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Caso Allemandi
Il Caso Allemandi fu il primo grande scandalo del calcio italiano, che comportò la revoca dello → scudetto vinto dal Torino nel 1927.
Il tentativo di corruzione del giocatore Luigi Allemandi, terzino della Juventus, fu una vicenda alquanto complessa e dai retroscena che non furono mai ben chiariti. Secondo la cronaca del tempo, Luigi Allemandi venne avvicinato da un dirigente granata, il dottor Nani, che avrebbe corrotto il giocatore anticipandogli metà della somma pattuita, pari a
50.000 lire, affinché questi dirottasse a favore del Toro il risultato del derby di Torino in programma il 5 giugno 1927. In quel momento i granata erano in testa alla classifica ma braccati dal Bologna, mentre la Juve era alquanto attardata e oramai rassegnata a perdere il titolo conseguito l'anno prima. Per contattare il giocatore, Nani si affidò a Francesco Gaudioso, uno studente catanese del Politecnico che alloggiava in una pensione di via Lagrange dove aveva domicilio anche Allemandi. In quella stessa pensione vi era anche il giornalista Renato Farminelli, corrispondente dal capoluogo piemontese del Tifone, una testata dell'epoca.
Il derby si chiuse con la vittoria per 2 a 1 del Torino, ma Allemandi contrariamente ai presunti patti si segnalò tra i migliori in campo. Per questo, Nani si rifiutò di pagare le restanti 25.000 lire al calciatore: la discussione che si accese tra i due avvenne nella pensione di via Lagrange alla presenza di Gaudioso, ma fu udita anche da Farminelli che origliava da un'altra camera.
Da questo episodio, a fine campionato, Farminelli ricaverà sul Tifone un pepato articolo dal titolo C'è del marcio in Danimarca. Questo reportage provocherà le indagini della Federcalcio, alla cui testa si trovava all'epoca Leandro Arpinati, gerarca fascista nonché podestà della città di Bologna. Poiché fu proprio la squadra del Bologna che arrivò seconda dietro i granata, vi furono forti sospetti sull'imparzialità con cui vennero condotte le indagini.
Effettivamente quella che venne considerata la "prova schiacciante" era così fragile da suscitare il dubbio che fosse stata creata ad arte: durante un sopralluogo nella famosa pensione il vice di Arpinati, Giuseppe Zanetti, rinvenne in un cestino dei rifiuti alcuni pezzi di carta che uniti risultarono essere una lettera nella quale Allemandi reclamava il pagamento a saldo della somma pattuita.
Il Direttorio Federale, riunito nella Casa del Fascio, revocò lo scudetto al Torino e squalificò a vita Allemandi, che nell'estate era passato dalla Juventus all'Inter, anche se in seguito alla vittoria della Nazionale Italiana della medaglia di bronzo alle Olimpiadi del 1928, il giocatore godrà poi di un'amnistia. Nessun provvedimento fu invece preso a carico della Juventus, poiché i bianconeri si difesero spiegando che il terzino si era mosso in maniera autonoma e che la società zebrata era dunque vittima, e non protagonista, dell'illecito avvenuto.
Lo scudetto restò invece perpetuamente "non assegnato", e non quindi dato al Bologna come i dirigenti della società felsinea reclamavano. Sulle motivazioni di questa mancata riassegnazione, contraria ai regolamenti che invece espressamente, secondo le norme del CIO, prevedevano la vittoria della seconda classificata nel caso di squalifica della prima piazzata, si avanzarono illazioni totalmente opposte. Da un lato c'era chi, credendo nella buona fede e
nella probità di Arpinati, sostenne che fu proprio il gerarca a impedire la premiazione dei rossoblù perché ciò gli avrebbe tirato addosso ovvi sospetti di parzialità, dall'altro lato ci fu chi, specie tra i sostenitori granata, portò invece avanti la tesi secondo cui fu proprio Arpinati a ordire, e forse inventare o quantomeno gonfiare, lo scandalo che coinvolse Allemandi, mentre la mancata incoronazione dei felsinei sarebbe stata voluta da alti gerarchi, forse dal duce stesso, timorosi che le velenose critiche verso Arpinati potessero arrivare a discreditare l'immagine e l'autorità dello stesso Governo fascista.
Lo scudetto di quell'anno rimase dunque inaggiudicato, unico caso fino al ripetersi di un secondo episodio nel 2005. Nel 1949, durante i funerali del Grande Torino, la FIGC promise di riaprire il caso, ma tale assicurazione non ebbe mai seguito.
Scandalo della telefonata
Per Scandalo della telefonata s'intende un caso di illecito sportivo avvenuto in Italia nel 1974, in cui erano coinvolti Saverio Garonzi (presidente del Verona), Sergio Clerici (giocatore del Napoli ed ex-veronese), Sergio Affalato (segretario del Foggia) e l'arbitro fiorentino Gino Menicucci.
Al termine della gara tra Verona e Napoli, vinta 1-0 dai veneti il 21 aprile 1974, un giornale napoletano riportò la notizia di una telefonata tra il presidente del Verona Saverio Garonzi e il calciatore brasiliano Sergio Clerici, all'epoca centravanti napoletano con un passato in giallo-blu, in cui il massimo dirigente scaligero avrebbe promesso al calciatore di aiutarlo ad aprire una concessionaria FIAT al suo rientro in patria, a fine carriera.
In seguito a questo articolo, i dirigenti del Foggia si recarono all'Ufficio Inchieste della FIGC per ottenere l'apertura di un'indagine, al fine di aver diritto al ripescaggio in Serie A (a fine campionato il Verona si salvò e il Foggia retrocesse in Serie B assieme a Sampdoria e Genoa).
Il presidente giallo-blu - una volta convocato dalla Procura Federale - inizialmente, negò l'esistenza di quella telefonata ma, successivamente, il giocatore Clerici confermò per filo e per segno che quella conversazione telefonica, in effetti, era avvenuta.
A quel punto, Garonzi ammise di aver parlato; per la Giustizia Sportiva la negazione del dirigente al primo interrogatorio e il contenuto della conversazione furono sufficienti per decretare la retrocessione del Verona e riammettere in Serie A il Foggia.
Successivamente, però, fu proprio il Foggia ad essere protagonista in negativo della seconda parte dello scandalo. All'ultima giornata, infatti, era in programma Foggia-Milan e, prima della gara, il segretario pugliese Sergio Affalato cercò di corrompere l'arbitro, il fiorentino Gino Menicucci e i due guardalinee, regalando loro tre orologi. Menicucci rifiutò sdegnato e raccontò tutto all'Ufficio Inchieste prima e al Giudice Sportivo poi.
Al termine del processo di primo grado il Verona venne penalizzato di 3 punti, che avrebbe dovuto scontare nel Campionato di Serie A 1974-75; il Foggia, invece fu penalizzato di 6 punti nel campionato appena concluso, con l'aggiunta di altri 3 punti, da scontare in → Serie B l'anno successivo.
A quel punto fece ricorso la Sampdoria - penultima in classifica - affermando che il Verona doveva scendere in → Serie B per aver commesso illecito sportivo e il Foggia doveva essere penalizzato in quel campionato, con conseguente ripescaggio dei doriani.
In seguito alle richieste della Sampdoria, questa fu la sentenza inappellabile della CAF al termine del procedimento sportivo-disciplinare:
Paolo Carbone, Il pallone truccato - L'illecito nel calcio italiano, Libri di Sport Editore, Milano, 2003.
• Serie A 1973-1974
Scandalo del calcio italiano del 1980
Lo scandalo del calcio-scommesse 1980 è uno scandalo che colpì il calcio italiano nella stagione agonistica 1979-1980 e vide coinvolti giocatori, dirigenti e società di → Serie A e di → Serie B, i quali truccavano le partite di campionato attraverso scommesse che, se dal punto di vista penale non erano considerate reato, per la FIGC rappresentavano casi di illecito sportivo. Le società coinvolte nell'inchiesta erano Milan, Lazio, Bologna, Avellino e Perugia in → Serie A, Palermo e Taranto in → Serie B.
Si trattò del primo grande scandalo di illeciti sportivi e partite truccate nella storia del calcio italiano, tanto che il Presidente federale Artemio Franchi (all'epoca anche Presidente dell'UEFA) decise, in seguito, di rassegnare le dimissioni dalla carica che ricopriva e il tutto avveniva a soli tre mesi dall'inizio del Campionato europeo di calcio 1980, che si sarebbe disputato proprio in Italia, il che faceva perdere molta credibilità al calcio nazionale, sia in patria che all'estero.
