Simbolismo

Simbolismo

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Simbolismo

'Età del Simbolismo e del Decadentismo: i temi dell'immaginario, la posizione dell'intellettuale e dell'artista, la filosofia e le poetiche (liberamente tratto da Luperini)

Argomenti (sintesi)
- Il Simbolismo nasce Francia e si afferma soprattutto in poesia fra 1876 e 1890. Il termine rinvia a una poetica in cui si procede per simboli: attraverso l'intuizione il poeta rivela nei particolari l'universale, nel finito l’infinito. Negli anni 1890-1905 il Simbolismo confluisce nel Decadentismo. Quest'ultimo nasce come una poetica, ma è oggi considerato una forma di cultura e di civiltà artistico-letteraria. Le sue componenti essenziali sono estetismo e irrazionalismo.
In filosofia, si afferma una netta reazione al Positivismo, soprattutto per opera di Friedrich Nietzsche (1844-1900), che propone un superamento dei valori della tradizione occidentale.

- La massificazione e la borghesizzazione portano a quella che Baudelaire definì la "perdita dell'aureola" del poeta. La condizione marginale dell'artista può  indurlo alla posizione del maledetto che si ribella; a quella del dandy o dell'esteta, che coltiva la bellezza in se stessa (ma, alla fine del secolo, per promuoversi pubblicitariamente); a quella del vate, che recupera il ruolo educativo della tradizione umanistica e romantica.

- Baudelaire fonda le due linee della poesia moderna, simbolismo e allegorismo. A lui si ispirano le poetiche di Rimbaud, Verlaine e Mallarmé, ma dal nuovo clima saranno influenzati anche D'Annunzio e, più indirettamente, Pascoli.

1. I luoghi, i tempi, le parole chiave: Simbolismo e Decadentismo
Dal 1849 al primo decennio del Novecento, in particolare negli ultimi quarant'anni, la borghesia europea si è evoluta in senso imperialistico mentre, affermatasi la seconda rivoluzione industriale, nasce la società di massa. Dal punto di vista letterario, un'importante data di riferimento è il 1857: in quest'anno escono, insieme a Madame Bovary di Flaubert (che anticipa il Naturalismo),  I fiori del male di Charles Baudelaire, che inaugurano la lirica moderna.

In poesia, è questa l'età del Simbolismo, che nasce in Francia a poca distanza dal Naturalismo. In questo paese, infatti, l'area cronologica del Naturalismo va dal 1865 al 1890, quella del Simbolismo dal 1876 (anno in cui Mallarmé pubblica L’après midi d'un faune (Il pomeriggio di un fauno) al primo decennio del Novecento. Come si vede, il Simbolismo si sviluppa qualche anno dopo la nascita del Naturalismo e continua per circa un ventennio dopo la sua estinzione; ma per un certo periodo (1876-1890) le due poetiche convivono.

Il termine "Simbolismo" rinvia a una poetica in cui si procede per simboli: attraverso l'intuizione il poeta rivela nei particolari l'universale, nel finito l'infinito. Di qui l'ansia metafisica della nuova poetica, che presuppone la messa in discussione e poi lo scacco del Positivismo (che, invece, ispira il Naturalismo). Il Simbolismo, infatti, rifiuta le pretese scientifiche di spiegazione oggettiva e razionale dell'universo.

Sebbene per un certo periodo Naturalismo e Simbolismo convivano, il secondo prende poi il sopravvento e domina infine incontrastato nel quindicennio 1890-1905. In questi anni il Simbolismo confluisce nel Decadentismo. Il primo è una poetica, mentre oggi il secondo - che pure era nato come movimento strettamente letterario in Francia, negli anni Ottanta - viene piuttosto considerato una forma di cultura e di civiltà artistico-letteraria. Si può definire il Simbolismo la poetica principale del Decadentismo. Il Decadentismo trova il suo principale manifesto in Francia nel 1884, con il romanzo di Huysmans A rébours (Controcorrente), e poi si propaga in Europa a cavallo fra i due secoli. In Italia si manifesta già nel corso degli anni Ottanta, ma si afferma solo a partire da Il piacere di D'Annunzio (1889) e da Myricae di Pascoli (1891). L’apogeo del Decadentismo italiano si ha negli anni 1890-1904.

Il termine "Decadentismo" implica un'idea di decadenza, di consunzione, di tramonto di una civiltà. Venne inizialmente usato per indicare sia la decadenza del Romanticismo, sia quella della "sana" borghesia liberale e positivista che aveva gestito il potere economico e politico fra il 1848 e il 1875. Si trattava dunque, alle origini, di un termine negativo, che comportava un giudizio morale di condanna nei confronti dell'irrazionalismo e della corruzione morale delle tendenze artistiche e letterarie affermatesi in Europa a partire dagli anni Ottanta. Oggi tale implicazione negativa è scomparsa e il termine Decadentismo indica solo la civiltà letteraria e artistica affermatasi in Europa fra i due secoli.
Il Decadentismo fa dell'estetismo, cioè del culto della bellezza e dell'arte, la sua principale parola d'ordine e dell'irrazionalismo la sua ideologia privilegiata: il poeta rivelerebbe una verità superiore concepita intuitivamente o misticamente e dunque in modi del tutto sottratti alla razionalità. Di qui la sua predilezione per il Simbolismo. I decadenti, come respingono il Positivismo, così si oppongono nettamente alla poetica che gli corrisponde, il Naturalismo, che infatti entra rapidamente in crisi e finisce a poco a poco per scomparire nel corso del decennio 1890-1900. Sul piano politico gli scrittori decadenti appoggiano le nascenti ideologie nazionaliste e imperialistiche. Per molti versi, insomma, il Decadentismo è un fenomeno culturale omogeneo alle nuove tendenze imperialistiche.
Nel corso del primo decennio del Novecento i caratteri aristocratici ed elitari del Decadentismo vengono messi in discussione dalla irruzione delle avanguardie. Quando nel 1904 nasce in Germania l'Espressionismo, ha inizio un'età nuova. Essa prende nettamente le distanze dal Decadentismo e dall'idea di artista e di poeta sostenuta da questo movimento. Come vedremo in seguito, questa nuova età è il prodotto culturale delle grandi trasformazioni sociali provocate dalla seconda rivoluzione industriale sviluppatasi fra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento.

