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L'Evo Gotico Tipologie di Mobili Il reliquiario acquisì nel tempo sempre maggior ricchezza: plasmato in oro o argento, ornato da smalticloisonné o champlevé, impreziosito da niello o ageminato alla damaschina, rifinito a sbalzo e a traforo, a cesello o a bulino. Arche, pissidi, ostensori, calici e quant’altro in breve vide le proprie superfici ornarsi di svolazzanti pinnacoli, finestrelle archiacute, figure a tutto tondo, con una magnificenza senza pari. Questa rivoluzione ornamentale avviene agli albori del secolo XIII, determinando la fine della fase detta di Gotico Severo, ove la mobilia era ancora per lo più di tipo foggiato e priva di elementi ornamentali, per dar così luogo alla forma gotica detta di Stile Internazionale o Fiorito, la cui fortuna è dovuta in gran parte a mode veneziane, città ove fu possibile maturare un più stretto rapporto con la civiltà orientale, incline a rappresentare forme a stilizzazione floreale di singolare ricchezza. Solo sul fare del Quattrocento, si assiste all’introduzione anche nell’arredo lignario di elementi plastico-scultorei a tutto tondo, benché in Italia di norma si preferì la coabitazione tra ornato a intaglio e pittura. |
In puro stile gotico fiorito è il celebre coro realizzato da maestro Giovanni da Baisio nel 1384 nella chiesa di San Domenico a Ferrara, su commissione di Tommasina Guarmonti, moglie di Azzo d’Este. E’ questo nell’Italia settentrionale il più antico e meglio conservato apparato ligneo giunto ai nostri giorni.
Tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo trovò diffusione (è fu un fenomeno specificatamente italiano) la tecnica dell’intarsio mediante utilizzo di tessere lignee disposte a effetto geometrico. Sebbene questa tipologia ornamentale sia nota come tarsia alla certosina, deve con ogni probabilità la sua origine ad artigiani moreschi attivi in Spagna, poi costretti a emigrare in Italia e più probabilmente in terra lombarda.
Dapprima trovò impiego nell’arredo ecclesiastico, per poi diffondersi anche alla committenza profana, presso la quale fu di gran moda fino alla fine del XV secolo. L’arte dell’intarsio in questa fase storica è coloristicamente ravvivata dai soli effetti chiaroscurali che si ottengono dalla disposizione alternata di legni chiari e scuri, con ombreggiature poi rifinite a tecnica pirografica (annerendo il legno con un ferro rovente). Di quest’arte ci restano numerosi e insigni esempi, in particolare legati ai grandi cori a tutt’oggi visibili a decine. In periodo tardogotico, la tarsia si orientò verso mode veneziane-damascene, favorendo l’incrostazione di elementi eburnei, come nei celebri esempi di preziosi cofanetti dovuti alla bottega degli Embriachi.
Tecniche di Costruzione
La mobilia gotica è caratterizzata da una struttura massiccia, con parti lignee tagliate a forte spessore (solo agli inizi del Trecento ad Augusta fu introdotta la sega ad acqua, un’innovazione che permise l’esecuzione di mobilia di più leggere proporzioni in virtù delle mutate possibilità di tagli di circa 4-5cm.) con superfici a vista sgrossate a stondino e rese lisce dall’uso del vetro o della pietra pomice.
I legni utilizzati per l’ossatura e lo scafo furono generalmente il noce, la quercia, il castagno, allora reperibili in grande quantità, tagliati in luna calante e stagionati a lungo, espedienti che certo limitarono l’insorgere di tarlo attivo.
Le diverse parti lignee vengono assemblate lungo le pilastrate da incastri a coda di rondine di consistente dimensione, o trattenute da chiodature a bironcino ligneo transconico o più raramente con utilizzo di chiodature ferree (a testa quadra irregolare).
Mensole e ripiani interni sono fissati a scassi rifilati entro le superfici interne dei fianchi, con frequenza si osservano schiene che presentano le assi appaiate l’un l’altra grazie a innesti a maschio e femmina opportunamente predisposti, e ancora si è visto come più tipologie d’arredo venissero costruite con montanti verticali interni agli angoli che, nel loro prolungarsi verso il basso, fuoriuscivano formando i piedi, conferendo così al mobile una maggior difesa dall’umidità.
La colla nel mobile gotico non trova significativa applicazione se non per casuali applicazioni in cuoio o tela dipinta su parti lisce.
Il mobile infine è lucidato con olio di lino e cera.
Intarsio a Buio
Nell'introduzione alle varie epoche non si è mai citato questa tecnica che forse è la più emblematica dell'atto dell'intarsio; il perché dell'omissione è dovuto all'uso di questa tecnica costantemente in tutti periodi citati. In cosa consiste: secondo il disegno o la sagoma prestabilita si scava il legno di fondo per poi inserirvi tessere di legno o di altro materiale quali:avorio, madreperla, pietre dure, o metalli,che saranno uguali alla parte scavata sul piano da intarsiare. La Tarsia a Secco Una tecnica della tarsia è denominata a "secco", infatti anticamente l'intarsio poteva anche essere inserito a secco, senza l'uso delle colle. Questo tipo di tecnica fu usata per le tarsie a buio, perché solamente questo tipo di tecnica può essere adottata per un incollaggio a secco. |
Visto e considerato gli inconvenienti di tenuta di una incrostazione a secco, io consiglio di usare sempre la colla anche se otteniamo un intarsio preciso allo scasso, perché i legni usati per la tarsia, che devono essere diversi per policromia e quindi di diverso tipo di legno, col passare del tempo avranno un ritiro diverso l'uno dall'altro provocando inevitabilmente il distacco, o l'allentamento delle tessere nella sede.
La tarsia Certosina
L'uso della tecnica certosina ebbe la sua massima applicazione nel XIV e XV secolo. La definizione deriva dai monaci "Certosini" dell'ordine di San Bruno, che trassero questo stile decorativo probabilmente dal "Mudejar" spagnolo, a sua volta derivante da stilemi arabi e musulmani. L'uso di questa tecnica si sviluppo soprattutto in Veneto e Lombardia. Questo tipo di lavorazione era stato a lungo praticato nei paesi islamici ed arrivò in Italia verso la fine del medioevo. Pare che sia stata eseguita per la prima volta a Venezia che aveva appunto legami commerciali molto stretti con il Medio Oriente; infatti i disegni nell'imitazione italiana mostrano evidenti caratteristiche arabe.
La decorazione certosina si ottiene con due sistemi:
il primo consiste nell’utilizzare materiali di vario tipo, come avorio, madreperla, o vari tipi di legno sagomati a forma geometrica e presumibilmente incassati a secco (usando la tecnica a buio), nel piano interno, nel fronte e nei fianchi in genere di cassapanche nuziali.
La seconda tecnica è quella denominata a "toppo", che consiste nel prendere listelli di legno di vario tipo tagliati a poliedro, incollati, riuniti e costretti insieme da un cordino, a formare un parallelepipedo, il toppo, che veniva affettato in sottili lamine, che servivano a decorare riquadrature, piani, o fasce dei mobili.
La realizzazione della tarsia certosina Servono un’asse di legno massello su cui inserire l’intarsio ed una listra della essenza che si preferisce. Si riporta il disegno sulla listra con l’ausilio della carta da lucido e lo si ritaglia con un seghetto a traforo, facendo attenzione a non inclinare la lama del seghetto: è indispensabile tenerla sempre perfettamente perpendicolare al legno per evitare di ricavare dei tasselli imprecisi. Realizzare tanti tasselli quante sono le tessere del disegno, li si riporta sull’asse di legno massello e se ne tracciano i contorni con la matita. Si prepara lo scasso che ospiterà i tasselli, con scalpelli e sgorbie, con la massima precisione: se il lavoro viene eseguito bene non sarà necessario la colla per fissare le tessere di legno. Terminato l’intarsio, rifinire nel modo che si ritiene più opportuno optando per la lucidatura a cera o a tampone. |
LaTarsia Geometrica
Venne studiata intorno al trecento per ricoprire completamente gli oggetti da decorare.
Con questa tecnica la listra viene tagliata pezzo per pezzo e assemblata in base al progetto disegnato.
Il nome di tarsia geometrica deriva dal tipo di disegno ottenuto, che presenta decori molto squadrati e rettilinei
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La realizzazione della Tarsia geometrica |
Umanesimo
Dagli Anni Venti agli Anni Sessanta-Ottanta del Quattrocento
Ricerca del vero
Il susseguirsi di scoperte archeologiche che fin dagli inizi del Quattrocento permise di ammirare le vestigia di un mondo perduto noto a pochi eruditi, favorì l’insorgere di una diversa consapevolezza della storia e della spiritualità.
Con il diffondersi di una visione critica e incline al dato razionale, nel volgere di pochi anni entrò in collasso la concezione mistica che aveva permeato la dottrina teocentrica medioevale, e il Dio rappresentato nelle chiese e nelle cattedrali gotiche, assunse diverso significato per l’erede della romanità.
Si riscopre il valore sensuale del corpo, prima mortificato dal misticismo dell’eterodossia ecclesiastica, nel volgere di poco avviene l’impensabile: le arti figurative rappresentano la figura umana …. fino a poco prima il rogo sarebbe stato assicurato a chiunque avesse osato riprodurre una forma umana diversa dalla Trinità o da immagini di Santi.
La ricerca del vero sospinge l’homo novus all’alba della rinascenza a ricercare nuovi modelli estetici, riconoscibili nell’antichità classica, erede del rigore e dell’armonia della civiltà greco-romana. Nel contempo, si recupera una nuova relazione con il dato naturale, ora visto come spazio misurabile e riconducibile in scala e in prospettiva.
Nuova concezione artistica
La scoperta di trattati di epoca romana pazientemente trascritti dagli amanuensi nel silenzio delle abbazie certosine o benedettine, permise di riacquisire informazioni credute perse per sempre. Tra i molti codici che favorirono il diffondersi della cultura umanistico-rinascimentale, ebbe importanza decisiva il “De rerum architettura” di Vitruvio, un trattato dove la metrica e la prospettiva architettonica dei romani disvelò segreti destinati a rivoluzionare ogni concetto artistico. La caccia al codice antico divenne irrefrenabile: durante la prima metà del Quattrocento molti palazzi e innumerevoli tenute furono sacrificati pur di entrare in possesso di un qualche testo di epoca classica. Ne si può tacere il peso che ebbero la dottrina e le idee di Giorgio Gemisto Pletone (esposte al concilio di Ferrara del 1433) relativamente all’importanza dell’oriente bizantino e del paganesimo greco, idee che trovarono ampi consensi in Toscana e presso le corti di molte signorie italiane.
Altro elemento di rilievo è il verificarsi di un fenomeno del tutto nuovo: le mutate condizioni socio-economiche consentono alle grandi famiglie della borghesia mercantile di poter emulare il fasto delle grande aristocrazia.
Nuovi elementi decorativi
L’arredo ligneo di periodo umanistico è dunque profondamente intriso di valori classici, che si esprimono in primo luogo nell’adozione della metrica architettonica che già fu propria del mondo greco-romano.
Spariscono le linee spezzate o i motivi verticalizzanti per dar luogo a forme geometriche lineari, contenute entro piani ad aggetto modulare, con snelli cornicioni modanati su cinture ancora prive di cassetti, magistralmente bilanciate da basamenti a predella compatta e centinata. In un primo tempo la mobilia si veste di cornici lievemente centinate a riquadrare ante e lesene, solo in un secondo momento adotta nei cornicioni ornati a dentello o a ovulo e veste di elementi stilizzati lesene e pilastrate con capitelli e plinti a racchiudere motivi a colonna scanalata.
La nuova veste strutturale continua ad essere ornata da tarsie alla certosina che se già furono peculiari della mobilia trecentesca, nell’arredo quattrocentesco si evolsero dapprima in senso figurato per poi originare l’intarsio pittorico, la cui introduzione spetta a Cristoforo e Bernardino Canozi da Lendinara.
Già eredi di un’illustre e antica famiglia di magister lignamins, i Canozi sperimentarono un sistema ditintura del legno mediante bollitura, che trovò la sua prima applicazione nel coro della Basilica del Santo a Padova (1462-69).
Nella seconda metà del secolo, la tarsia raffigurata fu perfezionata con l’introduzione dell’elemento prospettico, una tecnica che trova il suo capo d’opera nello studiolo di Federigo a Urbino, la cui esecuzione, nel 1475, spetta massimamente a Francesco di Giorgio Martini e a Baccio Pontelli.
All’ornato a intarsio (eseguito in quest’epoca di preferenza con la tecnica a secco su appositi cartoni predisposti all’uopo) ben presto si affianca la presenza di decori a pastiglia dorata (tecnica nota fin dalla fine del Trecento).
Modellata a mani libere o entro appositi stampi. Questo tipo di ornato, composto da un miscuglio di gesso e colla apposta su un tessuto preventivamente incollato - ad esempio sulla fronte di un cassone - una volta lavorato a piacimento veniva dorato e brunito. La pastiglia si prestò con grande successo a reintrodurre elementi ornamentali a basso rilievo, tecnica scultorea che intorno al 1470-80 ritornò in auge anche aintaglio, sulla scia di mode veneziane, e fu preambolo indispensabile alle fortune che questa tecnica conobbe nel rinascimento.
Infine, esaminiamo brevemente il carattere che maggiormente fu distintivo e congeniale all’arredo quattrocentesco profano: la decorazione pittorica, che in Italia conobbe largo seguito fin dal Duecento.
