I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
Se lo paragoniamo al giro di milioni che muove ai giorni nostri, il primo mondiale sembra un torneo a livello dilettantistico. La scelta della sede, pur in casa della squadra più forte del momento, impedisce una partecipazione di qualità delle nazionali europee. Il successo finale dell’Uruguay è comunque al di sopra di ogni sospetto, come mai più accadrà alle formazioni di casa vincitrici.
UNA LUNGA GESTAZIONE - La FIFA (Federation Internationale des Futbol Association) nasce il 21 maggio del 1904, a Parigi. Perché si giunga all’organizzazione del primo Campionato del mondo, però, bisogna attendere un quarto di secolo. Nel frattempo, l’attività internazionale ufficiale è limitata alle Olimpiadi, che nel 1920 vedono l’affermazione dei padroni di casa del Belgio, mentre nelle successive due edizioni a trionfare sarà l’Uruguay, squadra leader di un movimento sudamericano in quel momento all’avanguardia, in assenza dei maestri inglesi.
Finalmente, il 18 maggio del 1929, il Congresso della FIFA, riunito a Barcellona, assegna proprio all’Uruguay l’organizzazione del primo trofeo iridato, nonostante il Paese stia attraversando una difficile crisi economica. Per l’occasione, scatenando il malumore della popolazione, viene costruito l’Estadio Centenario, così chiamato in onore del centenario della Costituzione uruguayana. È un catino destinato a contenere fino a 80000 persone, ancora oggi sede delle gare della Celeste.
TANTE DEFEZIONI - Il problema maggiore, alla prova dei fatti, risulta essere la partecipazione delle squadre europee alla manifestazione. Sono ben lontani i tempi dei viaggi aerei transoceanici e via mare, oltre al costo elevato, si ha un notevole dispendio di tempo che giocatori dilettanti non possono permettersi. Dal vecchio continente arrivano dunque in quattro. Ovviamente la Francia di Jules Rimet, presidente della FIFA e maggior sostenitore del torneo. Ad accompagnarla sono Belgio, Jugoslavia e Romania, quest’ultima “obbligata” a partecipare dal suo sovrano, appassionato di calcio. Mancano quindi, oltre ai britannici, le nazioni del centro Europa, l’Italia e la Spagna, cioè le migliori del momento. Tutte presenti, invece, le più quotate squadre americane, dagli argentini, rivali per antonomasia dei padroni di casa, al Brasile, dal Cile al Perù, dalla Bolivia al Paraguay, oltre al Messico e agli Stati Uniti. Proprio negli States il movimento calcistico sembra prendere piede (ma sarà solo la prima di tante false partenze) e la nazionale a stelle e strisce sbarca a Montevideo con fondate velleità di vittoria finale. Le partecipanti sono dunque 13, divise in tre gironi da tre squadre e in uno da quattro, con le prime qualificate alle semifinali.
FUORI IL BRASILE - Ai francesi spetta l’onore di battezzare il torneo, contro il Messico, e francese è anche l’autore del primo gol “mondiale”. Lucien Laurent, che apre le marcature del netto 4-1 con una botta dal limite. Il girone, alla fine, sarà però appannaggio dell’Argentina, che batterà il Cile nello scontro decisivo per il primato. Tutto semplice per l’Uruguay, contro Romania e Perù, così come per gli Usa, mai impensieriti da Belgio e Paraguay. L’unica sorpresa è dunque l’eliminazione del Brasile per mano della Jugoslavia, comunque una formazione di buon livello. Fatale ai verdeoro già la prima gara, nella quale possono ben poco contro i ben più rapidi slavi, molti dei quali protagonisti del campionato francese.
DUE SET A ZERO - Il sorteggio delle semifinali è benevolo ed evita lo scontro fratricida tra Uruguay e Argentina. Le formazioni platensi festeggiano lo scampato pericolo giocando a tennis contro i malcapitati avversari. Un doppio 6-1 che la dice lunga sul divario di forze in campo. Gli argentini affondano gli statunitensi, che si erano dichiarati già pronti a giocare la finale. Con una doppietta, Guillermo Stabile sale a quota sette gol segnati in tre gare (nella prima non era presente).
El Filtrador, a fine torneo, arriverà in Italia a far felici i tifosi genoani, prima che un terribile infortunio ne mini il resto della carriera, passata senza molta fortuna anche da Napoli.
Al Centenario, la Jugoslavia fredda il pubblico di casa con un gol in contropiede dopo soli quattro minuti. Il capitano Scarone, però, si rimbocca subito le maniche e suona la carica. In mezzora l’Uruguay va a segno tre volte, doppiando il bottino nella ripresa. A decidere il primo mondiale sarà dunque, come previsto e sperato da tutti, la sfida sentitissima tra due paesi più che vicini. Montevideo e Buenos Aires, le due capitali, si fronteggiano sulle rive del Rio de Plata, la cui foce divide da sempre i due stati, il piccolo Uruguay e la grande Argentina.
TRIONFO CELESTE - Due particolari che aiutano a descrivere il clima che precedette la gara. Il maggior quotidiano di Montevideo titolava: “Che nemmeno un revolver argentino attraversi il confine!”. L’arbitro designato, il belga Langenus, pretese una polizza sulla vita a beneficio dei familiari e un piroscafo pronto a salpare subito dopo il fischio finale. Il primo problema sorge nella scelta dei palloni, visto che ognuna delle due squadre vorrebbe il suo, e viene quindi deciso di utilizzare quello argentino nel primo tempo e quello uruguaiano nella ripresa.
La Celeste parte forte e passa al 12’ con un diagonale dell’ala destra Dorado, ma il vantaggio sgonfia i padroni di casa, mentre le reazione ospite è veemente. Otto minuti dopo, infatti, Peucelle pareggia sotto misura e al 37’ Stabile, in sospetta posizione di fuorigioco, si presenta solo davanti al portiere e lo batte, ribaltando la situazione e gettando lo stadio nello sconforto.
Nella ripresa, però, è ancora una volta Scarone a guidare la riscossa dei suoi, servendo a Cea un assist delizioso per il due a due. Altri dieci minuti e Iriarte ribalta nuovamente il punteggio con una botta all’incrocio da 25 metri. Infine, con l’Uruguay ormai padrone incontrastato del campo, Castro firma il poker incornando un cross di Dorado.
Hector Scarone - Bandiera del Nacional Montevideo, col quale ha vinto 8 titoli nazionali e segnato più di 300 reti. È ancora considerato da molti il più grande calciatore uruguaiano di tutti i tempi. Fisico da fantasista puro, quale appunto era, ma con uno stacco di testa non indifferente. Coi piedi faceva quello che voleva, segnando ripetutamente su punizione e anche direttamente da calcio d’angolo. Il suo carattere spigoloso gli creò non pochi problemi coi tifosi avversari, soprattutto argentini. Giocò anche in Italia, con le maglie dell’Ambrosiana (Inter) e del Palermo.
Montevideo, 30 luglio 1930
Uruguay: Ballestrero, Nasazzi, Mascheroni, Andrade, Fernandez, Gestido, Dorado, Scarone, Castro, Cea, Iriarte.
Argentina: Botasso, Della Torre, Paternoster, J.Evaristo, Monti, Suarez, Peucelle, Varallo, Stabile, M.Ferreyra, M.Evaristo.
Marcatori: 12’ Dorado(U), 20’ Peucelle(A), 37’ Stabile(A), 57’ Cea(U), 68’ Iriarte(U), 89’ Castro(U).
Un torneo organizzato col fine ultimo della propaganda di regime, termina come programmato, col successo degli azzurri padroni di casa. Un successo frutto di un gruppo solido (leit-motiv di ogni Italia vincente), di un pizzico di fortuna e della consueta “simpatia” verso la squadra ospitante.
TOCCA ALL’ITALIA - La macchina del mondiale è ormai in moto e nel 1932, a Stoccolma, viene deciso che la seconda edizione sarà ospitata dall’Italia, dopo la rinuncia proprio della Svezia. È un’occasione unica per la propaganda del regime fascista, che ne approfitta prontamente. Vengono costruiti numerosi nuovi stadi, più moderni e adeguati ad un movimento che, con l’avvento del girone unico nel 1929, è ormai diventato di massa. L’Italia aveva fatto sua la Coppa Internazionale, antenata del campionato europeo, nella prima edizione del 1930 e, al momento del ricambio generazionale, Pozzo aveva potuto attingere a piene mani dalla Juventus che stava dominando il campionato, con cinque scudetti consecutivi. Oltre al trio Combi-Rosetta-Caligaris c’erano anche gli oriundi Monti, finalista del primo mondiale con l’Argentina, e Orsi. A questi si aggiungevano Ferraris IV “er core de Roma”, il bolognese Schiavio in attacco e, ovviamente, il “balilla” Giuseppe Meazza.
NIENTE CAMPIONI - Priva di pecche l’organizzazione, mentre sul fronte del calcio giocato si registrano ancora troppi forfait. Mancano i campioni in carica dell’Uruguay, forse per ripicca verso le assenti europee dell’edizione precedente, più probabilmente per evitare la brutta figura fatta dall’Argentina. La federazione di Buenos Aires, infatti, si vede costretta a mandare in Italia una squadra costruita con giocatori delle serie minori, per il rifiuto delle squadre più titolare di dare i propri campioni, col rischio di vederseli scippare dai più danarosi club del vecchio continente. Vista la perdurante assenza delle nazionali britanniche, con l’eccezione dell’Irlanda, però eliminata nelle qualificazioni, il ruolo di favorita spetta, più che all’Italia, all’Austria. Il mitico Wunderteam che, guidato da Mathias Sindelar, ormai da anni spadroneggia in Europa. Il 4-2 rifilato agli azzurri a Torino, nel febbraio del 1934, la dice lunga. Il ruolo di outsiders dietro le due favorite spetta a Ungheria e Cecoslovacchia, che in maggio battono una dopo l’altra l’Inghilterra, oltre alla Spagna di Zamora, prima nazionale extrabritannica in grado di superare i bianchi maestri, e al sempre temibile Brasile.
RESTA SOLO L’EUROPA - Gli ottavi di finale si giocano tutti in contemporanea, il 27 maggio, e vedono subito l’uscita di scena delle tre formazioni extraeuropee. A Roma, gli Stati Uniti fanno da sparring partner all’Italia, che esordisce con un 7-1 impreziosito dalla tripletta di Schiavio. L’Argentina vende cara la pelle, ma alla fine si arrende alla Svezia, mentre il Brasile, a Genova, cede alla Spagna nel match-clou, con la doppietta decisiva di Isidro Langara, bomber dell’Oviedo. Desta una buona impressione la Svizzera, che a Milano elimina l’Olanda al termine di una gara divertente, mentre hanno pochi problemi la Germania, contro il Belgio, l’Ungheria, contro l’Egitto, e la Cecoslovacchia, contro la Romania. Problemi che si trova sorprendentemente a dover affrontare, invece, l’Austria, che a Torino è costretta ai supplementari dalla Francia.
TANTO EQUILIBRIO - Il 31 maggio vanno in scena i quarti di finale. Sono tutte gare ad altissima tensione, a cominciare dalla classicissima del calcio mitteleuropeo, tra Austria e Ungheria, da sempre protagoniste di sfide di altissima qualità. A Bologna, però, complice l’importanza dell’evento, si scatena una battaglia epocale. L’Austria si porta in vantaggio dopo soli cinque minuti e, sempre nel primo tempo, l’Ungheria resta in dieci per l’espulsione dell’ala destra Markos. Nella ripresa Zischek raddoppia con un tiraccio da fuori e Sarosi, il leader indiscusso dei magiari, può soltanto dimezzare lo svantaggio. A Milano, sotto una pioggia fittissima, si affrontano Germania e
Svezia, con i primi favoriti nei confronti degli scandinavi, già contenti di essere arrivati fin lì. La gara si decide nella ripresa, con la doppietta d’autore di Hohmann, prima con un bolide e poi con un’azione palla al piede. Con gli scandinavi in dieci, la rete del 2-1 di Dunker serve solo per gli almanacchi. Spettacolare la sfida di Torino tra Cecoslovacchia e Svizzera. Gli elvetici vanno presto in vantaggio, ma vengono raggiunti e superati a inizio ripresa, prima che il loro giocatore simbolo, Abegglen beffi nuovamente il grande Planicka. A sette minuti dal termine, però, il futuro capocannoniere del torneo, Nejedly, riesce a scacciare l’incubo dei supplementari.
Arriviamo alla grande sfida tra Italia e Spagna, di scena a Firenze. Non bastano due ore di gioco per decidere chi andrà in semifinale. A Regueiro risponde Ferrari, ribadendo in rete una respinta di Zamora, che nel resto della gara salverà almeno cinque palle gol durante il furioso assalto degli azzurri. Uno a uno, dunque, e bisogna ricorrere alla ripetizione, 24 ore dopo. La fatica si sente, ma Pozzo decide di sostituire solo tre undicesimi della squadra, mentre la Spagna si presenta con ben sette nuovi elementi tra i quali, a sorpresa, Nogues al posto di Zamora. Si risolve tutto all’undicesimo minuto, quando su cross da sinistra di Orsi, Meazza svetta anticipando Demaria e forse aiutandosi nello stacco appoggiandosi al compagno. Le proteste spagnole non hanno esito e la difesa italiana fa il resto, contro la poca consistenza offensiva delle Furie Rosse.
IN FINALE TRA LE POLEMICHE - Il 3 giugno, a due soli giorni dalla ripetizione con la Spagna, l’Italia scende in campo a Milano per giocarsi la finalissima contro la temutissima Austria. Il commissario tecnico austriaco, Hugo Meisl, non nasconde qualche timore legato agli arbitraggi casalinghi, e non avrà tutti i torti. Ancora una volta l’Italia si impone per 1-0 con un gol contestato. Schiavio salta un avversario sulla sinistra e batte a rete, il portiere austriaco Platzer riesce a parare ma non trattiene e la palla rischia di finire in rete. Con un colpo di reni tenta di recuperarla, ma su di lui si abbatte in corsa Meazza, che per l’urto lo rimanda a terra, finendoci anch’esso. Mentre Platzer si sta per rialzare piomba sul pallone Guaita che insacca, tra le veementi proteste austriache che l’arbitro non prende nemmeno in considerazione. Il resto della gara non regala sussulti e il calcio italiano può festeggiare la sua prima finale mondiale. L’avversaria è la Cecoslovacchia, che a Roma si impone sulla Germania con una tripletta di Nejedly, ormai certo del titolo di capocannoniere.
L’ITALIA IN PARADISO - Tre giorni prima dell’atto conclusivo, a Napoli Germania e Austria giocano la prima finale di consolazione della storia. Gli austriaci, privi di Sindelar, sono costretti ad indossare le divise azzurre del Napoli, visto che entrambe le formazioni giocano solitamente in maglia bianca. Non porteranno loro fortuna, perché la Germania si impone per 3-2, inaugurando la sua lunga serie di piazzamenti sul podio.
Il teatro della sfida decisiva è lo Stadio Flaminio di Roma. La Cecoslovacchia, forte della propria superiorità tecnica, prende da subito il comando delle operazioni, mentre l’Italia si affida alle azioni di contropiede di Guaita e Orsi. Gli azzurri sono aggressivi anche più del solito, pagando forse la troppa tensione, e raramente si rendono pericolosi. Di contro, i boemi premono nella ripresa colpendo due pali, con Puc e Sobotka, e trovando infine la rete a venti minuti dal termine, con un preciso diagonale dello stesso Puc. Sembra un colpo fatale, e lo sarebbe ancor più se, poco dopo, Svoboda non venisse fermato ancora dal legno.
Solo dopo aver scampato il pericolo mortale l’Italia ritrova le ultime energie per scuotersi. Guaita e Schiavio si scambiano le fasce di competenza e, all’ottantesimo, proprio da Guaita nasce l’azione che porta alla conclusione vincente di Orsi. Parità ritrovata e inerzia della gara ora decisamente a favore dell’Italia. I supplementari sono iniziati da cinque minuti quando Meazza pesca Guaita sulla destra con un passaggio filtrante. L’oriundo scorge Schiavio che arriva di gran carriera dalle retrovie e lo serve di prima. Il centravanti del Bologna riesce con uno scatto ad anticipare tutti e tocca la sfera di quel tanto che basta per mettere fuori causa Planicka. Lo stadio esplode di gioia e gli ultimi venti minuti sono solo il preludio alla festa che si scatena al fischio finale. L’Italia è campione del mondo per la prima volta. Un traguardo voluto ad ogni costo dagli uomini di Pozzo e benedetto dalla fortuna.
Giuseppe Meazza - Chi l’ha visto giocare dal vivo, e ormai sono rimasti in pochi, non ha dubbi: Giuseppe Meazza è stato il più grande calciatore italiano di sempre, più di Rivera, più di Baggio, altri due numeri 10 in grado di esaltare le folle. Nato centravanti, esordì nell’Ambrosiana Inter a 17 anni e in maglia nerazzurra vinse due scudetti e tre titoli di capocannoniere, prima di un problema fisico che lo tenne fermo un anno e delle ultime apparizioni con le maglie di Milan, Juventus e Atalanta. Con la nazionale ha vinto due titoli mondiali, il secondo da capitano, collezionando 53 presenze e 33 reti, un bottino di gol battuto solo 40 anni dopo da Riva, nonostante nella seconda parte di carriera abbia arretrato il raggio d’azione fino a diventare interno di centrocampo.
Roma, 10 giugno 1934
Italia: Combi, Monzeglio, Allemandi, Ferraris IV, Monti, Bertolini, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi.
Cecoslovacchia: Planicka, Zenisek, Ctyroky, Kostalek, Cambal, Krcil, Junek, Svoboda, Sobotka, Nejedly, Puc.
Marcatori: 70’ Puc(C), 80’ Orsi(I), 95’ Schiavio(I).
Il mondo è in subbuglio. L’Austria è sparita nell’indifferenza generale, la Spagna è nel pieno della guerra civile, ma il calcio va avanti. In Francia l’Italia conquista il secondo titolo mondiale, stavolta senza lasciare nessun dubbio. I ragazzi di Pozzo sono i più forti del mondo.
ANNI DI CAMBIAMENTI - I quattro anni che vanno dal 1934 al 1938 sono densi di avvenimenti destinati a sconvolgere il panorama internazionale. L’Europa, inconsapevolmente, precipita sempre più velocemente verso il sanguinoso conflitto mondiale, e lo fa per mano della Germania nazista e delle sue mire espansionistiche nei confronti dei Paesi vicini. La prima vittima è l’Austria, che con l’Anschluss, a pochi mesi dal mondiale al quale doveva partecipare, viene di fatto militarmente occupata e trasformata in una regione del Reich. Dal punto di vista calcistico, questo significa la sparizione del Wunderteam, la squadra che da anni giocava il miglior calcio del continente. Molti dei suoi campioni vengono cooptati nella nazionale tedesca, non Sindelar, che pagherà con la vita il suo rifiuto. Nel 1936, dalle carte calcistiche, era sparita anche la Spagna di Zamora, bloccata dalla guerra civile che sarebbe durata quattro anni.
Per la sede del mondiale, la FIFA sceglie la Francia, in omaggio a Jules Rimet, il padre della coppa. Come previsto, questo provoca la nuova defezione di Uruguay e Argentina, entrambe per protesta, ma anche per evitare brutte figure. Delle nazioni extraeuropee, solo in tre prendono parte alla fase finale. Il Brasile, deciso finalmente a lasciare tracce significative di sé, Cuba e le Indie Olandesi, che si ritrovano protagoniste senza dover nemmeno scendere in campo, per mancanza di avversari. Per il resto, le squadre più attese sono le solite Ungheria e Cecoslovacchia, con le ambiziose Germania e Francia, ma mai come ora i favori del pronostico sono incentrati su un’unica formazione, l’Italia campione in carica di Pozzo.
L’ITALIA DETTA LEGGE - Se la vittoria mondiale di Roma aveva destato qualche dubbio, gli anni successivi confermano come il calcio italiano sia ormai all’avanguardia. Nel novembre del 1934 gli azzurri fanno visita per la prima volta all’Inghilterra, nel mitico stadio di Highbury. Restano subito in dieci, per l’infortunio di Monti, e vanno sotto di tre reti nella prima mezzora. Sembra il prologo di un’umiliante disfatta e invece, nella ripresa, arrivano due gran gol di Meazza che tengono aperta la gara fino al termine e regalano ai nostri il titolo di “Leoni di Highbury”. Poche settimane dopo, una doppietta dell’esordiente Piola sbanca Vienna e ci consegna la seconda Coppa Internazionale, mentre nel novembre del 1935 inizia un periodo di imbattibilità che durerà per quattro anni precisi, con nel mezzo il successo di una squadra piena di giovani studenti alle Olimpiadi del 1936, quelle di Berlino, che sarebbero dovuto servire anche nel calcio come dimostrazione di superiorità della nazione tedesca.
LE SORPRESE NON MANCANO - Gli ottavi si aprono con un risultato inatteso. La Germania, che non nascondeva le proprie ambizioni, viene bloccata sull’1-1 dalla Svizzera. E peggio va nella ripetizione, giocata cinque giorni dopo, quando il contropiede elvetico frutta un entusiasmante 4-2. Alla ripetizione è costretta anche la Romania, contro la sorprendente Cuba che, nonostante il portiere titolare sia impegnato come commentatore della radio nazionale, si impone per 2-1 contro ogni pronostico. Decisamente più lineare l’andamento delle altre gare. Successi agevoli per Francia e Ungheria, rispettivamente contro Belgio e Indie Olandesi. Tre a zero della Cecoslovacchia sull’Olanda, ma ottenuto solo ai supplementari, così come anche il Brasile ha bisogno dei supplementari per avere la meglio sulla Polonia, in un’autentica battaglia terminata 6-5, con i due attaccanti, Leonidas e Wilimowski, capaci di segnare quattro reti a testa, un record che durerà fino al 1994. L’Italia, infine, fatica più del previsto contro l’ostica Norvegia, andando subito in
vantaggio con Ferraris II, salvo farsi raggiungere nel finale da Brustad. Ai supplementari, però, la rete di Piola scaccia i fantasmi.
AVANTI CON PIOLA - I quarti di finale si occupano di ristabilire le gerarchie. La palma di squadra più fortunata del torneo spetta di sicuro alla Svezia, che dopo aver saltato gli ottavi per l’assenza dell’Austria si ritrova contro Cuba, per di più stanca per aver giocato due gare. Gli svedesi si impongono per 8-0 e si qualificano allegramente per la prima semifinale della loro storia. Pochi problemi anche per l’Ungheria, contro un’altrettanto stanca Svizzera, regolata con un secco 2-0. Tutta un’altra storia tra Brasile e Cecoslovacchia, che si apre fin da subito con interventi da codice penale. A fine primo tempo il Brasile è in vantaggio grazie a Leonidas, ma in nove contro dieci. Nella ripresa i verdeoro si occupano di ristabilire la parità numerica, rompendo un braccio a Planicka, ma un menomato Nejedly riesce comunque a pareggiare su rigore.
La ripetizione non va molto diversamente. Cecoslovacchia in vantaggio con Kopecky, che poco dopo esce per infortunio, e raggiunta nella ripresa da Leonidas e superata da Roberto, dopo che l’arbitro non aveva visto un gol valido dei boemi. Resta l’Italia, che a Parigi si ritrova contro 60000 tifosi di casa decisi a spingere i propri beniamini in semifinale. Tra di loro molti rifugiati politici italiani, che al momento del saluto romano degli azzurri fanno partire una sonora protesta. Pozzo ringiovanisce la squadra, facendo esordire tra gli altri Amedeo Biavati, ala del Bologna noto per il “Passo doppio”, col quale riusciva invariabilmente a superare l’avversario di turno. Nel primo tempo si assiste a un botta e risposta, con Heisserer che risponde immediatamente a Colaussi, ma nella ripresa sale in cattedra Piola. Due in zuccate delle sue, al termine di pregevoli azioni manovrate, spengono le speranze dei transalpini.
LEONIDAS A RIPOSO E L’ITALIA IN FINALE - Mentre l’Ungheria dispone facilmente degli intrusi svedesi, con un 5-1 che sarebbe potuto essere anche più largo, l’Italia si prepara ad affrontare per la prima volta l’ostacolo Brasile. Per fortuna di Pozzo, il bomber del torneo Leonidas, l’”Uomo di gomma”, non viene schierato perché non al meglio dopo le battaglie contro la Cecoslovacchia. La gara si decide nella ripresa. Segna Colaussi, irrompendo su un pallone rifinito da Piola, e raddoppia Meazza, calciando un rigore tenendosi i calzoncini, dei quali si era rotto l’elastico. I brasiliani non entrano mai in partita, anche se nel finale ottengono l’immeritato gol che dimezza lo svantaggio con Romeu, in mischia. Alla Seleçao, che già aveva prenotato il volo per Parigi, in vista della finalissima, non resta che la consolazione del terzo posto, conquistato con un facile 4-2 alla Svezia, e del titolo di capocannoniere per Leonidas, che con la doppietta agli scandinavi raggiunge quota 8 reti in 4 gare giocate.
DOPPIETTA ITALIANA - La finalissima è dunque una classica del calcio europeo, con 16 precedenti che vedono gli azzurri in vantaggio, con 8 successi contro 4 e imbattuti dal 1925. L’inizio è tutto italiano, con la rete di Colaussi su cross da destra di Piola già dopo sei minuti. Ne passano soltanto altri due, però, e Zsengeller raccoglie un rinvio errato di Andreolo, servendo a Titkos la palla del pareggio. Come se nulla fosse, l’Italia torna a spadroneggiare e, dopo aver colpito un palo, Piola va a segno al termine di un’azione di rara bellezza. Un cross da sinistra di Biavati viene intercettato e finisce a Piola, che smista subito per Ferrari. Questi serve Andreolo sulla destra, che salta un paio di avversari in dribbling e rimette al centro dove Piola stoppa e fredda il portiere con un siluro all’incrocio, il tutto all’interno dell’area magiara.
Una prova di forza che viene confermata venti minuti dopo, quando Colaussi irrompe da sinistra e batte Szabo con un diagonale ad effetto. Nella ripresa, Biavati colpisce un altro palo, prima che Sarosi concluda una splendida azione con la rete che sembra poter riaprire i giochi. È un’illusione, perché sull’ennesimo cross di Biavati, Piola infila l’angolino e da inizio alla festa. Un successo più che meritato, frutto della netta superiorità tecnica e atletica, che riporta nella bacheca della FIGC la coppa. Vi rimarrà più del previsto, perché l’anno dopo la Germania invaderà la Polonia, dando il via
alla Seconda Guerra Mondiale. Il trofeo tornerà in palio dodici anni dopo, col nome di Coppa Rimet.
Silvio Piola - Gli è mancato solo lo scudetto, perché dopo essere cresciuto nella Pro Vercelli, a 21 anni si trasferisce alla Lazio, che allora non poteva certo competere con gli squadroni del nord. Si rifà conquistando due titoli di capocannoniere e diventando, con 290 gol, il bomber più prolifico della Serie A e della nazionale, con la quale va a segno 30 volte. Sarà superato solo da Riva. Centravanti d’area, con un fisico che per l’epoca era più che sufficiente a battagliare senza esclusione di colpi con i rudi difensori avversari. Stimato anche dai maestri inglesi, ai quali nel 1939 aveva segnato una rete con un tocco di mano... in rovesciata.
Parigi, 19 giugno 1938
Italia: Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Biavati, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi.
Ungheria: Szabo, Polgar, Biro, Szalay, Szucs, Lazar, Sas, Vincze, Sarosi I, Zsengeller, Titkos.
Marcatori: 5’ Colaussi(I), 7’ Titkos(U), 16’ Piola(I), 35’ Colaussi(I), 70’ Sarosi I(U), 82’ Piola(I).
«Nunca mais meu Brasil». Mai più sarebbe capitata un’occasione del genere al Brasile. Il suicidio sportivo della nazionale verdeoro nel mondiale casalingo ha fatto epoca. Pur potendosi accontentare del pareggio, i brasiliani si fanno sconfiggere dall’Uruguay, campione del mondo per la seconda volta. Mai dire mai, però. Tra quattro anni sarà il momento buono per cancellare quella pagina triste.
L’ITALIA IN GINOCCHIO - Il primo settembre del 1939, poco più di un anno dopo che l’Italia ha riconquistato il titolo iridato, il mondo piomba nell’incubo. La Germania invade la Polonia, dando l’avvio al più sanguinoso conflitto della storia dell’umanità, con sessanta milioni di morti bruciati sull’altare della follia collettiva. Fino al 1943, comunque, l’attività sportiva all’interno delle varie nazioni prosegue, per dare qualche momento di normalità a chi è rimasto a casa e può solo piangere i propri morti. L’ultimo titolo prima dello stop finisce al Torino, che poi farà suoi anche i primi quattro, dopo la ripresa dei campionati. È il Grande Torino di Valentino Mazzola, che lascia le briciole agli avversari e monopolizza la nazionale. Chissà fino quando sarebbe durato il suo dominio, e chissà quale sarebbe stata la sorte dell’Italia in Brasile, se il 4 maggio del 1949 la collina di Superga non si fosse trasformata nella tomba degli eroi granata.