2. La figura dell'artista nell'immaginario e nella realtà: la perdita dell’ “ aureola" e la crisi del letterato tradizionale in Italia dalla Scapigliatura al Decadentismo

Nelle società capitalisticamente più avanzate il poeta e l'artista subiscono un processo di massificazione, perdendo la propria funzione privilegiata di fondatori e di distributori di ideologie e di miti capaci di orientare l'opinione pubblica. Gli scrittori e gli artisti devono riconoscere che l'arte ha perso la sua centralità in un mondo in cui contano solo le banche e le imprese industriali. Se a ciò si aggiunge la borghesizzazione del ruolo che costringe l'intellettuale a vendere sul mercato i prodotti del proprio lavoro e che trasforma l'arte in merce, si può capire come si possa parlare di una perdita dell’ “aura" da parte dell'arte e di una perdita dell’ “aureola”  da parte dello scrittore. Si chiama “perdita dell’aura" la perdita di sacralità e d'incanto subita dalle opere d'arte; si chiama “perdita d'aureola” l'analoga perdita di sacralità subita dalla figura dell'artista, una volta che questi ha visto cadere i tradizionali privilegi che lo elevavano al di sopra della folla. Si tratta di un avvenimento descritto da Baudelaire in un apologo allegorico di grande rilievo storico. (cfr. Baudelaire, da “Poesie e prose”, Perdita d’aureola)
In questo apologo, fra l'altro, si avvia - seppure implicitamente - un parallelo fra la figura del poeta e quello della prostituta (non casualmente il poeta racconta la propria perdita dell'aureola a un amico incontrato in un bordello) che costituirà un vero e proprio topos della letteratura e dell'arte d'avanguardia. Come la prostituta, infatti, anche il poeta vende ciò che non dovrebbe essere venduto: la donna vende l'amore, lo scrittore l'arte. Altri topoi attivi nell'immaginario artistico sono quelli che identificano l'artista con la ballerina o con la cavallerizza o con il saltimbanco. L’arte, per vendersi sul mercato, deve infatti esibirsi in pubblico, sedurlo con tecniche artificiali che fingono la naturalezza e la spontaneità similmente a quanto fa il clown, o pagliaccio, che simula una autenticità e un'ingenuità infantile dei sentimenti e dei gesti per ricevere gli applausi e i denari degli spettatori. La figura del pubblico comincia insomma a essere inscritta nell'opera stessa: questa, per essere venduta, non può più prescinderne e deve dunque tenerne presenti le esigenze. La presenza del pubblico può tuttavia determinare atteggiamenti opposti, talora compresenti nello stesso autore: la provocazione e la protesta, ma anche la seduzione e il tentativo di conquistarne la benevolenza. L’attacco al lettore, lo sberleffo nei suoi confronti sarà, in particolare, la cifra dei movimenti d'avanguardia.
Ovviamente questi processi avvengono non senza contraddizioni e si accompagnano a un profondo disagio degli artisti. Per loro si tratta, per certi versi, di un vero e proprio declassamento rispetto al periodo romantico. L'artista non si sente più centrale nella società, ma marginale; sempre più s'identifica con figure di emarginati e di "diversi" (come è appunto la prostituta). Il personaggio del "poeta maledetto” reietto della società, omosessuale, ribelle, emarginato, drogato, folle, vagabondo, scioperato, entra a far parte dell'immaginario collettivo, da Baudelaire e dagli scapigliati sino agli scrittori dei nostri giorni, come Pasolini.
In Italia la percezione di un radicale cambiamento nel senso ora descritto è già nel movimento della Scapigliatura, sviluppatosi nella città più moderna d'Italia, Milano, subito dopo l'Unità. La parola Scapigliatura vuole indicare lo stesso concetto della parola francese "bohème", che indica una vita irregolare, scapestrata e scioperata. La Scapigliatura prende atto che la caduta dell'aureola determina una linea netta di frattura rispetto all'età romantica, quando l'intellettuale aveva - particolarmente in Italia - un ruolo naturalmente protagonistico e una funzione ideologica dominante. Nel nostro paese, infatti, l'intellettuale dell'età romantico-risorgimentale era stato il rappresentante della classe - la borghesia - che aveva guidato il processo unitario. La figura del poeta-vate, impegnato nella società, rispondeva allora a una precisa funzione storica. Dopo l'Unità, la situazione cambia. La funzione dell'intellettuale entra in crisi, e l'opinione pubblica guarda con diffidenza alla figura dell'artista considerato uno «scioperato» incapace di aderire alle esigenze produttive della società.
Il cambiamento di ruolo sociale può indurre a reazioni diverse. Da un lato la “perdita dell’aureola" e la condizione ormai marginale e separata dell'artista, che vive anche un vero e proprio declassamento sociale, possono indurre a un movimento di ribellione e avvicinare lo scrittore alla massa inducendo ad assumere posizioni democratiche o rivoluzionarie; dall'altro possono invece spingerlo in direzione opposta, verso un recupero dei tradizionali privilegi e la ricerca di un risarcimento estetico e ideologico, con il conseguente disprezzo per le masse e la rivendicazione della superiorità e dell'eccezionalità dell'esperienza dell'arte. La prima reazione è particolarmente attiva nella linea francese che va da Baudelaire (che partecipò alla insurrezione del 1848) a Rimbaud e Verlaine, entrambi impegnati nella lotta dei comunardi parigini nel 1871; ma tende ad attenuarsi negli anni Ottanta e Novanta, quando la scissione fra privato e pubblico, fra poesia e ideologia, si fa progressivamente più netta. In Italia questa posizione è scarsamente rappresentata: tende infatti a prevalere la seconda posizione, e cioè una resistenza alla “perdita dell'aureola" e un tentativo di restaurare i tradizionali ruoli di privilegio.

