia dove artisti come Poussin e altri svilupperanno analoghe teorie estetiche. Il rischio dell'autore è di un eccesso di edonismo e dello sconfinamento nella finzione, elementi presenti in Atalanta e Ippomene (1620, museo di Capodimonte, Napoli) esempio di meticolosa ricerca di perfezione formale e di realtà trasfigurata: in quest'opera le due figure dinamiche e fluttuanti emergono da un fondo scuro di memoria caravaggesca. Ma l'uso della luce è diverso: se Caravaggio indaga esaltando il segno e la tensione espressiva, Reni modella le figure sottolineandone la fisicità sensuale secondo canoni classici.
Dopo la parentesi di Napoli del 1622 e di Roma del 1627, Reni si stabilisce definitivamente a Bologna. Dipinge in quegli anni per il duca di Mantova la favola profana delle Fatiche di Ercole (Museo del Louvre, Parigi), in seguito il Cristo al Calvario e Lucrezia. Degli ultimi anni si ricordano: Fanciulla con ghirlanda, opera significativa per conoscere il suo atteggiamento sperimentale nell'uso del colore, l' Adorazione dei pastori (1640-42, National Gallery, Londra) e Cleopatra (1640-42, Pinacoteca Capitolina, Roma).

       Tiepolo

 


Giambattista (Venezia, 1696-Madrid, 1770) pittore italiano. All'inizio della sua attività frequenta la bottega di Gregorio Lazzarini, ma ben presto la abbandona per aderire alla riforma di Giambattista Piazzetta. È per questo motivo che i suoi dipinti giovanili, quali il Sacrificio di Isacco (chiesa dell'Ospedaletto, 1715, Venezia), il Martirio di san Bartolomeo (San Stae, Venezia, 1721) e la Madonna del Carmelo (Brera, Milano, 1720-22) sono caratterizzati da un'intensa gamma cromatica e da forti effetti chiaroscurali che non ritroveremo più nelle sue opere della maturità. Già negli affreschi dell'arcivescovado di Udine, considerati il capolavoro dei suoi anni giovanili, si constata che l'artista ha acquisito una maggior libertà e scioltezza nella costruzione spaziale, ha schiarito i colori in gamme più delicate e luminose e ha arricchito la composizione di figure dinamiche ed eteree. È evidente il disinteresse che Tiepolo mostra nei confronti dell'introspezione psicologica e della realtà fisica; l'aspetto che lo interessa è soltanto la distribuzione della scena, il gioco della luce, l'accordo dei colori. Da ciò l'impressione costante di «spettacolo» offerta dai suoi dipinti.
Nel 1725 Tiepolo lavora con Gerolamo Mengozzi Colonna, famoso quadraturista, con il quale collaborerà per molti anni. Verso il 1730 si volge a uno studio sempre più approfondito delle tele e degli affreschi di Veronese, in quanto ritiene che la pittura del grande artista cinquecentesco sia tecnicamente molto più avanzata della pittura veneta a lui successiva. Inoltre il temperamento estroso e pieno di fantasia lo orienta verso soluzioni compositive sempre nuove e ricche di movimento. Nel 1731 Tiepolo si reca a Milano dove porta a compimento alcune opere di indubbio valore a soggetto mitologico (soffitti di palazzo Archinto, distrutti durante la Seconda Guerra Mondiale; Allegoria della Magnanimità, Palazzo Dugnani). Nel 1739 la congregazione del Carmine a Venezia gli dà l'incarico di decorare i soffitti della propria scuola. L'esecuzione di quest'opera tiene impegnato Tiepolo fino al 1743 e suscita in lui un immenso entusiasmo. Prima di terminarla, si reca nuovamente a Milano dove dipinge il soffitto di Palazzo Clerici con La corsa del carro del Sole. In quest'opera, costruita secondo un gusto essenzialmente scenografico, prevale l'intensa luminosità del cielo che filtra attraverso le nubi e avvolge gruppi e figure con una luce magica. A questi stessi anni appartengono le teatrali Scene della Passione (Sant'Alvise, Venezia), il grandioso Miracolo della Santa Casa di Loreto distrutto nel 1915, gli affreschi con Storie di Scipione (Villa Cordellina, Montecchio Maggiore) e le Storie di Antonio e Cleopatra (palazzo Labia, Venezia). Nel 1750 l'artista si trasferisce a Würzburg con i figli Giandomenico e Lorenzo che ormai lo affiancano nella realizzazione delle sue grandi opere.
Qui egli decora la sala da pranzo e lo scalone della residenza del pricipe-vescovo Carl Philipp von Greiffenklan con affreschi celebranti le imprese dell'imperatore Federico Barbarossa. Anche queste opere suscitano un'incondizionata ammirazione per l'acuto senso coloristico, la luminosità soffusa e la grandiosità della composizione. Tornato in Italia, esegue numerose altre opere, tra cui gli affreschi della Villa Valmarana (con episodi tratti dall'Iliade, dall'Eneide, dall'Orlando Furioso e dalla Gerusalemme liberata) e l'Apoteosi della famiglia Pisani nella Villa Nazionale di Stra. Nel 1762, sempre accompagnato dai due figli, Tiepolo parte per Madrid e si mette al servizio del re Carlo III che l'ha invitato a decorare tre sale del Palazzo Reale. L'artista ha ormai sessantasei anni, ma intraprende con l'abituale slancio questa opera colossale. Nascono così la Gloria di Spagna, l'Apoteosi della monarchia spagnola e l'Apoteosi di Enea che, nonostante la loro solennità, sono totalmente pervase da quella atmosfera leggera, quasi incantata, che sempre caratterizza la pittura di Tiepolo. Alla sua morte il suo posto viene preso da Raphael Mengs, nuovo pioniere dell'arte neoclassica, che già aveva osteggiato l'artista in vita non avendone compreso la straordinaria inventiva. Tra le opere di Tiepolo si possono ricordare anche alcune tele di soggetto religioso e profano nonché parecchi ritratti di notevole efficacia espressiva.