TANTE ASSENZE E UN ESORDIO - Il conflitto mondiale ha cambiato notevolmente il quadro delle favorite al successo finale. Alle Olimpiadi del 1948 hanno destato grande impressione le scandinave Svezia e Danimarca, favorite dal ruolo marginale negli eventi bellici, che le ha preservate da distruzione e morte. Entrambe, però, si trovano presto a dover fare a meno dei giocatori più rappresentativi, fermati dalle leggi anti-professionismo una volta ingaggiati dalle maggiori squadre europee, soprattutto italiane. I danesi, poi, decidono di non partecipare nemmeno, così come fanno le grandi squadre mitteleuropee, dall’Austria all’Ungheria fino alla Cecoslovacchia, oltre ovviamente alla Germania, squalificata dalla FIFA. Manca anche l’URSS, una forza emergente, messasi in mostra in gare amichevoli, ma ancora ritrosa quando si tratta di confrontarsi a livello ufficiale. Ed è assente, a sorpresa, anche l’Argentina, frenata dalla “huelga”, lo sciopero dei calciatori contro i salari bassi, che porterà i migliori di loro, la “Maquina da gol” del River Plate, ad emigrare in Colombia, venendo squalificati dalla federazione. Su tutti, la “saeta rubia” Alfredo Di Stefano, che inizia così il suo rapporto tormentato con la Coppa Rimet. Tra tante assenze, spicca il tanto atteso esordio dell’Inghilterra che, accompagnata dalla Scozia, pone finalmente termine al proprio dorato isolazionismo. Col senno di poi, il tempismo della decisione non si rivelerà uno dei migliori.
GLI AZZURRI SALUTANO SUBITO - Inserita in un girone a tre, per l’assenza dell’India, l’Italia esordisce contro i temibili svedesi. La spedizione era stata fonte di polemiche fin dal viaggio, programmato via mare per la paura che i viaggi aerei ancora incutevano, dopo la tragedia di Superga. Alla lunghezza del viaggio e le difficoltà ad allenarsi (furono a decine, i palloni persi in mare) si aggiungerà un albergo in pieno centro a San Paolo, con tanto di chiassosa festa di San Giovanni alla vigilia della gara. Il vantaggio di Carapellese è illusorio, perché i più freschi scandinavi ci mettono poco a raggiungerci, superarci e distanziarci, con una doppietta di Jeppsson, futuro napoletano. Inutile la rete di Muccinelli nel finale, così come inutile sarà il successo sul Paraguay, che prima aveva diviso la posta con gli svedesi. La fatica minore spetta all’Uruguay, al quale basta travolgere sotto otto gol la Bolivia, in un girone che mancava di Austria e Scozia. Un segnale di buona fortuna che sarebbe stato meglio non sottovalutare. Mentre il Brasile mantiene le promesse, facendo suo il proprio girone davanti alla Jugoslavia, la sorpresa maggiore arriva certamente dal gruppo 2. Le squadre destinate a giocarsi il passaggio del turno sono Spagna e Inghilterra, ma mentre gli iberici fanno fuori facilmente Cile e Stati Uniti, gli inglesi battono i
sudamericani per poi andare incontro ad una delle più clamorose sconfitte della storia del calcio. I dilettanti a stelle e strisce, infatti, si impongono per uno a zero con la rete di tal Gaetjens, ala di origini haitiane. A Londra non si riesce a credere al risultato del campo, tanto che un giornale pensa ad un errore di trasmissione via telegrafo del risultato e parla di successo per 10-1. Ormai sfiduciati, i bianchi cedono poi anche alla Spagna nello scontro diretto.
TUTTO GIÀ SCRITTO? - Le quattro squadre superstiti si affrontano, e sarà un evento unico, in un ulteriore girone per decidere chi porterà a casa la coppa alata. Il primo turno di gare sembra già designare il Brasile come vincitore finale. I verdeoro sommergono sotto sette gol l’ambiziosa Svezia, con un poker di Ademir, che in pratica mette in cassaforte il titolo di capocannoniere. Nel frattempo, l’Uruguay si fa imporre il pareggio dalla Spagna, raggiunta peraltro solo nel finale, con una fucilata del capitano Obdulio Varela. A questo punto il destino entra in azione. Al secondo turno dovrebbe andare in scena la sfida sudamericana, ma per incrementare l’interesse viene spostata alla fine. Con lo stato di forma fisica e psicologica del momento, probabilmente il Brasile avrebbe fatto dei vicini un sol boccone e invece, mentre Ademir e compagni replicano lo spettacolo di quattro giorni prima, rifilando sei reti alla Spagna, l’Uruguay rimane in corsa con le unghie e con i denti. La Svezia va per due volte in vantaggio, venendo raggiunta la prima volta da Ghiggia e la seconda da Míguez. Lo stesso Míguez che in mischia tiene aperto il mondiale a cinque minuti dal termine. Aperto per modo di dire, perché appare improbabile che il Brasile non riesca a conquistare almeno un pareggio nella sfida contro un Uruguay che continua a sembrare troppo contratto. Il tutto mentre al Pacaembú di San Paolo la Svezia supera per tre a uno la Spagna e conquista il primo podio della sua storia.
TRAGEDIA AL MARACANÃ - La mattina del 16 luglio tutto è pronto. La festa del popolo brasiliano è stata programmata in ogni particolare, comprese undici limousine destinate a portare in trionfo gli eroi. Compresa la guerra psicologica alla quale sono sottoposti gli uruguayani, che ovunque vadano trovano riferimenti al numero 4, il numero di gol che sono destinati a subire. La tattica sembra dare i suoi frutti, visto che i dirigenti della federazione di Montevideo si dichiarano soddisfatti anche di una sconfitta onorevole. Non la pensa così Obdulio Varela, più di un capitano, più di un leader. Lui la coppa la vuole, anche se sembra l’unico a credere di poterla portare via dal Maracanã. Prima della gara prende da parte i compagni uno ad uno e li sprona con parole semplici ma efficaci. Conclude dicendo: “Ragazzi, oggi ho una gran voglia di correre”. È sufficiente. Al fischio d’inizio in crederci, all’impresa impossibile, saranno in undici.
La gara si trasforma presto in una battaglia. Ghiggia viene falciato due volte, poi, dopo l’occhiataccia ricevuta da Varela, alla successiva occasione colpisce per primo. Il centravanti della Celeste, Míguez, colpisce il palo in contropiede. È come se il destino bussasse una prima volta alla porta dei brasiliani. Nessuno se ne accorge. A inizio ripresa la storia sembra finalmente voler seguire il suo corso, quando Friaça conclude segnando una veloce azione di rimessa, per il tanto atteso vantaggio dei padroni di casa. Varela recupera subito il pallone e corre a protestare con l’arbitro, per un’irregolarità che ha visto soltanto lui. È una manovra psicologica, che smorza l’entusiasmo brasiliano per qualche secondo, permettendo ai propri compagni di ricompattarsi. L’agnello sacrificale sembra, in ogni caso, non avere scampo, almeno fino al ventesimo, quando Ghiggia va via sulla destra e crossa per Schiaffino, che controlla e fredda il portiere.
A questo punto la Seleçao commette l’errore più grosso, non accettando il pareggio, che pure le sarebbe stato sufficiente. All’Uruguay vengono regalati, dunque, ampi spazi per il suo contropiede, come a dieci minuti dal termine, quando Ghiggia buca nuovamente la difesa da destra. Stavolta il futuro romanista, che vestirà anche la maglia azzurra come oriundo, decide di non crossare, visto che il portiere ha fatto un passo verso il centro in attesa proprio del suo traversone. Chiude gli occhi e tira, con tutte le forze, un rasoterra indirizzato sul primo palo. Quando li riapre, la palla e in rete e l’Uruguay è campione del mondo. Gli ultimi giri di lancette, infatti, scandiscono soltanto l’agonia del Brasile, i cui attacchi disordinati si infrangono sul muro celeste. Al fischio finale esultano in
undici e piangono in centomila. Non si contano gli infarti e le risse. Qualcuno tenterà anche il suicidio. Il mattino dopo, gli inservienti dello stadio troveranno, ancora sugli spalti, un ragazzo singhiozzante. La Gazeta Esportiva titola “Nunca Mais”: mai più. Mai più si ripeterà una beffa simile, ma l’Uruguay non ha rubato nulla. Varela e compagni si sono meritati l’ingresso nella leggenda con un successo frutto della volontà e della migliore impostazione tattica, soprattutto se messo a confronto con la supponenza degli avversari.
Juan Alberto Schiaffino - Se a Obdulio Varela spetta il ruolo di leader carismatico, “Pepe” Schiaffino ricopre indiscutibilmente quello di leader tecnico. Regista offensivo elegante e raffinato, un solo tocco di palla gli era sufficiente per trasformare un’azione banale in un pericolo per gli avversari. Considerato da molti tra i cinque migliori giocatori di sempre, esordisce a 18 anni nel Penarol, col quale vince 3 titoli prima di trasferirsi nel 1954, a 29 anni, nel Milan. Tre scudetti in sei anni, più una sfortunata finale di Coppa dei Campioni, sono il suo lascito ai rossoneri, oltre all’imprinting dato ad un giovanissimo talento: Gianni Rivera. Nel 1960 passa alla Roma, dove giocherà ancora due stagioni.
Rio de Janeiro, 16 luglio 1950
Uruguay: Máspoli, M.Gonzáles, Tejera, Gambetta, Varela, Rodríguez Andrade, Ghiggia, Pérez, Míguez, Schiaffino, Morán.
Brasile: Barbosa, Augusto, Juvenal, Bauer, Danilo, Bigode, Friaça, Zizinho, Ademir, Jair, Chico.
Marcatori: 47’ Friaça(B), 66’ Schiaffino(U), 79’ Ghiggia(U).
Una formalità, nient’altro che una formalità. Questo, secondo tutti i commentatori, è il destino che sembra essere riservato al quinto campionato mondiale, disputato in Svizzera. Il primo torneo iridato trasmesso in TV, infatti, ha una vincitrice mai così annunciata: è l’Ungheria di Puskas, capace pochi mesi prima di espugnare Wembley, impresa mai riuscita a nessuno, prima di allora. Il calcio, però, come dimostrato già quattro anni prima, sa sempre regalare sorprese. Sarà così anche questa volta.
LA SQUADRA D’ORO - Poche settimane prima che l’Uruguay faccia piangere il Maracanã, laureandosi per la seconda volta campione del mondo, l’Ungheria perde per 5-3 a Vienna, dall’Austria, in amichevole. Una gara anonima, che sembra confermare il declino del calcio ungherese all’indomani della guerra. Sarà invece la loro ultima sconfitta prima della finale di Berna, quattro anni e due mesi dopo. L’”Aranycsapat”, la squadra d’oro, è un concentrato irripetibile di campioni, fioriti nelle varie squadre di Budapest, su tutte la Honved di Puskas e Kocsis. I magiari arrivano in Svizzera con un unico dubbio: non sanno ancora quale squadra batteranno in finale. Dopo aver dominato le Olimpiadi di Helsinki, nel 1952, erano stati invitati dalla F.A. per un’amichevole da giocare a Wembley, nel novembre dell’anno successivo. Un invito che i dirigenti britannici avranno modo di rimpiangere a lungo. Nella nebbiolina londinese di un pomeriggio autunnale va in scena il crollo della pretesa superiorità del calcio d’oltremanica. Battuto il calcio d’inizio, i magiari vanno in gol prima che gli avversari abbiano avuto la possibilità di toccare palla. Finisce 6-3 e, se possibile, il peggio deve ancora venire, visto che quando i bianchi restituiscono la visita subiscono un 7-1 che ha quasi dell’assurdo.
ASSENZE E PROBLEMI - A corroborare le certezze di successo degli ungheresi c’è un parco di partecipanti mai come in questo caso di scarsa qualità. Manca l’Argentina, alle prese con una mancanza di talenti che sembra inguaribile, aggiunta alla diaspora dei migliori talenti, Di Stefano in primis. Mancano Svezia e Danimarca, tradite ancora una volta da leggi anti-professionismo ancora una volta auto-limitanti. Insieme agli scandinavi manca anche la Spagna, un’altra protagonista del girone finale di quattro anni prima. Nonostante possano contare proprio sull’apporto fornito da Di Stefano, le Furie Rosse si impantanano nell’ostacolo Turchia, venendo eliminati al sorteggio, dopo aver pareggiato anche la gara di spareggio. Restano Inghilterra e Brasile e, mentre i primi hanno già dimostrato di non essere all’altezza dei grandi favoriti, i verdeoro si presentano rinnovati e senza grandi aspettative, una volta tanto. Restano dunque i campioni in carica dell’Uruguay e le outsiders: la Germania Ovest, tornata in campo dopo le sanzioni di guerra, l’Austria e la Jugoslavia, finalista olimpica due anni prima. E l’Italia? Dopo l’indecorosa partecipazione all’edizione brasiliana era iniziato un periodo di instabilità tecnica, favorito anche dalla mancanza di una squadra guida come era stata la Juventus negli anni Trenta e il Torino nel decennio successivo. Il grande afflusso di stranieri, poi, aveva innalzato il livello dei club, ma parimenti causando un blocco per la fioritura di nuovi talenti, che non trovavano adeguato spazio. Erano iniziati i venti anni più bui del calcio italiano. Solo a fine anni Sessanta si tornerà a vedere la luce.
SUBITO A CASA - La curiosa formula inventata dagli organizzatori prevede quattro gironi, all’interno dei quali le due teste di serie (e di conseguenza le due meno titolate) non si affrontano tra di loro. L’Italia, sorteggiata con l’Inghilterra, può ritenersi soddisfatta, ma ha fatto i conti senza i padroni di casa che, nella sfida che inaugura il girone, si impongono per 2-1 (inutile il momentaneo pareggio di Boniperti). La successiva sconfitta elvetica contro l’Inghilterra, unita al largo 4-1 col quale gli azzurri si sbarazzano del Belgio, porta allo spareggio per il secondo posto. A Basilea, intimiditi dal pubblico e ancora senza uno schieramento stabile, gli azzurri subiscono senza reagire un 1-4 fin troppo eloquente, che promuove meritatamente la squadra di casa ai quarti. Negli altri
gironi passano tutte le grandi: Brasile e Jugoslavia nei confronti di una Francia ancora in fase di ricostruzione; Uruguay e Austria a punteggio pieno, nemmeno impensierite da Cecoslovacchia e Scozia. L’attenzione del mondo è però puntata sul gruppo B, quello dell’Ungheria. La Germania Ovest è l’avversario più ostico e non è nemmeno testa di serie, ma per sua fortuna le altre componenti sono Turchia e Corea del Sud, entrambe all’esordio. Dopo una larga vittoria a testa, le favorite si affrontano per decidere il primo posto. I tedeschi si schierano, a sorpresa, con una formazione imbottita di riserve, venendo sconfitti per 8-3. È una mossa tattica del C.T., che fa riposare gli uomini migliori e, nel frattempo, può studiare dal vivo i temibili avversari. Lo spareggio con la Turchia, poi, si rivela una formalità.
A SUON DI GOL - Iniziano i quarti di finale ad eliminazione diretta e lo fanno con l’incredibile 7- 5 col quale l’Austria ha la meglio sui vicini svizzeri, andati sul 3-0 dopo nemmeno mezzora e raggiunti e superati già a fine primo tempo. L’Uruguay si conferma ammazza-grandi, eliminando un’Inghilterra comunque sottotono, col quarantenne Stanley Matthews unico illuminato pilastro del gioco. Molta fortuna per la Germania, che con la Jugoslavia passa con un’autorete e un gol irregolare. Resta Ungheria-Brasile, dunque, la finale anticipata. I magiari vanno presto sul 2-0, il Brasile accorcia, ma si vede nuovamente distanziare con un rigore discutibile che ne scatena la furia. Alla fine gli espulsi saranno tre, due a uno per i verdeoro, ma i gol quattro a due per l’Ungheria, contano di più. Al fischio finale, poi, Kocsis si ritrova a fuggire, inseguito da quattro avversari, mentre lo stopper Pinheiro spacca una bottiglia in testa a Puskas nel pieno di una baraonda che convince i dirigenti della Honved ad annullare la prevista tournée in Brasile.
COME PREVISTO - Il secondo “derby” consecutivo per l’Austria si conclude, stavolta, a suo sfavore, e non di poco. La Germania, infatti, continua nella sua esponenziale crescita di condizione, sommergendo i più tecnici, ma leggeri, cugini sotto un 6-1 che non ammette repliche. Sull’altro campo, invece, l’Ungheria comincia a patire la stanchezza. L’Uruguay è infatti un avversario da non augurare a nessuno. Mai doma, la Celeste rimonta lo 0-2 che ad inizio ripresa sembrava condannarla e costringe i magiari ai supplementari. A quel punto ci pensa “Testina d’oro” Kocsis, con due colpi del suo repertorio di incornate, a rimettere le cose a posto, ma preziose energie sono state spese.
IL MITO SI DISSOLVE - Detto della medaglia di bronzo conquistata dall’Austria, contro un Uruguay distratto, l’attenzione si sposta su Berna, che sembra destinata a dover finalmente cingere la “squadra d’oro” con l’alloro dell’immortalità. Il mattino della finale sorge illuminando i dubbi del C.T. ungherese. La caviglia di Puskas, infatti, reclama il giusto riposo, ma non è possibile rinunciare all’apporto del capitano proprio per la gara più importante. Dopo otto minuti di gara i dubbi sembrano svaniti, visto che prima lo stesso Puskas e poi Czibor colpiscono due volte. Se c’è una squadra che ha nel suo D.N.A. la capacità di rialzarsi in certi momenti, però, questa è proprio la Germania. Già al decimo, infatti, Morlock accorcia anticipando il portiere in uscita e, otto minuti dopo, Rahn gira a rete con successo un corner dalla sinistra. Tutto da rifare, dunque, mentre la caviglia di Puskas inizia a tormentarlo, tanto da fargli sbagliare due facili occasioni, a tu per tu col portiere. I magiari continuano a restare padroni del campo, ma non sfruttano il gran numero di occasioni create. Anche sugli spalti, allora, inizia a insinuarsi il dubbio che la ruota della storia stia cominciando a girare all’inverso.
Il destino si compie a sei minuti dal termine, quando il campo allentato dalla pioggia ha reso il confronto meno tecnico e più adatto ai tedeschi. Bozsik perde palla in un contrasto con Schäfer, che mette in mezzo dalla sinistra per Rahn. Pur affrontato da un difensore, il numero 7 riesce a colpire la palla e a mandarla nell’angolino, imparabile per Grosics. Restano ormai pochi minuti, eppure Puskas riesce a segnare il gol del 3-3. Purtroppo per lui, però, partendo da una millimetrica posizione di fuorigioco ravvisata dal guardalinee. Finisce così, dunque, il sogno ungherese. Due anni dopo i carri armati sovietici invaderanno Budapest, costringendo quella generazione di
fuoriclasse ad una triste diaspora all’estero. Mai più il calcio magiaro si avvicinerà nemmeno lontanamente a quelle vette. I tedeschi, dal canto loro, poche settimane dopo vengono colpiti da itterizia. Gravano forti sospetti su eventuali aiuti chimici, ma senza prove non resta che inchinarsi di fronte ai campioni del mondo.
Fritz Walter - Squadra senza grandi individualità, la Germania faceva perno su di lui, il primo “Kaiser” del calcio tedesco. Regista offensivo e vero e proprio allenatore in campo. Leader del Kaiserslautern, col quale nel dopoguerra conquistò due titoli nazionali, esordì in nazionale a 20 anni, nel 1940, per non lasciarla più. Chiuse con i mondiali del 1958, stabilendo il record di segnature (33) battuto solo un decennio dopo da Seeler e Muller.
Berna, 4 luglio 1954
Germania Ovest: Turek, Posipal, Kohlmeyer, Eckel, Liebrich, Mai, Rahn, Morlock, O.Walter, F.Walter, Schäfer.
Ungheria: Grosics, Buzanszky, Lantos, Bozsik, Lorant, Zakarias, Czibor, Kocsis, Hidegkuti, Puskas, Toth I.
Marcatori: 6’ Puskas(U), 8’ Czibor(U), 10’ Morlock(G), 18’ Rahn(G), 84’ Rahn(G).
E venne l’ora del Brasile. Dopo due decenni di delusioni, in alcuni casi sfociate in tragedia, i verdeoro riescono finalmente a salire sul tetto del mondo. Per farlo hanno bisogno di un giovanissimo “messia”, che parte da riserva e termina da “O rei”. Edson Arantes do Nascimento: per tutti, da quel momento e per sempre, Pelé.
ITALIA DOVE SEI? - A livello organizzativo, gli anni Cinquanta sono quelli del calcio europeo. Dopo la Svizzera, infatti, il campionato del mondo si trasferisce un po’ più a nord, in Svezia. Ma la novità più rilevante è la creazione, proprio nel 1954, della UEFA. L’atto iniziale è la creazione della Coppa dei Campioni, riservata alle vincitrici dei vari tornei continentali, una competizione che di fatto sancisce l’entrata del calcio nell’era moderna. Subito dopo i mondiali svedesi, invece, vedrà la luce il Campionato Europeo per nazioni. Tutto questo fermento, però, non è accompagnato da un adeguato livello delle squadre. Le grandi favorite della vigilia, infatti, sono Brasile e Argentina, vincitrice della Coppa America dell’anno prima, grazie all’apporto degli “angeli dalla faccia sporca”, Sivori, Angelillo e Maschio. Il problema dei biancocelesti, però, è che i tre non parteciperanno, esclusi in seguito al loro trasferimento in Italia. Tra le favorite figurerebbe anche l’Inghilterra, se la tragedia di Monaco, nel febbraio di quell’anno, non avesse spazzato via buona parte del Manchester United, la squadra guida del football d’oltremanica.
A tenere alto l’onore dell’Europa restano i campioni in carica della Germania Ovest e i padroni di casa della Svezia, che finalmente si schierano con tutti i loro campioni, anche se ormai avanti negli anni. Curiosità per due squadre emergenti, la Francia di Kopa e Fontaine e l’URSS, alla sua prima apparizione. Resta sorprendentemente a casa la Spagna, nonostante il Real Madrid stia dominando la neonata Coppa dei Campioni. E resta fuori dei giochi, per la prima e finora unica volta, anche l’Italia, ormai nel pieno di una crisi involutiva dovuta all’esagerata fiducia nel catenaccio. Nella gara decisiva, persa con l’Irlanda del Nord, gli azzurri si schierano con cinque attaccanti di ruolo e col resto della squadra a difendere. Il risultato è che gli avversari spadroneggiano a centrocampo. L’umiliazione non servirà a molto, ci vorranno ancora dieci anni per tornare a farci rispettare a livello internazionale.
ELIMINAZIONI ECCELLENTI - Il quadro delle partecipanti, già carente in avvio di torneo, perde pezzi importanti fin dal primo turno. La sorpresa maggiore è l’eliminazione dell’Argentina, finita ultima dietro la Germania Ovest, l’Irlanda del Nord e la Cecoslovacchia, con l’umiliazione dei sei gol presi dai boemi. Saluta anzitempo anche l’Inghilterra, sconfitta allo spareggio dall’URSS, in un girone vinto facilmente dal Brasile e chiuso dall’Austria, ormai lontana parente di quella di venti anni prima. Il divertimento maggiore lo regala la Francia, trascinata da un Fontaine inarrestabile (chiuderà a 13 reti, record inavvicinabile). I galletti aprono con un emblematico 7-3 al Paraguay, poi perde 2-3 con la Jugoslavia e batte la deludente Scozia, conquistando il primo posto davanti agli slavi. Infine la Svezia, che non ha problemi a far suo il girone, davanti al Galles (delle quattro britanniche, record di partecipazioni mai più eguagliato, passano a sorpresa le due meno quotate). Delusione per l’Ungheria, priva di buona parte dei grandi campioni di quattro anni prima ed eliminata allo spareggio dai gallesi.
SPETTACOLO NON PERVENUTO - Dopo una prima fase promettente, i quarti di finale sembrano tornare a confermare la tendenza verso il grigiore che si è fatto strada nel calcio degli ultimi anni. Fa eccezione la solita Francia, che rifila un poker di gol all’Irlanda del Nord, probabilmente ingiusto, per quanto visto in campo, ma nel quale gioca un ruolo fondamentale la stanchezza post-spareggio degli irlandesi. La Germania si limita a gestire la rete in apertura del solito Rahn, contro una Jugoslavia poco brillante che nulla può, opposta al pragmatismo dei tedeschi. Pochi problemi, a sorpresa, per la Svezia, che si aspettava maggiore opposizione
dall’URSS, probabilmente anch’essa stremata dopo lo spareggio. Le reti di Hamrin e Simonsson aprono e chiudono un match che non regala altre emozioni. Il Brasile, infine, che contro il sorprendente Galles, privo per di più del suo gigante John Charles, ci mette più di un’ora a sbloccare la parità. Per farlo, complice la giornata storta di Garrincha, serve un acuto di Pelé, alla sua seconda apparizione mondiale. Su torre di un compagno, stoppa e batte il portiere con un destro di controbalzo che si infila nell’angolino. È il suo primo gol iridato, ne verranno molti altri.
AVANTI I PIÙ FORTI - Le semifinali regalano lo spettacolo che era mancato nei quarti e premiano le squadre migliori. La Svezia parte all’assalto della Germania fin dai primi minuti, venendo però beffata da Schäfer. La replica è quasi immediata, con un diagonale preciso di Skoglund, servito perfettamente da Liedholm, che però si era aggiustato il pallone con un braccio. Nella ripresa, le reti di altri due “italiani”, Gren e Hamrin, portano gli scandinavi alla prima finale mondiale della loro storia. L’avversario sarà il Brasile, che contro una squadra “allegra” come la Francia può sfoderare tutto il suo potenziale offensivo. Vavá apre le marcature dopo due soli minuti, ma i francesi non stanno certo a guardare. Il pareggio arriva già al nono, con l’ennesimo centro di Fontaine, che non manca di infilare la porta brasiliana, come fatto con tutte le avversarie affrontate nel torneo. Dopo una doppia traversa colpita da Zagalo, col pallone che incoccia il legno una prima volta, rimbalza a terra e torna a colpirlo, i verdeoro tornano in vantaggio prima dell’intervallo con Didí. Complice la superiorità numerica per l’infortunio dello stopper francese Jonquet, la ripresa si trasforma in pura accademia, con Pelé a far la parte del protagonista. Tripletta in venti minuti, per lui, prima della seconda inutile marcatura dei galletti, di Piantoni. La Francia esce comunque a testa alta, andando poi a cogliere il terzo posto (che per 40 anni resterà il miglior piazzamento) con un 6-3 alla Germania, illuminato dal poker di Fontaine.
IL BRASILE, FINALMENTE! - La Svezia è padrona di casa, gioca un buon calcio, conta su campioni affermati, ma i favori del pronostico e il pubblico neutrale sono tutti dalla parte del Brasile chiamato, otto anni dopo la tragedia del Maracanã, a salire finalmente l’ultimo gradino per il paradiso. Eppure antichi fantasmi sembrano riemergere dal passato, quando Liedholm, al terzo minuto, fulmina Gilmar con una botta da fuori. Ma stavolta i brasiliani non ci tengono proprio a subire l’ennesima beffa. Bastano sei minuti per ristabilire la parità, al termine di un’azione che ha molto in comune col “Tiqui Taqua” del Barcellona odierno nelle sue giornate migliori. Corner corto di Zagalo per Didí, che smista subito verso Vavá. Questi non trova lo spazio per il tiro e allarga a destra per Zito, che vede lo scatto di Garrincha e lo serve. L’ala arriva sul fondo, nemmeno avvicinato dal terzino, e crossa basso a centro area dove Vavá è il più lesto di tutti a deviare in rete. Alla mezzora, ancora cross di Garrincha, ancora Vavá ad anticipare tutti e risultato ribaltato. La Svezia prova a reagire, ma si scontra con una difesa avversaria che finalmente sembra all’altezza dell’attacco. All’intervallo, dunque, la gara sembra ormai segnata. A mettere il sigillo ci pensa ovviamente Pelé. Stop di petto su cross da sinistra, sombrero ad un avversario e tocco sporco, senza far cadere la palla a terra, ma imparabile per il portiere. Segue poi la rete di Zagalo, che sfrutta un rimpallo, e quella di Simonsson. che attenua solo parzialmente il dispiacere del pubblico di casa. A calare il sipario ci pensa ancora Pelé, con un’altra perla. Serve di tacco Zagalo e per poi concludere il rapido triangolo senza lasciare scampo a Svensson. Non c’è nemmeno il tempo di riprendere il gioco. L’arbitro fischia la fine e il Brasile intero può finalmente gioire. La Seleção è sul tetto del mondo.