3. Il vate e l'esteta: il poeta e la sua funzione sociale in Europa e in Italia
La seconda metà dell'Ottocento è segnata dalla consapevolezza della crisi del ruolo dell'artista nella società e della “perdita dell’aureola". Al poeta rimangono dunque almeno due possibilità di atteggiarsi: quella del dandy o dell'esteta e quella del vate.
E’ in Francia, e in particolare con Baudelaire, che avviene la frattura. Il poeta della generazione precedente, Victor Hugo, era nato nel 1802, ma sopravviverà a Baudelaire (1821-1867) sino al 1885. Hugo, caposcuola del Romanticismo, era dunque un modello attuale con cui confrontarsi. Egli rappresentava il poeta difensore dei valori della patria, impegnato civilmente e politicamente, tanto da affrontare l'esilio per opposizione a Napoleone III. Fu il poeta nazionale, che per prestigio letterario, per la sua statura morale, per la sua tensione umanitaria si imponeva anche quando era avversato. Fu, insomma, il poeta-vate: le sue opere, sia che suscitassero polemiche e censure, sia che invece riscuotessero grande successo di vendite, erano comunque al centro dell'attenzione. Il dialogo e il collegamento fra lo scrittore e il pubblico furono dunque sempre intensi e organici.
Con Baudelaire, invece, questo legame si incrina. Baudelaire non ebbe ruolo pubblico e anche quando partecipò a grandi eventi storici (come la rivoluzione del 1848), lo fece da privato cittadino. Se Hugo era il poeta della moralità, Baudelaire volle essere anche il poeta dell'immoralità: anzi, si compiacque di esibire atteggiamenti trasgressivi, dall'uso delle droghe all'amore per un'attrice mulatta. La carica contestatrice di questi atteggiamenti era tanto più forte, in quanto Baudelaire la pagò con periodi di reale miseria e di malattia. Del resto, non trattava di un semplice gusto della provocazione. Baudelaire fu una delle intelligenze più acute e profonde dei suoi tempi: non solo il primo dei poeti 'maledetti', ma anche un grande intellettuale, attento alle trasformazioni del costume delle arti.
Baudelaire programmò dunque il rifiuto della società che lo circondava. Non era più l'opposizione romantica fra individuo e mondo: egli non aveva atteggiamenti titanici, non voleva parlare per valori che, comunque, appartenessero alla natura profonda di tutti gli uomini, non assunse mai pose da profeta. Al contrario, si dimostrava ironico e sprezzante di fronte ai buoni borghesi. I primi valori della logica borghese sono l'utile, la produzione, il guadagno; a questi, Baudelaire opponeva un valore inutile, sterile, senza tornaconti economici: la Bellezza intesa come perfezione assoluta, misteriosa e non umana. Il  culto della bellezza si celebra anzitutto nell'arte. Essa diventa l'unica religione in un mondo che non ha più religione, e in cui anzi la morale borghese propaganda il formalismo e l'ipocrisia.
Nella vita, il cultore della bellezza è il dandy o l'esteta. Il dandy è colui che affetta eleganza e ricercatezza, contro la volgarità non tanto delle masse, quanto dell'arroganza borghese. Il dandy dissipa il denaro, che per il borghese è sacro, infrange il moralismo dominante, assume un atteggiamento di aristocratico del gusto in una società in cui l'aristocrazia di sangue non ha più peso reale. Il dandismo di Baudelaire non si limita, però, a una posa esteriore che riguarda la scelta di abiti e di oggetti d'arredamento: conserva un valore di contestazione che, come vedremo, andrà perduto in seguito. Inoltre, legandosi al culto dell'arte, disegna il progetto di vita dell'esteta, che ha radici ideologiche (e filosofiche) chiaramente formulate.
Con la generazione successiva a Baudelaire, l'estetismo trova diversi modi di realizzazione. Verlaine e Rimbaud portano all'estremo il rifiuto antiborghese del maledettismo: lo dimostrano la loro fuga dalla Francia, la loro tumultuosa relazione omosessuale, il viaggio in Africa del secondo, come mercante d'armi. Se Verlaine dà dell'estetismo una versione ripiegata e malinconica, non priva di sensi di colpa nei confronti della morale dominante e, in specie, cattolica, Rimbaud ne rappresenta l'aspetto orgoglioso, vitalistico e autodistruttivo al tempo stesso. Verlaine e Rimbaud scavalcano dunque il dandismo e, in questo, sono i veri eredi di Baudelaire: come lui, vivono la ribellione contro la società borghese in modo radicale e per certi aspetti, tragico.
Il vero dandy, così come si delinea negli ultimi due decenni dell'Ottocento, conduce invece un'esistenza ben più tranquilla e in cui, ormai, la carica contestatrice e ideologica diventa sempre più ambigua. E’ quello che accade, per esempio, con un altro francese, Joris-Karl Huysmans (1848-1907), autore di uno dei romanzi centrali nella definizione di questa figura: A rebours (Controcorrente) (1884). Il protagonista, Des Esseintes, è l'ultimo discendente di una famiglia nobile, che si ritira in una villa dove si uniscono lusso e stravaganza. La contestazione, come si vede, viene meno nel momento stesso in cui il personaggio decide di ritirarsi a vita privata, diventando una specie di monaco di clausura della bellezza (una bellezza, in realtà, eclettica e bizzarra, tenuta insieme solo dal gusto personale). Per di più, Huysmans dipinge il suo eroe come un malato: Des Esseintes è dunque non solo un uomo che rifiuta la vita comune, ma un uomo rifiutato dalla vita sana e, per certi versi, un fallito.
La vita di Huysmans fu ordinata e tranquilla; non così accadde al vero campione del dandismo e dell'estetismo di fine secolo: l'irlandese Oscar Wilde (1854~1900). Wilde si scontrò con il perbenismo della società vittoriana, ma in modo molto ambiguo. In un primo tempo, infatti, ne fu insieme il critico e il beniamino; cadde in disgrazia solo quando, nel 1895, gli fu intentato un processo per omosessualità (considerata un reato) e fu condannato a due anni di lavori forzati. Il suo dandismo fu diverso sia da quello di Baudelaire, sia da quello propagandato da Huysmans: del primo non aveva l'aspetto ideologico, del secondo non condivideva l'aspetto solitario. Al contrario, per Wilde il dandismo fu una sorta di lancio pubblicitario. Presentandosi sulla scena pubblica come personaggio raffinatissimo e stravagante, egli assicurava notorietà e successo a sé e alla propria produzione letteraria. Del resto, anche la critica di costume prendeva per lo più la forma del paradosso: era cioè un'ironia neutralizzata dalla sua stessa eccentricità.
In Italia, il dandismo (di tipo baudelairiano) penetra con gli Scapigliati: anche qui, infatti, si accompagna al maledettismo. Gli Scapigliati stessi alimentarono la leggenda della loro generazione come una generazione di ribelli, di malati, di suicidi.
Ma il loro raggio d'influenza, se non la loro notorietà, fu piuttosto limitato. A prevalere, nello stesso periodo, fu un modello completamente opposto: quello di Carducci. Poeta, professore universitario, impegnato civilmente e politicamente, egli fu una specie di Victor Hugo italiano (scrittore, del resto, da lui ammirato). Anche se da principio sostenne opinioni politiche non maggioritarie (era repubblicano), con gli anni divenne monarchico. Carducci assurse così a poeta-vate, celebratore dei valori dell'Italia unita, senatore del Regno, per di più oggetto di riconoscimenti internazionali con l'attribuzione del Premio Nobel. In un paese come il nostro, reduce dalle lotte risorgimentali, e in cui la società di massa e lo sviluppo metropolitano dovevano ancora affermarsi, Carducci esprimeva lo spirito dei tempi. Egli dava un'immagine comunque tranquillizzante e autorevole della funzione intellettuale, legata all'idea umanistica e romantica dell'educatore, Il peso dell'eredità di Carducci fu così forte da agire anche su una personalità così diversa dalla sua come quella di Pascoli. Anch'egli, dopo una gioventù di simpatie socialiste (anche se in senso genericamente umanitario) e una maturità da rispettabile professore, si sentì in dovere di assumere il ruolo del poeta-vate, celebrando l'imperialismo italiano. Era la conseguenza del suo legame con un’Italia rurale o piccolo-borghese, ancorata ai valori tradizionali e, in particolare, alla famiglia.
Su Pascoli agì anche l'influsso di D'Annunzio, poco più giovane di lui ma già alla ribalta. In D'Annunzio le figure del dandy e del poeta-vate, dell'esteta e del profeta dei nuovi valori, del cultore della bellezza e dell'uomo d'armi si fondono. A differenza di Carducci e di Pascoli, egli si confronta realmente sia con la società di massa e le sue istituzioni politiche (fu anche deputato), sia con la vita della grande città (anche se in senso mondano più che metropolitano). D'Annunzio si atteggiò a maestro del gusto e il dannunzianesimo divenne una moda. Ma nel suo dandismo (vicino, in questo senso, a quello di Wilde) non c'era nessuna carica contestatrice reale: al contrario, esso rientrava in un'astuta politica di lancio pubblicitario della propria opera. Gli stessi scandali suscitati in gioventù avevano ben poco di eversivo: si limitavano alla banalità di qualche adulterio e a un smania erotica da dongiovanni ben poco trasgressiva. Il loro primo merito era di indurre i giornali a parlare del poeta, creando un caso e, quindi, promuovendo le vendite. In questo, d'Annunzio seppe usare benissimo i nascenti mezzi di comunicazione di massa.
La radice del dandismo, già, espressa chiaramente nel Piacere, era però il disgusto aristocratico per il «grigio diluvio democratico». Non si tratta più tanto di un'opposizione al mondo borghese, quanto di un'ideologia contraria all'ascesa politica delle masse. Le masse possono partecipare alla storia solo se guidate da profeti ardimentosi e ispirati: nella fattispecie, da D'Annunzio stesso. Il dandy e il poeta-vate partono insomma dallo stesso presupposto antidemocratico. Il mutamento rispetto a quanto era accaduto sino ad allora è dovuto proprio alle mutate condizioni politiche e sociali. D'Annunzio vive infatti nell'epoca in cui il liberalismo si trasforma in imperialismo (di cui egli si fa cantore) e nella crisi delle istituzioni liberali. Non a caso la sua oratoria, le sue mosse in disprezzo della legalità o degli accordi internazionali (come l'impresa di Fiume), la sua esaltazione dell'azione militare preparano la retorica di Mussolini e del fascismo. Il poeta-vate non è più, come con Hugo e Carducci, il poeta che vuole guidare la nazione in nome di ideali universalmente umani: è il demagogo che soggioga una massa disprezzata e creduta indegna di diritti politici. Sia il dandy sia il poeta-vate sono al di sopra della comune umanità, ma non ne possono fare a meno. D'Annunzio è impensabile fuori delle strutture della società di massa. Con lui dandismo e pose da vate confluiscono in una nuovo fenomeno: quello del divismo, che contemporaneamente si afferma nel teatro (è l'epoca di Sarah Bernhardt e di Eleonora Duse), nel melodramma e, in futuro, nel cinema e nello sport. Per quanto lontano sia dalla folla, il divo vive in sua funzione. L’età del dandy che disprezza la logica dell'utile e del denaro o del poeta-vate che si atteggia a profeta è del tutto tramontata: il divo ha alle spalle una vera industria, e il suo primo scopo è vendere, insieme ai sogni e alle illusioni che ingenera, se stesso.

