Astrologia gli astri e la vita dell' uomo

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Astrologia gli astri e la vita dell' uomo

Gli opuscoli astrologici Di Tommaso Campanella *

 

 

1. Campanella e l’astrologia

Nel luglio 1626 Campanella giunge a Roma dopo ventisette anni trascorsi nelle prigioni napoletane e talune voci non mancano  di insinuare che il sospiratissimo trasferimento nella città del papa, annunciato e rinviato per anni, fosse stato finalmente conseguito anche in virtù delle sue eccellenti competenze astrologiche. La perizia nell’arte era stata acquisita in tempi success ivi allo scetticismo degli anni giovanili, da Campanella stesso rievocato in due famosi passi. Nel Senso delle cose ricorda: «io fui nemicissimo d’astrologi e scrissi contra loro in gioventù, ma i miei travagli m’hanno fatto  accorto  che  dicono  molte  verità »1,  e  in  una  bella  lettera  a  mons.  Antonio Querenghi, schermendosi del paragone con Giovanni Pico della Mirandola, conferma la propria ostilità giovanile nei confronti dell’astrologia, cui era seguita in età adulta una più matura riflessione: il giovane co nte «dannò gli astrologi per non aver mirato all’esperienze: ed io li dannai quando ero di diciannove anni, e poi vidi altissima sapienza intra molta stoltizia loro albergare» 2.
Non sappiamo quando esattamente Campanella si sia accostato all’astrologia  con maggiori simpatie, venendo ad acquisire competenze specifiche in questo campo. Forse le poté apprendere già da quel misterioso rabbino Abramo, con cui si diceva avesse lasciato la Calabria per dirigersi alla volta di Napoli, e che esaminando la sua natività  gli  avrebbe  pronosticato  l’eccezionalità  della  sua  vita 3.  Ma  è  forse  più probabile che lo studio della dottrina risalga al primo soggiorno napoletano, quando ebbe modo di frequentare i fratelli Della Porta 4. Giovan Battista, il più famoso, godeva di un’ampia fama internazionale per i suoi testi di magia naturale e di fisiognomica, ed
è dalle discussioni con lui sui principi di simpatia e antipatia delle cose che ebbe origine quello che sarà il Senso delle cose e la magia . Il fratello Giovan Vincenzo, pur

*Il presente saggio riproduce, con qualche snellimento nel testo e aggiornamenti nelle note, quello apparso  in  O.  Pompeo  Faracovi (a  cura  di),  Nella  luce  degli astri .  L’astrologia nella  cultura  del Rinascimento,  Agorà,  Sarzana  (La  Spezia)  2004,  pp.  157 -186;  si  veda  anche  l’ Introduzione  a  T. Campanella, Opuscoli astrologici, a cura di G. Ernst, Rizzoli, Milano 2003, pp. 5 -57.
1 T. Campanella, Del senso delle cose e della ma gia, a cura di A. Bruers, Laterza, Bari 1925, p. 316.
2 T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Laterza, Bari 1927, p. 134.
3 Per il rabbino Abramo, cfr. L. Amabile, Fra T. Campanella, la sua congiura,  i suoi processi e la sua pazzia, Morano, Napoli 1882, III, pp. 281 -83. Sull’oroscopo di Campanella, v. O. Pompeo Faracovi,
Sull’oroscopo di Campanella , in «Bruniana & Campanelliana», 1997, n. 3, pp. 245-263.
4 Per i rapporti con il circolo dei Della Porta, resta a tutt’oggi fondamentale il contri buto di N. Badaloni, I
fratelli Della Porta e la cultura magica e astrologica a Napoli nel ’500 , in «Studi storici»,  1959 -60, n. 1,
pp. 677-711 (ora in Idem, Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano , Edizioni ETS, Pisa
2005, pp. 93-126).