Edson Arantes di Nascimento “Pelé” - Impossibile spiegare Pelé in poche righe, quindi lascio il compito ai numeri. Oltre 1200 reti segnate,delle quali 95 in 101 presenze in nazionale. Tre titoli
mondiali vinti, più 2 Libertadores e 2 Intercontinentali con la maglia del Santos, la squadra della sua vita, con la quale vince 11 volte il campionato paulista, successi accompagnati da altrettanti titoli di capocannoniere. Chiuderà ai Cosmos di New York nel tentativo, poco riuscito per la verità, di far decollare il calcio negli Stati Uniti.
Stoccolma, 29 giugno 1958
Brasile: Gilmar, D.Santos, N.Santos, Zito, Bellini, Orlando, Garrincha, Didí, Vavá, Pelé, Zagalo. Svezia: Svensson, Bergmark, Axbom, Börjesson, Gustavsson, Parling, Hamrin, Gren, Simonsson, Liedholm, Skoglund.
Marcatori: 3’ Liedholm(S), 9’ Vavá(B), 32’ Vavá(B), 55’ Pelé(B), 68’ Zagalo(B), 80’
Simonsson(S), 90’ Pelé(B).
Un mondiale da far seguire a chi oggi parla di complotti. Le partite falsate non si contano, a cominciare da quelle dei padroni di casa, portati di peso in semifinale, anche a danno dell'Italia. Alla fine, comunque, vince meritatamente il Brasile, che dopo essersi sbloccato sembra non voler più mollare lo scettro.
POCHE SORPRESE – Il calcio europeo, colpito in casa dall’affermazione in Svezia del Brasile, prepara la rivincita in vista della successiva edizione, in programma in Cile. Nel 1959 prende il via il Campionato Europeo per nazioni, snobbato dalla maggior parte delle squadre principali e vinto, a Parigi, dall’URSS, davanti ad un esiguo numero di spettatori, che sembrano sancirne il precoce fallimento. I sovietici sono dunque una delle squadre favorite, alla vigilia. Oltre a loro la Germania Ovest e ovviamente i campioni in carica del Brasile. Nelle qualificazioni, invece, cade a sorpresa la Francia, semifinalista quattro anni prima. Ai galletti è fatale lo spareggio contro la Bulgaria, all’esordio. Allo spareggio si ferma anche la corsa della Svezia, vicecampione in carica, che ormai ha salutato la propria generazione d’oro e lascia strada alla Svizzera. Faticano anche Cecoslovacchia e Spagna. I primi vittoriosi solo ai supplementari con la Scozia, i secondi che hanno la meglio sul Marocco di misura. Questi mondiali, comunque, segnano un nuovo record di partecipanti, salite a cinquantasette, con molte africane al via, a simboleggiare l’ormai chiara universalità del calcio.
SI RIVEDE L’ITALIA – E l’Italia? Dopo l’umiliante eliminazione dall’edizione precedente, gli azzurri restano in una fase burrascosa. Le qualificazioni si rivelano una passeggiata, vista la rinuncia della Romania. L’unico ostacolo, se così si può definirlo, è Israele, battuto con un punteggio totale di dieci a due. Nel frattempo si avvicendano i commissari tecnici, tra i quali anche Herrera, che però dura poco, finendo poi per guidare la nazionale spagnola. Ai mondiali, dunque, sulla panchina si siede il presidente della SPAL, Mazza. Non è il modo migliore di preparare una manifestazione iridata e i risultati lo dimostreranno.
BOTTE A SANTIAGO – Gli azzurri, inseriti nel girone dei padroni di casa, fanno di tutto per complicarsi la vita, non aiutati da un clima di odio creato ad arte dalla stampa locale. All’esordio, pur schierandosi con gente del calibro di Rivera, Altafini e Sivori, si preferisce puntare su uno striminzito 0-0 contro la Germania Ovest. La gara coi cileni, dunque, diventa decisiva e si trasforma presto in una rissa che l’arbitro inglese Aston, l’inventore dei cartellini, decide di gestire a senso unico, punendo gli italiani al minimo fallo e permettendo ai sudamericani entrate da codice penale. Finiamo sotto di due uomini e di un gol e diamo l’addio anticipato al mondiale. Inutile la vittoria finale con la Svizzera. Negli altri gironi il Brasile si impone davanti a Cecoslovacchia e Spagna, pur perdendo Pelé proprio dopo la sfida coi boemi. Ad aiutarlo, nella decisiva vittoria sulla Spagna, ci pensa l’arbitro, annullando il raddoppio spagnolo, prima del ribaltone firmato da Amarildo, la riserva di O Rei. L’URSS si complica la vita con la Colombia, facendosi rimontare fino al 4-4 finale, ma alla fine vince il girone davanti alla Jugoslavia. L’Europa fa il pieno anche nell’ultimo raggruppamento, vinto dall’Ungheria, agli ultimi fuochi, davanti all’Inghilterra, che prevale sulla deludente Argentina per la differenza reti, grazie al 3-1 nello scontro diretto.
ESPLODE GARRINCHA – Privo del suo astro più luminoso, Pelé, il Brasile ha trovato in Amarildo un sostituto, se non alla pari, almeno in grado di rimpiazzarlo onorevolmente. L’accoppiamento dei quarti, contro la solida Inghilterra, però, sembra fatto apposta per mettere alla prova i campioni del mondo, apparsi fin qui decisamente meno incisivi di quattro anni prima. In effetti l’Inghilterra tiene un tempo, ma tutta la partita è un assolo di un unico fuoriclasse. Garrincha, infatti, decide che è il momento di prendersi sulle spalle la squadra e taglia ripetutamente a fette la
difesa avversaria. È un giorno difficile da dimenticare, per Wilson, il terzino sinistro inglese. Il risultato finale parla chiaro: 3-1 per i verdeoro, con doppietta di Garrincha e sigillo di Vavá su assist sempre dello scatenato “Mané”. L’Ungheria, sorpresa della prima fase, vive un’altra delusione, beffata dalla Cecoslovacchia dopo aver dominato a lungo, frenata soprattutto dalle parate del portiere Schrojf. Il gol partita è di Scherer, in contropiede. Cade la Germania, superata nel finale dalla Jugoslavia, con un gol del mediano Radakovic, mentre il Cile continua a farsi strada a “spinte”. Contro la favorita URSS non sembra esserci storia, se non fosse che il portiere Jascin viene colpito a tradimento nei minuti iniziali e, costretto a restare in campo, subisce due gol evitabilissimi. Cislenko riesce solo a pareggiare il primo e i padroni di casa festeggiano un traguardo nemmeno immaginato, alla vigilia. Il Sudamerica festeggia. Le due formazioni locali qualificate ai quarti resistono e riequilibrano la situazione.
FINISCE IL SOGNO CILENO – I due derby di semifinale regalano la certezza di una finalissima intercontinentale e fanno sì che la cavalcata del Cile termini onorevolmente, al cospetto dei campioni in carica. Lo stadio Nacional di Santiago è un catino ribollente di passione, ma il Brasile, e soprattutto Garrincha, non si fanno intimorire. Alla mezzora, infatti, il “passero” ha già colpito due volte. I cileni, che sembrano incapaci di reagire, si svegliano allo scadere grazie ad una splendida punizione di Toro, che riapre la gara. Nella ripresa l’arbitro da una mano ai giocatori di casa, non assegnando un rigore a Garrincha, ma ci pensa Vavá a riportare a due i gol di vantaggio. Un rigore generoso, trasformato da Sánchez, riaccende l’entusiasmo, ma è l’ultima illusione, perché ancora Vavá chiude i conti. Almeno per quanto riguarda il risultato, perché nei minuti finali Garrincha è fatto oggetto di una caccia all’uomo che si conclude con l’espulsione del killer Landa e dello stesso esterno destro, per reazione. Mentre esce dal campo, per di più, viene colpito da un sasso lanciato dagli spalti, che gli causa una ferita alla testa, ma la ferita più grave sembra essere l’impossibilità a giocare la finale. Sembra, però. A Viña del Mar, intanto, la Cecoslovacchia mette a frutto la sua maggiore tenuta atletica per avere la meglio sulla più tecnica Jugoslavia. Jerkovic, capocannoniere del torneo, riesce solo ad annullare il primo vantaggio, ma la doppietta di Scherer nel finale risulta fatale. All’atto conclusivo, dunque, si ritrovano Brasile e Cecoslovacchia, già affrontatesi nella prima fase, in una gara terminata a reti bianche.
IL BIS DEL BRASILE – Dal punto di vista tecnico la finale sembra una gara senza storia, ma solo otto anni prima la Germania aveva dimostrato che al termine di un torneo intenso come il mondiale le energie fisiche possono colmare il gap. Ed in effetti la Cecoslovacchia è sembrata in crescendo, capace di battere due formazioni superiori come Ungheria e Jugoslavia. Il Brasile, dal canto suo, rinuncia ancora a Pelé, che chiedeva a gran voce di giocare, ma recupera incredibilmente Garrincha, espulso in semifinale. Grazie a pressioni politiche, infatti, il governo brasiliano finisce per convincere i boemi a chiedere pubblicamente che Garrincha potesse essere in campo. Un modo come un altro per rendere ulteriormente poco credibile il torneo cileno.
Nei primi minuti di gara, comunque, la Cecoslovacchia sembra talmente padrona del campo da rendere il bel gesto ininfluente. In effetti Garrincha finirà per incidere poco sul risultato, ben controllato dal terzino sinistro Novak. La partenza all’assalto degli avversari coglie di sorpresa i brasiliani, che al quarto d’ora si ritrovano sotto di un gol. Lo firma Masopust, futuro Pallone d’oro, con un rasoterra ravvicinato che non lascia scampo a Gilmar. A far svanire il sogno dell’impresa ci pensa Amarildo, degno sostituto del re Pelé, con un diagonale dalla linea di fondo che trova impreparato il fin qui impeccabile Schrojf. La svolta arriva a metà ripresa. Cross dalla sinistra di un incontenibile Amarildo e colpo di testa vincente del mediano Zito, complice la mancata uscita del portiere boemo. A questo punto per il Brasile la strada è in discesa e prima del traguardo c’è pure il tempo per il terzo gol, a firma del solito Vavá, che ribadisce in rete un pallone sfuggito alla presa di uno Schrojf ormai in confusione. Un mondiale pieno di polemiche e di gioco violento si conclude col successo del Brasile meno spettacolare di sempre. Quanto basta per il bis, comunque, e per eguagliare l’Italia, unica ad aver vinto due edizioni di seguito.
Manoel dos Santos Francisco “Garrincha” – Condizionato fin dall’infanzia da una malformazione fisica che lo costringe alla zoppìa, il piccolo Manè, invece di rassegnarsi ad una vita di stenti, riesce a sfruttare la propria debolezza per diventare il miglior dribblatore della storia del calcio. Il soprannome di “Garrincha”, un piccolo uccello tropicale, arriva come conseguenza inevitabile, per quello scricciolo che con la maglia del Botafogo sale alla ribalta internazionale conquistandosi la nazionale. Presente già nel 1958, il “suo” mondiale è però quello cileno, nel quale in assenza di Pelé si trasforma in uomo simbolo della squadra. Sarà presente anche quattro anni dopo, ma ormai in fase discendente, complice una relazione extraconiugale che lo porterà a perdere tutte le ricchezze accumulate col suo talento e a cadere preda del demone dell’alcol. Fino alla morte, arrivata nel 1983 a 50 anni.
Santiago, 17 giugno 1962
Brasile: Gilmar, D.Santos, N.Santos, Zito, Mauro, Zózimo, Garrincha, Didí, Vavá, Amarildo, Zagalo.
Cecoslovacchia: Schrojf, Tichy, Novak, Pluskal, Popluhar, Masopust, Pospichal, Scherer, Kvasnak, Kandraba, Jelinek.
Marcatori: 15’ Masopust(C), 17’ Amarildo(B), 68’ Zito(B), 77’ Vavá(B).
Finalmente tocca all'Inghilterra organizzare i mondiali, e finalmente, dopo le delusioni delle passate edizioni, la nazionale dei tre leoni riesce a portare a casa il titolo mondiale. È un successo di squadra, costruito sulla solidità piuttosto che sulle invenzioni di un singolo. Ed è un successo macchiato da qualche aiuto arbitrale di troppo, ma questo sta ormai diventando un'abitudine.
IL CALCIO TORNA A CASA – La doppietta brasiliana risveglia l’orgoglio delle squadre europee, e l’occasione del mondiale in terra inglese è l’ideale, per ristabilire l’equilibrio delle forze. È l’ideale soprattutto perché l’Inghilterra riesca finalmente a raccogliere qualcosa sul campo, dopo che la pretesa superiorità degli inizi del secolo è andata via via scemando con alcune figuracce “mondiali”. Per l’occasione, la F.A. da il ben servito a Winterbottom, in panchina dalla fine della guerra, sostituendolo col tecnico dell’Ipswich, Alf Ramsey. Ramsey è un tipo alla Capello (e chi ama i corsi e ricorsi storici prenda nota). Duro, inflessibile, non fa sconti a nessuno e costruisce una squadra che lascia poco spazio alla fantasia e molto alla forza fisica. La luce la accendono Bobby Charlton e Bobby Moore, mentre al resto ci pensano i muscoli di Peters e Ball, oltre al ringhio di Nobby Stiles, un Gattuso dall’aspetto inquietante. Per capire che tipo sia Ramsey basta un episodio. Il giorno dopo la finale vinta, due giornalisti lo avvicinano salutandolo calorosamente e gridando “Ce l’abbiamo fatta!”. La risposta, secca, prima di voltare le spalle, è: “È il mio giorno libero. Non ho nulla da dirvi”.
OTTIMISMO ITALIANO – L’Italia, dopo il fallimento cileno, è ripartita da Edmondo Fabbri, l’emergente tecnico che ha portato in A il Mantova a forza di bel gioco. Lo aiuta il fatto che i club di casa nostra stanno dominando l’Europa, con Milan e Inter che vincono tre Coppe dei Campioni di seguito, mentre in campionato si mette in luce il bel Bologna di Bernardini. L’ottimo inizio, con la vittoria in Austria, e le tranquille qualificazioni, fanno passare in secondo piano l’uscita dall’Europeo contro la forte URSS, futura finalista. Nessuno può immaginare cosa ci aspetti nella nebbia inglese. Oltre ai sovietici, le altre squadre favorite sono la Spagna di Suarez, campione continentale, e la giovane Ungheria, reduce dall’oro olimpico di Tokyo. Poi, ovviamente, il Brasile, anche se un po’ logoro e la solita Germania Ovest, che raramente tradisce le attese. A sorpresa, invece, escono di scena Cecoslovacchia e Jugoslavia, seconda e quarta in Cile.
INCUBO COREANO – Il mondiale inizia con un pareggio a sorpresa dei padroni di casa, costretti allo zero a zero dal solito ostico Uruguay. Alla fine, comunque, passeranno entrambe senza problemi, complice la pochezza tecnica di Francia e Messico. Gli inglesi hanno l’unica difesa imbattuta della prima fase. Lo rimarrà fino alla semifinale, altro segnale del tipo di squadra messa in campo da Ramsey. Nel secondo gruppo cade a sorpresa la Spagna, anche se Germania e Argentina sono avversarie di nome e destano una buona impressione. Soprattutto i tedeschi, guidati a centrocampo dal giovane Beckenbauer e con un Haller ispirato come non mai in zona gol. Le maggiori sorprese arrivano comunque dagli altri due raggruppamenti. Nel terzo cadono i bicampioni brasiliani, che nella gara iniziale battono la Bulgaria ma perdono Pelé per infortunio, cedendo dunque sia all’Ungheria che al sorprendente Portogallo di Eusebio, primo a punteggio pieno.
L’Italia, infine, inserita in un girone che sembra abbordabile, parte bene vendicandosi del Cile con un secco due a zero. Ma a questo punto Fabbri inizia a collezionare errori. Con i sovietici gioca per non prenderle, puntando apertamente sul pareggio che vorrebbe dire qualificazione, e venendo beffato da Cislenko nella ripresa. Nonostante tutto, basterebbe non perdere contro la modesta Corea del Nord, ma a Middlesbrough va in scena quella che è forse la giornata più nera del calcio azzurro. Bulgarelli, in campo nonostante sia acciaccato, è costretto ad uscire dopo qualche minuto. In dieci, gli italiani si impauriscono fino a venire infilati già prima dell’intervallo da Pak Doo-Ik, un nome
che è ormai leggenda. La Corea va dunque ai quarti, prima squadra asiatica a riuscirci, un traguardo che verrà migliorato solo nel nuovo millennio dai vicini del sud. Sull’Italia, invece, al ritorno a casa, piovono ortaggi e uova marce.
VENDETTA EUROPEA – Se sui campi cileni, quattro anni prima, gli arbitri avevano sistematicamente aiutato le formazioni sudamericane, ai quarti di finale va il compito di ripagare le europee con gli interessi. Argentina e Uruguay, abbinate a Inghilterra e Germania, hanno parecchio da recriminare. Gli argentini perdono il loro capitano Rattin, espulso dopo mezzora, e capitolano solo per una rete in fuorigioco di Hurst. La Celeste, invece, si vede negare un rigore a inizio gara e poi resta in nove in seguito alle proteste per il vantaggio tedesco. Per Beckenbauer e compagni è poi un gioco da ragazzi chiudere con un sonante quattro a zero. Mentre la più solida URSS ha la meglio contro la solita inconcludente Ungheria, a Liverpool si affrontano le due maggiori sorprese della prima fase. Portogallo e Corea del Nord sono entrambe all’esordio in una fase finale, ma i portoghesi sono abituati da anni ai palcoscenici internazionali, grazie al Benfica campione d’Europa di Eusebio, Pallone d’oro in carica. Come già successo all’Italia, però, i lusitani prendono l’impegno alla leggera e rischiano una figuraccia epocale. I coreani, infatti, partono a razzo e al ventiquattresimo sono già sul tre a zero. A questo punto deve pensarci Eusebio, con un poker che ribalta la situazione, anche grazie all’aiuto di due calci di rigore dubbi. A José Augusto, poi, il compito di sigillare il punteggio sul pirotecnico 5-3 e di sancire il dominio europeo sul torneo, con quattro semifinaliste su quattro.
LE GRANDI IN FINALE – Non è solo il trionfo del calcio europeo, ma anche di quello atletico, quasi ad anticipare la rivoluzione olandese del decennio successivo. L’unica rappresentante del calcio latino è il Portogallo, opposto ai padroni di casa. Gli inglesi, che fin qui avevano destato non pochi dubbi, giocano la miglior partita del loro torneo. Ramsey decide di piazzare il mastino Nobby Stiles a guardia di Eusebio, di fatto troncando la fonte del gioco lusitano. La gara, di conseguenza, scorre senza particolari sussulti. Bobby Charlton la comanda e la illumina con una rete per tempo, mentre il fuoriclasse portoghese si deve accontentare del rigore che, nel finale, gli permette di mettere al sicuro il titolo di capocannoniere del torneo. Il giorno prima, a Liverpool, l’arbitro italiano Lo Bello aveva diretto una gara che, usando un eufemismo, si potrebbe definire “combattuta”. Già dai primi minuti era apparso chiaro che se avesse usato il pugno di ferro, metà dei giocatori non avrebbe finito l’incontro. Inevitabile, dunque, la decisione di chiudere più di un occhio. Haller porta avanti la Germania a fine primo tempo, dopo che Schnellinger aveva quasi troncato le gambe a Cislenko per rubargli palla. Il capitano sovietico si vendica poco dopo su un avversario, guadagnandosi così il cartellino rosso. In pratica, la gara finisce qui. Beckenbauer raddoppia nella ripresa e l’URSS può solo accorciare, a due minuti dal termine.
IL FANTASMA DI WEMBLEY – La finale è dunque la gara più attesa, oltre che significativa. A 20 anni dalla fine della guerra, infatti, di fronte si trovano due Paesi che si erano furiosamente contrapposti per tutta la durata del conflitto. Per l’Inghilterra è un’occasione unica, di fronte alla regina, di riconquistare quel primato ormai perduto, dopo le precedenti deludenti partecipazioni. Anche per questo i rossi (per dovere di ospitalità) partono alla carica, scontrandosi però contro la solida difesa tedesca. E al dodicesimo, invece, si conferma la tradizione che nel dopoguerra ha visto segnare sempre per primi coloro che poi non vinceranno la coppa. Haller, infatti, raccoglie una respinta della difesa avversaria e batte Banks con un esterno destro nell’angolino. È il sesto centro per lui, che gli vale il secondo posto nella classifica marcatori, alle spalle dell’irraggiungibile Eusebio, a segno anche nella vittoriosa finalina contro l’URSS. Passano solo sei minuti e una punizione di Moore trova la testa di Hurst, lasciato colpevolmente solo in area, che incorna per il pareggio.
Passata la paura, il ritmo degli inglesi cala e la gara si trascina stancamente fino alla fine, senza che nessuna delle due squadre riesca a creare dei seri pericoli. Al 78°, però, un tiro di Hurst viene
svirgolato da un difensore e termina tra i piedi del mediano Peters. A questi basta poi un semplice tocco di piatto per mettere fuori causa Tilkowski. Adesso l’arrembaggio è tedesco, con l’Inghilterra tutta a difesa della propria porta. Sembra ormai fatta, quando all’ultimo minuto Held rimette al centro dalla sinistra, dopo una respinta goffa di Cohen. La palla attraversa tutto lo specchio della porta, con un’incredibile serie di interventi mancati che disorienta Banks. Proprio in fondo, però, appostato sul secondo palo, spunta Weber, che si getta in scivolata e pareggia.
Wembley cade nel silenzio, ma la rabbia dura fino al decimo del primo tempo supplementare, quando il mondiale si decide con un episodio che fa ancora discutere. Fuga di Ball sulla destra e appoggio per Hurst in mezzo all’area. Il centravanti del West Ham fa partire un bolide che incoccia contro la faccia inferiore della traversa e rimbalza sulla linea. Ancora oggi non è possibile stabilire se tocchi terra al di qua o al di là della linea, anche se la prima ipotesi sembra quella più valida. Il guardalinee, interpellato dall’arbitro, decide infine per il gol. Per la Germania è una mazzata dalla quale è impossibile riprendersi e infatti manca la reazione. Anzi, allo scadere Hurst diventa il primo giocatore a segnare una tripletta in una finale, concludendo a rete un’azione di contropiede. Gli inventori del football moderno, dunque, possono finalmente fregiarsi del titolo di campioni del mondo.
Robert Charlton – La vittoria inglese è un successo di squadra, prima che dei singoli, ma il capitano del Manchester United ha indiscutibilmente il ruolo di leader tecnico, mentre quello di leader carismatico spetta a Bobby Moore. Giovane promessa dei Red Devils, a 20 anni è coinvolto nella tragedia di Monaco, che decima la squadra durante una trasferta di Coppa dei Campioni. Si riprende rapidamente dallo shock, tanto da esordire in nazionale pochi mesi dopo. Con lo United vince la FA Cup nel 1963 e i campionati del 1965 e del 1967, prologo per l’affermazione in Coppa dei Campioni dell’anno dopo, la prima di un club inglese. Giocherà coi tre leoni sul petto fino al mondiale del 1970, uscendo di scena, inconsapevolmente, durante la gara con la Germania. Sostituito sul 2-0 per i suoi, infatti, vedrà dalla panchina la rimonta vincente dei tedeschi.
Londra, 30 luglio 1966
Inghilterra: Banks, Cohen, Wilson, Stiles, J.Charlton, Moore, Ball, Hurst, R.Charlton, Hunt, Peters.
Germania Ovest: Tilkowski, Höttges, Schnellinger, Beckenbauer, Schulz, Weber, Haller, Seeler, Held, Overath, Emmerich.
Marcatori: 12’ Haller(G), 18’ Hurst(I), 78’ Peters(I), 90’ Weber(G), 101’ Hurst(I), 120’ Hurst(I).
Quando alle semifinali del mondiale messicano arrivano le tre squadre che hanno vinto il titolo per due volte, appare evidente come la Coppa Rimet, la “vittoria alata”, stia per trovare il padrone definitivo. Alla fine la spunta il Brasile dei cinque numeri 10. Il Brasile di Pelé, primo e finora unico giocatore ad aver vinto tre mondiali.
RINASCIMENTO ITALIANO – La traumatica uscita di scena dal mondiale inglese, per opera dei dilettanti coreani, ha due effetti immediati sul calcio italiano. Il primo è la chiusura delle frontiere, per favorire l’utilizzo dei calciatori italiani. Saranno riaperte quindici anni dopo. Il secondo è l’inevitabile addio di Fabbri e l’arrivo di Valcareggi, il suo vice, alla guida della nazionale. Il nuovo
C.T. si affida al blocco interista, rinunciando ai bolognesi, compreso quel Bulgarelli che continua ad essere il miglior regista del campionato. La tattica è quella difesa a oltranza, con contropiede annesso, che ancora ci perseguita nel giudizio che del nostro calcio danno all’estero. Un tipo di calcio criticabile, ma che indubbiamente è di successo, visto che è quello praticato dalla Grande Inter di Herrera. La conferma arriva agli Europei del 1968, disputati in Italia e vinti non senza l’apporto fondamentale della dea bendata. Semifinale vinta grazie alla scelta della monetina e finale riacciuffata all’ultimo, dopo 90 minuti in affanno . La ripetizione vinta con merito e la coppa alzata al cielo da Facchetti fanno passare tutto il resto in secondo piano. Dopo il facile passaggio delle qualificazioni, dunque, l’Italia si ripresenta al mondiale da protagonista.
UN BRASILE EPOCALE – Alla fase finale, affidata al Messico due anni dopo le Olimpiadi disputate nella sua capitale, il ruolo di massimo favorito spetta comunque al Brasile. Usciti anch’essi con le ossa rotte dal torneo inglese, i verdeoro si ripresentano con una formazione inaudita. A Pelé e al suo erede designato Tostão, Zagalo decide di aggiungere Jairzinho a destra, Gerson in appoggio e Rivelino a sinistra. Cinque giocatori che nei loro club indossano il numero 10. Il roster delle partecipanti manca di due protagoniste attese: il Portogallo, terzo in Inghilterra, e la Jugoslavia, sfortunata vicecampione d’Europa. Ma soprattutto manca dell’Argentina, che dopo aver visto preferito il Messico nel ruolo di organizzatore, cede clamorosamente, nelle qualificazioni, al Perù allenato da Didí. Il compito di dar fastidio ai brasiliani nella ricerca del loro terzo alloro, dunque, spetta, oltre che all’Italia, all’Inghilterra campione in carica, alla sempre presente Germania Ovest e all’Uruguay, campione sudamericano in carica. Novità assoluta di questa edizione è la possibilità di effettuare due sostituzioni. L’Italia, che ne avrebbe avuto bisogno quattro anni prima, sarà quella che meglio di tutti saprà approfittarne. Vedremo come.
PRIMO TURNO SOPORIFERO – Già dalla gara inaugurale si capisce che non sarà un torneo spettacolare, complice anche l’altura che influisce sulle prestazioni atletiche. L’URSS si limita ad un pari senza reti con i padroni di casa, utile ad entrambe le squadre per passare il turno a braccetto, a scapito di Belgio ed El Salvador la cui qualificazione, ai danni dell’Honduras, aveva addirittura fatto scoppiare un conflitto armato tra i due paesi. Senza problemi anche Brasile e Inghilterra, coi brasiliani che si impongono nello scontro diretto grazie ad un Jairzinho in stato di grazia. È la gara di quella che è stata votata come la parata del secolo, di Banks su colpo di testa di Pelé. Solo un ruolo da comprimarie per Romania e Cecoslovacchia. Tutto facile per la Germania, seguita dal Perù migliore di sempre, con Bulgaria e Marocco impotenti. I tedeschi hanno il miglior attacco della prima fase, grazie ad un tale Gerd Muller, capace di segnare sette gol in tre partite!
Tutto all’opposto per l’Italia, invece, che vince di misura all’esordio con la Svezia, pareggiando poi a reti inviolate le altre due gare, con Uruguay e Israele. La Celeste ci accompagna ai quarti di finale, ma nel ritiro azzurro divampano le polemiche. Rivera viene escluso dall’undici titolare dopo una dichiarazione polemica per l’esclusione dai convocati dell’amico Lodetti. Riva gioca a mezzo
servizio, perché non al meglio per questioni fisiche e psicologiche. In tutto questo, il primo posto nel girone con la difesa imbattuta può essere considerato un gran bel risultato.