4. I  generi letterari e il  pubblico:  la separazione e la specializzazione del linguaggio lirico in poesia
Il  fatto più significativo nel quadro dei generi letterari della seconda metà dell’ Ottocento è il successo e la diffusione di massa del romanzo. La modernità trascina sulla scena un mondo laico, quotidiano che trova nel romanzo realista e naturalista la sua piena espressione.
Nello stesso tempo, proprio perché il romanzo diventa il genere dominante, esso condiziona gli altri generi, introducendo anche nella poesia una serie di motivi realistici: in Italia, un poeta simbolista e raffinato come Pascoli rappresenta gli stessi oggetti e le stesse situazioni campagnole del romanzo verista. Ma anche in Francia Baudelaire pone al centro della sua poesia la vita cittadina, con una scelta realistica di ambienti (la folla, le prostitute, il mutamento urbanistico), non diversa da quella del romanziere suo coetaneo, Gustave Flaubert (Madame Bovary di Flaubert esce nello stesso anno di Les fleurs du mal [I fiori del male], il 1857).
E’  vero, però,  che sia Pascoli sia, prima di lui, Baudelaire fanno corrispondere poi a una materia quotidiana e realistica un linguaggio prezioso o raro. Si coglie qui una differenza fra generi che diventa anche differenza di poetiche e di pubblico.
Il romanzo realista di Flaubert e naturalista di Zola o di Verga fa ricorso a un linguaggio imitativo che rispecchia l'uso comune e "parlato" della lingua e punta perciò alla conquista di un pubblico medio; la poesia simbolista, che Baudelaire teorizza e Pascoli pratica, usa un linguaggio raffinato e analogico (non imitativo, dunque) che mira a comunicare sensazioni complesse e di difficile comunicazione, e si rivolge perciò a un pubblico tendenzialmente di specialisti o comunque di cultori esigenti. Nel secondo caso si realizza una specializzazione lirico-simbolica del linguaggio poetico che si trasforma in linguaggio distinto da quello della comunicazione. Ciò che lo caratterizza è la chiusura in sé: esso  non intende dare informazioni sulla realtà oggettiva, ma pone se stesso al centro dell'attenzione. Non sono le cose a sprigionare la verità o il significato, ma il linguaggio grazie ai suoi giochi, alle sue allusioni, alla sua musicalità. In questa trasformazione si esprimono anche la condizione di isolamento del poeta e la sua aspirazione a mutare la situazione di scacco e di condanna in un privilegio conoscitivo e in superiorità sociale. Così il processo avviato dal Romanticismo trova ora piena conferma: la poesia tende a identificarsi con la lirica, sino a diventare suo sinonimo.