Giandomenico (Venezia, 1727-id., 1804) pittore italiano. Allievo del padre Giambattista, collabora con lui alla realizzazione dei suoi più grandi affreschi. Giandomenico però non si limita all'attività di cooproduzione col padre, ma coltiva anche un'arte propria. Suoi sono infatti gli affreschi della foresteria della Villa Valmarana (1757), nonché alcune opere nel Palazzo Ducale di Genova (1783). Dipinge anche molti quadri religiosi in cui trasforma la luminosità diffusa, tipica di suo padre, in un luminismo a raggio diretto, forse di reminescenza rembrandtiana. Svolge anche un'intensa attività incisoria, il cui capolavoro è la Fuga in Egitto, eseguito a Würzburg nel 1753. La sua opera più importante, in cui manifesta il meglio della propria personalità, rimane però senza dubbio il complesso degli affreschi della Villa di Zianigo (1791-93) in cui ritrae con spietata ironia la società veneziana del suo tempo.

Lorenzo (Venezia, 1736-Madrid, 1776) pittore italiano. Figlio di Giambattista e fratello di Giandomenico, seguì il padre a Würzburg (1750-53) e a Madrid (1761) dove collaborò a uno dei soffitti del Palazzo Reale. Figura artistica alquanto incolore, raggiunse però una certa maestria quale incisore (soprattutto di soggetti tratti dalle opere paterne). Opera di discreto valore è il Ritratto di dama con ventaglio (Ca' Rezzonico, Venezia, 1756).

      Tintoretto

 