L’ITALIA ALL’IMPROVVISO – L’accoppiamento dei quarti di finale ci vede opposti ai padroni di casa. Sul piano tecnico non c’è confronto, ma il fattore campo fa paura, tanto più che i messicani hanno passato il turno anche grazie ad un rigore regalato contro il Belgio. Il gol di Gonzalez al tredicesimo suona come un De Profundis per gli azzurri. La fortuna ci viene in aiuto su un tiro di Domenghini deviato nella propria porta da un difensore. Nella ripresa Valcareggi vara quella che sarà ricordata per sempre come la “staffetta”, tra i due grandi rivali. Esce Mazzola ed entra Rivera. Il milanista, contro avversari che cominciano a patire la stanchezza, può orchestrare da par suo le azioni dei suoi. Ne nascono due reti del rinato Riva e una firmata da lui stesso. Siamo in semifinale, trentadue anni dopo l’ultima volta. Decisamente meno spettacolo tra Uruguay e URSS, gara decisa a tre minuti dalla fine dei supplementari, a favore dei sudamericani, con una rete contestata dai sovietici. Il Perù lotta orgogliosamente contro la corazzata brasiliana, provando a rispondere colpo su colpo. Alla fine, però, la superiorità tecnica dei verdeoro ha la meglio e finisce 4-2. Infine, la Germania si vendica dell’Inghilterra quattro anni dopo la sconfitta di Wembley. Inglesi avanti due a zero a inizio ripresa. Quando esce il leader Bobby Charlton, Beckenbauer ha appena accorciato le distanze. Il capitano del Manchester United non può sapere che quella sarà la sua ultima apparizione in maglia bianca. I tedeschi, infatti, crescono alla distanza, fino a pareggiare con Seeler e trovare il gol del clamoroso sorpasso nel secondo tempo supplementare, col solito Muller.
LA LEGGENDA DELL’AZTECA – Sette titoli mondiali. È questo quello che mettono in campo le quattro semifinaliste, tre delle quali, Brasile, Italia e Uruguay, puntano al tris che equivarrebbe a far loro definitivamente la Coppa Rimet. Il caso garantisce una finale intercontinentale, visto che le semifinali si giocano tra squadre della stessa area geografica. L’Uruguay, forte del suo gioco utilitaristico, con sole tre reti segnate in quattro gare, mette in crisi l’attacco atomico dei brasiliani per tutto il primo tempo. Al ventesimo Cubilla porta in vantaggio la Celeste e solo allo scadere, dopo una serie infinita di assalti alla porta avversaria, Clodoaldo riesce ad agguantare il pareggio, facendo svanire l’incubo di una nuova beffa come quella del 1950. Nella ripresa l’Uruguay risente delle fatiche dei supplementari contro l’URSS e prima Jairzinho e poi Rivelino mandano in finale il Brasile. Nel frattempo, allo stadio Azteca di Città del Messico, Italia e Germania Ovest danno vita a quella che sarà definita come la “Partita del secolo”. La Germania è ormai quella che si avvia a dominare la scena internazionale nei quattro anni seguenti e gioca col favore del pubblico, perché gli azzurri hanno la colpa di aver eliminato i padroni di casa. I novanta minuti regolamentari, in realtà, di epico hanno ben poco, tranne nel finale. La rete iniziale di Boninsegna, infatti, sembrava ormai essere sufficiente a portare gli italiani all’atto conclusivo, ma all’ultimo assalto Schnellinger, che giocava nel Milan, riesce a pareggiare i conti in mischia. Sembra che stavolta la staffetta tra Mazzola e Rivera sia stata controproducente, ma nei supplementari va in onda la mezzora più spettacolare mai vista in una gara “mondiale”. Germania subito avanti con Muller e presto raggiunta da un colpo a sorpresa di Burgnich. Riva ci illude, ma nel secondo supplementare Muller colpisce ancora, con Rivera che, appostato sul palo, non riesce a intercettarne il tiro. Lo stesso Rivera, inseguito dall’ira del portiere Albertosi, si lancia in avanti e batte Maier con un piattone in controtempo che è ormai un’icona, più che un gol. In Italia esplode l’entusiasmo per la terza finale della storia azzurra, ma il dispendio di energie ci costerà troppo caro, come vedremo.
PELÉ SI PRENDE LA RIMET – Dopo che la Germania conquista il terzo posto imponendosi di misura sull’Uruguay, Brasile e Italia si presentano all’Azteca con la Coppa Rimet in palio, stavolta in modo definitivo. Chi vincerà, infatti, farà sua per sempre la “Vittoria Alata”, un trofeo che ormai da 40 anni fa sognare gli appassionati di calcio di tutto il pianeta. Naturalmente l’Italia vi arriva nel pieno delle polemiche. L’opinione pubblica vuole Rivera in campo fin dall’inizio, mentre Valcareggi è intenzionato a confermare l’undici di partenza, spaventato dal calo fisico del secondo
tempo contro i tedeschi. Decisamente più tranquillo Zagalo, che con i suoi cinque numero 10 ha finora dominato contro qualunque avversario. Fin dai primi minuti, il canovaccio della gara è fin troppo chiaro, coi brasiliani a macinare gioco e gli azzurri a colpire di rimessa. Al 18°, su cross dalla sinistra, Pelé si alza letteralmente in cielo, sovrastando Burgnich e battendo Albertosi. Il colpo minaccia di essere fatale, e invece l’Italia resta compatta, trovando il pareggio venti minuti dopo, quando Everaldo sbaglia un disimpegno e Boninsegna, anticipando pure il compagno d’attacco Riva, lo punisce infilando Felix. Nella ripresa ci si aspetta l’ingresso in campo di Rivera, ma Valcareggi mantiene in campo Mazzola, più adatto in copertura. Una mossa che scatenerà le polemiche, anche perché le fatiche della semifinale cominciano a farsi sentire e il Brasile finisce per dilagare. Vanno a segno Gérson e Jairzinho, prima del sigillo conclusivo di Carlos Alberto, a quattro minuti dal termine. In quel momento era in campo anche Rivera, buttato nella mischia due minuti prima per partecipare ad una sconfitta che non gli appartiene. Mentre Pelé alza al cielo la sua terza Rimet, quindi, in Italia esplodono le polemiche, tanto che al ritorno in patria, gli azzurri saranno accolti da una folla inferocita, dimentica del grande risultato ottenuto.
Jair Ventura Filho “Jairzinho” – È il numero 10 del Botafogo, impiegato come ala destra da Zagalo. Nonostante tutto, riesce ad andare a segno in tutte le partite disputate, diventando il capocannoniere dei verdeoro, secondo solo a Gerd Muller nella classifica generale. Pensare che dopo essere stato nominato come erede di Garrincha, sia nel club che in nazionale, perse il posto pochi mesi prima del mondiale, salvo riconquistarlo in extremis. Gioco anche l’edizione successiva, prima di tentare con scarsa fortuna l’avventura europea, a Marsiglia. Tornato in patria, al Cruzeiro, conquistò la Coppa Libertadores segnando undici reti in tredici partite.
Città del Messico, 21 giugno 1970
Brasile: Felix, Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Brito, Piazza, Jairzinho, Gérson, Tostão, Pelé, Rivelino.
Italia: Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini (73’ Juliano), Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna (84’ Rivera), De Sisti, Riva.
Marcatori: 18’ Pelé(B), 37’ Boninsegna(I), 65’ Gérson(B), 70’ Jairzinho(B), 86’ Carlos Alberto(B).
Finita l’epopea della Coppa Rimet, assegnata definitivamente al Brasile, il calcio entra nell’era moderna col mondiale disputato in Germania Ovest e vinto dai padroni di casa. Come 20 anni prima, i tedeschi hanno la meglio sulla squadra favorita della vigilia, una nazionale che a livelli così eccelsi non era mai giunta, l’Olanda.
PUNTO DI SVOLTA – I primi quattro anni del nuovo decennio segnano una decisa svolta nel modo di intendere lo sport in genere e il calcio in particolare. Alle Olimpiadi di Monaco del 1972 desta sensazione l’assalto di alcuni guerriglieri palestinesi, che prendono in ostaggio atleti israeliani. Un’azione che termina nel modo più tragico, con la morte di undici atleti, 2 agenti e dei cinque terroristi. Lo shock fa capire come gli avvenimenti sportivi siano ormai casse di risonanza di livello mondiale (qualcosa era già successo in Messico nel 1968) e le autorità tedesche, in occasione del mondiale di due anni dopo, sono decise a non far ripetere un simile evento. Sarà il torneo della sicurezza, con guardie ad ogni angolo e atleti sorvegliati 24 ore su 24. Altra novità, non di poco conto, è l’esordio di un nuovo trofeo destinato a premiare i vincitori. Assegnata al Brasile la Coppa Rimet, la Fifa sceglie il disegno dell’orafo italiano Silvio Gazzaniga. Due atleti festanti che reggono sulle spalle un globo terrestre. Diventerà presto un’icona inconfondibile. Sul piano prettamente sportivo, la novità maggiore è l’avvento del calcio atletico, a dispetto di quello più tecnico degli anni Sessanta. Portabandiera ne è l’Olanda. A livello di club ha dominato la Coppa dei Campioni con l’Ajax per tre anni consecutivi, prima che Cruijff lo lasciasse per il Barcellona. A livello di nazionale, invece, non ha replicato, deludendo all’Europeo del 1972 e faticando a qualificarsi al mondiale contro i cugini del Belgio, superati solo per la differenza reti. Restano comunque i grandi favoriti, alla pari dei padroni di casa tedeschi, che invece l’Europeo l’hanno vinto e che col Bayern Monaco hanno preso il testimone dall’Ajax in Coppa dei Campioni. Non mancano, invece, le assenze a sorpresa. A partire dall’Inghilterra, fermata a Wembley dalla Polonia e, soprattutto, dal portiere Tomaszewski, che para l’imparabile. Non c’è nemmeno l’URSS, che si rifiuta di andare a giocare lo spareggio contro il Cile del generale Pinochet. Come detto va fuori il Belgio, che all’Europeo era giunto terzo, e con lui Spagna, Portogallo e Cecoslovacchia, tutte in un periodo di involuzione dopo i fasti degli anni precedenti.
IL RECORD DI ZOFF – L’Italia è vicecampione del mondo, quindi un ruolo da protagonista le spetta di diritto. Gli azzurri iniziano male il quadriennio, uscendo ai quarti dall’Europeo per mano del Belgio, ma subito dopo iniziano un lungo periodo di imbattibilità. La porta di Zoff resta inviolata dal settembre del 1972 fino all’inizio del torneo iridato. Nel mezzo, la facile qualificazione contro Turchia e Svizzera e alcuni risultati di rilievo in amichevole. Ad accendere l’entusiasmo sono due 2-0 contro Brasile e Inghilterra, ma soprattutto il successo per 1-0 a Wembley, prima storica affermazione oltremanica. Una vittoria firmata da Capello e conservata da uno Zoff letteralmente insuperabile. Tutto questo fa perdere di vista al CT Valcareggi un fatto importante. Gli eroi “messicani” sono ormai logori e non possono competere col calcio atletico che ormai domina a livello internazionale. Se ne accorgerà, purtroppo, quando sarà troppo tardi.
DELUSIONE AZZURRA – Il primo turno regala una sola sorpresa, e purtroppo per noi ci riguarda da vicino. L’Italia esordisce a Monaco contro Haiti, classico antipasto da mangiare in un boccone prima di affrontare le più ostiche Argentina e Polonia. Il primo tempo si chiude sullo 0-0, tra lo sconcerto generale, ma il peggio arriva a inizio ripresa, quando il carneade Sanon approfitta di una difesa troppo sicura di sé per interrompere il record di imbattibilità di Zoff. Sei minuti dopo, Rivera scaccia l’incubo di una nuova Corea, mentre Benetti e Anastasi hanno il compito di firmare una vittoria che non fa sorridere nessuno. Nel frattempo la Polonia irrompe nel mondiale superando l’Argentina ben più nettamente di quanto dica il 3-2 finale e sommergendo gli haitiani sotto sette
gol. Gli azzurri continuano a faticare anche contro l’Argentina, che va presto in vantaggio, venendo raggiunta solo su autogol. Il 4-1 dei sudamericani ad Haiti costringe i nostri a dover cercare almeno un pareggio con i polacchi che però, lungi dal concedercelo, dominano il primo tempo andando sul 2-0, prima che Capello sigli l’illusoria rete che accorcia le distanze e che non basta ad evitare il repentino ritorno a casa.
Il torneo viene inaugurato dal Brasile, che è orfano di Pelé, e si vede. Due 0-0 con Jugoslavia e Scozia accendono le polemiche, non certo sopite dopo il 3-0 al malcapitato Zaire, che ne aveva presi ben nove dagli slavi, vincitori del girone. A salvare i brasiliani è la differenza reti, visto che la Scozia non va oltre il 2-0 con gli africani. Anche la Germania Ovest padrona di casa desta qualche perplessità. Battuto di misura il Cile, e fatto il suo dovere contro l’esordiente Australia con un 3-0, Beckenbauer e compagni vengono sorprendentemente sconfitti dai cugini della DDR. Una vittoria epocale per la Germania Est, alla sua unica partecipazione ad un mondiale. Una vittoria che alla prova dei fatti fa il gioco degli sconfitti, che col secondo posto evitano l’Olanda nel secondo turno. Si, perché da questa edizione la formula è cambiata e le prime due di ogni girone vanno a formare due ulteriori raggruppamenti, destinati a stabilire le due finaliste. E visto che l’Olanda è la grande favorita insieme ai tedeschi è bene evitare di scontrarsi prima del dovuto. Gli orange vincono il loro girone senza troppi patemi, battendo Uruguay e Bulgaria e limitandosi allo 0-0 contro l’ottima Svezia, damigella d’onore.
MAREA ARANCIONE – Il torneo ha fin qui sancito il predominio del calcio atletico su quello più tecnico. Delle otto che hanno passato il turno, solo Brasile, Argentina e Jugoslavia fanno parte della seconda categoria. La Jugoslavia, inserita nel girone con Germania Ovest, Polonia e Svezia, fa da vaso di coccio tra vasi di vetro. Tre sconfitte in serie, in un girone dominato da tedeschi e polacchi, che si giocano la qualificazione all’ultima gara. I padroni di casa sono comunque scossi da polemiche interne, che portano alla definitiva esclusione di Netzer, inviso a Beckenbauer, a favore del più “allineato” Overath. La Polonia è trascinata da Lato, che sarà capocannoniere del mondiale. Nel campo, allagato da un temporale, di Francoforte, le due squadre regalano al pubblico novanta minuti di puro agonismo. L’equilibrio è quasi totale, rotto solo ad un quarto d’ora dal termine dal solito Müller, servito a centro area da Hölzenbein.
Germania Ovest in finale, dove ad attenderla trova un’Olanda rullo compressore. Gli arancioni dominano il loro girone con otto gol fatti e nessuno subito. Del calcio latino si salva solo il Brasile, che però a Dortmund, nello scontro decisivo, si deve arrendere allo strapotere fisico di Cruijff e compagni. All’Olanda basterebbe il pareggio, ma fin dai primi minuti è il portiere brasiliano Leão ad essere più impegnato di tutti. A inizio ripresa il fortino verdeoro cade. Neeskens approfitta di un errore difensivo per battere a rete con un diagonale ad effetto. Il raddoppio, un quarto d’ora dopo, è forse il più bel gol del torneo. Rensenbrink lancia Krol sulla sinistra, cross di quest’ultimo per Cruijff, che fin qui aveva fatto il minimo. Aggancio in volo del “Papero d’oro” e conclusione imparabile. Il Brasile abdica in quello che sembra un vero e proprio passaggio delle consegne.
IL MORSO DEL COBRA – Mentre il Brasile, deluso, cede il terzo posto alla sorprendente Polonia, all’Olympiastadion di Monaco di Baviera tutto è pronto per la finale più attesa, tra le due espressioni calcistiche che stanno dominando gli anni Settanta. Ci si aspetta un grande spettacolo di agonismo e le due squadre non deludono, fin dai primi secondi. Pronti via e Cruijff, ricevuta palla, prova a sfondare centralmente per entrare in area. Lo affrontano Hoeness e Vogts, ed è quest’ultimo ad atterrarlo appena oltre la linea. L’arbitro inglese Taylor non ha nessun dubbio, è calcio di rigore. La trasformazione è affidata a Neeskens, che non sbaglia. Il pubblico di casa ammutolisce. È un colpo che abbatterebbe un elefante, ma i tedeschi hanno personalità da vendere, da Beckenbauer a Overath, fino a Gerd Müller. Il “Kaiser” prende palla dalla difesa, avanza fino al limite e lascia partire un tiro che si spegne sul fondo. Niente di pericoloso, ma quanto basta per galvanizzare i suoi e far capire agli avversari che la battaglia è tutta da combattere. Ben presto gli attacchi tedeschi si trasformano in un assedio, con gli olandesi a tentare qualche rara sortita di rimessa. Al 25°
Hölzenbein prova a fare tutto da solo, scendendo sulla fascia sinistra e, invece di provare il cross, lanciandosi in area alla ricerca di un contatto che trova in Jansen. Rigore netto, come nel primo caso e realizzato dal terzino Breitner, col portiere Jongbloed, famoso per la sua rinuncia ad usare i guanti, la maglia giallo canarino e il numero 8, che resta a guardare.
Il pareggio galvanizza ulteriormente i bianchi, che si gettano in avanti forsennatamente. Jongbloed si rifà sventando una botta da fuori di Vogts e salvando su Hoeness. L’Olanda risponde in contropiede ma Rep, pescato da Cruijff, conclude tra le braccia di Maier. Si avvicina l’intervallo quando arriva la svolta decisiva. Discesa sulla destra di Bonhof e cross rasoterra per Müller, appostato a centro area. Il centravanti non ha di certo la tecnica, tra le sue armi migliori, e infatti sbaglia il controllo. Di fatto, però, finisce per disorientare i difensori e, con una giravolta, sorprende Jongbloed sferrando una conclusione beffarda, che si infila lentamente all’angolino. Nella ripresa, nonostante i cambi, Michels non riesce a risvegliare i suoi ragazzi. Cruijff è praticamente annullato da un Vogts in giornata di grazia e, perso l’apporto del loro leader, anche gli altri faticano a creare pericoli. Anzi, sono i tredeschi a sfiorare il gol con Hoeness e a chiedere un altro penalty, sempre per fallo di Jansen su Hölzenbein. Ma il risultato non cambia. La Germania Ovest, a 20 anni di distanza, torna campione del mondo, mentre all’Olanda non resta che il rammarico di aver cambiato per sempre il modo di intendere il calcio, senza però aver portato a casa nessun alloro.
Franz Beckenbauer – Senza dubbio il leader della generazione d’oro del calcio tedesco. Sia dal punto di vista tecnico che, soprattutto, a livello di personalità. Cresciuto nel Bayern fin da ragazzino, debutta come centrocampista offensivo grazie alle sue doti tecniche sopra la norma. Vince tutto quello che potrebbe vincere. Oltre a campionati e coppe di Germania, anche tre Coppe dei Campioni di fila, una Coppa delle Coppe e una Coppa Intercontinentale. Con la nazionale, dopo la finale mondiale del 1966 e la semifinale di quattro anni dopo, centra l’accoppiata Campionato Europeo e Mondiale tra il 1972 e il 1974. Chiuderà con la carriera internazionale nel 1977, con due Palloni d’oro in bacheca. Sarà poi il C.T. della Germania campione del mondo nel 1990.
Monaco, 7 luglio 1974
Germania Ovest: Maier, Vogts, Breitner, Schwarzenbeck, Beckenbauer, Bonhof, Grabowski, Hoeness, Müller, Overath, Hölzenbein.
Olanda: Jongbloed, Suurbier, Krol, Haan, Rijsbergen (68’ De Jong), Jansen, Rep, Neeskens, Cruijff, Van Hanegem, Rensenbrink (46’ R.Van de Kerkhof).
Marcatori: 1’ Neeskens(O)(rig), 26’ Breitner(G)(rig), 44’ Müller(G).
Per la seconda volta il mondiale è organizzato da un regime, e per la seconda volta la vittoria dei padroni di casa è imposta dall’alto. L’Argentina vince grazie a grandi individualità come Passerella e Kempes, ma soprattutto grazie ad aiuti esterni. Per l’Italia la soddisfazione di essere stati gli unici a battere i campioni e uno sguardo ottimista verso il futuro.
ARGENTINA NEL CAOS - Nel 1966 l’Argentina aveva finalmente ottenuto l’incarico di ospitare la fase finale del mondiale. Giusto premio per una nazione che al calcio aveva dato tanto. L’organizzazione delle’evento diventa però un’odissea, per via degli stravolgimenti politici che sconvolgono Buenos Aires. Il ritorno del “caudillo” Perón dopo un esilio ventennale, nel 1973, sembra poter dare stabilità al Paese. La sua morte, l’anno successivo, porta a capo dello Stato la moglie Isabelita e, subito dopo, al golpe militare che instaura una vera e propria dittatura, con a capo il generale Videla. A poco più di un anno dall’inizio del torneo non un solo mattone è stato posto per l’organizzazione. In tutto il mondo si comincia già a parlare di sede sostitutiva, ma Videla capisce che l’occasione è ghiotta per risvegliare lo spirito nazionalistico argentino e per far dimenticare le feroci repressioni governative. Con uno sforzo immane, nel giro di pochi mesi vengono restaurati gli stadi esistenti e costruiti ex novo altri tre impianti. Lo spettacolo, sotto il controllo di forze armate come mai si era visto, può iniziare.
UN’ITALIA DIMESSA - Un “golpe”, ovviamente meno violento, si registra anche in Italia. Valcareggi viene esautorato dopo il pessimo mondiale tedesco e al suo posto viene chiamato a far pulizia Fulvio Bernardini, tecnico in grado, unico nella storia, di vincere due scudetti fuori dall’asse Torino-Milano, con Fiorentina e Bologna. Il “professore” fa piazza pulita dei senatori, tenendo solo Zoff e Facchetti, spostato come libero. I risultati non sono granché, visto che all’Europeo non ci qualifichiamo, sbattendo contro due avversari durissimi come Olanda e Polonia. Durante le qualificazioni Bernardini lascia il comando nelle mani di Enzo Bearzot, fin lì suo vice, che conquista a fatica e tra le polemiche la qualificazione, solo per la differenza reti nei confronti dell’Inghilterra. Non siamo dunque tra le favorite del torneo, che è però privo di molte nazionali titolate. L’Inghilterra, appunto, ma anche la Cecoslovacchia che ha vinto il Campionato Europeo, la Jugoslavia quarta in quello stesso torneo, l’Urss e l’Uruguay, sorprendentemente beffato dalla Bolivia, poi eliminata in seguito. Il ruolo di favoriti spetta, oltre ai padroni di casa, alla Germania Ovest campione in carica, ad un Brasile sorprendentemente sparagnino e all’Olanda, che pur priva di Cruijff resta squadra temibile.
IL MONDO CI SCOPRE – Germania e Polonia inaugurano il torneo con uno 0-0 fin troppo scontato. Le altre due squadre del girone, Messico e Tunisia, sono poca cosa e quindi entrambe hanno la certezza di passare il turno. Il primo posto si decide all’ultima giornata. La Polonia fa il suo dovere contro il Messico, mentre i tedeschi, che contro i messicani avevano maramaldeggiato, non vanno oltre un incredibile 0-0 con la Tunisia. Ma la Germania è famosa per saper fare i suoi calcoli. Il secondo posto, infatti, evita a Rumenigge e compagni di finire le girone di Brasile e Argentina, al turno successivo. Il Brasile, in realtà, non è che desti questa grande impressione. Pareggia le prime due gare con Svezia e Spagna, battendo tra le polemiche l’Austria, già sicura del primo posto, all’ultimo appello. Il CT brasiliano Coutinho, sommerso di critiche, finisce per togliere dall’undici titolare Zico e Rivelino, i suoi giocatori migliori, per dare compattezza alla squadra. Delude anche l’Olanda, inserita in un girone abbordabile, con Scozia, Perù e Iran. L’inizio contro gli iraniani è una passeggiata, ma i problemi arrivano dopo, col pareggio contro il sorprendente Perù, che si avvia a vincere in carrozza il raggruppamento. La sconfitta con la Scozia non è fatale solo per la differenza reti, e perché gli scozzesi si erano suicidati facendosi pareggiare dall’Iran nel finale.
L’Italia, inserita nel girone dei padroni di casa, appare destinata ad un precoce saluto, visto che le altre avversarie sono la Francia dell’astro nascente Platini e l’ostica Ungheria. Pronti via, infatti, e nella prima gara, contro i galletti, andiamo sotto di un gol dopo nemmeno un minuto. Ma proprio nel momento più difficile, gli azzurri dimostrano una compattezza fin qui nascosta. Alla mezzora pareggia Paolo Rossi, convocato a sorpresa da Bearzot dopo una bella stagione nel Vicenza. A inizio ripresa, poi, Zaccarelli, appena entrato al posto di Antognoni, ribalta il risultato con un rasoterra dal limite. L’Argentina, intanto, comincia a sfruttare il fattore campo, battendo sia l’Ungheria che la Francia per 2-1 e con parecchie polemiche da parte degli avversari. Degli aiuti ai padroni di casa se ne giova anche l’Italia, che nella seconda partita contro gli ungheresi ha gioco facile, anche grazie alle assenze degli squalificati Nyilasi e Torocsik, espulsi nel match precedente. La sfida dell’ultimo turno serve dunque solo per il primato e, con somma sorpresa, gli uomini di Bearzot, che sarebbero primi anche con un pareggio, giocano per vincere e ci riescono, con la rete di Bettega.
LA MARMELADA PERUANA – Il caso vuole che i due gironi del secondo turno siano quasi totalmente formati da squadre dello stesso continente. L’eccezione è la Polonia, finita con Argentina, Brasile e Perù, in un raggruppamento che vede presto prendere il largo le due grandi sudamericane. Il primo turno si conclude con un piccolo vantaggio a favore del Brasile, vittorioso per 3-0 sui peruviani, contro il 2-0 argentino alla Polonia. Lo 0-0 dello scontro diretto rimanda tutto all’ultima giornata, ma qui scatta lo scandalo forse peggiore della storia dei mondiali. Grazie al diverso orario nello svolgimento delle partite, l’Argentina sa già, quando scende in campo, che per essere prima avrà bisogno di vincere con quattro gol di scarto, in seguito al 3-1 del Brasile ai polacchi. I sospetti sono tutti puntati su Ramón Quiroga, portiere del Perù di origini argentine e impegnato nel campionato argentino. E i sospetti sono fondati, perché il portiere non fa nulla per fermare le conclusioni degli avversari, che dilagano presto, fino a vincere 6-0. La sua confessione, anni dopo, non farà altro che rendere ufficiale quello che per tutti era ovvio.
L’Italia inizia il secondo turno con uno 0-0 con molti rimpianti contro una Germania Ovest arrendevole, mentre l’Olanda dilaga per 5-1 contro l’Austria. Austria che viene superata anche dagli azzurri, ma solo per 1-0, con rete decisiva ancora di Paolo Rossi. I tedeschi ci danno una mano fermando sul pari l’Olanda e permettendoci di restare in corsa per la qualificazione. Contro gli olandesi, però, la differenza reti ci impone di vincere. Partiamo bene, andando in vantaggio grazie ad un autogol di Brandts, che infila la propria porta nel tentativo di anticipare Bettega. Nella ripresa, però, la maggiore fisicità degli arancioni ha la meglio. Brandts si fa perdonare pareggiando con una conclusione fortunosa, prima che Haan spenga ogni speranza ad un quarto d’ora dal termine con una conclusione dalla distanza. Unica piccola soddisfazione, il secondo posto che ci permette di giocare la finalina di consolazione contro il Brasile.
IL DISEGNO SI COMPIE – Mentre il Brasile, unica squadra imbattuta del torneo, si consola parzialmente conquistando il terzo posto contro l’Italia, l’intera Argentina freme nell’attesa della finalissima con l’Olanda. L’unica certezza è che nell’albo d’oro comparirà un nome nuovo, visto che entrambe non hanno mai vinto, collezionando un secondo posto a testa. È una sfida nella sfida tra due grandi allenatori, dalla personalità esplosiva. Da una parte “El flaco” Menotti, che dalla giunta militare ha ricevuto un solo ordine, tenere la coppa a Buenos Aires. Dall’altra Ernst Happel, l’austriaco che fece grande il Feyenoord, portato alla Coppa dei Campioni, e che farà altrettanto con l’Amburgo qualche anno dopo. La difficile scelta dell’arbitro, dopo le polemiche dei turni precedenti, cade su Sergio Gonella, primo italiano ad arbitrare una finale iridata.