In un primo tempo, fu il cassone a vestirsi di scenografie pittoriche di soggetto affine al nuovi gusti umanistici, ritratti realistici, novelle del Decamerone, episodi di vita amorosa e virtuosa, allegorie mitologiche, cortei nuziali, scenari di vita reale e ideale riquadrati entro partiture a rilievi in pastiglia o entro fregi architettonici, sempre dipinti a tempera con studiati effetti a trompe-l’oeil. Grandi nomi di pittori legarono la propria vicenda artistica alla storia del mobile, tra i molti: Paolo Uccello, Sandro Botticelli, Antonio Pollaiolo, Domenico Ghirlandaio, Jacopo del Sellaio, Filippo Lippi.
La pittura a tempera si prestò meglio d’ogni altra tecnica a risolvere le problematiche insite a riprodurre gli effetti delle leggi prospettiche, dal cassone quindi si passò a istoriare credenze, stipi, armadi, letti, generando una mobilia informata strutturalmente alle regole metriche già proprie del rinascimento, e tuttavia ornate con quel sublime naturalismo espressivo, la cui compostezza e armonia mai fu più eguagliata. Per più ragioni, potremmo affermare che l’Umanesimo fu colorismo-plastico, mentre il Rinascimento fu plasticismo-scultoreo.
Essenze in uso
La mobilia di questo periodo conosce un più esteso utilizzo di varietà lignee: noce, quercia, rovere e anche castagno, olmo, pioppo, abete, larice, leccio, cipresso. I tagli consentono spessori di circa 3cm, con assi spianate da segacci a due mani, poi lavorate da lame, sgorbie e pialle, per essere poi levigate a pietra d’agata o pelle di pescecane; generalmente le parti non a vista sono sgrossate con la sola sgorbia. In questo periodo si diffonde l’uso di servirsi di diverse tipologie lignee tra esterni, ossatura e parti dello scheletro. Spariscono dalle pilastrate anteriori gli incastri tra fronte e fianchi, ora più facilmente assemblati con chiodature (ancora a testa quadra irregolare) poi celate da paraste o cornici centinate, si verifica il fiorire di una forte differenziazione delle chiodature che assumono diverse misure in ragione della specificità a cui verranno preposte. Diviene normale l’impiego di colle animali.
A partire dal 1450-60, si diffonde l’uso di tornire la mobilia.
Le corporazioni, anche in questa fase storica, prevedono statuti che obbligano i legnaioli a realizzare arredi di tipo foggiato con tagli di legno a spessore unico, privi di cornici e listelli (idonee a celare giunture o placcature). Solo con l’avvenuto pagamento di una tassa di cinque soldi il marangone poteva operare assolvendo in appieno esigenze specifiche, legate al gusto della committenza.
Durante il Rinascimento il letto assume una forma definita: poggia su una predella nella quale vengono ricavate (sui tre lati) piccole cassapanche, è munito di testiera spesso finemente decorata e dipinta ed ha un alto baldacchino ricoperto di stoffe. Anche i cassoni vengono dipinti o decorati a pastiglia e quindi dipinti o impreziositi con pannelli a tarsie prospettiche. Tra gli artisti che si avvalsero di questa tecnica ricordiamo Fra Giovanni da Verona, il quale, alle dipendenze del papa Leone X e con la supervisione di Raffaello Sanzio costruì banchi, e librerie.
Alla corte dei Medici a Firenze, quando Francesco I (nel 1580) creò l'Opificio delle pietre dure,si sviluppò un particolare gusto per mobili intarsiati e incrostati di pietre preziose che condizionò anche gli arredi dei secoli successivi. Il mobile rinascimentale italiano fiorì in Toscana e a Venezia e fu "importato" in Francia, grazie a quel grande cantiere che fu la reggia di Fontainebleu, dove Francesco I e quindi Enrico II chiamarono alcuni tra i migliori artisti italiani (Rosso Fiorentino e Primaticcio).
Il tavolo "a fratina" (due solide gambe raccordate da una traversa che reggono una mensa rettangolare) già in uso nel Medioevo, si arricchisce di cornici, fasce e bassorilievi, Le sedie sono fornite di imbottitura fissa, il letto perde le predelle perimetrali mentre persistono le quattro colonne che reggono il baldacchino. Si assiste ad una ricca produzione di stipi decorati "a bambocci" cioè con busti e figurette.
Il palazzo nella nuova visione di vita |
Elementi decorativi
Con il Rinascimento la mobilia assume forme architettoniche, proporzioni perfette, si orna di decori disposti razionalmente, desunti dall’iconografica greco-romana. Sostegni e piedi scolpiti a foglia d’acanto o a zampa di leone compaiono almeno fin dai primi Anni Sessanta del XV secolo, se ne documenti il raffronto a Firenze negli stalli della cappella del Palazzo Medici-Riccardi, opera di Giuliano da Sangallo, ove peraltro si nota la precoce introduzione di parti a intaglio risolte a volute affrontate e annodate. Accanto a cassoni parallelepipedi ne compaiono altri a forma di sarcofago classico, con superfici scandite da metriche ornamentali rigidamente disciplinate entro lesene e cornici. Trionfa la novità dell’ornato a intaglio scultoreo desunto da vestigia archeologiche, stilemi decodificati e rielaborati in diverse armonie compositive disposte in alternanza di giochi di dentelli, ovuli, volute, girali acantiformi, loricature, strigliature, candelabre a grottesche, e rivive l’intero pantheon della mitologia pagana, a istoriare in particolar modo cassoni, che all’iniziale funzione di contenitore della dote nuziale subentra la nuova istanza di vero e proprio arredo da parata.
E’ bene ricordare che la mobilia sfoggiata veniva in genere riccamente impreziosita da doratura a foglia aurea. Nei primi decenni del Cinquecento tramonta definitivamente l’uso dell’intarsio alla certosina, benché anche nel Rinascimento questa tecnica abbia avuto grande rinomanza, basti pensare all’attività della bottega dei Tasso a Firenze.
Centri di produzione
Se il seme del nuovo germogliò a Firenze, in breve tempo maestranze itineranti toscane ne divulgarono l’esperienza nelle Marche, in Umbria e verso la fine del Quattrocento anche in area veneta, emiliana e lombarda è recepito l’universo figurativo rinascimentale, non senza eccezioni: tanto in alta Italia quanto nel meridione, radicate sopravvivenze gotiche determinarono nella mobilia una lunga coabitazione di entrambi gli stili. E’ certo nell’ambito delle corti ducali di Firenze, Urbino, Mantova, Ferrara, Milano o Venezia (dove si registra il più alto tenore di vita d’Europa) che prima l’umanesimo e poi il rinascimento conoscono momenti di gloria imperitura, tra queste mura vengono contese figure come Leonardo da Vinci, Benvenuto Cellini, Andrea del Sarto, Rosso Fiorentino e intere schiere di artisti il cui nome è scolpito a lettere d’oro nella storia dell’arte.
Il clima pagano finì per travolgere anche gli stessi ambienti religiosi: Raffaello popola le Stanze Vaticane con affreschi che inneggiano ai miti del monte Parnaso, nelle Logge esegue motivi a grottesche che evidenziano la conoscenza della scoperta dei resti della Domus Aurea.
Presto Michelangelo è attivo nella Cappella Sistina e vi realizza forse la più “pagana” tra le opere sacre: “Il Giudizio Universale”.
Tecniche di costruzione
Per quanto riguarda novità tecniche il Rinascimento in buona parte conserva le acquisizioni che già furono note nel Quattrocento. Certamente, oltre a elaborare un complesso organigramma ornamentale apporta talune modifiche sostanziali anche alla struttura del mobile: la base a predella tende a scomparire da credenze, cassoni e letti in luogo di piedi ferini o a mensola, piani e cornici tendono a presentare perimetri stondati da eleganti modanature, lungo la cintura di credenze e tavoli per la prima volta ora trova sede il cassetto, che presenta incastri a vasca. I ripiani interni ai mobili ora sono fissati alle parti montanti a mezzo chiodature, poi celate nelle parti a vista da cornici passanti.
Il concetto di metrica a forma tripartita favorisce l’applicazione di tre ordini di lesene e conseguentemente di tre ante, in luogo delle solite quattro o sei che caratterizzarono la mobilia dei periodi precedenti. Nel cassone la fronte ora è in monoasse, prima era generalmente a tre segmenti incastrati entro catene montanti. Non si notano dissonanze di spessore tra il XV e il XVI secolo, ma di certo l’amore nella rinascenza per l’intaglio scultoreo rese il legno di noce di gran lunga il più utilizzato dai carpentieri e dai mastri d’ascia. Intorno agli Anni Quaranta si osserva la prima comparsa di lastronature in radica sulla superfice a vista del mobile, dapprima diffusasi solo sulla fronte dei cassoni, a partire dal 1560-80, almeno per quanto concerne la produzione ligure, ne orna ogni specchiatura.
Si è inoltre notato che nel mobile cinquecentesco già si utilizza olio cotto per simulare effetti di colorazione brunita. Relativamente alla tecnica dell’intarsio alla certosina - il cui impiego si dilunga fino al quarto decennio del secolo – si osserva una maggiore attenzione nell’adozione delle leggi della prospettiva a visione centrale (perspectiva artificialis) con soluzioni che lasciano aperti sportelli e ante virtuali, destando l’impressione del casuale e del temporaneo. Vi si nota un elevato grado di astrazione, dove si rinuncia ad una vasta gamma cromatica in favore di poche sfumature coloristiche, in legno naturale o colorato in un bagno di olio di vetriolo o in acqua arsenicata. In genere, i fondi delle specchiature se in rovere venivano tinte a effetto ebano in bagni di macero di canapa.
L’origine del Manierismo è da ricercarsi tra Roma e Firenze. Le sue prime manifestazioni sono di ambito pittorico: con Pontormo, Beccafumi, i raffaelleschi ed in particolare con l’opera michelangiolesca. La tendenza manierista, rapidamente diffusasi in Italia, giunse dapprima alla corte di Francesco I a Fontainebleau in Francia, ove operarono numerose maestranze italiane, e finì per investire l’intera Europa, con un “internazionalismo” e una rapidità d’adesione che mai invece riuscì al Rinascimento. In questo periodo si verifica una compenetrazione tra arti maggiori e arti decorative applicate che non trova eguali nei secoli precedenti, domina il motivo “a grottesche”, si predilige il gusto per le forme inusuali e per i materiali preziosi, accresce l’interesse per soggetti desunti dal mito classico o da fonti letterarie, per le pose artificiose o ambigue, con un generale orientamento che più non rivolge il suo interesse per le forme della natura, come fu invece nel rinascimento, ma piuttosto alle opere insigni lasciate dai grandi artisti come Leonardo, Raffaello e Michelangelo.
Una delle caratteristiche che più colpisce del manierismo è l’infinita varietà di materiali pregiati che spesso coabitano sullo stesso manufatto, con tale sfarzo e ostentata opulenza che non conosce precedenti termini di paragone. Ciò trova naturale spiegazione nel generale fenomeno di rifeudalizzazione che interessa l’aristocrazia in tutta Europa.
Se prima la figura umana era parte integrante di un insieme ordinato, ora tende ad assumere funzione predominante, e in ogni tipologia d’arredo tale modificazione risulta evidente: le gambe dei tavoli emergono a forte aggetto scultoreo in forme antropomorfe, armadi, letti e cassoni presentano figure di mascheroni con effetto a tutto tondo, arpie, cariatidi, e altre immagini figurate acquistano proporzioni maggiorate, e una generale tendenza a ornare la mobilia di decori affollati e soverchianti complica il rapporto tra forma e ornato che a stento regge la squillante scenografia.
Dunque ancora dentelli, ovuli, foglie d’acanto, cornucopie, festoni, putti, rosette, medaglioni, erme, conchiglie, ma disposti in gran numero e con sfoggio di pompa magna. Esempi di autentico ipertrofismo decorativo ci giungono dallo scultore-intagliatore francese Hugues Sambin, mentre il paradigma nostrano di maggior evidenza è costituito dalla produzione ligure del secondo Cinquecento, il cui esemplare più tipico, lostipo a bambocci, presenta pilastrate interamente ricoperte da figurine ad altorilievo o a tutto tondo.
Lo straordinario impulso che ebbe l’oreficeria nel secolo XVI apportò anche agli arredi lignei notevoli modificazioni: alla tecnica dell’intarsio presto subentrò l’incrostazione, con tarsie in acciaio, madreperla, avorio, che culminò in Firenze con mobilia preziosamente ornata da commessi in pietre dure, si pensi al celebre tavolo Farnese oggi al Metropolitan Museum.
Il Manierismo fu il naturale bacino che permise al Barocco di diffondere le sue linee mosse e sovraccariche, anche se il passaggio dall’uno all’altro non fu ne univoco, ne repentino, e solo intorno al terzo decennio del Seicento si può osservare il definitivo tramonto della lezione cinquecentesca.
Tipicamente manierista è il grande mostro che si erge su zampe caprine sopra un piedistallo sorretto da due fauni illustrato qui a fianco. Il gruppo è modellato in stucco e si trova in una delle più fastose gallerie di Fontainebleau, il grande palazzo costruito verso la fine del 1540 a opera per lo più di specialisti italiani che avevano portato in Francia il gusto prevalente nel loro Paese.
Anche lo straordinario stipo qui illustrato, denuncia numerose caratteristiche manieriste: basti osservare le creature presenti su ciascuno spigolo, col loro collo allungato sopra una base a cartoccio terminante zampa di leone, e riflettere sullo strano aspetto generale che ricorda le bizzarre opere di Giuseppe Arcimboldo (1530- 93) e i suoi "ritratti" composti da frutta, uccelli e animali accorpati.