dilettandosi di  ogni  scienza,  con  particolari  competenze in  medicina  e  alchimia,
«soprattutto fu divino nell’astrologia, sì nella parte theorica che i misura i moti delle stelle […] come anco nella pratica e nella giudiziaria», al punto che era soli to dire che l’anima di Tolomeo era trasmigrata in lui 5. Sempre a Napoli, Campanella aveva avuto modo  di  discutere  di  quelle  dottrine  celesti  che,  collegando  eventi  astrali  con mutamenti terreni, si coniugavano con temi profetici e politici. In un passo del la Dichiarazione di Castelvetere , il primo documento dettato a propria discolpa nel settembre 1599, subito dopo l’arresto per la tentata congiura di Calabria, nel ricordare
i propri interessi per «quelle cose che donano indizio del futuro» e la persuasione  che il regno di Napoli «dovesse patire presto mutazione», afferma che ciò che gli era stato confermato  dalle  conv ersazioni  avute  a  Napoli  con  C olantonio  Stigliola,  Giulio Cortese, Giovan Paolo Vernaleone, convinti anch’essi che presto «ci dovea essere mutazione di stato»6.
Quando nell’estate del 1598 Campanella fa ritorno in Calabria e a Stilo, dopo quasi dieci  anni  di  assenza,  è  senza  dubbio  in  possesso  di  approfondite  conoscenze astrologiche, e nei preparativi della congiura giocarono un ruolo imporante  sia la fiducia nell’eccezionalità del proprio oroscopo, che lo destinava a dare nuove leggi ed essere un nuovo messia, sia l’astrologia che riguardava mutamenti di leggi e religioni,
e risultava connessa con la profezia. Entrambi gli aspetti sono ricordati  in stretta connessione nella Città del sole, la cui composizione viene fatta risalire al 1602. Nelle battute finali, si sottoline a come le credenze astrali dei S olari non risultino in conflitto con la libertà dell’arbitrio. A conferma del permanere della libertà pur entro il contesto degli influssi celesti, da un lato egli rievoca, come farà anche in altre occasioni, la terribile tortura di recente patita, a prova che se un condizionamento fisico estremo non riesce a scalfire la libertà del volere, tanto m eno lo potrà il condizionamento di gran lunga più debole e lontano operato dalle stelle, e che solo chi segue più il senso che la ragione è sottoposto alle stelle. Dall’altro fa rilevare come in tempi assai ravvicinati, e sotto aspetti astrali analoghi, si ano nati personaggi quali Ignazio da Loyola, Lutero, il conquistatore del Messico, Fernando Cortes, che risultano per un verso accomunati dall’impulso al rinnovamento, per l’altro alquanto lontani per le diversità delle situazioni e dei contesti:

Questo si sappi, che essi tengon la libertà dell’arbitrio. E dicono che, se in quarant’ore di tormento   un uomo non si lascia dire quel che si risolve tacere, manco le stelle, che inchinano con modi lontani, ponno sforzare. Ma perché nel senso soavemente fan mutan za, chi segue più il senso che la raggione è soggetto a loro. Onde la costellazione che da Lutero cadavero cavò vapori infetti, da’ Gesuini nostri che furo al suo tempo cavò odorose esalazioni di virtù, e da Fernando Cortese che promulgò il cristianesmo in  Messico nel medesimo tempo 7.

 

 

5 Ivi, p. 679.
6  T. Campanella, Dichiarazione di Castelvetere , in L. Firpo, I processi di T. Campanella, a cura di E. Canone, Salerno editore, Roma 1998, p. 102.
7 T. Campanella, La città del Sole – Questione quarta sull’ottima repubblica, a cura di G. Ernst, Rizzoli, Milano 1996, p. 94.