5. Le poetiche : Baudelaire e le due linee  della poesia europea, simbolismo e allegorismo
Con Charles Baudelaire (i cui Fiori del male escono nel 1857) ha inizio la poesia moderna. Il poeta vive in una condizione di esclusione sociale e di estraneità, simile a quella dei narratori del Realismo. La poesia si trova di fronte a un bivio: o proietta il proprio bisogno di significato nella ricerca di corrispondenze con il tutto naturale, o rappresenta la realtà della scissione, della fine di accordo e di  armonia con il mondo, della trasformazione stessa della natura in una “seconda natura" artificiale. La prima strada è quella del simbolismo, la seconda è quella dell’allegorismo moderno.
Le due strade sono entrambe presenti in Baudelaire. Da un lato, infatti, egli teorizza le correspondances ("corrispondenze", titolo di una poesia di Baudelaire, che riassume la poetica del Simbolismo) fra i sensi umani e i vari aspetti della natura, e dunque propone una scrittura alogica che pone in risalto le analogie fra le cose e fra l'uomo e la natura o che intreccia fra loro i diversi stimoli sensoriali attraverso la figura retorica della sinestesia; dall'altro invece pratica l'allegoria come forma espressiva della scissione e dell'alienazione della vita nella realtà artificiale della moderna metropoli e quindi propone figure e apologhi narrativi che rispondono a intenti    concettuali e a ipotesi interpretative di tipo  razionale. La compresenza dì queste tendenze opposte ha una sua profonda ragione. Il simbolismo si pone per Baudelaire come eco di una «vita anteriore», di una civiltà passata in cui era ancora possibile un rapporto di partecipazione simpatetica fra l'io e la natura, e nel medesimo tempo, come aspirazione futura a un rapporto più organico fra l'individuo e il mondo. L’allegorismo nasce invece come  presa d'atto realistica della situazione attuale del poeta nel contesto o di una realtà devastata e alienante. Le due linee indicate da Baudelaire e compresenti nella sua poesia (seppure sotto il segno dominante dell'allegorismo) si scinderanno successivamente. Con il movimento del Simbolismo nato negli anni Settanta, il metodo dell'analogia, l’uso della sinestesia, la tendenza all'oscurità e  all’allusività, la consunzione in  musicalità dell'elemento semantico prevarranno nettamente, unendosi a ideologie esaltanti l’estetismo, la superiorità della poesia e la funzione sacerdotale del poeta. Solo con l’Espressionismo l'allegorismo promosso da Baudelaire tornerà attuale.