Fra i pezzi creati all'inizio del Cinquecento, c'erano armadi o stipi a due piani ed ad ante , destinati a sostituire quelli a giorno con mensole. Gli sportelli di questi mobili fornivano oltre a tutto ampi superfici atte ad accogliere vari motivi ornamentali. Ma anche la tecnica ebanistica conobbe dei miglioramenti. dovunque fu possibile si adotto infatti il giunto a coda di rondine, che rafforzò la struttura dei mobili. Il legno di noce cominciò ad essere preferito a quello di quercia , grazie alla variabilità delle venature e del colore, e anche alla sua lucidità particolarmente apprezzata dagli intagliatori.
Nel Seicento si accentua l'enfasi decorativa del tardo Rinascimento e del Manierismo: prevale l'elemento tornito e la pesante cornice mentre si fa grande uso di impiallacciature e tarsie. Grazie alla grande diffusione del libro a stampa, le librerie entrano a pieno titolo nell'arredo domestico e prende forma il divano, prima di allora praticamente sconosciuto: semplificando si può dire che lo stile barocco predilige le forme mosse e gli elementi arricchiti da ricche doratore o preziosi intarsi.
Il termine, deriva dal fonema barrueco spagnolo o barroco portoghese e letteralmente significa “perla informe”. Già intorno alla metà del Settecento in Francia era sinonimo di ineguale, irregolare, bizzarro, mentre in Italia la dizione era di memoria medioevale e indicava una figura del sillogismo, un’astrazione del pensiero. Ebbene, a partire dalla critica neoclassica e fino a non molti decenni or sono, si volle identificare questo periodo storico con il termine dispregiativo di “barocco”, riconoscendovi in esso stravaganza e contrasto con i criteri di armonia e di rigore espressivo cui si intendeva tornare sotto l’influenza dell’arte greco-romana e del Rinascimento italiano. “Barocco”, “secentista” e “secentismo” furono sinonimi di cattivo gusto.
Oggi, in tempo di revisionismo storico, si è ampiamente rivalutato questo momento storico-artistico, evidenziandone le peculiarità espressive e le grandi personalità che ne favorirono la diffusione, dal Bernini al Borromini, a Pietro da Cortona, con riferimento all’ambiente romano. Vi si riconosce l’inizio intorno all’anno 1630, allorché la Chiesa, trionfando sull’eresia, sentì la necessità di rappresentare la propria ritrovata potenza con fasto autocelebrativo. L’oratoria artistica si rivelò idonea a rappresentare l’inimmaginabile: scenografie complesse, sfondi incommensurabili, atmosfere turbinose e ultraterrene, prive di limite. Decorazioni e architetture di questo periodo ben esprimono il senso illusionistico dell’infinito: in contesto storico l’artista poté esprimersi con libertà e fantasia immaginifica, ed è pur vero che se in taluni casi si degenerò in vuota retorica, in altri l’arte si avvicinò alla poesia. In breve, il Barocco dalla città eterna dilagò in Europa, celebrando la Chiesa quanto la potenza dei principi, permeando tutte le sfere dello scibile artistico, fin nelle sue manifestazioni più modeste o popolari.
Per quanto concerne il mobile, libertà ideazionale, necessità di sfarzo e
virtuosismo originarono una sinergia destinata a produrre capolavori insuperati. I materiali dispiegati furono degni di competere con i più strabilianti racconti di Marco Polo: lapislazzuli, malachite, ambra, avorio, tartaruga, oro, argento, acciai, pregiate essenze lignee e altro ancora “vestirono” gli arredi che per forma e fantasia diedero vita virtualmente alle mille e una notte di molti potenti nostrani.
Tipiche del periodo furono parti portanti o accessorie risolte con motivi a colonna tortile, chiaramente ispirate al baldacchino berniniano di San Pietro, parti a ricco intaglio scultoreo ad altorilievo e finanche a tutto tondo entro un vortice di volute, cartocci e girali, profili curvi e spezzati, cimase agitate da timpani di articolata sagomatura, grembiuline adorne d’ornati, mensoloni, contrafforti e quant’altro d’uopo a movimentare forme e strutture. Nelle periferie artistiche s’inventa la scagliola, il cui primato spetta a Carpi, che emula con meno dispendio le strabilianti produzioni in commesso a pietra dura che in questi anni rendono celebre l’Opificio delle pietre dure fiorentino. Il barocco è peraltro il secolo dell’illusionismo: lacche e tempere magre affollano mobili e apparati d’arredo per imitare con la marezzatura effetti di venature marmoree o giochi di venature di radiche pregiate.
Maestri ebanisti e architetti come l’Algardi e il Bernini operarono in stretto rapporto di mutua collaborazione, intagliatori come il Brustolon o il Fantoni scolpirono il loro nome a lettere maiuscole nella storia dell’arte. Se il mobile profano conosce la sua epoca aurea, la produzione ecclesiastica non è da meno: cori, cattedre, canoniche, pulpiti, bussole e casse armoniche conoscono una ricchezza senza pari. La chiesa controriformata in questi anni introduce due nuove tipologie: l’inginocchiatoio e il confessionale.
Questa fase artistica conobbe lunga durata. Lo stile Luigi XIV, benché abbia vita a se stante, può a pieno titolo essere considerato come la germinazione più autorevole dello spirito che animò il Barocco.
Il Settecento, oltre ai tradizionale componenti d'arredo (il letto, il cassone, l'armadio, ecc.) offre una grande varietà di mobili "nuovi" dettati da più raffinate esigenze funzionali; vengono infatti costruiti scrittoi, angoliere, console, comode poltrone, trumeau, commode e cassettoni, che sembrano abbandonare l'enfasi e la solennità seicentesca per indirizzarsi verso dimensioni di maggiore intimità. Data la grande importanza e la spiccata caratterizzazione dei mobili creati per la corte di Francia, gli stili prendono il nome del re Luigi .
Nella seconda metà del secolo, anche per effetto di una riscoperta del mondo classico, si torna ad una sobrietà di linee e di colori. Ebanisti e intagliatori furono molto richiesti e ben pagati in questo secolo; l'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert documenta molto bene le botteghe dei maestri falegnami e degli ebanisti.
Stile Luigi XIV
Arredi Lignari
Tipologia di Mobili |
Sul finire del secolo bureau e trumeau ornavano camere da letto e sale intermedie, mentre i canterani, in gran numero, avevano finito per sostituire un mobile il cui lungo stato di servizio era ormai entrato in disuso: il cassone. Al suo posto,
lungo le sale o i saloni e disposte negli interminabili corridoi dell’abitazione signorile fan bella mostra di se cassapanche o credenze scantonate, il più delle volte laccate o marezzate. Pur nella minor ricchezza tipologica che caratterizza la coeva produzione francese, anche nell’Italia d’allora si assiste a un proliferare di nuova mobilia, dal comò mosso a balestra, a scrivanie di varia foggia, dalla Mazzarina alla San Filippo, si è inoltre diffusa la libreria, che condivide gli spazi con la credenza a doppio corpo, destinata a custodire sotto chiave i documenti meno accessibili alla numerosa servitù. Ebbene, ognuno di questi arredi mostra i segni dei tempi nuovi: sedie, tavole e console hanno piani o sedute lievemente sagomati, le gambe sono del tipo “a balaustro”, e sempre risultano raccordate da crociere movimentate a osso di montone. Dalle cimase di specchiere, ventoline, divani svettano motivi a intaglio nastriformi o a stilizzazione floreale, sempre rigidamente a stesura simmetrica, che talvolta sembrano conchiglie, o luminosi raggi solari o forse ancora lambrecchini, analoghi disegni si ritrovano nelle grembiuline di console, di sedili e finanche di bureau o di letti di particolare pregio.
Il motivo della mossa a linea spezzata domina incontrastato, su arredi destinati a qualsivoglia funzione e se il mobile è di pregio si può star certi che è in massello di noce di selezionata qualità o è lastronato a vista con radiche pregiate, ben disposte a effetto speculare, che in taluni casi sono intarsiate in forma floreale con essenze di acero o giallo paglierino, se non già ammantate da incrostazioni in avorio.
La mobilia di questo periodo, se di rappresentanza, è vistosamente dorata anche e fino a spessori detti “a buccia di patata”, o laccata (se di struttura in legno povero), se destinata a rango sociale elevato è di norma vestita da radiche e in taluni casi rifinita a intarsio. Verso la fine del Seicento le forme accentuano movimentazioni curvilinee “a balestra” e tendono a scantonarsi lungo i lati delle pilastrate, le forme sono in ogni caso ancora di rilevante ingombro volumetrico, peraltro adatte a grandi spazi abitativi, con alti soffitti a cui devono necessariamente uniformarsi.
Dal primo quarto del Settecento in avanti, si nota il manifestarsi di forme più raccolte, sempre più spesso la doratura e a foglia d’argento meccata. Gli incastri di parti montanti e in particolare nelle vasche dei cassetti diventano a doppia o a tripla coda di rondine. Il piede, può assumere la caratteristica foggia “a prosciutto” o continua genericamente la forma “a balaustro” o persiste nella tipologia a mensola sagomata, detta anche “a ciabatta”.
In ultimo, è bene considerare che in Italia, contemporaneamente alla piena diffusione del verbo romano o alle mode di epoca Luigi XIV, pur tuttavia si continuò per tutto il Seicento a produrre arredi lignari nelle forme lineari e tradizionali già codificate fin dal lontano primo Rinascimento: manufatti di sobria eleganza e di solida costruzione. Questo tipo di mobilia si riconosce grazie a una meno evidente citazione del lessico decorativo cinquecentesco, tende a scomparire il piede leonino in favore del piede a mensola o a plinto, le paraste o le lesene si liberano da intagli e presentano perlopiù svecchiature lisce riquadrate entro cornici, fianchi e fronte cominciano a vestirsi di formelle bugnate, i piani sovente presentano forte spessore, nei cassetti le vasche sono fissate con incastra a T o a doppia L, le chiodature nelle parti strutturali presentano testa a fungo o sul finire del secolo già hanno sviluppato la nuova foggia a farfalla aperta. L’uso di olio cotto nella seconda metà del Seicento è frequente. Le misure medie dei tagli al filo si aggirano intorno ai 2,5cm. Tra le poche concessioni che la mobilia di questa tipologia concede alle lusinghe del barocco, si riscontra l’applicazione di bulle o borchie in ottone, particolarmente diffuse in area emiliano-romagnola. Tipici nuovi arredi del periodo sono la madia e l’arcile. Certo la nota di maggior caratterizzazione è la frequente presenza di elementi quali montanti, gambe o traverse, a rocchetto tornito, sempre differenziato in ragione della stesura regionale.
Con questo termine si designa, per quanto specificatamente attiene alla mobilia, una parte della produzione eseguita in Italia nel periodo di tempo compreso tra l’epoca rococò e la prima fase del neoclassicismo. Si caratterizza per l’impianto formale e
decorativo ancora rigidamente in adesione ai dettami cari al periodo barocco (da cui il termine barocchetto) e alle mode Luigi XIV e tuttavia vi si colgono i nuovi tempi nell’adozione di volumetrie più contenute, moduli decorativi più eleganti, spesso direttamente ispirati alla moda francese, ma sempre eseguiti con rigorosi principi di simmetria ornamentale. Da taluni studiosi è definito il Rococò italiano, ma non me ne dico convinto, in ragione dell’evidenza che mobilia eseguita in Italia e limpidamenterocaille, non è certo rara a documentarsi.
La tendenza ad assimilare novità formali e volumetriche ma non a recepirne l’elaborazione ornamentale trova naturale spiegazione in Italia nel fatto che in questo secolo la grande aristocrazia conosce un irrefrenabile declino politico e economico. Se nel secolo precedente vi fu gran profusione di arredi destinati a ornare dimore di recente costruzione, per mostrare con orgoglio la potenza della famiglia committente, nel Settecento si bada piuttosto ad aggiornare il palazzo con la sola mobilia strettamente necessaria alle nuove esigenze imposte dalla moda o da necessità funzionali. Si mantiene il vecchio apparato scenografico e il nuovo non deve troppo contrastare.
Dagli Anni Quaranta-Cinquanta del Settecento agli Anni Venti-Trenta dell’Ottocento
Questo periodo storico comprende una prima fase propriamente definibile di Stile Luigi XVI. Solo in un secondo momento, con il maturare delle mode archeologiche, si formula e si codifica una nuova visione della civiltà d’arredo, ora compiutamente ascrivibile allo Stile Neoclassico. Nei fatti, entrambe le tendenze convivono all’unisono fino agli ultimi anni del Settecento.
A pieno titolo, in ambito di ebanisteria, rientrano nell’epoca neoclassica anche gli stili Direttorio, Retour d’Egypte, Consolare e Impero.
dagli Anni Sessanta agli Anni Novanta del Settecento
Lo stile Luigi XVI precede di molti anni l’avvento al trono del sovrano da cui deriva il nome. Il germe che innesca il fenomeno del Neoclassicismo è da ricercarsi nel rinnovato interesse per la cultura classica dovuto al grande clamore che in Europa suscitarono i reperti archeologici riportati alla luce negli scavi di Ercolano e Pompei, rispettivamente nel il 1738 e il 1748. La stessa corte di Francia, partecipa alla diffusione di oggetti riecheggianti l’antichità fin dall’ultimo periodo del regno di Luigi XV. Madame de Pompadour e la Du Barry partecipano attivamente alla diffusione del nuovo gusto, che tra i suoi vati trova in Bachelier un valente animatore.
La rinnovata prevalenza della compostezza delle forme geometriche che caratterizzano la mobilia di epoca neoclassica, viene accolta come un salutare antidoto alle formulazioni più libere e capricciose imposte dai dettami Rococò, ormai degenerato in rutilanti esercizi di bizzaria. Il passaggio dal “genre pittoresque” al“gout grec” non trae origini da scelte esclusivamente formali, ma piuttosto da un preciso orientamento ideologico in base al quale la civiltà greca e quella romana assurgevano a paradigma di ogni perfezione etica a estetica.