L’Olanda inizia la gara a muso duro, cercando di intimorire gli argentini con contrasti ruvidi, ma va incontro alla severità dell’arbitro, che ammonisce a tutto spiano gli arancioni, risparmiando Passarella, dopo una gomitata a Neeskens con la quale gli fa volare due denti. Per l’Olanda, pur senza fattacci clamorosi, è come giocare in salita. Fermati più volte per fuorigioco dubbi, gli avanti olandesi riescono comunque a impensierire Fillol in più di un’occasione. I padroni di casa
rispondono con le iniziative di Bertoni e Ardíles. Da una di queste nasce un passaggio filtrante di Luque per Kempes, che brucia l’intera difesa avversaria e anticipa Jongbloed con un rasoterra beffardo. Nella ripresa, l’Olanda si getta all’arrembaggio senza molta lucidità e il risultato sembra non poter cambiare fino al termine. Invece, a sorpresa, quando mancano meno di dieci minuti al termine, René Van de Kerkhof trova lo spazio per il cross dalla destra, sul quale stacca Poortvliet. Il colpo di testa del difensore, con la decisiva deviazione di Nanninga, finisce in rete e getta nello sconforto il Monumental. Tutto da rifare e supplementari alle porte, ma prima del fischio finale si va vicini alla tragedia. Rensenbrink, fin lì non pervenuto, trova un varco a sinistra e prova a beffare Fillol sul primo palo, cogliendo in pieno il legno a portiere battuto.
Gonella manda subito tutti ai tempi supplementari, a scanso di equivoci. Ed è in questo momento che l’Argentina capisce che è ora di meritarsi sul campo la vittoria. L’Olanda sembra aver lasciato su quel palo tutte le sue residue speranze, mentre salgono in cattedra Bertoni e Kempes. Alla fine del primo tempo supplementare, Bertoni serve Kempes al limite. Il centravanti del Valencia, unico “straniero” in rosa, entra in area, salta due avversari e spara contro Jongbloed in uscita disperata. Il rimpallo gli è favorevole e, anticipando altri due avversari in disperato ripiegamento, spinge la palla in rete segnando il gol che decide il mondiale e che gli da il titolo di capocannoniere in solitario. Nell’ultimo quarto d’ora c’è il tempo per il sigillo di Bertoni. Kempes sfonda centralmente, chiede ed ottiene il triangolo, ma non controlla e la palla torna al futuro centrocampista di Fiorentina, Napoli e Udinese che non lascia scampo a Jongbloed. Può esplodere la festa, il popolo argentino invade le strade e per qualche giorno dimentica i suoi problemi, proprio come prevedevano i piani di Videla.
Daniel Alberto Passarella – Regista difensivo dalla personalità debordante e dal sinistro al fulmicotone. Si mette in luce col River Plate nel 1977, segnando 24 gol in campionato. Diventato capitano della nazionale, la guida al titolo mondiale e, quattro anni dopo, nella sfortunata spedizione spagnola, durante la quale emergono inevitabili contrasti con Maradona. Dopo il “mundial” sbarca in Italia, alla Fiorentina, dove viene soprannominato “Il Caudillo” per la sua capacità di leadership. Vi resta fino al 1986 quando, infortunato, non può prendere parte al secondo successo iridato argentino. Dopo due stagioni all’Inter torna in patria, per chiudere la carriera nel suo River, del quale diventa subito dopo allenatore esordendo col botto. Tre titoli nazionali che lo portano sulla panchina della nazionale, guidata all’oro olimpico di Atlanta e nel mondiale del 1998. Poi un lento declino, compresa una parentesi da dimenticare al Parma, nel 2001.
Buenos Aires, 25 giugno 1978
Argentina: Fillol, Olguín, Tarantini, L. Galván, Passarella, Ardíles (65’ Larrosa), Bertoni, Gallego, Luque, Kempes, Ortíz (74’ Houseman).
Olanda: Jongbloed, Jansen (72’ Suurbier), Poortvliet, Brandts, Krol, Haan, W. Van de Kerkhof, Neeskens, Rep (58’ Nanninga), R. Van de Kerkhof, Rensenbrink.
Marcatori: 38’ Kempes(A), 82’ Nanninga(O), 104’ Kempes(A), 114’ Bertoni(A).
Se c’è una squadra che ha vinto il mondiale da outsider, quella è sicuramente l’Italia di Bearzot del 1982. Partiti sommersi di polemiche, gli azzurri tornano sommersi di applausi, dopo quattro partite ormai nella storia del nostro calcio.
TUTTO DA RIFARE – Il brillante quarto posto del 1978, giunto inatteso, non basta a dare serenità alla nazionale italiana. Due anni dopo sono in programma i campionati europei, proprio in Italia, ma bastano le prime due amichevoli, vinte per 1-0 con Turchia e Bulgaria, per far piovere fischi sulla squadra. Nella primavera del 1980, a pochi mesi dall’Europeo, scoppia fragoroso lo scandalo scommesse. Bearzot perde due attaccanti come Rossi e Giordano, mentre il pubblico perde la passione per il calcio. Il torneo è deludente, con stadi vuoti e poco spettacolo. Due pareggi per 0- 0 e uno striminzito 1-0 all’Inghilterra ci relegano alla finale di consolazione, persa ai rigori contro la Cecoslovacchia. Il titolo va alla solida Germania Ovest, che batte di misura un Belgio quasi insuperabile in difesa. Non vanno meglio le qualificazioni al mondiale spagnolo. Per fortuna la FIFA decide che è il momento di allargare a 24 il numero di partecipanti alla fase finale. In questo modo, dei gironi europei si qualificano le prime due e noi, secondi dietro alla Jugoslavia, evitiamo un’umiliante eliminazione. Eppure il cammino era iniziato bene, con quattro 2-0 iniziali. La sconfitta per 3-1 in Danimarca, però, apre un periodo di crisi, che si protrae con i pareggi di Belgrado e in casa con la Grecia e col successo per 1-0 contro la cenerentola Lussemburgo.
SUDAMERICA IN POLE – Se l’Italia stenta e perde il credito guadagnato quattro anni prima, dal Sudamerica sbarcano a Madrid le due squadre che sembrano non avere rivali. Il Brasile gode di un’eccellente fioritura di campioni. All’ormai maturo Zico si aggiungono Falcão, Socrates, Junior e Cerezo. L’Argentina campione in carica appare anche più forte di quattro anni prima, con l’aggiunta di Ramón Díaz e, soprattutto, di Maradona. Dietro di loro si aggiungono la Germania campione d’Europa, l’emergente Francia di Platini, l’Urss, che domina il proprio girone davanti alla Cecoslovacchia e la Polonia, che al vecchio Lato aggiunge il giovane Boniek. Fa scalpore l’eliminazione dell’Olanda, che chiude addirittura quarta il proprio girone, mentre ormai dell’assenza dell’Uruguay non si stupisce più nessuno.
AVANTI NEL SILENZIO – Inserita nel gruppo 1 con Polonia, Perù e Camerun, l’Italia infila tre prestazioni indecorose, con tre pareggi che ci valgono il passaggio del turno, alle spalle dei polacchi, solo per aver segnato un gol in pi degli africani, a parità di differenza reti. Fioccano i processi sugli organi di stampa, con tanto di insinuazioni su presunti flirt tra giocatori. Bearzot capisce che così non si può andare avanti e decide di interrompere i contatti coi giornalisti. Nasce il “silenzio stampa”, col capitano Zoff unico incaricato a rilasciare interviste. Negli altri gironi non mancano i risultati a sorpresa, ma alla fine passano le favorite. C’è sconcerto per quanto avviene tra Germania e Austria. I tedeschi erano stati battuti all’esordio dall’Algeria e all’ultimo turno sono costretti a vincere con l’Austria per passare il turno. Poiché gli africani chiudono il giorno prima, le due squadre sanno che con l’1-0 passeranno entrambe e puntualmente il risultato si materializza, con tanto di vergognosa melina. L’Argentina sbatte il muso contro il Belgio all’esordio, ma alla fine riesce a passare come seconda. Stesso discorso per la Francia, sopravanzata da un’Inghilterra in grande spolvero e passata grazie al successo sul Kuwait, con tanto di sceicco sceso in campo per far annullare un gol francese, segnato mentre i suoi giocatori erano fermi per via di un fischio giunto dagli spalti. Delude la Spagna padrona di casa, che passa il turno a spese della Jugoslavia grazie ad evidenti aiuti arbitrali, in un girone vinto a sorpresa dall’Irlanda del Nord. Infine, il Brasile conferma il ruolo di grande favorita vincendo a punteggio pieno il suo girone davanti all’Urss, che fatica ad avere la meglio sulla Scozia.
SI SVEGLIA PABLITO – La novità, destinata a restare un unicum, di questa edizione sono quattro gironi di tre squadre destinati a promuovere le vincitrici alle semifinali. La Francia domina il proprio girone, il più facile, battendo sia l’Austria che l’Irlanda del Nord e si prepara alla sfida con la Germania Ovest, uscita vittoriosa sull’Inghilterra, che dopo aver pareggiato lo scontro diretto non riesce a superare gli orgogliosi spagnoli, già fuori dopo la sconfitta coi tedeschi. Nel primo dei due gruppi di Barcellona la Polonia si impone sull’Urss, a pari punti, solo per il 3-0 rifilato al Belgio, con tripletta dello scatenato Boniek e si prepara ad affrontare la vincitrice del “girone della morte”. È il girone delle uniche due extra-europee, le due grandi favorite Brasile e Argentina, con l’Italia destinata a fare da vaso di coccio tra i due di ferro. Apriamo contro l’Argentina. Bearzot mette Gentile a marcare Maradona e di fatto il Pibe viene annullato. Dopo un primo tempo con più calci che calcio, gli azzurri colpiscono in contropiede nella ripresa, prima con Tardelli e poi con Cabrini. La rete finale di Passarella rovina la differenza reti, ma nulla più. Contro il Brasile Maradona appare ancora frastornato dalla cura Gentile, tanto da farsi espellere. I brasiliani dominano dall’inizio alla fine, andando sul tre a zero con Zico, Serginho e Junior, prima dell’inutile gol della bandiera di Díaz.
A questo punto, con la differenza reti dalla loro, possono permettersi anche un pareggio contro l’Italia. Bearzot da ancora fiducia a Rossi, fin lì un fantasma, nonostante tutta Italia prema per la sostituzione col più pimpante Altobelli. Per Pablito è l’ultima chance e non la spreca. Cinque minuti di gioco: lunga azione manovrata con cross dalla sinistra di Cabrini e incornata vincente. L’incantesimo è rotto ed il Brasile si trova già a dover rincorrere. La sua reazione è veemente e culmina nel pareggio sette minuti dopo, quando Zico lancia Socrates in area con una magia e il “dottore” beffa Zoff sul proprio palo. Poco prima della mezzora, però, la supponenza brasiliana subisce un altro duro colpo, quando Rossi interrompe uno sterile fraseggio tra i difensori, lanciandosi in area e fulminando Valdir Peres. All’intervallo l’Italia è sorprendentemente avanti, ma il Brasile non si è affatto arreso. Nella ripresa attacca ripetutamente, fino a pareggiare nuovamente con un sinistro da fuori di Falcão, che trova Zoff ancora una volta non perfetto. Altri sette minuti e il castigamatti colpisce ancora. Dopo un corner Tardelli prova la conclusione da fuori. Sulla traiettoria del tiro, leggermente deviato, si trova Rossi che beffa il portiere avversario con un tocco misura. Finalmente un gol di rapina dei suoi e stavolta è quello decisivo, perché nell’ultimo quarto d’ora il Brasile non riesce più a pareggiare, scontrandosi contro uno Zoff trasformatosi in muro insuperabile, come quando all’ultimo minuto blocca a terra il colpo di testa di Paulo Isidoro. Sono anzi gli azzurri ad andare ancora in gol con Antognoni, ma l’arbitro annulla per inesistente fuorigioco. Va bene così, siamo di nuovo tra le prime quattro, e viste le premesse è già come aver vinto.
SUICIDIO FRANCESE – Superato il girone della morte il cammino della finale diventa in discesa, complice la squalifica che toglie lo spauracchio Boniek alla Polonia. I tempi di Vigo e del pallido 0-0 del primo turno sono ormai lontani, adesso i favoriti siamo noi e i polacchi lo sanno, difendendosi con l’agonismo. Ne fanno le spese Antognoni e Graziani, usciti entrambi per infortunio. Nel frattempo, però, è già entrato in scena Paolo Rossi, che con un gol per tempo ha liquidato la pratica. La prima rete è un classico tocco in mischia dei suoi, su punizione calciata da destra. La seconda è un colpo di testa in tuffo a porta sguarnita, a conclusione di un bellissimo contropiede. Il pathos delle semifinali, dunque, è tutto nella sfida di Siviglia tra Germania Ovest e Francia. Nel primo tempo c’è il botta e risposta tra Littbarski e Platini, che fissano il punteggio sull’1-1 durato fino al novantesimo. I supplementari, invece, si trasformano in una replica di quelli dell’Azteca di dodici anni prima. Nei supplementari ci si aspetta la maggiore tenuta atletica dei tedeschi, e invece la Francia parte a razzo, andando sul doppio vantaggio con Tresor e Giresse. Sembra finita, ma la Germania ha mille vite. L’acciaccato Rummenigge, entrato da pochi minuti, riapre subito i giochi e, nel secondo dei due mini tempi, arriva il pareggio definitivo di Fischer. A questo punto entra in scena la “lotteria” dei rigori. Per la prima volta ad un mondiale, infatti, il passaggio del turno sarà deciso in questo modo, dopo che già il titolo europeo del 1976 era stato
deciso dai tiri dagli undici metri. L’errore di Stielike illude i galletti, ma prima Six e poi Bossis spengono il sogno della prima finale mondiale. Tocca alla Germania Ovest contendere il titolo all’Italia, mentre la Francia, delusa, da spazio alle riserve nella finalina e cede anche il terzo posto alla Polonia.
FESTA AL BERNABEU – Italia e Germania arrivano alla finale con due titoli mondiali a testa. Non si può dire una finale a sorpresa, eppure, visto l’andamento delle due squadre, è proprio così. Entrambe avevano rischiato la figuraccia al primo turno ed entrambe sono salite in cattedra nella seconda fase, anche se i tedeschi hanno sulle spalle la fatica extra dei supplementari con la Francia. Dalla sua, però, Bearzot ha a che fare con gli infortuni di Antognoni e Graziani. Per il primo non c’è nulla da fare, mentre “Ciccio”, che aveva sostituito egregiamente col suo impegno l’infortunato Bettega, va in campo lo stesso. Per sostituire il regista della Fiorentina Bearzot decide di mandare in campo Bergomi, un difensore, in modo da liberare sulla sinistra Cabrini e permettere al libero Scirea di proporsi maggiormente in avanti. Per il CT tedesco Derwall i problemi fisici portano i nomi di Rummenigge e Hansi Müller, che alla fine si daranno inutilmente il cambio durante la gara. L’idea di piazzare Bergomi a marcare Rummenigge si rivela azzeccata. Fin dai primi minuti i tedeschi hanno il predominio del gioco, ma non costruiscono nulla di pericoloso. Dopo meno di dieci minuti Breitner manda definitivamente KO Graziani, rimpiazzato da Altobelli. Eppure, in un primo tempo avaro di emozioni, l’unico acuto è proprio dell’Italia. Su cross dalla sinistra, infatti, Conti ruba il tempo a Briegel che lo atterra in area. È calcio di rigore, e a sorpresa va a calciare Cabrini, invece di Rossi che era in lotta con Rummenigge per il titolo di capocannoniere. La zappata del terzino, con tanto di nuvoletta bianca sollevatasi dal terreno, manda la palla oltre il palo alla sinistra di Schumacher. Un brutto colpo per il morale degli azzurri, ma la Germania non sembra in grado di approfittarne.
La ripresa è iniziata da dieci minuti quando l’Italia batte velocemente un calcio di punizione sulla trequarti. La palla va a Gentile, sulla destra, che lascia partire un traversone basso sulla cui traiettoria si fiondano Cabrini, Rossi ed un difensore tedesco. Alla fine il tocco decisivo, che spedisce la sfera in rete è ovviamente di Pablito. La Germania si butta in avanti, ma nemmeno l’entrata in campo di Hrubesch, l’eroe dell’Euro 80, scalfisce la sicurezza della nostra retroguardia. Anzi, dieci minuti dopo l’1-0 Scirea si porta in avanti dando il via ad un’azione di rimessa che conclude passando a Tardelli. Aggiustatosi il pallone sul sinistro “Schizzo” trafigge Schumacher con un diagonale imparabile ed esulta con l’urlo che è ormai diventato un’icona. E ancora, a dieci minuti dal termine, volata in contropiede di Conti sulla destra e assist per Altobelli, che finta mettendo fuori causa il portiere tedesco e spedisce in rete per il 3-0. C’è spazio giusto per il gol della bandiera di Breitner, che così si aggiunge a Pelé e Vavá, tra quelli che hanno segnato un gol in due finali mondiali. Poi è solo festa azzurra, con Zoff che alza al cielo la Coppa del Mondo, il presidente Pertini a festeggiare in tribuna prima di accompagnare gli eroi in Italia con l’aereo presidenziale. Ad accoglierli solo applausi e di coloro che criticavano le scelte di Bearzot neanche più l’ombra.
Paolo Rossi – Esploso nel Vicenza, secondo nella stagione 1977-78, conquista a sorpresa un posto per il mondiale argentino, nel quale con 3 reti contribuisce in maniera determinante al buon cammino degli azzurri. Diventa “Pablito”, ma da quel momento iniziano quattro anni difficili, prima si infortuna e retrocede col Vicenza, poi, passato al Perugia, viene coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse subendo una squalifica di due stagioni. Passato alla Juventus partecipa marginalmente al primo scudetto, conquistandone un altro nel 1984. Ma soprattutto vince la Coppa
delle Coppe e la Coppa dei Campioni. Chiude la carriera con due stagioni anonime al Milan e al Verona, tormentato dagli infortuni.
Madrid, 11 luglio 1982
Italia: Zoff, Gentile, Cabrini, Bergomi, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Oriali, Graziani (8’ Altobelli, 89’ Causio).
Germania Ovest: Schumacher, Kaltz, Briegel, Stielike, K.H. Förster, B Förster, Breitner, Dremmler (61’ Hrubesch), Littbarski, Fischer, Rummenigge (69’ H. Müller).
Marcatori: 57’ Rossi(I), 68’ Tardelli(I), 81’ Altobelli(I), 83’ Breitner(G).
Forse più ancora di Pelé, Maradona riesce a trasformare un mondiale in un “One man show”. È l’anima dell’Argentina che bissa il titolo di quattro anni prima, una squadra solida ma non spettacolare. Parte piano, ma nelle sfide decisive a fare la differenza è lui.
DI NUOVO MESSICO – Il torneo del 1986 viene in un primo momento assegnato alla Colombia, ma il Paese sudamericano rinuncia, causa difficoltà economiche, e la FIFA si trova a dover scegliere un sostituto. La spunta il Messico, grazie a strutture ancora in gran parte efficienti, dopo pochi anni dalla prima esperienza. L’imprevisto è però dietro l’angolo, sotto forma di un violento terremoto che scuote il Paese a un anno e mezzo dall’inizio della manifestazione. Solo l’aiuto della comunità internazionale permetterà ai messicani di mantenere l’impegno, organizzando un torneo sufficientemente decoroso. Dal punto di vista prettamente tecnico, l’Italia campione del mondo ha perso tutto il vantaggio accumulato in Spagna. Bearzot ha deciso di insistere sui suoi eroi, ormai avanti con l’età, e nemmeno una campagna di qualificazione agli Europei a dir poco scandalosa gli ha fatto cambiare idea. Chi invece esce dall’Euro 84 con le stimmate della favorita è la Francia di Platini, che vanta il centrocampo più forte del mondo e che si qualifica con facilità. Insieme ai francesi hanno ambizioni la solita Germania Ovest e le sudamericane, Argentina e Brasile. Le qualificazioni lasciano sul campo poche vittime illustri, dall’Olanda, che ormai ha esaurito la vena aurifera degli anni Settanta, alla Jugoslavia, passando per la Svezia. Tornano invece a farsi vivi l’Urss e il Portogallo, mentre desta curiosità la debuttante Danimarca, che saprà stupire.
IL CALCIO DEL DUEMILA – La suspence dei gironi preliminari, con due, e spesso tre, qualificate su quattro, è ridottissima. Argentina e Italia si dividono i primi due posti, pareggiando lo scontro diretto. Alla fine è decisivo l’1-1 della gara inaugurale con la Bulgaria, con rete in apertura di Altobelli, che andrà a segno altre tre volte. Siamo secondi, un piazzamento che si rivelerà esiziale. Il Messico vince il proprio girone davanti al Paraguay e al deludente Belgio, che batte solo l’Iraq, mentre la Francia si scontra contro il “calcio del 2000” di Lobanovski e dell’Urss. I sovietici sommergono l’Ungheria, si sbarazzano del Canada e poi si spartiscono la posta coi francesi, garantendosi il primo posto e lanciando una seria candidatura. Nessun problema per il Brasile che chiude a punteggio pieno, relegando al secondo posto la Spagna, e mostrando un’ottima difesa. Le sorprese maggiori arrivano nei raggruppamenti restanti. La Danimarca domina il suo con tre successi e nove gol fatti, subendone solo uno nel 6-1 all’Uruguay. I danesi, guidati da un Elkjaer in stato di grazia, battono anche la Germania, che come spesso le accade parte piano, e si candidano per il ruolo di sorpresa del torneo. Stesso discorso per il Marocco, che vince il girone davanti a tre europee, nell’ordine Inghilterra, Polonia e Portogallo. Decisivo il successo finale per 3-1 sui lusitani, che li lancia al comando e condanna gli avversari al mesto ritorno a casa.
FUORI LA VECCHIA ITALIA – Dopo le sorprese della prima fase, gli ottavi di finale, novità di questa edizione, si occupano di ristabilire un certo ordine. Apre il Messico, che non ha problemi con la Bulgaria e torna ai quarti dopo quelli del 1970. Il Belgio, che negli anni passati era famoso per la sua concretezza, ingaggia una battaglia del gol contro l’Urss. Nonostante una tripletta di Belanov, i sovietici devono arrendersi. Finisce 4-3 ai supplementari, anche se qualcosa da recriminare c’è, visto che due gol belgi sono segnati in fuorigioco. Mentre il Brasile rifila un poker ad una Polonia ormai decadente, l’Argentina soffre, ma fa suo il derby con l’Uruguay, grazie alla rete di Pasculli. Il raddoppio di Maradona, che chiuderebbe la gara, viene annullato dall’arbitro italiano Agnolin per un dubbio fallo del Pibe, che fino a questo momento si è limitato più a servire i compagni che a fare in proprio. La solita Germania lascia sfogare il Marocco per poi colpirlo nel finale con Matthaus. Sfuma così la possibilità di vedere per la prima volta un’africana tra le prime otto. L’Inghilterra ha la meglio per tre a zero sul Paraguay, con Lineker autore di una doppietta pur se sottoposto a un trattamento “di riguardo” dai difensori avversari, che non gli lesinano colpi proibiti. Intanto, si
spegne la Danimarca, che paga l’eccessivo dispendio fisico della prima fase. I danesi vanno in vantaggio, ma nella ripresa pagano dazio alla maggiore concretezza spagnola. Butragueño, con un poker, si candida al titolo di capocannoniere e la Spagna al ruolo di protagonista a sorpresa.
Infine l’Italia, opposta alla Francia grande favorita. La sfida tra i campioni del mondo e i campioni d’Europa nemmeno inizia. Bearzot teme più del dovuto Platini e gli sacrifica in marcatura Beppe Baresi, rinunciando ad un uomo a centrocampo. Mossa suicida, perché Michel colpisce già al quarto d’ora, al termine di una veloce ripartenza proprio in seguito ad una palla persa da Baresi a centrocampo. L’Italia è senza idee e non impensierisce mai il portiere francese. È anzi Fernandez a sfiorare il raddoppio già nel primo tempo, colpendo la traversa, prima che Stopyra, nella ripresa, chiuda il conto. Si torna a casa consapevoli della nostra inferiorità e del fatto che insistere sugli eroi spagnoli sia stato un errore.
LA MANO DE DIOS – In ben tre gare su quattro, sono i calci di rigore a stabilire le semifinaliste. Comincia la Germania, che supera il Messico dopo una gara in sofferenza per l’espulsione di Berthold. La parità numerica viene ristabilita solo nei supplementari, e alla fine la maggior freddezza teutonica ha la meglio sui padroni di casa, probabilmente condizionati dall’importanza dell’evento. Sfuma così, infatti, la loro prima semifinale, mentre la Germania torna tra le prime quattro dopo la finale di Madrid. La sfida più attesa è certamente quella tra Brasile e Francia, che finora hanno mostrato il calcio migliore. Careca sblocca presto il risultato, liberato solo davanti al portiere da una splendida azione corale, ma Platini pareggia già nel corso del primo tempo. Cross da destra e intervento vincente di “Le Roi” sul secondo palo. Nella ripresa entra Zico, che ha sui piedi la palla del match, ma si fa parare un calcio di rigore. Il Brasile vincerebbe ai punti, visti anche i due pali colpiti nel corso dei novanta minuti, ma allo scadere del secondo tempo supplementare rischiano la beffa, quando Stopyra scatta in contropiede e, solo davanti al portiere, viene ostacolato in qualche modo, non riuscendo a concludere. Al giorno d’oggi sarebbe espulsione, ma l’arbitro lascia correre. Si va ai rigori e Socrates sbaglia subito il suo, portando i francesi in posizione di vantaggio. Tutto liscio nei successivi sei tentativi, anche se sul tiro del francese Bellone la palla sbatte sul palo, rimbalza sul portiere e termina in rete, una dinamica che oggi non sarebbe più considerata regolare. A riportare la situazione in parità è sorprendentemente l’errore di Platini, che spara alle stelle, ma per sua fortuna subito dopo il futuro juventino Julio Cesar manda sul palo e Fernandez può segnare e portare i galletti alla seconda semifinale consecutiva.
Nel quarto tutto europeo, il Belgio va avanti nel primo tempo con Ceulemans, ma viene raggiunto in extremis da Señor, dopo una ripresa giocata all’assalto da parte della Spagna. Protagonista del match è il portiere belga Pfaff, che para un po’ tutto e anche ai rigori si rivela decisivo bloccando la conclusione di Eloy. Il Belgio fa invece cinque su cinque e dopo la realizzazione conclusiva di Van Der Elst può festeggiare il suo primo, storico, approdo tra le prime quattro del mondo. L’unica gara decisa entro i novanta minuti è quella tra Argentina e Inghilterra. Sfida sentitissima, per via della guerra scoppiata tra i due paesi quattro anni prima, per il controllo delle Isole Falkland, al largo della costa argentina, territorio d’oltremare del Regno Unito. Fin dai primi minuti si vede in campo un Maradona toccato dalla grazia. Manda ripetutamente nel panico la difesa inglese, ma il risultato non si sblocca. Almeno fino ad inizio ripresa, quando su un pallone impennatosi in area, il Pibe va a saltare con Shilton. Non ci arriverebbe mai, se non alzasse repentinamente la mano sinistra ad anticipare a scavalcare il portiere avversario. Gli inglesi protestano, ma l’arbitro non ha visto ed è l’uno a zero. Passano tre minuti e Diego capisce che è il caso di farsi perdonare. Prende palla a centrocampo, salta in rapida successione gli avversari, che arrancano senza speranze sulle sue tracce, e fredda Shilton dopo averlo messo a sedere. Meno di cinque minuti per il gol più chiacchierato del secolo e per quello più bello, questo è Maradona. L’Inghilterra riesce a trovare la forza per accorciare le distanze col sesto gol di Lineker, rete che gli permetterà di conquistare la classifica marcatori, ma nulla più. L’Argentina ringrazia il suo re e vola in semifinale ed il suo re, in conferenza stampa, dichiarerà di aver segnato “un po’ con la testa di Maradona e un po’ con la mano de Dios”.
LA FRANCIA SI FERMA ANCORA – L’Argentina è l’unica sudamericana rimasta in corsa, a tentare di impedire il blitz europeo, e per sua fortuna è opposta alla meno quotata delle avversarie, il sorprendente Belgio. Il primo tempo equilibrato, con i belgi a chiudere in crescendo, illude circa un possibile risultato a sorpresa, ma il primo quarto d’ora della ripresa è ormai il regno di Maradona, lanciatissimo verso il ruolo di protagonista assoluto del torneo. Al sesto minuto, lanciato da Burruchaga, entra in area e beffa Pfaff con un tocco magico di esterno sinistro. Dieci minuti dopo sfonda centralmente palla al piede. La difesa belga sembra aprirsi al suo passaggio, ma in realtà gli avversari sono ubriacati dalle sue finte, che si concludono inevitabilmente col raddoppio che chiude il match.
Il derby europeo tra Germania e Francia è la rivincita della splendida semifinale di quattro anni prima. I tedeschi sembrano più in forma, tanto più che passano già all’ottavo con una punizione di Brehme, sfuggita alla presa del portiere francese Bats. Nella ripresa i ritmi si abbassano e i galletti provano a recuperare, ma vengono beffati da Vöeller nel finale. Niente rivincita, dunque, e seconda finale consecutiva per i tedeschi. La generazione d’oro del calcio transalpino manca, quindi, l’appuntamento col palcoscenico più importante. La sensazione di rigetto è forte, tanto che alla finalina col Belgio i francesi si presentano con molte riserve, conquistando comunque il terzo posto, che eguaglia il suo miglior risultato, risalente al 1958.