Una conferma eloquente degli interessi per l’astrologia mondiale, che fanno appello anche ai nuovi dati del sistema di Copernico («sagacissimus», «vir admirabilis»), è offerta dal Pronostico astrologico redatto in occasione d ella grande congiunzione del
24 dicembre 1603. Da quella data, e per i seguenti duecento anni,  le congiunzioni dei pianeti superiori Giove e Saturno si sarebbero verificate nei segni di fuoco, a partire dal Sagittario, dopo che nei precedenti duecento ave vano avuto luogo nel trigono dei segni d’acqua, dominati da Venere e dalla Luna: ciò che aveva comportato, fra le altre cose, il prevalere dei Maomettani e il dominio delle figure femminili, fatti anche questi ricordati nella Città del sole. Il ritorno delle congiunzioni nel trigono igneo, lo stesso che aveva presieduto alla nascita di Cristo e all’impero di Carlo Magno, annuncia un profondo rinnovamento politico e religioso, e Campanella guarda all’evento astrale, atteso  proprio  per  il  giorno  della  nativit à   di  Cristo,  con  grande  emozione, componendo, oltre  al  Pronostico,  che  verrà  annesso  come  ultimo  capitolo  degli Articuli prophetales8, alcuni sonetti profetali, in cui   auspica la sconfitta dei «fieri giganti», il trionfo degli «spiriti pii, lieti e conten ti» e il ritorno dell’«aurea età felice», nella  quale,  eliminato  il  «tuo»  e  il  «mio»,  l’amore  individuale ed  egoistico    si trasformerà in amore comune, «l’astuzia ed ignoranza in saper vivo/ e ’n fratellanza l’imperio funesto»9. Fra i mutamenti annunciati, Campanella prevede grandi progressi nelle scienze, nuove scoperte e invenzioni, a causa della particolare posizione di Mercurio, secondo quanto non mancherà di ricordare a Galileo nella chiusa della grande epistola latina che gli indirizza subito dopo la lettura del Sidereus Nuncius10.
Gli interessi astrologici che serpeggiano in larga parte dei testi campanelliani trovano un’organica sistemazione nei sei libri Astrologicorum, annunciati come compiuti  nella  lettera  del l’8  marzo  1614  a  Galileo.  In  queste  pa gine Campanella non manca di rimproverare all’amico la contraddizione fra la sua dichiarata “incredulità”, in base alla quale rifiuta un consulto astrologico per i propri problemi di salute, dichiarando di non crederci, e le puntuali allusioni astrologiche presenti nella dedicatoria a Cosimo II del Nuncius Sidereus , dove le eccellenti qualità del Granduca sono messe in rapporto con la posizione fortunata del «benignissimo astro di Giove» nel suo oroscopo. Campanella sottolinea che, se tali riferimenti agli influssi del pianeta sono solo di maniera, e  frutto  di  un  e logio  encomiastico  e  cortigiano   privo  di  ogni  intima convinzione, andavano evitati, perché «non è licito a Vostra Signoria servirsi [...] d’opinion false credute dal solo volgo», e quindi passa ad ammonirlo a non disdegnare una dottrina senza dubbio «piena di fallacie»,    ma che contiene anche «cose divinissime», se si operano le debite distinzioni riguardo ai diversi livelli di certezza dei suoi contenuti 11.

 

8 Cfr. T. Campanella, Articuli prophetales, a cura di G. Ernst, La Nuova Italia, Firenze 1977, pp. 260 -300. Il Prognosticum pertanto non andrà più annoverato fra gli opuscoli perduti, secondo quanto registrato in L. Firpo, Bibliografia degli scritti di Tommaso Campanella , Tipografia V. Bona, Torino 1940, p. 186.
9 T. Campanella,  Sonetti alcuni profetali , in Id., Le poesie, a cura di F. Giancotti, Einaudi, Torino 1998, pp. 232-237.
10 T. Campanella, Articuli prophetal es, cit., p. 290; Id., Lettere, cit., p. 169.
11  T. Campanella, Lettere, cit., pp. 177-78. Per i rapporti con Galileo su questioni astrologiche, cfr. G. Ernst, Aspetti dell’astrologia e della profezia in Galileo e Campanella , in P. Galluzzi (a cura di), Novità


Negli Astrologicorum libri, ponendosi sull a linea di Girolamo Cardano, che si era proposto di far rivivere l’autentica dottrina di Tolomeo, al di là di ogni deformazione e deviazione, anche Campanella dichiara di voler liberare la dottrina  dalle  superstizioni  degli  Arabi,  per  rifondarla  come  una  d ottrina naturale e congetturale, in modo che risulti altresì compatibile con le posizioni cristiane. In primo luogo, si tratta di separare l’astrologia da quella folla di dottrine nugaces, verso le quali l’animo umano è pur irresistibilmente attratto. Se il desiderio dell’uomo di conoscere le cose future è di per sé positivo, in quanto è una delle vie per avvertire la propria partecipazione alla divinità, può diventare una passione illusoria e rovinosa, se non è corretto e regolato dalla ragione superiore e se l’uomo, dimentico della Causa prima, si prostra di fronte alle cause seconde e strumentali. Né idolatrica né demonica, attenta a studiare le corrispondenze, palesi o più segrete, fra stelle e natura, cauta nei suoi metodi d’indagine – solo in alcuni po chi casi essa procede demonstrative, ma più di frequente probabiliter e suspicative, consapevole che gli eventi dipendono da un molteplice concorso di cause  –, l’astrologia non è indegna del nome di scienza, e solo chi non ne rispetta i limiti naturali cad e nella superstizione e rischia di incorrere nell’inganno diabolico 12.
Per quanto riguarda il problema più spinoso, il condizionamento astrale sulle libere scelte  dell’uomo,  Campanella  prende  le  distanze  da  posizioni  deterministiche  di stampo stoico, rivend icando la libertà dell’umano volere in un passo assai simile a quello della chiusa della Città del Sole. Alludendo alle torture subite, e a roghi non lontani, forse un tacito omaggio al più famoso di tutti, quello di Giordano Bruno del febbraio 1600, egli afferma che «l’uomo è così libero che, se non vuole, non viene vinto da nessun tormento e morte. Quanto meno dunque dalle stelle che non esercitano una pressione tanto atroce? Anche se bruciano il corpo non riescono a domare la volontà» 13.
La questione in verità risulta complessa e richiede tutta una serie di distinzioni e precisazioni. Richiamandosi ad Alberto Magno e a san Tommaso, egli afferma che l’arbitrio dell’uomo è sottoposto agli astri non directe, bensì per accidens. Il cielo e le stelle influiscono sul corpo e sullo  spiritus, che veicola le affezioni così ricevute all’anima incorporea infusa da Dio, la quale può scegliere di consentire o invece di contrapporsi alle sollecitazioni passionali. Se è vero che, secondo un famoso aforisma del Centiloquio pseudotolemaico, «il sapiente dominerà le stelle», è altrettanto vero che i filosofi e i sapienti sono assai rari, per cui l’astrologo spesso ha buon gioco nelle sue previsioni, in quanto gli uomini, nella maggior parte dei casi, indulgono alle inclinazioni sensibili anziché operare scelte razionali.