Il 23 marzo 1980 (24° turno di Campionato di Serie A e 27° turno di Campionato di Serie B) apparvero negli stadi camionette della Polizia e della Guardia di Finanza: scattavano negli spogliatoi le manette per gli ordini di cattura. Alcuni giocatori, da Milano, vennero portati a Roma, detenuti a Regina Coeli. Si trattava di nomi illustri: Cacciatori, Giordano, Manfredonia e Wilson della Lazio, Albertosi e Giorgio Morini del Milan e altri, mentre ordini di comparizione erano stati consegnati a Paolo Rossi, Savoldi, Dossena e Damiani. Di Morini si accertò la consegna a Roma di 20 milioni avvolti in carta da giornale per far tacere Fabio Trinca e Massimo Cruciani. Quella somma gli era stata fornita dal presidente rossonero Felice Colombo.
Le immagini degli arresti e delle camionette di Polizia e Guardia di Finanza presenti negli stadi sono famose ancora oggi per essere state riprese in diretta nel corso della trasmissione sportiva 90° minuto.
Il 23 dicembre 1980 tutti gli indagati vennero rilasciati poiché il fatto, a livello penale, non costituiva reato. Vennero invece presi provvedimenti in ambito calcistico, in quanto venne provata l'accusa di illecito sportivo.
Le sentenze di primo grado furono rese pubbliche dalla Commissione Disciplinare della Lega Calcio il 18 maggio 1980 a campionati conclusi, il cui effetto cominciava dal 30 aprile.
Nel processo d'appello, verso la fine di giugno, la CAF confermò la maggior parte delle decisioni di primo grado con sconti di pena in alcune situazioni.
Dopo la vittoria dell'Italia nel Campionato mondiale di calcio 1982, la → FIGC fece una sorta di amnistia annullando le squalifiche ai calciatori che in quel momento erano squalificati (Pellegrini, Cacciatori, Della Martira, Albertosi, Giordano, Wilson, Manfredonia, Petrini, Savoldi e Zecchini in → Serie A, Magherini e Massimelli in → Serie B). Ci furono cambiamenti anche a livello di squalifica dei tesserati: il massimo periodo di squalifica era limitato a 5 anni con proposta di radiazione e la radiazione dei tesserati poteva deciderla il Presidente Federale anziché i giudici sportivi.
Dopo aver vinto il Campionato di Serie B 1980-1981, retrocesse nuovamente tra i cadetti, al termine della stagione 1981-82, a causa del terzultimo posto in classifica.
Totonero è il termine giornalistico con cui viene indicata la pratica non autorizzata del gioco delle scommesse (prevalentemente di argomento sportivo).
Le scommesse a quota fissa in Italia (dette anche Totoscommesse) sono state autorizzate con il Decreto nº 174 del 2 giugno 1998. Prima dell'entrata in vigore di tale decreto, l'esercizio delle scommesse in forma di gioco organizzato in Italia era vietato. Con la vigente normativa, comunque, il gioco è divenuto lecito, ma può essere organizzato e gestito esclusivamente da parte di agenzie munite di concessione dello Stato e di regolare autorizzazione rilasciata dalla questura.
Recenti pronunciamenti della Cassazione hanno chiarito che anche operatori con sede all'estero, se non possiedono la concessione rilasciata dallo Stato Italiano, non possono raccogliere puntate (tipicamente on line, ovvero tramite internet) da scommettitori che si trovino in territorio italiano.
Serie di eventi accaduti in seguito alla venuta alla luce di comportamenti illeciti tenuti sistematicamente da calciatori di → Serie A in Italia verso la fine degli anni '70.
Era abitudine, infatti, di molti atleti scommettere (direttamente o tramite loro complici) somme di denaro sui risultati degli incontri ai quali avrebbero partecipato essi stessi: tale tipo di scommessa crea un evidente conflitto di interessi, poiché l'atleta potrebbe essere indotto a non profondere il massimo impegno nella competizione sportiva, al fine di favorire la realizzazione del risultato sul quale ha scommesso. Questo tipo di scommesse è espressamente vietato dalle norme sportive.
Il fenomeno aveva ormai assunto dimensioni rilevanti, tanto che nel febbraio 1980 la Federcalcio lanciò una prima indagine, che si arenò però presto a causa della mancanza di prove evidenti. La svolta avvenne il 1º marzo dello stesso anno, quando un commerciante all'ingrosso di ortofrutta, Massimo Cruciani, presentò un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, sostenendo di essere stato truffato.
Egli, infatti - tramite Alvaro Trinca, proprietario di un ristorante di cui era fornitore - era venuto in contatto con alcuni giocatori della Lazio, che lo avevano indotto a scommettere su alcune partite di → Serie A che erano state "combinate". Tuttavia, non tutti i risultati concordati si erano verificati, facendo perdere a Cruciani somme ingenti (centinaia di milioni di lire).
Ecco il testo originale dell’esposto presentato da Massimo Cruciani, scommettitore “beffato”, alla Procura della Repubblica di Roma: un’autentica “bomba” innescata per il calcio italiano.
“Ill.mo Signor Procuratore, io sottoscritto Cruciani Massimo, nato a Roma il 15-8-1948, sottopongo alla cortese attenzione della S.V. Ill.ma il seguente esposto, i fatti sottoelencati sono necessariamente scarni data la estrema complessità della vicenda; per cui, nel pormi a completa disposizione della S.V. Ill.ma fornirò in prosieguo tutti i dettagli che la S.V. medesima riterrà utili ai fini dell'indagine. Verso la metà del 1979, frequentando il locale ristorante «Le Lampare», di proprietà del Sig. A. T. (Alvaro Trinca, n.d.r.), che rifornivo di frutta possedendo un magazzino all'ingrosso, ebbi modo di conoscere alcuni giocatori di calcio, tra i quali in particolare Giuseppe WILSON, Lionello MANFREDONIA, Bruno GIORDANO, Massimo CACCIATORI.
Intervennero gradualmente, con costoro, dei rapporti di amicizia, alimentati dal mio interesse per il calcio e per le scommesse clandestine e non che ruotano intorno al mondo del pallone. I quattro giocatori, in proposito, mi dissero chiaramente che era possibile «truccare» i risultati delle partite, con il che, ovviamente, scommettendo nel sicuro. Mi precisarono, a titolo di esempio, che era scontato il risultato della partita PALERMO-LAZIO (amichevole) verificatasi, mi pare, nel mese di ottobre 1979 attraverso l'intervento dì Guido MAGHERINI, giocatore del PALERMO.
Accettai l'idea e decisi di intraprendere una serie di attività di gioco d'accordo con i suddetti giocatori e gli altri che a volta a volta, come mi si disse, si sarebbero dichiarati disponibili. Iniziò così, per me, una vera e propria odissea che mi ha praticamente ridotto sul lastrico ed esposto ad una serie preoccupante di intimidazioni e minacce.
Come ho già detto, tutta la vicenda è costellata di tali e tanti episodi dettagliati che, in questa sede, mi limiterò ad illustrarne alcuni, riconfermandomi a disposizione della S.V. Ill.ma per tutto il resto. Successivamente, ad esempio, alla partita PALERMO-LAZIO accennata, presi contatti con il MAGHERINI per combinare il risultato della partita TARANTO-PALERMO prevista per il 9-12-1979. In proposito il MAGHERINI organizzò il pareggio delle due squadre a patto che io giocassi sul risultato, nel suo interesse, 10.000.000 e altri 10.000.000 consegnassi a ROSSI Renzo e QUADRI Giovanni del TARANTO. Contrariamente ai patti, vinse il PALERMO. Il MAGHERINI, a tal punto, avrebbe dovuto rifondermi i 10.000.000 giocati per lui ed i 10.000.000 consegnati ai giocatori del TARANTO, ma si rifiutò. Inoltre in seguito al mancato rispetto degli accordi ho perduto, insieme ad altri scommettitori che meglio preciserò in prosieguo, L. 160.000.000 presso svariati allibratori clandestini.
A seguito delle mie rimostranze, il MAGHERINI mi promise il risultato certo della partita LANEROSSI VICENZA-LECCE. Nella stessa occasione egli combinò, d'accordo con i citati giocatori della LAZIO il risultato MILAN-LAZIO (entrambe le partite ebbero luogo il 6-1-1980).
Per quanto riguarda la partita LANEROSSI VICENZA-LECCE il MAGHERINI mi mise in contatto con Claudio MERLO giocatore del LECCE, il quale ricevette da me un assegno di L. 30.000.000 assicurando la sconfitta della sua squadra. Per quanto riguarda l'altra partita MILAN-LAZIO i giocatori biancazzurri GIORDANO, WILSON, MANFREDONIA e CACCIATORI si accordarono con Enrico ALBERTOSI del MILAN affinché si verificasse la vittoria di quest'ultima squadra. Per quest'ultima partita consegnai tre assegni da 15.000.000 e due da 10.000.000 a GIORDANO, WILSON, MANFREDONIA, VIOLA e GARLASCHELLI, affidandoli materialmente a MANFREDONIA. Ulteriore assegno di L. 15.000.000 consegnai a CACCIATORI Massimo (Lazio) il quale provvide ad incassarlo intestandolo a certo sig. Orazio SCALA.