6. Dal Parnassianesimo francese e dal Preraffaellismo inglese al Simbolismo europeo: la poetica di Rimbaud, Verlaine, Mallarmé
Nel 1852 il poeta francese Théophile Gautier pubblica una raccolta di poesie Emaux et camées (Smalti e cammei) , improntata ad un ideale di compiutezza formale e di impassibilità stilistica. La sua lezione sarà presa a modello dai poeti parnassiani, attivi nel decennio 1866-1876. Il nome deriva da Parnaso, il monte sacro ad Apollo, dio della poesia. Il. gruppo pubblica tre raccolte di poesie con il titolo Le Parnasse contemporain (Il Parnaso contemporaneo), rispettivamente nel 1866, nel 1871 e nel 1876. Il programma dei parnassiani tende a un recupero di alcuni aspetti del classicismo rinascimentale e settecentesco, e a un'arte impeccabile e impassibile, che esclude sia l'emotività e il sentimentalismo, sia forme di impegno sociale e politico: anzi, l'autonomia dell'arte è ribadita con forza. Alcuni aspetti del Parnassianesimo (quelli classicistici) influenzarono in Italia Carducci e giunsero sino a Pascoli e D'Annunzio.
Nel 1876 l'esclusione dall'antologia  dei poeti parnassiani del poemetto di Mallarmé, L’après-midi d'un faune determina un caso letterario e sancisce la fine del movimento e l’inizio di una nuova tendenza, il Simbolismo. Negli stessi anni accadeva qualcosa di simile in Inghilterra. Nel 1848 era nata la Confraternita preraffaellita che promuoveva un ritorno all'arte neogotica, alla poesia dello Stilnovo e al culto di Dante della Vita nuova. Ma negli anni Settanta e Ottanta il movimento evolve verso l'Estetismo e il Simbolismo. Anche in Francia, dopo la dissoluzione della tendenza parnassiana, si andava coagulando verso il Simbolismo una serie di spinte diverse. Già prima del Pomeriggio di un fauno di Mallarmé (1876), Arthur Rimbaud (1854-1891) aveva espresso, nella Lettera del veggente del 1871, le basi della nuova poetica. Anche il lavoro di Paul Verlaine (1844-1896) stava andando nella stessa direzione. La nuova tendenza appare gia una realtà affermata nell'antologia del 1884 Les poètes maudits [I poeti maledetti], curata da Verlaine, in cui appaiono, fra gli altri, testi di Mallarmé, di Rimbaud e dello stesso Verlaine. Nasce così una poetica che dominerà largamente il periodo a cavallo fra i due secoli e che influenzerà tutta la poesia del Novecento.
Vediamo anzitutto quali sono i punti principali della nuova tendenza, la quale si rifà largamente alla poesia di Baudelaire.
Il poeta cerca un rapporto con il mondo grazie ai sensi anziché grazie alla ragione. Dalla rinuncia alla ragione deriva quella a un discorso fondato sulla logica comune e dunque a una piena comunicatività.
Da un lato, è attraverso uno sregolamento di tutti i sensi - diceva Rimbaud – che il poeta diventa un veggente impossessandosi di una verità oscura e infinita, ignota ai più; dall'altro questa verità, proprio perché oscura e infinita, è anche inesprimibile e può essere resa solo attraverso le allusioni, le suggestioni musicali, la magia della parola. Fra la parola e il mondo, fra la poesia e la verità si stabilisce così una perfetta coincidenza. La poesia non significa più il mondo, ma è il mondo. Dunque, non vuole più avere un contenuto chiaro e univoco, correlato a un universo di cose esterne, ma tende a sciogliersi in musica, come voleva Verlaine: il quale infatti sostiene che la poesia è anzitutto musica. D'altra parte, già Rimbaud, nel sonetto Le vocali, aveva teorizzato una poesia come arte eminentemente fonosimbolica, in cui cioè il suono assume un fondamentale valore evocativo e simbolico. Ovviamente una poesia come questa, proprio perché prescinde dalla comunicazione, tende programmaticamente all'oscurità.
I rapporti fra la percezione sensoriale e la natura inclinano a soluzioni mistiche o paniche, a una confusione vitale. Tendono perciò a essere esposti nella forma della metafora e in particolare della sinestesia (figura retorica molto amata e praticata dai simbolisti), e prediligono i procedimenti analogici che accostano aspetti diversi e in genere non comuni e che quindi bene si adattano a rendere le corrispondenze fra i sensi umani e gli aspetti della natura e, nella natura, fra i profumi, i colori e i suoni (si veda Corrispondenze di Baudelaire). Prevale, allora, il senso di una partecipazione mistica al tutto. La centralità della parola come magia, allusione, musica e l'assorbimento in essa del mondo, sino al suo completo annullamento come oggettività, comportano, da un lato un  estremo soggettivismo e individualismo e una valorizzazione non meno estrema  del poeta e dell'atto poetico che viene ad assumere un significato superiore e addirittura religioso, dall'altro una concezione della poesia come assolutezza, essa si presenta cioè come sciolta da ogni legame con il mondo delle cose e con quello della pratica e della morale comune.
Dal carattere del tutto soggettivo della poesia deriveranno fondamentali innovazioni formali, come il verso libero già praticato da Mallarmé. Dalla concezione “assoluta" della poesia nasceranno le teorie dell'autonomia estetica e della poesia “pura”, separata cioè da ogni preoccupazione civile, morale, comunicativa. Il poeta diventa un «veggente», appare dotato di capacità profetiche e in contatto diretto con l'assoluto. Di qui la tendenza della nuova poesia a porsi come religione; e di qui anche la tendenza all'estetismo (che, in fondo, è una sorta di religione della bellezza) che è una delle caratteristiche di fondo della civiltà del Decadentismo.
In Italia, nell'esperienza di D'Annunzio il simbolismo si risolve integralmente in panismo e in estetismo e non viene mai approfondito teoricamente. La poetica del Simbolismo trova più piena espressione in Pascoli nella prosa Il fanciullino (1897), ma in modi molto moderati e concilianti rispetto alla tradizione letteraria e allo stesso classicismo.

7. Il  movimento francese dei décadents e il Decadentismo europeo come fenomeno culturale e artistico; caratteri e limiti del Decadentismo italiano