celesti e crisi del sapere , Giunti, Firenze 1983, pp. 255 -266 (poi in Ead., Religione, ragione e natura. Ricerche su Tommaso Campanella e il tardo Rinascimento , FrancoAngeli, Milano 1991, pp. 237 -254).
12 T. Campanella, Astrologicorum libri, in Id., Opera latina Francofurti impressa annis 1617 -1630, a cura
di L. Firpo, Bottega d’Erasmo, Torino 1975, II, pp. 1091, 1096.
13 Ivi, p. 1091.


2. L’affaire dell’oroscopo del papa e il De siderali fato vitando

Fin dai primi tempi dell’arrivo a Roma di Campanella, erano cominciate a circolare voci  su  un  prossimo  decesso  del  papa  a  causa  del   verificarsi  di  aspetti  astrali minacciosi per la sua vita. Dapprima vaghe e in sordina, le voci si andranno diffondendo sempre più e acquisteranno maggior consistenza negli anni fra il 1628 e il
1630, per culminare in un  affaire politico-astrologico di pr oporzioni internazionali, costituendo un esempio clamoroso e istruttivo dell’ambiguo connubio di astrologia, politica e propaganda. Interessanti informazioni sulla questione ci vengono fornite da Campanella stesso,  in una lunga lettera che scriverà da Par igi al papa il 9 aprile 1635 e nella quale, in una ricostruzione un po’ affannata, svelerà gli oscuri retroscena delle vicende romane di quegli anni 14. La lettera ha come protagonista   il generale dei Domenicani Nicolò Ridolfi, della cui persona, e del «mod o violento e rapace con cui regna», l’esule, ormai lontano e dopo averne patite a lungo le persecuzioni, traccia un ritratto spietato, con l’intento di smascherarne le doppiezze, gli intrighi, le calunnie.
In un fitto intrico di malignità, simulazioni, tr adimenti («in lui non ci è religiosità se non finta, né veracità, né carità né amicizia; ma tanto mostra amare uno quanto n’ha bisogno, e poi subito lo trade» 15), si inserisce la specifica azione e il ruolo sostenuto dal Ridolfi nell’ affaire astrologico. Campanella ci informa che il Ridolfi, che, al pari dei   fratelli, nutriva una sfrenata passione per l’astrologia, gli faceva spesso visita, proprio  per  questioni  astrologiche, nel  palazzo  del  Sant’Uffizio, dove  si  trovava rinchiuso. Nel corso di una di quest e visite, gli aveva mostrato «certi giudìci fatti d’altri» riguardanti la vita del papa, «che dicean ch’a settembre del ’28 avea da morire». Anziché confermare queste predizioni – come il Ridolfi, che aveva personali mire di potere, avrebbe sperato –, Campanella le smentisce, scrivendo un discorso, che non ci è pervenuto, volto a mostrare come il papa sarebbe vissuto ancora a lungo: «Io li provai che non era vero, e feci uno scritto contra». Constatata l’esattezza di queste previsioni, il Ridolfi gli aveva  mostrato la propria natività. Dopo averla esaminata, Campanella gli aveva predetto il cardinalato per il giugno del 1629 – ammettendo però di avere sbagliato carica, in quanto in quel mese il Ridolfi divenne non cardinale, bensì generale dell’Ordine. Ma al tri illustri personaggi, ai quali si era rivolto e aveva mostrato il proprio tema di nascita, meno cautamente gli avevano predetto senza indugio il papato, «per un satellizio in occidente di tutti pianeti in Scorpione» 16, prospettiva che lo aveva reso «bald anzoso, come il pronostico di Ticone al re di Svezia chi non credea poter essere vinto né morire» 17.