Il Milan, da parte sua, contribuì alla «combine» con l'invio di L. 20.000.000 liquidi che mi portò a Roma, nel mio magazzino di Via (omissis) il giocatore di tale squadra Giorgio MORINI, due giorni dopo il rispettato esito dell'incontro. In conseguenza nei citati accordi, ed in cambio del loro contributo, WILSON, MANFREDONIA, GIORDANO e CACCIATORI mi chiesero di puntare per loro 20.000.000 sulla sconfitta della LAZIO. La vincita di lire 80.000.000 d'accordo con i quattro anziché consegnarglieli avrei dovuto usarli per pagare i giocatori dell'AVELLINO (Cesare CATTANEO, Salvatore DI SOMMA, Stefano PELLEGRINI) i quali avrebbero dovuto perdere contro la LAZIO la settimana successiva.
Io ed altri scommettitori, in base agli accordi di cui sopra, abbiamo scommesso per «l'accoppiata» costituita dai due risultati concordati, circa 200.000.000 di lire: cifra perduta per il mancato rispetto dell'impegno assunto dalla squadra leccese, la quale ha pareggiato 1-1. Tutto quanto sopra, costituisce una esemplificazione di come si svolgessero i moltissimi episodi di cui è costellata questa storia, che, come più volte precisato illustrerò in prosieguo, nei dettagli, alla S.V. Ill.ma.
Desidero peraltro precisare che le squadre coinvolte in questa storia sono anche l'AVELLINO, il GENOA, il BOLOGNA, il PERUGIA, il NAPOLI. Ciò nel senso che i relativi giocatori o meglio alcuni di essi come Carlo PETRINI (Bologna), Giuseppe SAVOLDI (Bologna), PARIS (Bologna), ZINETTI (Bologna), DOSSENA (Bologna), COLOMBA (Bologna), AGOSTINELLI e DAMIANI (Napoli), Paolo ROSSI e DELLA MARTIRA e CASARSA
(Perugia), GIRARDI (Genoa) ed altri hanno partecipato agli incontri truccati percependo denaro o richiedendo, in cambio dei loro favori, forti puntate nel loro interesse.
Ho invece perduto, insieme ad altri scommettitori, centinaia e centinaia di milioni per scommesse perdute in seguito al mancato rispetto di precisi e retribuiti accordi da parte di giocatori. Preciso ancora che molti allibratori clandestini i quali a seguito delle recenti notizie giornalistiche hanno capito di avermi talora pagato vincite in ordine a risultati precostituiti, hanno preteso con gravi minacce la restituzione di circa 300.000.000 (da me ed altri scommettitori) trattenendo peraltro, ovviamente, le ben più ingenti somme perdute in seguito ai non rispettati
accordi di cui sopra.
Sono ormai completamente rovinato eppure vivo ancora nel terrore di minacce e rappresaglie. Nel confermarmi a completa disposizione della S. V. Ill.ma e riservandomi di depositare la documentazione in mio possesso, precisare nomi di testimoni e tutte quelle circostanze che la S. V. medesima riterrà utili, porgo deferenti ossequi.
Roma, 1 marzo 1980”
In seguito alla denuncia di Cruciani e di Trinca, il 23 marzo 1980 la magistratura fece effettuare una serie di arresti proprio sui campi di gioco, a fine incontri. Le manette scattarono per i giocatori Pellegrini dell'Avellino, Girardi del Genoa, Cacciatori, Giordano, Manfredonia e Wilson della Lazio, Merlo del Lecce, Albertosi e Giorgio Morini del Milan, Magherini del Palermo, Casarsa, Della Martira e Zecchini del Perugia. Mentre altri ricevettero ordini di comparizione: Paolo Rossi del Perugia, Giuseppe Dossena e Giuseppe Savoldi del Bologna, e Giuseppe Damiani (detto Oscar) del Napoli.
Qualche giorno dopo questo clamoroso "blitz", agli inizi di aprile del 1980, il settimanale "L'Espresso" pubblicò un articolo contenente un memoriale scritto da Alvaro Trinca, l'altro grande accusatore del calcio italiano, che l'ex-calciatore Carlo Petrini ha poi riportato nel suo libro Nel fango del dio pallone, edito nel 2000:
"Io, Alvaro Trinca, 44 anni, moglie e due figli, ex padrone di ristorante, grande accusatore del calcio italiano, non mi riconosco più. Una volta ero un uomo felice. Cosa sono oggi? Uno braccato dai creditori, dai bookmaker, gente che non scherza quella; un uomo che non dorme più di notte ed è costretto a cambiare d'appartamento ogni due o tre giorni. Un tempo ero pieno di amici, oggi frequento solo avvocati e aule di tribunale...
La mia storia disgraziata comincia sei anni fa, nel 1974, quando in una stessa settimana venni avvicinato a più riprese da alcuni scommettitori clandestini: una volta vennero al mio ristorante "La Lampara", un'altra mi diedero appuntamento in un bar sotto casa, una terza c'incontrammo a via Veneto. Io sapevo già da allora che intorno al calcio si muoveva un vorticoso giro di miliardi legato alle scommesse clandestine. Loro sapevano che ero amico di tanti calciatori, che Antognoni della Fiorentina, Giordano e Manfredonia della Lazio, Capello del Milan e altri ancora mi avevano invitato al loro matrimonio. Sapevano molte cose su di me e così non mi stupii quando questi signori, mostrandomi la loro schedina e le loro quote, mi invitarono a scommettere su una partita del campionato di calcio.
Per i primi tre anni [scommisi poco]. Intanto però cominciavo a conoscere i piccoli grandi segreti di questo mondo. Seppi così che i bookmaker erano persone che controllavano il gioco soprattutto da Genova, Milano e Torino. Mi accorsi che il maggior numero di scommesse, almeno in quel periodo, si svolgeva più sulle partite per le Coppe internazionali che sul Campionato italiano. Venni a sapere che fra gli scommettitori più accaniti c'erano e ci sono noti professionisti, che puntavano cifre da capogiro: addirittura c'era un famoso costruttore emiliano che gestisce ancora oggi in prima persona il gioco clandestino in una parte del nord d'Italia. Mi confidarono, infine, che le scommesse più forti venivano dirottate e "scaricate" oltre confine, in Svizzera, Austria e Inghilterra, poiché è lì che ci sono le centrali operative di questo gioco.
Arriviamo al 1977, e anche se le mie giocate restano modeste le perdite raggiungono già i 7 milioni... Fui io a convincere Massimo Cruciani (un amico che era il fornitore di frutta del mio ristorante, con lui dividevo molte delle mie conoscenze sportive) a percorrere la mia stessa strada: qualche tempo dopo anche lui cominciò a scommettere. A volte si vinceva, a volte si perdeva. I rapporti con i bookmaker, comunque, erano ottimi e l'appuntamento per riscuotere le vincite o pagare le perdite era rispettato da tutti: il giovedì dopo la domenica della partita.
Il giro delle scommesse grosse, almeno per noi, comincia nel '79. Eravamo in perdita, così quando sapemmo che saremmo potuti rientrarecoi soldi truccando il risultato di qualche partita, ci mettemmo all'opera. Per cominciare ci dividemmo i compiti: io facevo le scommesse, Massimo teneva i rapporti con i calciatori.
La prima occasione favorevole ci giunse per telefono. Tramite il capitano della Lazio, Pino Wilson, mi misi in contatto con il giocatore del Palermo Guido Magherini, che io conoscevo dal '70, epoca in cui giocava nella Lazio. Un martedì dell'ottobre scorso, il giorno prima della partita amichevole Palermo-Lazio, Magherini - che fin da ora
posso indicare come il cervello di tutta questa storia, un personaggio che deve aver incassato centinaia e centinaia di milioni - ci disse che molte partite di serie A e B potevano essere truccate, e che si sarebbe potuto "combinare" anche il risultato di quell'amichevole puntando una forte cifra sul pareggio in quanto il risultato era assicurato. Questo ce lo confermò anche Wilson: "Tanto è una partita di cui non ci frega niente". Così scommisi sul pareggio tre milioni per noi, e un milione a testa per Wilson e Magherini; purtroppo, siccome l'arbitro non arrivò in tempo e la partita venne diretta dall'allenatore del Palermo, i bookmaker la considerarono non regolare e non convalidarono il pareggio. "Peccato, ce la faremo un'altra volta", mi disse, salutandomi, Magherini.
E l'occasione si presentò domenica 9 dicembre per la partita Taranto-Palermo. Anche allora si fece avanti Magherini assicurando che si sarebbe potuto organizzare un pareggio in quanto il Palermo era d'accordo; era sufficiente poi telefonare al giocatore del Taranto Massimelli per quanto riguardava la sua squadra. Riuscimmo ad accordarci. Io, Cruciani e un terzo socio di cui non posso fare il nome, puntammo 87 milioni. Poi, visto che ce lo chiedeva Magherini, anticipai sulla parola due puntate di 50 milioni, una per il Taranto e una per il Palermo.
La domenica mattina, poche ore prima della partita, arrivai insieme a Cruciani a Bari, con l'aereo. Ci venne a prendere Massimelli. Saliti su una BMW 2000 ci dirigemmo verso l'albergo dove il Taranto era in ritiro. Fu qui che pagammo 10 milioni ai giocatori Quadri, Rossi, Petrovich e a un altro di cui non ricordo il nome. Prima di andare via i calciatori ci domandarono: "Non è che il Palermo ci darà un bidone?". Li rassicurammo. Non l'avessimo mai fatto! Il Palermo, non rispettando i patti, vinse la partita, noi perdemmo la scommessa e nessuno, né i giocatori del Taranto né quelli del Palermo, ci restituirono i 100 milioni anticipati.
Infuriati, appena finito l'incontro ci precipitammo negli spogliatoi del Palermo e chiedemmo di parlare prima col presidente della squadra siciliana e poi con Magherini, l'organizzatore di quel bello scherzo. Il suo collega Ammoniaci ci disse: "Aspettate, è sotto la doccia che piange". Dopo venti minuti finalmente Magherini venne fuori: "Io vado a Brindisi, a prendere l'aereo per Roma", ci disse, "voi andate a Bari. Ci vediamo stasera a Fiumicino e lì vi spiego tutto".
Alle 20.30 di quella domenica ci ritrovammo a Fiumicino con Magherini. Io gli faccio: "Chi ci rimborsa i soldi persi?". E lui: "Non vi preoccupate, coi premi partita di tutta la squadra vi faccio rientrare io". Ci imbrogliò ancora: quei soldi non li abbiamo mai visti. Grazie a quella partita, ma soprattutto grazie a Massimelli, entrammo in contatto con i giocatori del Bologna. Un contatto che più avanti potemmo sfruttare.
A questo punto il nostro bilancio era positivo per le amicizie sempre più ramificate coi calciatori e i rapporti sempre più stretti con i bookmaker ai quali avevamo sempre pagato le nostre sfortunate puntate; era negativo invece per i soldi che avevamo perso e che non riuscivamo più a recuperare. Dovevamo dunque rischiare ancora.
Domenica 30 dicembre puntammo 100 milioni sulla vittoria della Juventus contro l'Ascoli, 100 sulla vittoria dell'Inter sulla Fiorentina, e poi feci un'altra giocata sul pareggio tra Avellino e Perugia. Le prime due puntate le persi: l'Ascoli infatti sconfisse la Juventus, e Inter e Fiorentina pareggiarono. Mi andò bene invece con il terzo incontro, e non poteva essere che così visto che avevamo pagato alcuni giocatori. In particolare demmo otto milioni
- 4 io e 4 Massimo - al difensore del Perugia Mauro Della Martira che li avrebbe poi dovuti dividere con Zecchini, Rossi e Casarsa, suoi compagni del Perugia. Rossi, a quanto mi risulta, ha intascato due milioni.
Ci provammo ancora domenica 6 gennaio, questa volta con l'accoppiata Vicenza-Lecce e Milan-Lazio.
Per quest'ultima partita i contatti cominciarono in settimana. Il martedì precedente alla partita andai a Tor di Quinto, dove si allena la Lazio, e parlai con Giordano, Manfredonia e Wilson. Gli spiegai che se erano d'accordo a perdere la partita col Milan gli avremmo fatto incassare 60 milioni.
Dopo esserci rivisti nel bar Vanni, per poter parlare con più calma prendemmo un appuntamento per il giovedì seguente, alle ore 19, a piazza Mazzini, nell'agenzia di assicurazioni di Wilson. Parlammo delle condizioni su come truccare la partita. Dopo mezz'ora Manfredonia disse: "Io non ci sto , e lo stesso rispose Giordano. "Allora non ci sto neanch'io", aggiunse Wilson, "altrimenti dopo come farei a guardarvi in faccia?". Però, dopo un'ora di mie insistenze, a furia di "Ma che razza di uomini siete!" li convinsi a vendersi la partita. Il sabato mattina andai dal
bookmaker e giocai con Cruciani 270 milioni sulla "martingala" (cioè una giocata combinata che lega più partite: la somma vinta nella prima partita vale come puntata per la partita successiva e così via) Milan-Lazio e Vicenza-Lecce: nelle spese, infatti, dovevamo considerare sia i 60 milioni da consegnare al giocatori della Lazio, sia i 40 milioni da consegnare al giocatore del Lecce Claudio Merlo, che per la partita Vicenza-Lecce aveva garantito a Cruciani la sconfitta della sua squadra.
Stavamo già pregustando la grossa vincita quando, sabato pomeriggio alle ore 15, telefonò da Milano al mio ristorante Giordano dicendomi: "Annulla tutto, perché io e Manfredonia non ci stiamo". E io: "Ma come faccio, ho scommesso una cifra su di voi!" "Fai come ti pare, ma noi non ci stiamo più. Comunque richiamami stasera all'hotel Jolly 2". Con Cruciani ci precipitammo all'aeroporto di Fiumicino da dove telefonammo a Giordano. Bruno ci disse: "Noi non stiamo al gioco, ma se volete provate con Wilson e Cacciatori".
Cruciani [andò subito a Milano], mi chiamò a mezzanotte e con voce allegra mi disse: "Ce n'è voluto per organizzare la partita, ma alla fine ho convinto Cacciatori e Wilson". "Sei sicuro?", gli ho fatto io, e lui: "Gli ho dato un assegno di 15 milioni".
Facciamo un piccolo passo indietro. Durante la stessa settimana, avevamo contattato naturalmente anche il Milan. Il martedì Cruciani telefonò a Milanello, nel ritiro del Milan, e chiese del suo amico Enrico Albertosi, portiere dei rossoneri. L'offerta che gli fece era chiarissima: il Milan doveva pagare 80 milioni in cambio della sconfitta della Lazio. "Ne parlerò con i dirigenti e con il presidente Colombo, sentiamoci dopodomani". Il giovedì Cruciani richiamò Milanello e questa volta a rispondere insieme ad Albertosi c'era anche il suo compagno di squadra Giorgio Morini. Entrambi dissero: "Più di 20 milioni non vi diamo". Non ci restò che accettare.
Milan-Lazio terminò secondo il copione con la vittoria dei rossoneri. Il bidone lo prendemmo invece su Vicenza-Lecce: la partita, anziché con la vittoria del Vicenza, si concluse in pareggio. La martingala saltò, e noi perdemmo 270 milioni.
Quella domenica sera, al termine delle partite, mi telefonò Cruciani da Vicenza: "Vieni a prendermi a Fiumicino alle 20.30, mi imbarco a Venezia". Mi recai all'aeroporto distrutto per il risultato della partita di Vicenza, già meditavo di telefonare al presidente del Milan, Colombo, per chiedergli un altro contributo. A Fiumicino mi venne incontro un Cruciani sconsolato, mi disse di avere viaggiato con Simona Marchini e una volta atterrati di avere scambiato quattro chiacchiere con suo marito, il calciatore dell'Avellino Ciccio Cordova, nostro amico, che stava all'aeroporto in attesa della moglie.
Cruciani racconta a Ciccio la nostra disavventura vicentina e Cordova all'improvviso gli fa: "Non ti preoccupare, vi faccio rientrare io". "E in che modo?", ribatte Cruciani. "Con la partita Lazio-Avellino", fa Ciccio, e quindi suggerisce a Cruciani: "Vai ad Avellino e mettiti d'accordo con Stefano Pellegrini".
Andiamo ad Avellino e ci presentiamo a Pellegrini, che però nega la possibilità di truccare la partita. Allora risaliamo in macchina e torniamo a Roma, dirigendoci verso l'Eur. Arriviamo sotto casa di Cordova e gli facciamo citofonare dal portiere. "Ci sono Massimo e Alvaro, possono salire?", chiede. "No, falli aspettare giù", è la risposta di Ciccio.
Dopo pochi minuti si fa vivo e noi gli raccontiamo l'incontro con Pellegrini... Lui: "Va bene, domani ci provo io, non vi preoccupate. Vado all'hotel Fleming dove l'Avellino alloggerà, ci penso io. Anzi, già che ci sei, Alvaro, scommetti 50 milioni per me sulla vittoria della Lazio". "Dammi almeno un po' di soldi", gli faccio io. E Ciccio: "È venerdì sera, dove li vado a trovare?".
Decisi di fidarmi di Ciccio Cordova, vecchio amico e genero del costruttore miliardario Alvaro Marchini, e il giorno dopo scommisi 50 milioni per lui.
Quella domenica del 13 gennaio doveva essere il giorno del nostro riscatto. Con Cruciani infatti avevamo deciso di giocare una martingala su quattro partite, tre delle quali sapevamo combinate: la vittoria della Lazio sull'Avellino e i pareggi della Juventus col Bologna e del Genoa col Palermo; la quarta partita. Pescara-Inter, era l'unica pulita, e noi puntammo sulla vittoria dell'Inter.
Per Bologna-Juventus, Massimo mi aveva riferito che il risultato era stato già pattuito dal presidente della Juventus Boniperti e da quello del Bologna Fabretti; era una partita talmente sicura che a Cruciani telefonarono Carlo Petrini e Giuseppe Savoldi del Bologna chiedendogli di puntare a loro nome e di altri compagni 50 milioni sul pareggio.
Io e Cruciani scommettemmo sulle quattro partite 177 milioni. E facemmo altre puntate a nome di altri giocatori di cui per ora non faccio il nome. Se tutto filava liscio avremmo vinto un miliardo e 350 milioni e pagato tutti i debiti che avevamo con i bookmaker.
Purtroppo ci fregò la Lazio, che invece di vincere come d'accordo la partita con l'Avellino la pareggiò, così saltò la nostra martingala sulle quattro partite. Quanto ai 50 milioni che avevo sborsato per conto di Cordova, costui non me li ha più restituiti. Sono convinto che, nonostante mi avesse promesso la vittoria della Lazio, abbia fatto invece di tutto per il pareggio. Non so, probabilmente avrà giocato centinaia di milioni su questo risultato...
L'ultima partita su cui scommettemmo fu Bologna-Avellino. Durante la settimana prendemmo contatti con Stefano Pellegrini e altri giocatori dell'Avellino. Loro dissero: "Non c'è bisogno di accordi né di soldi: pareggiare a Bologna ci sta bene". Per il Bologna ci accordammo con Petrini, Savoldi, Paris, Zinetti, Dossena e Colomba. La partita non rispettò le promesse: il Bologna vinse 1 a 0, noi perdemmo tutti i soldi, e a quel punto eravamo completamente rovinati.
Avevamo un debito con gli allibratori clandestini di ben 950 milioni. Soldi che, in gran parte, ci erano stati truffati dai calciatori. Non ci restava che una cosa da fare: l'esposto alla magistratura.»
A onor del vero c'è da dire che alcuni punti di questa ricostruzione, durante il processo sportivo, non vennero mai provati e alcuni tesserati vennero scagionati dalle accuse.
Nonostante tutto, i giocatori furono presto scarcerati, e il 23 dicembre 1980 si conclude l'inchiesta della magistratura con un'assoluzione generale, in quanto il fatto non costituiva reato. All'epoca, infatti, la frode sportiva non era reato (lo divenne nel 1989), e non fu riconosciuta la truffa ai danni degli scommettitori clandestini.
Nell'estate dello stesso anno, però, era arrivata una pesantissima sentenza da parte della giustizia sportiva: Lazio e Milan retrocesse in → Serie B, penalizzazione di 5 punti per Avellino, Bologna e Perugia, da scontarsi nel campionato 1980-81. In → Serie B, penalizzazione di 5 punti per Palermo e Taranto. Inibizione a vita per il presidente del Milan Felice Colombo; inibizione per un anno a Tommaso Fabbretti, presidente del Bologna.
Queste le squalifiche inflitte ai calciatori:
La squalifica per "illecito sportivo" di Paolo Rossi fu ridotta in appello da 3 a 2 anni in appello, consentendogli di partecipare al Mondiale 1982. In seguito alla vittoria degli azzurri in questa manifestazione, la Federazione concesse a tutti i giocatori in quel momento squalificati l'amnistia, ad eccezione del presidente del Milan, Felice Colombo, non
essendo egli un giocatore, bensì un dirigente.
Carlo Petrini, Nel fango del dio pallone, Edizioni KAOS, Roma, 2000.
Paolo Carbone, Il pallone truccato - L'illecito nel calcio italiano, Libri di Sport Editore, Milano, 2003.
Il caso Genoa-Inter fu un caso di presunto illecito sportivo - mai provato - riguardante un incontro di calcio disputato il 27 marzo 1983 nello stadio di Marassi fra Genoa e Inter, conclusosi con il punteggio di 3-2 per i nerazzurri.
Campionato di calcio di Serie A 1982-83. Il 27 marzo era in programma la venticinquesima giornata. Fra le otto partite in cartellone c'era l'incontro di Marassi fra Genoa e Inter.
I rossoblu, allenati da Luigi Simoni e reduci da una sconfitta ad Avellino, avevano un disperato bisogno di punti salvezza, mentre i nerazzurri, eliminati da Coppa Italia e Coppa delle Coppe avevano disputato una stagione sostanzialmente incolore, e rischiavano di perdere il treno per le Coppe europee. La tifoseria era ormai in subbuglio, la dirigenza per nulla contenta. L'allenatore dei nerazzurri era Rino Marchesi, che ormai a fatica cercava di tenere unita la squadra.
A poche ore dalla gara, diversi quotidiani fotografavano questa situazione: giocatori divisi in clan, un allenatore privo di polso, i tifosi inferociti con il presidente Fraizzoli, che più volte aveva deciso di mollare (lo avrebbe fatto l'anno dopo, cedendo il club ad Ernesto Pellegrini). Dal ritiro dell'Inter a Santa Margherita Ligure filtrò una notizia curiosa: alle due squadre andava benissimo anche un pareggio, dato che entrambe non volevano rischiare di farsi male.
Potenziali affari in vista, dunque, per il sempre fertile → Totonero; invece qualcosa non funzionò.
Dopo la partita due giovani cronisti del quotidiano Il Giorno, Claudio Pea e Paolo Ziliani, vengono casualmente a conoscenza di una montagna di soldi persa dai giocatori dell'Inter a causa del risultato della partita di Genova.
All'inizio, però, nessuno si era accorto di nulla: in radio, a Tutto il calcio minuto per minuto, avevano solo detto che l'Inter era passata in vantaggio per tre volte, prima con Altobelli, poi con Bini e, alla fine, con Salvatore Bagni.
Soltanto dalle cronache del giorno dopo, infatti, si seppe che quando Bagni aveva realizzato il goal del 3-2 a cinque minuti dal termine, nessuno dei compagni era andato ad abbracciarlo, come normalmente si fa dopo la segnatura di una rete.
Negli spogliatoi era successo un putiferio: il direttore sportivo del Genoa, Giorgio Vitali, aveva insultato i nerazzurri:
« I vostri dirigenti devono sapere che m.... sono i loro giocatori dal punto di vista umano! Non si possono fare queste cose a cinque minuti dalla fine!!! »
E il centrocampista genoano Pasquale Iachini, che aveva realizzato il momentaneo 2-2, rincarò la dose:
« Evidentemente qualcuno non è stato avvisato... »
Più caustica la reazione del difensore interista Collovati, fresco campione del mondo in Spagna:
« Strano che proprio il Genoa si lamenti di queste cose: lo scorso anno ne abbiamo pagato le conseguenze noi del Milan. »
Vitali e Iachini si riferivano evidentemente a Bagni, "colpevole" di aver realizzato la rete della vittoria interista; Collovati, invece, ricordava un episodio dell'anno precedente, quando uno stranissimo goal realizzato dal Genoa a Napoli regalò il pareggio ai rossoblu e condannò il Milan, nel quale lui militava, alla retrocessione in → Serie B.
Inoltre, si vociferava di una colluttazione avvenuta negli spogliatoi dell'Inter, dove avrebbero subìto conseguenze i giocatori Bini e Bagni, autori del secondo e terzo goal.
La sera del giorno successivo, durante la trasmissione televisiva Il Processo del Lunedì, Vitali tentò una rettifica di quanto aveva detto:
« Sì, ho sbagliato a prendermela con i giocatori dell'Inter, ma noi credevamo di avere capito: quando abbiamo visto che loro
facevano melina a centrocampo, abbiamo creduto che fossero appagati del pareggio, così ci siamo rilassati e loro ci hanno puniti. Avrei dovuto prendermela con i miei giocatori, invece! »
Per tutta risposta, il giornalista e commentatore Domenico Morace ribatté:
« Non fare il pompiere, Vitali! Ma chi vuoi prendere in giro? Non siamo mica nati ieri, noi! Sappiamo quello che succede nel calcio, quindi per favore dicci la verità! »
Il capitano genoano Claudio Onofri dette man forte al suo dirigente:
« Ma queste cose nel calcio sono normali, quando si è soddisfatti del pareggio, si sta tranquilli in campo, si fa melina, si perde tempo...sono taciti accordi che ci possono stare! »
Collegato dagli studi di Torino, intervenne polemicamente il calciatore granata Renato Zaccarelli, che di Onofri era stato compagno di squadra nel Torino:
« Beh, io se devo dire la verità, nella mia carriera di questi taciti accordi non ho mai sentito parlare. »
Al che Onofri si inalberò, replicando:
« Potete per favore inquadrare il signore che parla da Torino? Se quello lì dice di non aver mai sentito parlare di accordi nel calcio allora non è Renato Zaccarelli mio ex compagno di squadra, ma un impiegato che gli assomiglia molto! »
Nessuno dei giornalisti e degli ospiti presenti, dunque, credette a una sola parola dei due genoani, tantomeno gli credette l'Ufficio Indagini della Federcalcio, diretto dal dottor Corrado De Biase, che annunciò l'apertura di un'inchiesta su un possibile tentato illecito sportivo.
A dirigere l'inchiesta fu chiamato l'ispettore Aldo Ferrari Ciboldi, un piccolo possidente cremonese che già in passato aveva collaborato fruttuosamente con l'Ufficio Indagini.
Questi, ricevuta piena collaborazione dai due club, si trovò orientato a credere che fosse solo un falso allarme.
Dovette ricredersi quando, procuratosi all'emittente televisiva Rete 4 un filmato molto chiaro della partita, notò lo strano atteggiamento dei giocatori dell'Inter (esultarono come matti in occasione dei goal di Altobelli e Bini, ma non lo fecero al goal di Bagni,che pure gli aveva dato la vittoria: anzi, si notava che uno dei giocatori interisti gesticolava contro Bagni con fare minaccioso) e quando i giornalisti Pea e Ziliani, che nel frattempo avevano indagato per proprio conto, gli comunicarono delle verità scontate, ma allo stesso tempo sconcertanti, come ad esempio che da diverso tempo le partite dell'Inter garantivano vincite sicure: addirittura scommettevano gli stessi giocatori e perfino qualche dirigente. Invece a Genova era andata male e parecchi calciatori interisti, oltre a vari scommettitori comuni, avevano perso svariati milioni.
Dall'indagine svolta dai due cronisti, inoltre, era emerso uno spaccato per nulla edificante dell'intero ambiente nerazzurro: screzi anche violenti fra i giocatori (la domenica successiva al "fattaccio", per esempio, Altobelli schiaffeggiò Müller durante Inter-Avellino 2-0, sotto gli occhi di tutto lo stadio, poiché il tedesco, invece di passargli la palla, aveva voluto tirare in porta); l'allenatore vittima di uno spregiudicato dirigente; il presidente Fraizzoli, amareggiato e stanco; e un giovane giocatore brasiliano, Juary, acquistato dall'Inter per sbaglio (doveva andare a Cesena in cambio dell'attaccante austriaco Walter Schachner, vero obiettivo di mercato dei nerazzurri; poi l'affare saltò), finito sull'orlo della depressione, emarginato anche per il fatto di essere nero.
Proprio Juary rivelò ai due giornalisti quanto era successo negli spogliatoi di Marassi quel 27 marzo 1983, salvo poi ritrattare tutto non appena la sua intervista fu pubblicata.
L'articolo di Pea e Ziliani sul "Giorno" uscì il 9 aprile e scatenò subito una bufera: da una parte c'erano le altre testate, furiose per essere state "battute" sul tempo, dall'altra c'erano l'Ufficio Indagini della Federcalcio, interessatissimo a tutto quanto veniva detto e scritto, le due società coinvolte, Inter e Genoa, che adirono le vie legali, e la magistratura genovese, diretta dal giudice Roberto Fucigna, che conducevano indagini sul → Totonero locale.
Fin dall'inizio l'inchiesta fu osteggiata da ogni parte. La Federcalcio aveva tutto l'interesse ad insabbiare la vicenda, poiché non poteva permettersi, fresca oltretutto di un prestigioso alloro mondiale, un'altra valanga devastante come quella che aveva "massacrato" il campionato di Serie A 1979-80 (vedi → Scandalo del calcio italiano del 1980).
Il Genoa e l'Inter, consapevoli di rischiare grosso, si adoperarono con ogni mezzo per far sì che tutto risultasse una bolla di sapone. Inoltre le più importanti testate giornalistiche prevedevano un nuovo forte calo di tiratura, nel caso scoppiasse una nuova grana-scommesse.
Secondo quanto riportato dal giornalista Paolo Ziliani:
« Fu proprio il ministro Biondi (avvocato del club rossoblu, ndr) a fermare il lavoro del giudice Fucigna, dopo l'interrogatorio del giovane Somma del Genoa e alla vigilia dell'interrogatorio dei giocatori dell'Inter, chiedendo al capo della Procura di Genova, Castellano, e ottenendo che l'inchiesta sulle scommesse di Genoa-Inter venisse affidata ad altro giudice che tutelasse maggiormente i diritti della difesa. Un timore che il giudice Fucigna ci aveva apertamente manifestato
qualche giorno prima, quando ci disse che Prisco da Milano e Biondi a Genova stavano facendo di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote. »
E infatti, il caso Genoa-Inter lasciò mezza Italia col fiato sospeso fino a giugno, quando la Commissione Disciplinare assolse tutti quanti. Il procuratore Ferrari Ciboldi, che aveva appoggiato Pea e Ziliani nella conduzione dell'indagine, venne licenziato senza troppe cerimonie dall'Ufficio Indagini e messo a riposo. Ricorda ancora Ziliani:
« Lo andai a trovare a distanza di anni a Soresina: il trattamento ricevuto dopo una vita da collaboratore dell'Ufficio Inchieste lo aveva fatto cadere in una fortissima depressione che l'aveva costretto a ricorrere alle cure del professor Cassano, a Pisa. La Federcalcio gli aveva negato anche la tessera per andare a vedere le partite: così, la domenica, Ferrari Ciboldi
andava a vedere Cremonese o Brescia, ma solo per l'amicizia con i presidenti di questi due club, che gli aprivano volentieri le porte della loro tribuna. »
[1] http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=178122
[2] http://www.tgcom.mediaset.it/libri/articoli/articolo245866.shtml
[3] http://www.tgcom.mediaset.it/sport/articoli/articolo245876.shtml
[4] http://archiviostorico.gazzetta.it/2005/febbraio/19/Genoa_inter_con_finale_sorpresa_sw_0_050219524.shtml
[5] http://www.genovapress.com/index.php/content/view/2081/64/
Il Caso Padova è stato un caso di illecito sportivo, avvenuto nel Campionato di Serie B 1984-1985, i cui protagonisti furono alcuni dirigenti e alcuni giocatori del Padova e del Taranto e la partita sotto inchiesta si disputò il 16 giugno 1985 allo stadio di Taranto.
Tutto ebbe inizio il 13 maggio 1985.
Giovanni Sgarbossa, giocatore tarantino ed ex del Padova, si recò al suo paese natale, San Martino di Lupari (Padova), per votare alle elezioni amministrative.
Lì incontrò il vicepresidente veneto Dino Zarpellon, il quale gli chiese se il Taranto li avrebbe potuti aiutare a vincere e a salvarsi, qualora occorressero loro due punti (tanto valeva allora la vittoria) in caso di difficoltà. Sgarbossa rispose che prima ne doveva parlare con qualche suo compagno di squadra. In pratica, un approccio per mettersi d'accordo sull'esito della partita se i veneti non fossero stati ancora salvi matematicamente.
Domenica 9 giugno 1985 si giocava la penultima giornata di campionato. Sgarbossa contattò il dirigente padovano, chiedendogli se fosse ancora valida la proposta del mese precedente. Questi gli rispose che sì, poteva ancora essere valida, ma che tutto sarebbe dipeso dall'eventuale esito della partita del pomeriggio. Il Padova pareggiò in casa contro il Perugia e, dunque, era ancora a rischio.
A una giornata dal termine del campionato, la parte bassa della classifica recitava così:
Giovedì 13 giugno 1985 Sgarbossa disse a Zarpellon che aveva coinvolto nell'affare anche i suoi compagni di squadra Fabrizio Paese, Dino Bertazzon, Vito Chimenti e Angelo Frappampina. Il giorno seguente, Zarpellon e Sgarbossa s'incontrarono e il dirigente padovano consegnò al calciatore tarantino un congruo anticipo di 50.000.000 di Lire, assicurandogli che avrebbe dato il rimanente della cifra pattuita dopo il buon esito dell'incontro.
Domenica 16 giugno 1985 si giocava l'ultima giornata di campionato. Il calendario diceva:
Per Bologna e Cesena fu una pura formalità: pareggiarono 0-0 e portarono a casa il punto-salvezza. Il Campobasso batté per 1-0 la forte Triestina, che aveva lottato per la promozione in Serie A, e raggiunse così le squadre emiliane a 36 punti. La Sambenedettese arrivò pure a 36 dopo il 2-2 con il già retrocesso Parma, e il Monza si salvò con l'1-1 casalingo contro il Lecce già promosso in Serie A. Il Cagliari, invece, non andò oltre lo 0-0 contro il Catania: salvezza per gli etnei e retrocessione per i sardi. L'Arezzo si salvò andando a pareggiare 1-1 sul campo di un'altra promossa in A, il Pisa. Il Varese, invece, perse per 1-0 a Perugia e quindi retrocesse. Il Padova sconfisse il Taranto, per 2-1, con reti di Sorbi e Da Re.
Di conseguenza, questa la classifica finale:
Alla luce di ciò, retrocessero Cagliari, Varese, Parma e Taranto e il Padova fu salvo.
Ma c'era un clamoroso retroscena: la domenica precedente, l'allenatore del Taranto, Angelo Becchetti, era stato esonerato. Pieno di rabbia in corpo per essere stato escluso dall'"affare", dopo l'incontro Becchetti denunciò l'illecito all'Ufficio Inchieste della Federcalcio, diretto dal dottor Corrado De Biase, che mise in contatto Becchetti con un suo uomo di fiducia, il sostituto procuratore Manin Carabba, il quale consigliò l'ex tecnico pugliese di fingere di stare al gioco.
E così, Becchetti chiamò Sgarbossa per chiedergli la sua parte. Sgarbossa, non sospettando nulla, accettò. I due personaggi s'incontrarono al casello autostradale di Pesaro, città d'origine di Becchetti, per la consegna ma, ad accompagnare l'ex tecnico tarantino, c'era Manin Carabba, nascosto poco distante, che assisteva alla scena, mentre Becchetti nascondeva un micro-registratore con microfono sotto la giacca.
Ottenute le prove, l'Ufficio Indagini della Federcalcio convocò Sgarbossa a Coverciano.
All'inizio, com'era prassi comune, il giocatore negò tutto poi, dopo che i giudici gli ebbero fatto ascoltare il nastro con incisa la registrazione fatta da Becchetti e la confessione di quest'ultimo, crollò. Come se non bastasse, c'era anche la testimonianza ufficiale di Manin Carabba, che li aveva visti al casello di Pesaro.
Sgarbossa, a questo punto, fece anche i nomi dei suoi complici, i quali non poterono fare altro che ammettere l'illecito, anche perché le prove a loro carico erano talmente schiaccianti da non lasciare alcun margine di difesa ai loro legali.
Questo fu uno scandalo enorme, seppur non delle proporzioni del → Totonero di cinque anni prima, ma destò grande clamore e comunque scoppiò solo perché uno dei coinvolti (l'allenatore Becchetti) aveva parlato.
Inoltre, si scoprì che questo era solo un antipasto della seconda grande ondata di Totonero che avrebbe sconvolto → Serie A, → B, → C1 e → C2 l'anno dopo e che avrebbe portato la → FIGC al commissariamento.
In seguito all'accaduto, l'Ufficio Inchieste consegnò tutta la documentazione alla Procura Federale e, al termine del processo sportivo, la CAF prese le seguenti decisioni:
• Serie B 1984-1985
Il secondo scandalo del calcio-scommesse fu un'inchiesta del 1986 relativa ad un giro di scommesse illegali relative ad alcune partite di calcio nei campionati professionistici nelle stagioni 1984-1985 e 1985-1986.
L'inchiesta, che seguì una → vicenda analoga scoppiata nel 1980, nacque da alcune intercettazioni telefoniche e venne condotta dal Procuratore di Torino Giuseppe Marabotto.
Il 2 maggio 1986 si costituiva e veniva arrestato Armando Carbone, braccio destro di Italo Allodi (a quell'epoca dirigente del Napoli) e confessò l'esistenza di un giro di scommesse riguardanti alcune partite di calcio nei campionati professionistici, dalla Serie A fino alla Serie C2, dal 1984 al 1986.
Dario Maraschin, all'epoca Presidente del Lanerossi Vicenza, confessò di aver versato 120 milioni di lire per vincere la partita contro l'Asti e lo spareggio contro il Piacenza nel Campionato di 1984-1985, ma di non aver truccato nessun incontro nel 1985-86 in Serie B. In realtà vennero raccolte alcune intercettazioni telefoniche che dimostrarono il contrario, soprattutto negli incontri contro Monza e Perugia. Successivamente anche il Presidente del Perugia, Spartaco Ghini, ammise che la sua società, unica tra quelle inquisite a preferire la retrocessione piuttosto che una forte penalizzazione, aveva commesso illeciti sportivi. Vennero deferite alla Procura Federale della → FIGC, gestita da Corrado De Biase, le seguenti società: Bari (*), Napoli (*), Udinese in → Serie A, Brescia (*), Cagliari, Empoli (*), Lazio, Monza (*), Palermo, Perugia, Sambenedettese (*), Triestina, Lanerossi Vicenza in → Serie B, Cavese, Foggia, Reggiana (*), Carrarese, (*) Salernitana (*) in → Serie C1 e Pro Vercelli (*) in → Serie C2.
Alcune di loro vennero assolte dall'inchiesta (società indicate con l'asterisco), mentre le altre subirono punizioni più o meno severe.
La Commissione Disciplinare della → Lega Nazionale Professionisti rese pubblica la sentenza di primo grado il 5 agosto 1986 con i seguenti giudizi;
Nei giorni successivi (9 agosto 1986) venne emessa anche la sentenza della Commissione Disciplinare della → Lega Calcio di Serie C;
Queste furono le sentenze inappellabili emesse dalla CAF il 26 agosto 1986.
Successivamente il Palermo venne escluso dal Campionato per problemi finanziari. Nella stagione agonistica 1986-1987 non partecipò a nessun campionato professionistico o dilettantistico, mentre nel 1987-1988 disputò il torneo di → Serie C2 con una nuova società.
Girone A
Per Caso Siracusa-Perugia s'intende una vicenda di illecito sportivo avvenuta nel Campionato di Serie C1 1992-93, tra il Perugia e il Siracusa.
Il 25 aprile 1993 era in programma l'incontro di campionato Siracusa-Perugia; i siciliani erano coinvolti in piena lotta per la salvezza, mentre gli umbri si trovavano al secondo posto in classifica, subito dietro al Palermo. L'incontro finì 1-1 e, a fine campionato, il Siracusa retrocesse in Serie C2; il Perugia, invece, arrivò a pari punti con l'Acireale e fu costretto a disputare lo spareggio-promozione. La gara si giocò a Foggia il 6 giugno 1993 e vide il successo degli umbri per 2-1. Il Perugia, così, tornò in Serie B dopo 7 anni.
C'era, però, un problema molto serio: da diverso tempo, infatti, i risultati del Perugia erano messi in discussione. In alcune interviste, i presidenti delle squadre di Chieti e Ischia facevano riferimento a risultati positivi ottenuti dagli umbri in maniera, a loro dire, molto sospetta. Tra le partite più particolari, figuravano Reggina-Perugia 0-1 e Casarano-Perugia 2-3.
La questione cominciava a farsi scottante, tanto che persino il Presidente della Federcalcio Antonio Matarrese ritenne opportuno intervenire:
« Si sta indagando su due partite e su un arbitro. Voglio che si sappia, perché noi non copriamo niente e nessuno! »
Le due partite erano appunto Siracusa-Perugia e Perugia-Nola 4-1. Entrambe le partite erano state dirette dall'arbitro marchigiano Emanuele Senzacqua - a detta delle squadre avversarie - piuttosto male. Dalle indagini in corso, risultò
che il direttore di gara era un grande appassionato di ippica ed emerse, così, un grave retroscena: Luciano Gaucci, presidente umbro, nonché proprietario di una scuderia ippica, aveva regalato un cavallo al suocero dell'arbitro e aveva anche invitato a pranzo lo stesso Senzacqua. Il quale, una volta sentito dalle forze dell'ordine, confessò il tentativo di illecito sportivo commesso dal massimo dirigente perugino.
Al termine dell'interrogatorio dell'Ufficio Inchieste, Gaucci si sfogò davanti ai giornalisti, con un discorso molto emotivo:
« Un cavallo! Il Perugia verrà retrocesso solo perché ho regalato un cavallo al suocero di un arbitro! Eppure, tre anni fa, ho regalato un purosangue anche al Presidente federale, Matarrese, e quella volta non mi hanno denunciato! [...] Non vado neanche al processo, non me ne frega più niente, tanto so già che mi radieranno! E mi va bene, perché questo calcio è corrotto, l'ottanta per cento delle partite sono truccate! Chiedono sempre i pareggi, anche a noi li hanno chiesti, ma io non ho mai accettato! E non ho mai chiesto a mia volta i pareggi per il Perugia! [...] Io sapevo tutto, sapevo in anticipo che
avrebbero indagato solo noi, sapevo dei verbali, degli interrogatori e di tutto il resto. Gente vicina alla Federazione me lo diceva sempre... »
Alla fine di giugno del 1993, la Procura Federale, chiudendo le indagini, accertò che "l'illecito c'era stato, senza alcun dubbio" e, quindi, revocò la promozione in Serie B del Perugia - sentenza contestata duramente da Gaucci, il quale parlò di "sentenza politica, non sportiva" e fu condannato a tre anni di inibizione.
A quel punto, fu l'Acireale ad aver diritto alla promozione in Serie B al posto degli umbri, ma la società siciliana finì a sua volta sotto inchiesta a causa della partita Ischia Isolaverde-Acireale, giocata il 6 dicembre 1992 e terminata 0-0.
Il 22 luglio, però, dopo un'accurata inchiesta, la Commissione Disciplinare stabilì che quella partita era stata disputata in maniera regolare e senza alcun illecito, quindi, l'Acireale fu ammesso a disputare il Campionato di Serie B 1993-94.
In seguito a questo episodio, vennero emesse dalla Commissione Disciplinare della → Lega Calcio di Serie C (30 giugno 1993) e confermate in appello dalla CAF (9 luglio 1993) le seguenti sentenze:
Nonostante la retrocessione il Siracusa venne ripescato in → C1 a causa del fallimento di 7 società:
Un tentativo di ricostruzione del fatto, al quale ci si è attenuti per questa voce, è contenuto in: Carlo Petrini, I pallonari, Edizioni KAOS, Roma, 2003, alle pagg. 86-87.
• Serie C1 1992-1993
Il caso Genoa è stato un caso di illecito sportivo che ha coinvolto la società sportiva del Genoa nell'estate 2005, accusata di aver influenzato illecitamente il risultato di una partita del campionato di Serie B nella stagione 2004-2005.
L'11 giugno 2005, battendo in casa il Venezia per 3-2, il Genoa ottenne la promozione in → Serie A dopo 10 anni passati tra i cadetti.
Pochi giorni dopo, due magistrati genovesi, Alberto Lari e Giovanni Arena, nell'ambito di un'indagine in corso da molti mesi riguardante casi di scommesse clandestine, fornirono alle autorità della giustizia sportiva materiale utile ad istruire un processo sportivo riguardante la sola partita Genoa-Venezia, sulla quale avevano appuntato la loro attenzione, disponendo preventivamente un notevole impiego di mezzi di intercettazione, possibile poiché inizialmente era stato ipotizzato anche il reato di associazione a delinquere (la sola imputazione per il reato di frode nelle competizioni sportive non avrebbe permesso tale mezzo di ricerca delle prove). Alcuni mesi dopo, gli stessi PM disposero la derubricazione del reato di associazione per delinquere, mantenendo gli altri.
Il 14 giugno, i carabinieri fermarono nei pressi di Cogliate Milanese un'auto su cui viaggiava Giuseppe Pagliara, dirigente del Venezia. Durante la perquisizione, venne rinvenuta una busta gialla formato A4 contenente 250.000 euro: i Carabinieri chiesero a Pagliara da dove provenivano quei soldi, e Pagliara rispose di essere un dirigente del Venezia e di avere appena venduto al Genoa il giocatore paraguaiano Ruben Maldonado. I 250.000 euro erano, a suo dire, un anticipo della somma pattuita.
In effetti, nei pressi del luogo dove era avvenuto il fermo, c'è la sede della Giochi Preziosi S.p.A., di proprietà di Enrico Preziosi, presidente del club ligure, e nella busta, insieme con i soldi, era presente un modulo di contratto di vendita che riguardava proprio il giocatore Maldonado. Il contratto, però, non era redatto su modulo federale e i carabinieri invitarono dunque Pagliara a seguirli e posero sotto sequestro i soldi per accertamenti.
Ovviamente quei soldi Pagliara non furono restituiti: secondo i PM genovesi, su mandato dei quali avevano agito i militi quelli erano infatti i soldi con cui le due squadre avevano truccato la partita, cioè il corpo del reato.
Per provare la combine fu diffusa l'intercettazione di una telefonata tra lo stesso Enrico Preziosi e Franco Dal Cin (ex Presidente e proprietario del Venezia), nella quale i due protagonisti cercavano di mettersi d'accordo sull'esito della partita. A questa conclusione l'opinione pubblica venne orientata anche per la divulgazione, con grande risalto, di parole che Preziosi avrebbe pronunciato dopo il gol del vantaggio del Venezia in una telefonata con lo stesso Dal Cin[1] .
Un altro elemento "sospetto": il portiere veneto Lejsal, che era stato il migliore dei suoi, venne sostituito alla fine del primo tempo dopo aver subito un colpo alla mano parso di lieve entità. Anche l'estremo difensore ceco fu inserito dalla pubblica accusa nel registro degli indagati insieme ai compagni di squadra Massimo Borgobello e Massimiliano Esposito.
Preziosi reclama però giustizia sull'operato della Commissione Disciplinare e della CAF, sul quale aleggiano ombre e lacune: una grottesca vicenda di bigliettini scritti dai giudici durante l'arringa della difesa, diretti a schernire e offendere l'imputato Preziosi e il suo collegio difensivo, e accertamenti in corso da parte della Procura, corredati da
perizie di specialisti Microsoft, per verificare la data della sentenza che ha condannato il Genoa, la quale risulta scritta tre giorni prima dell'inizio del processo.
Dopo gli interrogatori, la procura Federale della FIGC espresse le richieste di accusa il 16 luglio 2005 davanti alla
Commissione Disciplinare della → Lega Calcio;
La sentenza di primo grado venne resa pubblica il 27 luglio 2005 con le seguenti decisioni;
L'8 agosto 2005 la CAF diede la parola definitiva al procedimento sportivo;
Sull'operato della Commissione Disciplinare e della CAF sono state avanzate obiezioni: vi sarebbe stata una serie di bigliettini scritti dai giudici durante l'arringa della difesa, diretti a schernire e offendere l'imputato Preziosi e il suo collegio difensivo, e accertamenti in corso da parte della Procura, corredati da perizie di specialisti Microsoft, per verificare la data della sentenza che ha condannato il Genoa, la quale risulta scritta tre giorni prima dell'inizio del processo.
Successivamente il Genoa, non condividendo le decisioni della giustizia sportiva, fece ricorso al Tribunale Civile di Genova sostenendo che il processo di secondo grado si era svolto in modo irregolare e sottolineando il fatto che le intercettazioni telefoniche, che inchiodarono i dirigenti liguri, erano state utilizzate in maniera illegale.
Il 19 agosto il giudice genovese Alvaro Vigotti, dopo aver analizzato il ricorso del Genoa e quello della → Federazione Italiana Giuoco Calcio, decise di dare ragione alla linea della FIGC, sottolineando il fatto che il processo d'appello si era svolto in maniera regolare e che le intercettazioni telefoniche erano state fornite dalla magistratura ordinaria genovese a quella sportiva in maniera legale.
Inoltre il giudice sottolineò il fatto che, in caso di retrocessione per illecito sportivo, una società sportiva non poteva ricorrere alla giustizia ordinaria e, per questi motivi, il Genoa si vide respingere i ricorsi e dovette accettare la retrocessione. Per questo episodio a metà stagione venne penalizzato di altri 3 punti da parte della Commissione Disciplinare della Lega Calcio di Serie C, poi annullati dalla CAF.
Dalle indagini penali del 2005 venne fuori il sospetto di combine di altre partite, commesse dalla dirigenza rossoblu. Questi sospetti decaddero, così come l'accusa di associazione a delinquere, mentre rimase in piedi l'accusa di frode sportiva.
Nel giugno del 2006 iniziò il processo penale e vennero rinviati a giudizio le seguenti persone: Enrico Preziosi, Matteo Preziosi (figlio del presidente genoano), Stefano Capozucca, Franco Dal Cin, Michele Dal Cin e Giuseppe Pagliara con l'accusa di frode sportiva.
Nel febbraio del 2007 l'accusa chiese 8 mesi di reclusione a tutti gli imputati.
Il 2 marzo 2007 il Tribunale di Genova emise la sentenza di primo grado: Enrico Preziosi, Matteo Preziosi, Stefano Capozucca, Franco Dal Cin e Giuseppe Pagliara condannati a 4 mesi di carcere per frode sportiva.
L'unico assolto, per non aver commesso il fatto, fu Michele Dal Cin.
Il 27 novembre 2008, al termine del processo d'appello, vennero confermate le decisioni del processo di 1º grado; 4 mesi di reclusione per frode sportiva ad Enrico e Matteo Preziosi, Stefano Capozucca, Franco Dal Cin e Giuseppe Pagliara.
Confermata anche l'assoluzione di Michele Dal Cin per non aver commesso il fatto.
[1] http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/2005/06_Giugno/24/genoa.shtml
Fonte: http://www.wikilibri.it/calcio1.pdf
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