E’ bene considerare fin da subito che per ciò che riguarda le arti decorative, lo Stile Luigi XVI non si traduce in mere imitazioni: la fantasia dell’artista opera libere interpretazioni desunte dagli esempi del mondo greco-romano, etrusco o egizio, da cui solo la metrica architettonica viene riproposta con stretta osservanza. In tal senso, si osservi come solo a partire dagli anni Settanta-Ottanta in ebanisteria si assiste al tramonto della fioriturica pittorica a intarsio, in favore di modelli a prevalenza di ornato geometrico. Nel campo di nostro specifico interesse gli inizi dello stile Luigi XVI datano intorno al 1765. Già nel testamento della Pompadour trovano prima menzione “commodes à la grecque”. Ma si tratta di una tendenza ancora non consolidata, tanto da poter affermare che solo agli inizi dell’ottavo decennio si nota una generale inversione di interesse per l’ancor predominante gusto rocaille, e se le linee strutturali del mobile tendono a irrigidirsi, non di rado l’ornato risulta ancora movimentato se non ridondante, si pensi al frequente uso della tarsia ancora disposta in florilegi ricchi di essenze lignee esotiche. Fino alla fine degli Anni Ottanta si è dunque ancora ben lungi dal verificare un’adesione incondizionata all’austerità classica (di fatto, fin quasi alle soglie della Rivoluzione mai verrà meno l’influenza del gusto rocaille).Tuttavia, già intorno al 1775 trova sempre maggiore consenso un arredo improntato a un gusto più semplice e sobrio, anche se sempre di raffinata esecuzione e attento ai più minuti dettagli, caratterizzato per il rigore geometrico dell’ornato e per la nitidezza dei volumi.
Viene dunque a maturare un arredo connotato da un’estrema eleganza e di virile austerità, come nel felice esempio del castello di Bagattelle del conte d’Artois, terminato nel 1777, dove anche nel mobilio si coglie il disegno dell’architetto Bèlanger. Il rigore lineare esita mobilia incline all’astrattismo e al protofunzionalismo. In Italia, lo stile Luigi XVI trova naturale diffusione, e anzi si potrebbe dire che da luogo a una tipologia del tutto peculiare. La mobilia tende nella norma fin dagli anni Sessanta-Settanta ad adottare struttura lineare e solo nell’apparato decorativo (di norma risolto a intarsio) denuncia attardamenti che rimandano ancora a mode di epoca rocaille.
Di preferenza si ama utilizzare legni a colorazione bruno-chiara, come il ciliegio e in generale le lastronature di frutto: si predilige demandare all’intarsio o alle filettature effetti chiaroscurali di maggior contrasto tonale, per i quali viene frequentemente utilizzato il bosso, il noce, il palissandro o il bois de rose.
Campania, Toscana, Emilia e Lombardia sono le regione che riescono a esprimere un’elevata scuola d’ebanisteria, che in taluni casi assurgono a fama europea, con artisti destinati a legare il proprio nome alla storia dell’arte, si pensi all’esempio di Giuseppe Maggiolini. Il Luigi XVI italiano rimarrà sempre legato alla produzione di complementi d’arredo specificatamente orientati alla tipologia a intarsio. Si tratta di mobili di dimensioni ben proporzionate, sorretti dalle caratteristiche gambe a piramide troncoconica (detta anche “a spillo”), vestiti da lastronature ancora a forte spessore, e dalle specchiature del piano, dei fianchi e dei pannelli centrati da eleganti decori a valenza geometrica o di più elaborata iconografia archeologica, dove l’intaglio solo raramente giunge a lambire parti come le pilastrate o la grembiulina. La mobilia di maggior diffusione è la comode e il tavolo-consol.
L'Ottocento conosce una varietà di stili e di mobili che non ha precedenti: lo stile Impero, lo stile della Restaurazione, il Luigi Filippo, lo stile Neogotico, quello Neorinascimentale, l'Eclettico il Moresco. Tanta ricchezza di stili tra loro diversi sembra nascondere una grave povertà di idee, tanto che la vera novità del secolo non sta in uno stile ma nel rivoluzionario modo di concepire, progettare, costruire e commercializzare il mobile stesso: alla vecchia bottega artigiana con maestro e gli apprendisti, si affiancano le prime officine e le prime fabbriche di mobili al cui interno si impone una sempre maggiore divisone del lavoro: c'è chi progetta (nasce così il design) chi intaglia, chi curva il legno a vapore, chi si occupa della pubblicizzazione e della commercializzazione dei mobili.
In questo senso è significativo quello che ormai viene definito il "caso Thonet": partito da un piccolo laboratorio nel 1819 Michael Thonet, fondò quindi la Gebrüder Thonet, un'industria che produceva 4.000 mobili al giorno e vendette 50 milioni di pezzi in poco più di quarant'anni, tra i quali il mitico modello 5, la tipica sedia in legno curvato (vedi fig. 8 in IV di copertina).
Origine del Neoclassicismo |
Lo stile neoclassico del Mobile Italiano
Con il diffondersi del “verbo archeologico”, anche gli arredi tendono ad assumere una rinnovata veste ornamentale. Tale novità ben si riconosce nell’affollarsi sulle superfici , per lo più lineari, di elementi plastico-scultorei in omaggio all’architettura classica: protomi, divinità, bucefali, clipei, strali, rosette, fregi militari, motivi “a candelabra”, foglie d’acanto, modanature classiche, greche, pigne, perle, medaglioni, ovuli, rosoni e l’intero “pantheon decorativo” greco-romano prende ad ornare le parti strutturali ponendosi “in polemica” con le ultime esasperazioni del Barocchetto . Il nuovo stile compare in Italia senza assoluta omogeneità, secondo canoni rigidi e invalicabili, quanto piuttosto secondo interpretazioni diverse e fra loro dissimili seppure riconducibili alla stessa matrice originaria. Spesso infatti gli artisti del legno ne diedero una libera interpretazione, specie nei primi anni, fra il 1765 e il 1775, con mobili intagliati e intarsiati che presentavano forti esitazioni a “raddrizzare” le loro curve.
Un mirabile esempio di Neoclassicismo Italiano :
Il mobile Intarsiato di Giuseppe Maggiolini in Lombardia.
Milano fu uno dei maggiori centri del Neoclassicismo Italiano: alla sua affermazione contribuirono artisti del calibro di Giuseppe Piermarini (1734-1808), incaricato ad esempio del restauro di Palazzo Reale nel 1769; Giuseppe Albertolli (1742-1839), collaboratore del Piermarini; il pittore Giuseppe Levati (1738-1828).In questo fervore di rinnovamento vennero rimodernati gli arredi di molti palazzi signorili con “pezzi” neoclassici di altissima qualità e perfetto equilibrio formale, prodotti nelle migliori botteghe lombarde. Intaglio, laccatura, doratura, tecniche poco usate negli anni precedenti, giunsero ora ad eguagliare le raffinatezze liguri e piemontesi. Ma il Neoclassicismo lombardo trova nell’arte dell’intarsio la sua espressione più tipica e preziosa, in particolare nel’opera di Giuseppe Maggiolini (1738-1814).
Figlio di un guardaboschi ossia “camparo” del convento cistercense di S. Ambrogio a Parabiago, Giuseppe Maggiolini imparò a lavorare il legno nel laboratorio annesso al convento. Rimasto orfano verso i vent’anni e poverissimo, aprì una sua bottega dove eseguiva mobili semplici ma di fattura accuratissima, decorati con motivi intarsiati. Don G.A.
Mezzanzanica, un sacerdote figlio di un allievo del grande ebanista, ci ha lasciato una sua piccola biografia nella quale, tra l’altro, é raccontato il leggendario inizio della sua brillante carriera.L’episodio dovrebbe risalire al 1776, quando il pittore Giuseppe Levati e il marchese Pompeo Litta, passando dalla piazza di Parabiago diretti a Lainate, nella villa del marchese alla quale stava lavorando l’illustre pittore, videro alcuni mobili, esposti sulla strada davanti a una bottega, forse per asciugarne la lucidatura. Il Levati volle fermarsi per esaminare quei mobili di cui ammirò la linea elegante, l’esecuzione accurata, e volle conoscere il geniale artefice.Giuseppe Maggiolini fu invitato così a Lainate per ricevere i disegni per un “cumò”: riuscì a creare qualcosa di bellissimo che il pittore portò a Milano e fece ammirare ai suoi numerosi amici e clienti.
Altri pittori allora in voga vollero fornirgli i loro disegni per mobili e il Maggiolini rapidamente divenne il Maestro ebanista preferito dalle nobili famiglie milanesi e lombarde: Melzi d’Eril, Borromeo, Trivulzio, Scotti, Sannazzaro, Andreani, d’Adda, Belgioioso, Annoni, Ala Ponzoni, Castelli, Visconti di Modrone, Resta, Pizzoli, Milesi, Rosales, Morigia, Pallavicini, Cusani, Castiglioni, Parravicini, ... . Fu ammesso inoltre a lavorare per la Corte dell’Arciduca Ferdinando, governatore della Lombardia per conto di sua madre, Maria Teresa d’Asburgo, imperatrice d’Austria. Per la Corte Maggiolini non lavorò solo come “mobiliere” ma anche come “parquetterista” realizzando ricchi e complicati pavimenti in legno intarsiato molti dei quali purtroppo andati distrutti a seguito dei bombardamenti del 1943.
Per i suoi intarsi si é calcolato che abbia adoperato 86 qualità di legno, sfruttandone tutte le varietà di tinte senza mai ricorrere alla colorazione artificiale. Sapeva ottenere l’ombreggiatura dei particolari immergendo i minuti pezzi di lastronatura nella sabbia arroventata. Lavorava sempre sul fusto di noce; i suoi intarsi hanno uno spessore minimo di 2 millimetri e una precisione impressionante nel contorno; le superfici sono per lo più lisce e sono rarissimi gli esemplari che presentano motivi intagliati in rilievo. Preferiva dedicarsi a mobili che offrissero ampie superfici lineari per realizzare veri e propri “dipinti” in legno. Per questo motivo rarissime sono le sue sedie o poltrone che non offrivano spazi sufficienti per la decorazione intarsiata.A parte le prime opere, fino al 1770, nelle quali le linee lievemente mosse sono ancora influenzate dal gusto del Barocchetto, le successive mostrano chiaramente la nuova linea neoclassica: sostegni piramidali o troncoconici, “motivi a candelabra” sulle lesene, facciate piatte e piani rettangolari decorati a trofei, corone, medaglioni, volute di foglie d’acanto, festoni e girali, tralci di vite, figure mitologiche greco-romane.
Fra le opere definibili come sicuri capolavori va ricordata la monumentale scrivania realizzata per l’Arciduca Ferdinando.
Gli é invece solo attribuito un tavolino da letto con colonna unica e piano inclinabile, retto da un braccio snodato per l’Arciduchessa Beatrice.Il periodo che va dal 1780 al 1796 segna l’apoteosi del mobile di Giuseppe Maggiolini, nominato ufficialmente ebanista delle L.L. A.A. R.R. . E’ il periodo dei suoi capolavori più indiscussi.
Nel 1796 gli austriaci lasciano “temponareamente” Milano per l’arrivo delle truppe francesi guidate da Napoleone e l’attività di Maggiolini attraversa un periodo di grave crisi, passa cioé di moda. Ma nel 1805 quando Eugenio di Beauharnais fu nominato Governatore a Milano e in occasione dell’incoronazione di Napoleone a “Re d’Italia”compie un vero e proprio miracolo: gli fu commissionata una scrivania uguale a quella realizzata anni prima per l’Arciduca austriaco ed egli dovette eseguirla in una settimana perché i due mobili fossero collocati “en pendant” ai lati del trono. Nonostante questo straordinario episodio, però, la sua attività era ormai in declino: pochi clienti commissionavano ancora mobili intarsiati preferendo ad essi la nuova moda dello “stile imperiale” ma Giuseppe Maggiolini non si piegò mai alla trasformazione “bonapartista” dello stile Neoclassico. Continuò comunque a lavorare fino alla morte che sopraggiunse nel 1814 con il figlio Carlo Francesco cui lasciò la bottega e pochi altri allievi fra i quali Giovanni Maffezzoli, Vincenzo Cagliati, Gaspare Bassani e Cherubino Mezzanzanica che alla morte di Carlo Francesco ereditò tutto, compresi i disegni e i modelli per i famosi intarsi.
Se pochi furono gli allievi, innumerevoli invece gli imitatori in ogni tempo!
Il maturare delle tendenza già introdotte durante lo Stile Luigi XVI, gradualmente portò all’insorgere di una produzione più improntata a un’aderente riproposizione di arredi in marcata adesione al repertorio archeologico. Alla base di questo fenomeno sono da ricercarsi testi a stampa che trovarono larga diffusione a partire dagli scavi di Pompei e Ercolano. Per quanto concerne la pubblicistica ispirata al mondo greco, le descrizioni dei monumenti edite da R. Dalton (1749, 1751-52) a cui seguirono quelle di Le Roy (1758), Stuart e Revett (1762) e di Choisel-Gouffier (1782) influenzarono profondamente il gusto del tempo, mentre il mondo romano trova felice epigono nel veneziano G.B. Piranesi, che da Roma rivendica il primato architettonico dell’Urbe nella sua “Magnificenza ed Architettura de’ Romani” del 1765. Il Piranesi, incisore e architetto, ebbe immenso prestigio in Europa e il suo studio in via Lata divenne meta d’obbligo per artisti ed eruditi del tempo, per l’ultima volta nella sua storia, Roma tornò ad essere capitale delle arti. L’anno precedente J.J, Winckelmann pubblica la sua “Storia dell’arte presso gli antichi”, un testo che divenne una sorta di bibbia dell’estetica Neoclassica. Infine, la pubblicazione tra il 1762 e il 1779 in sei volumi illustrati delle “Le pitture antiche di Ercolano” concorsero alla definitiva definizione del gusto neoclassico in senso archeologico.