14 Cfr. T. Campanella, Lettere, cit., pp. 282-295.
15 Ivi, p. 284.
16 Ivi, p. 287. Per satellizio si intende un eccezional e accumulo di pianeti in uno stesso segno. L’accumulo
di pianeti attorno al sole nel  Medium coeli è considerato da Tolomeo, Tetrabiblos, IV, 3, un aspetto
astrologico  particolarmente  positivo  e  fautore  di  successo:  cfr.  Claudio  Tolomeo,   Le  previsioni astrologiche, a cura di S. Faraboli, Mondadori, Milano 1985, pp. 297 -98.
17  Nella IV parte dei suoi Astronomiae instauratae progymnasmata (in Opera omnia, a cura di J.L.E.
Dreyer, t. III, Hauniae 1916, pp. 308 ss., 405 ss.) Tycho Brahe (1546 -1601) aveva vaticina to l’avvento di un «sovrano del Nord», che qualche decennio dopo venne identificato con il re di Svezia Gustavo Adolfo (1594-1632). Ma se le sue strepitose vittorie in Germania contro gli eserciti imperiali avevano favorito tale identificazione, la sua mor te nella pur vittoriosa battaglia di Lützen il 16 novembre 1632 aveva poi smentito le profezie.


Di qui si erano accese rinnovate attese per la morte del papa, spostata adesso al febbraio  1630,  e  in  vista  dell’evento si  organizzavano incontri  e  concili aboli  di astrologi, con successivi pellegrinaggi presso i principi per diffondere le previsioni sul decesso del papa e «commover gli animi di cardinali a fare quel papa che mostravan le stelle»18.  I  turbamenti  e  i  disordini  giunsero  al  punto  che  nel  giugno   del  1630 arrivarono a Roma i cardinali spagnoli, sollecitati dal cardinal Borgia, fiero avversario del  papa,  per  prender  parte  a  un  nuovo  conclave,  come  se  ci  fosse  già  «sede vacante»19.
In questo clima oscuro e gravido di minacce si inseriscono sia le prat iche di magia astrale operate da Campanella con il papa, sia la composizione degli opuscoli. Urbano VIII non disdegnava di dedicarsi all’astrologia in via strettamente riservata: si vantava di conoscere le natività di tutti i cardinali e non mancava di  co nsultare con una certa impazienza quella del vecchio duca d’Urbino, non vedendo l’ora che sparisse di scena per  prendere  finalmente  possesso  del  suo  stato.  Comprensibilmente infastidito  e allarmato per le previsioni nefaste sul suo conto, Urbano si rivolge a Campanella, che a partire dall’estate del 1628 viene convocato a più riprese a palazzo, per mettere in pratica i rimedi atti a scongiurare le minacce celesti. Negli  Avvisi di Roma di quel periodo serpeggiano frequenti accenni agli incontri segreti fra u n papa più che mai intenzionato a preservare in ogni modo la propria vita e il frate, «il maggior astrologo de’ nostri tempi», che, grazie a cerimonie notturne, illuminate dai bagliori di fiaccole e candele, e «a certi fomenti che sono contro li mali humor i e la malinconia», riesce a indurre nell’illustre personaggio la persuasione «di vivere lungamente e con molta quiete»20.
I rimedi contro gli aspetti celesti sfavorevoli sono descritti nell’opuscolo De siderali fato vitando, che verrà dato alle stampe, a d ire di Campanella senza il suo consenso, in appendice ai  sei  libri  Astrologicorum  nel  162921. Se  in  altri  testi  Campanella si sofferma, proprio come Ficino nel De vita coelitus comparanda ,  sui modi per attirare con “esche” opportune i favori del cielo, nel l’opuscolo sul fato siderale affronta il problema dal diverso punto di vista di come sventare le possibili minacce celesti adottando opportune cautele. A tale pro posito, egli   insiste su due temi centrali: il valore delle scienze come mezzi e rimedi di cui  l’uomo dispone per porre riparo ai diversi mali; la fiducia che anche i pericoli connessi con il fato sidereo non siano inevitabili.
Per Campanella, ogni male ha il suo rimedio e le arti, figlie della natura e raggi dell’unica luce del Verbo divino, hanno  lo scopo di proteggere la vita dell’uomo, aiutandolo  a  conseguire  quello  che  giova  e  ad  evitare  quello  che  nuoce.  Se  la medicina, l’etica, la politica, l’economica consentono di fronteggiare i mali del corpo, dell’anima, della repubblica e della famiglia,  la scienza siderale è efficace contro i possibili danni derivati dalle stelle. In una bella pagina dal sapore baconiano Campanella celebra le scoperte dei moderni  – la stampa, la bussola e le armi da fuoco,