IL TRIONFO DI DIEGO – Argentina e Germania Ovest si ritrovano contro due anni dopo l’amichevole, vinta dai primi, che aveva sancito l’esordio in panchina di Franz Beckenbauer. Un precedente che i sudamericani prendono come beneaugurante. Il primo quarto di gara vive sulla tensione. Latitano le occasioni da gol, mentre Maradona è braccato da Matthäus, tanto da innervosirsi e guadagnarsi un cartellino giallo per proteste. Ma è nel momento più delicato che esce fuori l’Argentina come squadra. Sale in cattedra Burruchaga, che poco dopo il ventesimo calcia una punizione pennellata dalla destra. Svetta più in alto di tutti il difensore Brown, sostituto dell’infortunato Passarella, e batte Schumacher, incerto nell’uscita. La reazione tedesca è veemente, ma prettamente fisica, tanto che Pumpido non è mai chiamato in causa sul serio.
Al decimo della ripresa arriva il raddoppio che sembra chiudere i conti. Valdano recupera palla davanti alla propria area e fa partire l’azione di rimessa. Chiede ed ottiene il triangolo da Enrique e si presenta solo davanti a Schumacher, superandolo senza esitazioni. Sembra il colpo del KO, ma i tedeschi hanno mille vite. Beckenbauer, che già aveva inserito Vöeller, tenta la carta dell’attaccante in più, mandando in campo anche Hoeness e ad un quarto d’ora dal termine vede ripagata la pressione. Corner dalla sinistra, sul quale Vöeller anticipa tutti modificando la traiettoria. Sulla palla si getta come un falco Rummenigge, che non lascia scampo a Pumpido. Ora è l’Argentina a sentire le gambe molli, tanto che otto minuti dopo Pumpido non blocca la palla, regalando un altro angolo agli avversari. Il sinistro di Brehme pesca Berthold in area. Torre per Vöeller che, tutto solo davanti alla porta, appoggia agevolmente in rete. Tutto da rifare, dunque, ma tre minuti dopo la Coppa prende definitivamente la via di Buenos Aires. Enrique recupera palla a centrocampo e serve Maradona, per una volta libero da marcature. Il passaggio del Pibe de Oro è un invito a nozze per Burruchaga, che sta arrivando come un treno sulla fascia destra. La difesa tedesca è presa in controtempo e il giocatore migliore della finale ha gioco facile nel superare Schumacher. Il risultato non cambia più e l’Argentina è meritatamente campione del mondo per la seconda volta. È la vittoria di un singolo, anche se in finale i bianco celesti hanno mostrato di essere anche una squadra.
Diego Armando Maradona – Si divide con Pelé la palma di miglior giocatore del XX secolo. Cresciuto nell’Argentinos Juniors, debutta in prima squadra e sfiora la convocazione per il mondiale
del 1978. Subito dopo, però, la nazionale diventa il suo regno, in contemporanea al suo passaggio al Boca. Dopo il deludente mondiale del 1982 arriva in Europa, al Barcellona, che lascia dopo due anni per il Napoli. Una prima stagione altalenante e poi, dopo il trionfo nel mondiale messicano, il primo storico scudetto all’ombra del Vesuvio. Sono i suoi anni d’oro. Vince la Coppa Uefa nel 1989 e bissa il successo in campionato l’anno dopo, quando arriva secondo al mondiale italiano. Poi, di colpo, il crollo. Fugge dall’Italia e, tornato in patria, viene arrestato per consumo di cocaina. Prova a risollevarsi a Siviglia e poi col Newell’s Old Boys, tanto da tornare in nazionale per Usa 94. E qui altro colpo di scena: segna con la Grecia per poi essere squalificato per doping e lasciare polemicamente la ribalta internazionale. Il resto è qualche apparizione nell’amato Boca, prima di intraprendere una carriera da allenatore senza acuti che lo porta, infine, sulla panchina della nazionale in vista del mondiale sudafricano.
Città del Messico, 29 giugno 1986
Argentina: Pumpido, Cuciuffo, Olarticoechea, Batista, Ruggeri, Brown, Burruchaga (89’ Trobbiani), Giusti, Enrique, Maradona, Valdano.
Germania Ovest: Schumacher, Berthold, Briegel, Eder, Förster, Jakobs, Brehme, Matthäus, Rummenigge, Magath (61’ Hoeness), Allofs (46’ Vöeller).
Marcatori: 22’ Brown(A), 55’ Valdano(A), 73’ Rummenigge(G), 81’ Vöeller(G), 83’ Burruchaga(A).
L’Italia è il primo Paese europeo a organizzare la Coppa del Mondo per la seconda volta. È il mondiale delle “notti magiche” di Totò Schillaci, assurto in meno di un mese da quasi sconosciuto a personaggio di fama internazionale. Ma alla fine è il mondiale della Germania, che festeggia la riunificazione col suo terzo titolo iridato, vinto ancora da separata.
RINASCITA OLANDESE – Com’è normale che sia, nel nostro anormale Paese, l’occasione dell’organizzazione di un evento di rilievo planetario porta più polemiche che vantaggi. Gli stadi vengono ristrutturati o costruiti ex-novo con spese che in breve tempo decuplicano quelle preventivate e con risultati modesti che ancora oggi penalizzano l’intero movimento. Per fortuna c’è il calcio giocato e la fresca nazionale di Azeglio Vicini, che ha sostituito il suo diretto superiore Bearzot all’indomani del Messico, raccoglie simpatie e fiducia. All’Euro 88 ci piazziamo terzi, miglior risultato dopo quello vinto venti anni prima, e nelle amichevoli di preparazione non mancano gli spunti positivi. Oltre tutto i club italiani dominano l’Europa, vincendo nel 1990 le tre coppe principali con Milan, Sampdoria e Juventus. Le avversarie più insidiose sulla strada degli azzurri sono la solita Germania, che almeno in semifinale c’è sempre, l’Argentina campione in carica e le due finaliste dell’Europeo. L’Urss, che ha confermato i progressi fatti vedere in Messico, e soprattutto l’Olanda, tornata prepotentemente alla ribalta dopo un decennio di anonimato e capace di arrivare lì dove non era riuscita la precedente generazione di fenomeni, cioè a portare a casa un trofeo internazionale. Nonostante il mondiale a 24 squadre renda più facile qualificarsi, non mancano nemmeno questa volta le assenze di rilievo, a partire dalla Francia, che ha ormai esaurito la vena aurifera degli anni Ottanta, proseguendo con Danimarca, Polonia e Portogallo.
CADE SOLO L’URSS– La formula, che prevede l’eliminazione di sole 8 squadre su 24 al primo turno, fa una sola vittima illustre, l’Urss, anche se i sovietici non sono i soli a faticare. A cominciare dall’Argentina, che apre il mondiale perdendo clamorosamente contro il Camerun. Ripresisi battendo proprio la squadra di Lobanovksi, Maradona e compagni ottengono poi il punto della qualificazione a braccetto con la Romania. L’Urss saluta così definitivamente la scena mondiale. Pochi mesi dopo sparirà infatti dalle carte geografiche politiche e calcistiche. Nessun problema per l’Italia, che scopre la stella Schillaci, grazie al quale batte l’Austria all’esordio. Seguono poi i successi su Stati Uniti e Cecoslovacchia, che ci permettono di chiudere il girone a punteggio pieno, davanti ai boemi. Le tre avversarie del girone erano state nostre avversarie già nel 1934, un precedente che accende l’entusiasmo. A punteggio pieno anche un Brasile non entusiasmante, che passa il turno davanti alla Costarica del vecchio mago Milutinovic, capace di eliminare Scozia e Svezia.
Pochi problemi anche per la Germania, vittoriosa con nove gol in due partite contro Jugoslavia ed Emirati Arabi. Il pareggio con la Colombia aiuta i sudamericani a prendersi il terzo posto dietro gli slavi. L’ambiziosa Spagna allenata da Luisito Suarez parte piano, pareggiando con l’Uruguay, battendo poi Corea del Sud e Belgio e precedendo proprio belgi ed uruguayani. Infine, il gruppo F si rivela quello più equilibrato e noioso del primo turno, con soli 7 gol segnati in 6 gare. Le prime quattro finiscono in parità, ma all’ultimo turno l’Inghilterra riesce a prevalere sull’Egitto piazzandosi prima ed eliminando i Faraoni. Per decidere il secondo posto tra Eire ed Olanda è necessario il sorteggio, che premia i primi.
STORICO CAMERUN – Gli ottavi di finale si aprono con un’impresa storica. A Napoli, il 38enne Roger Milla trascina il Camerun alla vittoria nei supplementari contro la Colombia. I Leoni Indomabili sono la prima squadra africana a conquistare i quarti di finale di un mondiale. Vengono poi raggiunti dalla Cecoslovacchia, che non ha problemi a disfarsi della sorpresa Costarica, travolta dalla tripletta di Skhuravy, che si presenta così ai suoi nuovi tifosi del Genoa. Il giorno dopo è l’ora dei due match-clou degli ottavi. L’Argentina si risolleva e fa suo il derby sudamericano col Brasile
all’italiana di Lazaroni. Decide Caniggia, ispirato da un Maradona tornato a livelli messicani. In serata la Germania si vendica dell’Olanda, che l’aveva eliminata in semifinale nell’Euro 88.
Una noiosissima sfida tra Eire e Romania, decisa ai rigori a favore degli esordienti irlandesi, fa da antipasto alla gara dell’Italia contro l’Uruguay. Vicini ha ormai battezzato la coppia d’attacco Schillaci-Baggio, che hanno steso la Cecoslovacchia, a discapito dei più esperti e appannati Vialli e Carnevale. Si teme il gioco ostruzionistico dei sudamericani, ed in effetti nel primo tempo si fatica ad andare al tiro. A sbloccare la situazione, nella ripresa, è ancora Schillaci, con un gran sinistro da fuori area. Il raddoppio di Serena, poi, ci regala la sicurezza dei quarti di finale. L’ultima giornata degli ottavi è nel segno di Dragan Stojkovic, fuoriclasse della Jugoslavia, che elimina la Spagna quasi da solo con una doppietta. La seconda rete, nei supplementari, è una splendida punizione. In serata, infine, l’Inghilterra aspetta l’ultimo minuto dei supplementari per superare il Belgio, con la rete del giovane Platt.VINCE LA NOIA – Chi si aspetta grande spettacolo dai quarti di finale è destinato a rimanere deluso. Due soli gol in tre partite, prima dello spettacolo che offrono Inghilterra e Camerun. Ma andiamo con ordine. Aprono Argentina e Jugoslavia, e tiene banco la grande sfida tra Maradona e Stojkovic. Invece, 120 minuti non bastano a sbloccare il punteggio, con gli slavi che, pur in dieci, meriterebbero la vittoria ai punti. Ai rigori come spesso succede sbagliano i due giocatori più rappresentativi, prima Stojkovic e poi Maradona. L’errore di Troglio sembra condannare l’Argentina, ma a questo punto sale in cattedra Goycoechea, che aveva preso il posto di Pumpido dopo l’errore col Camerun. L’estremo difensore, ancora semi-sconosciuto, ipnotizza prima Brnovic e poi Hadzibegic e trascina i suoi in semifinale. Eroe per caso, ma purtroppo non solo per una notte. In serata gli azzurri affrontano l’Irlanda di Jack Charlton, che all’esordio è riuscito nell’impresa di portare i verdi ai quarti pareggiando sempre. Come previsto la gara è tirata, ma alla fine a sbloccarla ci pensa il solito Schillaci, ribadendo in rete una respinta del portiere Bonner su conclusione di Donadoni. Ancora Totò va vicino al raddoppio nella ripresa, con una punizione che sbatte contro la traversa, raddoppio che segnerebbe pure, se l’arbitro non annullasse per un dubbio fuorigioco. Ma va bene così, si va a Napoli ad affrontare Maradona, senza aver ancora subito gol nel corso del torneo, un record.
La Germania fa suo il quarto contro la Cecoslovacchia, che si difende ad oltranza, offrendo più calci che calcio. I tedeschi monetizzano un rigore trasformato da Matthäus nella prima mezzora, ma il loro successo non è mai messo in discussione. E veniamo all’unica gara che offre emozioni vibranti. Il Camerun mette alla corda gli inglesi per tutta la gara, ma paga la propria inesperienza. Platt batte N’Kono alla prima occasione, e serve l’ingresso di Milla nella ripresa, per far sognare i Leoni Indomabili. Al quarto d’ora si procura un rigore, trasformato da Kunde, e tre minuti dopo serve ad Ekeke la palla del clamoroso sorpasso. Ma quando la favola sembra poter avere un lieto fine, entra in scena l’orco cattivo, nelle vesti dell’implacabile Lineker. Il centravanti del Tottenham, tra lo scadere dei tempi regolamentari e del primo tempo supplementare, si procura due calci di rigore, mettendo a frutto tutta la sua malizia di uomo d’area, e li trasforma. L’Inghilterra, quindi, torna in una semifinale mondiale a distanza di 24 anni dalla vittoria di Wembley, mentre insieme al Camerun, tutta l’Africa rimette nel cassetto i sogni di una clamorosa rivincita.
LA GRANDE DELUSIONE – Alla fine, scremate via via tutte le possibili sorprese, le semifinali vedono protagoniste squadre che almeno una volta hanno già vinto il titolo. L’Italia, ironia del calendario, è costretta a sfidare l’Argentina di Maradona proprio nella sua Napoli, e Diego ne approfitta con le sue qualità di demagogo. Alla vigilia spinge i tifosi napoletani a tifare per lui anziché per l’Italia che “vi ignora per tutto l’anno e adesso vi chiede aiuto per sostenere la nazionale”. Un colpo da maestro, come quelli che sa offrire sul campo. Alla prova dei fatti, già dall’ingresso in campo agli azzurri manca l’apporto totale del pubblico, cosa che fin qui, a Roma, avevano sempre avuto. Unita alla fisiologica stanchezza e alla decisione di Vicini di togliere Baggio ripescando Vialli, ecco che tutto porta alla conclusione di una gara che si dipana senza acuti.
Eppure, ancora Schillaci sembra metterci sulla strada della finale, quando è lestissimo a spedire in rete una respinta di Goycoechea su conclusione di Vialli. Ma nella ripresa, un cross dalla sinistra di Olarticoechea pesca Caniggia in area. Complice l’uscita in ritardo di Zenga, al biondo attaccante del Verona basta sfiorare la palla per anticipare Ferri e scavalcarlo. Dopo più di 500 minuti finisce la nostra imbattibilità, e il colpo è destinato a farsi sentire. Solo l’entrata di Baggio, nella ripresa, ci regala qualche brivido. Nei supplementari, infatti, prima chiama Goycoechea ad uno splendido intervento per sventare una sua punizione e poi si procura l’espulsione di Giusti. L’ultimo quarto d’ora in superiorità numerica vive sul continuo ostruzionismo degli argentini, che riescono nel loro intento di arrivare nuovamente ai calci di rigore. Per l’Italia è la prima volta ai mondiali, mentre agli Europei avevamo già avuto un paio di delusioni. Lo spauracchio è Goycoechea, e le paure non si rivelano infondate. Fa le prove generali sfiorando il tiro di Baggio, ma le sue vittime si chiamano Donadoni e Serena. L’Argentina va alla seconda finale consecutiva, mentre in tutta Italia si versano lacrime amare.
Il giorno dopo, Germania e Inghilterra replicano in tutto e per tutto il risultato del San Paolo. Tedeschi avanti su punizione di Brehme, che si trasforma in una parabola beffarda sul tocco di Parker. Pareggio del solito Lineker, che avvicina Schillaci in classifica marcatori, a dieci minuti dal termine, con un preciso sinistro. Ai rigori segnano i primi sei, poi sbagliano prima Pearce e poi Waddle e la Germania vola in finale, a ripetere la sfida contro l’Argentina di quattro anni prima. Delusione per gli inglesi, che si giocano il terzo posto a Bari contro gli azzurri. Manca Gascoigne, squalificato, ma entrambi i CT danno spazio a molte seconde linee. Vicini ripropone la coppia Schillaci-Baggio, che nella ripresa sblocca il punteggio portando il panico nella difesa inglese. La conclusione vincente è di Baggio, e aumentano i rimpianti per quanto avrebbe potuto fare dall’inizio contro l’Argentina. Platt chiude il suo buon mondiale pareggiando di testa, ma alla fine è il sigillo di Schillaci su rigore, a fissare il 2-1 che regala a Totò la palma di capocannoniere. Si chiude con una splendida festa tra le due squadre, immagine rara e mai più vista a questi livelli.
VENDETTA TEDESCA – A Roma va dunque in scena la replica della finale di quattro anni prima. Allora l’Argentina era la grande favorita, su una squadra tedesca che aveva da poco iniziato una rifondazione, mentre adesso i ruoli sono ribaltati. La Germania ha mostrato grande compattezza, e sprazzi di buon gioco, finché la forma fisica l’ha sorretta, mentre gli argentini sono andati avanti più a spallate che altro, vincendo nei tempi regolamentari solo due gare sulle sei disputate. I primi a vendicarsi su di loro sono i tifosi italiani presenti all’Olimpico, che al momento dell’inno riversano su Maradona e compagni una censurabile selva di fischi ed insulti. Ci si mette poi la sorte, nelle vesti dell’arbitro messicano Codesal, che, dopo aver espulso giustamente Monzon, nega ai sudamericani un rigore per fallo su Dezotti. La finale più brutta della storia, degna conclusione di un torneo dove il difensivismo l’ha fatta da padrone, vive sull’incapacità dei tedeschi di superare il bunker avversario. Almeno fino a sei minuti dal termine, quando Sensini interviene su Vöeller al limite dell’area. Le proteste argentine sono inutili, Codesal fischia il rigore e Brehme, non facendosi incantare da Goycoechea, lo trasforma con un destro preciso. Il finale di gara è da dimenticare, con Dezotti espulso per una “cravatta” al collo di un avversario e Maradona ammonito per proteste tra gli applausi del pubblico. Finisce con i tedeschi in festa e gli argentini in lacrime, ma la vittoria è giusta, soprattutto per quanto fatto vedere durante tutto il corso del torneo. Beckenbauer si aggiunge a Zagalo tra coloro capaci di vincere un mondiale sul campo e da CT.
Lothar Matthäus – Personalità da vendere, come il “Kaiser” Beckenbauer che lo guida dalla panchina. Il leader della Germania di fine anni Ottanta esordisce in nazionale già a 19 anni, nell’Europeo vinto del 1980. Nella finale del 1986 si occupa, con successo, di francobollare
Maradona, ed è solo dopo il trasferimento dal Bayern all’Inter che ottiene il ruolo di fulcro del gioco. Dopo aver vinto lo scudetto dei record nel 1989, guida la sua nazionale al successo di Roma. Poi, la Coppa Uefa con i nerazzurri e il ritorno al Bayern dove, nel 1999, vive la più grande delusione della carriera, beffato dal Manchester United nella finale di Champions League. In nazionale gioca ancora i mondiali del 1994 e del 1998, chiudendo con il deludente Euro 2000.
Roma, 8 luglio 1990
Germania Ovest: Illgner, Berthold (73’ Reuter), Brehme, Augenthaler, Kohler, Buchwald, Littbarski, Hässler, Vöeller, Matthäus, Klinsmann.
Argentina: Goycoechea, Sensini, Lorenzo, Serrizuela, Ruggeri (46’ Monzon), Simon, Burruchaga (53’ Calderon), Troglio, Dezotti, Maradona, Basualdo.
Marcatore: 84’ Brehme(G)(rig).
Il 1994 è l’anno dello sbarco del grande calcio negli Stati Uniti. Sembra l’apertura di una nuova frontiera, ma non sarà così. Il “soccer” resterà uno sport di nicchia, oscurato dalle grandi passioni americane, football e basket su tutti. La FIFA vara nuove norme per fermare la deriva ostruzionistica che impera da qualche anno. Ci riuscirà in parte e alla fine il titolo andrà al Brasile non trascendentale di Romario, dopo la prima finale decisa ai calci di rigore contro l’Italia.
L’AVVENTO DI SACCHI – La grande delusione del mondiale casalingo, gettato al vento, lascia parecchi strascichi in casa azzurra. Vicini è confermato da Matarrese, ma fallisce malamente la qualificazione all’Europeo del 1992, preceduto da Urss e Norvegia, ed è costretto a lasciare il posto ad Arrigo Sacchi. Si tratta di un’autentica rivoluzione per il calcio italiano. Mai un allenatore di club nel pieno della sua carriera era stato chiamato, e pagato profumatamente, per guidare la nazionale. Sacchi porta con sé la sua cultura del lavoro e dell’assenza di individualità. Ne fanno le spese Vialli e Mancini, decisamente con personalità non adeguate al credo sacchiano, mentre Baggio si deve adeguare, salvando il posto solo grazie alla sua immensa classe, che lo porta al Pallone d’Oro nel 1993. La Svizzera ci complica il cammino di qualificazione, ma alla fine passiamo davanti a Portogallo e Scozia. Delle grandi, all’appuntamento mancano soprattutto Francia e Inghilterra. Per i galletti è un bis doloroso, con la sconfitta decisiva maturata in casa e all’ultimo minuto contro la Bulgaria. L’Inghilterra, invece, cede prima all’Olanda e poi alla sorpresa Norvegia, forza emergente di un calcio nordico che però non conta sulla presenza della Danimarca. Nulla di strano, vista l’unica partecipazione del 1986, se non fosse che i danesi due anni prima si erano clamorosamente laureati campioni d’Europa. Manca anche l’Uruguay, che però ormai fa poca notizia, mentre rischia grosso l’Argentina, travolta dalla Colombia e costretta allo spareggio contro l’Australia. Il ripescaggio di Maradona, però, accende i sogni degli argentini, che insieme a Brasile, Italia e Germania sono tra i favoriti.
AVANTI COL FIATONE – Il cattivo spettacolo offerto da Italia 90, a livello di gioco, induce la FIFA a modificare alcune regole per incrementare la voglia di vincere. Su tutte i tre punti a vittoria, ma anche il divieto per il portiere di prendere il pallone con le mani su retropassaggio e l’espulsione dell’estremo difensore per fallo sull’attaccante lanciato a rete. Come ormai consuetudine, la formula del primo turno regala ben poche sorprese. La più grande arriva dal gruppo A, quello dei padroni di casa. Cade, infatti, la Colombia, che col 5-0 sull’Argentina aveva illuso di poter essere la sorpresa del torneo. Va invece a mille la Romania, sospinta da un Hagi in formato gigante (il suo gol ai colombiani è quasi improbabile, nella sua bellezza). Gli Usa si accontentano del terzo posto dietro la Svizzera, battendo la Colombia con un autogol dello sfortunato Escobar, che al ritorno in patria pagherà con la vita quell’errore. Il Brasile fa suo il proprio girone senza patemi, davanti alla Svezia, con Romario che mette in mostra tutte le sue qualità di “Cobra”. Il pareggio nello scontro diretto taglia fuori le altre due avversarie, che si sfidano in una gara dal doppio record. La Russia, all’esordio dopo la dissoluzione dell’Urss, vince per 6-1 con cinquina di Salenko, che stabilisce il record di marcature in un solo match e diventa irraggiungibile per (quasi) tutti in classifica marcatori. La vittima è il Camerun, lontano parente di quello “italiano”. Il gol della bandiera, però, lo segna Milla a 42 anni, record di longevità. Poco sudore anche per Germania e Spagna. I tedeschi, finalmente uniti, esordiscono col minimo sforzo contro la Bolivia e faticano con gli spagnoli. Sofferto pure il successo sulla Corea del Sud, un segnale preoccupante.
Il gruppo D è quello di Maradona, prima ancora che dell’Argentina. Il Pibe si presenta in ottima forma e va a segno contro la Grecia all’esordio, con tanto di urlo a favore di telecamera che fa il giro del mondo. Dopo il bis con la Nigeria, però, viene trovato positivo all’antidoping per un dimagrante proibito. Scaricato malamente dalla federazione, da l’addio alle ribalte internazionali, mentre i compagni subiscono il colpo perdendo con la Bulgaria. Il passaggio del turno dietro a nigeriani e bulgari è comunque assicurato. L’Italia parte malissimo, sorpresa dal caldo e
dall’umidità. A New York incappa nella sconfitta contro l’Irlanda e si trova costretta a vincere con la Norvegia. L’espulsione di Pagliuca costringe Sacchi a togliere Baggio, e a salvarci dal precoce addio ci pensa l’altro Baggio, Dino, con un colpo di testa. Il pareggio finale col Messico porta tutte le squadre del girone a 4 punti. Alla fine siamo terzi, mentre a casa torna la Norvegia. Infine, nel gruppo F, col Marocco a fare da comparsa, le sorprese le regala l’esordiente Arabia Saudita, che si piazza seconda tra Olanda e Belgio, battendo questi ultimi con uno straordinario gol di Owairan.
SI SVEGLIA BAGGIO – L’apertura degli ottavi è affidata alla sfida “fisica” tra Germania e Belgio. Lo spettacolo non manca, già dai primi minuti, ma alla fine i tedeschi allungano sul 3-1, e solo nel finale i belgi si rifanno sotto. Senza storia la sfida tra Spagna e Svizzera. Gli iberici, freschi campioni olimpici, lanciano la loro sfida alle grandi potenze e puntano al ritorno in semifinale dopo quasi 50 anni. Il 3-0 è frutto anche della giornata no della difesa svizzera. Il giorno dopo cade la sorpresa Arabia Saudita, sotto i colpi della spietata coppia di arieti svedesi, formata da Dahlin e Kenneth Andersson. E cade l’Argentina, che orfana di Maradona non sa reagire. La Romania la affonda con le giocate di Dumitrescu e Hagi e nulla possono gli “italiani” Batistuta e Balbo. All’Olanda basta un tempo per fermare la corsa dell’Irlanda. Le reti di Bergkamp e Jonk mandano a casa i verdi, che terminano così il loro ciclo magico iniziato con l’Euro 88. Contro gli entusiasti padroni di casa, il Brasile soffre più di un’ora per sbloccare il punteggio. Romario inventa e Bebeto conclude con un diagonale mortifero. I verdeoro erano in dieci per l’espulsione di Leonardo, per una brutta gomitata che gli costerà la squalifica per tutto il resto del torneo.
Dopo un botta e risposta iniziale, Bulgaria e Messico si danno appuntamento ai calci di rigore, in una gara passata alla storia per la sostituzione di una porta. I messicani ne realizzano uno su quattro e vanno a casa, mentre la Bulgaria di Stoichkov entra per la prima volta tra le prime otto squadre al mondo. Infine, l’Italia affronta a Boston la Nigeria, sensazionale all’esordio in un mondiale. Andiamo sotto dopo nemmeno mezzora, con una rete in mischia di Amunike, poi l’arbitro espelle senza alcun motivo Zola e sembra finita. A farci scendere dalla scaletta dell’aereo e Roberto Baggio, che da ufficialmente inizio al suo mondiale a due minuti dal termine. Sull’ultimo affondo di Mussi centra l’angolino con un piatto che ricorda quello di Rivera a Messico 70. Nel primo tempo supplementare, poi, inventa per lo scatenato Benarrivo, che viene affossato in area e si guadagna il rigore. La trasformazione del “codino” è da brividi, col pallone che incoccia sul palo interno ed entra. Siamo ancora in corsa, ma con un dispendio di energie destinato ad essere pagato più avanti.
FUORI I CAMPIONI – Per la prima volta, il Vecchio Continente porta ben sette squadre su otto ai quarti di finale, in un torneo giocato lontano dall’Europa. L’unica “intrusa” è il Brasile, che apre il programma dando vita ad una gara spettacolare contro l’Olanda, forse la più bella del mondiale. Le polveri si accendono nella ripresa, coi brasiliani all’arrembaggio e sul doppio vantaggio coi soliti Romario e Bebeto. Bergkamp riporta subito in corsa gli olandesi, che trovano coraggio e pareggiano con Winter. Ma una bomba su punizione di Branco, con velo di Romario, stende definitivamente i tulipani. Poi tocca all’Italia, provata dai 120 minuti con la Nigeria. La Spagna è una squadra sparagnina e nel primo tempo ci lascia l’iniziativa. Una bomba di Dino Baggio apre le marcature e sembra aprire le porte di un successo agevole. Nella ripresa, però, le energie finiscono, gli spagnoli diventano più pericolosi e pareggiano con una conclusione di Caminero deviata da Benarrivo. È il momento più difficile del match. Salinas spreca un’occasione d’oro per ribaltare il risultato, ma ancora una volta, a due minuti dal termine, entra in scena Roberto Baggio. Contropiede classico in due tocchi, da Berti a Signori e da questi, in semirovesciata, a Baggio, che scarta Zubizarreta e, pur allargandosi, riesce a insaccare evitando l’ultimo disperato intervento di Abelardo. Siamo di nuovo in semifinale, a quattro anni di distanza, mentre per la Spagna è l’ennesima delusione.