Il movimento dei décadents (decadenti) nacque a Parigi nella prima metà degli anni Ottanta. Di Decadentismo si cominciò a parlare infatti in seguito alla pubblicazione di un sonetto di Paul Verlaine, nel maggio 1883. Esso iniziava con il verso «Io sono l'Impero alla fine della decadenza». Vi affiorava il concetto che la raffinatezza e l'eleganza sono proprie appunto delle epoche storiche di decadenza. E in effetti la nuova tendenza è caratterizzata dalla sensazione di un eccesso di civiltà e dell'imminenza di una catastrofe e, nello stesso tempo, dell'orgogliosa rivendicazione del valore positivo dell'artificio e della raffinatezza tipici delle epoche al tramonto.
Il Decadentismo francese si caratterizza dunque per la percezione di una svolta della storia, che si accompagna a un senso di estenuazione e di morte, a cui si unisce però «un'idea di nobiltà spirituale» (Hauser). Come movimento organizzato, si esaurisce rapidamente, e può dirsi estinto già nel 1890, sostituito dal Simbolismo, che era nato già negli anni Ottanta dalla scissione di quello decadente
Alcuni dei tratti del Decadentismo come movimento confluiscono nel Decadentismo come civiltà culturale e artistica, che fiorisce in tutta Europa fra il 1890 e i primi anni del nuovo secolo. Ne sono esponenti, in Inghilterra, Walter Pater, teorico della religione dell'arte, il poeta Swinburne e il poeta, drammaturgo e narratore Oscar Wilde; in Germania il poeta Stefan George; in Austria il poeta Rilke e il drammaturgo e romanziere Hofmannsthal; nel Belgio francese il poeta e drammaturgo Maeterlinck; in Italia Fogazzaro, Pascoli e D'Annunzio.
Come abbiamo visto, il Decadentismo come fenomeno culturale nasce dalla rottura nei confronti della filosofia di fine secolo e cioè dalla rivolta antipositivistica in filosofia (determinata dal pensiero di Nietzsche e di Bergson) e antinaturalistica in letteratura. Il termine venne usato all’inizio in accezione negativa, mentre oggi designa, in modo neutro, una particolare civiltà letteraria e artistica.
I tratti fondamentali del Decadentismo come fenomeno culturale e artistico sono i seguenti:
- Rifiuto del metodo scientifico e razionale e predisposizione ad atteggiamenti irrazionalistici, ispirati al sensualismo o al misticismo.
- Soggettivismo e individualismo. L’arte deve esprimere le sensazioni del soggetto, la sua vita interiore e sensuale. L’artista si presenta come un soggetto isolato ed eccezionale, dotato di valori aristocratici e raffinati che lo contrappongono alla volgarità della borghesia e della vita quotidiana. L’ artista si trasforma in dandy, che disprezza la massa e ispira la propria vita al gusto della distinzione e dell'artificio.
- La scoperta dell’inconscio. L’arte tende ad esprimere le associazioni profonde dell’io, la complessità dei sentimenti, e a collegare il mistero dell’anima a quello della vita stessa dell'universo
- Il ricorso al simbolismo, che è la poetica dominante del Decadentismo: di qui la prevalenza dei procedimenti analogici, la ricerca delle corrispondenze fra l'anima del soggetto e la vita dell'universo, il ricorso alla metafora e soprattutto alla sinestesia.
- L’estetismo e la religione dell'arte. I decadenti affermano non solo la autonomia dell'arte, ma la sua superiorità. Per sostenerne l'autonomia, diffondono la teoria dell’arte per l'arte, già elaborata dai parnassiani in Francia e da Walter Pater in Inghilterra: l’arte deve obbedire solo a se stessa, liberandosi da qualsiasi criterio estrinseco di natura morale, politica o sociale. Per sostenerne la superiorità, promuovono il culto della forma come parte integrante del culto dell'arte, intesa come pura Bellezza, ragione di vita, e vera e propria religione. La vita stessa deve ispirarsi a criteri unicamente estetici, e deve risolversi in arte.
- Una concezione del poeta come artefice supremo o come profeta e vate Poiché la poesia è concepita come rivelazione dell’Assoluto e il poeta è immaginato come il mediatore e il sacerdote di tale rivelazione. L’artista è un inventore e un creatore: non deve più imitare la vita, come facevano gli scrittori naturalisti, ma crearla.
Il Decadentismo italiano fiorisce soprattutto nel quindicennio 1890-19 05. Si afferma infatti a partire da Il piacere di D'Annunzio nel 1889 e da Myricae di Pascoli nel 1891, mentre la pubblicazione dell'Alcyone dannunziano nel 1903, dei Poemi conviviali di Pascoli nel 1904 e del romanzo Il Santo di Fogazzaro nel 1905, segnano il culmine ma anche la conclusione della parabola decadente.
Il Decadentismo italiano presenta caratteri specifici. Si differenzia da quello europeo per i suoi tratti spiccatamente umanistici e per il legame, ancora forte, con la tradizione classica. Di qui la ripresa da parte di Pascoli e di D'Annunzio di motivi tradizionali, quali quelli del poeta vate risorgimentale, e la tendenza a riproporre un ruolo protagonistico, anche in campo ideologico, della figura del poeta, che era invece improponibile nelle altre nazioni. Anche la capacità di approfondimento delle tematiche legate all'inconscio appare limitata.
Il Decadentismo europeo riprende le tematiche del primo Romanticismo tedesco e inglese, ma anche se ne differenzia. Riprende indubbiamente dal Romanticismo nordico l'individualismo, la tendenza al simbolismo e all'irrazionalismo, l’opposizione io-società. Mentre però il Romanticismo aveva fatto dei sentimenti e delle passioni la propria materia preferita, il Decadentismo sceglie un'area più profonda: quella dei pre-sentimenti e dell'inconscio (si ricordi che la psicoanalisi di Freud nasce all'inizio del Novecento).