 

18 T. Campanella, Lettere, cit., pp. 287-88.
19  Ivi, p. 288. Per l’arrivo dei cardinali, cfr. L. Amabile,  Fra T. Campanella ne' castelli di Napoli, in
Roma e in Parigi, Morano, Napoli 1887, I, p. 379.
20 L. Amabile, Fra T. Campanella ne' castelli , cit., I, pp. 325 ss.; II, doc. 203, p. 148.
21 Il testo latino dell’opuscolo, con tr. it. a fianco, in T. Campanella, Opuscoli astrologici , cit., pp. 63-133.


che hanno consentito la scoperta e la conquista del nuovo modo  –  e ad esse aggiunge il telescopio, con l’auspicio che si realizzi quanto prima l’arte del volo e che si giunga presto alla costruzione di un auricolare organum , l’«oricchiale», come vien detto nella Città del sole  lo strumento per ascolt are le armonie delle musiche celesti 22. Tali mirabili invenzioni dovrebbero spronare i principi a incrementare sempre più le arti speculative e meccaniche, contribuendo così a migliorare la vita dell’uomo e ridurre anche i mali connessi con il fato:

Come  sarebbe bello se  i  principi, lasciando perdere le  ridicole dottrine degli antichi, facessero progredire il presente secolo favorendo chi si dedica alle scienze! Non c’è nulla infatti che la ragione umana non possa vincere. Ma le scuole sono occupate da sof isti incapaci di ritrovare cose nuove, e pronti solo a perseguitare chi ricerca la verità. Non c’è quindi da stupirsi che ancora non vengano alla luce tutti quei rimedi che Dio offre contro le calamità del fato 23.

Non sono i mali ad essere inevitabili, ma purtroppo sono le arti utili a porvi riparo ad essere trascurate. Se scopo di ogni vera scienza è quello di alleviare i mali degli uomini e provvedere ai loro bisogni, anche la scienza siderale è utile e può controllare
i pericoli minacciati dalle stelle. Il cielo infatti non realizza in modo necessario quanto Dio ha stabilito, demandando agli angeli l’esecuzione, ma agisce con il calore, la luce, l’aspetto, il movimento. Le azioni, le passioni, le forme sostanziali e accidentali del mondo inferiore sono p rodotte per mezzo di strumenti corporei: il cielo è lo strumento e il sigillo delle intelligenze apposto al mondo elementare, e pertanto gli effetti che conseguono a cause corporee possono venire rafforzati o impediti da cause corporee. Garantito così un p ossibile margine di intervento all’interno dalla catena causale del fato, Campanella analizza le varie situazioni di pericolo suggerendo di volta in volta gli opportuni rimedi, improntati, nella maggior parte dei casi, a regole ispirate al semplice buon senso. La pagine più famose e più discusse, in quanto rispecchiano le pratiche operate con il papa, sono quelle che suggeriscono i rimedi contro i possibili danni di eclissi e comete.

L’Apologetico in difesa del De fato

Sullo scorcio del 1629 l’opuscolo sul fato siderale vide la luce annesso ai sei libri degli Astrologicorum, in una stampa presso i fratelli Prost a Lione. Quando il volume giunge a Roma, oltre che suscitare grande scalpore, scatena la furiosa ira del papa, che si vede compromesso in pratiche considerate superstiziose, ciò che induce un grave stato di prostrazione in Campanella. Superata la crisi, egli si affretta a  respingere con sdegno ogni responsabilità nella pubblicazione dell’opuscolo, attribuendola a un vero
e  proprio  complotto ai  suoi  danni  da  parte  dei  due  suoi  più  malevoli  e  potenti avversari, i confratelli Nicolò Ridolfi comunemente noto come  “padre Mostro”, e Nicolò  Riccardi,  al  fine  di  screditarlo  agli  occhi  del  pontefice,  ed  alienargli  la benevolenza che  aveva  acquisito presso  di  lui,  impedendone la  nomina, che  era nell’aria, a qualificatore del Sant’Uffizio 29.
In seguito a tali vicende, Campanella si dev e difendere dalle accuse , oltre che di stampa non autorizzata,  di eresia e superstizione. Riguardo alla prima imputazione, la