Con il diffondersi del verbo archeologico, anche gli arredi tendono ad assumere una rinnovata veste ornamentale, una novità che ben si riconosce nell’affollarsi su superfici - che certamente permangono lineari, tonde o ovali - di elementi plastico-scultorei in omaggio all’architettura classica. Protomi, divinità, bucefali, clipei, strali, rosette, fregi militari, motivi a candelabra, foglie d’acanto e l’intero pantheon decorativo greco-romano prende a ornare parti strutturali come pilastrate, cinture e crociere. L’amore per l’ornato a intaglio introduce una nuova tipologia di gamba, quella a unicorno o a faretra scanalata, che diverrà uno degli emblemi-firma della mobilia neoclassica e verrà definita gamba “a consolle”. La consol da parata sarà l’arredo di gran lunga più alla moda in questa fase storica (gingerà fin quasi verso la fine del secolo nella foggia a gambe raccordate da traversa a mezzo di dadi montanti), insieme a un gran numero di sedie, poltrone e divani che allietano gli incontri mondani della società bene permeata dal razionalismo degli “enciclopedisti”. Le sedie da parata (o meublant), destinate alle pareti, presentano il caratteristico schienale diritto à la reine, mentre sedili meno voluminosi sono disposti al centro della stanza, e vengono detticourrants perché all’occorrenza facilmente spostabili. Divani e bergerès di norma montano gambe ribassate e solo con l’ausilio di comodi cuscini ricolmi di piume si riguadagna l’altezza di sedie e poltrone. Già nel 1768 l’ebanista Delanois consegna al conte d’Orsay delle poltrone a schienale ovale e gambe scanalate, destinate a incontrare grande fortuna tipologica nei decenni a seguire. Particolare favore viene accreditato alla scrivania a vista, detta bureau-plat, che assurge quasi a status simbol del periodo e se è opera di un maestro attivo in centri rinomati, sarà certamente provvista, di vani segreti o piani di fuoriuscita per consentire l’estensione del piano scritturale o l’appoggio di oggetti e candelabri.
La commode conosce grande successo e diviene il mobile principe della casa di epoca neoclassica, spodestando in importanza perfino il trumeau che in epoca Luigi XV era stato l’arredo principe, perfino la credenza opportunamente trasformata, acquista le sembianze della commode. I colori degli arredi sono di preferenza il bianco, il giallo paglierino e l’oro, sebbene anche il rosso pompeiano, l’azzurro indaco e il verde pallido non manchino di sortire la preferenza della committenza. In questi anni la mobilia laccata conosce una così capillare diffusione da non trovare poi in periodi successivi momenti di auge così perentoria. Anche in questa fase si accorda gran favore all’uso del piano marmoreo, con larga preferenza al bianco di Carrara.
In Italia ogni tipologia prodotta dall’irrefrenabile fantasia degli ebanisti parigini conosce vasta diffusione, con soluzioni che talvolta divengono personalissime se realizzate da maestri di prima grandezza come Giovanni Maria Bonzanigo, mobiliere della corte sabauda a Torino. Piemonte, Milano e Napoli sono centri dove si esegue mobilia di alto livello. A Venezia, il fenomeno neoclassico giungerà tardivamente, intorno al 1785, e mai riuscirà a svecchiarsi di taluni retaggi rococò, come intagli e linee curve che mai mancano di arricchire spalliere di divani, cimase o braccioli. Nel nostro paese le tecniche costruttive in questo periodo non rilevano particolari novità tecnologiche, tagli lignari, incastri e chiodature rimangono pressoché immutate rispetto a quelle già in uso durante il Luigi XV. Nell’ultimo quarto del Settecento tuttavia si segnala la scomparsa della serratura a scatola aperta, in favore di tipologie con il rotismo innestato entro scasso. Mentre in Francia nella seconda metà del XVIII secolo il mobile sviluppa tecniche e tecnologie per molti versi simili a quelle moderne, l’Italia continua a denunciare una pesante arretratezza industriale, solo controbilanciata dall’estro di maestri che ancora onorano la grande tradizione dell’artigianato d’arte. |
Stile Retour d'Egyptedal 1798 al 1815
Questo stile ebbe larga eco in Francia e in Europa e origina dalla fulminea e fortunata campagna militare dell’ancor giovane generale Bonaparte in terra d’Egitto, nel 1799. La moda delle “egizianerie” aveva già in Italia trovato un precedente interprete nell’incisore Giovan Battista Piranesi, ma la vasta diffusione che ebbe anche nel mobile l’ornamento egiziano trova il principale trampolino di lancio con la pubblicazione nel 1802 del “Voyage dans le Basse et la Haute Egypte pendants les campagnes du Général Bonaparte” di Dominique Vivant Denon, il barone-egittologo che seguì con uno stuolo di artisti-disegnatori il futuro imperatore nella terra dei faraoni, copiando diligentemente ogni vestigia archeologica che fu loro possibile fissare nella carta. Stile Consolaredal 1799 al 1804 |
Stile Impero |
L'Impero in Italia
In Italia, benché il fiorire di mobilia in sintonia al gusto Impero francese abbia di fatto conseguito una penetrazione capillare e trasversale giungendo ad arredare l’abitazione di ogni strato sociale, si rileva un’arretratezza tecnica che in più casi non consente di differenziare esemplari costruiti tra gli Anni Settanta-Ottanta del Settecento se raffrontati a esemplari realizzati tra gli Anni Trenta dell’Ottocento. Preciso fin d’ora che lo Stile Impero italiano conobbe una vita straordinariamente lunga, tanto da essere continuativamente realizzato fino al 1850 e oltre.
Ebbene, nella nostra penisola per tutto il primo quarto dell’Ottocento si continuò a vestire gli scheletri dei mobili con lastre di radica (in noce e solo di rado in mogano), i tagli lignari continuano ad essere effettuati con seghe ad acqua o manuali, le schiene continuano ad avere fasciame ad assicelle verticali, solo rarissimamente si segnala presenza di controsoffitti, le serrature sono ancora del tipo a ferro forgiato, con scatola larga e sarrata, le guarnizioni metalliche sono in ottonella stampata entro calchi lignei e poi rifinite a mano o godronate e lievemente lumeggiate a oro, di gran lunga meno costose delle preziose finiture francesi.
Nondimeno la mobilia realizzata in Italia è comunque di ottima fattura, e in taluni casi si segnala per qualità elevata, come nei casi di Lucca (dove era attivo l’ebanista Youf alla corte di Elisa Baiocchi Bonaparte), di Parma e Piacenza.
Quadro storico
La luminosa traettoria, segnata dalla meteora napoleonica, dura circa un ventennio, include nel suo breve arco i periodi del Direttorio e del consolato, prima di giungere alla proclamazione dell'Impero.
Mentre lo stile Luigi XVI si è ispirato alla Grecia e il Direttorio si era rivolto ai motivi più lievi dell'antichità romana, lo stile Impero si rifà direttamente alla Roma degli imperatori.
Il Direttorio (1795 - 1804)
Lo stile Direttorio, che può essere posto all'incirca negli anni 1795-90 ed il 1804, trae le sue origini dalla passione per l'antichità promossa dai famosi scavi di Ercolano e Pompei e dagli scritti di Winckelmann ed altri.
In questa evoluzione si insinua lo stile "Retour Egypte" che prende origine dalla spedizione napoleonica in Egitto (1795-1799) di cui si è accennato.
Più che uno stile vero e proprio, assolve il compito di arricchire di nuovo gusto esotico il repertorio classico con elementi decorativi e con temi desunti dall'arte egizia: sfingi, cariatidi, teste e figure di egiziani inguainate a piedi nudi, palmette, tripodi, rosette ecc...
Lo stile Direttorio mantiene il carattere di una certa eleganza di linea e proporzioni, scevro di eccessive pesantezze, limitato nella ricchezza decorativa a pochi e piuttosto rigidi elementi, mentre più tardi lo stile Impero vero e proprio volse decisamente al monumentale, all'aulico, ad una imponenza di austera severità
L ' Impero (1804- 1815)
Napoleone I, che diede allo stile nome e qualifica, orientò decisamente e fortemente una formula d'arte che già esisteva e di cui si servì come base per i suoi grandiosi disegni rivolti a creare una nuova e fastosa regalità che esaltasse le sue gesta e la sua persona.
Lo stile Impero si sviluppa in Francia come massima espressione del gusto Neoclassico. Al seguito degli eserciti imperiali esso si diffonde in buona parte d'Europa, presentando un'estrema unità di temi, nonostante l'estesa ed eterogenea area di produzione.
Tutte le arti alle quali il Condottiero rivolse le sue più attente cure divennero, nelle sue mani, strumenti di quella politica che egli adottava con intendimenti di personale glorificazione e del suo imperioso desiderio di esternare nel tempo le proprie imprese e la sua grandezza.
La Vita a Corte
Nell'intento di fare rivivere il fasto delle passate corti, il protocollo imperiale impose, a donne e gentiluomini, la maggior ricchezza nell'abbigliamento, nelle dimore ed un tenore di vita tra i più lussuosi.
Egli fece moltissimo per incrementare le attività artistiche e fu molto più che un semplice protettore e mecenate: considerava il lusso come un complemento necessario di un'economia prospera.
Insieme a Giuseppina visitò i laboratori dei più importanti ebanisti e stipettai, molti dei quali furono anche invitati a pranzo di corte.
Napoleone si preoccupava di assicurare il prestigio dei laboratori statali e di garantire la qualità della loro produzione ed ebbe un interesse grandissimo, fino a rasentare la pignoleria per l'arredamento dei suoi appartamenti e palazzi.
Napoleone e l'Arte
Bonaparte capiva l'importanza economica e il prestigio che poteva derivare dal possesso delle opere d'arte.
Così i piccoli stati dell' Italia settentrionale e centrale che furono conquistati, dovettero sottostare oltre che alle pesanti contribuzioni in denaro, anche alla forzata cessione di opere d'arte prelevate dai musei e di preziosi manoscritti dalle loro biblioteche, che presero la via di Parigi a testimonianza dei successi del grande condottiero.
Consapevole, appunto dell'importanza dell'arte, volle creare uno stile aulico e celebrativo della sua potenza, uno stile ricco, fuori le regole che ricollegasse subito la sua ricchezza con quella della sua persona di grande imperatore.
La campagna in Egitto e La Stele di Rosetta
Numerose furono le battaglie condotte da Napoleone contro i paesi stranieri. In particolare la spedizione dei francesi in Africa, pur riportando una schiacciante sconfitta, fu molto importante per la scoperta della civiltà egizia. Bonaparte era accompagnato infatti da un piccolo esercito di studiosi e archeologi le cui fortunate ricerche ebbero il merito di riportare alla luce alcuni segreti dell'antichissimo Egitto.
La scoperta di una stele trilingue (stele di Rosetta), nella quale era riprodotto lo stesso testo in egizio-geroglifico, egizio-demotico (cioè popolare) e greco, permise allo Champollion di decifrare per la prima volta la scrittura geroglifica. Questa scoperta ebbe un grande eco in tutta Europa colta e da questo momento ebbe inizio l'egittologia.
L'Impero in Italia
La mobilia italiana del primo Ottocento presenta uno sviluppo stilistico che corre, per così dire, lungo due binari paralleli. Il primo riecheggia direttamente il gusto Impero imposto da Parigi; il secondo, più originale anche se non sempre di altissimo livello, elabora i modelli francesi secondo le tradizioni locali.
Nel nostro Paese lo stile Impero resistette più a lungo nei palazzi, forse perchè tanti stati italiani erano diventati per un po' proprietà dei membri della famiglia Bonaparte. Tutti e cinque i fratelli e le sorelle di Napoleone, in un periodo o in un altro, governarono parti della penisola e lo stesso dicasi del figliastro dell'Imperatore.
Essi arredarono, secondo lo stile francese, gli interni dei loro palazzi, utilizzando mobilio francese. I falegnami e gli ebanisti locali, prendevano quest' ultimi a modello per i loro manufatti. Quando poi i palazzi ritornarono nelle mani dei precedenti occupanti il loro arredamento era a tal punto più attraente di quello preesistente, che venne conservato e lo stile francese continuò ad essere imitato.
Dai primi dell'Ottocento si pervenne anche in Italia ad una pratica più accurata di costruzione del mobile così che, diversamente che in passato, l'interno e le parti non a vista del mobile di qualche importanza presentano, come negli esempi inglesi e francesi , una rifinitura impeccabile.
Le botteghe tradizionali assumono in questo periodo nuove istanze e nuove ambizioni.
Gli artigiani cercano, diversamente che in passato, di lasciar memoria di sé, sono assistiti nel loro lavoro da disegnatori, e professori d'ornato delle accademie da poco istituite; pubblicano raccolte di disegni e di modelli seguendo modelli d'oltralpe, mentre all'avanzata sociale della borghesia corrisponde una maggior richiesta di mobilio raffinato, così le imprese artigianali si adeguano trasformando tecniche e attrezzature per dare l'avvio ad un assetto di tipo industriale.
Lo stile Impero
L'Impero
Austerità ed eleganza
Lo stile "Impero", così come ogni altra espressione umana dalla musica alla letteratura, dall'arte alle ideologie, affonda le sue radici nelle vicende storiche e politiche di quel tempo.
Stiamo parlando del periodo che va approssimativamente dall'incoronazione di Napoleone Imperatore (1804) fino alla caduta del suo regno (1815).
A Napoleone infatti, spettò il compito di fissare la fisionomia dello stile volta alla grandiosità unita ad una severità di forme.
Quadro storico: L'avventura di Napoleone
Un uomo dotato di intelligenza, genio, forza di volontà e magnetismo, con una capacità superiore di comandare e farsi obbedire: attorno a questa figura si fonda un grande impero e nasce, nell'arredamento, uno stile austero per celebrarlo.
Lo Stile Impero
Lo stile Impero si sviluppa in Francia come massima espressione del gusto neoclassico. Al seguito degli eserciti imperiali esso si diffuse in buona parte d'Europa, presentando un'estrema unità di temi, nonostante l'estesa ed eterogenea area di produzione.
La mobilia italiana del primo Ottocento, presenta uno sviluppo stilistico che corre, per così dire, lungo binari paralleli. Il primo riecheggia direttamente il gusto Impero imposto da Parigi: il secondo, più originale, anche se non di altissimo livello , elabora i modelli francesi secondo le tradizioni locali.
Il Mobile Impero
L'avvento dell'Impero seppe produrre arredi di una nobile dignità, di grazia elegante e contenuta evitando ogni leziosaggine. Il mobile impero obbedisce sempre ad un rigoroso senso della misura. E solido ma non opprimente, proporzionato e mai volgare con carattere sempre aristocratico.
dal 1825 al 1830
Con il Congresso di Vienna, si restituisce in Francia il trono al legittimo rappresentate della monarchia, che era stata allontanata e in parte annientata con la Rivoluzione. Spetta il regno a Carlo X, fratello di Luigi XVI, decollato dalla ghigliottina.
L’arredo in auge in questo breve periodo storico si segnala per la tendenza morigerata, quasi borghese che ne contraddistingue gran parte della produzione.
Quasi per una necessitante antitesi politica, l’arredo ora muta completamente impatto coloristico, come per meglio sottolineare il mutato clima sociale, che vuole cancellare ogni memoria storica legata al bonapartismo. Trionfa l’introduzione di arredi inclini a utilizzare materiale lignario chiaro (probabilmente l’introduzione di questa moda è riconducibile all’influenza della duchessa di Berry), come l’acero e il frassino, il satin, il tasso, il platano o il limone in evidente contrapposizione alle colorazioni scure di cui fu portabandiera in epoca Impero il mogano. Anche il repertorio decorativo così caro a Napoleone I di forniture metalliche bronzee diventa improvvisamente obsoleto e compromettente, e gli viene preferito l’intarsio con essenze scure come il palissandro, il sicomoro, l’acajou, l’ebano e l’amaranto, sempre felicemente disposto in ossequio a formulazioni di richiamo archeologico, ma di più stretta osservanza geometrica e astrazione formale, che peraltro creano indubbie e felici alternanze cromatiche con la veste lignaria dello scafo del mobile.
Ebbene, l’arredo Carlo X rispetto al mobilio di epoca Impero predilige una decorazione più minuta, più leggiadra e incline a un gusto che si potrebbe definire femmineo, in aperto contrasto con la filosofia militaresca che aveva determinato le forme severe della stagione napoleonica. Nel nuovo stile si nota una graduale tendenza ad addolcire le forme, che in breve determina un riaffiorare di linee curve che culmina nel motivo “en tulip”. Alla grandiosa retorica degli arredi Impero si preferisce la ricerca della comodità e della funzionalità.
Nei sedili si diffonde lo schienale a gondola, i piedi cessano di essere a forma ferina o ad artiglio in favore di soluzioni a mensola, a ciabatta o a rocchetti torniti, quet’ultima formulazione fu tipizzante di questo stile e conobbe poi larga fortuna per tutta la seconda metà del XIX secolo. I braccioli sono a voluta o a doppia voluta, o ancora a collo di cigno.
Nei letti la tipologia “à méridienne” è di gran moda, e monta capezzali di altezza ineguale, il letto “en bateau” con le testiere sagomate a tulipano conosce una fioritura senza eguali. I guéridons si moltiplicano acquistando sempre maggiori dimensioni e montano piano in marmo, in vetro, a specchio o in porcellana. Si crea una vasta gamma di tavolini multiuso: i travailleuses, i écrans-pupitres, ivide-poches, i nécessaires. Oltre alle commodes con la cintura sempre sagomata in forma di tulip (in Italia detti anche comò alla cappuccina) si diffonde una nuova tipologia di cassettone, con il cassetto di testa a calatoia amovibile che disvela l’interno a cassettiera estraibile.
Tra i motivi ornamentali a intarsio di essenze scure si notano viticci, foglie, palmette, acroteri, ghirlande, rosoni, cornucopie, mentre scompaiono del tutto allegorie mitologiche o militari. Grande importanza ebbero anche le profilature delle incorniciature o delle fasce passanti, sovente ebanizzate, per meglio armonizzare le tarsie a valenza scura. Vi è inoltre una caratteristica e per certi versi curiosa tipologia di comò, con la fascia della cintura interamente ebanizzata, detti usualmente “in lutto della morte di Napoleone I”.
Gli ebanisti di maggior nomea furono Jacob-Desmalter, i Bellangé, Lemarchand, Remond, Werner e Puteaux.
In Italia questo stile sortì esiti del tutto insignificanti, anche se per certi versi l’architetto-designer Pelagio Pelagi trovò certo in questo stile feconde fonti d’ispirazione relativamente alla produzione ispirata alla moda etrusca, come ben si evince osservando l’arredo del celebre Gabinetto Etrusco nel Castello di Racconigi, iniziato nel 1834.
Stile Biedermeyer
(Dal 1815 al 1848)
Stile Neogotico dal 1825 al 1830
Una novità introdotta in periodo Restaurazione, di rilevante interesse anche in ragione dell'effettiva grande risonanza che seppe polarizzare, fu il recupero, per certi versi romantico, dello stile gotico. Il fenomeno che innescò questa nuova tendenza stilistica, fu l'incoranazione di Carlo X nel maggio del 1825 nella cattedrale di Reims. Per tale occasione, l'ornatista Hirtorff allestì addobbi goticheggianti dando involontariamente l'imput ad un'incontenibile mania che ben presto contagiò ogni tipo di arredo, dal più minuto oggetto d'arte applicata alle grandi sedie dall'alto dorsale "à la cathédrale".
Il desiderio di medioevo originò interi arredi ispirati al repertorio iconografico gotico, ne è celebre testimonianza l'Oratorio nel padiglione di Marsan al Louvre, eseguito per la principessa Maria d'Orleans, figlia di Luigi Filippo. Fu un delirante (e per certi versi affascinante) rifiorire di pinnacoli, volte archiacute, motivi a pergamena, rosoni, clipei, spirali, girali e ogni altro emblema ornamentale che il misticismo dei secoli bui, aveva saputo tramandare nell'inconscio collettivo dell'europeo di metà ottocento.
Sottolineo come il precoce insorgere di contaminazioni mutuate dal lessico rinascimentale, costituisce di fatto la prima prova provata di quel germe che più tardi originerà gli incontenibili effetti dell'Eclettismo Storicizzante, di cui lo stile Neogotico può dirsi a ogni evidenza il precursore. Tra i divulgatori dello stile gotico ebbe notevoli meriti il disegnatore Aimé Chenavard (1798-1838).
Stile Biedermeyer dal 1815 al 1848
Questo termine di origine tedesca indica il gusto e la cultura del trentennio intercorso tra il congresso di Vienna del 1815 e le rivoluzioni del 1848. Il nome deriva da foglietti satirici pubblicati tra il 1855 e il 1857 sui "Fliegende Blatter", scritti da A. Kussmanl e L. Eichrodt, dove si parlava di un personaggio immaginario assunto come il tedesco della piccola media borghesia, intento a districarsi nei piccoli problemi del quotidiano e del tutto disimpegnato nei confronti della vita politica o delle grandi correnti di pensiero o di cultura.
Capitale ideale dello stile Biedermeyer è Vienna, che incarna idealmente il pensiero espresso dai due scrittori satirici. L'Austria all'indomani della sconfitta di Napoleone, giunse alla vittoria stremata economicamente, è la crisi costrinse la piccola borghesia a contenere drasticamente le spese.
Lo stile che maturò fu necessariamente caratterizzato dalla continua ricerca di semplicità, del tutto privo di elementi appariscenti o d'ostentazione. Pur mantenendo le forme e i colori tipici della mobilia diffusa in epoca Impero, si preferì cancellare ogni presenza di forniture bronzee o di elementi a intaglio o a intarsio legati all'iconografia neoclassica. Il mogano, troppo costoso, viene sostituito dal faggio rosso, per le impiallacciature si utilizzano ciliegio, acero, pero, frassino, betulla e di norma, legni chiari contrastati con applicazioni o finiture in legno tinto a ebano. Nella buona sostanza, in questo stile si producono arredi robusti, comodi, funzionali, sobriamente eleganti e poco costosi. Per sostituire il vecchio repertorio figurativo si introducono movimentazioni curvilinee, con una libertà compositiva che non si limita alla decorazione ma si propaga all'architettura stessa.
Trovarono particolare diffusione tavoli a piano rotondo o ovale sostenuti da un unico affusto a piede centrale, le sedie mostrano misure più contenute, pur manifestando sempre netta prevalenza di linee curve e ornati sovente risolti a colonnine tortili. Le poltrone vantano linee agili e leggere e montano imbottiture. Il divano acquista funzione prevalente nell'arredo Biedermeyer, presenta schienale arcuato e per certi versi prelude a forme che più avanti si noteranno nella produzione di epoca Art Nouveau.
Ne mancano ebanisti estrosi, come il viennese Joseph Danhauser, che creò modelli di felice inventiva che trovarono applicazione anche in Italia, dove questo stile tuttavia esitò ben poco interesse (una vasta raccolta di suoi disegni è conservata al Museum fur angewandte Kust di Vienna), mentre a Berlino si distingue come disegnatore di mobili l'architetto Karl Freiedrich Schinkel.
Caratteristica tipica di questa produzione è sempre l'ineccepibile assemblaggio delle varie componenti lignarie, quasi sempre eseguito a secco e solo raramente con l'ausilio di chiodature metalliche, alle quale si preferì l'uso di piccoli chiodini (bironcini) interamente lignei.
E' un periodo storico che segna il mutare di rotta delle tendenza neoclassiche che così a lungo avevano influenzato buona parte della seconda metà del Settecento protraendosi fino agli Anni Trenta dell'Ottocento, in favore di un ritorno in auge di moduli stilistici che già avevano contraddistinto gli arredi di Stile Luigi XV, durante il Rococò, da cui ne deriva direttamente la dizione di Neorococò. In sostanza si tratta di una ripresa nella mobilia delle formulazioni curvilinee ornate a rocailles e a valenza floreale, ma reinterpretate alla luce di aggiornamenti formali in direzione più "borghese", con gli elementi compositivi che nel loro insieme risultano enfatizzati e per certi versi non privi di contaminazioni eclettiche. A determinare il successo di questa nuova civiltà d'arredo contribuirono più pulsioni: la nuova borghesia emergente intese emulare la sontuosa ricchezza delle dimore aristocratiche, mentre i regnanti subirono il fascino del passato sfarzo che contrassegnò l'assolutismo monarchico; in tal senso è illuminante l'esmpio di Luigi II di Baviera, che in questi anni commissionò l'esecuzione del palazzo di Linderhof, in stile Rococò, con arredi di chiara ascendenza Luigi XV.
Fu una corrente stilistica che interessò non solo la mobilia, ma trovò largo seguito anche nell'architettura, nell'abbigliamento e in particolare nell'oreficeria.
Stile Luigi Filippo (Dal 1830 al 1848)
Questo stile deriva il nome dal periodo di regno di Luigi Filippo, un sovrano la cui spiccata iniziativa in favore della borghesia finanziaria e industriale (che ne aveva peraltro favorito l'ascesa al trono) trova puntuale rispondenza nelle manifestazioni artistiche coeve.
Tramontata per sempre l'era dei grandi fasti di corte, i manufatti d'arte e con essi la mobilia, si orientano verso il nuovo cammino la cui strada è tracciata da sempre nuovi ritmi produttivi, imposti dal velocizzarsi dell'ammodernamento industriale, che ora consente di soddisfare esigenze anche a fasce sociali prima neglette.
In questa fase si assiste al passaggio della civiltà agricola a quella industriale, le città amplieranno a dismisura la popolazione e superfici abitative, si demoliscono antichi quartieri e torri medioevali per innalzare palazzi a più piani, con gran fiorire di negozi e caffè, dove si affolla la nuova borghesia imprenditoriale. Negli Anni Trenta la produzione mantenne uno standard ancora di buon livello, in ragione della grande tradizione che caratterizzava l'ultima generazione di maestri ebanisti parigini. Sono questi anni che offrono grande circolazione di pubblicazione di album che propagandano modelli di mobilia, questi testi vennero utilizzati dalle botteghe degli ebanisti per eseguire gli esemplari richiesti dalla committenza, un fenomeno che ingenerò ben presto una sorta di omologazione seriale, resa ancora più evidente dall'inizio di una consuetudine di interi arredi uniformati nello stile e nel materiale, come sale da pranzo, da letto, studi, ecc. con conseguente scadimento dei valori decorativi che perdono in originalità e si massificano. Si aggiunga che l'accesso economico di questi arredi a una sempre più vasta clientela creò fenomeni di competitività commerciale, innescando fenomeni di ribasso costante dei prezzi sempre più a scapito della qualità.
La mobilia alla moda (nonostante fin dagli Anni Trenta convivano pulsioni che anticipano tendenze eclettiche neorinascimentali, a cineseria, stile Boulle, ecc.) è in particolare eseguita omaggiando modelli diffusi durante lo stile Luigi XV, tanto da divenire ben presto tendenza di massa, ingenerando una vera e propria mania neorococò.