In semifinale ci aspettiamo di trovare la Germania, e invece arriva a sorpresa la Bulgaria. I campioni in carica sono ormai logori, dopo anni sempre ad alti livelli, eppure passano in vantaggio ad inizio ripresa, con un rigore trasformato da Matthäus. L’ultimo quarto d’ora, però, segna il loro capolinea. Stoichkov pareggia con una punizione che si infila nel sette, e tre minuti dopo Lechkov
aziona la freccia con un bel colpo di testa in tuffo. Alla prima storica qualificazione della Bulgaria tra le prime quattro non fa seguito quella dell’altra nazionale dell’est europeo, che aveva festeggiato il primo mondiale dopo la caduta del Muro con un risultato a sorpresa. Opposta alla Svezia, la Romania rimonta in extremis la rete di Brolin con Raducioiu, che poi fa sognare i suoi ai supplementari. Ma stavolta sono gli svedesi ad agguantare il pari nel finale. Ai rigori la Svezia deve rincorrere tutto il tempo, dopo l’errore di Mild, ma alla fine diventa protagonista il portiere Ravelli, che para il tiro di Petrescu, mette sotto pressione gli avversari e si ripete su Belodedici riportando gli scandinavi in semifinale, a distanza di quasi 40 anni dalla finale casalinga del 1958.
BRILLANO BAGGIO E ROMARIO – Le due semifinali hanno due protagonisti che più attesi non potrebbero essere. Indicati già alla vigilia del torneo come i due giocatori più in vista, finora Baggio e Romario non hanno tradito le attese trascinando le loro squadre, e adesso sono chiamati all’ultimo impegno contro le sorprese del mondiale. Apre l’Italia contro l’incredibile Bulgaria di Stoichkov, rientrato in corsa per la classifica marcatori e ad un gol da Salenko. Gli azzurri sono superiori e il primo tempo lo dimostra. Baggio infila due volte Mihailov con una rete più bella dell’altra e prima Albertini e poi Donadoni vanno vicini ad arrotondare il punteggio. Proprio quando sta per arrivare l’intervallo, però, i bulgari si guadagnano un rigore che Stoichkov trasforma, diventando capocannoniere al pari di Salenko. La ripresa vive sugli stentati attacchi della Bulgaria, ben controllata dalla difesa italiana. Si va in finale a dodici anni di distanza da Madrid, dunque, ma la festa è turbata da un infortunio patito da Baggio, che lo costringe a lasciare anticipatamente il campo e lo mette in dubbio per l’atto conclusivo.
A Los Angeles, che sarà teatro della finalissima, Brasile e Svezia danno vita ad una replica decisamente meno spettacolare della finale del 1958. Il pallino del gioco è costantemente nei piedi dei brasiliani, che peccano di precisione al tiro, mentre la Svezia appare stanca, dopo l’intenso quarto con la Romania. Quando poi gli scandinavi restano in dieci per l’espulsione di Thern il loro destino sembra segnato e si compie puntualmente a dieci minuti dal termine. Il terzino destro Jorginho scende come suo solito sulla fascia e crossa al centro dove Romario, da “cobra” qual è, riesce a trovare il tempo per beffare i più alti difensori avversari incornando di testa. L’1-0 è sufficiente per riportare il Brasile alla finale mondiale, a 24 anni di distanza dall’ultima, vinta proprio contro l’Italia. La Svezia trova il modo di consolarsi con un perentorio 4-0 nella finalina con la Bulgaria, che ha l’unico obiettivo, fallito, di far segnare il settimo gol a Stoichkov, per farlo diventare capocannoniere solitario.
RIGORI E LACRIME – Gli oltre 30 gradi di Los Angeles, con la gara giocata a mezzogiorno per assurde esigenze televisive, fanno facilmente intuire che non sarà una finale spettacolare. Le due squadre, comunque, non amano i ritmi elevati e ne esce un primo tempo discreto, col Brasile che si fa preferire nella costruzione del gioco. Nell’Italia è rientrato a tempo di record Baresi, operato al menisco meno di un mese prima, dopo l’infortunio con la Norvegia, e c’è anche Baggio, che non vuole mancare all’appuntamento decisivo nonostante non sia al meglio. Pagliuca è impegnato prevalentemente su tiri da fuori, prima di Branco e poi di Romario, mentre noi pungiamo in contropiede con Massaro, che trova il varco giusto ma si vede respingere da Taffarel la sua puntata di destro. Entrambe le squadre devono effettuare un cambio per problemi fisici. Tocca prima ai verdeoro, che mandano in campo Cafu (alla prima di tre finali consecutive) per Jorginho, mentre noi dobbiamo fare a meno di Mussi, rimpiazzato da Apolloni. Nella ripresa la fatica si fa sentire e lo spettacolo ne risente ulteriormente. Il brivido maggiore arriva su conclusione dalla distanza di Mazinho che Pagliuca non trattiene. Il pallone rimbalza pericolosamente davanti alla linea, prima di toccare il palo e tornare tra le braccia del portiere, che ringrazia il montante con un bacio. La replica è affidata a Baggio, ma la sua girata finisce malamente a lato. Non succede altro e i supplementari sono l’ovvia conclusione. La mezzora di tempo extra vede prima Bebeto mancare una grossa occasione, su un’uscita avventata di un Pagliuca irriconoscibile, poi Baggio chiamare Taffarel alla deviazione in angolo con una girata da fuori area. Infine, l’ultimo brivido, quando Cafu scende a
destra e mette in mezzo dove Romario, complice un’altra mancata uscita di Pagliuca, gira verso la porta sguarnita, ma manda di pochissimo a lato, mentre Apolloni prova il disperato intervento in scivolata.
Alla fine lo 0-0 resta invariato e per decidere i nuovi campioni del mondo sono necessari, per la prima volta, i calci di rigore. Cominciamo subito male, con Baresi che spara alto sulla traversa, ma Pagliuca si riabilita parando la conclusione di Marcio Santos. Albertini ed Evani per noi, Romario e Branco per loro, non sbagliano e tocca a Massaro. La conclusione dell’attaccante del Milan, debole e centrale, è una manna per Taffarel, che respinge senza problemi. La fredda realizzazione del capitano brasiliano Dunga costringe Baggio a segnare a tutti i costi per tenere in piedi l’Italia. L’importanza del momento fa credere al nostro “codino” che il pallone abbia chissà che peso e col tiro che manda la sfera ben al di là della traversa di Taffarel si decide il mondiale. Il Brasile è “tetracampeão” e, mentre Dunga alza la Coppa del Mondo, le lacrime di Baresi, confortato da Gigi Riva, restano impresse nella mente di chi assiste dall’Italia.
Romario de Souza – Si vanta di aver segnato più di 1000 gol, comprese però anche gare non ufficiali, ma resta comunque il più letale attaccante dei primi anni Novanta. Dopo gli inizi al Vasco da Gama passa al PSV e in cinque anni segna quasi 100 gol, guadagnandosi l’ingaggio al Barcellona. In due anni vince una Liga, poche settimane prima del trionfo mondiale. Un’altra stagione al Valencia e poi un lungo girovagare, complice un carattere ben poco malleabile, che gli pregiudica anche la partecipazione al suo terzo mondiale, nel 1998, dopo che nel 1990 aveva lasciato poche tracce.
Los Angeles, 17 luglio 1994
Brasile: Taffarel, Jorginho (21’ Cafu), Branco, Mauro Silva, Aldair, Marcio Santos, Mazinho, Dunga, Romario, Zinho (105’ Viola), Bebeto.
Italia: Pagliuca, Mussi (35’ Apolloni), Benarrivo, Albertini, Maldini, Baresi, Donadoni, D. Baggio (95’ Evani), Massaro, R. Baggio, Berti.
Rigori: Baresi(I)alto, Marcio Santos(B)parato, Albertini(I)0-1, Romario(B)1-1, Evani(I)1-2, Branco(B)2-2, Massaro(I)parato, Dunga(B)3-2, R. Baggio(I)alto.
A 20 anni di distanza dall’ultima volta, la Coppa del Mondo premia l’organizzatrice del torneo e una squadra inedita. La prima volta della fase finale a 32 squadre è una precisa scelta della FIFA di Blatter, per dare maggiore visibilità alle nazioni dei continenti secondari. Mentre, a cercare di migliorare lo spettacolo, esordisce il golden gol, che ha già deciso l’Euro 96. Andrà ben diversamente.
RITORNO ALL’ANTICO – Il titolo di “vicecampione del mondo”, col quale Sacchi si fregia all’indomani dell’amara finale di Pasadena, viene presto dimenticato. Questo alla luce del deludente Europeo del 1996, nel quale gli azzurri escono al primo turno dopo aver illuso i propri tifosi. Affidata ad un tecnico federale come Cesare Maldini, che con l’Under 21 ha collezionato successi in serie, l’Italia si guadagna la qualificazione soltanto allo spareggio. La vittima è la Russia, ma resta qualche perplessità per come è stato sciupato il vantaggio accumulato sull’Inghilterra dopo lo storico successo di Wembley, firmato Zola. Anche per questo motivo non partiamo tra i favoriti, che sono su tutti il Brasile e la Francia padrona di casa. I verdeoro possono contare su Ronaldo, il fuoriclasse di fine decennio, che arriva da due grandi stagioni con Barcellona e Inter. La Francia, oltre al fattore campo, guarda con speranza a Zinedine Zidane, il suo faro, che sia all’Euro 96 che in maglia juventina si è dimostrato fuoriclasse di livello assoluto. L’Euro 96, che ha visto la delusione dei padroni di casa inglesi, è stato vinto dalla Germania, resuscitata dopo un mondiale da dimenticare e tornata a reclamare un ruolo da protagonista. La stessa Inghilterra, oltre all’Argentina e appunto all’Italia formano le seconde linee di favorite. Nonostante l’aumento delle partecipanti, non mancano le sorprese. Oltre all’ormai cronica crisi dell’Uruguay, vanno citate le deludenti Repubblica Ceca (seconda all’Europeo) e Portogallo (incapace di sfruttare una generazione di talenti).
TRAGEDIA SPAGNOLA – Con 32 partecipanti divise in 8 gironi, passano solo le prime due, quindi abolendo i ripescaggi di alcune terze che nelle precedenti edizioni avevano fatto discutere. Apre il Brasile, regalando spettacolo con Scozia e Marocco, prima di cedere in rimonta, col primo posto ormai assicurato, alla Norvegia. Un successo fondamentale per i vichinghi, che solo a due minuti dal termine segnano la rete che permette loro di scavalcare un sorprendente Marocco, nel frattempo dilagante contro una Scozia inguardabile. L’Italia parte male, agguantando il pareggio col Cile solo nel finale, grazie ad un rigore che il ripescato Baggio si procura e trasforma. Poi travolge il Camerun e supera una deludente Austria senza troppa fatica. I problemi, per Maldini, vengono dal dualismo che ormai si è creato tra Del Piero, che rientra da un infortunio, e lo stesso Baggio, decisamente più in forma ma penalizzato nelle gerarchie ormai formate all’interno della squadra. Dietro gli azzurri si qualifica il Cile, con tre pareggi, anche grazie all’arbitro che nella sfida decisiva col Camerun annulla agli africani il gol del possibile sorpasso. I padroni di casa della Francia vincono a punteggio pieno, pur destando qualche perplessità. Soprattutto in Zidane, che si fa espellere stupidamente contro l’Arabia, mentre brilla la stella del giovane Henry, autore di tre reti. Alle spalle dei galletti ecco la Danimarca, mentre l’esordiente Sudafrica delude e gli arabi si dimostrano lontani dai livelli di quattro anni prima. Il gruppo D è quello della grande sorpresa. La Spagna, che arrivava con discrete ambizioni, si suicida all’esordio con la Nigeria, complice un clamoroso errore di Zubizarreta. Poi non riesce a superare il Paraguay e a nulla serve la goleada con l’impresentabile Bulgaria, perché il Paraguay batte la Nigeria, sicura del primo posto, e conquista gli ottavi di finale.
Delude in parte l’Olanda, che vince il girone battendo solo la Corea del Sud. Alle sue spalle il Messico, che precede un Belgio ormai decadente grazie alla rimonta da 2-0 a 2-2 nello scontro diretto. I campioni d’Europa della Germania vincono il loro girone davanti alla Jugoslavia, che fa il suo ritorno nel calcio che conta dopo la sanguinosa guerra che l’ha squassata nei primi anni Novanta. Il girone è anche quello della sfida tra Stati Uniti e Iran, che va decisamente al di là di un
campo da calcio. Vincono gli iraniani, che festeggiano così doppiamente la loro seconda apparizione dopo quella di venti anni prima. Tanta fatica per l’Inghilterra, nel suo girone, del quale non è nemmeno testa di serie. La Romania tiene fede al suo ruolo battendo gli inglesi e piazzandosi al primo posto. Per i bianchi è decisivo il successo nello scontro diretto con la Colombia, con una splendida punizione di Beckham, mentre si mette in luce un ragazzino di nome Owen. L’Argentina sfrutta un Batistuta caricato a molla per primeggiare a punteggio pieno nel girone delle debuttanti. Alle sue spalle si classifica facilmente seconda la Croazia dei piedi buoni, mentre la sfida tra cenerentole va alla Giamaica, che vince la sfida col Giappone.
POCHE SORPRESE – L’Italia apre gli ottavi di finale eliminando la Norvegia nel caldo di Marsiglia. Decide Vieri già nel primo tempo, ma la partita resta nella mente per il riscaldamento “inflitto” da Maldini a Baggio, senza poi farlo scendere in campo. Al solito, ci creiamo polemiche anche quando va tutto bene. In serata il Brasile ha vita facile nel derby sudamericano col Cile. Eroe della serata è César Sampaio, in rete già con la Scozia, che apre la scatoletta cilena con una doppietta. La Francia suda le classiche sette camicie per avere la meglio sull’incredibile Paraguay di Chilavert. Il portiere goleador guida i suoi alla resistenza fino a 5 minuti dai rigori, ma si deve arrendere a Blanc, che segna il primo golden gol della storia dei mondiali. “Sudden death”, morte istantanea. La Francia balla di gioia, mentre i sudamericani piangono e il loro capitano li rincuora. Clamoroso il tonfo della Nigeria, al cospetto della Danimarca. Trascinati dai fratelli Laudrup, gli scandinavi passano come rulli compressori sull’abborracciata difesa africana vincendo con un sonante 4-1. Non è la Danish Dynamite del 1986, ma il Brasile comincia a temerla.
La Germania ringrazia ancora l’eroe dell’Euro 96, Bierhoff, che completa la rimonta sul Messico a cinque minuti dal termine. Ma i tedeschi denunciano limiti inaspettati. Ancora più avventuroso il successo dell’Olanda sulla Jugoslavia. Orange avanti con Bergkamp, sempre più leader, raggiunti a inizio ripresa ma capaci di far loro la gara in pieno recupero con una bomba di Davids. Alla Croazia basta un rigore di Suker per battere la favorita Romania e volare nei quarti, mentre Argentina e Inghilterra regalano i 45 minuti più spettacolari del torneo. Il primo tempo, infatti, finisce 2-2, con botta e risposta su rigore tra Batistuta e Shearer, prima del gol più bello del torneo, messo a segno da Owen e del definitivo pareggio di Zanetti. Poi tanto nervosismo, tra due squadre che non si amano, l’espulsione di Beckham e la lotteria dei rigori. Crespo manda in crisi i sudamericani, ma Ince lo imita subito dopo. Alla fine è decisivo l’errore di Barry.
ANCORA I RIGORI – Il 3 luglio la Francia si ferma. Ci si gioca la semifinale contro gli amati- odiati vicini dell’Italia. Maldini teme moltissimo Zidane, anche se finora lo juventino ha fatto vedere ben poco. In ogni caso decide di destinargli Pessotto in marcatura, togliendo di fatto un uomo al centrocampo e consegnando le chiavi del gioco ai padroni di casa. Come previsto la Francia fa la partita, ma denuncia quei limiti in zona gol che già erano emersi contro il Paraguay. Noi proviamo a rispondere affidandoci a Vieri, scarsamente assistito da un Del Piero irriconoscibile. L’entrata di Baggio nella ripresa ci rianima un po’, ma solo nei supplementari spaventa lo Stade de France, con una girata che termina pochissimo a lato. Ai rigori, Lizarazu ci illude, ma Albertini sbaglia subito dopo e, proprio all’ultimo della serie di cinque, Di Biagio centra la traversa e ci manda a casa. Terzo mondiale di fila perso dagli undici metri, la maledizione continua. Poche ore dopo Brasile e Danimarca regalano ben altro spettacolo. I danesi passano subito con Jorgensen. Subiscono il ritorno degli avversari, trascinati da un grande Rivaldo, ma hanno la forza di segnare il 2-2. Alla fine, però, ancora Rivaldo promuove i verdeoro con una botta da fuori. Non sono da meno, in quanto ad emozioni, gli altri due quarti. Olanda ed Argentina partono a razzo, con un botta e risposta nei primi venti minuti. Poi sembrano trascinarsi verso i supplementari, quando Bergkamp inventa una magia ad un minuto dal termine. L’Olanda torna in semifinale 20 anni dopo l’ultima volta, quando perse il titolo proprio contro gli argentini. In serata la Germania crolla fragorosamente, al cospetto dell’incredibile Croazia, semifinalista all’esordio. Il 3-0 matura
nei minuti finali, ma desta comunque grande impressione. Soprattutto nei francesi, che adesso si troveranno di fronte questa mina vagante nel cammino verso la loro prima finalissima.
THURAM EROE PER CASO – Il mondiale, che si è rivelato decisamente più divertente degli ultimi due, non delude le attese nemmeno per le semifinali. Il Brasile ha la meglio sull’Olanda soltanto ai rigori, dopo che Kluivert aveva pareggiato nel finale la rete di Ronaldo. Decisive le parate di Taffarel su Cocu e Ronald De Boer. Per il Brasile è la seconda finale consecutiva, per l’Olanda la conferma, dopo l’Euro 96, che esistono squadre non adatte a questa roulette. Italia e Inghilterra concordano. Come previsto, la Croazia mette alla corda la favoritissima Francia, in uno Stade de France gremitissimo. Il gol di Suker ad inizio ripresa manda nel panico un intero Paese, ma nel momento più difficile del suo mondiale, la Francia trova un eroe inaspettato. Un minuto dopo, infatti, Thuram, terzino sinistro con velleità offensive, ruba palla davanti all’area croata, scambia con Djorkaeff e fredda il portiere avversario con un piatto destro. Passano venti minuti e il difensore del Parma si ripete. Beffa Jarni e scarica un sinistro a giro imprendibile. Risultato ribaltato con gli unici gol segnati in nazionale nel corso di una carriera lunghissima, che lo porterà a diventare recordman di presenze. Per la Croazia una grande delusione, mitigata parzialmente nella bella finale per il terzo posto, vinta contro l’Olanda con due perle di Prosinecki e Suker, che raggiunge quota sei reti e si laurea capocannoniere del torneo.
LE TESTATE DI ZIDANE – L’immediata vigilia della finalissima è turbata da un giallo che scuote il ritiro brasiliano. Ronaldo, in camera d’albergo con Roberto Carlos, si sente male. Viene scosso da convulsioni, rischia di strozzarsi con la sua stessa lingua. Soccorso dai medici della squadra, viene portato all’ospedale per accertamenti, e da lì dimesso due ore prima della partita. Tutto questo mentre nessuno avverte il CT Zagalo, addormentato in camera sua. Alle 20, un’ora prima del match, nelle formazioni ufficiali il Fenomeno non compare. Alle 21, quando le squadre scendono in campo, lui c’è. C’è fisicamente, almeno, perché saranno 90 minuti di lenta agonia. Il mistero sul perché sia sceso in campo nonostante poche ore prime abbia rischiato di morire resterà insoluto, anche se tutti gli indizi portano alla Nike, sponsor suo e della squadra, che per nulla al mondo si sarebbe privata del suo uomo simbolo nel giorno più importante.
La gara è comunque a senso unico. La Francia, trascinata dal pubblico di casa, approfitta di un Brasile sotto shock per prendere subito in mano la gara. Non sente nemmeno l’assenza del suo leader carismatico Blanc, espulso ingiustamente in semifinale. Per allungare, però, ha bisogno dell’apporto del suo fuoriclasse Zidane, che proprio all’ultimo atto decide di diventare protagonista di un torneo giocato in tono minore. Lo fa nella maniera più inattesa, con due colpi di testa su calcio d’angolo che portano i galletti sul due a zero già nel primo tempo. Zagalo prova a rispondere mandando in campo Edmundo come terza punta, ma non c’è nulla da fare. La reazione brasiliana nella ripresa scivola addosso alla difesa francese come pioggerella e anzi, a tempo scaduto, Petit corona il suo grande mondiale col tre a zero finale. Un successo netto e meritato, per quanto visto in finale, col rammarico di aver assistito ad un monologo e non ad una recita completa.
Zinedine Zidane – Lungi dal farsi schiacciare dal peso dell’eredità di Platini, anche se come fisico non ricorda per nulla “Le Roi”, riesce nell’impresa di superare il maestro in quanto a successi con la maglia dei Bleus. Il mondiale del 1998 porta la sua firma di testa (quasi un presagio) mentre all’Euro 2000 si limita a trascinare la squadra in finale, dove non brilla. Dopo gli inizi nel Cannes arriva alla celebrità col Bordeaux, ma per vincere si trasferisce alla Juventus. Due campionati e la Coppa Intercontinentale, ma anche due finali perse di Champions League. Si rifarà col Real Madrid, segnando il gol decisivo in finale nel 2002. La macchia della testata a Materazzi, che gli costa
l’espulsione nella finalissima del mondiale tedesco del 2006, è un brutto colpo per la sua immagine, ma non si può negare che a cavallo tra vecchio e nuovo millennio sia stato il giocatore simbolo.
St. Denis, 12 luglio 1998
Francia: Barthez, Thuram, Lizarazu, Deschamps, Leboeuf, Desailly, Karembeu (56’ Boghossian), Petit, Guivarc’h (66’ Dugarry), Zidane, Djorkaeff (74’ Vieira).
Brasile: Taffarel, Cafu, Roberto Carlos, César Sampaio (75’ Edmundo), Aldair, Junior Baiano, Leonardo (46’ Denilson), Dunga, Ronaldo, Rivaldo, Bebeto.
Marcatori: 27’ Zidane(F), 45’ Zidane(F), 92’ Petit(F).
Il primo mondiale del nuovo millennio è anche il primo disputato in Asia. Si rompe, dunque, il botta e risposta tra Europa e America che durava da 70 anni. Ma non la sola novità, perché per la prima volta il torneo si disputa sui campi di due Paesi contemporaneamente. L’epilogo è inedito, ma nel solco della tradizione. Le finaliste Brasile e Germania, infatti, non si sono mai affrontate prima, ma sommano nel loro palmares sette titoli mondiali.
CAMPIONI SPOMPATI – Fallita la Controriforma che aveva riportato un tecnico federale sulla panchina della nazionale, gli azzurri vengono affidati a una leggenda vivente come Dino Zoff, che bene ha fatto alla guida di Juventus e Lazio. L’Euro 2000 è insieme esaltante e drammatico, con la finale persa al golden gol contro la Francia, dopo aver visto sfumare la vittoria in pieno recupero. All’indomani della gara, Zoff rassegna le dimissioni, in polemica con le critiche piovutegli addosso da Berlusconi. Spazio, quindi, ad un altro mostro sacro delle panchine, Giovanni Trapattoni. La qualificazione arriva senza affanno e l’Italia si presenta all’appuntamento tra le favorite, dietro la sola Francia, campione del mondo e d’Europa in carica. Altre squadre attese ad un buon torneo sono l’Argentina, la Spagna e l’Inghilterra, che ha maramaldeggiato in casa della Germania, poi qualificatasi allo spareggio. Chi ha fatto più fatica è stato di certo il Brasile, solo quarto nel girone sudamericano e in dubbio fino all’ultimo. L’unica grande assente, dunque, è l’Olanda, sopravanzata da Portogallo e Irlanda, che tornano a farsi vive dopo un’assenza che per i lusitani durava dal 1986. Ma le polemiche maggiori sorgono per via delle massacranti stagioni alle quali sono sottoposti i migliori giocatori con le maglie dei club. Alla vigilia, infatti, la Francia perde Pires e ha Zidane in non perfette condizioni, così come non sono al meglio i nostri Totti e Vieri. L’Inghilterra deve fare a meno di Gerrard, con Beckham reduce da una frattura al piede, e il Brasile ha anch’esso i suoi problemi, con Ronaldo e Rivaldo, oltre a Emerson, infortunatosi durante il ritiro.
DUE GRANDI IN MENO – Come ad Italia 90, la sorpresa più grande arriva fin dalla gara inaugurale. La Francia, priva di Zidane, è come accecata e il Senegal, all’esordio, porta a casa un successo storico. I galletti scivolano velocemente verso l’eliminazione, arrivata senza segnare nemmeno un gol e con un solo punto, conquistato contro l’Uruguay. Al primo posto c’è la Danimarca, che sbaglia raramente e sfrutta appieno un Tomasson in forma smagliante. Dietro di loro i senegalesi, che all’ultimo turno si fanno raggiungere dall’Uruguay sul 3-3, dopo il 3-0 del primo tempo. Nessun problema per la Spagna, che vince il proprio girone a punteggio pieno. Vince dunque anche all’esordio, come non le capitava dal 1950. Alle sue spalle si qualifica il Paraguay allenato da Cesare Maldini, che conquista gli ottavi a cinque minuti dal termine della gara con l’eliminata Slovenia, mentre il Sudafrica non riesce a strappare un punto alle riserve spagnole. Tutto facile anche per il Brasile, che arriva al mondiale con molti dubbi. Le uniche difficoltà, comunque, i verdeoro le incontrano con la Turchia, battuta con aiuti arbitrali. Cina e Costarica non oppongono alcuna resistenza, così i turchi possono festeggiare gli ottavi, alla loro seconda partecipazione dopo quella del 1954. Il lato “coreano” del tabellone si chiude col girone dei padroni di casa, che sorprendono fin dall’esordio. Il successo contro la Polonia è il primo, per la Corea del Sud, in una fase finale. Seguiranno il pari con gli Usa e un’altra vittoria, importantissima, col Portogallo. I lusitani, grandi delusi del girone, cedono dunque la seconda piazza proprio agli statunitensi, che li avevano battuti nella prima gara e che si permettono pure il lusso di perdere malamente con l’opaca Polonia.
La Germania parte dilagando per 8-0, maggior vittoria “mondiale” dei tedeschi, sulla malcapitata Arabia Saudita. In grande spolvero Klose, che terminerà il girone con cinque reti, candidandosi al titolo di capocannoniere. Il secondo posto lo conquista l’Irlanda, che sfrutta la sua storica abilità difensiva per strappare il punto decisivo proprio contro i tedeschi e condannare all’eliminazione il Camerun. Nel “girone della morte”, come viene ribattezzato il gruppo F, l’Argentina testa di serie parte bene, superando la Nigeria con la rete di Batistuta, ma poi incappa nella sconfitta con
l’Inghilterra, nella gara più attesa della prima fase. Ai sudamericani tocca battere la Svezia, per scavalcarla in classifica, e invece si ritrova sotto a inizio ripresa, riuscendo solo a pareggiare nel finale. Saluta il torneo un’altra protagonista, dunque, dopo Francia e Portogallo, mentre gli inglesi si accontentano del secondo posto impattando a reti bianche con i nigeriani. Così come i coreani, anche i giapponesi esaltano i loro tifosi. Dopo il pareggio col Belgio, i successi con Russia e Tunisia (i primi in una fase finale) valgono loro il primo posto del girone e lo storico passaggio agli ottavi. Alle loro spalle il Belgio, che nella gara decisiva riesce a battere e scavalcare una Russia troppo rinunciataria. Infine l’Italia, che parte bene battendo per 2-0 l’esordiente Ecuador con una doppietta di Vieri. Nel frattempo il Messico supera di misura la Croazia e si candida come damigella degli azzurri. Al secondo turno, però, mentre i messicani si ripetono eliminando dai giochi l’Ecuador, l’Italia si fa ribaltare dalla Croazia il vantaggio iniziale di Vieri. Ora bisogna battere il Messico per avere la certezza degli ottavi, ma sono invece i centroamericani a colpire per primi, costringendoci alla rincorsa, completata dal subentrato Del Piero. Per nostra fortuna l’Ecuador batte la Croazia e ci salva da una clamorosa eliminazione. Il secondo posto, però, ci proietta direttamente nella tana del lupo coreano.