Figlio di un tintore di panni da cui deriva il soprannome, vive sempre a Venezia (escludendo un viaggio a Roma che si suppone abbia avuto luogo nel 1545 e una visita a Mantova nel 1580). Frequenta, giovanissimo, la bottega di Tiziano. Il carattere geniale e turbolento dell’artista lo porta ben presto a distaccarsi da quel particolare classicismo veneto di cui Tiziano è uno dei maggiori esponenti. Tintoretto si avvicina maggiormente a Pordenone e a Schiavone e il suo temperamento versatile e ricettivo lo porta ad accettare il nuovo corso della pittura italiana. Fin dagli inizi la visione di Tintoretto è legata al manierismo toscoromano: studia con interesse le opere di Sansovino e Michelangelo arrivando così a mediare il «disegno di Michelangelo con il colorito di Tiziano» come vuole la tradizione stesse scritto sulla porta del suo studio (Pini, 1548; ma anche Vasari e Borghini).
Il primo periodo dell'attività di Tintoretto culmina nell'Ultima Cena (1547) della chiesa di San Marcuola, in cui il pittore prende già le distanze dal tonalismo tizianesco impegnandosi in una dialettica figurativa sempre più geniale. Anche il Miracolo di san Marco (Accademia di San Marco, 1548), già considerato un capolavoro dai contemporanei, esprime l'anelito dell'artista a realizzare un più saldo equilibrio della sintesi cromatico-plastica. Per la scuola della Trinità, tra il 1550 e il 1553, dipinge le Storie della Genesi di cui la Creazione degli animali, Adamo ed Eva e l'Uccisione di Abele si conservano nell'Accademia di Venezia. In queste opere si afferma un nuovo senso della natura, nel paesaggio è proiettato il sentimento stesso dell'artista e ne è rappresentato il culmine lirico. Avvenimento importante per l'esperienza artistica di Tintoretto è l'arrivo sulla scena veneziana di Paolo Veronese nel 1553. Alcune opere, quali la Presentazione di Gesù al Tempio e la Crocefissione di san Severo (Accademia di Venezia) rivelano una vivacità cromatica che si discosta dall'intima tendenza di Tintoretto verso il chiaroscuro.
A questo momento della sua vita artistica appartengono anche il Viaggio di sant'Orsola (San Lazzaro dei Mendicanti) e il Mosè che fa scaturire l'acqua (Städelsches Kunstinstitut, Francoforte). Dal 1560 è la bellissima Susanna di Vienna in cui ritornano i richiami a Veronese. Nel 1562 Tintoretto esegue per la scuola di San Marco tre episodi della vita del santo: Trasporto della salma di san Marco, San Marco salva il Saraceno dal naufragio (Accademia di Venezia) e Scoperta del corpo di San Marco (Brera, Milano). Queste tre opere documentano la piena maturità dello stile dell'artista; in ciascuna di esse predomina un gusto melodrammatico che tende all'effetto, un dinamismo rivolto all'evento, al miracolo. Poco prima del 1556 esegue la decorazione della Madonna dell'Orto che comprende due tele, una raffigurante l'Adorazione del vitello d'oro e l'altra il Giudizio Universale. Per quest'ultimo viene naturale il confronto con Michelangelo il cui Giudizio poteva esser stato visto da Tintoretto nel suo soggiorno romano. Nonostante le similitudini iconografiche, una differente concezione spaziale caratterizza in modo evidente l'opera dei due artisti. Nel 1564 Tintoretto inizia una grandiosa impresa che lo terrà impegnato fino al 1587: la decorazione della Scuola Grande di San Rocco.
L'opera viene compiuta in tre momenti successivi: dal 1564 al 1566 decora la sala dell'albergo, tra il 1576 e il 1581 la sala grande superiore e tra il 1583 e il 1587 la sala inferiore. Nella sala dell'albergo dipinge la Crocifissione in cui si afferma una nuova grandiosità spaziale, uno spazio definito dai movimenti concitati della folla, dal balenio delle luci, da un dinamismo che crea un effetto altamente espressivo. Nella Cena e nel Battesimo della sala superiore si esprime, attraverso la tensione chiaroscurale portata al massimo rendimento, un profondo senso religioso ed evocativo. L'accentuazione luministica è ancora più evidente nei «teleri» della sala inferiore. La Fuga in Egitto, la Maddalena e la Maria Egiziaca rappresentano il punto di arrivo stilistico di Tintoretto; la sapiente orchestrazione chiaroscurale crea effetti suggestivi e sublimi. Tintoretto realizza, in questi «notturni», un luminismo integrale giungendo a effetti poetici altissimi.
In questi anni, nonostante l'attività predominante sia a San Rocco, Tintoretto esegue le tele mitologiche (1577-78) per Palazzo Ducale in cui, come una recente pulitura ha mostrato, si allontana dai toni chiaroscurali facendo anzi un uso timbrico del colore. L'attività dell'artista tra l'ottavo e il nono decennio è in aumento; assumono, quindi, un ruolo importante i collaboratori e i figli che partecipano alla realizzazione delle opere: la grande tela del Paradiso (1588-92) di Palazzo Ducale è, per esempio, in gran parte di scuola. Le ultime opere di Tintoretto rappresentano una continua ricerca in senso luministico come, per esempio, la Flagellazione di Cristo (Kunsthistorisches Museum, Vienna) nella quale la luce evidenzia la tensione plastica. Infine meritano particolare attenzione le due tele del coro si San Giorgio Maggiore: La caduta della manna e l'Ultima Cena (1594). In quest'ultima opera, che ripropone un tema tanto caro all'autore, la luce trasfigura la realtà quotidiana creando toni surreali: ed è questa dialettica fra realtà e astrazione, profondamente manieristica, che caratterizza l'ultima fase stilistica del grande artista veneto.

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/storia%20sociale%20arte/GRANDI%20MAESTRI%20ARTE%20(appunti%20Stefania).doc

Sito web da visitare: http://www.scicom.altervista.org

Autore del testo: Tribenet

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