 

28 Come evitare il fato astrale , cit., p. 127. Negli Elogi degli uomini illustri anche il Tomasini si sofferma sulla tragica fine del Nabod, dopo av erne tracciato una sintetica biografia, deplorando il feroce delitto rimasto impunito e attribuito dalle voci popolari all’invidia di chi si sentiva superato in perizia dall’astrologo: cfr. I. Ph. Tomasini, Illustrium virorum elogia, apud Donatum Pasquardu m, Patavii 1630, pp. 181-184.
29 T. Campanella, De libris propriis et recta ratione studendi syntagma, I, 4, in Tommaso Campanella , a cura di G. Ernst, Introduzione di N. Badaloni, Il Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1999, pp . 390-391; Id., Lettere, cit., p. 286. La vicenda della stampa presenta aspetti non del tutto chiariti. Firpo, che era
anche un appassionato e competente bibliofilo, offre una attenta ricostruzione delle quattro edizioni degli
Astrologicorum  che  si  susseguirono  fra  il  1629  e  il  163 0:  cfr.  La  stampa  clandest ina  degli
«Astrologicorum libri» , in Ricerche campanelliane , cit., pp. 155-169. Francesco Grillo sostiene che la
prima edizione ebbe luogo a Roma, presso l’editore camerale Brugiotti: cfr.  Questioni campanelliane . La stampa fraudolenta e clandestina degli « Astrologicorum libri» , Cosenza 1961.


respinge negando ogni iniziativa personale. Per discolparsi dal secondo capo d’accusa, si afffretta a stendere un Apologeticus in difesa dell’opuscolo, inviandolo a due censori che  lo  giudicheranno  immune  da  superstizione 30.  In  queste  pagine  egli  intende mostrare come le pratiche suggerite nelle pagine del De fato non vadano intese come un rito cerimoniale superstizioso, bensì come u n rimedio integralmente naturale, che non comporta alcun patto demonico, né tacito né espresso. Ma se Campanella ha buon gioco nel richiamare la necessità di purificare ambienti e aria infetti, secondo quanto raccomandano i medici e Ficino nel Consilio contro la pestilenza, deve in seguito fare ricorso a tutta la propria dottrina per rispondere a obiezioni più insidiose, riguardanti le virtù dei numeri, il valore simbolico della rappresentazione, i poteri delle immagini.
Per quanto riguarda i numeri, Campan ella precisa che nessun concilio si è mai pronunciato in merito alle dottrine pitagoriche che attribuiscono specifiche virtù ai numeri, per cui, indipendentemente dal loro valore di verità, non esistono divieti in proposito. Poiché poi  la Scrittura, second o  il  citatissimo versetto della  Sapienza, proclama che Dio fece ogni cosa «in numero, peso e misura», è del tutto naturale ritenere che la scansione numerica sia presente in ogni aspetto del creato, e che anzi sia proprio essa a rendere possibile la distin zione dei  singoli enti dalla congerie indifferenziata del caos. Sempre nelle Scritture, è poi assai frequente il ricorso a simbologie numeriche, con particolare attenzione per il settenario  – basti pensare al vorticoso turbinio dei sette angeli, ampolle, t uoni, trombe, sigilli dell’Apocalisse; del pari copiosi sono i riferimenti ai misteri dei numeri nei testi dei padri, da Origene a Gerolamo ad Agostino a Riccardo di San Vittore, e Campanella non esita a fare ricorso a tutta la propria erudizione per esibi re quella che Walker dice «a formidable list of patristic authorities for the power and vitues of numbers» 31. Fra gli autori recenti si sono soffermati sul valore mistico del settenario, Campanella ricorda il medico fiammingo Cornelio Gemma, autore del  De arte ciclognomica, e l’udinese Fabio Paolini, professore di greco a Venezia e accademico uranico, autore di un curioso trattato intitolato Hebdomades, i cui sette libri consistono in una dottissima, vertiginosa variazione sulla teologia orfica e il valore d el settenario, prendendo spunto da un verso dell’ Eneide32.
Che poi le fiaccole da accendere debbano essere proprio sette, deriva ovviamente dal  fatto  che  sette  sono  i  pianeti.  Il  che  non  significa  che  si  tratti  di  un  rito superstizioso o di una vana osserva nza, bensì di una specifica imitazione del cielo, in conformità  ai  testi  biblici,  che  spesso  prescrivono  la  riproduzione  di  modelli esemplari. A  questo proposito, Campanella ricorda l’arcano valore simbolico dei paramenti sacerdotali di Aaron e del tabernaculum mosaico, richiamandosi in particolare al testo che è una delle fonti privilegiate delle sue conoscenze sulla cultura ebraica, la  Bibliotheca sancta  di  Sisto  da  Siena,  il  domenicano di  origini ebree convertitosi al cattolicesimo. Se la tripartizione d el tabernaculum in atrio, stanza santa e Sancta sanctorum è una trasparente allusione alla tripartizione dei mondi sublunare, celeste e divino, i singoli capi delle vesti del sommo sacerdote,  i loro colori, i loro ornamenti  e  le  pietre  che  le  decoravano,  avevano  un  potente  valore  simbolico,