UNA NUOVA COREA – Gli ottavi si aprono con una partita da dimenticare quanto prima. Il Paraguay imposta la gara con la Germania con l’unico obiettivo di arrivare imbattuto ai calci di rigore. Così come quattro anni prima, però, alla fine si deve arrendere. Il giustiziere stavolta è Neuville, a due minuti dal novantesimo. Sorprende l’esito della sfida tra Danimarca e Inghilterra, soprattutto per la portata del successo inglese. I danesi, che fin qui avevano ben impressionato, vengono traditi dal loro portiere Sorensen, inguardabile su almeno due dei tre gol avversari che già nel primo tempo chiudono la pratica. Il giorno dopo, il Senegal eguaglia il Camerun di Italia 90 qualificandosi ai quarti. La Svezia si fa preferire nei minuti iniziali, ma poi viene sfiancata dal caldo ed esce fuori la migliore tenuta atletica degli africani, con Henri Camara che prima pareggia e poi sigla il primo golden gol del torneo. Tanta fatica, come previsto, per la Spagna, chiamata a sbarazzarsi dell’Irlanda. Mendieta illude subito le Furie Rosse, raggiunte allo scadere su rigore. Ed è proprio ai rigori che riescono ad avanzare, in una sagra dell’errore nella quale si esalta Casillas, che dopo averne parato già uno nei tempi regolamentari si ripete altre due volte. La realizzazione decisiva, alla fine, è di Mendieta.
Terza giornata degli ottavi con un doppio 2-0. Nel derby nordamericano, gli Stati Uniti hanno la meglio sul Messico sfruttando la loro abilità di rimessa, anche se gli avversari reclamano su un rigore negato. Il Brasile soffre un’ora contro il Belgio, al quale viene pure annullato un gol apparso regolare. Alla fine, però, si affida ai suoi due uomini migliori, Rivaldo e Ronaldo, finora a segno entrambi in tutte le gare disputate. Tocca poi alle padrone di casa. Il Giappone cade contro una Turchia implacabile, alla quale basta la rete di Umit Davala in avvio per lanciarsi nei quarti. La Corea “ospita” l’Italia a Daejeon, in uno stadio infuocato. Pronti via, e l’ecuadoriano Moreno ci fa subito intendere che non sarà semplice, regalando un rigore ai coreani. Buffon si supera su Ahn, e quando, poco dopo, Vieri porta in vantaggio i nostri, sembra che il peggio sia passato. Nella ripresa, però, Hiddink inizia a buttare dentro un attaccante dietro l’altro, costringendoci sulla difensiva. Perdiamo per infortunio Zambrotta, rimpiazzandolo con Di Livio, ma abbiamo due buone occasioni in contropiede, non sfruttate da Vieri e Totti. A tre minuti dal termine, però, un rimpallo su Panucci fa terminare la palla sul sinistro di Seol, che scocca un tiro imparabile per il clamoroso pareggio. Nei supplementari Moreno si inventa l’espulsione di Totti ma, pur in dieci, sono gli azzurri ad avere le occasioni migliori. Fino, nuovamente, a due minuti dal termine, quando Ahn insacca di testa su un traversone dalla sinistra. Dopo tre eliminazioni ai rigori, l’Italia esce al golden gol, che già ci aveva fatto male all’Europeo.
COREA, PER FORZA – Dopo la sbornia coreana si riparte con una classica, tra Brasile e Inghilterra. Il miglior attacco del torneo, quello brasiliano, soffre per tutto il primo tempo contro la miglior difesa, quella inglese. Sono anzi proprio i bianchi a passare in vantaggio, quando Owen
sfrutta uno svarione di Lucio per freddare Marcos. Proprio a pochi istanti dall’intervallo, però, Ronaldinho prende palla a centrocampo, avanza fino all’area di rigore spargendo il panico intorno a sé e serve Rivaldo, che con un sinistro chirurgico pareggia. Ad inizio ripresa si decide il match, quando Seaman si addormenta su una punizione dalla trequarti di Ronaldinho. La parabola che termina nell’angolino lo trova troppo lontano dai pali. Nemmeno l’espulsione dello stesso Ronaldinho scompone il Brasile, che si difende con ordine e porta a casa la nona semifinale della sua storia. Alla Germania, messa in difficoltà dagli Stati Uniti per la prima mezzora, basta un colpo di testa di Ballack per tornare tra le prime quattro dopo due mondiali di assenza ed eliminare la prima delle sorprese del torneo, che protestano per un possibile rigore nella ripresa.
Tocca poi alla Spagna, far fronte allo spauracchio coreano. La tensione è a mille perché per entrambe la semifinale sarebbe un traguardo storico. La prima per la Corea (e per un’asiatica in generale) e un ritorno per la Spagna, che manca tra le prime quattro dal 1950. Anche per questo motivo i novanta minuti regolamentari regalano ben poche emozioni, con gli spagnoli che reclamano per un gol annullato non si sa perché. Ma non è ancora il peggio, che viene raggiunto nel primo tempo supplementare. Azione di Joaquín sulla destra e cross per Morientes che insacca, mentre però l’arbitro egiziano Al-Ghandour si affretta ad annullare perché la palla è uscita. Decisione subito smentita dal replay. Con le energie al lumicino, la maggiore tecnica degli iberici spicca nettamente, ma l’ultimo tentativo, con una girata di Morientes, si stampa sul palo. La Spagna si deve guadagnare la qualificazione nuovamente dal dischetto, sperando ancora in Casillas. E invece i coreani fanno cinque su cinque e l’errore di Joaquín costringe la Spagna alla resa. Resta da stabilire la quarta finalista tra le due maggiori sorprese, Senegal e Turchia. Gli africano partono meglio, ma subiscono il ritorno dei turchi e preferiscono agire di rimessa. Il risultato, comunque, non si sblocca fino al novantesimo. Al quarto minuto dei supplementari, però, l’equilibrio si sblocca. Cross di Umit Davala e girata vincente di Ilhan, entrato nella ripresa per Hakan Sukur. Sfuma nuovamente, dunque, la prima semifinale africana, mentre la Turchia va ad affrontare nuovamente il Brasile.
NOIA E TRADIZIONE – Le due semifinali hanno due grandi favorite, Germania e Brasile, opposte a squadre che mai erano giunte fino alla soglia della finalissima. Per i tedeschi, che aprono contro la Corea, l’insidia maggiore è il fattore campo, fin qui fondamentale nel trascinare i padroni di casa alla prima semifinale asiatica della storia. La gara propone comunque una Corea ben organizzata da un mago della panchina come Hiddink, alla seconda semifinale dopo quella colta con l’Olanda quattro anni prima. Le veloci ripartenze di Lee Chun-Soo e di Park Ji-Sung mettono in difficoltà i tedeschi nel primo tempo, nel quale Kahn è chiamato una paio di volta all’intervento. Nella ripresa, la stanchezza fa rallentare i ritmi e la Germania colpisce con Ballack, al termine di un veloce contropiede. Per il leader della squadra la soddisfazione del gol decisivo, a stemperare la delusione per un’ammonizione che gli farà saltare la finalissima. Finisce dunque il sogno, in parte indotto, dei coreani, mentre la Germania raggiunge la sua settima finale, un record.
Record eguagliato il giorno dopo dal Brasile. La Turchia, battuta all’esordio solo grazie ad un rigore regalato, è la squadra che più di ogni altra ha messo in difficoltà Ronaldo e compagni, e il primo tempo lo conferma, anche se Rustu è chiamato a superarsi quando Ronaldo colpisce a botta sicura su una sua respinta su tiro di Rivaldo (quasi una premonizione). La ripresa è iniziata da cinque minuti che Ronaldo, presa palla sulla trequarti, salta un avversario, entra in area e, anticipando l’intervento in chiusura di due difensori, beffa il portiere turco con un improvviso tiro di punta che si infila nell’angolo. È il gol partita, perché la Turchia, salvo negli ultimi minuti di assedio, è incapace di replicare. La finale è inedita a livello di mondiali, ma ad altissimo livello quanto a palmares. Brasile e Germania, infatti, mettono sul piatto ben sette titoli mondiali. Per la Turchia, la soddisfazione del terzo posto conquistato in una bella finalina contro i coreani, impreziosita dalla rete più veloce della storia dei mondiali, messa a segno da Hakan Şükür dopo soli 10 secondi.
LA VENDETTA DI RONALDO – Nel dopoguerra, solo nel 1978 in finale non c’era una delle due squadre. Eppure mai si sono affrontate in gare di Coppa del Mondo. È l’unica stranezza di una finale che ha come protagonista annunciato il capocannoniere del torneo, Ronaldo, che con sei reti precede il compagno di squadra Rivaldo e l’avversario più temibile, Klose. Ma Ronaldo è atteso protagonista anche per cancellare la macchia di quattro anni prima, quando in quel terribile pomeriggio parigino rischiò la vita per poi essere mandato in campo a mostrare al mondo il suo calvario. La Germania, priva del suo faro Ballack, si affida al portiere Kahn, fin qui quasi perfetto, tanto da meritarsi il titolo di miglior giocatore del torneo assegnatogli il giorno prima, con una tempistica decisamente sbagliata. I primi quarantacinque minuti sembrano dare ragione alla FIFA, visto che il portiere tedesco si oppone da campione su una conclusione a botta sicura di Ronaldo. La traversa, invece, si occupa di salvarlo sulla botta da fuori di Kléberson, la sorpresa di questo torneo, diventato titolare in corso d’opera al posto di Juninho per dare maggior vigore al centrocampo, dopo essere stato convocato in extremis al posto dell’infortunato Emerson.
Nella ripresa, ancora Kahn salva dopo una mischia, ma è dall’altra parte che arrivano i brividi, quando Marcos devia sul palo una punizione di Neuville. Scampato il pericolo, il match prende la svolta decisiva dopo venti minuti. Ronaldo prova la percussione, venendo fermato, ma ruba palla ad Hamann e la cede a Rivaldo chiamando il triangolo. Il numero dieci, però, vede uno spiraglio per il suo sinistro e calcia di potenza. Non sarebbe tuttavia un grosso impegno per Kahn, che va a bloccare a terra. Il pallone, però, si trasforma in una saponetta tra i guanti dell’estremo difensore del Bayern. Gli sbatte sul mento e, prima che possa riconquistarlo, Ronaldo interviene come un falco spedendolo in rete. Doccia fredda per i tedeschi, che si trasforma in freddissima poco dopo. Discesa di Kléberson a destra e cross basso. Il velo di Rivaldo libera Ronaldo solo a centro area. Controllo e girata di destro nell’angolino per il due a zero definitivo. Il fischio finale di Collina da il via alla festa del Brasile di Ronaldo. Si, perché con otto reti segnate, il Fenomeno è assoluto protagonista del torneo. Non capitava dal 1970 che il capocannoniere segnasse più di sette gol. Unica nota stonata, la terribile mezzaluna di capelli sulla fronte. Ai record contribuisce anche Cafu, terzino destro e capitano, che alza la Coppa al cielo di Yokohama dopo aver giocato, primo a riuscirci, la terza finale mondiale della carriera.
Luís Nazário de Lima “Ronaldo” – Esordisce in nazionale a nemmeno 18 anni e partecipa, pur senza giocare, al vittorioso mondiale di Usa 94. Basta questo per capire le aspettative sulla carriera di questo attaccante che fa di velocità e potenza due armi micidiali. Anche nei primi anni europei, con PSV e Barcellona, quando conquista due coppe nazionali e una Coppa delle Coppe con i catalani. È il 1997, l’anno del clamoroso passaggio all’Inter. Con i nerazzurri conferma l’idiosincrasia ai campionati, beffato dalla Juventus e da Iuliano. Vince però la Coppa Uefa al primo anno. Da allora, un lustro costellato di problemi fisici che di fatto ne minano inesorabilmente il rendimento. Il più grave nel 2000, in Coppa Italia contro la Lazio. Dopo il mondiale vinto nel 2002, e l’ennesimo scudetto sfumato, passa al Real Madrid, col quale finalmente conquista due titoli nazionali. Poi il lento declino, dopo il quarto mondiale, nel 2006, nel quale supera il record di gol “mondiali” di Müller, con stagioni grigie al Milan e al Corinthians.
Yokohama, 30 giugno 2002
Brasile: Marcos, Cafu, Roberto Carlos, Edmílson, Lúcio, Roque Júnior, Kléberson, Gilberto Silva, Ronaldo (90’ Denílson), Rivaldo, Ronaldinho (85’ Juninho).
Germania: Kahn, Frings, Linke, Jeremies (77’ Asamoah), Metzelder, Ramelow, Schneider, Hamann, Klose (74’ Bierhoff), Bode (84’ Ziege), Neuville.
Marcatori: 67’ Ronaldo(B), 78’ Ronaldo(B).
Lippi riesce in quello che non era riuscito a fare Sacchi. Far vincere il titolo mondiale ad un collettivo, privo di grandi individualità se si eccettua Totti, comunque non al meglio e non indispensabile. I rigori che tanto ci avevano tolto, ci regalano la vendetta sulla Francia di Zidane, che saluta il calcio nella maniera peggiore.
CALCIOPOLI DIVIDE L’ITALIA – La delusione dell’Euro 2004 costa la panchina a Trapattoni, sostituito da Lippi che ovviamente divide in due i tifosi. Da una parte gli juventini, favorevoli, dall’altra chi lo vede troppo legato ai colori bianconeri per poter guidare la nazionale. In ogni caso, le qualificazioni non regalano brividi, ma alla vigilia del torneo scoppia Calciopoli (o Moggiopoli) che sconquassa il calcio italiano, mettendo in discussione proprio le vittorie juventine di Lippi e di buona parte della sua squadra. Si va in Germania tra critici che invocano il nostro ritiro, o almeno quello dei giocatori della Juventus, capitan Cannavaro in testa. Con queste premesse, sognare la vittoria appare un puro esercizio di ottimismo, anche perché altrove si sta decisamente meglio. A cominciare dal Brasile, affidato al CT del 1994, Parreira, che propone il “Quadrato Magico” formato da Kakà, Ronaldinho, Ronaldo e Adriano. Brasiliani, dunque, favoriti numeri uno, seguiti dall’Argentina e dalla Germania padrona di casa. Pronti alla sorpresa sono le solite Inghilterra, Spagna e Portogallo, reduce dalla delusione della finale europea persa con la Grecia. Proprio la Grecia è l’assenza più di rilievo, dall’alto del titolo continentale appena conquistato. Manca anche la Turchia, terza nella precedente edizione, e l’Uruguay, che ormai non fa più notizia. Sorpresa dall’Africa, che promuove quattro esordienti e lascia a casa abituali frequentatrici come Nigeria e Camerun, oltre al Sudafrica destinato ad ospitare l’edizione del 2010.
AVANTI LE GRANDI – Sparisce la gara inaugurale coi campioni in carica. Tocca ai padroni di casa aprire il torneo, contro il Costarica. La partita è spettacolare e lancia i tedeschi verso la facile affermazione nel girone. Chiudono a punteggio pieno davanti al sorprendente Ecuador, mentre saluta la Polonia, nuovamente delusa. Nessun problema nemmeno per l’Inghilterra, nel girone più noioso del mondiale. La Svezia fa compagnia agli uomini di Eriksson, che perdono Owen per infortunio e hanno Rooney acciaccato, mentre il Paraguay strappa punti solo al simpatico Trinidad, capace comunque di conquistare un pareggio contro gli scandinavi. A sorpresa, si decide dopo due sole giornate il gruppo sulla carta più difficile. Alla prova dei fatti Argentina e Olanda si dimostrano troppo forti per l’inesperta Costa d’Avorio e la Serbia & Montenegro, ormai prossima all’ennesima separazione. Il Portogallo del CT campione del mondo, Scolari, non parte testa di serie, ma conquista il primo posto nel girone a punteggio pieno, complice l’accoppiamento con avversari morbidi. Lo segue il Messico, che si salva solo perché l’Iran riesce ad impattare contro il sorprendente Angola nella gara conclusiva.
L’Italia parte bene, con un secco due a zero al Ghana, mentre la Repubblica Ceca impressiona contro gli Stati Uniti. Nella seconda gara, però, troviamo il modo di complicarci la vita, proprio contro gli americani. La rete di Gilardino è pareggiata da un autogol di Zaccardo, e poi De Rossi ci lascia in dieci per un’inutile gomitata. Nella ripresa la situazione disciplinare si ribalta, ma il risultato non cambia. Nel frattempo il Ghana batte i cechi, che appaiono scoppiati, e si ripete con gli Usa, guadagnandosi il secondo posto. Secondo, perché l’Italia chiude con un tranquillo due a zero anche a Nedved e compagni, con infortunio di Nesta e sostituzione con Materazzi, subito in gol. Nessun problema per il Brasile del Quadrato Magico, contro avversari abbordabili. Chiude a punteggio pieno davanti all’Australia del mago Hiddink, che nella gara decisiva strappa in extremis il pareggio qualificazione alla Croazia. Delude il Giappone, a casa con un solo punto. L’unica delle favorite a non vincere il suo girone è la Francia, costretta a battere il Togo all’ultima giornata per evitare un’altra clamorosa eliminazione. Il primo posto è della Svizzera, unica difesa imbattuta del torneo, mentre la Corea del Sud torna sulla terra, pur conquistando, contro gli africani, il primo successo “fuori casa” in un mondiale. Impressiona la Spagna, con sette gol segnati nelle prime due
gare. Torres e Villa la guidano a punteggio pieno, seguita dall’Ucraina che, dopo il poker subito all’esordio, ha gioco facile contro Arabia e Tunisia.
SI SVEGLIA LA FRANCIA – Germania e Argentina si avviano all’ennesimo capitolo della loro sfida infinita per vie diverse. I tedeschi entusiasmano il proprio pubblico dominando contro la Svezia, con Klose a creare e Podolski a concludere. L’Argentina, invece, va sotto contro un buon Messico, pareggia subito, ma fatica a portare a casa la qualificazione. Il gol decisivo arriva solo nei supplementari, dai quali è sparito finalmente il golden gol. Lo segna Maxi Rodriguez con una splendida conclusione al volo da fuori. Decisamente meno spettacolare la seconda giornata degli ottavi. Nel caldo torrido di Stoccarda, Inghilterra ed Ecuador mirano principalmente a non prenderle. Alla fine, come sempre in queste gare, decide la prodezza di un singolo. In questo caso Beckham, con una punizione indirizzata nell’angolino. In serata, Portogallo e Olanda replicano la semifinale dell’ultimo Europeo. Decide Maniche nel primo tempo, mentre la ripresa si trasforma in una corrida, con due espulsi per parte.
Solo rigori nella terza giornata. L’Italia, che presenta a sorpresa Del Piero al posto di Totti, parte bene contro l’Australia, ma subisce il ritorno degli avversari. Ad inizio ripresa, poi, viene ingiustamente espulso Materazzi, di fatto complicando i piani di Lippi. Sono 40 minuti di sofferenza, ma proprio all’ultimo minuto di recupero, ecco il colpo di scena. Grosso scende a sinistra, entra in area e viene a contatto con un difensore. Non fa nulla per evitarlo e si guadagna un rigore a dir poco dubbio. Totti, entrato nella ripresa, trasforma con precisione spedendoci ai quarti senza la fatica dei supplementari. Quarti dove ci attende l’Ucraina, che fa sua la sfida tra outiders, contro la Svizzera, soltanto ai rigori, dopo uno 0-0 noioso. Per Shevchenko e compagni è un traguardo storico, all’esordio, mentre gli svizzeri si rammaricano per l’uscita senza aver subito nemmeno un gol. Tutto facile per il Brasile, contro un Ghana spuntato. Anche perché arriva subito la quindicesima rete “mondiale” di Ronaldo, che così batte il record di Müller. I centri di Adriano e Zé Roberto chiudono i conti. In serata si gioca la gara più attesa degli ottavi. Spagna avanti su rigore, ma rimontata da una Francia finalmente all’altezza delle attese, con Zidane a illuminarla. Per gli spagnoli, che peccano di inesperienza, l’ennesima delusione mondiale.
AVANTI SENZA FATICA – La corsa alle semifinali inizia con una grande sfida, già vista due volte in finale. Nel corso della gara, l’Argentina si fa preferire alla Germania per la maggiore tecnica. Va pure in vantaggio, con Ayala, ma viene raggiunta da Klose, al quinto gol, quello che gli darà il titolo di capocannoniere. Dopo tempi supplementari nervosi, si va ai calci di rigore. I tedeschi li segnano tutti, mentre Lehmann si supera su Ayala e Cambiasso. Il portiere, che aveva preso a sorpresa il posto di Kahn, porta dunque i padroni di casa alla seconda semifinale consecutiva, mentre i sudamericani sfogano la loro delusione scatenando una rissa che interrompe bruscamente i festeggiamenti tedeschi. Alla fine ne farà le spese Frings, impossibilitato a giocare la semifinale perché squalificato con la prova televisiva. In serata, per l’Italia si mette subito in discesa contro l’Ucraina, unica “intrusa” dei quarti. Zambrotta segna subito e nella ripresa una doppietta di Toni da al punteggio un aspetto rassicurante. Si torna in semifinale a 12 anni di distanza dalla finale di Pasadena.
Il giorno dopo va in scena la gara più noiosa delle quattro, tra Inghilterra e Portogallo. Le due squadre giocano fin dal primo minuto per non prendere gol, più che per farlo. Nella ripresa, poi, l’espulsione di Rooney e l’infortunio di Beckham privano Eriksson delle uniche due punte di diamante. I rigori, come due anni prima all’Europeo, sono inevitabili, e ancora una volta sbarrano la strada agli inglesi, che segnano solo con Hargreaves, sbagliandone tre. Il Portogallo sembra adeguarsi, con due errori, ma la trasformazione decisiva di Cristiano Ronaldo lo riporta in semifinale, a 40 anni di distanza dall’unico precedente. Il favorito Brasile, invece, sbatte contro una Francia in crescendo ed esce mestamente da quello che doveva essere il “suo” mondiale. Del “Quadrato magico” non si salva nemmeno un lato, mentre dall’altra parte Zidane illumina il gioco
dei galletti, servendo su punizione la palla del gol partita ad Henry. Quattro semifinaliste europee dunque. Non accadeva dal 1982…
SI VA A BERLINO – Preceduta dalle consuete polemiche della stampa tedesca contro gli italiani, arriva l’ora di Italia-Germania. Il Westfalen Stadium di Dortmund è lo stadio più caldo di Germania, scelto scientificamente, e piazzato in questo punto del tabellone, dalla federazione tedesca per spingere i propri giocatori in finale. Di fronte, però, si trovano un’Italia mai così in palla, che fin dal primo tempo si fa preferire alla squadra di casa nella costruzione del gioco. In ogni caso, le difese hanno nettamente la meglio sugli attacchi e la gara scivola inevitabilmente verso i supplementari. A questo punto gli azzurri appaiono più freschi degli avversari, probabilmente provati dall’impegno con l’Argentina. Prima Gilardino e poi Zambrotta colpiscono due legni in rapida successione, mentre dall’altra parte è Podolski il più pericoloso. Ci si avvia verso i temibili rigori, quando su azione di corner, Pirlo pesca Grosso in area. Sinistro a giro e palla nell’angolino, imparabile per Lehmann. Mancano Ai tedeschi restano solo due minuti per tentare qualcosa, ma Cannavaro è una diga insuperabile. Recupera palla sull’estremo tentativo e rilancia il contropiede, rifinito da Gilardino per Del Piero che infila il due a zero conclusivo. Sesta finale per l’Italia, mentre il sogno della Germania di ripetere il successo casalingo del 1974 termina sul più bello.
Tra Francia e Portogallo va in scena la rivincita della semifinale di Euro 2000. E come allora a deciderla è un rigore di Zidane. Stavolta non è un golden gol, ma arriva già alla mezzora. Andato in svantaggio, il Portogallo conferma tutti i propri limiti in fase realizzativa (un solo gol dopo la fase a gironi), soprattutto contro una difesa attenta come quella francese. La logica conclusione è la seconda finale mondiale per i transalpini, stavolta contro gli amati-odiati cugini italiani. Una finale tutta europea. Come nel 1982…
EVVIVA I RIGORI – La mattina del 9 luglio Berlino è in festa. Davanti alla Porta di Brandeburgo si festeggia il terzo posto dei padroni di casa, conquistato la sera prima sul Portogallo. È solo l’antipasto della grande sfida che va in scena la sera stessa, sul prato dell’Olympiastadion. Italia- Francia, dal 1978, per noi è solo sinonimo di delusioni, ma stavolta le due squadre partono alla pari. Entrambe hanno iniziato circondate da scetticismo ed entrambe sono cresciute strada facendo, puntando sulla solidità difensiva e sull’esperienza. La gara non è esaltante, come ormai non lo sono più, a questi livelli, ma si sblocca velocemente. Al settimo minuto Malouda si invola in area e cade dopo un contatto con Materazzi. Rigore che Zidane trasforma non senza qualche brivido. La palla, infatti, colpisce la traversa e tocca terra al di là della linea, rimbalzando però fuori dalla porta. A questo punto gli azzurri dimostrano grande carattere, prendendo in mano la gara e pareggiando già prima del ventesimo. Corner di Pirlo e incornata vincente di Materazzi, che si fa subito perdonare per il rigore. Poco dopo rischiamo anche di segnare il raddoppio con Toni, in un’azione identica, ma stavolta la palla colpisce la traversa.
Nella ripresa la stanchezza fa sentire il proprio peso e i ritmi rallentano. I francesi pungono col solo Henry, spesso imprendibile per i nostri difensori, ma Cannavaro e Buffon fanno buona guardia. L’Italia va in gol con Toni, ma l’attaccante è in leggero fuorigioco e l’arbitro annulla. Supplementari, dunque, mentre uno spento Totti ha lasciato il posto a Iaquinta dopo un’ora di gioco. I primi quindici minuti extra sono una sofferenza. Ribery e Zidane fanno paura, il primo mandando di poco a lato e il secondo impegnando Buffon con un’inzuccata a colpo sicuro. Gli azzurri ci mettono il carattere e poco più, ma nel secondo supplementare arriva il fattaccio che modifica di colpo le carte in tavola. Dopo una discussione con Materazzi, infatti, Zidane rifila una testata al difensore interista e, complice il quarto uomo che avvisa l’arbitro, viene espulso, chiudendo ingloriosamente la sua carriera. L’uscita del suo uomo simbolo è un duro colpo per la Francia, ma non abbiamo più energie da spendere per approfittarne. Si va ai rigori, dunque, come a Pasadena nel 1994, come a Napoli nel 1990, come a Parigi nel 1998, Ma stavolta la storia è destinata ad andare diversamente. Non sbagliano Pirlo e Materazzi e non sbaglia Wiltord. Sbaglia, invece, Trezeguet, che colpisce la traversa, col pallone che rimbalza appena al di qua della linea. Vanno a segno De
Rossi e Del Piero per noi e Abidal e Sagnol per la Francia. Tocca dunque a Grosso, l’eroe di Dortmund, decisivo già con l’Australia. Uno sguardo all’orizzonte, uno al pallone e il sinistro che si insacca. Il resto è delirio azzurro. L’Italia è campione del mondo per la quarta volta e vendica la beffarda sconfitta dell’Euro 2000 nel più clamoroso dei modi.
Fabio Cannavaro – Il simbolo di una difesa che subisce solo due gol durante il torneo, un’autorete ed un rigore. Fenomenale contro la Germania, messo in difficoltà solo da Henry in finale. È il culmine di una carriera che l’ha visto esordire giovanissimo nel Napoli, per poi passare al Parma. Quattro coppe in maglia gialloblu, tra nazionali e internazionali, prima del passaggio, infruttuoso, all’Inter. Due anni condizionati da vari infortuni e il trasferimento alla Juventus, con la quale vince due scudetti, poi revocati dopo Calciopoli. Il mondiale vinto e la retrocessione dei bianconeri lo portano a Madrid, sponda Real, col quale in tre anni vince due campionati, prima del ritorno a Torino. Le prestazioni a Germania 2006 gli regalano anche il nomignolo di “Muro di Berlino” e, a fine anno, il Pallone d’oro, quarto italiano a vincerlo, dopo Rivera, Rossi e Baggio, oltre all’oriundo Sivori.
Berlino, 9 luglio 2006
Italia: Buffon, Zambrotta, Grosso, Gattuso, Cannavaro, Materazzi, Camoranesi (86’ Del Piero), Perrotta (61’ De Rossi), Toni, Pirlo, Totti (61’ Iaquinta).
Francia: Barthez, Sagnol, Abidal, Vieira (57’ Diarra), Thuram, Gallas, Ribery (100’ Trezeguet), Makelele, Henry (107’ Wiltord), Zidane, Malouda.
Marcatori: 7’ Zidane(F)(rig), 19’ Materazzi(I).
Rigori: Pirlo(I)2-1, Wiltord(F)2-2, Materazzi(I)3-2, Trezeguet(F)traversa, De Rossi(I)4-2, Abidal(F)4-3, Del Piero(I)5-3, Sagnol(F)5-4, Grosso(I)6-4.
Fonte: http://spazioinwind.libero.it/hall_of_giano/wcstory.pdf
Sito web da visitare: http://spazioinwind.libero.it
Autore del testo: non indicato nel documento di origine
Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.
I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore
Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).
"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco
www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve