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Nonostante i notevoli successi nello spiegare lo spettro a righe, perfino a livello della sua struttura fine, anche il modello di Bohr-Sommerfeld, dimostrò la sua limitatezza. Soprattutto l'impostazione per così dire semiclassica che lo caratterizzava lasciava insoddisfatti molti fisici. In altri termini tale modello ricorreva ampiamente alle leggi classiche della meccanica e dell'elettromagnetismo, salvo poi essere costretto a fare vistose eccezioni, vietandone arbitrariamente l'applicazione in alcuni passaggi chiave. (orbite stazionarie dove l’elettrone non irraggia). La stessa condizione di quantizzazione risultava introdotta del tutto arbitrariamente.
Inoltre il modello otteneva risultati buoni ed aderenti ai dati sperimentali solamente per lo spettro dell'idrogeno, mentre non riusciva a fare previsioni soddisfacenti per gli atomi plurielettronici.
Il modello subì una radicale ed a tutt'oggi definitiva revisione con la nascita di una nuova meccanica, la meccanica quantistica e la conseguente introduzione di modelli atomici quantomeccanici.
La data di nascita della meccanica quantistica si può fissare al 1900 con la scoperta da parte di Planck del quanto di energia radiante h. Ma per circa vent'anni i fisici non ebbero vera consapevolezza della portata di tale scoperta. Le cose cominciarono realmente a mutare quando nel 1924 il fisico francese Louis De Broglie, avanzò la sconvolgente ipotesi che non solo l'energia, ma anche la materia possedesse una natura duale, corpuscolare e ondulatoria.
Secondo tale ipotesi ad ogni corpo è possibile associare un'onda, che De Broglie chiamava 'onda di materia'. Per verificare questo assunto era necessario calcolare la lunghezza d'onda associata, ad esempio ad un elettrone, e poi controllare sperimentalmente se l'elettrone poteva produrre fenomeni tipicamente ondulatori come l'interferenza o la diffrazione, di entità compatibile con la lunghezza d'onda calcolata.
Il calcolo della lunghezza d'onda associata ad un corpo di massa m, fu eseguito da De Broglie.
Egli propose di assimilare completamente la trattazione delle particelle materiali a quella dei fotoni. Abbiamo già visto come nell'effetto Compton i fotoni possano essere considerati particelle con quantità di moto pari a
La relazione che nella relatività speciale lega l'energia totale (E), l'energia a riposo (Eo) e la quantità di moto p = mv è infatti E2 = (pc)2 + Eo2. Poiché non possono esistere fotoni fermi, l'energia a riposo di un fotone vale zero e la relazione per un fotone diventa E = pc.
Ricordando poi che E = h, si ottiene per un fotone . Essendo poi c =, si ha anche .
De Broglie ipotizzò dunque che anche la quantità di moto delle particelle materiali potesse essere calcolata come rapporto tra la costante di Planck e la loro lunghezza d'onda. Veniva in tal modo automaticamente associata ad ogni particella materiale una lunghezza d'onda, detta lunghezza d'onda di De Broglie, il cui valore è dato dalla relazione
Sostituendo ad m la massa dell'elettrone e a v la velocità caratteristica dei raggi catodici, si può facilmente verificare che un elettrone possiede una lunghezza d'onda dello stesso ordine di grandezza dei raggi X (10-8 cm).
Utilizzando come reticolo di diffrazione reticoli cristallini come era stato fatto per dimostrare la natura ondulatoria dei raggi X, sarebbe stato dunque possibile verificare l'ipotesi di De Broglie con gli elettroni.
L'esperimento fu tentato nel 1927 da, George Thomson (figlio di J.J. Thomson) e, contemporaneamente da C.J. Davisson e L.H. Germer negli U.S.A. Essi dimostrarono che un fascio di elettroni accelerati e fatti passare attraverso un reticolo cristallino produce su di uno schermo caratteristiche figure di diffrazione e interferenza.
Dall'analisi del diametro degli anelli di diffrazione si poté anche calcolare che la lunghezza d'onda della radiazione elettronica coincideva perfettamente con quella prevista da De Broglie.
Si osservò anche che la lunghezza d'onda diminuiva o aumentava quando il fascio di elettroni veniva accelerato o rallentato, secondo quanto previsto dalla relazione di De Broglie.
Pochi anni dopo il fisico Otto Stern ottenne gli stessi risultati usando atomi di sodio al posto di elettroni, dimostrando quindi che tutte le particelle possono essere associate ad onde di De Broglie.
Il motivo per il quale non riusciamo ad osservare il comportamento ondulatorio degli oggetti macroscopici che ci circondano è dovuto al fatto che il rapporto h/mv risulta per tali oggetti piccolissimo, essendo h molto piccolo ed m molto grande.
Ai corpi macroscopici è dunque associata una lunghezza d'onda di De Broglie di dimensioni infinitesime.
Dopo aver sperimentalmente verificato la consistenza dell’ipotesi di De Broglie sulla natura ondulatoria della materia, i fisici si interrogarono sulla natura fisica di un’onda associata alla materia.
In ogni fenomeno ondulatorio c'è sempre qualcosa che si muove o vibra. I fisici si chiesero che cosa vibrasse nei corpi materiali. Lo stesso De Broglie tentò di dare una risposta ipotizzando che si trattasse di vere e proprie onde di materia. In altre parola che la stabilità della materia fosse solo un'illusione del mondo macroscopico, ma che a livello microscopico fosse necessario immaginare elettroni, protoni e atomi come delle nuvolette di materia pulsante senza contorni ben definiti.
Tale interpretazione non ebbe successo, anche perché si scontrava con difficoltà teoriche insormontabili. La risposta, ancor oggi accettata dalla maggior parte dei fisici, venne pochi anni più tardi, da parte di Max Born, segnando il definitivo tramonto del determinismo in fisica.
La descrizione ondulatoria della materia richiede un cambio radicale di prospettiva nel modo di interpretare i fenomeni. Soprattutto quando si passa dal continuo al discreto e viceversa, si assiste spesso ad una perdita di significato di concetti ormai assimilati ed accettati. Un esempio servirà a chiarire ed a familiarizzare con il problema.
Nei fenomeni radioattivi la velocità di decadimento , cioè il numero di atomi che decadono per unità di tempo è direttamente proporzionale al numero iniziale N di atomi: v = lN.
l è detta costante di decadimento radioattivo e rappresenta la frazione di atomi che decadono nell’unità di tempo. Poniamo ad esempio l = 0,01 s-1. Ciò significa che decadono l’1% di atomi al secondo. Se consideriamo un campione iniziale di 10.000 atomi, dopo 1 secondo ne sono decaduti 100; dopo 2 secondi altri 99 (l’1% dei rimanenti 10.000 – 100 = 9.900) e così via.
Consideriamo ora un campione costituito da un singolo atomo, N = 1 e chiediamoci che significato possiamo ora dare a l. Non possiamo certo affermare che in un secondo decadrà 1/100 di 1 atomo. Un atomo, o decade, o non decade. In tal caso l rappresenta dunque la probabilità che un atomo decada nell’unità di tempo. Così l’atomo presenta 1 probabilità su 100 di decadere dopo un secondo, 2 probabilità su 100 di decadere dopo 2 secondi,…..100 su 100 di decadere dopo 100 secondi. Si comprende così il motivo per cui la vita media di un atomo radioattivo è pari al reciproco della sua costante di decadimento.
In modo simile, nell'interpretazione di Born, l'onda associata ad una particella materiale deve essere interpretata in termini di probabilità di trovare la particella in un certo volume di spazio. Su tale interpretazione torneremo più avanti, dopo aver parlato dei fondamentali apporti alla meccanica quantistica forniti da Schrödinger ed Heisenberg.
L’introduzione della interpretazione ondulatoria della materia permise a De Broglie di portare ulteriore chiarezza all'interno del modello di Bohr-Sommerfeld. Alcuni fatti che inizialmente potevano apparire arbitrari e gratuiti ora acquistavano significato.
In particolare De Broglie dimostrò che la condizione di quantizzazione del momento angolare, introdotta in modo alquanto artificioso da Bohr, poteva essere derivata direttamente dalla natura ondulatoria dell'elettrone e ne diventava una sua naturale conseguenza.
Partendo dunque dalla condizione quantistica di Bohr e tenendo presente che dalla relazione di De Broglie (l = h/mv) si ricava che , sostituendo opportunamente nella prima si ottiene
Ciò significa che le orbite quantizzate di Bohr devono soddisfare la condizione di contenere un numero intero n di lunghezze d'onda di De Broglie.
E precisamente, visto che n è il numero quantico principale, la prima orbita deve contenere una lunghezza d’onda, la seconda orbita due lunghezze d’onda e così via.
Si formano in tal modo delle onde, dette onde stazionarie, tali che dopo un'orbita completa l'onda si trova esattamente in fase con se stessa. Le altre orbite non sono consentite poiché in qualsiasi altro caso ventri e cavi delle onde si sovrapporrebbero creando interferenza distruttiva. L'onda si estinguerebbe e con essa la probabilità di trovare l'elettrone.
È la stessa condizione che fissa la frequenza di vibrazione di un oscillatore vincolato, ad esempio una corda vibrante di lunghezza fissata.
Ad esempio una corda di chitarra di lunghezza L è vincolata, è cioè fissa in due punti (il ponte ed il capotasto) che ne condizionano la vibrazione. Ciò e dovuto semplicemente al fatto che i due punti vincolati non sono naturalmente in gradi di vibrare.
Tenendo ora presente che lungo la corda in vibrazione si distinguono punti in cui l'oscillazione è massima (ventri e creste) e punti in cui è nulla (nodi). La distanza tra i nodi è ovviamente pari a l/2.
Ora, una corda vincolata non è in grado di produrre qualsiasi vibrazione, poiché due nodi sono fissi per definizione in quanto coincidono con i vincoli e gli altri nodi si possono disporre, equidistanti, in modo da dividere la corda in parti uguali.
Vengono in tal modo automaticamente a formarsi solo certe caratteristiche lunghezze d'onda.
In altre parole la corda può necessariamente contenere solo un numero intero di mezze lunghezze d’onda e quindi può produrre solo quelle vibrazioni per le quali vale la relazione
L = n (l/2) n = 1, 2, 3, 4........
dove L è la lunghezza della corda.
In un oscillatore vincolato si possono dunque formare solo onde stazionarie, aventi una determinata lunghezza d'onda.
Possiamo affermare che data una certa lunghezza della corda di un particolare strumento essa possiede un caratteristico spettro discontinuo (a righe).
Quando la corda contiene mezza lunghezza d'onda la frequenza corrispondente è detta fondamentale, mentre le frequenze superiori sono dette armoniche.
Il timbro del suono, che identifica uno strumento permettendo di distinguere due note uguali emesse da strumenti diversi, è determinato dalla sovrapposizione della vibrazione fondamentale con un certo numero di armoniche, tipiche di quel dato strumento. In altre parole il timbro è l'analogo in acustica dello spettro a righe di una sostanza in spettroscopia. La natura ondulatoria dell'elettrone, "vincolato" dal nucleo che lo attrae, rende l'atomo molto simile ad uno strumento musicale.
Il modello quantistico di Bohr-Sommerfeld acquista con De Broglie caratteristiche ondulatorie che ne giustificano i postulati di base.
L'ipotesi di De Broglie fu generalizzata e formalizzata dal fisico austriaco E. Schrödinger, che nel 1926 ottenne un'equazione valida per il moto di una qualsiasi particella in un campo di forza, detta equazione d’onda Ψ (la lettera greca psi) o equazione di Schrödinger.
L’equazione d’onda, che descrive l’elettrone ha caratteristiche analoghe a quelle che descrivono le onde stazionarie nella meccanica classica. In entrambi i casi l’onda modifica la sua ampiezza passando alternativamente da valori positivi a negativi. I punti in cui il segno dell’onda cambia (da positivo a negativo o viceversa) e l’onda presenta ampiezza nulla si chiamano nodi.
L'equazione d’onda di Schrödinger può essere applicata anche ad atomi diversi da quello dell’Idrogeno e risolta (anche se attraverso approssimazioni) con risultati in buon accordo con i dati sperimentali.
Quando si risolve l’equazione d’onda per un atomo particolare si ottiene una equazione parametrica, detta funzione d'onda , che presenta come parametri i primi tre numeri quantici, n, l, m.
Una funzione d’onda alla quale vengano attribuiti opportuni valori numerici ai numeri quantici individua lo stato di un particolare elettrone e prende il nome di funzione orbitalica o funzione orbitale..
Ogni funzione orbitale corrisponde ad uno stato stazionario dell’elettrone-onda.
Schrödinger arrivò alla conclusione che l'equazione d'onda che descrive un oscillatore meccanico poteva essere applicata anche all'atomo. Ora in acustica se la frequenza fondamentale è x la frequenza della seconda, terza, quarta......ennesima armonica sarà 2x, 3x, 4x......nx. In altre parole sarà sufficiente un solo parametro ( il numero intero positivo n = 1,2,3..) per individuare qualsiasi armonica.
Nel caso delle onde di Schrödinger il problema è più complesso poiché le onde in questione sono tridimensionali e sono necessari tre parametri per determinare una qualsiasi armonica. Tali parametri saranno anche in questo caso necessariamente quantizzati visto che l'onda in questione è un'onda vincolata e quindi stazionaria.
La natura ondulatoria dell'elettrone, "vincolato" dal nucleo che lo attrae, rende l'atomo molto simile ad uno strumento musicale.
Tuttavia la meccanica che descrive le proprietà ondulatorie delle particelle quali l’elettrone differisce in modo sostanziale dalla meccanica classica ed è nota come meccanica quantistica.
La meccanica quantistica ci permette di ottenere informazioni su di una particella risolvendo l’equazione d’onda. L’informazione che si ottiene non è la posizione e la velocità della particella, ma la probabilità di trovarla in una determinata regione di spazio.
Dati certi valori ai numeri quantici n. l ed m, le soluzioni dell'equazione di Schrödinger non forniscono le coordinate del punto P in cui si dovrebbe trovare l'elettrone rispetto al nucleo posto idealmente all'origine degli assi, ma il valore che in quel punto assume la funzione d'onda Y.
Ciò costringe ad abbandonare il concetto di traiettoria definita e quindi di orbita, per introdurre quello di orbitale, inteso come regione di spazio intorno al nucleo alla quale associare una certa probabilità di trovarvi l'elettrone.
Si può dunque descrivere il comportamento di un elettrone attorno ad un nucleo mediante la risoluzione dell’equazione di Schrödinger dove l’energia potenziale è quella esercitata da una carica positiva localizzata sull’origine (nucleo). Il sistema più semplice è l’atomo di idrogeno che contiene un solo elettrone ed è l’unico sistema per cui l’equazione di Schrödinger può essere risolta esattamente.
Come abbiamo già detto in precedenza, l’equazione d’onda che descrive il comportamento degli elettroni all’interno di un atomo presenta diverse soluzioni possibili, dette funzioni d’onda Ψ o funzioni orbitaliche o, semplicemente, orbitali. Gli orbitali s, p, d, f sono descritti da altrettante funzioni orbitaliche. Lo stato di un elettrone è descritto dalla funzione d’onda Ψ.
Tuttavia la funzione d’onda Ψ non ha significato fisico diretto. Si può invece dimostrare che la funzione Ψ2, nota come densità di probabilità fornisce la probabilità di trovare l’elettrone nell’unità di volume, in un determinata posizione dello spazio ad una data distanza dal nucleo ed è quindi proporzionale alla densità di carica presente.
Si noti l’analogia con la radiazione elettromagnetica, nel caso in cui si applichino grandezze caratteristiche del modello ondulatorio ad un singolo fotone. In un’onda elettromagnetica l’energia per unità di volume è proporzionale al quadrato dell’ampiezza dell’onda A2, dove l’ampiezza è data dall’intensità del campo elettrico o del campo magnetico ad esso concatenato. Se ora passiamo dal continuo al discreto e consideriamo la radiazione come un insieme di fotoni, A2 diventa una misura del numero di fotoni presenti nell’unità di volume e, per un singolo fotone, della probabilità di trovarlo nell’unità di volume.
Mentre Ψ può assumere anche valori negativi (l’ampiezza di un’onda può essere sia positiva che negativa), Ψ2 assume solo valori positivi (il quadrato di un valore negativo è sempre positivo ed una probabilità negativa non ha senso)
Le funzioni d’onda più semplici sono quelle che descrivono gli orbitali s.
Le funzioni d’onda Ψ(s) sono sfericamente simmetriche. La probabilità di trovare l’elettrone è la stessa in tutte le direzioni, variando solo con la distanza dal nucleo.
La rappresentazione di un’orbitale può essere fatta in modi diversi. Possiamo vederli esemplificati utilizzando una funzione orbitale particolarmente semplice, quella che descrive l’orbitale s del primo livello energetico (orbitale 1s) dell’atomo di Idrogeno.
1) Il modo più diretto di rappresentare un’orbitale è di tracciare la funzione orbitalica Y in dipendenza dal raggio. Per l’orbitale 1s dell’atomo di idrogeno essa vale
Si osserva facilmente che per r ® 0 il valore della funzione tende a , mentre per r ® ¥ la funzione tende a zero. Il suo valore decresce dunque in modo esponenziale man mano che ci allontaniamo dal nucleo. L’orbitale 1s è infinitamente esteso (tutti gli orbitali lo sono).
2) Poiché tuttavia la funzione orbitalica Y non presenta un significato fisico diretto si preferisce rappresentare l’orbitale riportando l’andamento della funzione densità di probabilità Y2. Si osserva facilmente che, per l’orbitale 1s, essa presenta lo stesso andamento della funzione orbitalica. La probabilità Y2 di trovare l’elettrone nell’unità di volume è massima e pari a in corrispondenza del nucleo (r = 0), mentre diminuisce progressivamente allontanandoci da esso (r ® ¥). L’andamento di tale funzione viene spesso rappresentato in tre dimensioni attraverso la cosiddetta nuvola di carica o nuvola elettronica. Idealmente si può immaginare di osservare l’elettrone ad intervalli di tempo regolari e di riportare le sue posizioni come punti intorno al nucleo. Si ottiene una nebbia di punti che sfuma radialmente, detta appunto nuvola elettronica. Essa rappresenta una mappatura della funzione Y2. Nelle regioni dove la nuvola è più concentrata e la densità di punti è maggiore, risulta anche maggiore la probabilità di trovarvi l’elettrone.La probabilità Y2 di trovare l’elettrone nell’unità di volume è massima in corrispondenza del nucleo (r = 0), mentre diminuisce progressivamente allontanandoci da esso (r ® ¥). Ma in realtà il massimo di densità di probabilità non implica il massimo di probabilità.
3) Possiamo rendercene conto ricorrendo alla funzione di distribuzione radiale della probabilità, un modo alternativo di rappresentazione dell’orbitale che presenta il pregio di descriverlo in modo più intuitivo. Dividiamo lo spazio intorno al nucleo in gusci sferici concentrici di spessore infinitesimo dr. Il volume di un generico guscio di superficie 4pr2, che si trovi a distanza r, sarà pari a 4pr2dr e la probabilità di trovarvi l’elettrone si otterrà ovviamente come prodotto della probabilità di trovare l’elettrone nell’unità di volume Y2 ed il volume del guscio stesso.
dP = Ψ2 4πr2dr.
Il rapporto dP/dr rappresenta la variazione della probabilità al variare della distanza dal nucleo ed è quindi una funzione di distribuzione della probabilità in funzione del raggio (radiale)
dP/dr = Ψ2 4πr2
Tale funzione vale zero in corrispondenza del nucleo (r = 0) in quanto un punto possiede volume nullo, presenta un massimo in corrispondenza di ao (che per l’atomo di Idrogeno è pari 0.53Å e corrisponde al raggio della prima orbita di Bohr) e si annulla all’infinito. Se sommiamo le probabilità di trovare l’elettrone in ciascun guscio fino ad una certa distanza r, otteniamo la probabilità totale di trovare l’elettrone nel volume compreso tra 0 ed r. (ciò equivale a calcolare l’integrale della funzione da 0 ad r). Tale probabilità complessiva è pari all’area sottesa dalla curva di distribuzione della probabilità. Poiché la funzione si annulla all’infinito, per ottenere una probabilità del 100% è necessario considerare un volume infinitamente grande intorno al nucleo.
4) Se tuttavia ci accontentiamo di una probabilità inferiore, ad esempio del 95% o del 98%, possiamo individuare una superficie tale che la probabilità di trovarvi l’elettrone all’interno sia quella desiderata ed assumere il volume così individuato come rappresentativo dell’orbitale in questione. Tale superficie, detta superficie di contorno (boundary surface) o superficie di inviluppo o superficie limite, è sferica per gli orbitali s.
Anche l’orbitale 2s (orbitale s del secondo livello energetico) è sfericamente simmetrico, ma ad una certa distanza dal nucleo la funzione d’onda Ψ si annulla e da positiva diventa negativa (nodo). All’interno della superficie di controrno è pertanto presente una superficie nodale che separa la regione interna in cui la funzione d’onda è positiva dalla regione più esterna in cui la funzione d’onda è negativa. La superficie nodale, a probabilità nulla, separa due massimi, uno più vicino al nucleo ed un massimo principale più lontano.
Per l’orbitale 3s la funzione di distribuzione radiale di probabilità presenta tre massimi (due secondari e un massimo principale) e due punti nodali. La superficie di inviluppo contiene quindi due superfici nodali.
Gli orbitali ns dei livelli superiori mantengono la simmetria sferica e presentano n massimi di densità elettronica ed n-1 superfici nodali (con n = livello energetico di appartenenza).
Gli orbitali p hanno simmetria cilindrica, possiedono cioè un asse preferenziale e non cambiano segno per rotazione attorno ad esso. Sono costituiti da due lobi ad elevata densità elettronica (in cui la funzione d’onda Ψ assume segno opposto) ed un piano nodale nell’origine (nucleo). Spesso le superfici di contorno vengono rappresentate con un colore diverso per i due lobi ad indicare il diverso segno (positivo e negativo) della funzione d’onda.
Gli orbitali p sono tre per livello energetico (tranne il primo livello energetico) ed essendo orientati uno perpendicolarmente all’altro nella direzione dei tre assi cartesiani, vengono indicati con la notazione: px, py, pz.
Gli orbitali 2p presentano un piano nodale passante per il nucleo che separa due lobi in cui la funzione d’onda Ψ presenta segni opposti senza alcuna altra superficie nodale al loro interno.
Gli orbitali 3p presentano un piano nodale passante per il nucleo che separa due lobi ad elevata densità elettronica. Ciascun lobo è diviso da una superficie nodale in due regioni in cui la funzione d’onda Ψ presenta segni opposti. La superficie nodale, a probabilità nulla, suddivide ciascun lobo in due massimi di probabilità, uno secondario più vicino al nucleo ed uno principale più lontano.
Gli orbitali 4p presentano ciascun lobo suddiviso in 3 regioni (in cui la funzione d’onda Ψ presenta segni alternativamente opposti) da due superfici nodali.
Gli orbitali np dei livelli superiori mantengono la simmetria cilindrica e presentano ciascun lobo suddiviso in n-1 regioni a massima densità elettronica separate da n-2 superfici nodali (con n = livello energetico di appartenenza).
Curiosamente G. Thomson ricevette il premio Nobel per aver verificato la natura ondulatoria dell’elettrone, mentre in precedenza suo padre era stato insignito della stessa onorificenza per aver dimostrato la natura corpuscolare dell’elettrone.
Gli orbitali d sono 5 per livello energetico (tranne i primi due livelli energetici). Quattro di essi sono tetralobati con i 4 lobi in cui la funzione d’onda Ψ assume segno alternativamente opposto. Il quinto orbitale d è bilobato con una regione anulare (in cui la funzione d’onda ssume segno opposto) ad alta densità elettronica che circonda il nucleo.
Gli orbitali d tetralobali presentano due piani nodali. Ad esempio l’orbitale dxy presenta due piani nodali perpendicolari che si intersecano sull’asse z
Gli orbitali f sono 7 per livello energetico (tranne i primi tre livelli energetici).
Il significato generale dei numeri quantici n, l ed m rimane inalterato anche se è necessario fare le seguenti precisazioni:
1° Livello energetico
1 orbitale s (1s) capienza max: 2 elettroni
2° Livello energetico
1 orbitale s (2s) capienza max: 2 elettroni
3 orbitali p (2p) capienza max: 6 elettroni
3° Livello energetico
1 orbitale s (3s) capienza max: 2 elettroni
3 orbitali p (3p) capienza max: 6 elettroni
5 orbitali d (3d) capienza max: 10 elettroni
4° Livello energetico
1 orbitale s (4s) capienza max: 2 elettroni
3 orbitali p (4p) capienza max: 6 elettroni
5 orbitali d (4d) capienza max: 10 elettroni
7 orbitali f (4f) capienza max: 14 elettroni
I livelli successivi presentano al massimo la struttura orbitalica del quarto livello. Gli atomi più pesanti, come l’Uranio, hanno elettroni a sufficienza per occupare 7 livelli energetici, senza tuttavia riuscire a riempirli completamente.
Anche se, in teoria, i livelli energetici più esterni possono presentare tutti i tipi di orbitali, in pratica un atomo non possiede mai un numero di elettroni sufficiente a riempire tutti i possibili orbitali esterni. Così la struttura orbitalica di un atomo è, in pratica, la seguente
Livello |
Orbitali consentiti |
Campienza elettronica |
|||
1° |
1s |
|
|
|
2 |
2° |
2s |
2p |
|
|
2+6=8 |
3° |
3s |
3p |
3d |
|
2+6+10=18 |
4° |
4s |
4p |
4d |
4f |
2+6+10+14=32 |
5° |
5s |
5p |
5d |
5f |
“ |
6° |
6s |
6p |
6d |
|
“ |
7° |
7s |
|
|
|
" |
I tre orbitali p di un medesimo livello energetico presentano lo stesso contenuto energetico e si dicono pertanto isoenergetici o degeneri. Questo accade anche per i cinque orbitali d di un medesimo livello energetico e per i sette orbitali f di un medesimo livello energetico.
Nello stesso periodo in cui Schrödinger metteva a punto la sua equazione, apparve un lavoro teorico sulla teoria dei quanti di un giovane fisico tedesco, Werner Heisenberg.
Secondo Heisenberg le variabili meccaniche delle particelle. quali la posizione, la quantità di moto, la forza etc potevano essere rappresentate non da numeri ordinari, ma attraverso strutture matematiche complesse, dette matrici. L'algebra delle matrici è molto simile all'algebra ordinaria con la notevole eccezione che la moltiplicazione non gode della proprietà commutativa. Nell'algebra delle matrici il prodotto A x B non è necessariamente uguale al prodotto B x A.
Heisenberg dimostrò che se si rappresentano tutte le grandezze che compaiono nelle equazioni della meccanica classica come matrici e si introduce la condizione aggiuntiva che la differenza tra il prodotto della quantità di moto (p) per la posizione della particella (x) e il prodotto della posizione per la quantità di moto sia uguale ad , con h costante di Planck ed i unità immaginaria, si ottiene una teoria che permette di descrivere tutti i fenomeni quantistici noti.
Se vivessimo in un mondo in cui h = 0, il prodotto px sarebbe uguale al prodotto xp, varrebbe la proprietà commutativa e tutte le relazioni quantistiche si ridurrebbero alla formulazione classica. La realtà del mondo delle particelle non sarebbe governata da fenomeni di tipo discreto, ma di tipo continuo.
Heisenberg pose inizialmente la sua meccanica matriciale in alternativa alla meccanica ondulatoria di Schrödinger. Ma quando Paul Maurice Adrien Dirac venne a conoscenza della meccanica delle matrici pubblicò un articolo nel quale dimostrò che la formulazione di Schrödinger e di Heisenberg erano equivalenti sul piano matematico. Le matrici di Heisenberg rappresentavano infatti le soluzioni tabulate dell'equazione di Schrödinger e nella soluzione di qualsiasi problema quantistico si può usare indifferentemente la meccanica ondulatoria o la meccanica delle matrici.
Sebbene oggi venga prevalentemente utilizzato l'approccio ondulatorio di Schrödinger, la meccanica matriciale di Heisenberg ha prodotto un risultato teorico di enorme portata, che ci costringe a mettere in discussione dalle radici il nostro modo di concepire la realtà.
Posto che in meccanica quantistica si dicono coniugate coppie di grandezze il cui prodotto ha le dimensioni di un momento angolare, Heisenberg dimostrò che non è possibile misurare simultaneamente con una precisione grande a piacere due variabili coniugate.
Se consideriamo ad esempio le due variabili coniugate:
le indeterminazioni o incertezze nelle loro misure Dx e Dp devono soddisfare la relazione
nota come principio di indeterminazione.
In pratica se misuriamo contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella, esisterà necessariamente una indeterminazione (incertezza) nella misura delle due variabili, tale che il loro prodotto è sempre maggiore o uguale ad un mezzo acca tagliato.
Una relazione analoga vale anche per altre coppie di variabili coniugate, come ad esempio per l'energia di una particella ed il tempo necessario per misurare tale energia.
Si noti che Heisenberg ricavò tali relazioni direttamente dal formalismo matematico della teoria quantistica ed il principio risulta pertanto valido nella misura in cui vale la descrizione quantistica della realtà.
Il principio di indeterminazione non deriva dunque da una carenza nelle nostre tecniche di misurazione, ma è una conseguenza della teoria e, se questa è esatta, delle leggi di natura che la teoria descrive.
Il principio di indeterminazione condiziona evidentemente il livello di precisione delle nostre misurazioni e pone in definitiva dei limiti alla nostra capacità di conoscere la realtà. Infatti il miglior risultato che possiamo ottenere è quello in cui il prodotto delle indeterminazioni sia uguale ad un mezzo acca tagliato.
In questa caso le indeterminazioni sono inversamente proporzionali. Se dunque poniamo x ® 0, allora p ® ¥ il che significa che se tentiamo di rendere assolutamente precisa la misura della posizione di una particella (annullando l'incertezza insita nella sua determinazione), non possiamo più avere alcuna informazione riguardo alla sua quantità di moto, visto che l'indeterminazione ad essa associata diventa infinita e viceversa.