La mobilia eseguita in questo periodo deve soddisfare esigenze di comodità e funzionalità, nel contempo deve simulare un certo sfarzo. L'effimero benessere comportò tra le classi della piccola e abbiente borghesia un desiderio di ostentazione che finì per "vestire" ogni superficie visibile della casa con tessuti, tendaggi, broccati alle parete, ad imitazione delle regge e dei palazzi nobiliari, e questo in spazi di ben diverse proporzioni, con l'evidente riflesso di ridurre sempre più la volumetria del mobilio, pur di far sfoggio di ogni tipologia d'arredo. Lo stile è caratterizzato dalla reintroduzione delle gambe sagomate "en cabriolle", ma maggiormente arcuate, viene riproposto sediame con lo schienale nella tipica foggia a medaglione, con cimase e cinture centrati da fregi floreali o ornati a rocaille, torna di moda materiale lignario a tinta scura, come il noce e il mogano, quando per esigenze di particolare rappresentanza non necessiti dorato.
Se di norma negli arredi si rivedono stilemi e caratteristiche che gia furono tipiche nel Settecento, nondimeno vi si colgono le novità dei nuovi tempi: a elementi floreali e a rocaille si abbina l'uso di parti tortili, in specialmodo nelle traverse, nei piedi o posizionate in forma di colonnette in ogni dove. I tavoli mantengono l'innovazione che fu già tipica nel Direttorio di sostenere il piano a mezzo di un unico affusto centrale, a sua volta montato su gambe sagomate a capriolo. Se il primo decennio fu per certi versi omologo alla produzione di Stile Luigi XV, anche nel raffronto relativo alla qualità dell'intaglio che si rileva su numerosa mobilia, e non solo in parti come cimase e grembiuline, il ventennio successivo mostra evidenti segnali di stilizzazione, le nervature diventano piatte, l'intaglio più corsivo fino a diventare intorno agli Anni Sessanta del secolo estremamente seriale con ornati in genere a cartella o a blasone stilizzato, le diverse fasi vengono ripartite in tre periodi definiti, puro, spurio e araldico. Con lo stile Luigi Filippo la scrivania, la libreria e la credenza a corpo singolo o munita di alzata a vista trovano massima diffusione, il mobile simbolo di questa fase storica è certamente la bérgere.
I mobilieri che conobbero grande notorietà furono Alphonse Jacob-Desmalter, Alexandre-Louis Bellangé, Jean-Michel e Guillame Grohé.
E' bene ricordare che nella realtà lo Stile Luigi Filippo, ben al di là delle cronologie storiche, ebbe poi largo seguito per tutta la seconda metà dell'Ottocento, e ancor oggi, quando si parla di "mobili in stile" si intende mobilia eseguita in questo stile
Napoleone III
(Dal 1848 al 1870)
Secondo Impero (Dal 1848 al 1870)
Per più ragioni la mobilia di stile Secondo Impero è ad ogni evidenza facente parte di quella fase comunque definibile Eclettica, pur tuttavia, questo singolo fenomeno ebbe una vita propria di portata così significativa che a buon diritto merita una differenziazione e con giusta causa un capitolo a se stante.
Viene così chiamato quel periodo compreso in realtà tra il 1852 con la nomina a imperatore di Napoleone III (già presidente in Francia fin dal 1848) e l'abdicazione dello stesso avvenuta nel 1870 al suono di cannonate prussiane.
Stile Napoleone III (Dal 1848 al 1870)
Con Napoleone III imperatore, la Francia vive una stagione di straordinaria prosperità economica, un fattore che permise di ricostituire un'altrettanto formidabile macchina bellica. In breve si rivive il sogno che già fu del Bonaparte: la Francia grande potenza egemone europea. L'euforia e la grandeur trovano perfetta corrispondenza anche negli arredi che caratterizzarono il Secondo Impero.
Certamente questo stile fiorì tra pulsioni eclettiche di diverso indirizzo, ma l'autocelebrazione della rinnovata potenza francese sospinse proprio a preferire quella mobilia che più in nel passato si era contraddistinta per qualità e perfezione tecnica: quella Luigi XVI e Neoclassica, che in Francia per sfarzo e raffinatezza aveva finito per superare anche i capolavori realizzati nel Secondo Seicento per Luigi XIV. La realizzazione pratica di un organigramma d'arredo così ambizioso era peraltro tecnicamente possibile grazie alle nuove tecnologie e alla facilità di reperire materiali un tempo pregiatissimi a costi ora praticabili. Essenze lignee pregiate come il palissandro, l'ebano e altri prodotti esotici tornarono a impreziosire ogni tipologia di mobile, ma disposti con spessori di così ridotta millimetria da incidere sul costo finale ben poco. Lo scheletro del mobile ora era eseguito serialmente, in centinaia o migliaia di esemplari, con parti montanti in faggio e fondi e soffitti in lamellare o panforte (già introdotto fin dagli Anni Quaranta), spesso anche gli elaborati giochi a intarsio, a bouquets o a marchetteria era prestampati con processi meccanici seriali.
A questo quadro generale si aggiunga che l'ornamentazione metallica, tanto cara alla committenza di Secondo Impero, era ora sbrigativamente stampata a mezzo di fusione a stampo seriale e successivamente dorata con placcatura mediante galvanostegia (rivoluzionaria innovazione ideata nel 1844 da Ruolz). In quest'epoca si realizza l'antico sogno illuminista di produrre mobilia alla portata di ogni ceto sociale.
Se l'industrializzazione consente di elevare all'ennesima potenza la produzione di massa è peraltro vero che ancora riescono a prosperare ebanisti degni di emulare in bravura i grandi maestri del passato: si pensi al celebre serre-bijoux eseguito per la regina Eugenia da Fossey, ora al Museo di Compiègne. Sarà peraltro Eugenia stessa a stimolare la produzione del tempo verso revival di mode Luigi XVI, tanto era affascinata dalla figura di Maria Antonietta. Relativamente all'esecuzione di mobilia sfoggiata o aulica, è emblematico il ritorno in auge dello stile Boulle (ovvero di arredi la cui superficie era rivestita di elaborati intrecci arabescati, con alternanza di lamine di ottone su sfondi in tartaruga, a imitazione di modelli eseguiti da Charles André Boulle, grande ebanista al servizio del Re Sole, moda che in verità vanta origini che datano fin agli Anni Trenta dell'Ottocento: lo stesso re Luigi Filippo ne commissionò un gran numero nel 1837, allorquando si provvide ad adibire Versailles a sede museale). Nondimeno, buona parte degli ebanisti attivi in questo secolo offrirono nei loro cataloghi una vasta selezione di mobilia incrostata alla moda Boulle.
Si è dunque compreso come tendenze tardo settecentesce e finanche Rococò fossero le predilette dal pubblico del tempo, talvolta eseguite come pedisseque copie ma altrettanto spesso concepite e ideate con gran sfoggio di fantasia. Nascono proprio in questo periodo tipologie prima mai segnalate: l'indiscret, il borne, bizzarri puofs, e in ogni dove gran affollamento di appliques in bronzo dorato o lumeggiato.
Tra gli ebanisti di maggior successo segnalo Fischer, Soriani, Tahan, Monbro, Wassmus, Charon, Peindrelle e Winckelsen.
In Italia lo Stile Napoleone III ebbe dapprima effetti insignificanti, imponendo arredi di imitazione Luigi XVI con valenza ornamentale solo risolta a intaglio e del tutta priva di orpelli bronzei, in ossequio a un gusto più sobrio che sempre caratterizzerà la committenza italiana. Solo nei primi decenni del Novecento trovò importanti sbocchi commerciali nel nostro paese il mobile "alla francese".
Commento del dott. Alessandro Marsico, esperto antiquariale
Napoleone III A differenza degli altri "stili", quello convenzionalmente definito "Napoleone III", si presenta come uno stile tipicamente "eclettico", con la caratteristica cioè di non avere una sua particolare peculiarità se non il gusto del "revival". Fino a non molti anni fa veniva addirittura "snobbato" dal mondo antiquario e ancora oggi viene considerato solo come un discutibile tentativo di far rivivere mode o gusti attraverso arredi che, costruiti per celebrare il passato, spesso però cadono in esagerazioni improbabili e di maniera.
Inoltre per comprendere bene il senso di ciò non va dimenticato che ormai siamo nella seconda metà dell ' Ottocento e che le tecniche costruttive e decorative si avviano rapidamente verso l' industrializzazione. Certamente non siamo ancora di fronte ad arredamenti "in stile" prodotti in serie, ma siamo ben lontani dalla raffinatezza e novità dei modelli soprattutto settecenteschi da cui prendono ispirazione. Tra l'altro va ancora precisato che accanto a copie fedeli di arredi del passato, si diffuse una grandissima quantità di prodotti che mescolavano svariati elementi di più stili nell'illusoria convinzione si superare le opere dei secoli precedenti.(Basti come esempio per tutti il dilagare di mobili "Boulle").
Parlando più precisamente di cassettoni o meglio commode "Napoleone III", gli stili prescelti per la loro realizzazione furono il "Luigi XV" e soprattutto il " Luigi XVI", la vera passione dell'imperatrice Eugenia, moglie di Luigi Napoleone. Gli esemplari "Luigi XV" sono riconoscibili per la forma bombata (spesso a doppia mossa) di fronte e fianchi, due o tre cassetti impreziositi da guarnizioni in bronzo cesellato e dorato a mercurio, sostegni alti protetti da sabot anch'essi in bronzo ... impiallacciati in essenze diverse. Quelli Luigi XVI presentano forme più lineari, neoclassiche, a due cassetti e mezzo o tre, intarsiati con impiallacciature geometriche o motivi floreali, bronzi meno vistosi rispetto ai precedenti. Entrambi i modelli sono per lo più completati da piani in marmo.
dott. Alessandro Marsico
Eclettismo Storicizzante Accademico
(Dal 1850 al 1900)
L'espressione "Eclettismo Storicizzante Accademico" designa quella mobilia eseguita tra gli Anni Cinquanta e gli ultimi anni del XIX secolo. Il termine "Eclettismo" esprime la norma generale che ebbe a caratterizzare questa produzione, di fatto eseguita nella combinazione di più stili e momenti epocali miscelati in un insieme spesso incoerente. La dizione "Storicizzante" riassume la tendenza generale di trarre ispirazione da fasi storiche e stilistiche del passato, mentre il fonema "Accademico" sottolinea come gli arredi prodotti in questo periodo di fatto conobbero il consenso delle Accademie d'Arte, tanto da essere assunto a moda convalidata e celebrata dalla critica del tempo.
Dell'Eclettismo già si è anticipato che se ne riconoscono i primi fermenti fin dagli Anni Trenta dell'Ottocento, con l'affermarsi di pulsioni neogotiche. Ma è con le grandi Esposizioni Internazionali della seconda metà del secolo che il "verbo eclettico" trova il suo irrefrenabile trampolino di lancio.
La ventata di modernismo industriale che investì il XIX secolo, produsse effetti simili a quelli che noi oggi siamo abituati a stigmatizzare nel concetto di globalizzazione. Ebbene, fin dal 1851 e per la prima volta, con la Great Exhibition londinese, in una vastissima area espositiva, furono concentrati padiglioni dove mercanti di ogni arte e paese furono chiamati a esporre le proprie merci.
Fin da questa prima edizione si notò che le ditte presenti offrirono all'attenzione del pubblico manufatti tesi a esaltare la storia vicina e lontana della propria nazione di provenienza. Questo fenomeno divenne ben presto tendenza e già negli Anni Sessanta-Settanta potremmo definire conclamata nel rapporto esecutore-fruitore la moda eclettica. Se la Francia offrì arredi dove si riproposero i fasti del Seicento o della mobilia che aveva contribuito a diffondere l'aurea leggendaria della corte di Versailles tra il Rococò e il Neoclassicismo, gli artefici nostrani moltiplicarono i propri sforzi per far rivivere lo sfarzo dell'Umanesimo, del Rinascimento e del Barocco italiano. Lo stesso potremmo dire per Germania, Olanda, Inghilterra o per Cina e Giappone.
Negli esemplari dei primi anni notiamo una dipendenza dai modelli originali che in più casi sconfina con la copia di riproduzione, ma di li a poco la fantasia e l'inventiva di ebanisti, orefici, ceramisti e di ogni artista-artigiano d'arte, si incanalò nei meandri dell'interpretazione personalizzata, giungendo a formulare esemplari che in sé condensavano fino a due o tre secoli di storia, in elaborati e funambolici arredi che sovente esprimevano più virtuosismo che eleganza. Ma questo e solo questo voleva l'incuriosita clientela, che in questi oggetti intravide anche citazioni culturali e immaginifiche che parvero confermare che quella generazione si apprestava a rivivere una nuova età aurea. Le tendenze stilistiche che maggiormente si imposero furono il Neorinascimento, il Neorococò, il "pompier" o Neo Luigi XVI, vi furono forti tendenze verso l'arte orientale in genere, e tutte le grandi tecniche esecutive del passato parvero rivivere in un'unica grande ubriacatura di mirabolanti mobili intagliati, intarsiati, incrostati, pirografati, piastrellati di ceramiche, scolpiti ad altorilievo, traforati, rivestiti in pelli bulinate o di animali esotici. Si diffusero arredi apparentemente inediti, rivestiti in papier-maché ebanizzato e impreziositi da incrostazioni in madreperla, osso o avorio. Si osservi come anche in questa fase artistica furono eseguiti veri e propri capi d'opera, a tutt'oggi celebrati come capolavori del loro tempo, ma è bene tener presente che la produzione di massa fu sempre più sospinta a perseguire criteri di basso costo e conseguentemente di basso profilo tecnico-estetico. Si aggiunga che la macchina sempre più spesso stappava all'uomo fasi lavorative, giungendo perfino a estrometterlo dall'intaglio, che in numerosissimi casi ora era ottenuto con l'utilizzo del plantigrafo.
L'ultimo ventennio del secolo vide il fiorire di nuove formulazioni che in un qualche modo si emanciparono dalla produzione ordinaria legata a gusti storicisti. Personaggi come l'architetto A. H. Mackmurdo che fonda la Century Guild, aprono la strada a modernismi che anticipano ante litteram lo stile Floreale. Il nouvo movimento inglese Arts and Crafts (Morris, Crane, Burne-Jones, Blomfield e altri) si rende portavoce di tendenze progressiste che destano interesse per le sagome spoglie e raffinate e la raffinata esecuzione che rende peculiari i lorro arredi.Il secondo Ottocento conobbe poi lo straordinario successo di mobilia oggi nota con il nome del suo primo diffusore: Michel Thonet, che già fin dal 1830 aveva inventato un metodo che permetteva di curvare a piacimento compensati di rovere in atmosfera di vapore acqueo, ottenendo manufatti di bella linea, leggeri e a costi risibili.
Parimenti, anche la canna di bambù trovò larga applicazione nella mobilia, e non fu marginale l'impiego di corna di cacciagione, che decretarono la moda dello stile "Horn".
Nei mille rivoli di correnti stilistiche che si avvicendarono contaminandosi l'un l'altra, in Italia fu in particolare lo stile Neorinascimentale a incontrare un successo strepitoso, con ditte che per qualità e livello di finiture ebbero a eccellere in campo internazionale, fra le molte menziono la nota Manifattura Casalini di Faenza.
Anche in Francia lo stile Neorinascimentale ebbe largo seguito, e trovò nel disegnatore Michel Liénard (1810-1870) uno dei suoi massimi divulgatori.
Tra Ottocento e Novecento si sviluppano lo Stile Floreale, l'Art Déco e il cosiddetto Novecento. Negli anni sessanta e settanta si è diffuso il mobile danese e scandinavo dalle linee semplici e funzionali. L'acciaio cromato, il ferro, la plastica, la vinpelle, hanno spesso tentato di sostituire il legno, anche se il tradizionale mobile in legno ha dimostrato di saper resistere a qualsiasi moda.
Verso la fine del secolo si registra, quasi improvvisa, una generale protesta contro l'Accademismo Eclettico imperante, deridendo i goffi plagi degli stili del passato e la produzione di massa, contribuendo a diffondere i primi germi di una nuova estetica.
Artisti in ogni campo ora plaudono alla creazione di oggetti semplici e funzionali, originali e logici nel modulo costruttivo e nel contempo di raffinata esecuzione.
In Francia, in Inghilterra, in Germania e in Scozia pulsioni verso questa nuova concezione di vivere l'arte sorsero quasi all'unisono, seppure indipendenti. Tuttavia fu a Monaco che venne la nuova estetica assunse importanza di primo piano. Il periodico Die Jugendstil fondato da Georg Hirth fu il battistrada che indicò per primo il Modern Style o Stile Giovinezza, che nei fatti anticipa la grande stagione del Liberty. In Inghilterra trovò facili radici nel movimento Arts and Craft con particolare vocazione a esaltare le tradizioni artigianali sopravvissute all'industrializzazione massificante, mentre la Scozia con C. R. Mackintosch seguì sperimentazioni del tutto indipendenti. Altro centro di primario interesse per la codificazione del nuovo spirito moderno fu Vienna, con Klimt e Olbrich che nel 1897 vararono la Secession Art.
Di grande portata fu poi il contributo della Francia, che nella figura di Emile Gallé trovò uno straordinario divulgatore di forme nuove, votate al naturalismo e tuttavia imbevute di Rococò con stilizzizazioni operate nella consapevolezza della grande tradizione artistica dell'estremo oriente. L'artista, che nel fondare la Scuola di Nancy impose all'attenzione generale il nuovo gusto Floreale, seppe anticipare i nuovi tempi fin dal 1886, come ben dimostra il cabinet intarsiato oggi nella Galleria Mazzoni a Firenze.
Altri ebanisti resero grande lo Stile Floreale, tra i molti menziono Louis Majorelle, Eugène Vallin e Jacques Gruber.
A Gallé spetta il merito di aver risvegliato nell'arte - nel nostro caso dell'arredo - quella dignità artigianale che già da lunghi anni giaceva dimenticata o sopita. Ravvivò il mobile di intarsi squisiti, talvolta bizzarri ma sempre in ossequio alla natura, ora assunta a protagonista indiscussa dell'equilibrio tra uomo e creato. Ridusse al minimo le finiture bronzee, nei suoi mobili già resi mirabili da una sperimentazione formale che teneva conto anche delle modificazioni delle onde luminose, nella marqueterie introdusse antichi proverbi, versi letterari, brani di poesia, questi manufatti vennero definiti meubles parlant e vivacizzarono di nuovi valori simbolici la cultura della Vecchia Europa, ormai già vittima consapevole di un decadentismo ineluttabile. Gallé e altri spiriti liberi seppero per un breve istante rianimare un intellighenzia che percepiva i presagi della fine di un mondo abitato da valori antichi che presto sarebbero stati spazzati via dalla tragedia della prima grande guerra e dalla Rivoluzione bolscevica. Mi dilungo brevemente dando vita a sue stesse parole, in omaggio a un vecchio fantasma che di tanto in tanto amo evocare: "Il senso della decorazione risiede tutto nell'opposizione voluta tra la resa degli oggetti tangibili e certe visioni di cose supreme, quelle cose lontane che si desiderano e che è necessario indovinare".
Lo stile Liberty - con il quale generalmente si suole definire l'intera produzione eseguita nell'arco compreso tra l'ultimo decennio dell'Ottocento e i primi vent'anni del Novecento - nella realtà in Francia assunse il nome di Art Nouveau, in Austria di Secession Art, in Germania di Jugendstil, in Inghilterra di Modern Style, in Spagna di Arte Joven, in Italia di Floreale, mutua la sua dizione da un negozio aperto a Londra verso la fine dell'Ottocento, specializzato nella produzione di stoffe e tessuti, la cui produzione era caratterizzata da disegni stravaganti e d'avanguardia. L'insegna "Liberty" di questa ditta divenne ben presto sinonimo di bizzarro, curioso, anticonvenzionale, e per estensione questo concetto fu poi utilizzato per designare tutto quel periodo artistico, in senso ovviamente dispregiativo. Certo è che in quegli anni di Belle Epoque, la borghesia era quanto mai incline ad accogliere nuove forme d'arte e d'arredo che finalmente emancipassero il quotidiano da quelle forme stucchevoli e per certi versi lugubri che avevano invece contraddistinto la produzione eclettica. In Francia, l'Art Nouveau prese nome dall'insegna del negozio che aprì Samuel Bing nel 1895 a Parigi, intorno a questa curiosa figura di imprenditore, si radunaro artisti del calibro di Bonnard, Pissarro, Seurat, Toulouse-Lautrec e nella grande Esposizione Universale di Parigi del 1900 la ditta Bing registrò un successo a dir poco strepitoso. In controtendenza al naturalismo floreale perorato da Gallé, nell'atelier di Bing spicca per un estremo rigore lineare, ogni compiacenza decorativa viene assottigliata ai minimi termini, e si perviene a un'eleganza tanto incisiva quanto spoglia. Con Alexandre Charpentier e il suo gruppo "L'Art dans Tout" l'arredo si ridelinea secondo orientamenti formali che inneggiano all'astrattismo e ormai preludono all'Art Decò, una tendenza che trova consensi e conferme anche nella produzione a secca geometria lineare di Plumet.
Altre nazioni parteciparono attivamente alla creazione di fermenti Liberty, si pensi agli stati tedeschi con personalità di punta come Bernhard Pankok, August Endell o Joseph Hoffmann, al Belgio con Gustave Seurrier-Bovy o con un gigante come l'architetto-designer Henry van de Velde, capace di inventare arredi che ancor oggi sono di una modernità più che attuale, la Spagna trovò in Antonio Gaudì il suo interprete più controverso e fantasioso, mentre l'Italia pur con talune manifatture degne di una qualche nota e singoli ebanisti che seppero trovare qualche momento di effimera celebrità, non riuscì mai a esprimere alcunché di originale e in genere il Floreale italiano è poco più che una scopiazzatura mal riuscita delle mode importate dalla vicina Francia.
Per riassumere brevemente le formulazioni che più nitidamente ebbero fortuna in un così vivace periodo artistico, si memorizzi per comodità almeno questa breve scaletta stilistico-temporale, relativizzata all'impatto che il Liberty sortì nella nostra penisola:
1) Tra il 1890 e il 1910 ebbe vasta eco mobilia orientata alle mode imposte in Francia, con arredi informati al gusto floreale-naturalistico, caratterizzati da formulazioni stilizzate e agitate da linee a "colpo di frusta" o "a nuvola di fumo", mentre il decoro si mantenne sempre su elaborazioni floreali e più raramente zoomorfe.
2) Tra il 1910 e il 1920, il gusto mutò radicalmente, venne ridotta al minimo l'applicazione di intagli floreali e la volumetria della mobilia si concentrò in direzione di un moderato linearismo geometrico.
Relativamente alle datazioni proposte, lo scrivente in questa sede ritiene indicativo precisare come anno d'inizio della stagione Liberty l'apertura del negozio di Bind a Parigi nel 1895 e fissarne la fine con l'inizio della prima guerra mondiale, nel 1914.
Certamente fin dai primi Anni Novanta dell'Ottocento si scorgono indizi e pulsioni significative che nel loro insieme concorrono poi a tributare il successo che si segnala già conclamato nel 1895, è del resto vero che il Liberty riscuote ancora successi intorno agli Venti, ma è parimenti dato di fatto ineludibile che già all'indomani della Grande Guerra le nuove tendenze dell'Art Decò risultino affermate.
L'inizio del conflitto del 1914 precipitò il mondo una tragedia la cui portata segnò la fine di un'era, della Bella Epoque e dell'Art Nouveau..
Alla fine della guerra, con il radicale cambiamento che investì la società europea, era inevitabile che mutasse anche lo scenario estetico, e con esso l'arredo che è parte integrante del vivere quotidiano.
Nel mobile alle forme curvilinee e alle delicatezze femminee che così nitidamente contraddistinguono l'epoca Liberty, si preferisce ora la chiara geometria indicata da Picasso e da Braque già prima del 1914, teorie che sono alla base dell'affermarsi del movimento Cubista.
Il linearismo geometrico-cubista che sarà il motivo firma degli arredi di Stile Art Decò trova importanti antecedenti in Mackintosh e in van de Velde e uno dei suoi primi autentici antesignani in Joseph Hoffmann. Non senza ironia sarà proprio un francese a decretare il successo del nuovo funzionalismo modernista, ponendosi agli antipodi rispetto alla precedente produzione, Jacques-Emile Ruhlmann è forse da indicarsi come il massimo esponente dello stile oggetto di questo capitolo, che conosce il suo apogeo nel 1925, con la grande esposizione di arti decorative svoltasi in Parigi. Fu un occasione dove la mobilia a geometria lineare, di forma sobria e pulita, con designer che sovente inserivano forniture in ferro o in acciaio disposte con infallibile grazia, fu sommamente apprezzata dal grande pubblico. Uno degli arredi più celebri di questo periodo, realizzato tra il 1920 e il 1922, è la casa della rinomata sarta francese Jeanne Lanvin, la cui esecuzione spetta a Albert Rateau, la cui ricostruzione è oggi visibile al Museo di Arti Decorative parigino. Si tratta di un contesto arredativi che rende dozzinali e mediocri anche le migliori esecuzioni dovute alla corrente Bauhaus che giunge a estremizzare i concetti dell'Art Decò con esempi di eccessivo schematismo formale, con mobilia scheletrica e dozzinale, anche se motivata da istanze di utilitarismo funzionale.
Se nello stile precedente la manualità artigianale era stata una condizione sine qua non ora si è tornati ad affermare il predominio e la necessità di servirsi di mezzi meccanici seriali, come pretende a grandi numeri la clientela nella sua stragrande componente di massa, solo in rade occasioni e per committenza di capaci possibilità economiche si giunge a creare manufatti di particolare interesse estetico.
In questi anni muore, e forse per sempre, quella grande tradizione d'arte lignaria che fin dal medioevo aveva disseminato la storia di grandi capolavori.
Ora più che al singolo artefice l'esecuzione di un modello è demandata al designer o a architetti sovente di fama internazionale, come Le Corbusier o Alvar Aalto o ancora a volgarizzazioni di moduli stilistici viennesi elaborate da disegnatori finlandesi e tutto, comunque, rigorosamente eseguito in scala industriale. Il pubblico fin da questi anni è plagiato dai mass media che a tavolino elaborano il successo di una linea o di una marca, all'insegna di arredi diremmo oggi "griffati", ma sovente tutt'altro che comodi e funzionali e spesso di moda resa effimera, non appena per esigenze produttive si è pronti a lanciare sul mercato nuove illusioni medianiche.
Certo non mancano isole felici, come nel caso di arredi la cui firma è legata al nome del bravissimo Eero Saarinen, ma dal primo dopoguerra a oggi risulta evidente che molto si è perso e poco rimane da tramandare a testimonianza dei giorni nostri alle generazioni future.
Fonte:
Fonte: http://www.agenform.it/Public/corsi/01%20Storia%20degli%20Stili%20-%20Storia%20del%20mobile.doc
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