8. Le interpretazioni del Decadentismo: il problema del giudizio di valore e quello della periodizzazione
Il termine "decadentismo" venne assunto in accezione positiva dal movimento francese dei décadents. In generale però fu usato in senso negativo, per indicare un periodo culturale di decadenza dei costumi e di corruzione artistica e morale. Questa accezione  negativa fu sviluppata da due grandi critici e filosofi, l'italiano Benedetto Croce e l’ungherese Gyórgy Lukács, che pure avevano impostazioni molto diverse,  idealistica il primo, marxista il secondo. Per Croce la letteratura italiana successiva a Carducci appare affetta dalla «malattia romantica», dalla «mancanza di fede» e dall'«impotenza di fare». Per Lukács, la letteratura naturalista e poi soprattutto quella decadente esprimono una incapacità di partecipazione alla vita che si traduce in un'arte che non sa essere realistica, non sa cioè cogliere la totalità dei processi storici, e si chiude invece o nel l'osservazione distaccata (il Naturatismo) o nell'individualismo e nell'evasione (il Simbolismo). Per Lukács il Naturalismo e il Simbolismo sono due facce di una stessa realtà di decadenza che riguarda la maggior parte della letteratura europea dopo il 1848. Sia nel giudizio di Croce che in quello di Lukács si nota una forte componente morale e politica che determina il giudizio negativo.
In Italia una svolta degli studi è stata segnata da Walter Binni nel libro La poetica del decadentismo, uscito nel 1936. Secondo Binni, occorre deporre ogni atteggiamento moralistico e considerare il Decadentismo come una civiltà artistica autonoma e distinta, dotata di caratteri propri. Il termine, insomma, deve essere usato in modo neutro. Esso designa un periodo storico, con una sua specifica cultura (caratterizzata, per esempio, dalla scoperta dell'inconscio), Successivamente uno studioso marxista, Carlo Salinari, ha studiato l'ideologia del Decadentismo italiano, mostrandone le connessioni politiche con la cultura dell'imperialismo ma cercando di salvarne i valori estetici. Dopo Salinari, è stato un altro studioso marxista, Arcangelo Leone de Castris, ad approfondire l'analisi dell'ideologia del Decadentismo, individuandola nel culto della letteratura e nell'esaltazione del ruolo separato e privilegiato dell'intellettuale. All'interno del Decadentismo, Leone de Castrís distingue però la posizione di Pirandello e di Svevo da quella di D'Annunzio: i primi due autori criticano infatti il privilegio dell'arte, privilegio che invece d'Annunzio ribadisce e amplifica.
Il problema del giudizio di valore implica a questo punto quello della periodizzazione. Se, come-afferma Leone de Castris, Pirandello e Svevo hanno una concezione dell'arte diversa da quella di D'Annunzio, è possibile considerare tutt'e tre questi autori come interni al Decadentismo?
Sia Croce e Lukács da un lato, sia Binni, Salinari e Leone de Castris dall'altro, considerano "decadente" tutta la letteratura del primo ventennio del Novecento (ma Croce e Lukács sembrano voler estendere la nozione di Decadentismo anche alle forme artistiche successive, sino a includervi buona parte del Novecento). Contro questa impostazione, si sono schierati Enrico Ghidetti, che vede nel Decadentismo un fenomeno limitato al periodo fra la fine del secolo e l'inizio del nuovo,  Romano Luperini e,  più recentemente, Paolo Giovannetti. Secondo questi ultimi studiosi, solo Fogazzaro, Pascoli e d'Annunzio possono essere considerati decadenti, mentre i poeti espressionisti e i narratori sperimentali, come Pirandello e Svevo, appartengono piuttosto alle avanguardie primonovecentesche: infatti restano estranei all'estetismo, al Simbolismo e alla concezione dell'arte e del poeta tipici del Decadentismo.” (Luperini)

L’estetismo consiste nel privilegiare la Bellezza quale valore supremo, da realizzare a ogni costo. Esso si incontra in ogni epoca, ma assume connotati organici e strutturati in forma ideologica soprattutto negli ultimi decenni dell'Ottocento; l'uso del termine in senso proprio è perciò oggi solitamente ristretto a indicare un aspetto del Decadentismo, legato alla teorizzazione dell'arte per l'arte (compiuta soprattutto dai  parnassiani), al culto della Bellezza e all'identificazione di arte e vita. Ponendo la bellezza al di sopra di tutto, l'estetismo rifiuta di rispondere ad altra morale che non sia quella stessa del proprio canone artistico. In Inghilterra sono riconducibili all'estetismo Pater e Wilde; in Francia, Huysmans; in Italia, D'Annunzio.

I termine "aura" viene dal lat. aura, che significa 'soffio', e infatti vale 'venticello’,'brezza'. Indica però anche l'emanazione magica o divina emessa da un corpo umano o da un oggetto. In quest'ultimo ambito di senso si parla di "aura" dell'arte per indicare il fascino e l'incanto che essa comunica e soprattutto la sensazione di sacralità che essa suscita. Tale carattere dell'arte tende ad attenuarsi nell'epoca della mercificazione estetica e della riproducibilità tecnica dell'arte quando essa è messa sul mercato e posta a disposizione di tutti attraverso produzione industriale dei libro, la riproduzione mediante fotografia o grammofono,disco, CD.
La parola "aureola" deriva dal lat., in cui essa compare come aggettivo del sostantivo "corona", nell'espressione aureola corona = 'corona aurea' (o d'oro). Infatti in lat. aureola è diminutivo femminile di aureus =  aureo, 'd'oro'. L’ “aureola" è il cerchio splendente posto intorno al capo delle figure dei santi, per significare la santità. L’ “aureola" dei poeti è la corona di mirto che tradizionalmente li incoronava. E dunque il segno del loro privilegio sociale, della loro sacralità, superiorità ed eccezionalità.

La parola "vate" viene dal lat. "vates" 'indovino'. Poiché gli indovini rilasciavano i loro responsi generalmente in versi, "vates" passò a significare anche 'poeta' e 'cantore.
In italiano la parola "vate" significa 'profeta' o anche 'poeta di alta e nobile ispirazione morale e civile',
Nel linguaggio critico, l'espressione“poeta-vate" si presenta in due accezioni diverse: se riferita alla letteratura italiana dell'Ottocento indica la funzione civile e ideologica dello scrittore romantico-risorgimentale (e di coloro che ne continuano la tradizione), il quale guida il processo storico e ne anticipa e profetizza gli sviluppi futuri; se riferita invece alle letterature romantiche nordiche e a quelle simboliste e decadenti europee, indica la funzione oracolare e sacerdotale del poeta, considerato interprete privilegiato e rivelatore dei significati profondi della natura e della vita. Nel primo caso, prevale l’aspetto civile e immediatamente pedagogico, nel secondo, quello mistico, religioso ed estetizzante. Queste due situazioni possono anche fondersi come accade alla fine dell’ 800 e all'inizio del ‘900 con Pascoli e D'Annunzio.
Si noti che in Italia il poeta-vate risorgimentale (come Foscolo o il primo Leopardi) aveva una sua precisa ragione storica, guidava un processo di lotta dall'esito incerto,  si batteva per sviluppi futuri di natura sociale e civile; viceversa, i poeti-vate dell’Italia  umbertina e giolittiana (Carducci, Pascoli e D'Annunzio) sono eminentemente poeti celebrativi: celebrano ciò che è già in atto o che si è già affermato. Di qui un rischio maggiore di retorica.

 

 

Fonte: http://digilander.libero.it/leo.eli/classe%20V_MATERIALI/MATERIALI_ITALIANO/LETTERATURA_PERCORSI/004_Simbolismo_e_Decadentismo.doc

Sito web da visitare: http://digilander.libero.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Simbolismo

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Simbolismo

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Simbolismo