Si tratta di un'ulteriore conferma che in meccanica quantistica non è più possibile parlare di traiettorie determinate e quindi di orbite.
Certamente quando si ha a che fare con misurazioni di oggetti macroscopici è possibile trascurare il principio di indeterminazione senza incorrere in errori importanti.
Ad esempio per un corpo di massa 1 kg, tenendo conto che presenta un ordine di grandezza di 10-34 J s, possiamo in linea di principio determinare la sua posizione con un'indeterminazione di 10-15 m (con una precisione dell’ordine delle dimensioni di un nucleo atomico) e contemporaneamente la sua velocità con un'indeterminazione di 10-16 m/s, pari a 0,3 mm al secolo!
Ma nel caso di atomi e particelle subatomiche l’indeterminazione diviene ineludibile. Prendiamo ad esempio l’elettrone che viaggia intorno al suo nucleo. Esso possiede una velocità dell’ordine di un centesimo della velocità della luce.
La velocità dell’elettrone nell’atomo si può stimare eguagliando forza centrifuga e forza centripeta. Si ottiene
dove
m » 10-30 kg è la massa dell’elettrone,
e » 10-19 C è la carica dell’elettrone,
k » 10-9 è la costante di Coulomb
r » 10-10 m sono le dimensioni tipiche di un atomo.
Sostituendo opportunamente si ottengono valori dell’ordine di 106 m/s (circa un centesimo della velocità della luce).
Se ora ci proponiamo di misurare la velocità effettiva dell’elettrone con un’incertezza dell’1% pari a 104 m/s (1% di 106 m/s) dovremmo accontentarci di misurare la sua posizione con un errore di 10-8 m circa l’1% delle dimensioni atomiche.
Possiamo dunque in un certo senso affermare che tanto più grande (massiccio) è un oggetto, tanto minori sono le sue caratteristiche ondulatorie (infatti l = h/mv) e tanto minore è la sua indeterminazione, cosicché gli oggetti macroscopici sono ‘in pratica’ perfettamente localizzabili.
I minuscoli elettroni presentano invece uno spiccato carattere ondulatorio ed una forte indeterminazione relativa, rendendo perciò necessario tutto lo spazio in più che noi osserviamo intorno al nucleo e che noi chiamiamo orbitale. Se cercassimo di confinare l’elettrone in una regione più piccola la sua lunghezza d'onda sarebbe costretta a diminuire ed è facile verificare che in tal caso l'elettrone vedrebbe aumentata la sua quantità di moto e quindi la sua energia cinetica.
Lo stesso ragionamento fu utilizzato per escludere la presenza di elettroni nel nucleo quando fu accertata l'emissione di radiazione beta da nuclei radioattivi. Infatti un elettrone confinato nella piccolissima regione nucleare (10-15 m) avrebbe un'energia troppo grande e verrebbe subito espulso. Gli elettroni che formano la radiazione beta devono quindi formarsi al momento del decadimento e non essere preesistenti ad esso.
La meccanica ondulatoria di Schrödinger e tutti gli sviluppi fino al 1927 non sono relativistici. Tutti i tentativi fino ad allora compiuti per integrare la relatività ristretta alle equazioni quantistiche avevano portato a risultati assurdi o in netto contrasto con i dati sperimentali.
Nel 1928 finalmente Dirac trovò una equazione quantistico relativistica in grado di descrivere l'elettrone. Essa si riduce naturalmente per piccole velocità all'equazione di Schrödinger.
L'equazione di Dirac porta però un risultato notevole. Essa dà infatti automaticamente lo spin ed il momento magnetico dell'elettrone. Mentre queste proprietà in approssimazione non relativistica devono essere aggiunte e postulate separatamente, esse derivano direttamente dal formalismo matematico di Dirac.
L'equazione di Dirac descrive in realtà non solo il moto degli elettroni, ma anche di particelle di massa uguale, ma di carica positiva, del tutto sconosciute al tempo di Dirac. Ciò fu considerato da Dirac un grave difetto della teoria, tanto che egli tentò inutilmente di verificare se esse potevano essere identificate con i protoni.
In realtà Dirac aveva postulato l'esistenza dell'antiparticella dell'elettrone, il positrone, scoperto poi da C.D. Anderson nei raggi cosmici solo nel 1932.
Fonte: http://www.pianetachimica.it/didattica/documenti/Chimica_Generale.doc
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