30 T. Campanella, Syntagma, I, 4, in Tommaso Campanella , cit., pp. 390-391.
31 D.P. Walker, Spiritual and demonic M agic, cit., p. 222.
32 Per il Paolini, cfr. ivi, pp. 126 -144.


raffigurando tutto il mondo contratto. Oltre ad esercitare una particolare efficacia, tali paramenti, al pari di altri oggetti simbolici, richiedono, secondo Sisto, uno specifico tipo   di   spiegazione,   quella   «sciographic a»,   nella   quale   risulta   essenziale   la riproduzione di un’immagine che ponga sotto gli occhi cose che non si possono esprimere in  modo  adeguato con  le  sole  parole.  Oggetti  come  l’arca  di  Noè,  il tabernacolo, il tempio di Salomone si comprendono male e a fat ica senza la figura, mentre grazie alla loro rappresentazione «apprendiamo con un solo sguardo molte più cose che con una lunga e complessa lettura di commenti: infatti si apprende molto più e in modo di gran lunga più distinto e si trattatiene più tenacem ente nella memoria ciò che si coglie con gli occhi che ciò che si percepisce con le sole orecchie» 33.
Ma  anche  accettando  il  valore  rappresentativo  delle  sette  fiaccole,  qualcuno potrebbe sempre richiedere che si specifichi in modo più preciso di che genere  di virtù esse risultino dotate. Campanella risponde a questa ulteriore obiezione affermando che, oltre alla virtù simbolica e mistica di cui si è detto, si può anche affermare che le sette  torce  acquisiscano dagli  influssi  dei  sette  pianeti  una  «vis  physi ca»,  e  per sostenere questo punto non esita ad affrontare la delicata questione delle immagini astrologiche. Già Ficino, nelle pagine più discusse e problematiche del De vita coelitus comparanda, per sostenere la liceità delle immagini e giustificare la lo ro efficacia, aveva fatto appello allo Speculum astronomiae di Alberto Magno e a testi, più sfumati e cauti, di san Tommaso 34. Campanella non solo ripropone tali autorità, ma fa anche appello a un’abi lissima pagina di commento del G aetano alla  Summa tomista. In quella   pagina   il   commentatore  riesce,   con   uno   sforzo   ermeneutico   davvero ammirevole, a mostrare come talune affermazioni dell’Aquinate sulle immagini che sembrano fra di loro in contrasto risultino in verità conciliabili, e come il passo della Summa che a una lettura superficiale sembrerebbe negare alle immagini qualsiasi efficacia  derivata  dalle  stelle,  in  verità  vada  interpretata  sotto  una  diversa  luce. Tenendo  presenti  tutta  una  serie  di  distinzioni  e  di  precisazioni,  egli  giunge  a concludere che le  immagini astronomiche, purché prive di caratteri, non risultano condannabili35. Per suffragare l’affermazione che non solo gli enti naturali sono dotati di virtù e disposizioni originarie, ma lo possono essere anche i prodotti dell’arte umana, Campanella f a appello alle recenti scoperte sul magnetismo, a Giambattista Della Porta, e soprattutto al testo di Gilbert, che rilevava come le barrette di ferro e i chiodi costruiti dal fabbro si orientano verso quella direzione verso la quale sono stati fabbricati:  come  si  può  constatare  ponendoli  a  galleggiare  su  un  sughero,  essi tenderanno ad assumere una propria specifica direzione, dipendente dall’orientamento ricevuto al momento della loro formazione.

 

Fonte: http://www.babelonline.net/PDF07/Ernst_fatosiderale.pdf

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Autore del testo: G.ERNST

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